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MANUALE DI MALATTIE CARDIOVASCOLARI

Societ Italiana di Cardiologia

Sezione I. Approccio al paziente con Malattia Cardiovascolare Capitolo 1 I SINTOMI DELLE MALATTIE CARDIOVASCOLARI Mario Mariani
DEFINIZIONE Le Malattie dellApparato Cardiovascolare rappresentano ormai da molti anni la prima causa di morbilit e mortalit nel mondo industrializzato. Nei Paesi dellEst europeo tale patologia in continuo aumento con il miglioramento del tenore di vita, mentre in altri Paesi, come nel Centro Africa, a causa del dilagare delle patologie infettive e di una elevatissima mortalit in et giovanile, le malattie cardiovascolari non rivestono, per incidenza, limportanza raggiunta in Europa, negli USA e nei Paesi pi industrializzati dellEst Asiatico, come il Giappone. Sembra quasi che tali affezioni costituiscano un tragico tributo da pagare al benessere! Giova a tal fine ricordare che pi elevata la vita media di un Paese, tanto pi possibile, nello stesso, lo sviluppo delle malattie cardiovascolari. In altre parole laddove la durata media della vita bassa, altre sono le cause principali di mortalit, mentre nei Paesi nei quali laspettativa di vita elevata, le malattie dellapparato cardiovascolare rappresentano la prima causa di morte. Prima di trattare i Sintomi delle malattie cardiovascolari necessario sottolineare limportanza determinante dellanamnesi, che gi di per s pu indirizzare verso un approfondimento mirato dellesame clinico, al fine di giungere ad una precisa diagnosi. I sintomi pi significativi imputabili ad una patologia dellApparato Cardiovascolare sono: 1) La Dispnea. 2) LAstenia. 3) Il Dolore toracico. 4) Le Palpitazioni, definite anche Cardiopalmo. 5) La Nicturia. LA DISPNEA Dalla lingua greca (dus= cattivo e pneuma=respiro) lespressione di una difficolt respiratoria che pu insorgere durante uno sforzo fisico (dispnea da sforzo) o addirittura comparire a riposo. Le sue manifestazioni pi gravi sono lortopnea, la dispnea parossistica notturna e ledema polmonare acuto (vedi pi avanti). Quando non imputabile a cause specifiche respiratorie, la dispnea indica il coinvolgimento del circolo polmonare da parte di una patologia del cuore sinistro: laumento della pressione in atrio sinistro o della pressione diastolica del ventricolo sinistro provoca inevitabilmente un aumento della pressione nei capillari polmonari e nel circolo polmonare a monte degli stessi. Una pressione idrostatica eccessiva nei capillari provoca trasudazione di liquido dapprima nellinterstizio polmonare (edema interstiziale) e quindi negli alveoli (edema alveolare). La Dispnea pu insorgere e manifestarsi sia in forma acuta che cronica, per una patologia che pu coinvolgere lapparato respiratorio o lapparato cardiovascolare; la dispnea cardiaca uno dei sintomi pi significativi insieme allastenia, al dolore anginoso e alle palpitazioni, utilizzati per la valutazione clinica di gravit di uno scompenso. Questi sintomi sono alla base della classificazione proposta dalla New York Heart Association (N.Y.H.A.), utile per inquadrare tutti i gradi di scompenso in relazione alla insorgenza della dispnea per sforzi sempre pi lievi o addirittura a riposo. Essa cos strutturata: Classe I: comprende pazienti con una patologia cardiaca i quali non hanno alcuna limitazione della propria attivit fisica. Lattivit non causa dispnea, n affaticabilit, n dolore anginoso. Classe II: comprende pazienti con patologia cardiaca nei quali presente una scarsa limitazione dellattivit fisica. Questi soggetti stanno bene a riposo, ma possono avere disturbi (dispnea, affaticabilit, palpitazioni o dolore anginoso) per una attivit fisica usuale. Classe III: comprende pazienti con patologia cardiaca che hanno una marcata limitazione dellattivit fisica. Stanno bene a riposo, ma possono presentare i disturbi sopra indicati per unattivit fisica anche inferiore a quella usuale. Classe IV: comprende pazienti con patologia cardiaca che li rende incapaci di effettuare qualsiasi attivit fisica senza presentare i disturbi sopra indicati, che possono essere presenti anche in condizioni di riposo. La forma pi grave di dispnea che possa presentarsi nel cardiopatico ledema polmonare acuto, che si realizza quando la pressione allinterno dei capillari polmonari supera il valore della pressione colloido-osmotica. Nel capillare, infatti, agiscono due forze contrapposte: la pressione idrostatica, che tende a far fuoriuscire il liquido dal vaso, e quella oncotica, esercitata dalla proteine non diffusibili, che tende a trattenere il liquido allinterno; il valore di questultima 25-30 mm Hg. Se la pressione idrostatica nei capillari polmonari supera tale valore,

inevitabile una ultrafiltrazione di plasma, associata, per rotture microvascolari, ad alcuni globuli rossi. Fuoriuscendo dai vasi, il liquido si riversa dapprima nellinterstizio, da dove il sistema linfatico cerca di rimuoverlo; successivamente, quando la capacit di drenaggio del sistema linfatico viene superata, il fluido invade gli alveoli polmonari, e mescolandosi allaria forma una schiuma, talora rosata, che invade le vie aeree ed interferisce gravemente con lefficienza degli scambi gassosi, tanto da poter portare a morte. Allascoltazione del torace, in questa situazione drammatica, quando dalla fase interstiziale si passa a quella alveolare, si assiste alla comparsa di rantoli prima a piccole poi a grosse bolle, che iniziano dalle basi polmonari e giungono rapidamente a coprire lintero distretto respiratorio. Il soggetto in posizione eretta e mette in funzione tutti i muscoli respiratori accessori nella disperata ricerca di riuscire ad effettuare atti respiratori utili. LASTENIA E lespressione di una ridotta portata cardiaca e si manifesta con la difficolt a compiere le usuali attivit motorie (adinamia) o addirittura con un grave senso di spossatezza ancor prima di iniziare una qualunque attivit fisica.
IL DOLORE TORACICO

Il dolore ischemico presenta caratteristiche peculiari che vanno dalla modalit di insorgenza, al tipo di dolore, alla sede dello stesso, alla sua irradiazione. E questo il sintomo pi importante nellangina ed in genere delle sindromi coronariche acute, compreso linfarto miocardico. Nei quadri clinici riferibili ad angina pectoris, la presenza di dolore condicio sine qua non per definire il quadro clinico. Nellangina da sforzo stabile il dolore insorge durante uno sforzo fisico, di tipo costrittivo od oppressivo e nel 75% dei casi localizzato alla regione retrosternale bassa, con varie possibili irradiazioni, delle quali abbastanza comune quella al lato ulnare del braccio sinistro, e in misura minore, al giugulo. Pi raramente vengono interessati lemitorace di destra e il braccio destro o lepigastrio. Il dolore cessa usualmente dopo poco la cessazione dello sforzo e recede rapidamente con lassunzione di nitroderivati. Nellinfarto miocardico acuto, il dolore con le caratteristiche sopra descritte persiste in genere ben oltre i pochi minuti e pu durare addirittura diverse ore. Il dolore toracico non soltanto indicativo di ischemia miocardica (angina pectoris, sindromi coronariche acute) ma pu essere indicativo di numerose altre patologie cardiovascolari quali la pericardite, la dissezione aortica, lipertensione polmonare, lembolia polmonare, e pu anche dipendere da patologie di altri organi e sistemi, come lesioni esofagee o pleuriche oppure interessamento (compressivo, infiltrativo o flogistico) di nervi intercostali. LE PALPITAZIONI O CARDIOPALMO La percezione del proprio battito cardiaco gi un sintomo. La normale azione del cuore, infatti, decorre in maniera del tutto asintomatica, sia di giorno che di notte, per tutta la vita. Esistono due tipi fondamentali di cardiopalmo: quello tachicardico, in cui il soggetto riferisce unazione cardiaca rapida e continua, e quello extrasistolico, caratterizzato dallavvertire improvvisamente un tonfo o tuffo oppure la sensazione del cuore che si ferma (vedi Capitolo 33). Anche se in condizioni di impegno fisico od emozionale frequente sentire il proprio battito cardiaco, non vi dubbio che la perdita di ritmicit un fenomeno che difficilmente sfugge. Talora tale sintomo viene vissuto in maniera allarmante pi del dovuto, come nel caso di extrasistolia isolata o sporadica. Laritmia percepita, responsabile del cardiopalmo, pu essere di scarso rilievo clinico, o al contrario estremamente importante. E pur vero che le aritmie pi gravi, quali la fibrillazione ventricolare o lasistolia, possono portare a morte senza alcun sintomo premonitore, ma innegabile che talora salve di extrasistoli o brevi episodi di tachicardia, e dallaltra parte episodi parossistici di blocco A-V con transitoria asistolia, possono risultare sintomatici e quindi diagnosticabili in tempo per essere trattati con pacemaker o defibrillatore, evitando eventi gravi o fatali. LA SINCOPE Pu essere definita come: Perdita improvvisa e transitoria della coscienza e del tono posturale, dovuta ad una grave ipossia o ad una anossia cerebrale acuta. Talora pu essere accompagnata da perdita di urine e/o di feci. Un tempo si distingueva la lipotimia come perdita momentanea del tono posturale e talora anche dello stato di coscienza, preceduta in genere da prodromi descritti come senso di mancamento, nausea, appannamento della vista, sudorazione, pallore. Oggi si preferisce parlare di sincope e di presincope. La sincope pu riscontrarsi in varie situazioni di patologia cardiaca (vedi Capitolo 41). LA NICTURIA E uno dei sintomi che accompagna linsufficienza cardiaca, e consiste in una riduzione della diuresi durante il giorno con aumento della diuresi stessa durante la notte. Il fenomeno pu essere dovuto al riassorbimento notturno degli edemi soprattutto declivi, che possono realizzarsi durante la stazione eretta nel paziente con scompenso cardiaco congestizio, o anche perch durante il riposo notturno il fabbisogno di sangue da parte dei muscoli minimo, per cui una parte relativamente elevata della portata cardiaca pu giungere al rene, il quale aumenta la produzione di urina.

Capitolo 2 3

I SEGNI DELLE MALATTIE CARDIOVASCOLARI Mario Mariani


CONCETTI GENERALI Nei pazienti con Malattie dellapparato cardiovascolare, i segni rilevabili allesame clinico costituiscono ancora oggi un importante capitolo perch tutte le innovazioni tecnologiche, che hanno apportato un grande progresso nellinquadramento diagnostico e nella terapia, trovano una loro logica applicazione solo sulla base di una corretta valutazione dei segni peculiari di ogni forma di cardiopatia. I principali segni presenti nei pazienti affetti da patologie cardiovascolari sono rilevabili con un accurato esame obiettivo che trova i suoi capisaldi nei presdi offerti dalla classica Semeiotica fisica: Ispezione, Palpazione, Percussione, Ascoltazione. Tra queste, la Percussione ha perso del tutto la sua utilit, nel campo della Semeiotica Cardiovascolare, grazie ai progressi tecnologici che hanno reso molto pi precisa la determinazione delle dimensioni cardiache. Gli altri tre capisaldi semeiologici (Ispezione, Palpazione ed Ascoltazione, soprattutto questultima) conservano la loro validit e servono ad indirizzare, verso luso corretto delle tecniche diagnostiche strumentali. I segni di una cardiopatia si possono riscontrare allesame obiettivo dellapparato cardiovascolare mediante le seguenti manovre: 1) Losservazione del volto e delle estremit per rilevare la presenza di cianosi. 2) Losservazione del polso venoso giugulare. 3) Lispezione delle arterie e la palpazione del polso arterioso. 4) Lispezione e la palpazione della zona precordiale. 5) La palpazione delladdome per ricercare leventuale presenza di epatomegalia o di pulsazioni abnormi. 6) La ricerca di eventuali edemi declivi. 7) Lascoltazione del cuore, volta ad evidenziare anomalie dei toni e/o la comparsa di soffi o sfregamenti. CIANOSI Si definisce cianosi il colorito bluastro assunto dalla pelle e dalle mucose visibili quando il contenuto di emoglobina ridotta nel sangue capillare supera i 5 grammi per decilitro. La cianosi pu essere centrale o periferica. La cianosi centrale per lo pi dovuta alla presenza di uno shunt destro-sinistro o a gravi difetti della funzione respiratoria. La cianosi periferica si realizza quando, a causa di una vasocostrizione in alcuni distretti circolatori, si determina una desaturazione locale, con aumento dellemoglobina ridotta in quelle zone. La cianosi periferica pu evidenziarsi, fra laltro, in presenza di una ridotta portata cardiaca con aumento delle resistenze periferiche. OSSERVAZIONE DEL POLSO VENOSO Il polso venoso meglio valutabile quello giugulare con il paziente in posizione seduta, reclinato a 45 (rispetto ai 90 normali per la posizione seduta). Il polso venoso normale presenta tre onde positive e due depressioni. Le onde positive sono denominate onde a, c e v, mentre le depressioni sono denominate x e y. Unattenta osservazione del polso venoso giugulare, pu fornire precise indicazioni circa la funzione delle camere destre del cuore. Unevidente accentuazione dellonda a espressione di un aumento della pressione in atrio destro (Stenosi tricuspidale, Anomalia di Ebstein ecc..) o della pressione diastolica ventricolare destra, come si verifica nella Miocardiopatia restrittiva (vedi Capitolo 30), o nella Pericardite costrittiva, (vedi Capitolo 32). Unaccentuazione dellonda v talora espressione di una insufficienza tricuspidale. ISPEZIONE DELLE ARTERIE E PALPAZIONE DEL POLSO ARTERIOSO. Con lispezione si possono evidenziare pulsatilit arteriose anormali (come per esempio leccessiva pulsazione delle carotidi, osservabile al collo in presenza di insufficienza aortica o di altre situazioni di circolo ipercinetico). Con lascoltazione possono evidenziarsi soffi vascolari. La manovra semeiologica pi utilizzata per lesplorazione del polso arterioso la palpazione, con la quale si possono valutare: a) la frequenza: numero delle sistoli in un minuto; b) il ritmo: regolarit o irregolarit delle pulsazioni; c) lampiezza: entit del sollevarsi della parete arteriosa sotto il dito che palpa, carattere che direttamente correlato alla gittata sistolica; d) la tensione: entit della forza che devono esercitare le dita che palpano per sopprimere la pulsazione, espressione anche del livello pressorio;

e) la simmetria: uguale ampiezza dei polsi corrispondenti, palpati simultaneamente dai due lati dellorganismo (per esempio, i due polsi radiali, i due polsi femorali, etc). Le variazioni dei caratteri sopradescritti del polso arterioso, possono risultare indicativi di particolari situazioni morbose. Ecco alcuni esempi. A Un polso di ridotta ampiezza (piccolo) e con picco ritardato (tardo) si riscontra nella stenosi aortica (vedi Capitolo 16). B Un polso ampio e celere (con picco precoce) presente nellinsufficienza aortica (vedi Capitolo 17) o negli stati circolatori ipercinetici;. C- Un polso filiforme (frequenza notevolmente aumentata, tensione e ampiezza nettamente ridotte) tipico dello shock (vedi Capitolo 22). D Il polso paradosso lesagerazione patologica di una riduzione della pressione durante una inspirazione profonda. Tale riduzione presente anche in condizioni fisiologiche, ma non supera di solito i 10 mm di mercurio, mentre in presenza di pericardite costrittiva o in situazioni nelle quali esiste una grave riduzione del riempimento ventricolare, si pu avere una caduta di oltre 20-30 mm di mercurio. ISPEZIONE E PALPAZIONE DELLA ZONA PRECORDIALE Lispezione e la palpazione possono consentire di localizzare litto della punta del cuore, cio la sede della massima pulsazione visibile o palpabile, che normalmente si trova al quarto spazio intercostale sinistro circa 1 centimetro allinterno della linea emiclaveare. In condizioni patologiche, litto della punta pu essere dislocato anche in sedi molto diverse dal normale: nellinsufficienza aortica grave, per esempio, pu essere spostato in basso e a sinistra fino al sesto spazio intercostale sulla linea ascellare anteriore o anche media. Possono essere apprezzabili alla palpazione della zona precordiale fremiti, i quali costituiscono il corrispettivo palpatorio dei soffi particolarmente intensi (4/6 o pi della scala Levine, vedi pi avanti) o (pi di rado) degli sfregamenti pericardici in corso di pericardite. PALPAZIONE DELLADDOME PER RICERCARE LEVENTUALE PRESENZA DI EPATOMEGALIA O DI PULSAZIONI ABNORMI Epatomegalia presente nelle forme di scompenso che coinvolgono il cuore destro primitivamente o secondariamente a difetti interessanti inizialmente il cuore sinistro (per esempio valvulopatie mitraliche e/o aortiche). E apprezzabile con le comuni manovre palpatorie laumento di volume dellorgano che pu sporgere per oltre due, tre dita traverse o pi dallarcata costale. In genere lorgano palpato risulta dolente. Alla palpazione dell'addome si possono apprezzare pulsazioni abnormi riferibili alla presenza di aneurismi dell'Aorta addominale EDEMI DECLIVI Si sviluppano inizialmente nelle parti molli degli arti inferiori (piedi, zone pretibiali, etc.) nei soggetti che rimangono per ore in stazione eretta o seduta. Nei pazienti costretti a letto gli edemi sono pi evidenti nella regione pre-sacrale. Quando si ha un imponente stato anasarcatico, gli edemi sono diffusi e si accompagnano anche a versamenti nelle grandi sierose (versamento pleurico, ascite, etc.). ASCOLTAZIONE DEL CUORE Lascoltazione rappresenta la manovra pi importante dellesame obiettivo del cuore, ed basata sullanalisi dei toni e sul riconoscimento di eventuali soffi. I Toni I toni cardiaci normali sono il I e il II; il III tono pu essere ascoltato in assenza di patologia nei bambini o in giovani adulti con parete toracica particolarmente sottile. Il I tono provocato essenzialmente della chiusura delle valvole atrio-ventricolari, mentre il II si deve alla chiusura delle semilunari aortiche e polmonari (Figura 1). Il I tono pu risultare rinforzato in caso di stenosi mitralica (vedi Capitolo 14) o di stenosi della valvola tricuspide, mentre spesso indebolito nellinsufficienza mitralica. Il II tono costituito dalle 2 componenti, aortica e polmonare (A2 e P2), che nella maggior parte dei casi sono cos ravvicinate da generare un tono unico, anche se la chiusura della valvola aortica precede di poco quella della polmonare (Figura 1). A volte, per, anche in condizioni fisiologiche, le due componenti del II tono possono essere ascoltate distinte luna dallaltra, per cui il II tono si presenta sdoppiato. Tale sdoppiamento, per, e variabile con le fasi del respiro: A2 e P2 appaiono separate solo durante linspirazione, mentre nella fase espiratoria sono unite (Figura 2A). Ci dipende dal fatto che con linspirazione aumenta il ritorno venoso per lincremento della vis a fronte: il ventricolo destro, perci, riceve pi sangue e la sua sistole leggermente prolungata, tanto da ritardare la chiusura della valvola polmonare; con lespirazione, invece, questo fenomeno non pi presente, e la chiusura delle due valvole semilunari presso a poco simultanea.

Lo sdoppiamento del II tono pu essere fisso (Figura 3) in presenza di un difetto del setto interatriale, che comporta uno shunt sinistro-destro (vedi Capitolo 51). In questa situazione la gittata del ventricolo destro sempre aumentata: in inspirazione per laumentato ritorno venoso dalle vene cave, in espirazione per lo shunt attraverso il setto interatriale. Infine, lo sdoppiamento del II tono pu essere paradosso: in questo caso si avvertono le due componenti separate in espirazione mentre il tono appare unico durante linspirazione (Figura 2B). Questo fenomeno principalmente causato da un eccessivo ritardo di A2. come accade in caso di blocco di branca sinistra (vedi Capitolo 3) o stenosi aortica grave. In queste situazioni, il II tono sdoppiato poich la chiusura della valvola aortica ritardata per motivi elettrici (blocco di branca) o meccanici, ed la polmonare a chiudersi prima. Quando, durante linspirazione, si verifica un fisiologico ritardo della chiusura della polmonare, legato allaumentato ritorno venoso, A2 e P2 diventano simultanee, mentre in espirazione non vi il ritardo di P2, per cui il II tono appare sdoppiato. Il II tono pu risultare rinforzato in presenza di un aumento dei valori pressori sistemici nella sua componente aortica (A2) o in presenza di unipertensione polmonare, nella sua componente polmonare (P2). In queste condizioni, il livello della pressione che fa chiudere la valvola semilunare maggior del normale, per cui le vibrazioni che la valvola genera nel chiudersi sono particolarmente ampie. Il III tono (Figura 4) corrisponde alla fase diastolica di riempimento rapido (protodiastole), e pu risultare ben evidente in caso di aumentato riempimento ventricolare o in presenza di disfunzione ventricolare, come nello scompenso cardiaco. Normalmente il III tono si ascolta soltanto nei bambini o nei soggetti con parete toracica particolarmente sottile. Il IV tono (Figura 4) corrisponde alla sistole atriale (telediastole o presistole), e dipende dalle vibrazioni provocate dal sangue che, spinto dalla contrazione dellatrio, penetra nel ventricolo. Normalmente questo fenomeno non d luogo a un tono ascoltabile sia perch le vibrazioni indotte dalla sistole atriale, a bassa frequenza, sono quasi in continuit con quelle, a frequenza ben pi alta, del I tono, sia perch la loro ampiezza molto bassa. Vi sono essenzialmente due condizioni che favorisono lascoltazione del IV tono: il blocco A-V di I grado e la ridotta distensibilit ventricolare. Nel primo caso si allunga lintervallo P-R (vedi Capitolo 40), per cui la sistole atriale non seguita da quella ventricolare immediatamente, ma dopo un tempo pi lungo del normale, per cui in IV tono ben separato dal I. Nella seconda circostanza la ridotta distensibilit delle pareti ventricolari, come avviene nella stenosi aortica o nella cardiopatia ipertensiva, fa s che aumenti lampiezza delle vibrazioni generate dal sangue che latrio spinge nel ventricolo. Quando il III o il IV tono si ascoltano in presenza di un aumento della frequenza cardiaca, si pu generare un ritmo a tre tempi (ritmo di galoppo). A volte sono contemporaneamente presenti in III e il IV tono; se la frequenza cardiaca aumentata, si ha il cosiddetto galoppo di sommazione. I Toni aggiunti A parte i toni descritti, possibile ascoltare, in particolari condizioni, patologiche, i seguenti toni aggiunti. 1) I click sistolici, che comprendono il click del prolasso mitralico (Figura 5) (vedi Capitolo 15) e i click eiettivi aortico e polmonare, apprezzabili a volte in presenza di stenosi aortica o polmonare. 2) Gli schiocchi dapertura della mitrale o della tricuspide, che si determinano al momento dellapertura di una valvola stenotica. Normalmente non si generano vibrazioni udibili allaprirsi delle valvole A-V, ma quando queste divengono stenotiche la loro apertura provoca un tono aggiunto a tonalit alta, detto appunto schiocco dapertura (Figura 6). I Soffi Un soffio il rumore che si genera quando il flusso del sangue diventa turbolento, e pu essere ascoltato col fonendoscopio non solo in corrispondenza del cuore, ma anche sui vasi. In condizioni ideali, il flusso del sangue dovrebbe essere laminare (in base al numero di Reynolds), ma in realt non lo quasi mai; la turbolenza marcata del flusso, tale da generare vortici che poi si ascoltano come soffi si deve a vari motivi, inclusa la stessa viscosit del sangue. I soffi cardiaci dipendono essenzialmente da: a) un ostacolo anormale al flusso, come per esempio quello rappresentato da una valvola stenotica; b) un flusso non fisiologico, come per esempio quello che si genera nel difetto del setto interventricolare, nel quale vi un flusso innaturale del sangue da un ventricolo allaltro; c) unaumentata velocit e/o unaumentata quantit del flusso, come si verifica per esempio nellinsufficienza aortica pura dove, in assenza di stenosi valvolare, si pu ascoltare sul focolaio aortico un soffio sistolico quando la gittata sistolica ventricolare sinistra notevolmente aumentata (vedi Capitolo 17). I soffi cardiaci si distinguono in base alla loro cronologia (cio alla fase del ciclo cardiaco in cui si ascoltano), al timbro, alla intensit, alla sede di ascoltazione e alla irradiazione. Una prima importante distinzione fra soffi sistolici, diastolici e continui; questi ultimi occupano tutto il ciclo cardiaco, mentre i primi sono limitati a una sola delle due fasi. Allinterno delle categorie dei soffi sistolici e diastolici, poi, se ne trovano alcuni che occupano tutta la sistole (soffio olosistolico) o tutta la diastole (soffio olodiastolico) e altri la cui durata minore, che vengono definiti con i prefissi proto, meso o tele (protosistolici, protodiastolici, etc) secondo che occupino solo la parte iniziale della fase (sistole o diastole) in cui si ascoltano, oppure la parte intermedia o quella finale.

Per quanto riguarda il timbro, i soffi vengono tradizionalmente definiti impiegando termini come dolce, rude, aspro, aspirativo, raspante, e altri fra cui molto diffuso quello di rullio per indicare il soffio diastolico della stenosi mitralica, che viene assimilato a un rullio di tamburi. La sede di ascoltazione di un soffio cardiaco il punto del precordio dove il soffio ha la massima intensit. I quattro classici focolai dellascoltazione sono quello mitralico (alla punta del cuore), tricuspidalico (allincirca alla base dellapofisi ensiforme), aortico (sulla margino-sternale destra, al secondo spazio intercostale) e polmonare (sulla margino-sternale sinistra, al secondo spazio intercostale). Lirradiazione del soffio la direzione in cui, partendo dalla sede, ancora possibile ascoltarlo bene. E caratteristica lirradiazione allascella del soffio dellinsufficienza mitralica e lirradiazione al giugulo del soffio della stenosi aortica. Lintensit dei soffi viene in genere valutata solo per quelli sistolici, secondo la scala a 6 gradini proposta da Levine, la quale tiene anche conto del fatto che quando un soffio molto intenso, le vibrazioni generate dalla turbolenza del flusso si possono non solo ascoltare, ma anche palpare come fremiti, appoggiando la mano sul precordio.

1/6 quel soffio che non si avverte immediatamente, ma solo quando si ascolta il cuore con grande attenzione 2/6 un soffio che si ascolta immediatamente, ma relativamente debole 3/6 un soffio forte ma non accompagnato da fremito 4/6 un soffio forte accompagnato da fremito 5/6 un soffio fortissimo, accompagnato da fremito, ma che non si ascolta pi se si solleva il fonendoscopio a 1 cm dalla cute 6/6 un soffio fortissimo, accompagnato da fremito, che si continua ad ascoltare anche se si solleva il fonendoscopio a 1 cm dalla cute I soffi sistolici, inoltre, possono essere distinti in eiettivi e da rigurgito. Questa distinzione ha molta importanza da un punto di vista clinico perch mentre i soffi eiettivi possono essere sia organici, determinati cio da una lesione anatomica (per esempio, una stenosi valvolare aortica), che funzionali, legati a motivi differenti da unalterazione strutturale (per esempio, unaumentata velocit del flusso), i soffi da rigurgito sono sempre organici, espressione di unalterazione anatomica. I soffi eiettivi (Figura 7) iniziano a una certa, anche se breve, distanza dal I tono. Prendiamo come esempio il soffio eiettivo della stenosi aortica: allinizio della sistole il ventricolo sinistro si contrae e fa chiudere la valvola mitrale, dando origine al I tono; in questa fase, che prende il nome di contrazione isometrica (o isovolumetrica) leiezione del sangue dal ventricolo non ancora iniziata. Solo quando la pressione endoventricolare cresce e supera quella vigente in aorta (circa 80 mm Hg in condizioni normali) la valvola aortica si apre e ha inizio il flusso attraverso la valvola e con esso il soffio, assumendo che la valvola sia stenotica. Questo soffio, perci, inizier a una certa distanza dal I tono, non simultaneamente ad esso. Osserviamo ora il soffio da rigurgito della insufficienza mitralica (Figura 8). Questo inizia senza alcun ritardo rispetto al I tono, ma contemporaneamente ad esso; infatti appena la valvola mitrale si chiude e si genera il I tono inizia il rigurgito di sangue in atrio sinistro, ben prima che la pressione intraventricolare aumenti al di sopra di quella aortica e la valvola aortica si apra. In definitiva, il soffio sistolico da rigurgito inizia attaccato al I tono, mentre il soffio sistolico eiettivo staccato dal I tono. I soffi sistolici da eiezione hanno in generale la caratteristica di essere in crescendo-decrescendo, assumendo una morfologia a diamante (Figura 7), mentre i soffi da rigurgito hanno un aspetto a nastro conservando la stessa intensit per tutta la loro durata. I soffi sistolici da rigurgito sono quelli dellinsufficienza mitralica, dellinsufficienza tricuspidale, del difetto del setto interventricolare; quelli eiettivi possono essere organici, legati alla stenosi aortica (Capitolo 16) o alla stenosi polmonare (Capitolo 18), ma possono anche essere soltanto di natura funzionale, espressione di una stenosi relativa, dovuti non a riduzione dellostio valvolare, ma semplicemente ad aumento del flusso con unarea valvolare normale. I soffi diastolici sono quasi sempre organici, e comprendono il soffio (rullio) diastolico della stenosi mitralica (Figura 6) (Capitolo 14), quello della stenosi tricuspidalica (Capitolo 18), il soffio dellinsufficienza aortica (Figura 9) (Capitolo 17) e quello dellinsufficienza polmonare (Capitolo 18). I soffi continui sono sempre legati ad una anormale connessione fra il circolo arterioso e quello venoso, con shunt artero-venoso che dura per tutto il ciclo cardiaco. Il prototipo del soffio continuo quello generato dalla perviet del dotto arterioso di Botallo (Figura 10) (Capitolo 51), che si ascolta in sede sottoclaveare sinistra. Gli Sfregamenti Relativamente simili ai soffi sono gli sfregamenti pericardici, che si ascoltano in alcuni soggetti affetti da pericardite (Capitolo 32). Normalmente i foglietti pericardici viscerale e parietale sono lisci e scorrono luno

sullaltro senza alcuna frizione, ma in seguito allinfiammazione il movimento dei foglietti, divenuti rugosi, genera gli sfregamenti, che spesso si ascoltano sia in sistole che in diastole.

Sezione II. Le indagini strumentali Capitolo 3 LELETTROCARDIOGRAMMA Giuseppe Oreto, Francesco Luzza, Maria Pia Calabr
LATTIVIT ELETTRICA DEL CUORE Le fibrocellule miocardiche sono polarizzate in condizioni di riposo, cio possiedono una elettronegativit sulla faccia interna della membrana cellulare, mentre la faccia esterna carica positivamente. Per contrarsi, ogni cellula deve prima essere depolarizzata, cio attivata elettricamente: durante la depolarizzazione sinverte la polarit della membrana, la cui faccia interna diviene carica positivamente. Completatasi la depolarizzazione, la cellula ritorna allo stato iniziale: si realizza quindi la ripolarizzazione, al termine della quale la cellula diviene nuovamente eccitabile, cio pu andare incontro a una nuova depolarizzazione. I processi elettrici delle fibrocellule miocardiche si realizzano mediante il movimento di ioni (particelle cariche elettricamente) i quali attraversano la membrana passando attraverso specifici canali. LE OMDE DELLELETTROCARDIOGRAMMA LElettrocardiogramma (ECG) una registrazione grafica dellattivit elettrica del cuore, ed formato da diverse onde, le quali si ripetono, normalmente con lo stesso ordine, in ogni ciclo cardiaco, e vengono denominate P, Q, R, S, T ed U (Figura 1). Non necessariamente sono presenti tutte le onde, poich anche in condizioni fisiologiche una o pi di esse possono non essere evidenti o mancare. Nella Figura 1B per esempio, dopo la P compaiono le onde Q ed R ma non la S. Londa P corrisponde alla depolarizzazione atriale, mentre le onde Q, R ed S sono lespressione della depolarizzazioneventricolare; londa T rappresenta la ripolarizzazione ventricolare. Il significato dellonda U meno chiaro, e la sua genesi ancora discussa. Fra un ciclo cardiaco e laltro (cio fra una serie di onde PQRSTU e la successiva) vi generalmente una fase pi o meno lunga in cui il cuore elettricamente silente, cio non vi sono onde. In questo periodo lelettrocardiogramma registra una linea piatta, detta isoelettrica. Le onde P, T ed U possono essere positive, cio rivolte in alto (Figura 1A) o negative, cio rivolte in basso (Figura 1B); per quanto riguarda il complesso ventricolare (QRS), invece, unonda positiva sempre denominata R, mentre le onde negative si definiscono Q oppure S a seconda che compaiano prima o dopo unonda R. La carta su cui viene registrato il tracciato elettrocardiografico presenta un fine reticolato di linee ortogonali che formano dei quadrati. Esistono linee spesse, che distano luna dallaltra 5 mm, e linee sottili, separate da una distanza di 1 mm; le prime formano quadrati con lati di 5 mm, le seconde quadrati con lati di 1 mm. Ogni quadrato grande contiene perci 25 quadrati piccoli (Figura 2). Le linee servono come punti di riferimento per misurare sia lampiezza (cio il voltaggio) delle onde che la loro durata. Sullasse verticale si misura laltezza (ampiezza) della deflessione, partendo dallisoelettrica. Per esempio, nella Figura 3 londa P ha unaltezza di 2 mm, londa q di 1 mm, londa R di 13 mm, londa S di 2 mm e la T di 2,5 mm. Poich in una registrazione elettrocardiografica standard 10 mm corrispondono a 1 mV, potremo affermare che londa P ha unampiezza di 0,2 mV, la Q di 0,1 mV, la R di 1,3 mV, etc. Mentre la dimensione verticale serve per misurare il voltaggio delle onde, quella orizzontale consente di valutare la durata delle varie deflessioni. Con la velocit tradizionale di scorrimento della carta (25 mm al secondo), un secondo corrisponde a 5 quadrati grandi o, ci che lo stesso, a 25 quadrati piccoli. Di conseguenza, ogni quadrato grande equivale a 0,2 secondi (200 millisecondi) e ogni quadrato piccolo a 0,04 secondi (40 millisecondi). Proviamo ora a determinare la durata delle varie onde misurandone la larghezza. Nella Figura 3 londa P ha una larghezza di 2 quadrati piccoli, per cui la sua durata sar 0,08 sec (0,04x2); anche il QRS occupa lo spazio di 2 quadrati piccoli, cio ha una durata di 0,08 secondi (80 millisecondi). Oltre alla durata delle varie onde, si misurano anche alcuni intervalli, particolarmente il P-Q (o P-R) e il QT. Nella Figura 3 il P-Q (dallinizio della P allinizio del QRS) misura circa 0,17 secondi e il QT (dallinizio del QRS alla fine della T) 0,39 secondi. LE DERIVAZIONI DELLELETTROCARDIOGRAMMA Lelettrocardiogramma tradizionale comprende 12 derivazioni. Ciascuna di esse descrive lo stesso fenomeno (i processi di depolarizzazione e di ripolarizzazione del cuore) visto, per, da diversi punti di osservazione. La presenza di pi derivazioni serve a ricostruire rapidamente landamento dei fenomeni elettrici del cuore. Allo stesso modo, se noi vogliamo studiare le caratteristiche architettoniche di un edificio, dobbiamo girarci intorno per analizzarlo da diverse angolazioni: ledificio sempre lo stesso, ma cambia la parte che di volta in volta vediamo. Perci ogni derivazione contiene le stesse onde (P,Q,R,S,T,U) nella stessa sequenza, ma la polarit (positiva o negativa), il voltaggio e la durata delle deflessioni saranno pi o meno diversi nelle differenti derivazioni. Tuttavia, se noi riusciamo a mettere insieme le informazioni che le 12 derivazioni ci offrono, apparir alla nostra mente

lintera sequenza degli eventi elettrici del cuore, e potremo allora discriminare la normalit dalla patologia, e nellambito di questultima distinguere diversi aspetti. Le 12 derivazioni sono: Periferiche (degli arti): Bipolari (Figura 4): I (o D1) - Polo positivo braccio sn, polo negativo braccio dx II (o D2) - Polo negativo braccio dx, polo positivo gamba sn III (o D3) - Polo negativo braccio sn, polo positivo gamba sn Unipolari:aVR - Polo positivo braccio dx aVL - Polo positivo braccio sn aVF - Polo positivo gamba sn Precordiali o toraciche (Figura 5):V1 IV - spazio intercostale dx, sulla marginosternale V2 IV - spazio intercostale sn, sulla marginosternale V3 - A met strada fra V2 e V4 V4 V - spazio intercostale sn, sullemiclaveare V5V - spazio intercostale sn, sullascellare anteriore V6 V - spazio intercostale sn, sullascellare media Le prime 6 derivazioni vengono registrate con elettrodi posti sugli arti e vengono perci dette periferiche (o derivazioni degli arti), mentre le seconde 6 si ottengono ponendo gli elettrodi sul torace, nella regione precordiale, da cui il nome di derivazioni precordiali. Inoltre, fra le derivazioni periferiche le prime tre sono bipolari e le seconde tre unipolari. IMPIEGO CLINICO DELLELETTROCARDIOGRAMMA Due sono i campi principali di applicazione dellECG: da un lato lo studio del ritmo cardiaco e la diagnosi della aritmie, e dallaltro il riconoscimento di alcune condizioni patologiche del cuore (per esempio, linfarto miocardico) che alterano in modo caratteristico lattivit elettrica cardiaca. Mentre per le aritmie, per, lECG insostituibile e rappresenta la metodica di riferimento, per molte altre condizioni esistono tecniche pi adatte a rivelare il processo patologico, per cui lECG passa in secondo piano. Per esempio, lipertrofia miocardica viene definita con maggiore accuratezza dallEcocardiografia che dallECG poich la prima in grado di valutare la massa miocardica, mentre il secondo pu solo indicare le eventuali anomalie elettriche che lipertrofia induce, e quindi rivela questa condizione solo indirettamente. A parte che per lo studio delle aritmie, lECG viene impiegato in clinica per diagnosticare lingrandimento degli atri, lipertrofia dei ventricoli, i disturbi di conduzione intraventricolare (blocchi di branca e fascicolari), lischemia miocardica e le sue diverse manifestazioni, alcune disionie, leffetto di alcuni farmaci sul cuore. LECG anche molto importante per riconoscere alcune condizioni spesso congenite, a volte su base genetica, che possono condurre ad aritmie anche letali (Preeccitazione, QT lungo o corto, Fenomeno di Brugada), e fornisce anche informazioni utili per il riconoscimento di malattie quali la pericardite, le cardiomiopatie, il cuore polmonare cronico, lembolia polmonare.

LA DETERMINAZIONE DELLASSE QRS (AQRS) LECG rappresenta sotto forma di onde i vettori prodotti dalla depolarizzazione e dalla ripolarizzazione cardiaca. Il cuore genera, istante per istante, numerose forze elettriche che possono essere espresse da vettori; la somma di tutti i vettori che compaiono in un determinato momento rappresenta il vettore medio istantaneo; sommando tutti i vettori medi istantanei che si succedono durante la depolarizzazione ventricolare si ottiene il vettore medio del QRS o asse del QRS (QRS). La direzione di questo vettore pu essere calcolata nei tre piani dello spazio: piano frontale, piano orizzontale o trasverso, piano sagittale; in pratica, per, lQRS viene determinato solo sul piano frontale, e il calcolo della sua direzione semplice in base allanalisi delle derivazioni periferiche (derivazioni degli arti). Per questo scopo, possiamo immaginare la genesi dellECG assumendo che in ogni piano il cuore sia il centro di una circonferenza, e che da esso si originino le forze, espresse come vettori: le varie onde da cui formato il tracciato elettrocardiografico non sono altro che le proiezioni dei vettori sui diametri della circonferenza. Analizziamo solo il piano frontale: ogni derivazione corrisponde a un diametro, con un estremo positivo e uno negativo. Per descrivere la posizione dei diversi diametri si usa una schematizzazione geometrica, dove la definizione in gradi identifica lestremit positiva di ogni derivazione. Il piano frontale presenta le direzioni alto, basso, sinistra e destra (Figura 6). Per convenzione, il punto pi a sinistra viene definito 0, quello pi basso +90, quello pi in alto 90 e quello pi a destra 180; i vettori diretti nella met inferiore della circonferenza (in basso) vengono espressi con segni positivi (per esempio, +70), mentre i vettori diretti in alto hanno segno negativo (per esempio, -40). Ciascuna derivazione periferica (del piano frontale) ha una sua linea, corrispondente a un diametro della circonferenza, e viene identificata in base al suo polo positivo (Figura 7). Nel nostro approccio semplificato, tuttavia, utilizzeremo solo una coppia di derivazioni ortogonali: I e aVF. Nellosservare ogni derivazione, bisogna tenere in considerazione la posizione della linea di derivazione e il diametro perpendicolare ad essa. Esaminando la I derivazione, la cui linea va da 0 (polo positivo) a 180 (polo negativo), osserviamo che il diametro perpendicolare alla linea di derivazione va da 90 a +90 (Figura 8). La linea della I derivazione pu essere divisa in due met: la parte che va dal centro della circonferenza al polo positivo lemilinea positiva e quella che va dal centro al polo negativo lemilinea negativa. Facciamo ora partire dei vettori dal centro della circonferenza (Figura 9): il vettore A proietter sulla met positiva della linea della derivazione, il vettore B proietter sullemilinea negativa, mentre il vettore C perpendicolare alla linea e la sua proiezione su di essa sar un punto. Tradotti in termini di ECG, questi fenomeni significano che il vettoreA dar luogo ad una deflessione positiva, cio rivolta verso lalto, mentre il vettore B originer unonda negativa, diretta in basso, e il vettore C non generer alcuna onda, visto che la sua proiezione sulla linea puntiforme, cio nulla. Lampiezza dellonda sar direttamente proporzionale alla lunghezza della proiezione del vettore sulla linea di derivazione. Se noi suddividiamo la linea in unit arbitrarie, ci rendiamo conto che la proiezione del vettore A misura 5,5 unit e quella del vettore B 3,5 unit. Ci trova immediato riscontro nel tracciato: londa generata dal vettore A alta 5,5 mm, mentre quella dovuta al vettore B misura 3,5 mm. Esprimendoci pi correttamente, diremo che lampiezza di A 0.55 mV (millivolt) e quella di B 0.35 mV. Consideriamo ora il vettore A (Figura 10). Sappiamo che in I derivazione esso d una deflessione positiva, ma non possiamo, con questa sola informazione, calcolarne la direzione. Si pu soltanto affermare, visto che esso proietta sullemilinea positiva della I derivazione, che diretto a sinistra, compreso nellangolo piatto segnato in verde nella figura. Analizziamo ora aVF (Figura 11), il cui polo positivo a +90: il vettore A proietta sulla met positiva della linea di questa derivazione, il che vuol dire che esso diretto nellangolo piatto segnato in verde nella figura (fra 0 e 180). In altri termini, aVF ci dice che il vettore A diretto in basso. Se adesso mettiamo insieme le informazioni provenienti dalle due derivazioni fin qui studiate (Figura 12), ci accorgiamo che possibile circoscrivere la direzione del vettore nellangolo retto che va da 0 a +90 (segnato in verde), poich lECG mostra unonda positiva sia in I derivazione che in aVF: il vettore, perci, devessere diretto in basso e a sinistra. LQRS normale diretto in basso e a sinistra; per questo motivo in un ECG normale il complesso QRS positivo sia in I derivazione che in aVF (Figura 13A). La deviazione assiale sinistra, invece caratterizzata da un QRS diretto nel quadrante superiore sinistro, cio in alto e a sinistra (Figura 13B); in questa situazione il complesso QRS sar negativo in aVF (il vettore proietter sulla met negativa della linea di derivazione) e positivo in I. Nella deviazione assiale destra, invece, il vettore medio di QRS diretto verso destra nel quadrante inferiore destro (Figura 14A) o in quello superiore destro (Figura 14B). Ci che contraddistingue la deviazione assiale destra, comunque, la negativit del complesso QRS in I derivazione; quando lQRS diretto a destra e in basso, il QRS positivo in aVF (Figura 14A), mentre se diretto a destra e in alto (cosiddetta deviazione assiale destra estrema, Figura 14B) sia la I derivazione che aVF presentano un complesso ventricolare negativo (Tabella I). LINGRANDIMENTO DEGLI ALTRI Ingrandimento atriale sinistro. Lingrandimento dellatrio sinistro si esprime con aumento di durata dellonda P, che raggiunge o supera 0,12 secondi, con la comparsa di onde P bifide in alcune derivazioni (per esempio, I, II o

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precordiali da V2 a V6) e di unonda P difasica positivo/negativa in V1, caratterizzata da una componente negativa rallentata (ECG 01, ECG 06, ECG 07, ECG 11). Ingrandimento atriale destro. Lingrandimento dellatrio destro viene suggerito da onde P con durata normale, ma alte, con voltaggio 0,25 mV (2,5 mm) e appuntite nelle derivazioni II, III, aVF, e da onde P positive o prevalentemente positive e appuntite in V1 (ECG 02, ECG 03, ECG 04, ECG 05). LIPERTROFIA DEI VENTRICOLI L incremento della massa ventricolare si esprime con numerose alterazioni, di cui le pi importanti sono laumentato voltaggio del QRS, le alterazioni della ripolarizzazione (anomalie del tratto ST e dellonda T) e, per lipertrofia ventricolare destra, la deviazione assiale. Ipertrofia ventricolare sinistra. Per diagnosticare lipertrofia ventricolare sinistra attraverso laumento del voltaggio sono stati proposti molti indici, il pi noto dei quali lindice di Sokolov, basato sulla somma dallonda S in V1 pi londa R in V5 o V6. Quando questa somma raggiunge o supera 35 mm (3,5 mV) si pu diagnosticare lipertrofia ventricolare. Molto importanti, nellipertrofia ventricolare sinistra, sono le alterazioni secondarie di ST-T (Figura 15), caratterizzate da un tratto ST sottoslivellato e da una T negativa asimmetrica nelle derivazioni in cui il QRS positivo. Casi di ipertrofia ventricolare sinistra si osservano nelle Figure ECG 06, ECG 07, ECG 08. Ipertrofia ventricolare destra. Lipertrofia ventricolare destra si esprime allECG in primo luogo con una deviazione assiale destra (Figura 14); la deviazione dellQRS a destra normale nel neonato e nel bambino piccolo mentre un fenomeno anormale nelladulto ed esprime quasi sempre lipertrofia del ventricolo destro. Un altro segno rappresentato dalle onde R alte nelle precordiali destre (V1,V2), con rapporto R/S>1. Casi di ipertrofia ventricolare sinistra si osservano nelle Figure ECG 03, ECG 04, ECG 05. I DISTURBI DELLA CONDUZIONE INTRAVENTRICOLARE Il sistema di conduzione intraventricolare costituito dalle branche e dalle loro diramazioni (il nodo A-V e il fascio di His fanno, invece, parte della giunzione atrio-ventricolare). In condizioni fisiologiche limpulso nasce nel nodo del seno, attraversa gli atri e giunge al nodo A-V e da qui al fascio di His, da dove raggiunge simultaneamente le due branche e, percorrendo le diramazioni di queste raggiunge la rete di Purkinje, la quale permette la rapida distribuzione dellimpulso a un gran numero di cellule. La funzione del sistema di conduzione intraventricolare consentire lattivazione (e di conseguenza la contrazione) simultanea dei due ventricoli, fenomeno di grande importanza da un punto di vista fisiologico. Poich la branca sinistra si suddivide precocemente in due fascicoli (anteriore e posteriore), da un punto di vista elettrocardiografico, il sistema di conduzione costituito da 3 fascicoli: la branca destra, il fascicolo anteriore e quello posteriore (Figura 16). Numerosi processi patologici possono alterare la conduzione in una o pi sezioni del sistema di conduzione intraventricolare; si distinguono, quindi, i blocchi di branca (blocco di branca destra, blocco di branca sinistra), i blocchi fascicolari (blocco fascicolare anteriore, blocco fascicolare posteriore, definiti anche come emiblocco anteriore ed emiblocco posteriore), i blocchi bifascicolari (blocco di branca destra + blocco fascicolare anteriore, blocco di branca destra + blocco fascicolare posteriore) e quelli trifascicolari, nei quali tutti e tre i fascicoli sono compromessi. Blocco di branca destra E caratterizzato da complessi con onda r (o R) terminale in V1 (morfologia rSr, rSR, rR) e da complessi con onda S larga in I e V6. La durata del QRS aumentata e raggiunge o supera 0,12 secondi nel blocco di branca destra completo, mentre minore nella forma incompleta. Un blocco di branca destra si osserva nell ECG 10. Blocco di branca sinistra In questo blocco il complesso QRS molto caratteristico nelle derivazioni I e V6, dove intieramente positivo, con morfologia a M o R con plateau, il tratto ST sottoslivellato e la T negativa. Come nel blocco di branca destra, la durata del QRS aumentata, e raggiunge o supera 0,12 secondi nel blocco di branca sinistra completo, mentre minore nella forma incompleta. Casi di blocco di branca sinistra si osservano nelle Figure ECG 11 ed ECG 12. Blocco fascicolare anteriore (Emiblocco anteriore) Si riconosce per la presenza di deviazione assiale sinistra (QRS a -30 o pi in alto, testimoniato da complessi QRS positivi in I, negativi in aVF e isodifasici o negativi in II derivazione) associata a complessi qR in I e aVL ed a complessi rS in III e aVF (ECG 13). Blocco fascicolare posteriore (Emiblocco posteriore E un disturbo di conduzione estremamente raro quando isolato, ed caratterizzato da deviazione assiale destra associata a complessi qR in II, III, aVF. Per affermare la presenza di un blocco fascicolare posteriore, necessario escludere unipertrofia ventricolare destra. Blocco di branca destra + blocco fascicolare anteriore

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Presenta i caratteri del blocco di branca destra isolato (complessi rSr, rSR, rR in V1, complessi con onda S larga in I e V6) insieme alla deviazione assiale sinistra, come nel blocco fascicolare anteriore. Elettrocardiogrammi tipici di blocco di branca destra associato a blocco fascicolare anteriore si osservano nelle Figure ECG 14 ed ECG 15. Blocco di branca destra + blocco fascicolare posteriore Presenta i caratteri del blocco di branca destra isolato (complessi rSr, rSR, rR in V1, complessi con onda S larga in I e V6) insieme alla deviazione assiale destra, come nel blocco fascicolare posteriore. Un esempio tipico di blocco di branca destra associato a blocco fascicolare posteriore si osserva nell ECG 16. LA CARDIOPATIA ISCHEMICA Lischemia miocardica si esprime allECG con una serie di anomalie che riguardano principalmente il segmento ST, londa T e il complesso QRS. Esiste un considerevole disaccordo riguardo la nomenclatura delle alterazioni ischemiche dellECG: i classici trattati di Elettrocardiografia impiegano i termini di ischemia, lesione e necrosi per indicare rispettivamente le modificazioni ischemiche dellonda T, del tratto ST e del complesso QRS; questi termini, tuttavia, non sono esatti da un punto di vista fisiopatologico: per esempio, lalterazione di T nota come ischemia in realt un fenomeno postischemico, cio si manifesta al cessare dellischemia. Conserveremo in questo libro la nomenclatura consacrata dalluso (ischemia, lesione, necrosi) pur nella coscienza della sua inesattezza. La lesione Nella cardiopatia ischemica, il tratto ST pu essere sopraslivellato (lesione subepicardica) o sottoslivellato (lesione subendocardica); in realt nessuna di queste due alterazioni specifica dellischemia miocardica, poich si pu riscontrare (specialmente il sottoslivellamento di ST) in molte altre condizioni indipendenti dallischemia. Le modificazioni ischemiche del tratto ST, tuttavia, specialmente il sopraslivellamento, possiedono ancora oggi un ruolo diagnostico cruciale in molte situazioni cliniche, nonostante siano disponibili metodiche strumentali ben pi sofisticate e costose. La lesione subepicardica si riscontra prevalentemente nellinfarto miocardico acuto e nellangina di Prinzmetal (vediECG 20, ECG 21, ECG 22). Il sopraslivellamento di ST pu essere a concavit superiore o a convessit superiore (Figura 17). Solitamente a concavit superiore nelle fasi inizialissime dellinfarto, quando non si sono ancora verificate alterazioni significative del QRS, e allora il complesso ventricolare somiglia a un potenziale dazione monofasico (Figura 17a), mentre assume convessit superiore in una fase successiva, se pure acuta, dellinfarto, quando cio si delineano le onde q e la T inizia a divenire negativa (Figura 17b). Un carattere importante della lesione subepicardica la sua evolutivit: nellinfarto essa si manifesta soprattutto durante la fase iniziale e persiste solo per ore o giorni. Cessata la fase acuta, lST ritorna gradualmente verso lisoelettrica, la T si negativizza e compare in genere unonda q patologica nelle derivazioni interessate (Figura 18). La lesione subendocardica (il sottoslivellamento ischemico del tratto ST) a volte difficilmente distinguibile dalle alterazioni secondarie osservabili in presenza di ipertrofia o blocco di branca, e ancora pi difficilmente separabile dalle anomalie di ST indotte da farmaci o da quelle alterazioni che vanno sotto il nome di alterazioni non specifiche della ripolarizzazione. La situazione migliore per studiare la lesione subendocardica il test ergometrico, poich in questa situazione si pu paragonare lST in condizioni di riposo con quello osservato durante lo sforzo. Quando il test positivo, cio indicativo di ischemia miocardica, compare un sottoslivellamento di ST (Figura 19) che ha di solito un andamento dapprima ascendente (schema b), poi rettilineo o piatto (c) e quindi discendente (d); questultimo stadio si accompagna a negativizzazione dellonda T, o meglio a T bifasica negativo/positiva che pu permanere anche quando, con la cessazione dellesercizio, il tratto ST si normalizza (e). In linea di massima, laspetto morfologico pi tipico della lesione subendocardica il sottoslivellamento rettilineo del tratto ST (c); tuttavia non vi sono indicatori checonsentano di discriminare con certezza, solo sulla base della morfologia, lal terazione ischemica da quella nonischemica di ST. Un dato rilevante offerto dallevolutivit del sottoslivellamento di ST: nel test ergometrico positivo lECG diviene progressivamente anormale e poi torna alle condizioni basali entro breve tempo. Parimenti, nell'angina pectoris, il sottoslivellamento di ST si riduce al migliorare della sintomatologia, mentre la persistenza dellalterazione per ore o giorni testimonia un infarto subendocardico. Elettrocardiogrammi caratteristici di lesione subendocardica sono presentati nei casi ECG 18, ECG 19; in particolare l ECG 19b mostra la normalizzazione del tratto ST al risolversi dellangina. La necrosi La necrosi unalterazione del QRS generalmente conseguente ad un infarto miocardico. Nella maggior parte dei casi, la necrosi si esprime con la comparsa di onde q patologiche o con la scomparsa di onde r, per cui si osservano in alcune derivazioni complessi QS. Si afferma comunemente che le onde q, per essere indicative di necrosi, debbano avere una durata di almeno 0.04 secondi e un voltaggio non inferiore a della R successiva. Tuttavia, questo un criterio non sempre utilizzabile: a volte difficile distinguere unonda q di necrosi da unonda q normale, anche perch lestensione della zona necrotica variabile, e in alcuni casi cos piccola da non provocare un disordine elettrico tale da esprimersi con onde q di ampiezza sufficiente. Elettrocardiogrammi dimostrativi di necrosi vengono presentati negli ECG 21, ECG 23, ECG 24. LIschemia In condizioni normali, londa T positiva nelle derivazioni in cui il QRS positivo, e viceversa. Nellischemia subepicardica, invece, le onde T si presentano invertite rispetto a quanto atteso, cio con una polarit opposta

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rispetto a quella del QRS, e hanno una morfologia simmetrica, con uguale pendenza delle due branche, ed apice appuntito (Figura 20a). Questi ultimi caratteri della T ischemica la rendono differente dalla T normale, dove la branca prossimale pi lenta di quella distale, e lapice arrotondato. Unaltra configurazione caratteristica, anche se meno comune, della T ischemica quella difasica positivo/negativa, con componente terminale negativa appuntita (Figura 20b). Nellinfarto miocardico, le onde T ischemiche non si manifestano nella fase iperacuta, ma solo dopo ore o, a volte, giorni. Si pu affermare che la T ischemica sia in realt un fenomeno post-ischemico, che compare cio quando la fase acuta dellischemia si conclusa. Il problema diagnostico, cio la corrispondenza o meno fra le onde T ischemiche e la cardiopatia ischemica, si pone quando il quadro ECG dellischemia subepicardica compare in assenza di infarto miocardico o al di fuori di una situazione clinica che deponga chiaramente per cardiopatia ischemica. In un paziente con pregresso infarto possibile non di rado osservare onde T ischemiche anche molti anni dopo l'episodio acuto (ECG 23, ECG 24) ma, in assenza di dati che attestino lesistenza di una cardiopatia ischemica, il quadro ECG definibile come ischemia subepicardica non di per s dimostrativo di una vera ischemia, neanche quando morfologicamente tipico, cio caratterizzato da onde T invertite simmetriche e appuntite. LALTERAZIONE DELLEQUILIBRIO IDROELETTROLITICO Le disionie, in particolare le alterazioni riguardanti il potassio e il calcio, influenzano lECG. Liperkaliema (ECG 25,ECG 26) provoca aumentata durata (allargamento) del QRS e comparsa di onde T alte e appuntite, mentrelipokaliema (ECG 27) induce sottoslivellamento di ST, appiattimento dellonda T, comparsa di onda U e allungamento del QT (vedi pi avanti). Anche lipocalcemia pu essere responsabile di un allungamento del QT (ECG 28), ma in questa situazione la T pressoch normale mentre si allunga lintervallo fra linizio del QRS e linizio della T. LINTERVALLO QT E I SUOI PROBLEMI Lintervallo QT esprime la durata globale dellattivit elettrica ventricolare, e comprende sia la fase di depolarizzazione che quella di ripolarizzazione; la misurazione del QT, tuttavia, viene impiegata esclusivamente per valutare la ripolarizzazione ventricolare. Ci dipende dal fatto che mentre semplice determinare linizio e il termine della depolarizzazione, non altrettanto immediato riconoscere linizio della ripolarizzazione. Alcune cellule ventricolari, infatti, iniziano a ripolarizzarsi mentre altre si stanno ancora depolarizzando, per cui pressoch impossibile valutare la durata esatta del processo di recupero, e si preferisce esprimere la durata totale della sistole elettrica, appunto lintervallo QT, che va misurato dallinizio del complesso QRS alla fine dellonda T. Si tratta di un parametro molto importante, poich numerose condizioni patologiche, e soprattutto leffetto di svariati farmaci, si manifestano con variazioni dellintervallo QT, in genere con lallungamento di esso, ed eccezionalmente con laccorciamento. Il QT si modifica notevolmente con il variare della frequenza cardiaca, essendo pi breve a frequenze alte e pi lungo per frequenze basse. Diviene perci indispensabile correggere il QT per la frequenza cardiaca, ed quanto solitamente si fa con la formula di Bazett, in base alla quale il QT corretto (QTc) uguale al rapporto fra il QT e la radice quadrata dellintervallo R-R (entrambe le misure vengono espresse in secondi). Da questa formula si evince che il QTc uguale al QT se la frequenza cardiaca di 60 al minuto, poich a questa frequenza lintervallo RR misura 1 secondo, e la radice quadrata di 1 1. Per frequenze maggiori di 60 il QTc sempre maggiore del QT, mentre per frequenze minori di 60 il QTc minore del QT. Il QT lungo Lallungamento del QT (QTc > 0.45 secondi negli uomini, > 0,46 secondi nei bambini di ambo i sessi, > 0.47 secondi nelle donne) pu conseguire ad unanomalia congenita, cio ad una malattia dei canali ionici dipendente da unalterazione cromosomica (vedi Capitolo), o essere di natura acquisita. Diversi geni sono stati riconosciuti come responsabili della malattia, e differenti forme sono state identificate; le Figure ECG 33 ed ECG 34 riportano tracciati elettrocardiografici di pazienti con Sindrome da QT lungo congenito. Il QT lungo acquisito riconosce una serie di cause; fra queste le disionie (Ipokaliemia, Ipocalcemia), numerosi farmaci, particolarmente gli antiaritmici (Sotalolo, Amiodarone, Ibutilide, Chinidina, Disopiramide) diversi antidepressivi e alcuni farmaci gastrointestinali; anche lischemia miocardica e il blocco A-V (ECG 35) rientrano fra le possibili cause del QT lungo. Lallungamento del QT temibile perch pu provocare aritmie gravi, particolarmente la tachicardia ventricolare a torsione di punte (vedi Capitolo) e la fibrillazione ventricolare. Il QT corto Laccorciamento dellintervallo QT molto pi raro dellallungamento. In linea di massima dipende, allo stesso modo del QT lungo, da malfunzionamento su base genetica dei canali ionici, e pu associarsi ad aritmie gravi e a morte improvvisa (vedi Capitolo). Laccorciamento acquisito del QT di natura disionica (ipercalcemia) o farmaco-indotta. L ECG 36 riporta un caso di Sindrome da QT corto. LA PREECCITAZIONE Si definisce con questo termine la condizione in cui una zona miocardica viene attivata prima di quanto sarebbe avvenuto se limpulso fosse stato condotto solo attraverso le normali vie di conduzione. Responsabile della

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preeccitazione sempre una via accessoria, cio un fascio anomalo che connette, a parte rare eccezioni, gli atri ai ventricoli; poich la velocit di conduzione attraverso il fascio accessorio maggiore di quella attraverso la via normale (Nodo A-V, Fascio di His, etc.) la zona cui si distribuisce la via anomala viene attivata in anticipo, cio preeccitata. LECG di un paziente portatore di una via accessoria (nella maggior parte dei casi definita come Fascio di Kent) pu presentare i seguenti caratteri: 1) Onda delta, rappresentata da un rallentamento iniziale del complesso QRS; 2) P-R corto; 3) QRS largo; 4) Alterazioni secondarie della ripolarizzazione. Limportanza della preeccitazione dipende dal fatto che la coesistenza di due vie di conduzione atrio-ventricolare (quella nodo-hissiana e il fascio di Kent) rappresenta il presupposto per linstaurarsi di un circuito di rientro, che pu dar luogo a una tachicardia parossistica da rientro atrio-ventricolare. La condizione in cui la preeccitazione si associa a tachicardia parossistica da rientro viene definita Sindrome di Wolff-Parkinson-White (vedi Capitolo). Le Figure ECG 37 ed ECG 38 presentano casi di preeccitazione ventricolare. IL FENOMENO DI BRUGADA Risale allultimo decennio del secolo scorso la descrizione di una nuova Sindrome, caratterizzata da morte improvvisa per fibrillazione ventricolare e da un particolare quadro elettrocardiografico caratterizzato dalla presenza, nelle derivazioni precordiali destre, di unonda terminale positiva definita come onda J, associata a un tratto ST sopraslivellato. Londa J somiglia in qualche modo allonda R del blocco di branca destra, e per questo motivo era stato in un primo tempo ritenuto che il blocco di branca destra facesse parte del quadro ECG associato alla Sindrome di Brugada. Dopo la descrizione iniziale, sono stati riconosciuti numerosi soggetti nei quali era evidente il Fenomeno di Brugada cio il quadro elettrocardiografico caratteristico. E ancora oggetto di discussione liter diagnostico per identificare, nella coorte di coloro che presentano allECG il Fenomeno di Brugada, quelli che sono a rischio di morte improvvisa. Le Figure ECG 39 ed ECG 40 presentano esempi tipici del Fenomeno di Brugada. Si ritiene che alla base del Fenomeno sia una malattia dei canali ionici, precisamente un malfunzionamento del canale del sodio; stata anche riscontrata nel 20% dei soggetti affetti unalterazione del gene SCN5A, ma le conoscenze sulla genetica della Sindrome di Brugada non sono ancora sufficientemente progredite da permettere un inquadramento clinico affidabile. LIPOTERMIA In soggetti che siano andati accidentalmente incontro a ipotermia, si riscontra un quadro ECG caratteristico. Con labbassarsi della temperatura corporea compaiono diverse alterazioni elettrocardiografiche (bradicardia sinusale, blocco A-V di I o di II grado, anomalie di ST-T, allungamento del QT, aumento della durata del QRS) ma soprattutto londa J, detta anche onda di Osborn, che il segno patognomonico dellipotermia. Si tratta di una piccola deflessione positiva e relativamente larga che segue londa R ed in diretta continuit con questa, intervenendo fra il QRS e il tratto ST. Londa J dellipotermia simile a quella osservabile nel fenomeno di Brugada, ma in questultima condizione londa J si osserva solo in V1-V2 o al massimo in V3, mentre nellipotermia essa presente in numerose derivazioni. Un caso tipico di ipotermia presentato nell ECG 41. LA PERICARDITE Per quanto il pericardio non sia sede di attivit elettrica, e quindi non contribuisca direttamente alla genesi dellelettrocardiogramma, la pericardite pu provocare alterazioni dellECG perch linfiammazione dellepicardio si accompagna quasi inevitabilmente ad interessamento flogistico degli strati miocardici subepicardici, ed anche perch la presenza del versamento pericardico o dellispessimento fibro-calcifico dei foglietti sierosi altera la trasmissione delle forze elettriche cardiache. Nella pericardite acuta lECG mostra spesso un sopraslivellamento di ST a concavit superiore nelle derivazioni con QRS prevalentemente positivo, onde T relativamente alte e appuntite, e non di rado un tratto P-R sottoslivellato. Successivamente il punto J ritorna allisoelettrica, scompare il sottoslivellamento del P-R, la T si riduce di voltaggio e quindi si negativizza, per normalizzarsi poi tardivamente. Esempi di elettrocardiogrammi suggestivi di pericardite acuta si osservano nelle Figure ECG 42 ed ECG 43. Quando la pericardite si accompagna ad abbondante versamento pericardico, pu comparire la riduzione del voltaggio di tutte le onde dellECG (il liquido pericardico un cattivo conduttore di elettricit) e lalternanza elettrica, caratterizzata da un alternarsi di onde pi ampie e meno ampie (ECG 44). LE CARDIOMIOPATIE Cardiomiopatia Ipertrofica LECG normale solo nel 7-15% dei pazienti affetti, mentre negli altri si pu osservare: aumento del voltaggio di QRS (ipertrofia ventricolare sinistra), alterazioni di ST-T, onde q anormali (apparente necrosi), alterazioni della conduzione intraventricolare, ingrandimento atriale. Elettrocardiogrammi con quadri caratteristici di cardiomiopatia ipertrofica vengono presentati nelle Figure ECG 45 ed ECG 46. Cardiomiopatia dilatativa In questa forma molto comune il blocco di branca sinistra, ed anche possibile osservare ipertrofia ventricolare sinistra ed ingrandimento atriale sinistro. Cardiomiopatia restrittiva Il quadro pi comune rappresentato da ingrandimento atriale (spesso biatriale). I complessi QRS hanno a volte basso voltaggio, sono presenti alterazioni di ST-T e spesso aspetti di apparente necrosi (pseudonecrosi). Un caso tipico di questa malattia viene presentato nell ECG 47.

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Cardiomiopatia/displasia aritmogena del ventricolo destro A parte le aritmie, che sono quasi la regola in questa malattia, possibile osservare allECG anomalie dellonda P, blocco di branca destra, onde T negative nelle derivazioni precordiali destre (o anche in tutte le precordiali), ed a volte onde epsilon, espressione di attivazione ritardata di alcune zone del ventricolo destro (ECG 48). LENFISEMA E IL CUORE POLMONARE CRONICO Enfisema Laumento del contenuto aereo polmonare, caratteristico dellenfisema, influenza lECG soprattutto perch, essendo laria un cattivo conduttore di elettricit, si realizza una difficolt nella trasmissione dei potenziali elettrici cardiaci alla superficie del corpo, con conseguente riduzione dei voltaggi delle onde elettrocardiografiche. LECG nel paziente enfisematoso presenta, perci, complessi ventricolari di basso voltaggio, specialmente nelle derivazioni periferiche. Per convenzione, si considera basso il voltaggio dei ventricologrammi quando la somma di tutte le onde del QRS nelle tre derivazioni periferiche bipolari (I, II, III) non supera 15 mm. Un tracciato elettrocardiografico tipico si osserva nellECG 49. Cuore polmonare cronico Nella maggior parte dei casi, il cuore polmonare cronico consegue ad una broncopneumopatia ostruttiva enfisematica. In tale situazione lECG riflette sia i segni dellenfisema che quelli del cuore polmonare, rappresentati dallipertrofia ventricolare destra, associata quasi invariabilmente allingrandimento atriale destro. Lanomalia dovuta allenfisema fondamentalmente la riduzione dei voltaggi di tutte le onde dellECG, mentre il sovraccarico pressorio che grava sul cuore destro si esprime con i segni dellipertrofia ventricolare (deviazione di QRS a destra, aumento del voltaggio di R in V1 con rapporto R/S >1) e con quelli dellingrandimento atriale destro (onde P appuntite nelle derivazioni inferiori, con voltaggio aumentato, onde P prevalentemente positive e aguzze in V1-V2). L ECG 03 stato registrato in un soggetto con cuore polmonare cronico. LEMBOLIA POLMONARE Le embolie polmonari di entit modesta non si associano ad alterazioni emodinamiche di rilievo n, tanto meno, a modificazioni dellECG. Solo unembolia polmonare massiva pu dare segno di s, provocando un inatteso sovraccarico del ventricolo destro (cuore polmonare acuto), che si riflette anche sullelettrocardiogramma. In questa condizione, lECG pu mostrare: 1) blocco di branca destra, completo o, pi spesso, incompleto, a volte associato a sopraslivellamento di ST e/o T positiva in V1; 2) onde T negative nelle derivazioni precordiali; 3) S1Q3T3, cio onda S in I derivazione e onda q associata a T negativa in III. L ECG 50A e l ECG 50B mostrano un caso di embolia polmonare.

Capitolo 4 LECOCARDIOGRAMMA Maria Penco, Eleonora De Luca, Simona Fratini, Sergio Severino, Pio Caso, Raffaele Calabr
INTRODUZIONE Lecocardiografia la metodica che permette di eseguire uno studio anatomico e funzionale del cuore mediante gli ultrasuoni. I primi tentativi di utilizzare gli ultrasuoni in medicina iniziarono appena dopo la seconda Guerra Mondiale e si concretizzarono nel 1953 con la segnalazione, da parte di Hertz ed Hedler, della possibilit di visualizzare strutture cardiache in movimento, in particolare la valvola mitrale. Da allora, i notevoli sviluppi della tecnica, hanno fatto s che lecocardiografia diventasse una metodica diagnostica di grande rilievo per lo studio morfologico e funzionale dellapparato cardiovascolare. Lecocardiografia la metodica diagnostica che, insieme allelettrocardiografia, presente nella stragrande maggioranza, se non nella totalit, dei percorsi clinici di un paziente cardiopatico o a rischio di cardiopatie. Poche metodologie hanno subito unapplicazione cos vasta ed una diffusione cos capillare nella pratica clinica come la diagnostica con ultrasuoni in generale, e come lecocardiografia in ambito cardiologico, in particolare. Ci dovuto, da una parte, alla semplicit e sicurezza della metodica e dallaltra alla ricchezza ed immediatezza dei risultati ottenibili. I continui progressi tecnologici, con il miglioramento della qualit delle immagini e la disponibilit di apparecchi portatili, amplieranno ulteriormente lo spettro di applicazione, e quindi di richiesta, della metodica. Per una sua applicazione ottimale e per una corretta interpretazione dei dati ottenuti, servono una tecnica adeguata e solide basi culturali, considerando che uno dei principali limiti dellEcocardiografia il fatto di essere

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operatore-dipendente. In ogni caso, il risultato dellesame ecocardiografico va interpretato alla luce dei dati anamnestici e del contesto clinico. Le principali informazioni che si possono ottenere dallesame ecocardiografico sono:

Studio dellanatomia cardiaca in fisiologia ed in patologia (dimensioni, spessori, cavit, valvole, pericardio, Studio della funzione degli apparati valvolari e della funzione sistolica e diastolica dei ventricoli Studio della funzione contrattile globale e segmentaria delle pareti ventricolari

aorta, arteria polmonare e suoi rami principali).

I PRINCIPI DELLECOCARDIOGRAFIA Il suono una forma di energia che attraversa la materia comprimendo e rarefacendo alternativamente le molecole. E rappresentato graficamente da una sinusoide la cui dimensione orizzontale il tempo, quella verticale lintensit o ampiezza. Si caratterizza per la lunghezza donda (che rappresenta la distanza tra due fasi consecutive del ciclo) e per la frequenza (che esprime il numero di compressioni ed espansioni che subiscono le particelle nellunit di tempo). La frequenza del suono espressa in cicli al secondo o Hertz (Hz) (Figura 1). Lorecchio umano percepisce suoni tra i 16 e 20.000 Hz; oltre quel limite si parla di ultrasuoni. Le frequenze attualmente utilizzate in cardiologia variano da 1 milione ad oltre 10 milioni di Hertz (MHz), tali da permettere lattraversamento dei tessuti con una velocit costante di 1540 m/sec. La velocit del suono il prodotto della frequenza per la lunghezza donda. Esiste dunque tra queste due componenti un rapporto inverso: allaumentare di una diminuisce laltra. CARATTERISTICHE FISICHE DEGLI ULTRASUONI Gli ultrasuoni possono essere utilizzati nellimaging diagnostico poich, come la luce, sono orientabili e, attraversando i tessuti, subiscono alcune modificazioni: attenuazione, riflessione e rifrazione

Attenuazione: un fenomeno di riduzione di intensit del raggio ultrasonoro e dipende dallassorbimento, Riflessione: una parte del raggio ultrasonoro viene riflesso a livello dellinterfaccia tissutale. Londa sonora

dalla riflessione e dalla dispersione da parte del tessuto esaminato. Aumenta allaumentare della frequenza. che torna indietro, avvicinandosi alla sorgente, costituisce uneco e viene utilizzata per visualizzare limmagine ultrasonora.

Rifrazione: la deviazione subita dallonda quando passa da un mezzo ad un altro, cambiando velocit di

propagazione.

Limpedenza acustica (Z) il prodotto della densit del mezzo che gli ultrasuoni attraversano (P) per la velocit (C) dellultrasuono, e definisce le caratteristiche acustiche del mezzo stesso. I tessuti molli sono pi densi ed hanno maggiore impedenza acustica, perch la velocit di propagazione resta invariata. La superficie di separazione tra due mezzi ad impedenza acustica diversa viene chiamata interfaccia acustica. Ad ogni interfaccia acustica, una parte degli ultrasuoni viene riflessa e una parte viene rifratta nel mezzo adiacente (Figura 2); lintensit della componente riflessa dipende dalla differenza di impedenza acustica dei mezzi e dallangolo di incidenza: essa , cio, tanto maggiore quanto pi la direzione del fascio ultrasonoro perpendicolare alla superficie. Se la superficie di contatto non piana ma irregolare, una parte dellenergia non sar riflessa ma diffratta, cio dispersa in tutte le direzioni. Il potere di risoluzione la capacit di distinguere fra loro due strutture distinte poste una dopo laltra o una accanto allaltra lungo la direzione del fascio ultrasonoro. E direttamente proporzionale alla frequenza dellultrasuono. Il potere di penetrazione del raggio ultrasonoro , invece, inversamente proporzionale alla frequenza. Perci sonde che lavorano con ultrasuoni ad alte frequenze hanno un elevato potere di risoluzione ma una bassa capacit di penetrazione nei tessuti. La diagnostica ecocardiografica utilizza trasduttori che lavorano con frequenze di almeno 2MHz. La qualit delle immagini ottenute migliora con la modalit harmonic imaging (seconda armonica), caratterizzata dal fatto che la sonda invia ultrasuoni ad una certa frequenza e li riceve ad una frequenza doppia. Ci consente una migliore qualit delle immagini. IL TRASDUTTORE Gli ultrasuoni vengono prodotti da un trasduttore. Esso costituito da elettrodi e da un cristallo piezoelettrico la cui struttura ionica, sfruttando le capacit di alcuni materiali (come il quarzo o la ceramica), si deforma se esposta al passaggio di corrente elettrica generando onde sonore. Lo stesso cristallo piezoelettrico poi, per effetto

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dellenergia meccanica generata da onde sonore riflesse, subisce una deformazione che genera un segnale elettrico rilevato da elettrodi. Ci significa che il trasduttore riceve e invia contemporaneamente segnali ultrasonori (Figura 3). SISTEMI DI RAPPRESENTAZIONE ECOCARDIOGRAFICA La ricostruzione dellimmagine ecocardiografica si basa sul calcolo della distanza tra una data struttura anatomica ed il trasduttore. Il trasduttore emette un fascio ultrasonoro che si dirige verso il cuore e procede in linea retta fino a quando non raggiunge uninterfaccia tra strutture con diversa impedenza acustica. A questo punto parte dellenergia viene riflessa, parte viene dispersa, e la parte restante continua il proprio percorso rifratta. Il sangue non genera echi riflessi. Lenergia riflessa che torna verso il trasduttore costituisce il fondamento dellimmagine ecocardiografica. Poich la velocit di propagazione degli ultrasuoni nei tessuti molli costante nel tempo (circa 1540 m/s), il traduttore in grado di calcolare la distanza tra esso e la struttura esaminata valutando lintervallo temporale tra linvio degli ultrasuoni e la ricezione delleco riflesso. Sul monitor, alla distanza corrispondente, viene visualizzato il punto appena esaminato. I moderni ecocardiografi (Figura 4) consentono di eseguire tutte le tecniche ecocardiografiche, da quelle tradizionali a quelle pi moderne, e sono dotati di diverse sonde, adatte alle varie metodiche (Figura 5). I sistemi di rappresentazione dellimmagine con lecocardiografia transtoracica attualmente in uso sono:

Sistema Mono-dimensionale (M-Mode) Sistema Bidimensionale

ECOCARDIOGRAFIA MONODIMENSIONALE Il sistema monodimensionale permette di visualizzare le modificazioni dellimpulso ultrasonoro nel tempo (asse orizzontale) e la profondit della struttura che riflette gli ultrasuoni (asse verticale). Ad ogni interfaccia strutturale, gli ultrasuoni vengono riflessi e visualizzati alla distanza corretta sotto forma di punti la cui intensit varia al variare della composizione del tessuto esaminato. Poich queste strutture sono in movimento, il trasduttore ricostruisce il movimento della struttura nel tempo. Il sistema M-Mode dotato di un elevato potere di risoluzione temporale, e risulta molto utile per studiare il movimento delle valvole e per ottenere misure di cavit e spessori. In corrispondenza della valvola mitrale, la struttura cardiaca pi vicina al trasduttore la parete libera del ventricolo destro; seguono poi la cavit ventricolare destra (VD), il setto interventricolare (SIV), la cavit ventricolare sinistra e la parete posteriore del ventricolo sinistro (Figura 6). In questa proiezione possibile valutare le dimensioni del ventricolo sinistro ed anche lo spessore del setto (ECO 34) e della parete posteriore Orientando il fascio ultrasonoro verso la valvola mitrale si valuta lescursione dei lembi valvolari, lanteriore in corrispondenza del setto interventricolare, e il posteriore in corrispondenza della parete posteriore del ventricolo sinistro (Figura 7) . Il movimento del lembo anteriore mitralico presenta una morfologia a M con un massimo nel punto E (lapertura protodiastolica della valvola). La distanza dal punto E al setto interventricolare non deve superare, nel soggetto normale, i 3 mm. La mobilit della valvola rispecchiata dalla rapidit del movimento di chiusura nella protomesodiastole fino al punto F (pendenza EF). In fase telediastolica i lembi si riaprono, in corrispondenza della contrazione atriale (punto A). La valvola, quindi, si chiude e i lembi coaptano (punto C). Il movimento del lembo posteriore mitralico ha una forma a W, speculare rispetto al lembo anteriore. Lo studio della valvola mitrale stata una delle prime applicazioni diagnostiche dellecocardiografia. Tra le principali anomalie ecocardiografiche descritte sono laumento dello spessore, della densit e del numero di echi riflessi in conseguenza dellispessimento fibroso e/o calcifico dellapparato valvolare; e inoltre la scomparsa del caratteristico movimento di apertura a M e W dei lembi, sostituito da un plateau pi o meno rettilineo e parallelo ai due lembi (ECO 01). Orientando il fascio ultrasonoro in senso supero-mediale si visualizza latrio sinistro, la valvola aortica, con la cuspide coronarica destra e la non coronarica, la radice dellaorta ed il tratto prossimale dellaorta ascendente (Figura 8). Le dimensioni dellatrio sinistro si misurano in telesistole, quelle della radice aortica in telediastole. Il movimento sistolico di apertura delle cuspidi aortiche si visualizza come un parallelogramma i cui lati superiore e inferiore corrispondono rispettivamente al movimento della cuspide coronarica destra e di quella non coronarica. In caso di stenosi aortica, si nota un ispessimento dei lembi con aumento dellintensit e del numero degli echi e una riduzione dellapertura sistolica delle cuspidi (ECO 15). La Tabella I riporta i valori normali dei parametri ecocardiografici M-mode in soggetti adulti. ECOCARDIOGRAFIA BIDIMENSIONALE

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Il sistema bidimensionale permette di visualizzare limmagine corrispondente ad una sezione delle cavit cardiache sfruttando la capacit dei trasduttori di ricevere e trasmettere pi linee di scansione in modo indipendente. Gran parte delle sonde attualmente in uso costituita da una serie di cristalli (da 32 a 128), ciascuno dei quali in grado di ricevere e di trasmettere, allineati in una singola fila, sono attivati secondo una precisa sequenza temporale in modo da provocare la fusione delle onde generate dai singoli elementi e ottenere un unico fascio la cui direzione dipende dalla sequenza di attivazione dei singoli cristalli. Limmagine ottenuta viene convertita in formato digitale: ad ogni punto, in base alla sua intensit, viene assegnato un valore numerico che corrisponde a livelli di grigio per altrettanti elementi di visualizzazione (pixel) allineati lungo assi cartesiani x ed y. Lesame ecocardiografico si realizza con 4 posizioni standard del trasduttore: parasternale, apicale, subxifoidea e soprasternale. Le prime due si realizzano con il paziente in decubito laterale sinistro, le altre con il paziente supino. SEZIONE ASSE LUNGO In genere lesame inizia dalla proiezione parasternale asse lungo: si posiziona il trasduttore a livello del terzoquarto spazio intercostale sulla linea margino-sternale di sinistra con la scanalatura di repere rivolta verso la spalla destra del paziente in modo tale che il piano di scansione sia parallelo ad una linea di congiunzione tra la spalla destra con il fianco sinistro. Limmagine orientata in modo tale che laorta sia disposta a destra e lapice cardiaco a sinistra, ed ottimale quando si visualizza contemporaneamente lapertura della valvola mitrale e della valvola aortica (Figura 9,Figura 10, Figura 11, Figura 12). Questa proiezione consente uno studio accurato dellanatomia e del movimento delle valvole del cuore sinistro, di cui facile rilevare lispessimento e la calcificazione in caso di stenosi mitralica o aortica (ECO 13). Mantenendo il trasduttore nello stesso spazio ed imprimendogli una inclinazione inferomediale e una leggera rotazione in senso orario si ottiene una sezione asse lungo del ventricolo e dellatrio destro (Figura 13, Figura 14) SEZIONE ASSE CORTO Ruotando la testa del trasduttore in senso orario per 90 gradi, in modo tale che il piano di scansione sia ortogonale a quello dellasse lungo parasternale, si ottiene la proiezione parasternale asse corto a livello dei grossi vasi. In questa posizione la scanalatura di repere orientata verso la fossa sopraclaveare destra e il piano di scansione parallelo ad una linea che congiunge la spalla sinistra con il fianco destro del paziente (Figura 15, Figura 16) Da questa posizione si visualizza la valvola aortica al centro con le sue tre cuspidi, latrio sinistro e quello destro separati dal setto interatriale, la valvola tricuspide, il tratto di efflusso del ventricolo destro, la valvola polmonare, il tronco dellarteria polmonare con i suoi due rami, destro e sinistro (Figura 17, Figura 18). Questa proiezione utile per studiare la valvola aortica, in particolare per determinare se questa ha, come di norma, 3 cuspidi, oppure bicuspide (ECO 20) o quadricuspide (ECO 21). Alzando la coda del trasduttore, possibile visualizzare la sezione asse corto a livello della valvola mitrale. Sono ben evidenti i lembi valvolari con il classico aspetto a bocca di pesce in diastole e le rispettive commissure. Da questa posizione possibile calcolare larea planimetrica della mitrale in caso di stenosi (Figura 19, Figura 20, Figura 21,Figura 22, ECO 05). Un ulteriore movimento verso lalto della coda della sonda, e si visualizzano i due muscoli papillari del ventricolo sinistro (Figura 20, Figura 22), e quindi lapice del ventricolo. SEZIONE APICALE Il trasduttore viene posto in corrispondenza dellitto della punta, con la scanalatura di repere orientata verso il fianco sinistro del paziente. Il fascio ultrasonoro diretto superiormente e medialmente verso la scapola destra del paziente. Da questa posizione si visualizzano le quattro camere cardiache (proiezione apicale quattro camere). Alla destra dello schermo si visualizzano le sezioni sinistre, e alla sinistra quelle destre. Il ventricolo destro, di forma triangolare, si riconosce per limpianto pi alto della tricuspide, per la presenza della banda moderatrice allapice e per il muscolo papillare. Gli atri, separati dal setto interatriale, sono visualizzati in basso; i ventricoli, separati dal setto interventricolare, in alto (Figura 23, Figura 24, Figura 25). Da questa posizione riusciamo a visualizzare il SIV posteriore. Inclinando la coda del trasduttore verso il basso visualizziamo la valvola aortica, il tratto di efflusso del ventricolo sinistro e il setto interventricolare anteriore (proiezione apicale cinque camere (Figura 26). Ruotando la testa del trasduttore di 90 gradi circa si ottiene la sezione due camere apicale da cui possibile studiare la parete inferiore e quella anteriore del ventricolo sinistro e a volte visualizzare lauricola sinistra (Figura 27, Figura 28, Figura 29). Con unulteriore minima rotazione del trasduttore si ottiene la sezione tre camere apicale in cui si visualizza la parete postero-laterale del ventricolo sinistro, il setto interventricolare anteriore, la valvola aortica (Figura30). Lecocardiografia bidimensionale dalle sezioni apicali permette di valutare la funzione sistolica globale del ventricolo sinistro attraverso la misurazione della Frazione di Eiezione (FE) espressa dalla formula: FE(%) = Volume telediastolico Volume Telesistolico/Volume telediastolico x 100 Sono diverse le metodiche correntemente utilizzate per la stima della FE; il pi utilizzato il metodo di Simpson in base al quale, dopo che loperatore ha accuratamente delineato il bordo endocardico del ventricolo sinistro , la macchina suddivide automaticamente il ventricolo stesso in un numero noto di cilindri di uguale altezza. Il volume di ogni cilindro calcolato automaticamente e poi sommato a quello degli altri per ottenere il volume totale che

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corrisponde al volume totale del ventricolo. Tale stima viene effettuata in sistole ed in diastole in sezione apicale 4 e 2 camere, permettendo di ottenere il valore della FE (Figura31). Dalle sezioni apicali possibile, inoltre, valutare la cinetica segmentaria del ventricolo sinistro e, in caso di cardiopatia ischemica, ricercare e documentare alterazioni morfofunzionali causate dallischemia, definire la sede e lestensione del danno ischemico, valutare la funzione cardiaca regionale e globale. Lanalisi segmentaria della cinetica ha lo scopo di quantificare lestensione del danno ischemico e di identificare la coronaria interessata in base al territorio in cui si verifica lanomalo movimento della parete. Esempi di alterazioni della cinetica ventricolare dovuti a un infarto miocardico vengono presentati nelle immagini ECO 26, ECO 27, ECO 28, ECO 29. LAmerican Society of Echocardiography ha proposto un modello a sedici segmenti, nel quale il ventricolo sinistro diviso in 3 regioni in senso longitudinale (basale: dallanello mitralico allestremit dei papillari; media: dallestremit alla base dei papillari; apicale: distalmente allinserzione dei muscoli papillari). Le regioni basali e medie sono ulteriormente suddivise in 6 segmenti: anteriore, laterale, posteriore, inferiore, setto inferiore e setto anteriore. Lapice diviso in 4 segmenti (anteriore, laterale, inferiore e settale). Per una valutazione semiquantitativa lanalisi della cinetica segmentaria pu essere integrata attribuendo un punteggio da 1 a 4: 1 = normale o ipercinesia, 2 = ipocinesia, 3 = acinesia, 4 = discinesia. Sommando i singoli punteggi e dividendo per il numero di segmenti analizzati, si ottiene un indice di cinesi globale definito Wall Motion Score Index (WMSI) o un punteggio indicizzato della cinetica parietale che combina la stima della gravit del danno con quella della sua estensione spaziale (Figura32,Figura33). SEZIONE SOTTOCOSTALE O SUBXIFOIDEA E particolarmente utile nei pazienti con elevata impedenza acustica del torace, come obesi e broncopneumopatici. Si ottiene con il paziente in decubito supino posizionando il trasduttore immediatamente al di sotto della linea sottocostale con la scanalatura di repere orientata verso il fianco sinistro del paziente e la testa del trasduttore inclinata lievemente in basso (Figura34). A volte, per ottenere unimmagine ottimale del cuore, necessario invitare il paziente a fare un respiro profondo e a trattenere laria. Da questa posizione si ottiene unimmagine simile a quella apicale, con le sezioni destre al di sotto del fegato, gli atri in basso e i ventricoli in alto ma, poich il fascio ultrasonoro maggiormente perpendicolare al setto interventricolare ed interatriale, tale approccio particolarmente utile per lo studio di queste strutture (Figura35). Ruotando il trasduttore in senso orario e inclinandolo verso lalto si visualizza laorta e i rapporti di essa con la mitrale ed il ventricolo sinistro. Unulteriore rotazione in senso orario ed inclinazione verso lalto, e si ottiene una sezione in asse corto simile a quella ottenibile in parasternale asse corto; angolando opportunamente la sonda si visualizzano il tratto di efflusso del ventricolo destro, larteria polmonare, la vena cava inferiore e le vene sovraepatiche. Da questo approccio pu essere, inoltre, studiata laorta addominale. SEZIONE SOPRASTERNALE Si ottiene ponendo il trasduttore nella fossetta soprasternale con la scanalatura di repere rivolta verso la testa del paziente o verso la regione sovraclaveare destra (Figura36). Si possono studiare : laorta ascendente, larco, lorigine dei tronchi brachiocefalici, laorta toracica discendente (Figura37) ed il ramo destro dellarteria polmonare visualizzato in asse corto al di sotto dell arco; ancora pi in basso c latrio sinistro. Ruotando il trasduttore in senso orario si visualizza laorta in asse corto, il ramo destro della polmonare immediatamente sotto, nel suo asse lungo, e ancora pi in basso latrio sinistro con le vene polmonari (Figura38,Figura39). Con una ulteriore rotazione in senso orario pu essere visualizzata la vene cava superiore a destra dell aorta. In sintesi, lEcocardiografia bidimensionale consente un approccio approfondito allanatomia e alla funzione del cuore, permettendo non solo di valutare lo spessore delle pareti cardiache e la loro cinetica, le dimensioni delle cavit, la struttura e il movimento delle valvole, ma anche di riconoscere masse intracardiache (trombi, vegetazioni, tumori), che non di rado sarebbero decorse sconosciute senza lindagine ultrasonica (ECO 39, ECO 41, ECO 42, ECO 43, ECO 45), come pure di rilevare un versamento pericardico (ECO 46, ECO 47). Nel campo delle Cardiopatie congenite, infine, lEcocardiografia bidimensionale, insieme allEcocardiografia Doppler, ha segnato un tale progresso nella diagnostica da mettere spesso in secondo piano il Cateterismo cardiaco e lAngiocardiografia, che avevano rappresentato per decenni il gold standard nello studio di queste malattie. ECOCARDIOGRAFIA DOPPLER Le misurazioni Doppler della velocit dei flussi ematici nel cuore e nei grossi vasi si basano sulleffetto Doppler, descritto dal fisico austriaco Christian Doppler nel 1942. Il principio Doppler afferma che quando un segnale sonoro (o luminoso) colpisce un oggetto in movimento, la frequenza del segnale si modifica in modo proporzionale alla velocit e alla direzione delloggetto in movimento. Quindi, quando un fascio ultrasonoro a frequenza nota viene inviato verso il cuore o i grossi vasi, riflesso dai globuli rossi. La frequenza degli ultrasuoni riflessi aumenta allavvicinarsi dei globuli rossi alla sorgente sonora e viceversa si riduce quando le emazie si allontanano. Il cambiamento di frequenza tra suono emesso e suono riflesso dipende dalla frequenza degli ultrasuoni emessi, dalla velocit del bersaglio e dallangolo tra direzione del fascio e direzione del movimento delle emazie. Se il fascio ultrasonoro parallelo alla direzione del flusso ematico si ottiene la massima velocit; se il fascio ultrasonoro perpendicolare alla direzione del flusso, non si misura alcuna velocit. La visualizzazione dello spettro Doppler ottenuta attraverso un analizzatore di velocit (Fast Fourier Trasform) con rappresentazione

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delle velocit dei flussi ematici sullasse delle Y e del tempo sullasse delle X. Tutti i flussi in avvicinamento al trasduttore vengono visualizzati in alto, quelli in allontanamento in basso (Figura40). Lo studio dei flussi pu essere effettuato mediante tre sistemi: -Doppler ad onda pulsata -Doppler ad onda continua -Color Doppler DOPPLER AD ONDA PULSATA Lo stesso cristallo piezoelettrico invia e riceve impulsi (Figura41). Linvio di un nuovo impulso possibile solo dopo lanalisi di quello precedentemente inviato. La frequenza di emissione degli ultrasuoni definita PRF (pulse repetition frequency). La massima variazione di frequenza (e dunque la massima velocit) determinabile con il Doppler ad onda pulsata la met del PRF ed chiamata limite di Nyquist. Lesaminatore ha la possibilit di definire il punto esatto dellanalisi Doppler. Tale punto viene chiamato volume campione. La PRF varia inversamente al volume campione: pi il volume campione vicino al trasduttore, pi elevate saranno la PRF ed il limite di Nyquist; in altri termini sar possibile registrare velocit pi alte. Quando la velocit dellonda riflessa maggiore di quella inviata (quando, cio, si supera il limite di Nyquist) si ottiene un fenomeno noto come aliasing: lo spettro Doppler si interrompe, e una parte di esso compare sul lato opposto della linea di base, cosicch sembra che il flusso sia contemporaneamente in avvicinamento ed in allontanamento (Figura42). Limpossibilit di analizzare alte velocit rappresenta dunque il principale limite del Doppler pulsato. IL DOPPLER PIULSATO NELLO STUDIO DELLA FUNZIONE DIASTOLICA VENTRICOLARE SINISTRA La valutazione dei diversi quadri velocimetrici del flusso transmitralico con il Doppler pulsato ha permesso di comprendere che in diverse forme di cardiopatia si realizza, accanto alla disfunzione sistolica o anche in assenza di questa, una disfunzione diastolica ventricolare sinistra. Il pattern flussimetrico normale (Figura43) caratterizzato da unonda E, espressione del riempimento rapido protodiastolico, e da unonda A che corrisponde al flusso transmitralico telediastolico legato alla sistole atriale. La velocit del flusso protodiastolico maggiore di quella telediastolica, per cui il rapporto E/A maggiore di 1. Negli stadi precoci di disfunzione, lalterato rilasciamento del ventricolo sinistro causa, in condizioni di riposo, una riduzione del riempimento diastolico precoce a parit di pressioni di riempimento. Questo effetto si traduce in un iniziale riduzione della velocit dellonda E, in un prolungamento del tempo di decelerazione dellonda E ed in un incremento della percentuale di riempimento ventricolare dovuto alla contrazione atriale; il rapporto E/A diviene, perci, minore di 1 (Figura44). Con il progredire della disfunzione diastolica, la pressione atriale sinistra aumenta, aumentando a sua volta il gradiente pressorio attraverso la valvola mitrale. A questa mutata situazione emodinamica si accompagna un graduale incremento della velocit dellonda E ed una ridotta durata delleffettivo rilasciamento ventricolare attivo: ne conseguono un accorciamento del tempo di decelerazione dellonda E ed un aumento del rapporto E/A. Negli stadi pi avanzati della disfunzione, gli ulteriori incrementi delle pressioni di riempimento, determinano pi alti rapporti E/A e ad ancor pi ridotti tempi di decelerazione dellonda E (Figura45). DOPPLER A ONDA CONTINUA Il trasduttore ha due cristalli: uno invia continuamente impulsi e laltro li riceve sempre (Figura46). Non esiste quindi il limite di Nyquist, e pu essere misurata qualsiasi velocit. Lanalisi viene effettuata sullintera linea del fascio ultrasonoro esplorante e non in un punto preciso come nel caso del Doppler pulsato COLOR DOPPLER Si basa sui principi del Doppler ad onda pulsata e misura le velocit in diversi punti per molteplici linee di scansione su tutto il settore dellimmagine, al fine di creare una rappresentazione dinamica e spazialmente corretta del sangue in movimento nel cuore e nei vasi. Usando speciali filtri, viene analizzata solo la velocit del flusso ematico, che poi viene trasformata, mediante il confronto con linee adiacenti, (autocorrelazione) in segnali colorati (Figura47). I flussi in avvicinamento al trasduttore vengono codificati in rosso, quelli in allontanamento in blu (Figura48, Figura49) e laliasing ha in genere un aspetto a mosaico di colore, caratterizzato dalla commistione di pixel con colore e tonalit diverse in rapporto alla velocit e alla turbolenza del flusso (ECO 02, ECO 08). LEcocardiogramma Color Doppler estremamente utile nellidentificare i rigurgiti valvolari (ECO 06, ECO 08, ECO 18, ECO 24, ECO 35) o gli shunt intracardiaci (ECO 30, ECO 50), cos come per evidenziare il flusso turbolento attraverso valvole stenotiche (ECO 02,ECO 14) IL CALCOLO DEI GRADIENTI Una delle applicazioni pi importanti dellecografia Doppler rappresentata dal calcolo dei gradienti pressori attraverso lequazione di Bernoulli. Questultima afferma che il gradiente di pressione attraverso una stenosi dovuto alla perdita di energia causata da tre fenomeni: accelerazione del flusso che attraversa lorifizio (accelerazione convettiva), intervento delle forze inerziali (accelerazione di flusso), e resistenza al flusso allinterfaccia tra sangue ed orifizio (attrito viscoso). Pertanto il gradiente pressorio a livello di qualunque orifizio pu essere calcolato come somma di queste tre variabili (Figura50). Nella maggior parte dei casi possibile trascurare laccelerazione di flusso e lattrito viscoso, per cui il gradiente pressorio pu essere calcolato conoscendo la velocit del sangue prossimalmente allorifizio attraverso la formula: gradiente = 4 x (velocit prossimale )2- (velocit di picco)2.

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Se la velocit del sangue prossimalmente alla stenosi ridotta (<1m/s) anche questa componente pu essere ignorata, per cui a formula diventa: gradiente: 4 x velocit di picco2. Tale metodo viene utilizzato per il calcolo dei gradienti in caso di stenosi mitralica, aortica (ECO 16, ECO 17) o polmonare. Pu essere applicato, se c insufficienza tricuspidale, per il calcolo della pressione sistolica in arteria polmonare. La velocit del flusso di rigurgito tricuspidalico permette di calcolare il gradiente fra ventricolo e atrio destro (Figura51); se a questo si aggiunge la pressione telediastolica in ventricolo destro, che corrisponde alla pressione atriale destra, si ottiene la pressione arteriosa polmonare. La pressione in atrio destro viene stimata indirettamente in base alle dimensioni della vena cava e al suo grado di collassabilit con linspirazione. La formula per il calcolo della pressione in arteria polmonare : PAPS: 4 x (velocit del rigurgito attraverso la tricuspide)2+ pressione in atrio destro Tale calcolo, tuttavia, non possibile se presente un ostacolo allefflusso ventricolare destro, come in presenza di stenosi valvolare polmonare. ECOCARDIOGRAFIA TRANSESOFAGEA Lecocardiografia transesofagea studia il cuore attraverso lesofago. Il trasduttore posto alla punta di una sonda flessibile che, introdotta attraverso lorofaringe raggiunge la parte medio-distale dellesofago dove entra in diretto contratto con le strutture cardiache, permettendone uno studio pi completo ed accurato (Figura52, ECO 09, ECO 22, ECO 23, ECO 40, ECO 44, ECO 49). Non necessita di anestesia ma solo di una blanda sedazione. Questa tecnica particolarmente utile in caso di:

Studio delle valvole native e delle valvole protesiche Sospetta endocardite Cardiopatie congenite Difetti interatriali Ricerca di fonti emboligene di natura cardica

NUOVE TECNOLOGIE Negli ultimi anni lecocardiografia si arricchita di tecniche in grado di effettuare una valutazione quantitativa della funzione miocardia e di studiare fenomeni che si sviluppano anche allinterno del miocardio. Una delle nuove tecniche il Doppler Tissutale (Figura53), che studia le velocit intramiocardiche. Tuttavia, esso influenzato dal movimento cardiaco globale, dalla rotazione cardiaca e dal trascinamento di segmenti adiacenti. Da qui lo sviluppo di metodiche (Figura54) in grado di studiare la deformazione miocardica regionale: lo Strain (quantit totale di deformazione,Figura55), lo Strain rate (la velocit con cui la deformazione avviene) e lo Strain 2D (che non una metodica Doppler dipendente e dunque angolo-indipendente) Altre metodiche sono il Backscatter Integrato (che analizza le variazioni della reflettivit miocardica in decibel ) e l Ecocontrastografia Miocardica (Figura56), che studia la cinetica delle microbolle del contrasto ultrasonico a livello intramiocardico. La pi recente metodica ecocardiografica introdotta in Clinica lecocardiografia tridimensionale (Eco 3D) (Figura57,ECO 10, ECO 11) Leco 3D supera gli attuali limiti dellecocardiografia bidimensionale, permettendo unanalisi accurata e riproducibile della morfologia e della funzione delle strutture cardiache. I pricipali campi applicativi dellEco 3D sono: patologie valvolari, cardiopatie congenite, endocardite infettiva, masse cardiache, cardiomiopatie.

Capitolo 6 METODICHE NUCLEARI Pasquale Perrone Filardi, Massimo Chiariello


DEFINIZIONE Le metodiche nucleari impiegate nella diagnostica cardiologica si basano sulla somministrazione endovenosa di traccianti che emettono particelle radioattive (fotoni e positroni). Il tracciante raggiunge il cuore e penetra nelle cellule miocardiche; intanto una gamma camera misura la radioattivit cardiaca e un computer provvede a costruire immagini che rispecchiano la concentrazione dellisotopo nelle diverse aree miocardiche. E cos possibile, utilizzando determinate tecniche, esplorare sia la perfusione che la funzione miocardica. Le metodiche

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attualmente in uso sono la tomografia ad emissione di fotone singolo (SPECT) e la tomografia ad emissione di positroni (PET). TOMOGRAFIA AD EMISSIONE DI FOTONE SINGOLO (SPECT) La miocardioscintigrafia una tecnica che ha per obiettivo la valutazione semiquantitativa dalla perfusione miocardica attraverso lanalisi di immagini tomografiche che riportano la distribuzione di un tracciante di perfusione miocardica. In aggiunta, grazie allimpiego degli attuali traccianti tecneziati, possibile anche la valutazione della funzione contrattile regionale e globale, basata sulla acquisizione di immagini sincronizzate (gated) sullelettrocardiogramma, in maniera da consentire una ricostruzione affidabile del ciclo cardiaco. La SPECT un esame di valutazione di perfusione e funzione sistolica regionale e globale del ventricolo sinistro, che consente una visualizzazione del ventricolo sinistro in movimento in varie proiezioni, in maniera da esplorare tutte le pareti miocardiche (Figura 1). I traccianti radionucleari di uso corrente Tallio. Il tallio stato il primo tracciante ad essere impiegato nelluomo per la valutazione della perfusione miocardica. Si tratta di un tracciante a bassa energia, che viene avidamente estratto dal miocardio in maniera proporzionale al flusso regionale. Iniettando il tallio allacme di uno sforzo, esso viene captato dalla varie regioni miocardiche, e si accumula pi nelle zone irrorate da coronarie normali che nei territori dipendenti da coronarie stenotiche. Successivamente, il tallio ritorna dalle cellule nel torrente ematico e pu quindi penetrare nelle regioni in cui il flusso era ridotto allacme dello sforzo. Questo processo, determinato dalla libera circolazione del tracciante in relazione al flusso, rappresenta il fondamento del fenomeno della redistribuzione che peculiare di questo tracciante, e consente ai territori miocardici dipendenti da vasi stenotici che abbiano ricevuto una minore quantit di tracciante nella fase di inadeguato aumento del flusso in risposta allo stress di colmare questo deficit una volta terminata la fase di aumentata richiesta di flusso, o anche in condizioni di riposo quando, anche in presenza di lesioni coronariche severe (fino all80%), il flusso coronarico normale. Il fenomeno della redistribuzione si appalesa con la reversibilita distanza dallo sforzo (generalmente dopo 3-4 ore) di un iniziale difetto di perfusione presente durante lesercizio, che consente di diagnosticare una stenosi coronarica significativa. La mancata scomparsa di un iniziale difetto di perfusione nelle immagini a distanza, invece, espressione di tessuto miocardio necrotico, nel quale il flusso praticamente assente in ogni momento. Limpiego del tallio prevede dunque ununica somministrazione di tracciante per ogni esame scintigrafico. Traccianti marcati con 99Tecnezio. I due traccianti attualmente impiegati marcati con 99Tc,ovvero il sestamibi e la tetrafosmina hanno in Italia largamente sostituito il tallio. Rispetto a questultimo possiedono una maggiore energia, che consente una migliore visualizzazione delle immagini con minore attenuazione, ed una minore esposizione radioattiva (circa la met rispetto al tallio). Ma la differenza principale consiste nella cinetica di questi traccianti che, dopo essere stati iniettati in circolo, vengono captati passivamente dalle cellule miocardiche in proporzione lineare al flusso ed intrappolati in maniera pressoch irreversibile dai mitocondri. Rispetto al tallio, dunque, i traccianti tecneziati non circolano liberamente tra esterno ed interno della membrana cellulare e non subiscono il fenomeno della redistribuzione. Al contrario, essi rappresentano nelle immagini lo stato della perfusione miocardica al momento dellainiezione. La comparazione tra immagini a riposo e immagini al momento dello sforzo, quindi, potr avvenire solo con due distinte somministrazioni di tracciante, preferibilmente effettuate in giorni diversi (Figura 2). Il valore clinico della miocardioscintigrafia Diagnosi di cardiopatia ischemica. Come per tutte le metodiche diagnostiche, laccuratezza della miocardioscintigrafia influenzata da una serie di variabili che la rendono differente da soggetto a soggetto e che solo in parte dipendono dalla tecnica. In generale, laccuratezza predittiva fortemente influenzata, secondo il teorema di Bayes, dalla prevalenza della malattia nella popolazione studiata, ovvero dalla probabilit pre-test di malattia nel soggetto da studiare. Il secondo rilevante fattore di influenza sulla accuratezza legato alla possibilit di artefatti tecnici, ovvero di apparenti deficit di perfusione in alcune regioni miocardiche. Tali deficit apparenti possono essere dovuti a difetti da attenuazione dei fotoni lungo il passaggio dal cuore alla gamma camera attraverso i tessuti del corpo. Questo giustifica la presenza di falsi positivi in alcuni territori come la parete inferiore nelluomo, per effetto della interposizione del diaframma, e la parete anterolaterale nella donna per linterposizione del tessuto mammario, cos come la presenza di falsi positivi in soggetti obesi di entrambi i sessi. Stratificazione prognostica. La miocardioscintigrafia rappresenta attualmente la tecnica pi largamente convalidata nella stratificazione prognostica di pazienti affetti da cardiopatia ischemica nota o sospetta, per la predittivit a breve-medio termine (generalmente 1-2 anni) di eventi cardiaci quali morte e infarto del miocardio. La negativit del test associata a una percentuale di eventi cardiaci maggiori estremamente bassa, sovrapponibile a quella della popolazione generale (<1% allanno). TOMOGRAFIA AD EMISSIONE DI POSITRONI (PET) La PET consente una valutazione del flusso e del metabolismo regionale del glucosio e degli acidi grassi, nonch del consumo di ossigeno, e rappresenta una metodica estremamente sofisticata e di grande ausilio per la ricerca in vivo. A differenza della SPECT, basata sulla emissione di particelle ad elevata energia, i positroni (511 kEv), e le immagini provenienti dai tessuti del corpo (immagini di emissione) vengono sempre corrette attraverso la acquisizione di una seconda scansione (immagini di trasmissione) ottenuta senza somministrazione di tracciante al paziente, per il grado di attenuazione che le particelle radioattive subiscono nellattraversamento delle strutture

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corporee. Per la complessit di gestione e gli elevati costi la PET ha tuttora un uso clinico limitato pressoch esclusivamente nei pazienti con cardiopatia ischemica e dilatazione ventricolare per la ricerca di aree di tessuto miocardio disfunzionante ma vitale. In tali pazienti, la presenza di attivit metabolica residua in un territorio disfunzionante, valutata comparando la captazione di un analogo del glucosio (18F-fluorodesossiglucosio) in proporzione al flusso (valutato con Rubidio82 o NH3), predittiva di recupero funzionale dopo rivascolarizzazione (Figura 3). Limiti delle metodiche nucleari Il principale, e spesso trascurato, limite di queste tecniche rappresentato dalla necessit di esposizione a particelle ionizzanti per il paziente. Sebbene limpiego di traccianti tecneziati abbia fortemente ridotto la dosimetria rispetto al tallio, bene ricordare che una SPECT con traccianti marcati con tecnezio99 corrisponde, in termini di radiazioni assorbite, ad alcune centinaia (da 300 a 500) di radiografie standard del torace. Questo aspetto, ed il rischio stocastico tra esposizione radioattiva e insorgenza di neoplasie devono dunque sempre essere considerati nella scelta diagnostica di indagini radionucleari.

Capitolo 7 RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE Sabino Iliceto, Martina Marra Perazzolo, Luisa Cacciavillani
INTRODUZIONE (VANTAGGI, POTENZIALIT, CONTROINDICAZIONI) La Risonanza Magnetica Cardiaca (RMC) rappresenta una metodica di imaging avanzato che per le sue peculiari caratteristiche sta trovando sempre pi spazio nella pratica clinica quotidiana, a completamento di altre indagini ormai codificate ed applicate. Pur nascendo come indagine di secondo livello le sue pi recenti applicazioni, in particolare nello studio della cardiopatia ischemica cronica e nelle cardiomiopatie, ne stanno facendo emergere lutilit di impiego anche in prima battuta, trattandosi di una metodica di integrazione tra informazioni funzionali e di caratterizzazione tissutale. I vantaggi dellimpiego della RMC risiedono essenzialmente nella sua non invasivit. Il basso impatto biologico di questa metodica risiede nel fatto che il principio fisico su cui si basa non coinvolge gli elettroni, notoriamente coinvolti nei processi radianti e responsabili delle alterazioni del DNA. In RMC infatti linterazione richiesta per la formazione delle immagini risiede a livello del nucleo atomico, in particolare nei nuclei di idrogeno. Un secondo vantaggio della RMC risulta dalla presenza di un elevato contrasto naturale tra il circolo sanguigno e le strutture cardiovascolari, con conseguente ottima definizione dellendocardio. Da non dimenticare infine la multiplanarit di questa metodica, ovvero la possibilit di rappresentare le strutture anatomiche secondo qualsiasi piano, non solo in quello assiale come per la TAC. Come conseguenza di quanto esposto, la RMC offre unottima risoluzione spaziale dei piani esplorati, il che rappresenta il presupposto perch la RMC si proponga come goldstandard per una corretta definizione dei volumi, massa e funzione miocardica senza necessit di assunzioni geometriche. Ancor pi affascinanti e di interesse nella pratica clinica risultano le potenzialit della RMC dopo somministrazione di mezzo di contrasto: infatti lanalisi della cinetica di distribuzione del gadolinio nel miocardio consente di ottenere una caratterizzazione tissutale che eleva questa metodica di imaging ad una sorta di anatomia patologica in vivo.Accanto a tali aspetti vanno annoverati quelli che, invece, controindicano lesame ed essenzialmente risiedono nelle caratteristiche del paziente: severa claustrofobia (in Letteratura viene riportata unincidenza pari al 2%), portatori di pacemaker, defibrillatori, clip per aneurismi (in particolare cerebrali). Relativa risulta la controindicazione che riguarda le alterazioni del ritmo cardiaco (per esempio, fibrillazione atriale o bradicardia severa) che rendono difficile lesecuzione tecnica dellesame e di scarsa qualit le immagini ottenute. Non esistono al momento attuale delle linee guida precise sullapplicazione della RMC: la Tabella I riporta le indicazioni pi validate. Un protocollo di studio standard con risonanza magnetica cardiaca con mezzo di contrasto prevede generalmente i seguenti step:

immagini preliminari per localizzare la posizione del cuore e dei grandi vasi allinterno del torace; immagini in movimento per la valutazione della funzione cardiaca, secondo gli assi ortogonali del cuore

(Figura 1, Figura 2);

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immagini per la caratterizzazione tissutale prima della somministrazione di mezzo di contrasto (edema

miocardico nellarea a rischio di un infarto miocardico (Figura 3); valutazione dellinfiltrazione adiposa nella cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro (Figura 4)

immagini dopo somministrazione di mezzo di contrasto : in questo caso dopo circa 10 minuti dallinfusione

endovenosa del mezzo di contrasto le zone fibrotiche o necrotiche appaiono iperintense (>500% rispetto al segnale basale), (zona bianca, late enhancement), consentendo una netta distinzione rispetto al miocardio normale (nero) (Figura 5) MEZZO DI CONTRASTO: IL GADOLINO I mezzi di contrasto utilizzati in risonanza magnetica vengono definiti indiretti in quanto agiscono alterando lo stato di magnetizzazione dei protoni circostanti. Generalmente si utilizza il gadolinio che, in quanto altamente tossico viene chelato con una molecola molto tenace, costituendo un prodotto a bassa tossicit. Il gadolinio un mezzo di contrasto paramagnetico inerte che si localizza preferenzialmente a livello della matrice extracellulare e non nelle cellule intatte con membrana cellulare integra. Infatti i miociti normocontrattili risultano disposti in modo da ridurre al minimo la densit con scarsa sostanza intercellulare fibrotica: pertanto il miocardio normale , cos come quello danneggiato da insulti ischemici, ma ancora vitale non mostra depositi di gadolinio ed appare nero. RUOLO DELLA RISONANZA MAGNETICA CARDIACA NELLA CARDIOPATIA ISCHEMICA Nellambito dellinfarto miocardico il gadolinio si deposita nel miocardio secondo due meccanismi: in entrambi i casi il risultato unarea di hyperenhancement tardivo, cio visibile come tale dopo 10-15 minuti dalliniezione del mezzo paramagnetico (Figura 6) In fase acuta la perdita dellintegrit di membrana dovuta alla miocitolisi associata alledema della reazione infiammatoria acuta permette al gadolinio di diffondere passivamente attraverso le membrane cellulari danneggiate, invadendo quello che prima era spazio intracellulare ed aumentando cos la sua concentrazione tissutale. Nella fase post-acuta si assiste alla formazione della cicatrice post-infartuale povera di miociti, ricca di fibre collagene e matrice extracellulare: il gadolinio quindi si accumula a questo livello trovando nellaumento del terzo spazio il suo naturale tropismo. Per quanto concerne la tossicit dei mezzi di contrasto utilizzati in risonanza, essa legata per la maggior parte a fenomeni allergici; essendo ad eliminazione prevalentemente renale, cautela va adoperata nei pazienti con clearance < 30 ml/min. Infarto in fase acutaNella fase acuta di un infarto miocardico la RMC permette di identificare lestensione dellarea a rischio grazie alla valutazione delledema miocardico (Figura 3). La maggiore applicazione tuttavia risiede nellanalisi delle immagini dopo somministrazione di mezzo di contrasto: infatti grazie allimpiego del gadolinio possibile una netta demarcazione spaziale tra area di necrosi e miocardio vitale. La RMC permette di identificare i diversi gradi di transmuralit della necrosi permettendo di distinguere infarti transmurali (late enhancement >75% dello spessore ventricolare) (Figura 5) da quelli subendocardici (late enhancement <75% dello spessore ventricolare) (Figura 7). Il segnale iperintenso del mezzo di contrasto permane evidente a distanza di mesi dallevento acuto, anche nel caso di piccoli infarti subendocardici. La RMC con mezzo di contrasto (late enhancement) si dimostrata molto sensibile soprattutto nellidentificare piccoli infarti sub-endocardici, quando la perfusione valutata con la SPECT risulta invece normale (Figura 8). La RMC permette di identificare con ottima risoluzione spaziale non solo la sede e lestensione dellinfarto, mediante lanalisi dell hyperenhancement, ma anche di individuare alterazioni del microcircolo nella zona sede di necrosi. In RMC le alterazioni microcircolatorie nellarea di necrosi sono definite come una zona di hypoenhancement allinterno delle aree di necrosi gi definite come late hyperenhancement. Le alterazioni del segnale da disfunzione microcircolatoria sono gi visibili al primo passaggio del gadolinio nel miocardio alterato (first-pass , Figura 9). In alcuni casi inoltre, dopo 10-15 minuti, le alterazioni del microcircolo osservate in fase precoce persistono in fase tardiva: queste appaiono come zone scure (hypoenhnacement tardivo, dark zones) nel contesto di aree di necrosi transmurale (Figura 9). Quest ultimo reperto corrisponderebbe, secondo diversi studi sperimentali, ad unarea di severa ostruzione microcircolatoria ed in alcuni casi anche ad emorragia. In alcuni studi questi reperti di RMC avrebbero un impatto negativo sulla prognosi. Infarto in fase subacuta o cronicaLa valutazione dellestensione del danno miocardico strettamente correlata con la diagnosi di vitalit, intesa come presenza di tessuto miocardico con disfunzione contrattile, in grado di recuperare spontaneamente o dopo rivascolarizzazione. Il miocardio disfunzionante ma vitale distinto in miocardioibernato (stato di persistente deficit funzionale da ridotto flusso coronarico, che pu essere in parte o del tutto risolto migliorando il flusso coronarico) e miocardio stordito (prolungata disfunzione post-ischemica di tessuto vitale dopo riperfusione, a risoluzione spontanea). La presenza di tessuto miocardico vitale in un soggetto con disfunzione ventricolare regionale e globale di grande importanza clinica, in quanto permette di identificare i pazienti che maggiormente beneficeranno di un trattamento di rivascolarizzazione. Studi con RMC hanno dimostrato come lestensione dell hyperenhancement sia in grado di predire, in pazienti con infarto acuto, il

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recupero della funzione contrattile ventricolare regionale dopo rivascolarizzazione percutanea o chirurgica, identificando come limite per un recupero soddisfacente della funzione ventricolare un valore di transmuralit compreso tra il 25% e il 50%. LA RISONANZA MAGNETICA CARDIACA NELLE CARDIOMIOPATIE Cardiomiopatia dilatativa (distinzione dalla Cardiopatia ischemica)Nellambito della cardiomiopatia dilatativa la risonanza magnetica, accanto alle informazioni funzionali, analoghe a quelle dellecocardiografia, apporta come valore aggiunto la caratterizzazione tissutale, resa possibile dallimpiego dei mezzi di contrasto. In particolare permette di distinguere le forme primitive, in cui il late enhancement assente o comunque con distribuzione di tipo non ischemico (intramurale Figura 10) da quelle post-ischemiche (aree di necrosi subendocardiche o transmurali). Inoltre alcuni pazienti con dilatazione ventricolare non di origine ischemica possibile rilevare late enhancement di tipo diffuso (patchy) o epicardico, indicativo di probabile pregressa miocardite Cardiomiopatia ipertrofica Nella cardiomiopatia ipertrofica la RMC permette una precisa definizione della sede e del grado di ipertrofia, anche in forme con localizzazione difficilmente espolarabile allecocardiogramma transtoracico (ad esempio allapice del ventricolo sinistro). Interessante anche da un punto di vista prognostico risulta lanalisi del late enhancement, localizzato preferenzialmente a livello del setto nelle zone di maggior ipertrofia, la cui entit sembra correlare con il rischio aritmico nel follow-up (Figura 11). Cardiomiopatia/Displasia aritmogena del ventricolo destro Poich questa patologia si caratterizza per delle alterazioni soprattutto a livello del ventricolo destro, camera difficilmente esplorabile allecocardiogramma transtoracico, la RMC si propone come gold standard per la valutazione delle sezioni destre del cuore. In particolare, secondo quanto indicato nei Criteri Diagnostici di McKenna, possibile unanalisi della dilatazione e della disfunzione del ventricolo destro, valutando le anomalie della cinetica regionale (Figura 12). Si pu, inoltre, eseguire uno studio per la presenza di infiltrazione adiposa: il tessuto adiposo mostra unalta intesit di segnale, che contrasta con il tessuto miocardico ipointenso (Figura 4). Infine negli ultimi anni nel valutare i pazienti con sospetta cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro si valorizzato il ruolo del gadolinio che si dimostrato in grado di evidenziare segni di late enhancement spesso presente in questa patologia, sia a livello del ventricolo destro che sinistro (Figura 13). ALTRE APPLICAZIONE DELLA RISONANZA MAGNETICA CARDIACA MiocarditiLa RMC trova una importante applicazione nelle miocarditi soprattutto nella diagnosi iniziale. La RMC, grazie alla elevata risoluzione spaziale ed allimpiego del gadolinio rende possibile identificare specifici pattern di late enhancement a distribuzione ora epicardica (soprattutto nei casi di miopericardite), ora focale a spot diffusi (Figura 14).Masse miocardicheLe potenzialit della RMC nello studio delle masse miocardiche trova la sua naturale applicazione nella valutazione della loro morfologia, dimensioni, localizzazione, estensione e rapporti topografici con le strutture viciniori (Figura 15). Accanto a ci va aggiunta la capacit di caratterizzazione tissutale, utile nel caso di formazioni lipomatose. Ulteriori informazioni si possono ottenere dalla somministrazione del mezzo di contrasto che si raccoglier maggiormente e pi velocemente nelle formazioni a pi elevata vascolarizzazione.

Capitolo 9 TEST CARDIOPOLMONARE Marco Guazzi


DEFINIZIONE Il test da sforzo cardiopolmonare permette di misurare in modo preciso la capacit di un soggetto a compiere esercizio fisico. La metodica trova ampia applicazione in campo fisiologico, medico e sportivo, oltre che nella valutazione di molteplici stati morbosi che interessano apparato cardiocircolatorio e polmonare. Per il cardiologo, lindicazione principale del test lo studio e la cura dellinsufficienza cardiaca. Il test cardiopolmonare volto a determinare la risposta antomo-funzionale di polmone, cuore e muscolo da cui dipendono rispettivamente lo scambio, il trasporto e lutilizzazione dellossigeno (O2). Proprio la misura del consumo di O2, la produzione di anidride carbonica (VCO2), la risposta ventilatoria e i suoi determinanti, costituiscono le variabilicentrali su cui il test si articola e da cui si elabora una serie di variabili derivate. A completamento della prova utile registrare una serie di variabili aggiuntive ed, in particolare, effettuare il monitoraggio continuativo dellelettrocardiogramma e dei parametri emodinamici ed emogasanalitici (Tabella I). Linterpretazione del test avviene mediante analisi integrata delle variabili registrate, seguendo landamento dei principali parametri, riportati in 9 grafici principali (Figura 1). Linterpretazione sistematica dei dati permette di determinare il grado di limitazione funzionale e, soprattutto, di identificare lorgano o i sistemi coinvolti nella ridotta capacit funzionale.

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METODOLOGIA Indipendentemente dal tipo di esercizio e dal protocollo utilizzato, il soggetto in esame deve essere collegato mediante maschera facciale o boccaglio e stringinaso ad un tubo valvolato, dotato di valvola non-rebreathing, tale, cio, da permettere che laria espirata non si disperda nellambiente ma venga diretta allapparecchio analizzatore. Lacquisizione e lanalisi dei dati si basa sul sistema breath-by-breath o atto per atto respiratorio. La pressione tele-espiratoria dei gas espirati (PETO2 e PETCO2) e il volume corrente respiratorio vengono registrati in continuo, e agli analizzatori di O2 e CO2 perviene una quota variabile di aria espirata ad una frequenza costante tra i 200 e i 500 ml/min. Ulteriori aspetti metodologici riguardano il tipo di esercizio, lincremento del carico lavorativo e la familiarizzazione con la metodica. I due tipi di esercizio comunemente impiegati (tappeto rotante e cicloergometro) coinvolgono un numero differente di unit muscolari: la diversa spesa energetica che ne consegue (circa il 10% in pi per il tappeto allapice dello sforzo) giustifica, insieme alla mancanza di una precisa standardizzazione dei protocolli, la discordanza tra test eseguiti in laboratori differenti. Lesercizio pi fisiologico si ottiene incrementando gradualmente il carico di lavoro (rampa) cos che lo sforzo massimale abbia una durata complessiva tra i 10 e i 12 minuti. Si rende, pertanto, necessario personalizzare preliminarmente il carico lavorativo in base a una valutazione indiretta che tenga conto della condizione fisica e dellabilit a compiere sforzo. APPLICAZIONE NEL PAZIENTE CON INSUFFICIENZA CARDIACA Lintolleranza allesercizio costituisce una caratteristica peculiare del malato con insufficienza cardiaca, che spesso presenta sintomi quali dispnea e fatica muscolare. Pur essendo ovvio che il grado di compromissione funzionale e sintomatologico tende a crescere con il progredire dello scompenso, la limitazione funzionale e linsorgenza di sintomi si manifestano fin dagli stadi iniziali, e costituiscono il campanello di allarme in quei casi in cui, pur in assenza di sintomatolgia rilevante, gi presente disfunzione ventricolare sinistra e attivazione neuroormonale. In questo contesto, il test da sforzo cardiopolmonare offre un ampio bagaglio di informazioni per la stadiazione e il follow-up clinico-prognostico del malato con insufficienza cardiaca. Il malato cardiaco non sempre e non solo riconosce nel ridotto incremento della gittata cardiaca, per difetto cronotropo o contrattile, la causa di limitazione funzionale: sempre pi evidente che alterazioni specifiche del controllo ventilatorio, modificazioni funzionali e strutturali del muscolo scheletrico, oltre che la presenza di anemia, cui consegue alterato trasporto e rilascio di O2 ai muscoli, giochino un ruolo di primordine. Il massimo consumo di O2 ottenibile allapice di uno sforzo massimale (VO2 max) il parametro di riferimento pi immediato per riconoscere se esista o meno limitazione funzionale e se la risposta dinamica ottenuta raggiunga quella predetta. Per il malato cardiaco, tuttavia, il VO2 max rimane un valore teorico, e al suo posto si considera il VO2 massimale (VO2 di picco), che corrisponde al consumo di O2 pi elevato ottenuto allapice dello sforzo. Il VO2 di picco (Figura 1, grafico 3) si esprime generalmente come consumo di O2 al minuto rapportato al peso corporeo, ed stato proposto con successo quale elemento di classificazione dello scompenso cardiaco. Il valore di VO2 di 20 ml/min/kg il limite al di sopra del quale inizia il range di normalit (Classe A), mentre il valore di 10 ml/min/kg (classe D) quello al di sotto del quale la compromissione tale che una prova ergodinamica non proponibile; tra questi due valori si inseriscono le classi B (VO2 di picco tra i 15 e i 20 ml/min/kg) e C (VO2 di picco tra i 10 e i 15 ml/min/kg). Studi pionieristici degli anni 90 e successive dimostrazioni su ampi numeri hanno permesso di identificare un valore di VO2 di picco di 10 ml/min/kg quale cutoff di riferimento per inserire il paziente in lista attiva per trapianto di cuore. Occorre, tuttavia, che il soggetto abbia raggiunto e superato il punto di soglia anaerobia in cui inizia la produzione di acido lattico e intervengono i meccanismi di compenso, isocapnico prima e ventilatorio successivamente. In questo contesto, oltre al VO2 di picco stata recentemente dimostrata lutilit di un altro importante parametro ottenuto con la registrazione dei gas espirati, cio la pendenza della relazione ventilazione (VE) versus VCO2 (Figura 1, grafico 4). Il comportamento peculiare di questi malati che, per una data produzione di CO2, lentit della risposta ventilatoria da sforzo risulta eccessiva: il grado di inefficienza ventilatoria predittivo di morbidit e mortalit. Lincremento della pendenza della relazione VE/VCO2 documentabile anche nei quadri iniziali di insufficienza cardiaca, e il suo potere predittivo esteso anche ai pazienti con preservata funzione contrattile ma alterate propriet di rilasciamento diastolico. Nuove prospettive emerse propongono la necessit di utilizzare questa variabile per meglio stratificare, rispetto al VO2 di picco, la compromissione clinica e i benefici della terapia nel paziente scompensato.

Capitolo 10 TECNICHE DI VALUTAZIONE DEL SISTEMA NERVOSO NEUROVEGETATIVO Federico Lombardi


DEFINIZIONE Il sistema neurovegetativo definito come la parte del sistema nervoso responsabile dellinnervazione viscerale, ed caratterizzato da una localizzazione periferica dei gangli da cui originano le fibre nervose efferenti dirette ai vari organi. Il sistema comprende neuroni postgangliari, gangli, neuroni pregangliari e fibre nervose afferenti viscerali che possono essere riuniti in tre gruppi principali: craniali, toracolombari e sacrali. Tale sistema viene

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anche definito col termine Sistema Nervoso Autonomo e include due principali sistemi di controllo: il Sistema Simpatico e Parasimpatico. Negli organi con doppia innervazione (ad esempio, il cuore), i sistemi sono generalmente antagonisti; negli organi con sola innervazione simpatica, invece, lo stesso sistema provvede ad entrambe le funzioni: nel caso dei vasi arteriosi, per esempio, il simpatico induce sia la vasodilatazione che la vasocostrizione. La funzione di controllo viene svolta attraverso due principali modalit di scarica delle fibre nervose efferenti: 1) unattivit tonica responsabile del controllo e della stabilit (omeostasi) di parametri come, ad esempio, la frequenza cardiaca o la pressione arteriosa sistolica, e 2) unattivit fasica in grado di modificare rapidamente tali parametri in seguito a stimoli interni (ad es. ischemia miocardica, dolore) o esterni (ad es. stress, emozioni). E presente, inoltre, una continua interazione con altri sistemi di controllo come, ad esempio, il Sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone. Il controllo nervoso della frequenza cardiaca un tipico esempio dellantagonismo e della complessa e continua interazione tra i trasmettitori nervosi delle fibre postganglionari simpatiche (noradrenalina) e vagali (acetilcolina) e le caratteristiche di risposta delle cellule pacemaker. Tale caratteristica alla base di due delle pi importanti metodiche di studio del sistema nervoso autonomo: lanalisi della variabilit della frequenza cardiaca e lo studio della sensibilit barocettiva. Il sistema nervoso autonomo opera prevalentemente attraverso segnali che possono modificare il flusso di Calcio e di altri ioni. I recettori adrenergici e colinergici, che appartengono al sistema di recettori accoppiati alle proteine G, sono in grado di avviare un processo di trasduzione che inizia con il legame dellagonista al sito recettoriale e culmina nellattivazione, attraverso la fosforilazione di proteine intracellulari. A livello cardiaco, i recettori betaadrenergici sono prevalentemente del sottotipo beta1, mentre il sottotipo beta2, che prevale a livello extracardiaco, costituisce solo il 20% dei beta recettori cardiaci. I recettori alfa-adrenergici utilizzano un differente sistema di trasduzione ed hanno un ruolo determinante nel regolare il flusso di calcio nella muscolatura vascolare liscia. LA FREQUENZA CARDIACA Pu sembrare sorprendente che la misura della frequenza cardiaca possa fornire valide e importanti informazioni prognostiche sia nella popolazione sana sia in differenti condizioni cliniche. La frequenza cardiaca istantanea , con ogni probabilit, il pi semplice indicatore dellequilibrio autonomico e quindi pu fornire importanti informazioni sullinterazione simpato-vagale e sulla capacit di risposta del nodo del seno alla modulazione autonomica. Una frequenza cardiaca elevata un importante fattore prognostico negativo sia nella popolazione generale sia in pazienti con differenti patologie cardiovascolari. Anche se verosimile che i meccanismi che possono determinare un aumento della frequenza cardiaca a riposo non possano essere ricondotti al solo sistema neurovegetativo, questultimo ne rimane il principale determinante. Informazioni sul controllo autonomico possono essere anche ricavate dallanalisi delle variazioni di frequenza cardiaca indotte sia nelle prime fasi di un esercizio fisico sia nel recupero. Un eccessivo aumento della frequenza cardiaca nei primi minuti di esercizio e una scarsa riduzione nelle prime fasi di recupero sono state interpretate come segni di un alterato equilibrio simpatovagale ed associate ad un aumento di mortalit in pazienti con cardiopatia ischemica e insufficienza cardiaca. LANALISI DELLA VARIABILIT DELLA FREQUENZA CARDIACA Questa metodica si basa sul fatto che anche in condizioni di riposo la frequenza cardiaca istantanea ha una variabilit battito-battito che pu essere facilmente messa in evidenza se si analizza una serie temporale di intervalli RR (tacogramma). La misura di queste oscillazioni pu essere fatta con semplici metodi statistici, come il calcolo della media o della deviazione standard, o con metodiche spettrali che permettono di identificare e misurare lampiezza delle principali componenti oscillatorie. Nellanalisi del breve periodo (5-30 minuti) lanalisi spettrale (Figura 1) mostra due principali componenti oscillatorie a bassa (LF) e ad alta frequenza (HF) che riflettono rispettivamente la modulazione simpatica e parasimpatica del nodo del seno. Il rapporto LF/HF comunemente utilizzato come indice dellinterazione simpato-vagale, e nel soggetto sano ha un valore inferiore a 2. Unattivazione simpatica come quella indotta dallortostatismo passivo si associa ad un aumento della componente LF e ad una riduzione della componente HF. Un aumento della variabilit dei cicli cardiaci legato allattivit respiratoria si associa ad un aumento della componente HF. Lanalisi di lunghi periodi, come quelli rilevabili nelle registrazioni Holter, caratterizzata da numerose macro-oscillazioni, che possono essere determinate dalla sequenza sonno veglia, dal livello di attivit fisica e da altri fattori neuro-umorali. In questo caso lanalisi spettrale indica che meno del 10% della potenza totale ascrivibile alle componenti LF e HF, mentre predominano le componenti a pi basse frequenze che riflettono i fenomeni sopraindicati. Nella pratica clinica la disponibilit di uno strumento in grado di misurare linterazione simpato-vagale ha trovato numerose applicazioni, soprattutto nella cardiopatia ischemica, nellipertensione arteriosa e nellinsufficienza cardiaca. Il riconoscimento di unalterazione del fisiologico equilibrio simpato-vagale nel post-infarto ha permesso di identificare pazienti con un elevato rischio di morte cardiaca aritmica. Attualmente tutti i sistemi di lettura dellelettrocardiogramma dinamico, registrato per 24 ore (Holter) sono in grado di fornire parametri come la deviazione standard degli intervalli RR normali (SDNN), che pu essere utilizzata nella stratificazione non invasiva del rischio di morte cardiovascolare. Lanalisi spettrale delle 24 ore fornisce, invece, informazioni di maggior difficolt interpretativa, e recentemente stata affiancata da ulteriori elaborazioni del segnale di variabilit RR basate sullanalisi di dinamiche non lineari, che tuttavia vengono utilizzate prevalentemente nei laboratori di ricerca. LANALISI DELLA SENSIBILIT BAROCETTIVA

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Questa metodica si basa su un modello stimolo risposta e quantifica laumento di durata degli intervalli RR in risposta ad un aumento di pressione arteriosa indotta dalla somministrazione di una sostanza vasoattiva come la fenilefrina (Figura 2). Linclinazione della curva che descrive tale metodica si esprime in msec/mmHg, e in soggetti sani ha un valore superiore a 12 msec/mmHg. Questa metodica fornisce quindi una misura della capacit di risposta dei meccanismi nervosi di controllo, e riflette la capacit dincremento dellattivit vagale efferente e la capacit dinibizione dellattivit simpatica efferente diretta al cuore. Va ricordato che tra i due sistemi di controllo esiste una continua interazione che modula la capacit di risposta di ciascuna componente del sistema nervoso neurovegetativo. Una ridotta sensibilit barocettiva caratterizza pazienti con unelevata mortalit sia nel postinfarto sia nello scompenso cardiaco. LANALISI DELLA TURBOLENZA CARDIACA (HRT) LHRT una metodica che si basa sullanalisi delle modificazioni di durata del ciclo cardiaco che seguono la pausa compensatoria indotta da un battito prematuro ventricolare (Figura 3). In un soggetto sano questo fenomeno caratterizzato da un iniziale accorciamento di durata dellintervallo RR e quindi da un graduale allungamento che in 5-7 cicli cardiaci riporta la durata dell'intervallo RR ai valori precedenti il battito prematuro ventricolare. Liniziale accorciamento viene indicato come T0 e ha in un soggetto normale un valore inferiore allo 0% (determinato dal rapporto percentuale tra lintervallo RR post-pausa compensatoria e il valore medio degli intervalli RR precedenti il battito prematuro ventricolare) La graduale decelerazione viene indicata con il termine TS ha in un soggetto normale un valore > 2,5 msec/RR. Si ritiene che laccelerazione iniziale sia dovuta ad un aumento dellattivit simpatica diretta al cuore mediata da una deattivazione barorecettiva legata alla diminuzione di pressione arteriosa post-extrasistolica, mentre la successiva decelerazione riflette un meccanismo di tipo barocettivo: incremento della pressione sistolica ed allungamento della durata degli intervalli RR. Questa metodica stata utilizzata con successo nel post infarto e in pazienti con differenti tipi di cardiomiopatia, ma necessita che la registrazione sui cui viene effettuata lanalisi presenti un numero adeguato (non inferiore a 20) di battiti prematuri ventricolari. CONCLUSIONI Lo studio del Sistema Neurovegetativo non limitato al laboratorio di fisiopatologia, ma ha importanti risvolti applicativi anche in Clinica. Alterazioni del sistema neurovegetativo con aumento della modulazione simpatica e riduzione dellattivit vagale caratterizzano condizioni patologiche come la cardiopatia ischemica, linsufficienza cardiaca, lipertensione arteriosa. Tali alterazioni non solo riflettono la severit della patologia sottostante ma sono fattori spesso determinanti per la progressione della malattia e in grado di provocare uninstabilit elettrica del miocardio. Lanalisi della variabilit della frequenza cardiaca, della sensibilit barocettiva e della HRT ha permesso di identificare nel post-infarto pazienti ad alto rischio e pu quindi guidare le nostre strategie terapeutiche per ridurre la mortalit aritmica.

Capitolo 11 CATETERISMO CARDIACO E ANGIOCARDIOGRAFIA Germano Di Sciascio, A. DAmbrosio


DEFINIZIONE Il cateterismo cardiaco e langiocardiografia forniscono una valutazione dettagliata dellanatomia e della fisiologia del cuore e del sistema vascolare. La metodica stata applicata per la prima volta nelluomo da Werner Forssmann nel 1929, ma stata ampliata ai fini diagnostici da Andr Cournard e Dickinson Richards: questi tre ricercatori nel 1956 hanno ricevuto per la loro scoperta il premio Nobel per la medicina. La coronarografia selettiva stata introdotta da Mason Stones nel 1963 ed ulteriormente modificata da Melvin Judkins. Il cateterismo cardiaco consiste nell'inserimento, attraverso un vaso periferico, di un catetere sottile e flessibile che viene poi sospinto fin dentro le cavit cardiache. Si distingue un cateterismo cardiaco destro (o venoso) e sinistro (o arterioso). Il primo viene effettuato introducendo il catetere in una vena periferica (femorale, brachiale, succlavia o giugulare) ed avanzandolo nelle sezioni destre del cuore e nel circolo polmonare. Il cateterismo cardiaco sinistro viene realizzato raggiungendo le cavit sinistre del cuore per via retrograda, dallarteria femorale, brachiale o radiale. Durante le varie manovre possibile misurare le pressioni e le tensioni dossigeno presenti nei vari distretti, collegando il catetere ad un trasduttore di pressione. Inoltre, mezzo di contrasto iodato pu essere iniettato attraverso i cateteri per visualizzare radiograficamente le cavit cardiache ed i vasi (angiocardiografia); infine, pu essere studiato il tempo di circolo del sangue, ricavando altri dati utili sulla funzionalit cardiocircolatoria. Attraverso il catetere possibile anche effettuare biopsie del muscolo cardiaco (biopsia endomiocardica). Langiocardiografa delle coronarie o coronarografia consiste coronarico in corso di cateterismo cardiaco. TECNICA nella visualizzazione selettiva dellalbero

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Il cateterismo cardiaco viene eseguito in una sala sterile attrezzata con un sistema radiografico ad alta risoluzione, apparecchi poligrafici per il monitoraggio continuo e la registrazione dei parametri fisiologici (traccia ECG, onda pressoria e pulsossimetria transcutanea), un carrello con farmaci per le emergenze ed un defibrillatore per il trattamento delle aritmie ventricolari. Inoltre, la sala deve essere dotata di un iniettore per il mezzo di contrasto, un sistema per lacquisizione di film cineangiografico con la possibilit di elaborazione digitale delle immagini ed archiviazione successiva. Il paziente deve essere a digiuno e leggermente sedato, ma sveglio. La procedura viene effettuata con metodica percutanea, nella maggior parte dei casi attraverso larteria e la vena femorale; lapproccio brachiale o radiale viene utilizzato in presenza di vasculopatia periferica che precluda laccesso dagli arti inferiori o lavanzamento dei cateteri in aorta addominale oppure quando si vuole consentire una deambulazione precoce del paziente dopo la procedura. La Figura 1 illustra la tecnica di puntura vasale percutanea. Larteria e/o la vena periferica vengono punte con un ago, previa anestesia locale della cute e sottocute: lago ha un calibro tale da consentire linserimento allinterno dello stesso di una guida metallica flessibile che pu essere avanzata nel vaso (Figura 1A e Figura 1B). A questo punto lago viene rimosso e con la punta di un bisturi viene effettuata una piccola incisione di cute e sottocute al fine di consentire il passaggio dellintroduttore (Figura 1C). La guida lasciata in situ permette linserimento nel vaso periferico di una cannula (detta introduttore), inizialmente dotata di svasatore (Figura 1D e Figura 1E): questultimo viene rimosso assieme alla guida quando lintroduttore posizionato completamente allinterno del vaso (Figura 1F). Il calibro dellintroduttore variabile, a seconda della procedura che viene eseguita; in genere, dellordine di alcuni millimetri (da 4 a 8 French, considerato che 1 French = 0.3 mm, il calibro varia da 1.2 a 2.5 mm). Terminata la procedura di cateterismo, lintroduttore viene rimosso e si ottiene lemostasi locale mediante compressione manuale o mediante dispositivi meccanici per 15-20: la compressione sar applicata a monte del sito di inserzione nel caso di puntura arteriosa, a valle nel caso di puntura venosa. Nella procedura di cateterismo cardiaco sinistro, un catetere pre-formato - ovvero, che presenta curvatura predefinita allestremit distale al fine di essere agevolmente introdotto nelle cavit cardiache viene avanzato per via retrograda sotto controllo dei raggi X (fluoroscopia) nellarteria periferica fino allaorta ascendente e poi in ventricolo sinistro, attraverso la valvola aortica, ed eventualmente in atrio sinistro, attraversando per via retrograda la valvola mitrale. A tutti i livelli (distretto vascolare e camere cardiache) possibile misurare attraverso il catetere i parametri emodinamici, cos come effettuare prelievi per determinare le saturazioni dossigeno. Le forme donda pressoria (tensiogrammi) possono essere visualizzate su monitor e stampate su carta o memorizzate su di un supporto informatico. Nei casi in cui non sia possibile eseguire un cateterismo retrogrado delle camere sinistre del cuore (ad esempio: stenosi aortica serrata, protesi valvolare aortica), si pu procedere per via trans-settale dalle sezioni destre. Un catetere speciale (di Brockenbrough e Braunwald), introdotto per via percutanea dalla vena femorale destra, viene passato dallatrio destro al sinistro dopo aver punto il setto con un ago ricurvo nelle regione della fossa ovale. Dallatrio sinistro il catetere viene poi avanzato nel ventricolo sinistro attraverso la valvola mitrale. Per la procedura di cateterismo cardiaco destro viene generalmente utilizzato il catetere a palloncino flottante di Swan Ganz (Figura 2). Il catetere, sotto controllo fluoroscopico e dopo aver gonfiato il palloncino allestremit distale, viene avanzato (Figura 3) attraverso la vena periferica nella vena cava (inferiore o superiore, a seconda dellapproccio iniziale) e quindi in successione nellatrio destro, nel ventricolo destro e in uno dei due rami principali dellarteria polmonare, fino ad occludere transitoriamente un ramo periferico di questultima. In questa posizione possibile registrare la pressione di incuneamento capillare polmonare, la quale riflette quasi sempre in maniera accurata la pressione striale sinistra. Il catetere di Swan Ganz consente il cateterismo destro a letto dellammalato anche senza necessit di radioscopia: luso di tale indagine si esteso alle Unit di Terapia Intensiva Coronarica, per il monitoraggio emodinamico di pazienti in condizioni critiche. Il termistore posto alla estremit del catetere consente di misurare la gittata cardiaca mediante metodica diluizionale, fornendo quindi un quadro sufficientemente completo della funzione cardiocircolatoria del paziente. La ventricolografia sinistra viene eseguita di routine in corso di cateterismo cardiaco sinistro. Essa prevede lintroduzione in ventricolo per via retrograda di un catetere particolare, denominato pig-tail, in quanto presenta allestremit distale un ricciolo che ricorda il codino del suino, ed dotato di diversi fori a questo livello. La specifica conformazione del catetere permette lagevole introduzione nella camera cardiaca - senza risultare traumatico per le pareti cardiache e quindi evitando di stimolare linsorgenza di aritmie ventricolari e ladeguata opacizzazione della stessa mediante iniezione di circa 40-50 ml di mezzo di contrasto radiopaco ad alta velocit ed in pochi secondi (Figura 4). In tal modo possibile osservare le dimensioni del ventricolo sinistro, la contrazione ed il rilasciamento delle pareti e leventuale presenza di insufficienza della valvola mitrale, evidenziabile come rigurgito sistolico di mezzo di contrasto in atrio sinistro attraverso la valvola. In soggetti con dilatazione/disfunzione ventricolare sinistra, la ventricolografia mette in evidenza la ridotta contrattilit generalizzata (Figura 5) o segmentaria. La coronarografia viene eseguita portando a livello del piano valvolare aortico cateteri con curve preformate allestremit distale che permettono lincannulazione selettiva dellostio coronario destro e sinistro. Successivamente vengono iniettati pochi millilitri di mezzo di contrasto allinterno della coronaria e viene registrato il riempimento e successivo svuotamento della coronaria (Figura 6, Figura 7, Figura 8). In genere, vengono utilizzate diverse proiezioni radiografiche (oblique anteriori destre e sinistre, craniali e caudali), ruotando

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il tubo radiogeno attorno al paziente, al fine di visualizzare le coronarie epicardiche principali e le loro ramificazioni lungo tutto il loro decorso. E quindi possibile mettere in evidenza stenosi a carico delle arterie coronarie (Figura 9). INDICAZIONI Il cateterismo cardiaco viene effettuato per determinare la natura e lestensione di un sospetto problema cardiaco in un paziente nel quale si intenda effettuare un intervento chirurgico o una terapia interventistica percutanea. Tale metodica serve anche per escludere patologie significative in presenza di risposte equivoche ad altri esami non invasivi, quali test da sforzo o ecocardiogramma, oppure quando, in un paziente fortemente sintomatico, lacquisizione di una diagnosi definitiva sia rilevante ai fini del trattamento. Il cateterismo cardiaco permette di: misurare direttamente le pressioni intravascolari (circolo arterioso sistemico e polmonare) ed intracavitarie a livello della sezione destra e sinistra del cuore; visualizzare con mezzo di contrasto radiopaco sia i grossi vasi che le cavit cardiache, in particolare il ventricolo sinistro, al fine di valutare la funzione contrattile globale, e la cinetica regionale del ventricolo e la continenza valvolare aortica e mitralica. La misurazione diretta dei gradienti transvalvolari fondamentale nella valutazione dei pazienti con valvulopatia: leFigura 10 e Figura 11 illustrano i tracciati pressori registrati in caso di stenosi aortica e stenosi mitralica. Anche dopo lintroduzione della TC coronarica, la coronarografia continua ad essere lunica metodica in grado di definire in maniera accurata la gravit e lestensione della coronaropatia: pertanto esame essenziale nella valutazione dei pazienti per i quali venga presa in considerazione la rivascolarizzazione, sia essa percutanea (angioplastica coronarica) o chirurgica (mediante intervento di by-pass aorto-coronarico). Le Figura 6, Figura 7,Figura 8, e Figura 9mostrano quadri coronarografici normali e con stenosi significative. CONTROINDICAZIONI, RISCHI E COMPLICANZE Il cateterismo cardiaco una procedura relativamente sicura, ma trattandosi di una tecnica invasiva, si associa ad un rischio di morbilit e mortalit ben definito. Esiste una sola controindicazione assoluta allesecuzione di un cateterismo cardiaco: la presenza di apparecchiature e personali non adeguati alla procedura. Le seguenti rappresentano controindicazioni relative: sanguinamento acuto gastrointestinale con anemizzazione, diatesi emorragica incontrollata, anticoagulazione efficace (INR>2), alterazioni dellequilibrio idroelettrolitico (in particolare lipopotassimeia, che predispone alle aritmie), infezioni e febbre, intossicazione da farmaci (ad esempio: digitale, fenotiazina), gravidanza, recente evento cerebrovascolare (< 1 mese), insufficienza renale, scompenso cardiaco instabile, ipertensione arteriosa non controllata, aritmie, paziente non collaborante. Uno studio prospettico di 5 anni condotto nel 1968 riportava unincidenza cumulativa di complicanze (incluse: perforazione cardiaca, aritmie maggiori, emorragie, ipotensione severa, trombosi vascolare, ictus embolico, infarto miocardico e morte) nei pazienti di tutte le et pari al 3.6%. Successivamente, il miglioramento progressivo delle tecniche, lesperienza sempre maggiore degli operatori e luso di cateteri pi flessibili e di mezzi di contrasto meno nefrotossici, ha determinato una riduzione notevole dellincidenza di complicanze, permettendo unapplicazione sempre pi estesa di questa tecnica diagnostica al fine di ottenere una precisa diagnosi anatomofunzionale cardiovascolare in vista di unindicazione terapeutica. Le complicanze legate al cateterismo cardiaco si possono distinguere in maggiori e minori. Le prime hanno unincidenza globale approssimativamente del 0.1-0.2% e sono elencate di seguito, con incidenza media indicata tra parentesi: morte (0.11%), infarto miocardico acuto (0.05%), evento ischemico cerebrale (0.07%), tachicardia o fibrillazione ventricolare o aritmie maligne (0.38%), complicanze vascolari (0.43%), reazioni al mezzo di contrasto (0.37%), complicanze emodinamiche (0.26%), perforazione delle camere cardiache (0.03%). Le complicanze minori si osservano in circa il 4% dei pazienti sottoposti a cateterismo cardiaco; le pi comuni sono le lievi reazioni vaso-vagali (ipotensione arteriosa e bradicardia transitorie, secondarie alla puntura vasale ed alluso di mezzo di contrasto) e gli episodi di angina che durano meno di 10 minuti.

Capitolo 12 DIAGNOSTICA VASCOLARE Alberto Balbarini, R. Di Stefano 30

INTRODUZIONE La diagnostica vascolare pu essere classificata in modi diversi, sulla base di molteplici criteri, fra cui i seguenti:

Diagnostica invasiva o non invasiva. Diagnostica di primo livello per lo screening e diagnostica di secondo livello pi sofisticata o complessa, Diagnostica per lo studio del flusso a riposo o per lo studio emodinamico.

per approfondimento o ricerca.

A monte di ogni scelta sul tipo di esame, devono essere note le informazioni che si possono ottenere, oltre che il rapporto costo/beneficio, in modo da richiedere indagini di secondo livello solo quando ne esista la reale indicazione. Lapproccio diagnostico vascolare verr presentato separatamente per i seguenti distretti : - Distretto Carotideo - Distretto Periferico - Microcircolo DIAGNOSTICA VASCOLARE DEL DISTRETTO CAROTIDEO Le principali metodiche utilizzate nella diagnostica della malattia carotidea sono:

L ecografia color Doppler l angioTC l angioRNM

La diagnostica invasiva viene attuata solo su casi selezionati, mediante arteriografia. Per il distretto carotideo la metodica diagnostica ottimale dovrebbe fornire dati affidabili sulla sede della placca, sulla composizione istologica (emorragia, fibrosi, contenuto lipidico) e la morfologia (superficie liscia o ulcerata). Nella realt clinica nessuna metodica in grado di fornire allo stesso tempo e con la stessa precisione tutte queste informazioni.

ECOCOLORDOPPLER E la metodica di riferimento che consente, eventualmente in associazione a studio angio TC o angio RNM e a Doppler transcranico, di pianificare interventi chirurgici di correzione di stenosi emodinamiche senza la necessit di ricorrere ad una arteriografia preoperatoria. La metodica eco Doppler si basa sullutilizzo di un trasduttore posizionato con angolo di 90 a livello cutaneo che agisce sia da trasmittente di emissioni di ultrasuoni che da ricevente degli echi trasmessi originati dalle varie interfacce che vengono elaborati e convertiti in punti luminosi in grado di ricostruire limmagine anatomica del vaso o le caratteristiche della placca da analizzare. Il colore permette di determinare lorientamento spaziale del flusso e la relazione spaziale tra questultimo e le strutture anatomiche visualizzata in tempo reale . Tutti i sistemi color Doppler codificano la direzione del flusso in due colori, rosso e blu: la direzione del flusso in avvicinamento al trasduttore codificata in rosso, quella in allontanamento in blu. La metodica color, utilissima nella localizzazione spaziale dei flussi e nella determinazione diretta di alcune patologie, non fornisce, per, una stima accurata della velocit. Per la determinazione della velocit preferibile ricorrere alla modalit B-mode (che codifica le strutture secondo una scala di grigi), utilizzando il Doppler pulsato dove, mediante un cursore, viene selezionato un campione di circa 1-2mm allinterno del vaso ed eseguita unanalisi spettrale per la determinazione del flusso. La caratterizzazione ecografica della stenosi carotidea prevede lanalisi combinata del segnale Doppler (velocit di picco sistolica e diastolica in corrispondenza della stenosi) e dell imaging bidimensionale: dallo studio del segnale Doppler possiamo avere informazioni sullentit della stenosi e le sue ripercussioni emodinamiche; limaging bidimensionale consente di valutare, in maniera analoga allangiografia, la percentuale di stenosi lineare o planimetrica determinata dalla placca (Figura 1). Se l indagine ecografica la metodica di prima scelta per discriminare l entit della stenosi (percentuale), la localizzazione (carotide comune, interna o esterna) e lestensione, altri parametri importanti che rendono la placca instabile, ovvero ad elevato rischio di eventi clinici, sono di pi difficile acquisizione. I principali parametri che sono risultati correlati all instabilit della placca sono : - irregolarit di superficie o ulcerazione - abbondante componente lipidica

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- emorragia. Questi dati sono oggi acquisibili con tecniche diagnostiche ecografiche pi sofisticate, di secondo livello, basate sull analisi densitometrica della placca ottenuta con l acquisizione della scala dei grigi ( back-scattering ) . ANGIO TC La metodica angio TC, in particolare la TC spirale che consente di ottenere immagini tridimensionali ad alta risoluzione, ha una sua particolare sensibilit e specificit nell identificare le percentuale di stenosi superiori al 70% per il distretto carotideo extracranico e soprattutto per la diagnosi delle occlusioni. Unaltra peculiarit della angio TC la capacit di identificare eventuali ulcerazioni della placca con una sensibilit e specificit che supera il 90%. ANGIO RNM La risonanza, analogamente alla TC , trova indicazione nella diagnostica della stenosi carotidee nei casi in cui l ecografia risulti dubbia. Rispetto all angio TC, offre il vantaggio di non richiedere luso di mezzo di contrasto iodato e di avere una sensibilit nell identificare le stenosi superiori al 70 %. DIAGNOSTICA VASCOLARE DEL DISTRETTO PERIFERICO La diagnostica vascolare non invasiva nel paziente con sospetta arteriopatia periferica si basa sullutilizzo degli ultrasuoni, che coprono da soli gran parte della diagnostica vascolare anche in questo distretto. L arteriografia mantiene un ruolo fondamentale nei pazienti per i quali, sulla base dei dati eco -Doppler, si ritenga indicato un intervento di rivascolarizzazione chirurgica. ECOGRAFIA COLOR DOPPLER La diagnostica ecografica finalizzata a individuare : -dilatazioni aneurismatiche -compressioni estrinseche -alterazioni di parete (stenosi ,occlusioni) comprese le valutazioni sulle caratteristiche della placca, come gi detto per il distretto carotideo e con gli stessi limiti gi descritti -trombi endoluminali Anche per il distretto periferico l esame ecodoppler ha dei limiti tra cui la difficolt, determinata da rapporti anatomici, ad esplorare alcuni tratti dellasse arterioso, come ad esempio il distretto di gamba specialmente nei pazienti diabetici o con stenosi multiple, o la difficolt legata alla presenza di coni d ombra che accompagnano placche calcifiche fortemente ecogene rendendo l area non esplorabile. Tuttavia per la maggior parte delle placche o stenosi l indagine ecocolordoppler costituisce la metodica di prima scelta, fornendo dati analoghi a quelli dell arteriografia (Figura 2). ABI (Ankle/brachial index ) o indice di Winsor In condizioni fisiologiche la pressione sistolica agli arti inferiori maggiore di quella rilevabile agli arti superiori, con valori che oscillano fra 128 mm Hg e 249 mm Hg. In presenza di una stenosi che restringa il vaso per almeno il 50% , si ha distalmente un calo pressorio determinato dalla riduzione compensatoria delle resistenze periferiche. Per primo Winsor propose di registrare in contemporanea i valori pressori della caviglia e del braccio, ottenendo un rapporto che in condizioni di normalit uguale o maggiore di 1 (Figura 3). L ABI costituisce il pi rapido esame diagnostico per lo screening e il follow up di pazienti con arteriopatia obliterante degli arti inferiori. Il limite fondamentale dato dalla impossibilit di valutare arterie incomprimibili per sclerosi calcifica della media, quale si ha ad esempio nei pazienti diabetici o con insufficienza renale grave, e le lesioni emodinamicamente non significative a riposo che sono diagnosticabili solo con opportuni tests da sforzo. Treadmill Test Il test viene eseguito per valutare la presenza di stenosi che non sono rilevabili a riposo. L esercizio determina, infatti, una dilatazione dei vasi di resistenza ed un aumento di flusso a livello muscolare: in condizioni normali, per la presenza di basse resistenze a livello delle grandi arterie non si verificano fenomeni di furto dalle zone pi distali dell arto, mentre in presenza di unocclusione o di una stenosi emodinamicamente significativa il flusso muscolare dopo esercizio ostacolato dalle alte resistenze presenti nel circolo collaterale e dalla dilatazione arteriolare distale alla lesione. L esame prevede la determinazione dellABI in condizioni di riposo e immediatamente dopo un periodo di deambulazione a velocit ed inclinazione costante su un treadmill sino alla comparsa di claudicatio o per un tempo definito; la misurazione dell ABI viene eseguita fino al recupero dei valori basali. Al termine dello sforzo la pressione arteriosa nell arto superiore aumenta, nell arto inferiore in cui presente una arteriopatia scende per poi tornare ai valori basali. Il test da sforzo ha la sua indicazione quando esiste un sospetto clinico non confermato dai valori di ABI a riposo o per valutare il peso funzionale di una lesione. DIAGNOSTICA DEL MICROCIRCOLO

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La valutazione della microcircolazione cutanea si basa su metodiche che consentono una valutazione diretta, di tipo morfologico, della rete capillare (capillaroscopia), oppure una valutazione indiretta, di natura metabolica (tensiometria transcutanea di O2 e CO2 ) o funzionale (flussimetria laser-doppler). Queste metodiche rivestono un ruolo nella diagnostica dei pazienti affetti dai gradi pi severi di arteriopatia, in particolare quelli con ischemia critica cronica che presentano dolore a riposo, necrosi cutanee e gangrena Capillaroscopia La capillaroscopia consente uno studio selettivo del circolo nutrizionale che costituisce circa il 10 % del flusso cutaneo , responsabile delle lesioni trofiche. La capillaroscopia si basa sull utilizzo di uno stereomicroscopio collegato ad un sistema di rilevazione dell immagine. I distretti normalmente esplorati sono la piega ungueale, la cute e la congiuntiva bulbare. In condizioni normali, il capillare studiato a livello della plica ungueale assume un aspetto a forcina, con una parete arteriosa e una venosa ben distinguibili; le anse capillari sono di colorito roseo, parallele e separate da spazi regolari. In condizioni patologiche si possono avere variazioni di numero, caratteristiche e distribuzione (Figura 4). Tensione transcutanea di Ossigeno (TCpO2) e di Anidride Carbonica (TCpCO2) Lo studio del plesso cutaneo pi profondo sub papillare, destinato alla funzione termoregolatoria, viene eseguito con paziente a riposo, in posizione supina, in ambiente a climatizzazione controllata, sia in condizioni basali che dopo stress provocativi. Nata dallosservazione che nei neonati possibile misurare le variazioni dellossigenazione in maniera incruenta tramite sensori applicati sulla cute, la metodica stata applicata in angiologia grazie alla messa a punto di un elettrodo polarografico (elettrodo di Clark) che permette di eseguire misurazioni continue dell ossigeno. Nelle arteriopatie, la TCpO2 valuta in modo non invasivo le conseguenze tissutali delle alterazioni macrocircolatorie. In clinica la misurazione ossimetrica viene eseguita con sensore riscaldato a 44C posizionato sul I spazio intermetatarsale del piede sintomatico. Nel paziente con ischemia critica cronica i valori ossimetrici , rilevati al piede sintomatico , non superano rispettivamente i 10 e 45 mmHg in posizione supina e declive. Negli ultimi anni si resa possibile anche la misurazione della concentrazione transcutanea di anidride carbonica , mediante un sensore combinato per O2 e CO2 e questo parametro costituisce un pi sensibile indicatore di acidosi metabolica indotta dal danno ischemico . Flussimetria Laser Doppler La flussimetria laser Doppler una metodica per lo studio funzionale del microcircolo basata sullutilizzo dell effetto doppler. E una tecnica in atto pi idonea ai fini di ricerca che clinici.

Sezione III. Malattie delle Valvole Cardiache Capitolo 13 MALATTIA REUMATICA Luigi Meloni, Massimo Ruscazio
DEFINIZIONE La malattia reumatica un processo morboso infiammatorio multifocale, a patogenesi autoimmune, che si manifesta in seguito ad uninfezione faringea da streptococco emolitico del gruppo A. La malattia interessa principalmente le articolazioni, il cuore, il sistema nervoso centrale, la cute e il sottocutaneo. Il 50 % circa dei pazienti colpiti dalla malattia reumatica sviluppa negli anni un danno cardiaco permanente, responsabile delle varie forme di valvulopatia reumatica cronica. EPIDEMIOLOGIA Lincidenza della malattia reumatica diminuita drasticamente nei paesi industrializzati grazie soprattutto alle migliorate condizioni socio-economiche e alla disponibilit della penicillina per il trattamento della faringite streptococcica. La malattia ancora presente in forma endemica nei paesi in via di sviluppo e tra le popolazioni in cui sussistono condizioni ambientali e socio-sanitarie sono precarie (povert, malnutrizione, eccessivo affollamento, insufficiente prevenzione ed assistenza sanitaria). Sebbene possa interessare tutte le fasce di et, la malattia reumatica colpisce principalmente i bambini e gli adolescenti. La prevalenza della valvulopatia reumatica, al contrario, aumenta con let e raggiunge un picco tra i 25 e i 34 anni. PATOGENESI La faringo-tonsillite da streptococco emolitico del gruppo A, non adeguatamente trattata con antibiotici, levento che precipita la malattia reumatica. Sebbene lesatto meccanismo che associa linfezione streptococcica alla flogosi reumatica sia ancora incerto, la malattia reumatica comunemente considerata il risultato di una esagerata risposta immunitaria alle componenti antigeniche dello streptococco. Le similitudini molecolari e immunologiche tra gli antigeni batterici e i tessuti

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dellorganismo (mimetismo antigenico) sarebbero poi responsabili della successiva risposta crociata di tipo autoimmune che scatena lattacco acuto di malattia reumatica (Figura 1). Linteresse nei confronti della patogenesi autoimmune riemerso recentemente con la dimostrazione che diversi antigeni della superficie batterica condividono affinit strutturali con le componenti tessutali degli organi e dei sistemi coinvolti nella malattia reumatica. Lacido ialuronico contenuto nella capsula dello streptococco possiede una struttura chimica identica a quella dellacido ialuronico presente nel tessuto articolare delluomo. Unaltra componente della parete cellulare dello streptococco, la N-acetilglucosamina, si ritrova in alte concentrazioni nelle valvole cardiache; gli anticorpi diretti contro la proteina-M della membrana cellulare batterica interagiscono anche con la miosina cardiaca; altre proteine umane, la vimentina (tessuto sinoviale) e la cheratina (tessuto cutaneo), mostrano una reattivit crociata con la proteina-M streptococcica. Infine, esistono evidenze a sostegno dellaffinit strutturale tra gli elementi somatici dello streptococco e alcune componenti del tessuto nervoso delluomo (gangliosidi). Pertanto, i principali quadri clinici associati alla malattia reumatica sarebbero espressione di un danno infiammatorio locale, indotto da una abnorme risposta immunologica di tipo crociato. ANATOMIA PATOLOGICA Sul versante istopatologico, la fase acuta della malattia si caratterizza per una reazione essudativa e proliferativa del tessuto connettivo. La cardite reumatica una vera e propria pancardite perch interessa lendocardio, il miocardio e il pericardio. Nel miocardio si osserva edema ed infiltrazione cellulare del tessuto interstiziale con frammentazione delle fibre collagene (miocardite). Successivamente, nella fase proliferativa compaiono i noduli di Aschoff (Patologia 07), lesioni granulomatose patognomoniche della malattia, riscontrabili anche nelle valvole cardiache e nel pericardio. La flogosi reumatica dei foglietti pericardici (pericardite) di tipo sierofibrinoso e si risolve, solitamente, senza complicazioni. La componente pi significativa del danno cardiaco linfiammazione delle valvole cardiache (valvulite), responsabile della manifestazione clinica pi importante dellattacco acuto di malattia reumatica, linsufficienza valvolare. La valvulite reumatica colpisce prevalentemente la valvola mitrale e la valvola aortica, raramente la valvola tricuspide e quasi mai la valvola polmonare. Il tessuto valvolare interessato da edema ed infiltrazione cellulare. Si possono osservare piccole formazioni verrucose sulla superficie valvolare, in prossimit delle aree di coaptazione dei lembi valvolari (Patologia 40). Il processo cicatriziale della valvulite porta lentamente, negli anni, a fibrosi dei lembi e a fusione delle commissure e delle corde tendinee, a cui corrispondono sul piano funzionale stenosi o insufficienza valvolare (valvulopatia reumatica). Pertanto, il coinvolgimento del cuore durante la fase attiva della malattia reumatica (cardite reumatica), deve essere distinto dal danno valvolare residuo che fa seguito alla risoluzione dellepisodio acuto (valvulopatia reumatica). MANIFESTAZIONI CLINICHE Dal quadro clinico della malattia emergono 5 elementi fondamentali per la diagnosi: la cardite, la poliartrite, la corea, leritema marginato e i noduli sottocutanei. Questi elementi possono presentarsi singolarmente o in combinazione tra loro e costituiscono nel loro insieme i cosiddetti criteri maggiori di Jones. Altri reperti, come la febbre, le artralgie, la positivit dei test ematochimici di flogosi acuta, lallungamento dellintervallo P-R allECG, sono considerati invece manifestazioni minori della malattia (Tabella I). Secondo lo schema proposto da Jones, la presenza di 2 manifestazioni maggiori oppure di una manifestazione maggiore e 2 minori in un paziente con evidenza di infezione streptococcica recente (positivit del tampone faringeo, titolo antistreptolisinico elevato) indica unalta probabilit di malattia reumatica acuta. Il periodo di latenza tra la faringite streptococcica e linizio dei sintomi varia da 1 a 5 settimane. Nel 75 % dei casi, la febbre e la poliartrite rappresentano i segni clinici iniziali dellattacco di malattia reumatica. Lartrite interessa prevalentemente le grandi articolazioni degli arti (ginocchia, gomiti, polsi e anche) in modo asimmetrico e migrante, risponde prontamente allaspirina e si risolve senza reliquati. A differenza dellartrite reumatoide, sono risparmiate le piccole articolazioni delle mani e dei piedi. Al quadro clinico della poliartrite si sovrappone spesso quello della cardite, e in generale la gravit dei sintomi articolari inversamente proporzionale allinteressamento cardiaco: nei pazienti con forme gravi di artrite, le manifestazioni cliniche della cardite tendono ad essere attenuate e viceversa. La cardite, presente nel 50% circa dei pazienti con malattia reumatica acuta, associata quasi sempre ad un soffio cardiaco secondario alla valvulite. Il reperto ascoltatorio pi frequente un soffio olosistolico apicale, ad alta frequenza, irradiato allascella, indicativo di uninsufficienza della valvola mitralica. Il soffio dellinsufficienza valvolare aortica, se presente, si associa quasi sempre a quello dellinsufficienza mitralica. Questultima rappresenta pertanto lelemento clinico pi caratteristico della cardite reumatica. Le ripercussioni emodinamiche della valvulite sono di entit variabile. Nelle forme pi gravi di insufficienza mitralica, compaiono i segni e i sintomi dello scompenso cardiaco. Pi spesso, gli effetti acuti della valvulite sono poco rilevanti sul piano clinico, e talora pu essere difficile, allascoltazione cardiaca, cogliere i segni delle lesioni valvolari. In questi casi, lindagine ecocardiografica, coadiuvata dallesame color Doppler, pu essere utile per confermare il sospetto di malattia reumatica. Gli sfregamenti pericardici e il rilievo ecocardiografico di versamento pericardico documentano la presenza della pericardite. Linteressamento flogistico del tessuto miocardico (miocardite) e del pericardio (pericardite) non

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compare mai isolatamente, ma sempre associato alle manifestazioni della valvulite. Pertanto, un quadro clinico di pericardite o di miocardite con disfunzione sistolica del ventricolo sinistro difficilmente potr avere una patogenesi reumatica se lascoltazione cardiaca e lecocardiogramma escludono la presenza di uninsufficienza della valvola mitrale o aortica. La corea, secondaria allinteressamento flogistico del sistema nervoso centrale, la terza manifestazione clinica della malattia reumatica (15-30 % dei casi). Chiamata anche corea di Sydenham o ballo di San Vito, esordisce pi tardivamente, quando le altre manifestazioni della malattia sono scomparse o in via di risoluzione, e si caratterizza per la presenza di movimenti irregolari e involontari, senza finalit, che scompaiono con il sonno e con la sedazione. I sintomi neurologici hanno una durata variabile e, in genere, si risolvono spontaneamente. Le manifestazioni cutanee della malattia reumatica sono decisamente pi rare (meno del 10% dei casi). I noduli sottocutanei compaiono a distanza di diverse settimane dalla cardite, si localizzano in corrispondenza delle articolazioni principali e delle prominenze ossee, sono indolori, mobili e si risolvono spontaneamente. Leritema marginato un rash cutaneo caratterizzato da margini rosati e serpiginosi che circoscrivono aree centrali di aspetto normale. Si osserva prevalentemente sul tronco e sulle porzioni prossimali degli arti, migra da una sede allaltra e non risponde alla terapia antinfiammatoria. ESAMI DI LABORATORIO La diagnosi di malattia reumatica spesso non facile, non solo per la variabilit del quadro clinico, ma anche per la mancanza di un test diagnostico sicuro e definitivo. Gli indici di flogosi appaiono costantemente alterati nella fase acuta della malattia. La velocit di eritrosedimentazione (VES) e la proteina-C reattiva (PCR) sono marcatori affidabili, ma aspecifici, della risposta autoimmune e dellinfiammazione associata alla cardite o alla poliartrite. In tutti i casi di sospetta malattia reumatica indispensabile documentare, ai fini diagnostici, una recente infezione streptococcica (vedi criteri di Jones). I test pi utilizzati sono la ricerca di anticorpi diretti contro alcune componenti dello streptococco (streptolisina O, desossoribonucleasi B) e lesame colturale faringeo (tampone faringeo). La positivit del tampone faringeo deve essere interpretata con cautela perch molti individui normali possono ospitare streptococchi del gruppo A nelle vie aeree superiori. Daltra parte, la negativit dellesame colturale non permette di escludere in modo assoluto un episodio antecedente di infezione streptococcica. Laumento del titolo anticorpale antistreptococcico, specie se progressivo, invece un reperto provvisto di maggiore affidabilit nellevidenziare una recente infezione streptococcica. A tal proposito, giova ricordare che il titolo antistreptolisina O (ASLO) e antidesossiribonucleasi aumenta entro 1 mese dallinizio dellinfezione streptococcica, raggiunge un plateau per 3-6 mesi, quindi si riduce progressivamente. Oltre alla tachicardia sinusale, lECG pu mostrare un blocco atrioventricolare di primo grado, secondario allinfiammazione dei tessuti perinodali. Il blocco atrioventricolare, riconoscibile in base allallungamento dellintervallo P-R, non , da solo, diagnostico di cardite reumatica (Tabella I), non influisce sulla prognosi n predice lo sviluppo di sequele valvolari (valvulopatia reumatica). DECORSO E PROGNOSI La malattia si risolve spontaneamente entro 3 mesi dallesordio acuto. Sebbene siano stati descritti casi isolati di edema polmonare acuto fulminante, la mortalit della fase acuta bassa e la prognosi dipende fondamentalmente dalla gravit delle lesioni valvolari che fanno seguito al primo episodio della malattia reumatica e/o alle recidive. La malattia reumatica tende a recidivare. I pazienti che hanno sofferto di un precedente attacco di malattia reumatica e che sviluppano successivamente nuovi episodi di faringite streptococcica sono ad alto rischio di una recidiva della malattia. Linfezione streptococcica ricorrente, specie se sostenuta da ceppi virulenti, riattiva la risposta autoimmune dellorganismo, favorendo cos linstaurarsi o il peggioramento del danno anatomico valvolare (Figura 1). CENNI DI TERAPIA E PREVENZIONE Non esiste un trattamento specifico della malattia reumatica. Gli agenti anti-infiammatori sopprimono rapidamente il dolore articolare e altri segni e sintomi della flogosi acuta, ma non curano la malattia n prevengono la sua successiva evoluzione. Anche la terapia antibiotica con penicillina, obbligatoria nella fase acuta per sradicare linfezione streptococcica, non modifica il decorso dellattacco acuto della malattia reumatica n impedisce lo svilupparsi della cardite. Laspirina ad alte dosi indicata nella poliartrite acuta, mentre limpiego dei corticosteroidi riservato ai casi con cardite grave complicata da insufficienza cardiaca. PREVENZIONE La prevenzione primaria della malattia reumatica acuta si identifica nella diagnosi precoce e nel trattamento antibiotico della faringo-tonsillite streptococcica. Il trattamento antibiotico se tempestivo e mirato (penicillina) elimina quasi completamente il rischio di malattia reumatica. La prevenzione secondaria rivolta agli individui che hanno gi avuto un attacco documentato di malattia reumatica acuta o che soffrono di recidive dopo uninfezione streptococcica. Il caposaldo rappresentato dalla profilassi antibiotica continua delle recidive di

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infezione streptococcica, potenzialmente capaci di innescare nuovi attacchi di malattia reumatica. La profilassi antimicrobica continua necessaria perch il trattamento antibiotico di una nuova infezione streptococcica, anche se ottimale, non protegge il paziente con precedenti anamnestici di malattia reumatica dal rischio di una recidiva reumatica. Lo schema terapeutico pi efficace costituito dalla benzilpenicillina somministrata in dose singola per via intramuscolare ogni 4 settimane. La durata della profilassi antibiotica deve essere adattata nel singolo paziente a seconda del rischio di recidiva. Il rischio di ricorrenze reumatiche diminuisce con laumentare dellet e con laumentare del tempo trascorso dallultimo attacco. I pazienti che non sviluppano la cardite durante il loro primo attacco sono meno esposti al rischio di recidive reumatiche, e quando queste si verificano hanno minori probabilit di manifestare una cardite. I pazienti che hanno sviluppato una cardite nel corso dellattacco acuto sono invece ad alto rischio di recidiva di cardite, con possibilit di ulteriore danno valvolare in occasione di ogni ricorrenza (Figura 1).

Capitolo 14 STENOSI MITRALICA Giuseppe Oreto, Francesco Saporito


DEFINIZIONE La stenosi mitralica una malattia caratterizzata da alterazioni della valvola mitrale (fusione e retrazione delle corde, ispessimento e adesione dei lembi) con esito in riduzione dell'area valvolare. La valvola stenotica rappresenta un ostacolo al passaggio del sangue dall'atrio al ventricolo sinistro, per cui la pressione atriale sinistra aumenta, e tale aumento si riflette a monte sul circolo polmonare, ed infine sul ventricolo destro. EZIOLOGIA La malattia reumatica rappresenta la pi importante e pressoch l'unica causa di stenosi mitralica. Per quanto, infatti, esistano forme congenite di stenosi mitralica, i casi ad eziologia non reumatica sono talmente rari da risultare trascurabili ai fini pratici. La malattia reumatica consegue ad infezione da streptococco -emolitico del gruppo A, agente responsabile di infezioni spesso localizzate nelle tonsille; qualche settimana dopo linizio del processo infettivo compaiono, nelle forme tipiche, manifestazioni infiammatorie a carico di numerosi organi, comprendenti le grandi articolazioni, il cuore e il rene. Tali alterazioni non dipendono da localizzazione dello streptococco negli organi bersaglio, ma conseguono ad un processo autoimmunitario del quale il germe solo lavviatore. Il cuore viene solitamente interessato in toto, e si manifesta unendocardite associata spesso a miocardite e pericardite. ANATOMIA PATOLOGICA Il reperto anatomico prevalente durante la fase acuta dell'endocardite reumatica rappresentato da piccoli noduli verrucosi osservabili lungo la linea di chiusura dei foglietti, sul versante atriale di essi. Queste formazioni infiammatorie scompaiono con la risoluzione del processo carditico, ed occorrono diversi anni prima che si determinino le alterazioni caratteristiche della stenosi mitralica. Al danno valvolare iniziale consegue un'alterazione del flusso transvalvolare, che determina nel tempo ispessimento, fibrosi, saldatura e calcificazione dei lembi e dell'apparato sottovalvolare. In altri termini, la lesione reumatica iniziale avvia un processo automatico di lenta e graduale alterazione della valvola; il trauma provocato dal flusso turbolento rappresenta verosimilmente il principale responsabile delle lesioni evolutive. La valvola mitrale stenotica presenta corde fuse e retratte, mentre i foglietti sono ispessiti e parzialmente aderenti fra loro; nella maggior parte dei casi coesistono calcificazioni sia dei lembi che delle corde (Figura 1, Patologia 08, Patologia 09). L'area valvolare, che nel normale misura da 4 a 6 cm2, pi o meno significativamente ridotta sia per l'adesione dei foglietti che per l'obliterazione dei cosiddetti orifici secondari (gli spazi compresi fra le corde tendinee), conseguente alla fusione delle corde. Nel complesso, la valvola stenotica ha un aspetto a imbuto con la base rivolta verso l'atrio, che si presenta dilatato e spesso sede di trombi, particolarmente a livello dell'auricola. Le vene polmonari sono dilatate e possono coesistere alterazioni ostruttive delle arteriole polmonari, caratterizzate da iperplasia della media e dell'intima. In diversi casi si rileva dilatazione del ventricolo e dell'atrio destro, e segni di stasi venosa sistemica cronica, particolarmente a carico del fegato. Queste modificazioni conseguono all'ipertensione polmonare, che induce sovraccarico e dilatazione del ventricolo destro, insufficienza tricuspidale, ed infine scompenso congestizio. FISIOPATOLOGIA Quando l'area valvolare mitralica si riduce, la progressione del sangue dall'atrio al ventricolo sinistro in qualche modo ostacolata. Per consentire un normale riempimento ventricolare durante la diastole diventa allora necessario un aumento della pressione atriale, cos che il sangue riesca a passare dall'atrio al ventricolo nonostante l'impedimento rappresentato dalla valvola stenotica. Nel normale non esiste alcuna differenza significativa fra la pressione diastolica del ventricolo sinistro e quella vigente in atrio sinistro (Figura 2A ). Il flusso diastolico atrioventricolare, infatti, avviene senza un'apprezzabile differenza di pressione fra le due camere perch la valvola mitrale normale non offre alcuna resistenza alla progressione del sangue. Nella stenosi mitralica,

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invece, si realizza per tutta la fase diastolica un gradiente di pressione fra atrio e ventricolo sinistro, ed in virt di questo gradiente che il flusso pu essere mantenuto (Figura 2B ). Lentit del gradiente transvalvolare dipende da due fattori: l'area mitralica e la velocit del flusso attraverso la valvola. Quanto minore la superficie valvolare e quanto maggiore la velocit del flusso, tanto pi elevato sar il gradiente. L'area valvolare misura nel normale da 4 a 6 cm2; la riduzione di essa fino a 2,5 cm2 non comporta alterazioni emodinamiche di rilievo. In rapporto all'entit della riduzione dell'area valvolare, si definisce la stenosi lieve quando larea compresa tra 2,5 e 1,5 cm2, moderata se larea tra 1,5 e 1 cm2, e severa (serrata) se l'area minore di 1 cm2. La velocit del flusso attraverso la valvola in relazione diretta con la portata cardiaca e la frequenza. Aumentando la portata, infatti, una maggior quantit di sangue deve attraversare l'orificio valvolare nell'unit di tempo, per cui richiesta una maggiore velocit di flusso. Anche la tachicardia incrementa la velocit di flusso, poich aumentando la frequenza cardiaca si riduce la durata della diastole, cio il tempo disponibile per il passaggio del sangue dall'atrio al ventricolo.* Pi breve il periodo diastolico, maggiore deve essere la velocit del flusso per permettere ad una determinata quantit di sangue di attraversare l'ostio valvolare stenotico. Laumento della pressione atriale sinistra genera un incremento pressorio a monte, cio in tutte le sezioni del circolo polmonare: vene, venule, capillari, arteriole, arterie. Lanello pi debole di questa catena il capillare; quando la pressione sincrementa oltre 25 mm Hg, viene superata la capacit che le proteine plasmatiche hanno di trattenere i fluidi allinterno del vaso (pressione oncotica), e inizia la trasudazione: il liquido invade dapprima linterstizio polmonare e successivamente lalveolo, generando disturbi respiratori che vanno dalla dispnea da sforzo fino alledema polmonare acuto. In molti soggetti con stenosi mitralica lieve o moderata, la pressione nellarteria polmonare non di solito molto elevata a riposo, e l'incremento di essa direttamente correlato all'aumento della pressione capillare: poich il capillare non sopporta pressioni >25 mm Hg (valori pi alti si accompagnano a sintomi evidenti), in arteria polmonare si riscontrer una pressione non maggiore di 35-40 mm Hg (Figura 3A ). In alcuni pazienti, invece, la pressione in arteria polmonare nettamente pi alta di quanto ci si aspetterebbe in base alla pressione atriale sinistra. Il motivo di ci che si realizza un incremento delle resistenze precapillari (arteriolari) polmonari, per cui l'ipertensione arteriosa che ne deriva molto maggiore di quella richiesta per generare il gradiente transvalvolare mitralico (Figura 3C ): in casi del genere non impossibile riscontrare in arteria polmonare pressioni elevate fino a 100 mm Hg o pi. In una fase precoce della malattia, questa ipertensione polmonare dipende da vasocostrizione delle arteriole polmonari, ed perci un fenomeno funzionale, ma successivamente consegue ad alterazioni anatomiche obliterative del letto vascolare polmonare (vasculopatia polmonare). Lo sviluppo dell'ipertensione polmonare modifica il quadro della stenosi mitralica: un eccessivo carico di pressione grava sul ventricolo destro, che non assuefatto a lavorare contro elevate resistenze, e per sopperire al maggior lavoro si ipertrofizza e quindi si dilata. Alla dilatazione ventricolare consegue insufficienza tricuspidalica, dilatazione dell'atrio destro e congestione venosa sistemica. In questa situazione, la presenza di un significativo ostacolo al deflusso ventricolare destro (aumento delle resistenze precapillari) riduce la portata cardiaca, ed impedisce il raggiungimento di una pressione capillare troppo elevata. Di conseguenza il paziente andr incontro meno facilmente a dispnea da sforzo ed edema polmonare acuto (fenomeni dipendenti dall'ipertensione capillare), mentre prevarranno i segni della ridotta gittata (astenia) e le manifestazioni della stasi venosa sistemica (turgore giugulare, epatomegalia, edemi declivi, ascite).
(* La durata della fase sistolica pressoch fissa (intorno a 0,3 secondi) e indipendente dalla frequenza cardiaca. Perci per una frequenza cardiaca di 60 al minuto ciascun ciclo cardiaco dura 1 secondo (0,3 secondi di sistole e 0,7 secondi di diastole): la durata complessiva della diastole sar, perci, 0,42 secondi. Se la frequenza si raddoppia (120/m) ciascun ciclo durer 0,5 secondi (0,3 secondi di sistole e 0,2 di diastole), per cui la durata della diastole sar 0,24 secondi.)

SINTOMI I pi precoci e pi evidenti sintomi legati alla stenosi mitralica sono quelli determinati dalla congestione polmonare: dispnea da sforzo, ortopnea, dispnea parossistica notturna, edema polmonare acuto. Tutte queste manifestazioni dipendono da ipertensione capillare polmonare, con trasudazione di liquido nellinterstizio e negli alveoli. Quando la capacit del sistema linfatico di drenare il trasudato diventa insufficiente, si determina la congestione polmonare. La compliance polmonare allora ridotta, ed il lavoro respiratorio aumenta, cosicch il soggetto va incontro a dispnea, particolarmente quando si trova in posizione supina. La trasudazione massiva di liquido negli alveoli provocata da un improvviso aumento della pressione capillare responsabile dell'edema polmonare; questa manifestazione viene spesso scatenata da incremento della portata e/o della frequenza cardiaca (fibrillazione atriale parossistica, malattie febbrili acute, interventi chirurgici, gravidanza, etc.). Un altro sintomo con cui pu presentarsi la stenosi mitralica l'emoftoe, la quale dipende da ipertensione nelle vene bronchiali: le comunicazioni fra sistema venoso polmonare e sistema venoso bronchiale fanno s che l'aumento pressorio nelle vene polmonari si rifletta anche sulle vene bronchiali, nelle quali possono determinarsi piccole dilatazioni, la cui rottura produce emissione attraverso la bocca di sangue proveniente dalle vie respiratorie. La congestione delle vene bronchiali, con la conseguente iperemia della mucosa bronchiale anche responsabile dell'iperproduzione di muco, da cui deriva la suscettibilit alla bronchite dei pazienti con stenosi mitralica.

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Il decorso della malattia pressoch inevitabilmente caratterizzato dall'insorgenza della fibrillazione atriale. L'aritmia consegue alla dilatazione dell'atrio sinistro ed alle alterazioni strutturali della parete atriale, consistenti in un aumento del connettivo fino alla fibrosi. La disorganizzazione della muscolatura atriale che ne deriva si traduce in disomogeneit dei periodi refrattari: un impulso prematuro in fase vulnerabile pu, perci, scatenare la fibrillazione atriale. L'aritmia pu avere inizialmente andamento parossistico, e in questo caso responsabile di palpitazioni, ma poi diviene cronica. L'insorgenza della fibrillazione atriale legata alle dimensioni dell'atrio sinistro, e dipende anche dallet: l'aritmia pi frequente quando l'atrio dilatato e nei pazienti in cui la malattia data da maggior tempo. Alla fibrillazione atriale legata un'altra fra le manifestazioni cliniche caratteristiche della stenosi mitralica: l'embolia sistemica, la quale consegue a formazione di trombi parietali in atrio sinistro, specialmente nellauricola, con successiva immissione di materiale trombotico nel circolo sistemico. L'embolia non correlata con la gravit della stenosi, potendosi osservare anche nelle forme lievi, e rappresenta a volte la prima manifestazione della malattia. Nel 50-75% dei casi la localizzazione dell'embolo nelle arterie cerebrali. SEGNI CLINICI I pazienti con stenosi mitralica rilevante e bassa portata cardiaca possono presentare la cosiddetta facies mitralica, caratterizzata da cianosi alle labbra con rossore ai pomelli. L'esame obiettivo del cuore assai caratteristico nei casi tipici, ed il quadro ascoltatorio comprende 1 tono forte, schiocco d'apertura mitralico, soffio (rullio) diastolico (Figura 4A); in presenza di ipertensione polmonare non lieve, la componente polmonare del secondo tono pu essere aumentata dintensit. Il soffio diastolico consegue alla turbolenza del flusso transvalvolare, determinata dallostacolo che la valvola stenotica rappresenta; si tratta di un soffio a bassa frequenza, che viene denominato rullio perch ricorda lontanamente il rullare di un tamburo. Nei soggetti a ritmo sinusale il rullio presenta un rinforzo presistolico che manca nei pazienti in fibrillazione atriale (Figura 4B).Il rinforzo del soffio dovuto allaumento del flusso transvalvolare causato in telediastole dalla contrazione dellatrio; poich nella fibrillazione atriale lattivit meccanica dellatrio praticamente assente, con linsorgenza dellaritmia scompare il rinforzo presistolico del soffio della stenosi mitralica. Tuttavia, alcuni o anche tutti i segni ascoltatori caratteristici della stenosi mitralica possono non essere apprezzabili: il segno ascoltatorio pi importante per la diagnosi clinica di stenosi mitralica lo schiocco d'apertura, che si caratterizza per la cronologia protodiastolica, il timbro a tonalit elevata, la sede di ascoltazione alla punta ed al mesocardio. Nei pazienti con scompenso del ventricolo destro, infine, si manifestano i caratteristici segni della congestione venosa sistemica, rappresentati da edemi declivi, epatomegalia, ascite, idrotorace, ecc. DIAGNOSTICA STRUMENTALE Nei pazienti con stenosi mitralica l'Elettrocardiogramma mostra i segni dell'ingrandimento atriale sinistro, fra i quali spicca londa P bifida, con durata aumentata (( 0.11 sec) (Figura 5);nei soggetti con ipertensione polmonare si pu anche riscontrare il quadro elettrocardiografico dell'ipertrofia ventricolare destra. L'esame radiologico fornisce una serie di elementi caratteristici, fra i quali particolarmente importanti sono i segni di ingrandimento dell'atrio e dell'auricola sinistra, e quelli che testimoniano le modificazioni del circolo polmonare. L'Ecocardiografia ha rivoluzionato la diagnostica della stenosi mitralica: l'ecocardiogramma bidimensionale permette non solo un'accurata valutazione dellanatomia e del movimento valvolare (Figura 6, Figura 7), ma anche lo studio dell'apparato sottovalvolare ed il calcolo dell'area mitralica; l'ecocardiogramma Doppler (Figura 8) fornisce dati emodinamici riguardanti sia il gradiente pressorio attraverso la valvola che l'area valvolare, ed anche informazioni indirette sulla pressione polmonare; lecocardiogramma tridimensionale, di recente introduzione, consente una visione quasi anatomica della mitrale; lecocardiogramma transesofageo, eseguito collocando il transduttore nellesofago, in immediata prossimit del cuore, senza linterposizione del tessuto polmonare, che rende difficile il passaggio degli ultrasuoni, consente di studiare la morfologia valvolare nei dettagli e di analizzare anche parti del cuore di difficile approccio con la tecnica transtoracica. Nei pazienti con stenosi mitralica, lesplorazione transesofagea pu svelare la presenza di trombi in atrio, particolarmente nellauricola, elemento che riveste grande rilevanza clinica perch associato ad elevato rischio di embolia sistemica. Il cateterismo cardiaco fornisce numerosi dati fisiopatologici, in particolare larea valvolare, il gradiente transvalvolare (Figura 2), e la pressione polmonare; questi parametri, tuttavia, possono essere ottenuti anche attraverso metodiche non invasive, per cui in molti pazienti, soprattutto giovani, il cateterismo cardiaco non indispensabile per stabilire l'indicazione all'intervento, e neppure per determinare il tipo di intervento da preferire. Il cateterismo conserva, tuttavia, ancora un ruolo molto importante nei pazienti con stenosi mitralica, per la possibilit di eseguire una valvuloplastica tranacatetere. CENNI DI TERAPIA Il trattamento dei pazienti con stenosi mitralica pu essere farmacologico, interventistico* chirurgico. La terapia farmacologica della stenosi mitralica si basa sui seguenti principi: 1) profilassi delle recidive di reumatismo; 2) prevenzione delle embolie sistemiche; 3) terapia della fibrillazione atriale; 4) mantenimento di una frequenza ventricolare accettabile in presenza di fibrillazione atriale cronica; 5) terapia dei disturbi legati alla congestione venosa polmonare. La profilassi delle recidive di reumatismo prevede la somministrazione prolungata di antibiotici e antinfiammatori. La prevenzione delle tromboembolie sistemiche va effettuata nei pazienti con atrio sinistro dilatato e in tutti quelli con fibrillazione atriale. I farmaci di scelta sono gli anticoagulanti orali dicumarolici.

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Se insorge la fibrillazione atriale, opportuno tentare di ripristinare il ritmo sinusale somministrando farmaci antiaritmici, o, in alternativa, con la cardioversione elettrica. Restaurato il ritmo sinusale, si pu eventualmente proseguire un trattamento profilattico a lungo termine con farmaci antiaritmici, per evitare finch possibile le recidive dell'aritmia. Se linsorgenza della fibrillazione non recentissima, la cardioversione deve essere preceduta da una valutazione dell'atrio sinistro, e in particolare dellauricola, mediante ecocardiografia transesofagea, perch la presenza di trombosi atriale controindica qualunque manovra volta a convertire la fibrillazione, per il rischio che, al ripristino del ritmo, si verifichi unembolia. Se la fibrillazione data da diversi giorni o mesi, necessario un lungo periodo di anticoagulazione (almeno 1 mese) prima di procedere alla cardioversione. Nei pazienti con fibrillazione atriale cronica spesso necessaria una terapia volta a mantenere una frequenza cardiaca non troppo elevata; per questo scopo viene spesso utilizzata la digitale, oppure i -bloccanti o i calcioantagonisti. Questi farmaci aumentano il periodo refrattario del nodo A-V, diminuendo la risposta ventricolare alla fibrillazione atriale, cio il numero di impulsi atriali che raggiungono i ventricoli. In casi particolari, nei quali risulti impossibile ottenere con i farmaci un accettabile controllo della frequenza ventricolare, si pu eseguire lablazione del nodo A-V associata allimpianto di un pacemaker ventricolare. Lablazione si ottiene erogando, attraverso un apposito elettrocatetere, energia a radiofrequenza in corrispondenza del nodo: lenergia aumenta la temperatura del tessuto, provocando una lesione irreversibile cui consegue il blocco A-V; lattivazione dei ventricoli diviene cos indipendente da quella degli atri, governata solo dal pacemaker artificiale o da un segnapassi di scappamento posto a valle del blocco. Un particolare intervento di ablazione transcatetere pu anche essere eseguito con lo scopo di abolire il substrato che sottende lo scatenamento e il mantenimento della fibrillazione atriale. I sintomi legati a congestione polmonare (dispnea, ortopnea, edema polmonare acuto) vanno trattati con i diuretici e la limitazione dellapporto dietetico di sodio. I pazienti che presentano questi disturbi, tuttavia, sono quasi sempre in III classe funzionale NYHA, per cui vanno quasi sempre avviati alla terapia chirurgica o alla valvuloplastica percutanea. Questo intervento si esegue inserendo nellatrio destro attraverso la vena femorale un catetere con palloncino: dopo puntura del setto interatriale, eseguita con apposito ago, il catetere viene spinto per via transettale in atrio sinistro ed attraversa la valvola mitrale, in maniera tale che il palloncino si trovi a cavallo della valvola. Gonfiando quindi ripetutamente il palloncino per brevi periodi si esercita sui lembi della valvola stenotica una pressione sufficiente a separarne i foglietti, fusi in corrispondenza delle commissure, cos da ridurre significativamente lostacolo al flusso ematico. La stenosi mitralica pu essere corretta chirurgicamente sia mediante un intervento conservativo (commissurotomia) che sostituendo la valvola con una protesi. La commissurotomia viene ormai eseguita in circolazione extracorporea e sotto visione diretta, mentre lintervento a cielo coperto, che si esegue senza arrestare il cuore, una procedura ormai non pi impiegata. (*Il trattamento interventistico prevede un intervento, cio unazione volta a modificare lanatomia o la struttura del cuore; lintervento viene, per, eseguito senza ricorrere alla chirurgia tradizionale, ma agendo sullorgano attraverso cateteri introdotti nel sistema vascolare e guidati fino al cuore sotto controllo radioscopico o ecografico.)

Capitolo 15 INSUFFICIENZA MITRALICA Paolo Marino


DEFINIZIONE Linsufficienza mitralica una malattia caratterizzata da perdita della coordinata azione di una o pi delle componenti (anulus, lembi valvolari, corde tendinee, muscoli papillari) dellapparto valvolare, con esito in imperfetto collabimento dei lembi in sistole. La valvola insufficiente comporta un reflusso di sangue, in sistole, dal ventricolo allatrio sinistro, capace di causare aumento della pressione atriale dipendente dalla quantit di sangue rigurgitato e dalle caratteristiche fisiche della parete atriale. Se laumento della pressione atriale non viene compensato da un corrispondente aumento di volume dellatrio, lipertensione si riflette a monte sul circolo polmonare ed infine sul ventricolo destro. EZIOLOGIA La degenerazione mixomatosa della valvola (nota anche con il termine di prolasso valvolare mitralico, vedi pi avanti) rappresenta la causa pi frequente di insufficienza mitralica. Essa provoca incontinenza poich i lembi valvolari allungati e ridondanti protrudono eccessivamente allinterno dellatrio sinistro durante la sistole ventricolare, piuttosto che opporsi reciprocamente come fanno normalmente. La malattia coronarica rappresenta unaltra causa importante di insufficienza mitralica, poich pu generare disfunzione temporanea o permanente di un muscolo papillare, interferendo con la chiusura valvolare. Lendocardite infettiva pu causare insufficienza mitralica poich linfezione pu indurre perforazione valvolare o rottura delle corde infette. Anche la malattia reumatica rientra nelleziopatogenesi dellinsufficienza mitralica, se si accompagna ad eccessivo accorciamento e retrazione delle corde. Infine la cardiomiopatia ipertrofica, malattia caratterizzata da unabnorme ed asimmetrica ipertrofia ventricolare (vedi Capitolo), provoca una ostruzione dinamica endoventricolare cui corrisponde imperfetta chiusura valvolare e significativa insufficienza mitralica.

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Anche la significativa dilatazione ventricolare, comunque generata, pu causare insufficienza mitralica funzionale attraverso 2 meccanismi che interferiscono con la chiusura dei lembi valvolari: 1) la separazione spaziale tra i due muscoli papillari aumentata e 2) lanulus mitralico sovradisteso. Altra causa di insufficienza mitralica la calcificazione dellanulus, che immobilizza la porzione basale dei lembi valvolari, interferendo con la loro normale escursione e la coaptazione sistolica. ANATOMIA PATOLOGICA Nel prolasso valvolare mitralico le cuspidi sono iperdistese e le corde allungate. Nelle forme pi gravi c espansione dei lembi che assumono conformazione cupoliforme (Patologia 10). Vista dal lato atriale, la valvola con degenerazione mixomatosa dimostra un variabile interessamento delle cuspidi: nella maggior parte dei casi sono coinvolti uno o pi segmenti del lembo posteriore o, meno frequentemente, entrambi i foglietti. Lesame istologico rivela la sostituzione della struttura fibrosa con tessuto mixomatoso, ricco di mucopolisaccaridi acidi e mastociti. La rottura delle corde (Patologia 11), nei pazienti affetti da insufficienza mitralica, pu essere il risultato delleccessivo stress meccanico a cui le stesse sono sottoposte (come nel caso della degenerazione mixomatosa dei lembi) o la conseguenza di un insulto infettivo, come nellendocardite (Vedi Capitolo 34, Patologia 12). In questo caso, si possono anche notare lembi perforati e frastagliati, con frequenti formazioni vegetanti. La calcificazione anulare rappresenta unaltra condizione causa di insufficienza mitralica, con unincidenza che tende ad aumentare con il crescere dellet del soggetto, ma che raramente si manifesta, macroscopicamente, prima dei 70 anni. La dilatazione anulare unaltra delle cause di insufficienza mitralica. Tale fenomeno pu essere primario o secondario a condizioni di sovraccarico volumetrico. Infine, nei pazienti con un grave deficit ventricolare sinistro, il rigurgito mitralico pu essere presente indipendentemente dallo sfiancamento valvolare o da alterazioni dellanulus. In questi casi, la conformazione globosa del ventricolo sposta lasse di trazione dei muscoli papillari rispetto alle cuspidi (Figura 1); la correzione del deficit ventricolare comporta il recupero della conformazione fisiologica che, a sua volta, ripristinando il normale asse di trazione, risolve il rigurgito. FISIOPATOLOGIA Nellinsufficienza mitralica una frazione della gittata sistolica eiettata, in via retrograda, nella cavit atriale, la quale una camera a bassa pressione (Figura 2). La gittata anterograda in aorta, perci, risulta minore della gittata ventricolare, costituita dalla somma della gittata anterograda normale pi quella, patologica, retrograda. Allinsufficienza mitralica consegue un incremento della pressione e del volume atriale sinistro, una riduzione della gittata anterograda in aorta ed un sovraccarico di volume ventricolare poich in diastole il volume rigurgitato ritorna in ventricolo assieme al sangue refluo proveniente dai polmoni. Per far fronte alla normale domanda ed espellere il volume addizionale, la gittata sistolica ventricolare aumenta grazie al meccanismo di Frank-Starling dove laumentato stiramento miofibrillare, causato dallaumentato volume ventricolare in diastole, determina un aumento del volume eiettato. Ovviamente, la conseguenza emodinamica dellinsufficienza mitralica varia a seconda della severit del rigurgito e dalla sua durata nel tempo. La gravit del rigurgito dipende dalla dimensione dellorifizio rigurgitante in sistole e dal gradiente di pressione sistolico tra atrio e ventricolo sinistro. La frazione di rigurgito nellinsufficienza mitralica definita dal rapporto tra il volume rigurgitante e la gittata ventricolare totale, rapporto che dipende, a sua volta, dallentit delle resistenze periferiche che si oppongono flusso anterogrado e dalla compliance dellatrio sinistro. Ad esempio, lipertensione o la presenza di una coatazione aortica aumenter la frazione di rigurgito. Lentit dellincremento della pressione atriale sinistra in risposta al volume rigurgitante dipende dalla compliance atriale sinistra (la compliance una misura della relazione tra volume e pressione endocavitaria, definibile come variazione di volume per una data variazione in pressione). Nellinsufficienza mitralica acuta (dovuta, ad esempio, allimprovvisa rottura di una corda) la compliance atriale sinistra subisce unimprovvisa riduzione. Questo dovuto al fatto che latrio sinistro una camera relativamente rigida, e quando si determina improvvisamente il rigurgito laumento del volume atriale si realizza solo attraverso un importante incremento della sua pressione endocavitaria (Figura 3). Questo aumento in pressione contribuisce a prevenire lulteriore incremento del rigurgito. Va detto per che lelevata pressione atriale sinistra si trasmette alla circolazione polmonare, provocando rapida congestione fino alledema.Nellinsufficienza mitralica acuta la curva pressoria atriale sinistra o dei capillari polmonari (stima indiretta della pressione atriale sinistra), mostra unonda v prominente, la quale riflette laumentato riempimento atriale sinistro che si realizza, in modo del tutto anomalo, durante la sistole ventricolare (Figura 3). Nellinsufficienza mitralica cronica il ventricolo accomoda il sovraccarico volumetrico grazie al meccanismo di Starling, come sopra accennato. Laumento di volume ventricolare genera un aumento compensatorio della gittata sistolica, in modo da far s che alla fine della sistole il volume ventricolare sinistro si mantenga entro valori normali, almeno fino a che il cuore mantiene il compenso, oltre ad un incremento delle pressioni di riempimento. Lo svuotamento sistolico del cuore sinistro favorito dal fatto che il cuore stesso pu sfiatare in una cavit a bassa impedenza, e cio latrio, rispetto alla grande resistenza offerta dallaorta.Diversamente che nella forma acuta, lo sviluppo graduale dellinsufficienza mitralica cronica consente allatrio sinistro di andare incontro a modificazioni compensatorie che attenuano leffetto del rigurgito sul circolo polmonare. La compliance atriale, infatti, aumenta grazie alla proliferazione parietale, e consente allatrio di accogliere un volume aumentato di sangue senza un corrispettivo aumento di pressione. In questo modo leffetto sulla pressione polmonare viene ad essere in parte neutralizzato, bench latrio rischi di diventare una sorta di serbatoio a bassa pressione dove gran parte del volume eiettato si accumula. In tale processo di cronicizzazione, con laumentare del grado di rigurgito, i sintomi lamentati dal paziente passano da quelli dettati dalla congestione polmonare a quelli legati alla bassa portata. La progressiva, cronica dilatazione dellatrio predispone, inoltre, allo sviluppo della fibrillazione atriale.Nellinsufficienza mitralica cronica anche il ventricolo, cos come latrio, va incontro ad una graduale dilatazione compensatoria in risposta al sovraccarico di volume. Rispetto allinsufficienza

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mitralica acuta laumentata compliance ventricolare accomoda il sovraccarico volumetrico pur mantenendo delle pressioni relativamente normali. Nel corso degli anni, per il sovraccarico cronico induce un progressivo deterioramento della funzione sistolica, con la comparsa, in fase terminale, di un quadro di insufficienza ventricolare sinistra.

SINTOMI I pazienti con insufficienza mitralica acuta si presentano generalmente con sintomi di congestione polmonare. I sintomi dellinsufficienza mitralica cronica, invece, sono prevalentemente quelli della bassa portata, particolarmente durante lo sforzo. I soggetti nei quali la funzione contrattile tende a scadere lamentano dispnea fino allortopnea ed alla dispnea parossistica notturna. Nellinsufficienza mitralica cronica grave possono comparire anche i sintomi legati allinsufficienza ventricolare destra. SEGNI CLINICI Nellinsufficienza mitralica, lascoltazione del cuore rivela un soffio olosistolico apicale (soffio da rigurgito, Figura 4) che si irradia generalmente allascella sinistra, anche se questa regola riconosce molte eccezioni. Oltre al soffio sistolico, la presenza di un III tono frequente nellinsufficienza mitralica rilevante, cos come il poter palpare un itto lateralizzato a causa dellingrandimento cardiaco. DIAGNOSTICA STRUMENTALE LECG tipicamente dimostra segni di ingrandimento atriale sinistro ed ipertrofia ventricolare sinistra (vedi Capitolo 3); anche la radiografia del torace pu mostrare lingrandimento delle camere cardiache sinistre, e a volte rivela calcificazioni anulari. Lecocardiogramma pu rivelare la causa strutturale dellinsufficienza mitralica e graduarne la severit mediante limpiego del Color-Doppler (ECO 06), ed anche mettere in luce sia la dilatazione atriale e ventricolare che lipercinesia delle pareti ventricolari. Il cateterismo cardiaco utile per identificare una causa ischemica di insufficienza mitralica e per graduarne la severit. La caratteristica alterazione emodinamica rappresentata dalla presenza, nella curva di pressione atriale, di una onda v, la cui ampiezza dipende dallentit del rigurgito e dalla compliance dellatrio (Figura 3). PROLASSO VALVOLARE MITRALICO Il prolasso valvolare mitralico rappresenta una condizione ereditaria nellambito di un disordine autosomico dominante o pu verificarsi come manifestazione cardiaca nel contesto di malattie connettivali, pi frequentemente riscontrabile nelle donne giovani, specie quelle con habitus longilineo. Esso rappresenta una condizione frequentemente asintomatica, ma che talora pu accompagnarsi a precordialgie e cardiopalmo. Viene identificato anche con il termine della sindrome del click e del soffio mesotelesistolico. Lapparato valvolare ridondante, messo in tensione dalla sistole ventricolare, responsabile del click (Figura 5), mentre lincontinenza della valvola causa del soffio che caratteristicamente occupa la mesotelesistole. Tra le indagini strumentali lecocardiografia la diagnostica pi importante, e pu evidenziare la ridondanza di uno od entrambi i lembi valvolari, che prolassano in atrio sinistro durante la mesotelesistole. A poco serve invece lelettrocardiogramma, che risulta, cos come la radiografia del torace, sostanzialmente normale, a parte leventuale presenza di battiti ectopici e/o, se linsufficienza mitralica importante, dei segni di ingrandimento atriale e ventricolare sinistro. Il decorso clinico sostanzialmente benigno, giacch la condizione non richiede trattamento specifico, a parte la necessit della profilassi dellendocardite batterica in caso di prolasso con rigurgito significativo od in presenza di strutture valvolari e cordali particolarmente ridondanti ed ispessite. Tra le complicanze, oltre alla gi citata infezione della valvola, va segnalata la possibile rottura di una o pi corde, con il generarsi di una insufficienza mitralica acuta, ed il rischio tromboembolico, legato alla deposizione di piastrine sulla superficie valvolare. Da ultimo va ricordata la possibile presenza di manifestazioni aritmiche, che raramente mostrano carattere di malignit. CENNI DI TERAPIA La storia naturale dellinsufficienza mitralica legata alla sua eziopatogenesi, con un decorso molto lento come nel caso delleziologia reumatica o molto rapido come nel caso di un improvviso aggravamento di una forma cronica a causa della rottura di una o pi corde tendinee. Lo scopo della terapia quello di ridurre lentit del rigurgito e di accrescere la portata anterograda, attenuando i sintomi ed i segni di congestione polmonare e quelli legati alla bassa portata. I diuretici ed i vasodilatatori trovano spazio nel trattamento dellinsufficienza mitralica acuta. Luso dei vasodilatatori, come gli inibitori del sistema renina-angiotensina limitato, nellinsufficienza mitralica cronica, ai casi caratterizzati da un concomitante incremento dei livelli tensivi in aorta. Linsufficienza mitralica pu subdolamente sconfinare in un quadro di scompenso cardiaco legato al cronico, inarrestabile deterioramento della funzione contrattile associato alla persistenza del sovraccarico di volume. La chirurgia cardiaca appare indicata prima che un tale evento possa verificarsi. A pi di 30 anni dai primi impianti valvolari, lesatto timing dellintervento sostitutivo valvolare mitralico nellinsufficienza mitralica rimane una tra le

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decisioni cliniche pi difficili per il cardiologo clinico. Una strategia interessante latteggiamento chirurgico conservativo, capace cio di riparare (e non sostituire) la valvola eliminando molti dei problemi propri delle protesi valvolari (vedi Capitolo 62). Nei pazienti cos trattati la sopravvivenza postoperatoria appare nettamente migliore rispetto al paziente non operato. In generale lintervento riparativo appare particolarmente indicato per i pazienti giovani, con malattia degenerativa della valvola, mentre lintervento sostitutivo trova indicazione principalmente negli anziani, con malattia valvolare estesa e non suscettibile di riparazione.

Capitolo 16 STENOSI AORTICA Francesco Pizzuto, Francesco Romeo


DEFINIZIONE La stenosi della valvola aortica il restringimento dell'orifizio valvolare conseguente a processi patologici che colpiscono i lembi, le commissure o l'anello valvolare. La valvola ristretta ostacola lo svuotamento del ventricolo sinistro in sistole, e rende necessario che aumenti la pressione intraventricolare perch si instauri fra il ventricolo sinistro e laorta un gradiente pressorio sufficiente a garantire un normale flusso anterogrado. Come conseguenza del sovraccarico di pressione, il ventricolo sinistro va incontro ad ipertrofia. EZIOLOGIA La stenosi valvolare aortica pu essere congenita ed evidenziarsi gi alla nascita (vedi Capitolo 51) o acquisita; anche in questultimo caso la malattia, pur manifestandosi nelladulto o nellanziano, dipende a volte da unanomalia congenita, la valvola aortica bicuspide (Figura 1). La bicuspidia aortica presente nel 2% della popolazione, e di per s non comporta un significativo ostacolo all'efflusso ventricolare sinistro. I lembi valvolari anomali, tuttavia, determinano una turbolenza del flusso, che nel tempo pu provocare una fibrosi valvolare, con esito in progressivo restringimento dellostio. Anche la normale valvola a tre cuspidi pu andare incontro a processi degenerativi, legati soprattutto allinvecchiamento ma anche a processi degenerativi: la stenosi aortica degenerativa (o senile) caratterizzata dalla presenza di cuspidi rese ipomobili dal deposito di calcio lungo le commissure (Figura 2). Leziologia reumatica della stenosi aortica relativamente rara, ed pi frequente nei casi di un vizio combinato mitro-aortico. La stenosi aortica reumatica risulta dalladesione e fusione delle commissure e delle cuspidi, con retrazione e irrigidimento dei bordi liberi e presenza su entrambe le superfici delle cuspidi di noduli calcifici che riducono lorificio (Figura 3). FISIOPATOLOGIA Il progressivo restringimento valvolare rappresenta un ostacolo alleiezione del sangue dal ventricolo sinistro. Per vincere questa resistenza e mantenere un flusso anterogrado normale, la pressione sistolica nel ventricolo sinistro deve sempre superare quella presente in aorta; la differenza pressoria tra ventricolo sinistro ed aorta, definita gradiente pressorio, proporzionale allentit dell'ostruzione (Figura 4). Larea valvolare aortica normale nell'adulto compresa tra 1.6 e 2.6 cm2. Quando lostio della valvola si riduce a meno di un quarto del normale, il gradiente supera 50 mmHg. Il sovraccarico pressorio che grava sul ventricolo sinistro stimola, come meccanismo compensatorio, lipertrofia ventricolare, e induce un aumento pi o meno marcato dello spessore delle pareti e del setto interventricolare, mentre la cavit ventricolare non si dilata. Lipertrofia ventricolare che si realizza in seguito al sovraccarico di pressione, come nella stenosi aortica, concentrica, caratterizzata dalla replicazione dei sarcomeri in parallelo allinterno della fibra, per cui questa aumenta il suo spessore ma non diviene pi lunga. Al contrario, il sovraccarico di volume quale si realizza, per esempio, nellinsufficienza aortica, induce unipertrofia eccentrica, poich i nuovi sarcomeri si dispongono in serie e la fibrocellula si allunga anzich ispessirsi. Nella stenosi aortica, lipertrofia concentrica consente al ventricolo sinistro di compiere un maggior lavoro, e anche di mantenere a valori quasi normali lo stress di parete. Secondo la legge di Laplace, lo stress di parete o postcarico (omega) uguale al prodotto della pressione endocavitaria (P) per il raggio della cavit (r), diviso per il doppio dello spessore della parete (h), secondo la formula: omega=Pr/2h. Nella stenosi aortica, il ventricolo sinistro va incontro ad un aumento dello stress di parete per aumento della pressione, mentre lincremento dello spessore parietale riduce lo stress e quindi il postcarico. Il meccanismo di compenso rappresentato dallipertrofia, per, comporta degli svantaggi perch:

laumento della massa muscolare determina un aumento del consumo miocardico di O2; lincremento della pressione endocavitaria ostacola la perfusione miocardica, esercitando unaumentata compressione sui vasi coronarici; la distensibilit (compliance) del ventricolo sinistro diminuisce, alterando il rilasciamento del ventricolo sinistro ed ostacolandone il riempimento diastolico, che diventa pertanto sempre pi dipendente dal contributo della sistole atriale.

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Lo sforzo pu mettere in crisi questi precari meccanismi di compenso in quanto produce:

un aumento del consumo di O2 da parte del miocardio, non controbilanciato da una corrispondente aumento della perfusione miocardica, con possibile comparsa di angina; un notevole aumento della pressione ventricolare sinistra necessaria per mantenere il flusso richiesto dallesercizio muscolare, con una accentuata stimolazione dei meccanocettori ventricolari (recettori sensibili alle variazioni dello stiramento) che possono innescare a loro volta una vasodilatazione periferica riflessa, provocando una sincope. Un aumento del postcarico, con conseguente aumento della pressione ventricolare sinistra sotto sforzo cosicch il ventricolo sinistro, che gi in condizioni di riposo lavora a pressioni superiori alla norma, riduce la sua funzione contrattile e non riesce ad espellere il sangue ricevuto in diastole. Si produce cos un aumento della pressione in atrio sinistro, che a sua volta determina un aumento della pressione a monte, nel circolo polmonare, con conseguente congestione polmonare fino alledema polmonare. QUADRO CLINICO Sintomi. Il paziente con stenosi aortica asintomatico per molti anni, nonostante la malattia si aggravi progressivamente. Quando la valvulopatia diviene critica compaiono i sintomi: dispnea (scompenso cardiaco), angina e sincope. Se, da quando insorgono i sintomi, la malattia decorre non trattata, il peggioramento progressivo e la sopravvivenza media 2 anni nei pazienti con scompenso, 3 nei soggetti con sincope e 5 anni in quelli con angina. Nella maggior parte dei casi il primo sintomo la dispnea da sforzo, seguita eventualmente da ulteriori manifestazioni di insufficienza ventricolare sinistra (ortopnea, dispnea parossistica notturna, edema polmonare). Langina presente in circa 2/3 dei casi, ed simile a quella dei pazienti con coronaropatia, venendo scatenata dallo sforzo e scomparendo con il riposo. La sincope insorge tipicamente durante sforzo (per la risposta inappropriata dei barocettori del ventricolo sinistro), ma pu anche essere la conseguenza di aritmie. Segni Fisici. La palpazione della zona precordiale pu evidenziare un fremito sistolico, espressione di un flusso aortico particolarmente turbolento, dovuto a un notevole gradiente tra ventricolo sinistro ed aorta. Lascoltazione rivela un soffio sistolico eiettivo con epicentro al 2 spazio intercostale destro sulla linea marginosternale (focolaio dascoltazione aortico) ed irradiazione verso i vasi del collo, cio nel senso del flusso. DIAGNOSTICA STRUMENTALE Nei pazienti con stenosi aortica, la radiografia del torace pu mostrare un allargamento del margine sinistro dellombra cardiaca, dovuto all'ipertrofia del ventricolo sinistro, ma anche un ingrandimento del primo arco di destra (dilatazione dellaorta ascendente) e una congestione degli ili polmonari (soprattutto nelle fasi avanzate della malattia, in presenza di scompenso cardiaco). L'elettrocardiogramma rappresenta il test diagnostico non invasivo maggiormente utilizzato per confermare la diagnosi clinica. Il segno elettrocardiografico principale lipertrofia ventricolare sinistra, presente nell'80% circa dei pazienti con stenosi aortica severa (Figura 5). L'ecocardiogramma integrato (M-mode, bidimensionale e Doppler) rappresenta il test diagnostico non invasivo pi utile e completo per la valutazione dei pazienti con stenosi aortica (Figura 6). Permette, infatti, di quantificare l'entit del vizio aortico, determinando sia il grado di ipertrofia del ventricolo sinistro e la sua funzione (ecocardiografia M-mode e bidimensionale) che l'entit del gradiente transvalvolare aortico e l'area valvolare (ecocardiografia Doppler). Il Cateterismo Cardiaco ha rappresentato per molti decenni laccertamento diagnostico pi importante per valutare la stenosi aortica, consentendo la misurazione di tutti i parametri utili per diagnosticare e quantizzare la valvulopatia, come il gradiente aortico, l'area valvolare e le pressioni polmonari. Tuttavia, l'introduzione dell'ecocardiografia Doppler ha notevolmente ridotto la necessit di ricorrere allo studio invasivo per la valutazione della stenosi aortica, limitando il cateterismo cardiaco ai casi dubbi, oppure quando possibile effettuare una terapia non chirurgica della valvulopatia (valvuloplastica aortica o impianto percutaneo di una protesi valvolare). CENNI DI TERAPIA I pazienti con stenosi aortica asintomatica non necessitano di trattamento; nei sintomatici la terapia chirurgica e consiste nella sostituzione della valvola aortica con protesi meccanica o biologica (vedi Capitolo 62). La sostituzione valvolare aortica con trattamento percutaneo (tramite cateterismo cardiaco) ancora in fase iniziale, e bench i risultati ottenuti finora siano incoraggianti, necessita di ulteriori conferme ed al momento attuale viene riservata soltanto a quei pazienti che, pur necessitando della sostituzione valvolare, non possono essere sottoposti allintervento chirurgico.

Capitolo 17 INSUFFICIENZA AORTICA Corrado Vassanelli


DEFINIZIONE

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L'insufficienza aortica una malattia della valvola aortica, la quale diviene incontinente per anomalie dei lembi valvolari, delle strutture di supporto (radice aortica ed annulus) o di entrambi. Si verifica, di conseguenza, un flusso retrogrado (rigurgito) di sangue dall'aorta al ventricolo sinistro durante la diastole. EZIOLOGIA ED ANATOMIA PATOLOGICA L'insufficienza aortica pu essere provocata da anomalie congenite dei lembi (valvola aortica bicuspide, stenosi subaortica con difetto del setto interventricolare e prolasso di una cuspide), oppure da alterazioni di origine infiammatoria o degenerativa, fra cui quelle determinate dalla malattia reumatica (Figura 1), dall'endocardite infettiva (Figura 2) o dalle malattie del connettivo. I lembi valvolari, inoltre, possono essere danneggiati da traumi chiusi della parete del torace o da lesioni da getto conseguenti a stenosi subaortica dinamica o fissa. Le patologie dell'annulus o della radice aortica comprendono la dilatazione idiopatica della radice aortica, l'ectasia annuloaortica, la sindrome di Marfan, la sindrome di Ehlers-Danlos, l'osteogenesi imperfetta, la dissezione aortica, l'aortite luetica, e varie malattie del connettivo, fra cui la spondilite anchilosante. Una valvola aortica bicuspide si accompagna spesso a dilatazione della radice aortica e a conseguente insufficienza (Tabella I). Una causa non infrequente della malattia la degenerazione strutturale di una bioprotesi valvolare. L'insufficienza aortica cronica grave, di qualsiasi eziologia, pu provocare dilatazione della radice aortica, che esita in progressivo peggioramento del rigurgito valvolare. Le cause pi frequenti di insufficienza aortica acuta (pi rara, ma a prognosi peggiore) sono l'endocardite infettiva, la dissezione aortica o un trauma chiuso del torace. FISIOPATOLOGIA Le conseguenza fisiopatologiche della valvulopatia variano a seconda che il rigurgito si stabilisca improvvisamente e sia massivo (insufficienza aortica acuta) o sia inizialmente lieve e progredisca lentamente nel tempo. Nell'insufficienza aortica acuta grave, un notevole volume ematico di rigurgito diastolico va a sovraccaricare improvvisamente un ventricolo sinistro di normali dimensioni, che non ha avuto il tempo per adattarsi. L' aumento del volume telediastolico fa incrementare drammaticamente la pressione telediastolica ventricolare sinistra e la pressione atriale sinistra: poich la camera ventricolare non in grado di dilatarsi in modo compensatorio, ne consegue una riduzione della gittata sistolica anterograda. La tachicardia riflessa, che si instaura nel tentativo di mantenere una portata cardiaca adeguata, spesso insufficiente, ed i pazienti possono andare incontro a edema polmonare o shock cardiogeno. L'insufficienza aortica acuta particolarmente mal tollerata nei pazienti con ventricolo sinistro ipertrofico piccolo e poco distensibile, come accade quando il rigurgito consegue a dissezione aortica in pazienti ipertesi, o ad endocardite infettiva in soggetti con stenosi aortica preesistente. Questi pazienti possono anche manifestare segni e sintomi di ischemia miocardica, poich si riduce la pressione di perfusione nel letto coronarico a causa del progressivo incremento della pressione telediastolica ventricolare sinistra, che tende a eguagliare la pressione diastolica aortica e quella coronarica. Nell'insufficienza aortica cronica grave, il sovraccarico al ventricolo sinistro sia di volume che di pressione. Il ventricolo sinistro aumenta di volume perch deve accogliere non solo il sangue che proviene dalle vene polmonari, ma anche quello che refluisce dallaorta durante la diastole. Il sovraccarico di volume conseguenza della quota rigurgitante, ed direttamente correlato alla gravit del rigurgito. Nelle fasi precoci, il ventricolo sinistro si adatta al sovraccarico di volume con una ipertrofia eccentrica, in cui i sarcomeri si allineano in serie ed i miofilamenti si allungano: ne consegue un incremento della forza di contrazione, in accordo alla legge di Starling. La gittata sistolica aumentata, e con essa la pressione sistolica. L'ipertensione sistolica pu contribuire alla progressiva dilatazione della radice aortica che a sua volta peggiora l'insufficienza aortica. Nelle fasi pi avanzate, la progressiva dilatazione del ventricolo sinistro pu produrre una grave disfunzione ventricolare, peggiorata dalla progressiva riduzione della distensibilit del ventricolo, causata dallipertrofia e dalla fibrosi. SINTOMI I sintomi dell'insufficienza aortica dipendono dalla velocit con cui si realizza il danno valvolare, e sono tipici dello scompenso cardiaco sinistro. Se il rigurgito aortico si instaura acutamente, non vi tempo perch il ventricolo sinistro possa mettere in atto i meccanismi compensatori dell'ipertrofia e della dilatazione, per cui linsufficienza ventricolare sinistra si manifesta rapidamente, anche con ledema polmonare acuto. I pazienti con insufficienza aortica cronica, invece, sono solitamente asintomatici ed hanno una buona tolleranza allo sforzo per anni, fino a che, con il deficit del ventricolo sinistro, compaiono dispnea da sforzo, astenia e talora ortopnea e dispnea parossistica notturna. Il paziente pu anche avvertire palpitazioni a causa della percezione dell'attivit cardiaca dovuta all'ingrandimento del ventricolo. Anche in assenza di malattia coronarica, le aumentate richieste di ossigeno da parte del ventricolo sinistro possono causare angina pectoris, soprattutto nelle ore notturne. SEGNI CLINICI L'esame obiettivo nell' insufficienza aortica cronica caratterizzato dallo stato iperdinamico della malattia. La pressione arteriosa sistolica aumentata, per lincremento della gittata sistolica ventricolare sinistra, mentre la pressione diastolica ridotta sia per la vasodilatazione periferica, ma soprattutto per il flusso retrogrado verso il ventricolo sinistro; la pressione differenziale, perci, risulta notevolmente pi ampia del normale. Queste variazioni dipendono grossolanamente dallentit della insufficienza: si ritiene che, in assenza di scompenso cardiaco, questo vizio valvolare sia poco significativo quando la pressione diastolica non <70 mm Hg.

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Alla palpazione, il polso scoccante (ampio e celere), poich da un lato la gittata sistolica aumentata, e dallaltro la valvola aortica insufficiente non trattiene il sangue nel letto arterioso: l'effetto una pulsazione che sembra schioccare bruscamente contro le dita e scomparire altrettanto rapidamente (polso a martello pneumatico). L'impulso apicale ipercinetico, di ampia superficie, spesso dislocato in basso ed a sinistra rispetto al normale. Il rigurgito diastolico del sangue attraverso la valvola aortica provoca un soffio: poich il flusso retrogrado elevato quando la pressione nella radice aortica al suo massimo, e declina quando la pressione aortica cade, il soffio dellinsufficienza aortica massimo in protodiastole e quindi decresce (Figura 3). Il soffio ha timbro dolce, aspirativo, e si ascolta meglio con il paziente seduto, durante espirazione forzata; la sua intensit massima lungo la parte inferiore della linea margino-sternale sinistra. La durata del soffio indica grossolanamente la gravit della malattia: nei casi lievi esso si ascolta solo quando il gradiente tra aorta e ventricolo sinistro elevato, cio in protodiastole; con laumentare della gravit, il soffio diventa olodiastolico. Con la comparsa dello scompenso, poi, l'incremento della pressione telediastolica ventricolare sinistra e il rapido calo della pressione diastolica aortica riducono il gradiente di rigurgito, e il soffio torna ad accorciarsi. Nell'insufficienza aortica acuta, il soffio diastolico pu essere addirittura assente a causa del rapido equilibrio tra le pressioni aortica e ventricolare sinistra. Sul focolaio aortico rilevabile quasi sempre un soffio sistolico eiettivo, dovuto all'eccessivo flusso anterogrado, che pu mimare una stenosi aortica (Figura 3B). Il secondo tono di solito singolo. Un tono aggiunto eiettivo aortico (click da eiezione) pu essere ascoltato soprattutto in presenza di valvola aortica bicuspide DIAGNOSTICA STRUMENTALE L'ECG mostra spesso ipertrofia ventricolare sinistra, caratterizzata da onde R alte nelle derivazioni precordiali sinistre ed S profonde nelle destre, sottoslivellamento di ST e T invertite in I , aVL e V5-V6. (vedi Capitolo 3). La radiografia del torace mostra cardiomegalia che, associata alla dilatazione dell'aorta ascendente e dell'arco aortico, conferisce al cuore la caratteristica configurazione a scarpa. L'esame diagnostico pi importante nella valutazione dell' insufficienza aortica l'ecocardiogramma che permette di: 1) valutare l'anatomia dei lembi valvolari e della radice aortica, 2) rilevare la presenza e stimare la gravit del rigurgito (con il color-Doppler) (ECO 18), 3) caratterizzare la dimensione, la massa e la funzione del ventricolo sinistro. Il cateterismo cardiaco, l'aortografia e l'angiografia coronarica sono raramente necessari, soprattutto nei casi acuti, e dovrebbero essere eseguiti solo quando la diagnosi non pu essere fatta altrimenti o nei pazienti con coronaropatia nota o elevata probabilit di malattia coronarica. CENNI DI TERAPIA In caso di insufficienza aortica acuta, l'intervento cardiochirurgico immediato necessario poich il sovraccarico improvviso di volume potenzialmente fatale. In questi casi la correzione chirurgica urgente poich la terapia medica usuale fallisce: i vasodilatatori utilizzati per incrementare il flusso anterogrado peggiorano l'ipotensione, l'ischemia e la disfunzione ventricolare sinistra, ed i farmaci che incrementano la pressione aumentano le resistenze periferiche e peggiorano il rigurgito. La terapia medica non in grado di ridurre significativamente il volume di rigurgito nell' insufficienza aortica cronica grave poich l'area di rigurgito relativamente fissa e la pressione diastolica gi bassa: una ulteriore riduzione di questa peggiorerebbe la perfusione coronarica. L'obiettivo principale della terapia medica quindi quello di ridurre lipertensione sistolica, al fine di diminuire lo stress parietale e migliorare la funzione del ventricolo sinistro. Per questo possono essere usati farmaci vasodilatatori quali ACE-inibitori o calcio-antagonisti diidropiridinici (vedi Capitolo 57). Nei pazienti con insufficienza aortica isolata cronica, la sostituzione valvolare (o a volte la plastica valvolare ) indicata solo nei casi gravi, mentre nei soggetti sintomatici ma con insufficienza aortica lieve devono essere escluse altre cause di disfunzione ventricolare come coronaropatia, ipertensione o cardiomiopatia. I migliori risultati chirurgici si ottengono prima che il diametro telediastolico del ventricolo sinistro superi i 55 mm e che la frazione di eiezione scenda al di sotto del 55%. In presenza di concomitante malattia della radice aortica, alla sostituzione valvolare dovrebbe essere associata la ricostruzione della radice e dell'aorta prossimale se il diametro dell'aorta supera i 5.0 cm.

Capitolo 19 MALATTIE DELLA TRICUSPIDE E DELLA POLMONARE


Ketty Savino, Sandra D'Addario, Elisabetta Bordoni, Giuseppe Ambrosio STENOSI TRICUSPIDALE Definizione. La stenosi tricuspidale consiste nel restringimento dellorifizio valvolare, cui consegue un ostacolo al passaggio del sangue dallatrio al ventricolo destro. Si viene, perci, a creare un gradiente di pressione tra atrio e ventricolo, e laumento della pressione atriale determina una dilatazione dellatrio destro. Eziologia ed anatomia patologica. La stenosi tricuspidale riconosce varie cause ma la pi frequente la malattiareumatica (vedi Capitolo 13), una sindrome infiammatoria acuta sistemica che coinvolge lendocardio

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valvolare. In genere la malattia tricuspidale non isolata ma si associa ad una valvulopatia mitralica ed aortica. Gli esiti sono la fibrosi e la retrazione delle strutture coinvolte. Il quadro anatomo-patologico ricorda quello della stenosi mitralica con fibrosi e retrazione delle cuspidi valvolari, fusione delle commissure e delle corde tendinee. I tumori dellatrio destro, se di cospicue dimensioni, possono provocare unostruzione al flusso trans-valvolare e simulare una stenosi tricuspidale. In questi casi la stenosi funzionale, cio non sono presenti alterazioni dellanatomia valvolare. La sindrome da carcinoide (vedi oltre) pu determinare una stenosi tricuspidale anche se, in genere, causa di insufficienza valvolare. Fisiopatologia. La riduzione dellarea valvolare tricuspidale ostacola il riempimento ventricolare destro, che tende ad essere mantenuto normale da un aumento della pressione atriale destra. Data lassenza di valvole tra vene cave e atrio, lincremento della pressione atriale si ripercuote immediatamente sul circolo cavale, determinando unipertensione venosa sistemica. Sintomi e segni clinici.La stenosi tricuspidale in genere ben tollerata: frequentemente i pazienti adulti sono asintomatici e la patologia viene identificata esclusivamente in base ai reperti ascoltatori. Lesame obiettivo evidenzia i segni dellipertensione venosa sistemica: edemi declivi, turgore giugulare, epatomegalia ed ascite. Lascoltazione cardiaca simile a quella della stenosi mitralica, caratterizzata da schiocco dapertura e da rullio diastolico tricuspidale (vedi Capitolo 2). A differenza di quanto si verifica nella stenosi mitralica, i reperti acustici si ascoltano in corrispondenza del focolaio tricuspidale (IV spazio intercostale lungo la margino-sternale destra) e si accentuano durante linspirazione profonda (segno di Rivero-Carvallo). Questultima caratteristica consegue allaumento del ritorno venoso indotto dallinspirazione: durante tale fase, lincrementato passaggio di sangue attraverso la valvola induce un aumento del gradiente trensvalvolare e quindi del rullio. Altro reperto obiettivo importante la pulsazione della vena giugulare, soprattutto a destra, per la presenza di unampia onda a che corrisponde alla sistole atriale (vedi Capitolo 2). Diagnostica strumentale ECG: Allesame elettrocardiografico lingrandimento atriale destro si evidenzia per la presenza di onde P ampie e appuntite nelle derivazioni II, III, aVF e V1 (vedi Capitolo 3); quando latriomegalia diventa severa, insorge la fibrillazione atriale. Rx torace: Lesame radiologico del torace evidenzia una marcata atriomegalia con prominenza del profilo cardiaco destro (secondo arco). Diversamente da quanto si osserva nella stenosi mitralica, il tronco polmonare di normali dimensioni e non vi sono segni di congestione polmonare. Ecocardiografia: Lesame bidimensionale transtoracico consente un accurato studio anatomo-funzionale dellapparato valvolare tricuspidale. Valuta lo spessore dei lembi, la ridotta motilit valvolare, lispessimento e la retrazione delle corde tendinee e la dilatazione dellatrio destro. Lesame color-Doppler consente di definire la presenza e lentit della stenosi valvolare attraverso la valutazione del gradiente pressorio tra atrio e ventricolo destro e le variazioni del gradiente durante linspirazione profonda. Un gradiente medio superiore a 5 mmHg identifica una stenosi valvolare di severa entit. Cateterismo cardiaco: Poich lo studio dellemodinamica valvolare tricuspidale fattibile con elevata sensibilit e specificit mediante ecocardiografia, il ricorso al cateterismo cardiaco limitato solo a pochi casi. Cenni di Terapia. Il trattamento del vizio valvolare influenzato sia dalleziologia che dalla gravit della valvulopatia: se questa secondaria (per esempio ad endocardite infettiva o sindrome da carcinoide) deve essere trattata la patologia di base. Se la stenosi tricuspidale ha eziologia reumatica generalmente si associa ad una valvulopatia mitralica, per cui lintervento chirurgico volto principalmente alla sostituzione valvolare mitralica ed alla riparazione tricuspidale (vedi Capitolo 63). Nei casi in cui la valvola tricuspide sia particolarmente compromessa e le corde tendinee retratte possibile dover ricorrere alla sostituzione tricuspidale. INSUFFICIENZA TRICUSPIDALE Definizione. Linsufficienza tricuspidale caratterizzata dalla incapacit dei lembi valvolari a collabire fra loro, per occludere completamente lostio valvolare quando il ventricolo si contrae. Si verifica, di conseguenza, un flusso retrogrado (rigurgito) di sangue dal ventricolo allatrio destro durante la sistole. Eziologia e anatomia patologica. Linsufficienza tricuspidale , al contrario della stenosi, una patologia frequente, determinata da numerose cause: la pi frequente la dilatazione del ventricolo destro e dellanello tricuspidale. Questo tipo di valvulopatia funzionale, poich i lembi valvolari sono morfologicamente integri, e si instaura anche per lievi dilatazioni, dal momento che larea di coaptazione dei lembi tricuspidali molto pi limitata di quella che si osserva per la valvola mitrale. Queste forme sono pi spesso la conseguenza di ipertensione polmonare primitiva o valvulopatie mitro-aortiche, cuore polmonare ed infarto ventricolare destro. La causa pi frequente di insufficienza tricuspidale organica lendocardite, che pu essere infettiva o non infettiva.Lendocardite infettiva del cuore destro si riscontra principalmente nei tossico-dipendenti, nei portatori di shunt sinistro-destro (es. fistole, dialisi) e, molto pi raramente, nei pazienti sottoposti a cateterismo cardiaco (vedi Capitolo34). Gli agenti microbici principali sono gli stafilococchi, i gonococchi, i funghi. patognomonica la presenza di vegetazioni di consistenza friabile, composte da microorganismi e detriti trombotici. Le lesioni possono complicarsi con perforazioni ed erosioni dei lembi valvolari o ascessi anulari.

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Lendocardite non infettiva si pu riscontrare in corso di Lupus Eritematoso Sistemico (endocardite di LibmanSachs) ed di tipo trombotico-abatterico. Essa caratterizzata dalla deposizione di piccole masserelle sterili, costituite da fibrina e da altri elementi del sangue, su lembi valvolari in genere indenni. Altra causa di insufficienza tricuspidale rappresentata dalla sindrome da carcinoide: questa condizione secondaria alla produzione di sostanze serotoninergiche da parte di tumori carcinoidi che favoriscono la comparsa di ispessimenti localizzati di endocardio murale e valvolare (placche carcinoidi), con conseguente alterazione della morfologia valvolare. Quadri anatomo-patologici simili alla sindrome da carcinoide associati ad insufficienza tricuspidale possono essere indotti da assunzione di una grande variet di farmaci e tossici che fungono da agonisti serotoninergici, condividendo quindi con la sindrome da carcinoide non solo il quadro anatomo-patologico ma anche il meccanismo eziopatogenetico. Tra queste sostanze annoveriamo derivati dallamfetamina quali farmaci anoressizzanti (fenfluoramina e fentermina), ormai ritenuti pericolosi e quindi non pi in uso, agenti tossici (ecstasy e metilendiossimetamfetamina o MDMA), ma anche farmaci dopaminergici comunemente utilizzati per il trattamento del morbo di Parkinson (pergolide e cabergolina) e dellemicrania (metisergide ed ergotamina). Fungendo da agonisti della serotonina e stimolando in particolare i recettori 5HT 2b, queste sostanze, attraverso lattivazione di protein-chinasi, indurrebbero uninappropriata stimolazione mitogenica a livello valvolare (overgrowth valvulopathy) che esiterebbe nella formazione di placche morfologicamente indistinguibili da quelle che caratterizzano la sindrome da carcinoide. Cause pi rare di insufficienza tricuspidale con alterazioni anatomiche valvolari sono i traumi toracici e i tumoricardiaci; vi sono anche forme iatrogene secondarie ad impianto di pacemaker o defibrillatore cardiaco. Infine, il prolasso valvolare tricuspidale e la disfunzione dei muscoli papillari del ventricolo destro possono indurre insufficienza tricuspidale con le stesse modificazioni anatomiche e meccanismi eziopatogenetici riconosciuti per la valvola mitrale ed il ventricolo sinistro. Fisiopatologia. Il rigurgito di sangue in atrio destro durante la sistole ventricolare provoca aumento della pressione atriale e dilatazione dellatrio. Come nella stenosi tricuspidale, lipertensione atriale destra si ripercuote immediatamente a monte, nel circolo cavale, instaurando una congestione venosa sistemica fino a determinare, nelle forme severe, uninversione del flusso venoso. Sintomi e segni clinici. Le insufficienze valvolari del cuore destro sono in genere ben tollerate fino ad una fase avanzata, e diventano clinicamente manifeste solo in presenza di ridotta portata cardiaca o di ipertensione polmonare. Il quadro clinico caratterizzato dai segni di congestione sistemica quali astenia, facile affaticabilit, calo ponderale; si associano inoltre i sintomi e i segni di stasi venosa del sistema portale quali senso di peso addominale, nausea, vomito, ascite ed epatomegalia dolente e, in caso di scompenso ventricolare destro, da tutti i segni e sintomi ad esso correlati. Nellinsufficienza tricuspidale si apprezza alla palpazione il margine debordante del fegato, con pulsazione epatica. Il polso venoso giugulare presenta unampia onda a sistolica. La pulsazione (analogo dellonda v al flebogramma) dipende dal rigurgito sistolico in atrio destro che inverte il flusso nella vene cave. Allascoltazione, sulla margino-sternale destra lungo il IV spazio intercostale, si rileva un soffio olosistolico dolce, ad alta frequenza, che si accentua con linspirazione per aumento del ritorno venoso (segno di RiveroCarvallo). Spesso sono udibili un terzo tono destro e, se presente ipertensione polmonare, unaccentuazione della componente polmonare del secondo tono. Diagnosi strumentale ECG: Non sono presenti peculiarit del tracciato elettrocardiografico, ma possibile a volte rilevare segni di ingrandimento atriale destro, ipertrofia ventricolare destra o blocco di branca destra. Spesso presente fibrillazione atriale. Rx torace: Lesame radiologico del torace mostra una cardiomegalia con accentuazione del secondo arco destro del cuore (da dilatazione atriale destra). Ecocardiografia: Lindagine bidimensionale consente uno studio accurato della morfologia della tricuspide, evidenzia la dilatazione dellatrio e del ventricolo di destra, valuta la contrattilit del ventricolo destro e leventuale movimento paradosso del setto interventricolare, espressione del sovraccarico di volume del ventricolo destro. Segni di ridotta funzione ventricolare sono rappresentati da una riduzione dellescursione dellanello tricuspidale (TAPSE), della frazione di eiezione ventricolare destra, e dalla riduzione dellampiezza dellonda sistolica (S) dellanello tricuspidale al Tissue Doppler Imaging (Vedi Capitolo 4). Il color-Doppler permette di effettuare la stima dellentit del rigurgito tricuspidale (ECO 24) e di valutare la pressione in arteria polmonare, (Figura 1). Cateterismo cardiaco: Attualmente lo studio dellemodinamica valvolare tricuspidale fattibile con elevate sensibilit e specificit mediante ecocardiografia, per cui il ricorso al cateterismo cardiaco limitato solo a quei pochi casi in cui lindagine ultrasonografica non risulta di qualit tecnica sufficiente. Cenni di Terapia. Per linsufficienza tricuspidale non frequente il ricorso al trattamento chirurgico. Tuttavia, se il vizio valvolare importante possibile ricorrere alla valvuloplastica tricuspidale nei casi di insufficienza tricuspidale funzionale, mentre gravi alterazioni dellanatomia tricuspidale necessitano di sostituzione della valvola. STENOSI POLMONARE

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Definizione. La stenosi polmonare consiste nel restringimento dellorifizio valvolare, cui consegue un ostacolo al passaggio del sangue dal ventricolo destro allarteria polmonare. Eziologia e anatomia patologica. La stenosi polmonare quasi esclusivamente una malattia congenita (Patologia57) e solo eccezionalmente pu riconoscere come causa la malattia reumatica o la sindrome da carcinoide. A volte pu essere un reperto isolato ma, pi spesso, fa parte di cardiopatie congenite complesse quali la tetralogia di Fallot (vedi Capitolo 52). I lembi valvolari sono fibrotici, ispessiti ed a superficie liscia e regolare. Fisiopatologia. Il restringimento dellorifizio valvolare polmonare determina un gradiente ventricolo-arterioso; lincremento dei valori pressori in ventricolo destro induce ipertrofia ventricolare. Con landar del tempo, laumento della pressione ventricolare si ripercuote per via retrograda a livello atriale ed al circolo cavale, determinando infine un ostacolo al ritorno venoso sistemico. Sintomi e segni clinici. La stenosi isolata della polmonare una valvulopatia ben tollerata e asintomatica o paucisintomatica. La diagnosi viene sospettata dalla presenza di un soffio sistolico da eiezione in area polmonare. Diagnosi strumentale.ECG: Il tracciato elettrocardiografico presenta di solito un quadro di ipertrofia del ventricolo destro, e spesso anche di ingrandimento dellatrio destro (ECG 04). Ecocardiografia: Lecocardiografia la tecnica diagnostica pi utilizzata per la diagnosi di stenosi polmonare. Allesame bidimensionale possibile rilevare la presenza di un anello polmonare di dimensioni minori di quello aortico, i lembi valvolari sono ispessiti ed ipomobili con movimento di apertura a cupola (doming). Se la stenosi severa si riscontra dilatazione post-stenotica dellarteria polmonare ed ipertrofia del tratto di efflusso ventricolare destro. Al color-Doppler possibile determinare il gradiente ventricolo-arterioso e graduare la severit della valvulopatia. Cenni di Terapia. La valvuloplastica polmonare con palloncino (vedi Capitolo 52) la tecnica pi utilizzata per la correzione di questa valvulopatia (Figura 13/52). Il ricorso allintervento chirurgico giustificato solo se la stenosi polmonare severa o quando fa parte di una cardiopatia congenita complessa (es. tetralogia di Fallot). INSUFFICIENZA POLMONARE Definizione Linsufficienza polmonare caratterizzata dalla incapacit delle cuspidi valvolari a collabire sufficientemente durante la diastole, per cui si verifica un rigurgito di sangue dallarteria polmonare al ventricolo destro. Eziologia e anatomia patologica Linsufficienza polmonare , di solito, secondaria a dilatazione dellanello polmonare provocata dallipertensione polmonare; solo eccezionalmente viene indotta da endocardite infettiva o malattia da carcinoide. Nella forma secondaria a dilatazione dellanello la morfologia della valvola normale. Fisiopatologia Nellinsufficienza polmonare il rigurgito di sangue provoca sovraccarico di volume e dilatazione del ventricolo destro, che va incontro ad ipertrofia eccentrica. Il vizio valvolare pu essere ben tollerato anche per molti anni. Segni clinici Il rigurgito provoca un soffio diastolico che inizia subito dopo la componente polmonare del II tono e termina, abitualmente, in mesodiastole. Il soffio ad alta tonalit, di timbro alitante e in decrescendo, si percepisce meglio nella regione parasternale, tra il II ed il IV spazio intercostale, e aumenta di intensit durante linspirazione. In caso di coesistenza di ipertensione polmonare, associata ad insufficienza tricuspidale e/o polmonare, possibile apprezzare altri segni quali un rinforzo della componente polmonare del II tono, un tono di eiezione polmonare e un soffio sistolico di accompagnamento. Quando il ventricolo destro si dilata possibile palpare un itto iperdinamico. Diagnosi strumentale ECG: In genere lECG risulta normale ma, se linsufficienza significativa, sono presenti i segni del sovraccarico di volume del ventricolo destro fino al blocco di branca destro. Ecocardiogramma: La tecnica bidimensionale consente di visualizzare la dilatazione del ventricolo destro e la vivacit della cinesi ventricolare destra. Il color-Doppler consente di visualizzare il rigurgito polmonare e graduare lentit dellinsufficienza. Terapia In genere linsufficienza polmonare una valvulopatia ben tollerata e non necessario ricorrere a correzione chirurgica.

Sezione IV. Scompenso Cardiaco


Capitolo 19 FISIOPATOLOGIA DELLO SCOMPENSO CARDIACO
Livio Dei Cas, Marco Metra, Savina Nodari, Tania Bordonali

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DEFINIZIONE Lo scompenso cardiaco si presenta con un quadro clinico estremamente variabile, per cui ne sono state proposte numerose definizioni. La pi tradizionale, di tipo fisiopatologico, descrive lo scompenso cardiaco come una sindrome in cui il cuore non in grado di mantenere una portata cardiaca adeguata alle richieste dei tessuti oppure, nel caso vi riesca, questo ottenuto attraverso un aumento delle pressioni di riempimento ventricolari. La Societ Europea di Cardiologia ha definito lo scompenso cardiaco come una sindrome caratterizzata dai seguenti aspetti: sintomi e/o segni tipici (dispnea e/o astenia, a riposo e/o da sforzo, e/o edemi declivi) ed evidenza obiettiva (generalmente mediante ecocardiografia) di una disfunzione cardiaca sistolica e/o diastolica. Limportanza dellattivazione neuroumorale e delle controrisposte dei vari organi nel determinare la progressione dello scompenso cardiaco fa ritenere necessario includere anche questi fattori nella definizione. Per scompenso cardiaco si deve quindi intendere una sindrome in cui ad un calo, assoluto o relativo, della portata cardiaca, comunque determinato ma conseguente ad una causa cardiaca, corrisponde una risposta multiorganica con attivazione cronica neuroumorale in grado di deteriorare ulteriormente la funzione miocardica, nonostante una controrisposta di fattori tendenti al ripristino dellomeostasi circolatoria. EPIDEMIOLOGIA A causa del progressivo invecchiamento della popolazione e del migliorato trattamento della maggior parte delle malattie cardiovascolari, la prevalenza dello scompenso cardiaco in continua crescita. La prevalenza di scompenso sintomatico del 0.5-2% della popolazione generale: nei paesi europei sono quindi affette da scompenso cardiaco sintomatico pi di 12 milioni di persone. Un numero simile di pazienti, inoltre, sarebbe portatore di disfunzione sistolica ventricolare sinistra asintomatica, ed altrettanti sarebbero affetti da scompenso cardiaco con conservata funzione sistolica ventricolare. La prognosi dello scompenso cardiaco spesso sfavorevole: la forma acuta di scompenso la pi importante causa di ospedalizzazione per i soggetti di et superiore ai 65 anni. Circa la met dei pazienti affetti da scompenso cardiaco destinata a morire in un tempo medio di 4 anni dal momento della diagnosi, e la durata della vita pu accorciarsi ad un solo anno per il 50% dei pazienti con scompenso severo. Recenti dati indicano, tuttavia, un miglioramento della prognosi dovuto allapplicazione di terapie con evidenza di efficacia. CAUSE Lo scompenso cardiaco la via finale comune di tutte le patologie in grado di compromettere la funzione cardiaca. Pu essere causato da una disfunzione miocardica (condizione pi frequente) ma anche da valvulopatie, malattie del pericardio o disturbi del ritmo. Lischemia miocardica acuta, o pi raramente lanemia, la disfunzione tiroidea, linsufficienza renale o la somministrazione di farmaci inotropi negativi possono peggiorare o qualche volta causare lo scompenso cardiaco. Nei paesi occidentali, nei pazienti di et inferiore ai 75 anni, lo scompenso cardiaco spesso caratterizzato da una compromissione della funzione sistolica: la cardiopatia ischemica, spesso con concomitante ipertensione arteriosa, ne la causa pi frequente. Nei pazienti di et superiore ai 75 anni, invece, pi frequente linsufficienza cardiaca con conservata funzione sistolica. Non di rado questi soggetti hanno una storia dipertensione arteriosa, spesso sistolica isolata, ed unipertrofia ventricolare sinistra concentrica. Oltre alla cardiopatia ischemica ed allipertensione arteriosa, le cardiomiopatie, in particolare la cardiomiopatia dilatativa, e le valvulopatie sono altre importanti cause di scompenso cardiaco. MECCANISMI FISIOPATOLOGICI ALLA BASE DELLALTERATA FUNZIONE MIOCARDICA Determinanti della funzione cardiaca. I principali determinanti della funzione cardiaca sono la frequenza cardiaca, il precarico, il postcarico e la contrattilit. Il precarico il carico a cui sottoposto il cuore prima delliniizio della contrazione (telediastole). Viene misurato dal volume o, meglio, dallo stress telediastolico. Laumento del precarico causa un aumento della forza di contrazione miocardica (legge di Starling) per migliore sovrapposizione tra actina e miosina. Il cuore insufficiente generalmente dilatato a tal punto da avere un esaurimento della riserva di precarico cos che le variazioni di questultimo non comportano pi variazioni della gettata cardiaca. Il postcarico il carico cui sottoposto il cuore durante la contrazione. Viene misurato dallo stress sistolico, ed correlato allimpedenza aortica ed alle resistenze periferiche. Lo stress sistolico direttamente proporzionale al raggio ed alla pressione intraventricolare ed inversamente proporzionale allo spessore parietale (legge di Laplace). Laumento della pressione arteriosa comporta quindi un aumento del postcarico. Il cuore insufficiente criticamente dipendente dal postcarico. La contrattilit la capacit del miocardio di contrarsi indipendentemente dalle condizioni di carico. Il deficit di contrattilit miocardica lalterazione fondamentale dello scompenso. Spesso questa non comporta alterazioni della potata cardiaca e delle pressioni di riempimento ventricolari a riposo. Sotto sforzo, tuttavia, il cuore insufficiente presenter sempre una ridotta capacit di far fronte alle aumentate richieste dei tessuti periferici con

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insufficiente incremento della contrattilit e della portata cardiaca ed aumento delle pressioni di riempimento intraventricolari. Vengono qui di seguito riassunti i principali meccanismi responsabili del deficit di contrattilit. Ipertrofia Miocardica Lipertrofia miocardica si verifica in risposta ad un aumento dello stress parietale. Questo pu essere dovuto sia a sovraccarico pressorio (per esempio, ipertensione, stenosi aortica) che di volume (per esempio, rigurgito mitralico oppure aortico). Il ruolo svolto dall'ipertrofia miocardica nella patogenesi dello scompenso cardiaco tradizionalmente ritenuto fondamentale: lipertrofia vista come lo stadio intermedio tra un qualsiasi danno miocardico iniziale e la successiva insufficienza miocardica. Tuttavia, nonostante numerose dimostrazioni sperimentali, pochi studi clinici sono stati finora in grado di confermare questa ipotesi. Lipertrofia comporta modificazioni di tutte le componenti del miocardio che ne favoriscono, a loro volta, la degenerazione con dilatazione ed ipocinesia ventricolare. A livello dei miociti, si verifica un aumento del numero dei sarcomeri, che avviene in parallelo, con ispessimento delle fibre miocardiche, nel caso di un sovraccarico pressorio (ipertrofia concentrica) o in serie, con loro allungamento (ipertrofia eccentrica), nel sovraccarico volumetrico. In ogni caso, il volume delle fibre miocardiche aumenta in misura maggiore rispetto al numero dei capillari, e allinterno di ciascuna cellula il numero dei sarcomeri aumenta in misura maggiore rispetto ai mitocondri, cos che il miocita viene a trovarsi in una condizione di relativa carenza di ossigeno e di energia. Lipertrofia comporta, inoltre, unaccelerazione dei processi di morte cellulare (apoptosi) ed alterazioni qualitative, con aumento della sintesi di proteine di tipo fetale che contribuiscono alla genesi della disfunzione cardiaca. La fibrosi miocardica viene a compromettere ulteriormente lapporto di ossigeno e substrati alle cellule miocardiche e la capacit delle arteriole coronariche a dilatarsi. Accelerata morte cellulare Pu verificarsi con i meccanismi sia della necrosi che dellapoptosi. La necrosi si realizza nei pazienti affetti da cardiopatia ischemica sia sotto forma di infarto clinicamente evidente che di microinfarti. E infatti possibile rilevare un aumento della troponina plasmatica in pazienti con scompenso cardiaco ma senza sindrome coronarica acuta. Questa evenienza pu verificarsi anche in pazienti senza coronaropatia, a causa del relativo deficit di apporto di ossigeno ai miociti favorito dallipertrofia, aumento dello stress miocardico e della pressione telediastolica ventricolare. Differentemente dalla necrosi, lapoptosi un processo attivo, energia dipendente, in cui lattivazione di uno specifico programma genetico porta ad una cascata di eventi con esito in degradazione del DNA cellulare. Questo processo, normalmente presente solo in un piccolissimo numero di cellule miocardiche, attivato in corso di scompenso cardiaco, contribuendo al deficit di contrattilit. Alterato rapporto fra le isoforme della miosina Esistono due principali isoforme della catena pesante della miosina (MHC, myosin heavy chain). Una rapida, ad elevata attivit ATPasica, codificata dal gene alfa-MHC, prevalente nella vita adulta, ed una lenta, a bassa attivit ATPasica, codificata dal gene beta-MHC, prevalente nella vita fetale. Nel cuore insufficiente si verifica la riespressione di geni normalmente attivi durante la vita fetale, con maggiore sintesi di beta-MHC. Queste alterazioni si correlano con la riduzione della contrattilit miocardica e sono antagonizzate, nella maggioranza dei pazienti, dalla terapia beta-bloccante. Ridotto contenuto miocardico di substrati ad alto contenuto energetico Lo scompenso cardiaco si associa a riduzione dellapporto di ossigeno e substrati alla cellula miocardica ed a compromissione dei meccanismi di produzione dei substrati ad alto contenuto energetico. Questi comprendono alterazioni nellutilizzazione dei substrati (glucosio ed acidi grassi), nella fosforilazione ossidativa e nel trasferimento ed utilizzazione dellATP. Vi anche unimportante compromissione dellimmagazzinamento di energia sotto forma di creatin-fosfato (CP). Il rapporto CP/ATP un indice della disponbilit di energia a livello miocardico e la sua riduzione in corso di scompenso, valutabile mediante risonanza magnetica nucleare e spettroscopia, predice unelevata mortalit nei pazienti. Alterato metabolismo del calcio Indipendentemente dalle alterazioni presenti a livello dei meccanismi di produzione di energia e dellapparato contrattile miocardico, la cellula miocardica mantiene una normale risposta contrattile alla somministrazione di calcio. Equindi logico ritenere che le alterazioni del metabolismo del calcio siano tra i principali fattori responsabili dellalterata funzione sistolica e/o diastolica del cuore insufficiente. Nei pazienti con scompenso cardiaco ridotta lattivit dellATPasi calcio-dipendente del reticolo sarcoplasmatico (SERCA), responsabile della ricaptazione del calcio durante la diastole. A questo consegue una compromissione del rilasciamento miocardico ed un ridotto accumulo di calcio allinterno del reticolo sarcoplasmatico. Ci determina la liberazione di una minore quantit di calcio nella sistole successiva, con conseguente riduzione della contrattilit. Unaltra alterazione riguarda liperfosforilazione del fosfolambano con conseguente maggiore perdita di calcio dal reticolo sarcoplasmatico al citoplasma durante la diastole.

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Fibrosi interstiziale A carico del tessuto connettivo del cuore insufficiente si verificano modificazioni a livello sia della componente cellulare (fibroblasti) che intercellulare. I fibroblasti vanno incontro ad iperplasia, con un aumento di sintesi di collagene sproporzionato rispetto alla componente miocitaria (fibrosi interstiziale). Si verificano anche modificazioni qualitative del collagene, consistenti in aumentata sintesi di collagene tipo I, pi rigido, con maggiore suscettibilit alle fratture del collagene, scivolamento delle fibre miocardiche le une sulle altre, disorganizzazione della normale architettura del ventricolo sinistro, che assume una conformazione sferica. Questa comporta un aumento dello stress parietale e minore efficienza contrattile. La fibrosi interstiziale rappresenta, insieme alla compromissione dei processi di ricaptazione del calcio da parte della SERCA, il maggiore meccanismo responsabile delle alterazioni della funzione diastolica del cuore insufficiente. ATTIVAZIONE NEURO-ORMONALE Nello scompenso cardiaco entrano in gioco da protagonisti alcuni meccanismi (sistemi simpato-adrenergico e renina-angiotensina-aldosterone, in particolare) la cui azione consiste essenzialmente nel determinare vasocostrizione periferica, ritenzione idro-salina ed ipertrofia e/o iperplasia cellulare. Questi meccanismi favoriscono la progressione dello scompenso cardiaco e, anche alla luce dei risultati degli studi clinici con specifici antagonisti, sono da ritenerne i principali responsabili. Attivazione simpato-adrenergica I pazienti con scompenso cardiaco presentano, rispetto ai soggetti normali, un'aumentata eliminazione urinaria di catecolamine ed elevate concentrazioni plasmatiche di norepinefrina. L'incremento dell'attivit simpatica non interessa in modo uniforme tutti gli organi, ma si verifica soprattutto a livello renale e cardiaco; qui le concentrazioni di norepinefrina sono aumentate di 5-20 volte rispetto al normale. L'attivazione simpatoadrenergica un fenomeno precoce nell'evoluzione dello scompenso, ed gi presente nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra asintomatica. Lo squilibrio neuroendocrino interessa globalmente tutto il sistema neurovegetativo, poich all'aumento dell'attivit simpatica associata la riduzione di quella parasimpatica. Limportanza della stimolazione simpatoadrenergica nella progressione dello scompenso cardiaco dimostrata dal valore prognostico indipendente dei livelli di norepinefrina plasmatica e dalleffetto estremamente favorevole sulla prognosi della terapia beta-bloccante. Numerosi sono i meccanismi con cui la stimolazione simpatoadrenergica pu avere effetti dannosi sulla cellula miocardica. Essa porta ad una progressiva riduzione del numero dei beta1 recettori miocardici, per cui il rapporto tra beta1 e beta2 recettori miocardici si sposta dai valori normali di 80:20 a valori di 60:40. Ci causa una ridotta risposta cardiaca alla stimolazione simpatica che pu, ad esempio, contribuire al ridotto incremento della portata cardiaca ed alla ridotta tolleranza allo sforzo dei pazienti.. La norepinefrina ha anche effetti dannosi diretti sulle fibre miocardiche, stimolando apoptosi ed alterazioni dellespressione genica nei cardiomiociti (aumento della beta-MHC, riduzione dellalfa-MHC e della SERCA). Essa pu favorire lischemia e la necrosi miocardica attraverso laumento della frequenza e della contrattilit, condizioni entrambe in grado di incrementare il consumo di ossigeno. Altri effetti sfavorevoli della stimolazione simpatica sono: 1) la vasocostrizione periferica, sia diretta che indiretta, per stimolazione del sistema renina-angiotensina, con conseguente aumento del postcarico e riduzione della gittata sistolica; 2) linduzione di aritmie ventricolari, potenzialmente fatali; e 3) lattivazione del sistema reninaangiotensina. Sistema renina angiotensina aldosterone Lattivit reninica plasmatica aumenta soprattutto nei pazienti con pi grave compromissione emodinamica e funzionale. La sua importanza dimostrata dagli effetti favorevoli degli ACE inibitori e degli antagonisti dei recettori dellangiotensina II sulla prognosi. I meccanismi con cui langiotensina II pu influenzare negativamente levoluzione dello scompenso sono molteplici. In primo luogo, essa causa vasocostrizione periferica, aumento del postcarico e calo della gittata sistolica. In secondo luogo, stimola la secrezione di aldosterone causando ritenzione idro-salina e quindi aumento del precarico, edemi declivi e congestione venosa sistemica. Similmente alla norepinefrina, anche langiotensina II ha un effetto tossico diretto sul miocardio (apoptosi). Laldosterone, la cui secrezione stimolata dallangiotensina II, oltre a causare ritenzione idro-salina ed ipokaliemia, provoca anche ipertrofia e fibrosi miocardica, aumento della stimolazione simpatica cardiaca e disfunzione endoteliale. Tutti questi effetti contribuiscono alla progressione dello scompenso e rendono conto degli effetti favorevoli dei farmaci antialdosteronici sulla prognosi. Vasopressina Da molti anni stata segnalata, in corso di scompenso cardiaco, la presenza di elevate concentrazioni plasmatiche di vasopressina, la cui secrezione, per, sembra essere stimolata meno frequentemente che quella di renina, aldosterone o norepinefrina. La vasopressina agisce su due diversi recettori, V1 e V2. La stimolazione dei recettori V1 determina vasocostrizione periferica con diminuzione della gittata sistolica, mentre la stimolazione dei recettori V2 provoca ritenzione di acqua libera per permeabilizzazione allacqua del tubulo collettore renale.

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Differentemente che nel caso dei precedenti sistemi, in questo caso la somministrazione di antagonisti della vasopressina non ha determinato variazioni nella sopravvivenza. Fattori natriuretici La famiglia dei fattori natriuretici comprende il peptide natriuretico A o atriale (ANP), il peptide natriuretico B o cerebrale (BNP), cos chiamato perch isolato per la prima volta nelle cellule del sistema nervoso centrale di maiale, il peptide natriuretico C (CNP), prodotto e secreto prevalentemente dal sistema nervoso centrale e dai vasi periferici. La sintesi di ANP e di BNP risulta estremamente limitata nel soggetto adulto normale. In corso di scompenso cardiaco, viceversa, laumento dello stress parietale miocardico causa lespressione di geni attivi nella vita fetale con conseguente produzione di ANP e BNP. Il BNP viene sintetizzato sotto forma di pro-ormone (proBNP), che viene quindi clivato a livello citoplasmatico con formazione di BNP attivo e di un frammento N-terminale (NTproBNP). Entrambi vengono rapidamente immessi nel torrente circolatorio. LANP e il BNP vengono prodotti e secreti sia a livello atriale che ventricolare: la concentrazione di ANP maggiore a livello atriale mentre quella di BNP maggiore a livello ventricolare. Per questo motivo, oltre che per la pi rapida risposta della secrezione del BNP in condizioni di sovraccarico, si impiega attualmente nella pratica clinica il dosaggio del BNP o del NT-ProBNP per la valutazione diagnostica e prognostica dei pazienti con socmpenso cardiaco. I fattori natriuretici causano vasodilatazione periferica, inibiscono lattivazione simpatica e la secrezione di renina e di aldosterone, e favoriscono la natriuresi. La loro secrezione si verifica precocemente nello scompenso cardiaco. quindi probabile che i fattori natriuretici abbiano un ruolo importante nel mantenere un normale equilibrio idrosalino. Nelle fasi inziali dello scompenso cardiaco, essi riuscirebbero a controbilanciare gli effetti dellattivazione dei sistemi simpatoadrenergico e renina-angiotensina-aldosterone.

Prostaglandine Le prostaglandine PgE2 e Pgi2 hanno unazione vasodilatatrice e giocano, a livello dellarteriola afferente renale, un ruolo importante, dimostrato indirettamente dallosservazione che linibizione della loro sintesi con antiinfiammatori non steroidei determina un netto peggioramento della funzione renale, per vasocostrizione dellarteriola afferente glomerulare, e talvolta anche del compenso emodinamico, nei pazienti con scompenso cardiaco.

Ossido nitrico Lossido nitrico (NO) il pi potente vasodilatatore endogeno conosciuto. Una riduzione della vasodilatazione NOdipendente stata dimostrata in numerose condizioni patologiche tra cui lo scompenso cardiaco.

Endotelina Le endoteline sono peptidi dotati di una potente e prolungata azione vasocostrittrice. La loro sorgente pi importante sembrano essere le cellule endoteliali. Oltre a presentare una potente e prolungata attivit vasocostrittrice, le endoteline stimolano il rilascio di catecolamine ed aldosterone, favoriscono lipertrofia miocardica e la proliferazione delle cellule muscolari lisce. Nei pazienti con scompenso cardiaco stato dimostrato un incremento significativo delle concentrazioni di ET-1, rispetto ai soggetti normali. Tuttavia, la somministrazione di antagonisti dei recettori dellendotelina non ha avuto effetti favorevoli n nei confronti del rimodellamento ventricolare sinistro, n sui sintomi e la prognosi dei pazienti con scompenso acuto.

Stress ossidativo Esistono numerose evidenze di un aumento dello stress ossidativo sia a livello miocardico che a livello vascolare sistemico nei pazienti con scompenso cardiaco. La produzione di radicali liberi riduce la capacit di dilatazione vascolare periferica e stimola lipertrofia dei miociti, la riespressione dei fenotipi fetali e lapoptosi.

Citochine I livelli circolanti di citochine pro-infiammatorie, incluse TNF-a e IL-6, sono aumentati nei pazienti con scompenso cardiaco, rispetto ai soggetti normali, e sono correlati con la severit della sintomatologia e con la prognosi. Gli effetti negativi dei mediatori infiammatori sulla progressione dello SC sono molteplici e comprendono unattivit inotropa negativa, linduzione di un genotipo fetale e di apoptosi a livello dei cardiomiociti, la cachessia e lipotrofia della muscolatura scheletrica. Tuttavia, nonostante questi presupposti fisiopatologici, limpiego di antagonisti specifici delle citochine non ha modificato levoluzione dei pazienti con scompenso, e nessuna terapia antiinfiammatoria ha permesso di migliorare la prognosi dei pazienti. RITENZIONE IDRO-SALINA ED AUMENTO DEL PRECARICO

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La ritenzione idro-salina dovuta, nello scompenso cardiaco, a due meccanismi fondamentali: le modificazioni dell'emodinamica renale e lattivazione neuro-ormonale. Flusso ematico renale e filtrazione glomerulare Nello scompenso cardiaco, lattivazione simpatica determina una redistribuzione della portata cardiaca con riduzione del flusso ematico renale. A questo fa riscontro una relativa conservazione della filtrazione glomerulare, con aumento della frazione di filtrazione. Infatti, l'angiotensina II determina una vasocostrizione maggiore nell'arteriola efferente che in quella afferente, per cui la pressione all'interno dei capillari glomerulari aumenta. La filtrazione glomerulare, perci, diminuisce in misura minore rispetto al flusso plasmatico renale, e la frazione di filtrazione aumenta. Ritenzione idrico-salina La riduzione del flusso plasmatico renale e l'aumento della frazione di filtrazione determinano ipoperfusione dei capillari peritubulari, con conseguente calo della pressione idrostatica ed aumento della concentrazione di proteine e della pressione oncotica al loro interno. Queste modificazioni dellequilibrio tra pressione idrostatica ed oncotica intratubulare e nei capillari peritubulari portano ad un maggior riassorbimento di sodio cui consegue, per osmosi, anche un maggior riassorbimento idrico. Liperattivit simpatica e del sistema renina-angiotensina causano ritenzione idrosalina anche con altri meccanismi. Lattivazione simpatica determina redistribuzione del flusso ematico intrarenale dai nefroni corticali e quelli iuxtamidollari, dotati di pi lunghe anse di Henle e quindi in grado di maggior riassorbimento salino. Langiotensina II stimola la secrezione di aldosterone, con maggior riassorbimento di sodio, in scambio con il potassio, a livello del tubulo distale e del collettore. Infine, la vasopressina rende permeabile allacqua il tubulo collettore e favorisce il riassorbimento di acqua. Il riassorbimento di acqua pu verificarsi in misura maggiore del riassorbimento di sodio con conseguente iposodiemia da diluizione. La ritenzione idro-salina viene tradizionalmente vista come una meccanismo finalistico, attraverso il quale lorganismo cerca di mantenere un adeguato volume ematico in condizioni in cui la portata cardiaca e la pressione di perfusione tessutale tendono a calare per effetto della ridotta contrattilit miocardica. Queste modificazioni sono, tuttavia, dannose per levoluzione dello scompenso cardiaco e rappresentano la principale causa di molti sintomi lamentati dal paziente (edemi, dispnea) oltre che delle ospedalizzazioni per peggioramento dello scompenso. Modificazione del precarico La ritenzione idro-salina alla base della formazione di edema e comporta, a livello cardiaco, un aumento del precarico. Laumento di precarico pu inizialmente comportare una maggior gittata sistolica attraverso il meccanismo di Frank-Starling. Tuttavia, il cuore insufficiente esaurisce ben presto la propria riserva di precarico (vedi sopra). Laumento del volume ventricolare continua, invece, a determinare un aumento dello stress parietale miocardico e quindi, per la legge di Laplace, anche del postcarico e del consumo miocardico di ossigeno. VASOCOSTRIZIONE PERIFERICA ED AUMENTO DEL POSTCARICO Nello scompenso cardiaco, laumento delle resistenze vascolari periferiche dovuto allattivazione dei meccanismi neuroumorali ad azione vasocostrittrice ed alle alterazioni di sistemi locali (NO, endotelina, etc). Questi fenomeni determinano vasocostrizione arteriolare e riduzione del diametro e della compliance delle grosse e medie arterie. Il ventricolo normale in grado di mantenere una normale gittata sistolica anche in presenza di incremento del postcarico. Allopposto, il cuore insufficiente criticamente dipendente dal post-carico, cos che anche minime variazioni dello stesso comportano unimportante riduzione della gittata sistolica. Questo motivo ha guidato lintroduzione della terapia vasodilatatrice nello scompenso cardiaco. RIDUZIONE DELLA TOLLERANZA ALLO SFORZO La ridotta tolleranza allo sforzo uno dei sintomi fondamentali del paziente con scompenso cardiaco. Fattori emodinamici La riduzione della capacit funzionale innanzitutto conseguenza della compromissione emodinamica del paziente con scompenso cardiaco. Nessun parametro emodinamico, valutato a riposo, tuttavia, correlato con la capacit funzionale. La risposta allo sforzo, a differenza dellemodinamica a riposo, strettamente correlata con la capacit funzionale. Una correlazione significativa stata osservata soprattutto con gli indici di funzione sistolica ventricolare sinistra (portata cardiaca, indice di lavoro del ventricolo sinistro). Flusso ematico muscolare scheletrico Nei pazienti con scompenso cardiaco stata osservata una ridotta capacit dilatatrice dei vasi della muscolatura scheletrica. La riduzione della portata cardiaca e della vasodilatazione muscolare fanno s che il muscolo si venga a trovare, sotto sforzo, in una condizione di relativa ipoperfusione responsabile, a sua volta, di pi precoce comparsa di metabolismo anaerobio e di riduzione della tolleranza allo sforzo. A questa ridotta capacit di dilatazione dei vasi della muscolatura scheletrica contribuiscono sia l'attivazione neuroumorale che alterazioni di sistemi locali (NO, endotelina, citochine). Caratteristiche biochimiche e funzionali della muscolatura scheletrica

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Il 25-40% dei pazienti con scompenso cardiaco pu presentare una riduzione della capacit funzionale, con precoce comparsa di metabolismo muscolare anaerobio nonostante un normale incremento del flusso ematico durante sforzo. In questi pazienti la muscolatura scheletrica sembra essere la principale responsabile della ridotta capacit funzionale. In corso di scompenso cardiaco, i muscoli scheletrici vanno incontro a modificazioni morfologiche (ipotrofia, fibrosi interstiziale, depositi lipidici, riduzione della densit dei capillari) e biochimiche (riduzione degli enzimi responsabili del metabolismo aerobio, con normale o aumentata attivit degli enzimi della glicolisi anaerobia). Similmente alla riduzione della capacit dilatatrice dei vasi, anche le alterazioni della muscolatura scheletrica possono essere considerate come il risultato di un processo di decondizionamento muscolare. Limportanza di questo meccanismo dimostrata dalla possibilit di ottenere un significativo miglioramento della capacit funzionale con l'allenamento fisico. Diffusione alveolo-capillare Anche la diffusione alveolo-capillare dell'ossido di carbonio, valutata a riposo, correlata con la massima capacit lavorativa. Nello scompenso cardiaco, una riduzione della capacit di diffusione alveolo-capillare pu determinare incremento dello spazio morto fisiologico e del rapporto tra spazio morto polmonare e capacit vitale (Vd/Vt). Risposta ventilatoria allo sforzo I pazienti con scompenso cardiaco presentano, durante sforzo, un respiro pi rapido e pi superficiale, con maggiore incremento della ventilazione (VE), a parit di carico lavorativo, rispetto ai soggetti normali.

Capitolo 20 QUADRI CLINICI DELLO SCOMPENSO CARDIACO ACUTO Francesco Fedele


DEFINIZIONE Linsufficienza cardiaca la situazione in cui il cuore incapace di pompare sangue in quantit adeguata alle esigenze metaboliche dellorganismo, oppure pu far questo soltanto mediante un aumento delle pressioni di riempimento (vedi Capitolo 19). Linsufficienza cardiaca acuta, definita come la comparsa improvvisa di segni e sintomi secondari a disfunzione cardiaca sistolica o diastolica, pu essere associata ad una malattia cardiaca pre-esistente, ad anomalie del ritmo o ad un mismatch del pre e del post-carico; questa condizione rappresenta una minaccia per la vita e necessita di un trattamento di emergenza. Linsufficienza cardiaca acuta pu presentarsi come prima manifestazione di malattia in pazienti senza disfunzione cardiaca conosciuta precedentemente, o come riacutizzazione di uninsufficienza cardiaca cronica. Perci, linsufficienza cardiaca acuta comprende tre differenti gruppi di pazienti: 1) pazienti con uninsufficienza cardiaca de novo secondaria ad un fattore precipitante, come ad esempio un esteso infarto del miocardio o un improvviso aumento della pressione arteriosa in presenza di un ventricolo sinistro deficitario; 2) pazienti con peggioramento di uninsufficienza cardiaca cronica sistolica o diastolica; 3) pazienti che presentano uninsufficienza cardiaca avanzata o allultimo stadio, e vanno rapidamente incontro a deterioramento, con disfunzione ventricolare prevalentemente sistolica, scarsa risposta alla terapia medica e necessit di trattamenti non farmacologici. EPIDEMIOLOGIA Linsufficienza cardiaca la principale causa di morbilit e mortalit nel mondo occidentale. La causa pi comune di insufficienza cardiaca acuta la malattia coronarica (~70%). I pazienti con insufficienza cardiaca acuta hanno una prognosi severa: la mortalit particolarmente elevata (30% a 12 mesi) nellinfarto miocardico acuto associato ad insufficienza cardiaca grave. Dati simili sono stati riportati per ledema polmonare acuto. Circa la met dei pazienti ospedalizzati per insufficienza cardiaca acuta vengono nuovamente ricoverati almeno una volta (e il 15% almeno due volte) entro un anno. In questa popolazione, ogni evento acuto determina una riduzione progressiva della capacit funzionale (Figura 1), per cui gli sforzi terapeutici devono essere rivolti anche ad unazione di cardioprotezione. QUADRI CLINICI I sintomi e i segni nel paziente con insufficienza cardiaca acuta sono riconducibili: 1) alla diminuzione della portata cardiaca a riposo, fino a livelli che comportano ipoperfusione tissutale e riduzione del flusso renale; 2) allaumento delle pressioni di riempimento ventricolari destre e sinistre con conseguente congestione sistemica e polmonare. Tali sintomi e segni, sommandosi in vario modo, compongono i diversi quadri clinici, correlati anche alle differenti cause di base, agli eventi scatenanti, alla rapidit di insorgenza e alla gravit (Figura 2). LA DISPNEA Sintomo base dello scompenso acuto del ventricolo sinistro la dispnea, che consiste in una sensazione di sforzo o fatica nel respirare e pu essere associata a fame daria. la conseguenza della congestione polmonare, dovuta alle aumentate pressioni intracavitarie nelle sezioni sinistre del cuore, che provoca aumento del contenuto idrico

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extravascolare polmonare, riducendo la distensibilit polmonare e aumentando il lavoro dei muscoli respiratori. Nellinsufficienza cardiaca acuta la dispnea assume spesso le caratteristiche di ortopnea e dispnea parossistica notturna. Lortopnea la necessit di mantenere il torace in posizione eretta per evitare linsorgenza della dispnea o ridurne lentit. La posizione supina, infatti, aumenta il ritorno venoso al cuore e quindi peggiora la congestione polmonare. La dispnea parossistica notturna caratterizzata da manifestazioni accessionali, durante le quali il paziente avverte una sensazione di mancanza di aria ed costretto a sedersi sul letto con i piedi penzoloni o a portarsi alla finestra alla ricerca di aria. In alcuni casi compare tosse stizzosa e respiro sibilante dovuto a broncostenosi (asma cardiaco). LEDEMA POLMONARE Ledema polmonare il quadro pi grave dello scompenso cardiaco acuto, e viene provocato dallaccumulo di liquido nello spazio extravascolare polmonare. Il passaggio di liquido dal capillare allinterstizio e viceversa , in condizioni normali, governato da due fattori: la pressione idrostatica del sangue capillare, che tende a far fuoriuscire la parte liquida del sangue, e la pressione osmotica delle proteine plasmatiche, (pressione oncotica) che tende, invece, a trattenere il liquido dentro il vaso. Questultima corrisponde a una pressione di circa 25 mm Hg. Quando la pressione allinterno dei capillari polmonari aumenta al di sopra dei 25 mmHg, si realizza dapprima la trasudazione e laccumulo di liquido nellinterstizio (edema interstiziale); il sistema linfatico si adopera quindi ad allontanare il trasudato, ma quando la sua capacit di drenaggio viene superata il liquido invade gli alveoli (edema alveolare), compromettendo la funzione polmonare, sia da un punto di vista meccanico che degli scambi gassosi. La compromissione respiratoria genera ipossiemia e acidosi, le quali provocano un ulteriore peggioramento della funzione cardiaca, riducendo la portata ed aumentando la pressione capillare polmonare. La riduzione della portata cardiaca, inoltre, attiva il sistema adrenergico che, attraverso la vasocostrizione cutanea, muscolare e splancnica, tende a mantenere unadeguata perfusione cerebrale e cardiaca, ma daltro canto induce tachicardia, ipertensione, pallore e contrazione della diuresi. Laumento delle resistenze vascolari periferiche determina un incremento del carico di lavoro in un cuore gi insufficiente, e peggiora la performance cardiaca provocando unulteriore riduzione della portata; si innesca quindi un circolo vizioso, sino a quando la portata crolla al di sotto dei valori minimi necessari per mantenere una normale perfusione cardiaca e cerebrale, e sinstaura il quadro dello shock cardiogeno (vedi Capitolo 22). Il paziente affetto da edema polmonare acuto non sta disteso ma seduto sul letto, fortemente agitato, madido di sudore, dispnoico e tachipnoico, con respiro rumoroso e gorgogliante; la sua cute fredda e sudata, e pu essere presente cianosi alle labbra e alle estremit. Al torace si ascoltano alle basi polmonari rantoli crepitanti, che con laumentare della quantit di liquido trasudato arrivano ad interessare tutto lambito polmonare, come una marea montante, accompagnati da escreato schiumoso ed eventualmente rosato. Se non si interviene con un trattamento tempestivo, ledema polmonare tende a peggiorare progressivamente sino allarresto del respiro, oppure evolve verso lo shock (shock cardiogeno) e larresto di circolo, con esito fatale. Lesame fisico del paziente con insufficienza cardiaca acuta permette di rilevare segni a carico dellapparato cardiovascolare, dellapparato respiratorio, del fegato e delladdome, della cute, dei reni. La pressione arteriosa pu essere elevata, soprattutto la diastolica, per effetto della vasocostrizione arteriolare. Quando per la gittata sistolica diminuita, anche i valori tensivi sistemici si riducono, sino a raggiungere valori minimi nello shock cardiogeno. La pressione venosa centrale solitamente elevata: si pu valutare osservando il grado di turgore delle vene giugulari con il paziente in posizione semiseduta (a 45). La cute pu apparire pallida, umida di sudore e fredda per la costrizione dei vasi cutanei come meccanismo compensatorio dellipoperfusione periferica; nei casi pi gravi pu comparire cianosi. I segni di ipoperfusione renale sono rappresentati dalloliguria (meno di 500-600 ml nelle 24 ore) unitamente allaumento dellazotemia e della creatininemia. Quando la gittata cardiaca gravemente ridotta, si pu arrivare fino allanuria (< 100 ml nelle 24 ore). Ledema periferico pu essere presente soprattutto nei casi di peggioramento di una condizione cronica; esso dovuto allaumento di pressione venosa sistemica, ma anche e soprattutto alla ritenzione idrosalina. Lesame obiettivo cardiaco pu mostrare i segni della cardiopatia che sta alla base dello scompenso. La frequenza cardiaca solitamente elevata (per effetto dellipertono simpatico) e allascoltazione spesso presente un ritmo di galoppo, dovuto alla presenza di un III tono cardiaco, meno spesso di un IV tono (vedi Capitolo 2). Altro segno ascoltatorio cardiaco nello scompenso pu essere un soffio olosistolico puntale da insufficienza mitralica acuta. Allesame del torace, quando laumento della pressione nelle vene e nei capillari polmonari provoca trasudazione di liquido nel tessuto interstiziale polmonare, si possono ascoltare rumori umidi (rantoli crepitanti) . Il reperto obiettivo toracico coinvolge dapprima i campi polmonari basali, diffondendosi progressivamente ai campi superiori in seguito allaggravarsi della condizione clinica ed in assenza di adeguato trattamento. Sfruttando i segni e i sintomi dei quadri clinici dellinsufficienza cardiaca acuta stata formulata la classificazione di Killip, che suddivide i pazienti in quattro classi in base alla presenza di segni di congestione polmonare e periferica, segni di bassa portata, e segni di aumentato volume telediastolico ventricolare. La classe I caratterizzata dallassenza di segni clinici di insufficienza cardiaca. I criteri diagnostici per la II classe includono il riscontro di rantoli nella met inferiore dei campi polmonari, terzo tono e ipertensione venosa polmonare. La

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classe III include pazienti con insufficienza cardiaca severa (rantoli estesi a tutti i campi polmonari o edema polmonare franco). La classe IV include i pazienti in shock cardiogeno, con pressione arteriosa sistolica = 90 mmHg, vasocostrizione periferica, oliguria e cianosi. Unaltra classificazione, basata sulla temperatura corporea (cute calda o fredda) e sul reperto ascoltatorio toracico (il paziente viene definito umido o secco a seconda che presenti rantoli o no), distingue quattro gruppi di crescente gravit clinica: il gruppo A comprende pazienti caldi e secchi, il gruppo B pazienti caldi e umidi, il gruppo L pazienti freddi e secchi e il gruppo C pazienti freddi e umidi (Figura 3). Lo shock cardiogeno pu essere il quadro di esordio, soprattutto in caso di infarto miocardico, oppure la fase terminale di uninsufficienza cardiaca in rapido peggioramento: si manifesta quando la portata cardiaca scende al di sotto dei valori minimi necessari a mantenere la funzione degli organi vitali (vedi Capitolo 22). DIAGNOSTICA STRUMENTALE Tra le indagini di laboratorio, durante un episodio di insufficienza cardiaca acuta, bisogner sempre eseguire, oltre agli esami di routine, la ricerca degli indici di necrosi miocardica. Pu essere, inoltre, dosato il peptide natriuretico di tipo B (Brain Natriuretic Peptide-BNP, vedi Capitolo 14), che viene rilasciato dai ventricoli in risposta allo stiramento delle pareti e al sovraccarico di fluidi, ed stato utilizzato per escludere o identificare la presenza di scompenso cardiaco congestizio. Di notevole importanza lemogasanalisi, che rivela dati sugli scambi gassosi e sullo stato metabolico del paziente. La radiografia del torace fornisce informazioni sia sulle dimensioni e la morfologia cardiaca, ma soprattutto sulla distribuzione del flusso polmonare. Lelettrocardiogramma pu essere normale, ma spesso mostra aritmie o alterazioni dipendenti dalla cardiopatia di base. Lesame principe nellinquadramento del paziente con insufficienza cardiaca acuta lecocardiogramma, che valuta le dimensioni e i volumi delle cavit cardiache, gli spessori parietali, la cinesi globale e segmentale, la frazione di eiezione e la contrattilit. Si pu analizzare la morfologia e la funzione degli apparati valvolari e di altre strutture quali il pericardio, il tratto prossimale dellaorta e la vena cava inferiore. Inoltre si pu esaminare la funzione diastolica, impiegando la registrazione con il Doppler pulsato del flusso transmitralico (Figura 4). PRINCIPI DI TERAPIA Gli obiettivi del trattamento a breve termine dei pazienti con insufficienza cardiaca acuta sono migliorare i sintomi e lemodinamica, preservando la funzione renale e proteggendo il tessuto miocardico. La terapia dell insufficienza cardiaca acuta si prefigge, quindi, diverse finalit: ridurre la congestione, ridurre il postcarico, migliorare lassetto neurormonale, migliorare la funzione cardiaca (Figura 5). I diuretici sono farmaci che aumentano leliminazione di sodio e acqua e perci riducono la massa liquida circolante e il volume di liquido interstiziale. I diuretici pi usati sono quelli dellansa ad azione rapida, (furosemide e torasemide), spesso in associazione con i risparmiatori di potassio. Tra i farmaci che riducono il precarico vi sono i vasodilatatori venosi, che ridistribuendo il volume ematico aumentano la capacit del distretto venoso, e sequestrano in questa sede parte della massa circolante, riducendo il riempimento cardiaco. I vasodilatatori venosi pi importanti sono la nitroglicerina e il nitroprussiato, che ha un effetto anche sul versante arterioso. Gli ACE-inibitori sono farmaci che oltre a ridurre il precarico, favorendo anche una minor ritenzione di acqua e sali, migliorano lassetto neuro-ormonale. Sono poco usati nello scompenso acuto. Al contrario, i farmaci che stimolano linotropismo, soprattutto dopamina, dobutamina e glicosidi digitatici, possono essere di grande aiuto nella fase acuta. Le due amine simpaticomimetiche, dopamina e dobutamina, agiscono soprattutto sui recettori beta-adrenergici, migliorando la contrattilit miocardica. La dopamina, precursore naturale della noradrenalina, utile nel trattamento degli stati ipotensivi; a dosaggi molto bassi induce vasodilatazione dei vasi renali e mesenterici, per stimolazione dei recettori dopaminergici, aumentando cos la diuresi e lescrezione di sodio. A dosaggi pi elevati la dopamina stimola i recettori 1 miocardici, provocando una modesta tachicardia riflessa, mentre a dosaggi elevati stimola anche i recettori a-adrenergici, innalzando i valori tensivi sistemici. La dobutamina agendo sui recettori 1, 2 e a, possiede un potente effetto inotropo, abbassa le resistenze periferiche e determina un aumento di gittata cardiaca. I glicosidi digitalici agiscono bloccando la pompa sodio/potassio ATP-dipendente delle fibre miocardiche, con leffetto ultimo di aumentare la disponibilit di calcio intracellulare per la contrazione. Oltre a ci, riducono la frequenza cardiaca e rallentano la conduzione atrioventricolare (soprattutto per aumento del tono vagale), per cui sono utili in presenza di tachiaritmie sopraventricolari, soprattutto in corso di fibrillazione atriale. Recenti prospettive farmacologiche sono rappresentate dai nuovi inotropi come il levosimendan, che agisce tramite un duplice meccanismo di azione: aumenta la sensibilit delle miofibrille al calcio, tramite il legame con la troponina C, determinando quindi un effetto inotropo positivo senza aumentare il consumo miocardio di ossigeno, e attiva i canali vascolari del potassio ATP-dipendenti, provocando una vasodilatazione periferica.

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Capitolo 21 QUADRI CLINICI DELLO SCOMPENSO CARDIACO CRONICO Livio Dei Cas, Marco Metra, Savina Nodari
QUADRI CLINICI Sono state proposte numerose classificazioni dello scompenso cardiaco. Pur peccando di uneccessiva semplificazione e, spesso, di scarsa aderenza alla realt, queste mantengono un loro valore soprattutto didattico. La distinzione pi importante quella tra scompenso cardiaco acuto e cronico. (vedi capitolo 20). Nellambito dello scompenso cardiaco cronico, mantengono un loro valore le distinzioni tra scompenso anterogrado e retrogrado, sinistro e destro, sistolico e diastolico. Secondo la teoria anterograda dello scompenso, lorigine dei sintomi e segni da ricercarsi nellinadeguata portata cardiaca con insufficiente perfusione dei tessuti periferici. Viceversa, secondo la teoria retrograda, la causa dei sintomi e segni da ricercarsi nellincompleto svuotamento dei ventricoli. Questo causa un aumento della pressione intraventricolare che si ripercuote a monte sulle pressioni atriale, dei vasi venosi tributari ed, infine, intracapillari. Laumento della pressione intracapillare causa trasudazione di liquido ed edema interstiziale e, nel caso del circolo polmonare, edema alveolare. La distinzione tra scompenso cardiaco sinistro e destro unestensione della precedente teoria retrograda. Nello scompenso sinistro predominano i sintomi da accumulo di fluidi a monte del ventricolo sinistro con congestione ed edema polmonare. Nello scompenso destro si ha, invece, congestione venosa sistemica ed epatica. La distinzione tra scompenso cardiaco sistolico e diastolico essenzialmente basata sul riscontro o meno di bassi valori di frazione deiezione (<50%) in pazienti con sintomi di scompenso cardiaco. Tuttavia, anche nei pazienti con frazione deiezione normale sono presenti alterazioni di altri indici di funzione sistolica ventricolare sinistra e, viceversa, alterazioni della funzione diastolica sono costantemente presenti anche nei pazienti con bassa frazione deiezione. Per queste ragioni, si preferisce usare il termine di scompenso cardiaco con normale frazione deiezione piuttosto che quello di scompenso diastolico. I pazienti con normale frazione deiezione possono corrispondere a pi del 50% dei pazienti ricoverati per scompenso cardiaco e la loro prognosi sovrapponibile, o solo leggermente migliore, rispetto a quella dei pazienti con bassa frazione deiezione. I pazienti con normale frazione deiezione sono pi spesso anziani, di sesso femminile ed affetti da ipertensione arteriosa. SINTOMI Dispnea. La dispnea rappresenta, insieme allastenia, il sintomo pi suggestivo di scompenso cardiaco. Nelle fase iniziali della malattia compare prevalentemente durante sforzi fisici, successivamente si presenta anche a riposo con le caratteristiche dellortopnea, della dispnea parossistica notturna e delledema polmonare acuto (vedi Capitolo 1). La dispnea viene descritta come una spiacevole sensazione di difficolt nel respirare. Viene comunemente avvertita da qualsiasi persona in occasione di uno sforzo fisico intenso. Nel paziente con scompenso cardiaco vi una riduzione del grado di attivit associata con questo disturbo. Tanto maggiore la severit dello scompenso cardiaco, tanto minore lentit dello sforzo che causa la dispnea. Su questo basata la classificazione della New York Heart Associaton (Tabella I). La dispnea del paziente con scompenso cardiaco viene tradizionalmente attribuita allaumento delle pressioni capillari polmonari con edema interstiziale ed alveolare. In realt la correlazione con la compromissione della funzione ventricolare sinistra, soprattutto a riposo, scarsa o nulla. Meccanismi che contribuiscono a causare dispnea nei pazienti con scompenso cardiaco sono linsufficiente incremento della portata cardiaca sotto sforzo con ipoperfusione dei muscoli scheletrici, che eseguono lo sforzo, ed ipoperfusione dei muscoli respiratori, decondizionamento della muscolatura scheletrica, ridotta compliance polmonare, aumento della resistenza delle vie aeree, eccessiva risposta ventilatoria allo sforzo. Ortopnea. Lortopnea viene definita come la comparsa di dispnea in posizione supina con sua regressione sollevando la testa, in posizione seduta. Compare rapidamente, entro pochi minuti dallassunzione della posizione supina. E dovuta alla ridistribuzione del volume ematico, con aumento del ritorno venoso e del precarico e congestione polmonare. Dispnea parossistica notturna. Differentemente dallortopnea, essa compare durante il sonno, causando il risveglio del paziente con una sensazione di soffocamento e fame daria. Questi sintomi spesso si riducono con la posizione seduta, spesso sul bordo del letto. Obiettivamente, sono spesso presenti fischi espiratori da broncospasmo per edema della mucosa bronchiale e compressione dei bronchioli per edema interstiziale. Edema polmonare acuto (vedi Capitolo 20) Astenia e affaticabilit. Astenia e facile affaticabilit sono secondari allinsufficiente incremento della portata cardiaca sotto sforzo. La ridotta risposta vasodilatatrice periferica, le alterazioni biochimiche ed istologiche e

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lipotrofia della muscolatura scheletrica sono altri meccanismi patogenetici. Limportanza relativa dei meccanismi muscolari scheletrici, periferici, rispetto al meccanismo centrale, la riduzione della portata cardiaca, varia da paziente a paziente. Cos come anche la dispnea, astenia ed affaticabilit sono sintomi non specifici, che possono essere causati da numerose malattie non cardiovascolari. Nicturia ed oliguria. La nicturia (eliminazione di urina prevalentemente nelle ore notturne), dovuta allaumento di perfusione renale durante la notte, col decubito supino. Loliguria un sintomo delle fasi avanzate dello scompenso cardiaco, secondario ad ipoperfusione renale. Sintomi gastroenterici. Laumento della pressione venosa sistemica, presente soprattutto quando vi disfunzione ventricolare destra, determina epatomegalia con conseguente distensione della capsula epatica e dolenzia allipocondrio destro, talvolta descritta come tensione addominale e senso di pienezza dopo i pasti. Questi pazienti possono avere anche anoressia, difficolt digestive e nausea. Sintomi cerebrali. Lipoperfusione cerebrale cronica secondaria alla bassa portata cardiaca pu causare vertigini, cefalea, sonnolenza, insonnia o altri sintomi cerebrali. Questi sono pi frequenti nei pazienti anziani con coesistente aterosclerosi cerebrale. SEGNI CLINICI La maggior parte dei segni clinici sono conseguenza della ritenzione idrico-salina. Alcuni di essi (stasi giugulare, ritmo di galoppo) hanno un importante valore prognostico. Aspetto generale. E normale nella maggior parte dei pazienti con scompenso cardiaco cronico;. nelle fasi pi avanzate di scompenso, tuttavia, il paziente potr essere dispnoico a riposo e presentare ortopnea e segni di attivazione adrenergica come cute pallida, fredda, sudata e cianotica. Obiettivit cardiaca. Il reperto di un terzo tono (galoppo proto diastolico) allauscultazione indicativo di un aumento della pressione atriale sinistra con brusca decelerazione del sangue allinterno del ventricolo sinistro immediatamente dopo la fase di riempimento rapido (vedi Capitolo 2). E molto raramente udibile in soggetti normali adulti. Un soffio olosistolico da insufficienza mitralica e/o da insufficienza tricuspidale spesso udibile. In caso dipertensione polmonare si pu anche evidenziare unaccentuazione della componente polmonare del 2 tono. Polsi periferici. La pressione arteriosa sistolica e lampiezza dei polsi periferici, espressione della pressione differenziale, tendono ad essere ridotte nei pazienti con scompenso cardiaco severo e bassa portata cardiaca. Stasi polmonare. Ledema alveolare causa la comparsa di rantoli a piccole bolle, crepitanti. Questi si evidenziano generalmente alle basi di entrambe i polmoni oppure, inizialmente, soltanto alla base destra. Nei casi di maggiore gravit tendono ad estendersi verso gli apici fino ai reperti delledema polmonare. Versamento pleurico. Anche questo si evidenzia ad entrambe le basi o, nei casi meno gravi, solo alla base destra. Dato che le vene pleuriche drenano sia nelle vene polmonari che in quelle sistemiche, la sua comparsa frequente soprattutto nei casi dipertensione di entrambe questi distretti venosi. Stasi giugulare. Lispezione del polso venoso giugulare il migliore metodo non strumentale per valutare la presenza di ipertensione venosa sistemica. Lispezione va eseguita dal lato destro del collo in quanto qui vena giugulare interna ed anonima si continuano, in modo pressoch rettilineo, nella vena cava superiore, favorendo la trasmissione delle onde sfigmiche originate dallatrio destro. Per esaminare il polso giugulare, la testa del paziente deve essere adagiata su un cuscino ed il tronco inclinato di 45 (vedi Capitolo 2). Il reflusso epato-giugulare (distensione delle vene del collo dopo compressione per almeno un minuto in ipocondrio destro) segno di congestione epatica con, nello stesso tempo, incapacit del ventricolo destro a ricevere ed eiettare l aumentato ritorno venoso. Epatomegalia. E dovuta a congestione venosa epatica ed apprezzabile alla palpazione e percussione dellipocondrio destro. Ascite. un segno tardivo di grave ipertensione venosa sistemica, dovuto ad un aumento della pressione nelle vene epatiche ed in quelle drenanti il peritoneo con possibile associato aumento della permeabilit dei capillari peritoneali. Edema. Gli edemi compaiono piuttosto tardivamente. Per avere la loro comparsa, si deve verificare laccumulo di almeno 4 litri di volume extracellulare in eccesso. Gli edemi dello scompenso cardiaco sono simmetrici e si manifestano nelle parti declivi del corpo dove maggiore la pressione idrostatica nei vasi venosi (piedi, caviglie, zona pre-tibiale). Inizialmente, compaiono soprattutto alla sera, dopo che il paziente rimasto in piedi durante il giorno, e regrediscono con il riposo notturno. Nei pazienti costretti a letto compaiono a livello sacrale. Nelle fasi avanzate ledema tende a generalizzarsi (anasarca). Cachessia cardiaca. Compare nelle fasi avanzate di scompenso ed associata con una prognosi severa. La genesi di tale fenomeno multifattoriale: congestione epatica ed intestinale con malassorbimento intestinale per grassi e proteine; aumentato metabolismo basale per maggiore lavoro respiratorio, aumento del consumo miocardico di ossigeno; elevate concentrazioni plasmatiche di citochine. ESAMI STRUMENTALI

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Elettrocardiogramma. Un ECG normale non frequente in un paziente con scompenso cardiaco cronico, ma non esiste alcun quadro elettrocardiografico che indichi, di per s, la presenza di scompenso; tuttavia un QRS con durata >120 ms, specialmente associato a un blocco di branca sinistra, suggerisce la probabilit di una disfunzione ventricolare . Radiografia del torace. La radiografia del torace utile nellevidenziare cardiomegalia, congestione polmonare ed eventuali patologie polmonari associate. Esami di laboratorio. La valutazione di routine include: emocromo, elettroliti sierici, creatininemia, glicemia, enzimi epatici ed esame delle urine. La funzione tiroidea pu essere valutata se indicata in base ai reperti clinici. Gli esami ematochimici hanno un importante significato prognostico. Lanemia presente in un 20-30% dei pazienti,. ed pi frequente nei pazienti con scompenso cardiaco pi grave . La sua patogenesi multifattoriale: insufficienza renale, terapia con ACE inibitori, attivazione infiammatoria cronica, etc. Liposodiemia dovuta a dliluizione con ritenzione idrica maggiore di quella salina. E almeno parzialmente dovuta ad aumentata secrezione di vasopressina. Lipokaliemia pu verificarsi come conseguenza della terapia con diuretici dellansa o tiazidici, oltre che per aumentata secrezione di aldosterone. Va corretta in quanto possibile causa di aritmie, anche fatali. Liperkaliemia pu svilupparsi per insufficienza renale e/o terapia con antagonisti del sistema renina-angiotensina-aldosterone. Linsufficienza renale con aumento della creatininemia ed azotemia secondaria ad ipoperfusione renale. Pu essere favorita dalla terapia medica (diuretici, antiinfiammatori non steroidei, aspirina, antagonisti del sistema renina-angiotensina-aldosterone). Le concentrazioni plasmatiche di BNP e di NT-proBNP sono utili nella diagnosi di scompenso cardiaco. Concentrazioni normali di peptici natriuretici in un paziente non trattato rendono la diagnosi di scompenso poco probabile. Oltre allo scompenso cardiaco, altre condizioni cliniche, come lipertrofia ventricolare sinistra, lischemia miocardica, lipertensione e lembolia polmonare possono causare un rialzo dei livelli plasmatici di peptici natriuretici. Ecocardiografia Doppler. E la procedura diagnostica di prima scelta per documentare una disfunzione cardiaca. Il parametro pi importante di funzione ventricolare la frazione deiezione ventricolare sinistra, misurata dal rapporto fra la gittata sistolica e il volume telediastolico. In pratica, si sottrae dal volume telediastolico il volume telesistolico, ottenendo la gittata sistolica, e si divide questa per il volume telediastolico. La frazione di eiezione viene utilizzata per discriminare i pazienti con disfunzione ventricolare sinistra sistolica da quelli con conservata funzione sistolica. Laumento dei volumi telesistolico e telediastolico ventricolare sinistro unaltra caratteristica dei pazienti con scompenso cardiaco dovuto a disfunzione ventricolare sistolica. La misurazione combinata del flusso trans-mitralico e della velocit di spostamento dellanulus mitralico mediante Eco-Doppler tessutale cardiaco permette una valutazione della severit della disfunzione diastolica ventricolare sinistra. Pi spesso, la funzione diastolica valutata mediante lo studio del solo flusso trans mitralico. I tre quadri di riempimento mitralico, alterato rilasciamento, pseudo-normale e restrittivo, corrispondono rispettivamente, ad una disfunzione diastolica di grado lieve, moderato e grave (vedi capitolo 4). Oltre allo studio della funzione ventricolare, leco-Doppler permette anche di evidenziare uneventuale insufficienza mitralica e/o tricuspidale, frequentemente presenti in questi pazienti, o anche altre alterazioni (es. una stenosi aortica) che possono avere causato lo scompenso cardiaco. Risonanza magnetica (RM) cardiaca. E una tecnica estremamente accurata e riproducibile per la valutazione dei volumi ventricolari destro e sinistro, della funzione ventricolare sinistra globale e regionale, dello spessore miocardico, della rigidit di parete, della massa miocardica e delle valvole cardiache (vedi Capitolo 7).. E limitata dalla sua attuale non applicabilit ai portatori di pacemaker o di defibrillatore automatico. Prove di funzionalit respiratoria. La spirometria utile nellescludere cause polmonari della dispnea e nel valutare la gravit di una patologia polmonare concomitante. Coronarografia. E indicata nei pazienti con concomitante angina, o, comunque, segni dischemia miocardica. Test da sforzo cardiopolmonare. E utile per quantificare la severit della malattia e nella valutazione prognostica. (vedi Capitolo 9)

PRINCIPI DI TERAPIA Obiettivi. La terapia si propone di migliorare i sintomi e la qualit di vita e/o di migliorare la prognosi (riduzione della mortalit e delle ospedalizzazioni). Un altro fondamentale obiettivo la prevenzione della disfunzione cardiaca nei pazienti a rischio (esiti dinfarto, ipertensione arteriosa, valvulopatie, diabete, etc) e la prevenzione dello scompenso cardiaco conclamato (comparsa dei sintomi) nei pazienti con disfunzione cardiaca. Il trattamento dello scompenso cardiaco cronico si basa su farmaci da somministrarsi per migliorare la prognosi e farmaci volti al miglioramento dei sintomi. Alla prima categoria appartengono gli inibitori del sistema reninaangiotensina-aldosterone ed i beta-bloccanti, alla seconda i diuretici e la digitale. ACE inibitori. Gli ACE inibitori sono raccomandati come terapia di prima scelta nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra sistolica, con o senza sintomi. Lindicazione a questi farmaci basata su ampi studi controllati

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con placebo che hanno dimostrato un miglioramento della sopravvivenza, sintomi, capacit funzionale ed una riduzione delle ospedalizzazioni nei pazienti trattati con questi farmaci. I loro effetti favorevoli sembrano essere principalmente ascrivibili al rallentamento, se non inibizione, dei fenomeni di rimodellamento ventricolare sinistro ed, in minore misura, alla prevenzione di nuovi eventi ischemici e delle aritmie. Beta-bloccanti. In assenza di controindicazioni, i beta-bloccanti devono essere somministrati a tutti i pazienti con scompenso cardiaco cronico, in condizioni di stabilit clinica. La loro efficacia stata dimostrata in pazienti con scompenso cardiaco di grado lieve, moderato e severo (classe NYHA dalla II alla IV), dovuta a cardiopatia ischemica o non-ischemica e con ridotta frazione deiezione ventricolare sinistra, gi in trattamento con diuretici e ACE inibitori, nonch in pazienti con disfunzione ventricolare sinistra postinfartuale, con o senza sintomi di scompenso. In questi pazienti, gli studi clinici controllati hanno dimostrato una riduzione della mortalit, ospedalizzazioni ed episodi di peggioramento dello scompenso cardiaco ed un miglioramento della classe funzionale con la terapia beta-bloccante, rispetto al placebo. Antialdosteronici. Gli antagonisti dellaldosterone sono raccomandati, in aggiunta allACE-inibitore, al betabloccante e al diuretico, nello scompenso cardiaco avanzato (NYHA III-IV) per migliorare la sopravvivenza, morbilit e classe funzionale. Bloccanti dei recettori dellAngiotensina II. I bloccanti dei recettori dellAngiotensina II hanno effetti simili o equivalenti agli ACE inibitori sulla mortalit e sulla morbilit dei pazienti con scompenso cardiaco cronico e dei pazienti con recente infarto. Possono essere quindi usati in alternativa agli ACE inibitori nei casi di intolleranza a questi (tosse, edema angioneurotico). Hanno avuto anche effetti favorevoli sulle ospedalizzazioni e sulla mortalit in associazione agli ACE inibitori in pazienti ancora sintomatici per scompenso. Diuretici. I diuretici sono essenziali per il trattamento sintomatico dello scompenso cardiaco in presenza di ritenzione idrica con congestione polmonare e/o congestione venosa giugulare e/o edemi declivi. Eccetto che nelle forme di scompenso cardiaco lieve, in cui si possono impiegare anche i tiazidici, vanno preferiti i diuretici dellansa (furosemide, torasemide, bumetanide). Vanno somministrati alle dosi minime necessarie per mantenere il paziente libero da segni di ritenzione idrico-salina. La loro somministrazione favorisce l'attivazione dei sistemi renina-angiotensina-aldosterone e simpatoadrenergico, il peggioramento della funzione renale ed alterazioni elettrolitiche (ipokaliemia), tutti effetti potenzialmente dannosi per il paziente con scompenso cardiaco. I diuretici risparmiatori di potassio (amiloride, triamterene, spironolattone) possono essere associati agli altri diuretici per il trattamento dellipokaliemia. Lo spironolattone ha altri effetti favorevoli indipendenti da quello diuretico (vedi sopra). Glucosidi digitalici. Sono indicati nei pazienti con fibrillazione atriale e scompenso cardiaco sintomatico. Nei pazienti in ritmo sinusale la digossina non ha effetti sulla mortalit ma riduce le ospedalizzazioni, in particolare quelle per scompenso cardiaco. Altri farmaci. Altri farmaci frequentemente impiegati nei pazienti con scompenso cardiaco sono i nitrati, per il trattamento dellischemia miocardica e migliorare i sintomi, gli anticoagulanti, specialmente nei pazienti con concomitante fibrillazione atriale o precedenti episodi embolici, gli antiaggreganti piastrinici, nei casi con cardiopatia ischemica, lamiodarone, per il trattamento o profilassi delle tachiaritmie. Limpianto del defibrillatore automatico e la terapia di resincronizzazione ventricolare con pacemaker biventricolare sono indicati in pazienti selezionati.

Sezione V. Lo shock cardiogeno Capitolo 23 LO SHOCK CARDIOGENO Gian Paolo Trevi, Serena Bergerone, Claudio Chirio, Davide Castagno
DEFINIZIONE Lo shock cardiogeno una condizione di ipotensione arteriosa e inadeguata perfusione tissutale con ipossia causata da disfunzione cardiaca, pi frequentemente di natura ischemica, in presenza di una deguato volume intravascolare. Questa situazione di ipossia tissutale va distinta in una forma transitoria, cui consegue il rapido ripristino di normali valori di pressione sistemica, chiamata collasso cardiocircolatorio, e una forma che si protrae a lungo, con danni ipossici pi marcati, che rappresenta lo shock cardiogeno vero e proprio. I criteri diagnostici per lo shock cardiogeno comprendono:

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pressione sistolica inferiore a 80 mm Hg per almeno 30 minuti, non incrementata dalla somministrazione segni di ipoperfusione (estremit fredde), alterato stato di coscienza, agitazione psico-motoria; diuresi oraria inferiore a 20 ml; indice cardiaco inferiore a 1,8 l/min/m2; pressioni di riempimento ventricolare sinistro elevate (pressione capillare polmonare > 18 mm Hg).

di liquidi endovena;

EPIDEMIOLOGIA Lo shock cardiogeno rappresenta la causa pi comune di morte per causa cardiovascolare dopo linfarto miocardico. Lincidenza di shock cardiogeno negli anni precedenti la diffusione delle metodiche di rivascolarizzazione (farmacologica e meccanica) era pari al 20% di tutti gli infarti miocardici acuti con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI). Dalle pi recenti casistiche si stima che lo shock si verifichi oggi nel 7% dei pazienti con STEMI e nel 3% dei pazienti con infarto miocardico acuto senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI). Quando lo shock cardiogeno non secondario ad un fattore modificabile (per esempio aritmie, bradicardia, alterazioni meccaniche) la mortalit a breve termine dell80%. EZIOLOGIA Lo shock cardiogeno pu essere dovuto alle seguenti condizioni (Tabella I):

deficit di eiezione ventricolare: un deficit acuto della funzione ventricolare sistolica pu derivare dalla

compromissione grave di una grande parte della massa miocardica. Tra le cause principali di questa situazione va menzionato innanzitutto linfarto esteso del miocardio; tuttavia, anche infarti miocardici di piccole dimensioni, soprattutto quando si verificano in pazienti con preesistente compromissione del ventricolo sinistro, possono evolvere in shock cardiogeno. Un deficit di eiezione pu essere, peraltro, sostenuto anche da aritmie ventricolari o da insufficienze valvolari ad insorgenza acuta;

difetti di riempimento ventricolare: possono essere dovuti a: cause estrinseche, quali tamponamento cardiaco, pericardite costrittiva; cause intrinseche, quali trombi o mixomi atriali, embolia polmonare massiva, stenosi mitralica serrata.

FISIOPATOLOGIA La brusca riduzione della pressione sistolica al di sotto di 80 mm Hg induce la stimolazione dei barocettori (i principali sono quelli del seno carotideo e del seno aortico), determinando:

vasocostrizione delle arteriole e delle meta-arteriole attraverso una stimolazione del sistema nervoso aumento della frequenza cardiaca attraverso linibizione del sistema nervoso parasimpatico.

simpatico;

La caduta della pressione sistemica induce:

aumento della stimolazione dei chemocettori (i principali sono situati nellarco aortico e alla biforcazione iperventilazione, per migliorare lossigenazione del sangue; tachicardia riflessa (il riflesso tachicardizzante di origine polmonare, prodotto dalliperventilazione); aumento dei livelli di catecolamine circolanti, responsabili della vasocostrizione arteriosa e venosa;

delle carotidi), determinando:

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attivazione dellasse renina-angiotensina-aldosterone, quale risposta renale allipoperfusione sistemica,

con conseguente ritenzione di sodio e di liquidi. Tali risposte hanno come effetto laumento della pressione telediastolica e dei volumi del ventricolo sinistro. Sebbene ci compensi parzialmente la riduzione della funzione ventricolare sinistra, unelevata pressione telediastolica del ventricolo sinistro determina edema polmonare, con alterazione degli scambi gassosi polmonari. La conseguente acidosi respiratoria aumenta ulteriormente lischemia miocardica, la disfunzione ventricolare sinistra e la trombosi intravascolare (Figura 1). Se la causa che ha provocato il collasso cardiocircolatorio reversibile e agisce per breve tempo, la crisi pu risolversi con il ripristino di normali valori di pressione sistemica. Quando, invece, questa reazione compensatoria insufficiente a far fronte allipotensione, si innesca una spirale discendente che conduce, attraverso il perpetuarsi di una condizione di ischemia miocardica, ad un progressivo peggioramento della funzione cardiaca, fino alla morte (Figura 2). In caso di shock cardiogeno secondario a infarto miocardico acuto, le porzioni di miocardio non ischemiche diventano ipercontrattili ed aumentano il loro consumo di ossigeno. Le conseguenze di questa risposta dipendono dallestensione del danno e dal precedente stato del miocardio, dalla gravit della patologia coronarica sottostante, dalla presenza di altre patologie valvolari. Si possono verificare tre condizioni:

compenso: ripristino della normale pressione arteriosa e normale pressione di perfusione miocardica compenso parziale: stato di pre-shock con portata cardiaca e pressione arteriosa moderatamente ridotte e shock: si sviluppa rapidamente e determina una marcata ipotensione e peggioramento dellischemia

conseguente aumento della frequenza cardiaca ed elevata pressione telediastolica ventricolare sinistra miocardica globale. Senza unimmediata riperfusione, i pazienti in questa condizione presentano una limitata possibilit di sopravvivenza. SINTOMI E SEGNI CLINICI A fronte di un elevato numero di segni clinici, lo shock cardiogeno pu teoricamente manifestarsi in assenza di sintomi avvertiti dal paziente; quando questi sono presenti, si tratta per lo pi dei sintomi di un infarto miocardico acuto (dolore toracico, dispnea, cardiopalmo, nausea, vomito, astenia). Il paziente in shock cardiogeno presenta solitamente alterazioni dello stato di coscienza, come risultato della ridotta perfusione cerebrale; altri segni di ipoperfusione dorgano conseguenti alla ridotta gittata cardiaca sono la contrazione della diuresi, linsufficienza epatica, la cianosi, la marezzatura delle estremit. Queste alterazioni cliniche di shock conclamato non si manifestano abitualmente sino a che lindice cardiaco (cio la gittata cardiaca rapportata alla superficie corporea) non scende sotto il valore di 2,2 l/min/m2. Lesame obiettivo mostra cute pallida ipotermica e sudata, distensione giugulare, aumentata frequenza cardiaca. Il polso arterioso iposfigmico, irregolare in presenza di aritmie; un polso paradosso compare se la causa dello shock il tamponamento cardiaco (vedi Capitoli 2 e 32). Lascoltazione del torace rivela rantoli se presente edema polmonare alveolare. Lobiettivit cardiaca presenta spesso un ritmo di galoppo (terzo e/o quarto tono); se lo shock cardiogeno deriva dalle complicanze meccaniche di un infarto miocardico, possono essere udibili anche i soffi da insufficienza mitralica (vedi Capitolo 15) o da difetto del setto interventricolare. DIAGNOSTICA STRUMENTALE

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Per la diagnosi di shock cardiogeno necessario confermare la presenza di disfunzione cardiaca o di eventuali ostacoli meccanici al riempimento ventricolare (per esempio tamponamento cardiaco, pericardite costrittiva, trombi o mixomi striali, embolia polmonare massiva, stenosi mitralica serrata). E altres importante escludere altre potenziali cause di grave ipotensione come lipovolemia, lemorragia e la sepsi. Liter diagnostico, partendo dallanamnesi e dallesame obiettivo del paziente, procede considerando i seguenti esami diagnostici:

Elettrocardiogramma:

Pu mostrare segni di infarto miocardico acuto o di precedenti cardiopatie, o mettere in luce aritmie. Un ECG normale, tuttavia, non esclude la diagnosi di shock cardiogeno.

Radiografia del torace

E utile nel valutare le dimensioni cardiache, la presenza di congestione polmonare o di altre eventuali patologie polmonari. Fornisce inoltre una stima approssimativa delle dimensioni del mediastino e della radice aortica, utili per escludere una dissezione dellaorta.

Esami ematochimici

La determinazione dei marker di necrosi miocardica pu essere fondamentale per diagnosticare un infarto miocardico acuto quale causa di shock cardiogeno nei casi in cui il tracciato elettrocardiografico non sia interpretabile. E anche utile misurare la concentrazione dei gas ematici nel sangue arterioso (emogasanalisi arteriosa), dal momento che la presenza di acidosi pu avere effetti particolarmente dannosi sul miocardio. 4. Ecocardiogramma Permette di ottenere informazioni circa la funzione sistolica globale e segmentaria dei ventricoli e consente di giungere rapidamente al riconoscimento delle cause meccaniche di shock, quali rottura di un muscolo papillare con insufficienza mitralica acuta, rottura acuta del setto interventricolare o della parete libera ventricolare con tamponamento cardiaco, malfunzionamento di apparati valvolari protesici. 5. Monitoraggio invasivo e cateterismo cardiaco destro. Lincannulamento di unarteria permette il monitoraggio invasivo della pressione arteriosa, mentre quello di una vena, incuneando un catetere (catetere di Swan-Ganz, vedi Capitolo 11) a livello dei capillari polmonari, permette di ottenere parametri emodinamici fondamentali per la diagnosi, quali la portata cardiaca e le pressioni di riempimento ventricolare. GESTIONE INIZIALE DEL PAZIENTE Il trattamento dello shock cardiogeno ha innanzitutto lo scopo di migliorare la funzione cardiaca. Lapproccio iniziale al paziente con shock cardiogeno dovrebbe includere: Gestione delle vie aeree Il paziente in stato di shock ha spesso un diminuito livello di coscienza che lo rende incapace di proteggere adeguatamente le proprie vie aeree e di provvedere spontaneamente alla respirazione. In questi casi lintubazione endotracheale e la ventilazione meccanica sono provvedimenti obbligati. Se il paziente ancora in grado di ventilare in maniera adeguata comunque indispensabile

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fornirgli ossigeno ad alti flussi, utilizzando maschere, per avvicinarsi quanto pi possibile al 100% di ossigeno inspirato. Reperimento di un accesso venoso Pu essere un accesso venoso periferico o, meglio, un accesso venoso centrale (vena femorale, giugulare o succlavia). Attraverso questa via possono essere somministrati liquidi e farmaci. Lintroduzione dei fluidi deve essere effettuata con attenzione, in modo da assicurare un adeguato precarico e ottimizzare la funzione ventricolare (specialmente in presenza di infarto ventricolare destro), evitando leccessiva somministrazione di liquidi, che potrebbe condurre alledema polmonare. 3) Monitoraggio elettrocardiografico Tachicardie e blocchi atrioventricolari possono ridurre in maniera significativa la gittata cardiaca. Il loro tempestivo riconoscimento e trattamento un elemento di estrema importanza. 4) Monitoraggio emodinamico Consente il controllo continuo della pressione di riempimento (pressione diastolica ventricolare sinistra) attraverso la misurazione della pressione atriale sinistra indiretta, ottenibile mediante misurazione della pressione polmonare con catetere di Swan Ganz (vedi Capitolo 11). 5)Posizionamento di un catetere vescicale E di estrema importanza il monitoraggio della diuresi oraria, essendo la contrazione della diuresi uno dei primi segni di bassa portata cardiaca.

CENNI DI TERAPIA Terapia farmacologica

Morfina: nellinfarto miocardico pu alleviare l'intenso dolore toracico, contribuire a ridurre gli elevati

livelli di catecolamine circolanti e diminuire il precarico e il postcarico. La risposta deve essere attentamente monitorata perch la morfina causa depressione respiratoria, provoca dilatazione venosa e pu ridurre la pressione arteriosa.

Agenti inotropi: se la pressione arteriosa sistemica inferiore a 80-90 mm Hg, necessario infondere un

agente pressorio come la dopamina. A dosi relativamente basse, 2-5 g/kg per minuto, il farmaco induce aumento della gittata sistolica e della gittata cardiaca, mediato dalla stimolazione -adrenergica, e incremento del flusso renale mediato da recettori specifici dopaminergici. Gli effetti vasocostrittori a-adrenergici si manifestano a dosi superiori ai 5 g/kg per minuto. Se si rendono necessarie alte dosi di dopamina per mantenere una perfusione adeguata, si deve prendere in considerazione il passaggio allinfusione di noradrenalina. Questo farmaco un potente costrittore arteriolare e venoso, la cui azione mediata attraverso una stimolazione a-adrenergica, mentre la stimolazione -adrenergica relativamente modesta. Quando la pressione arteriosa sistemica 90 mm Hg o superiore, il farmaco di scelta la dobutamina, che pu produrre un aumento della pressione sistemica attraverso lincremento della gittata cardiaca.

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Vasodilatatori: visto che questi farmaci riducono la pressione arteriosa, il loro impiego deve essere

associato a quello di un agente inotropo. Il farmaco principalmente utilizzato il nitroprussiato di sodio, il quale riduce sia il precarico che il postcarico del ventricolo sinistro.

Diuretici: il loro impiego riservato ai casi di shock cardiogeno con edema polmonare acuto. I diuretici pi

utilizzati sono quelli dellansa (per esempio, furosemide), associati ai risparmiatori di potassio (per esempio, spironolattone).

Supporto meccanico La stabilizzazione del paziente in shock cardiogeno pu essere ottenuta mediante un supporto circolatorio meccanico, cio con limpiego del contropulsatore aortico. Questo consiste in un palloncino montato su un catetere vascolare e collegato tramite un tubo ad una consolle di comando che in grado di monitorizzare l'ECG e la curva di pressione arteriosa, sincronizzando l'insufflazione e la desufflazione del palloncino con il ciclo cardiaco. Il catetere viene inserito per via percutanea attraverso l'arteria femorale, e la sua punta posizionata in aorta discendente 1-2 centimetri sotto l'emergenza della arteria succlavia di sinistra e sopra l'origine delle arterie renali (Figura 3). Il gonfiaggio del pallone del contropulsatore avviene precocemente in diastole, determinando un notevole aumento della pressione aortica diastolica fin quasi ai livelli della pressione aortica sistolica, e aumentando di conseguenza il flusso sanguigno coronarico. Inoltre, lo sgonfiaggio del pallone allinizio della sistole riduce la pressione aortica, con conseguente diminuzione del consumo di ossigeno da parte del miocardio e delle resistenze periferiche (postcarico). La contropulsazione aortica generalmente riservata ai pazienti in shock cardiogeno dovuto a una condizione potenzialmente reversibile, o nei quali si prenda in considerazione il trapianto cardiaco (Tabella II). Tali condizioni comprendono linfarto miocardico ancora in evoluzione e linfarto associato a una grave complicanza meccanica (insufficienza mitralica o difetto del setto interventricolare). In caso di shock cardiogeno secondario a infarto miocardico acuto, il ripristino del flusso ematico coronarico la terapia pi efficace per salvare i pazienti che non rispondono allinfusione di liquidi o al trattamento farmacologico. Le possibilit comprendono langioplastica e il by-pass aorto-coronarico. Nei casi in cui, invece, lo shock cardiogeno causato da una complicanza meccanica dellinfarto miocardico, la terapia chirurgica di riparazione della lesione e/o sostituzione valvolare la sola strada percorribile.

Sezione VI. Cardiopatia Ischemica Capitolo 23 FISIOPATOLOGIA DELL'ISCHEMIA MIOCARDICA Filippo Crea, Gaetano A. Lanza Parte I Fisiologia del circolo coronarico
METABOLISMO DELLE CELLULE MIOCARDICHE Per svolgere la loro funzione contrattile, le cellule miocardiche necessitano di un apporto continuo di ossigeno. Il loro metabolismo, infatti, prettamente aerobico e gi di base comporta lestrazione di circa il 70% dell'ossigeno dal sangue durante il suo passaggio nel circolo coronarico. Ne deriva che un aumento significativo della richiesta di ossigeno pu essere soddisfatto solo da un adeguato incremento del flusso coronarico (Figura 1). Poich la maggior parte dellenergia richiesta dalle cellule miocardiche impiegata nel processo di contrazione, la frequenza cardiaca (FC) costituisce il fattore principale del consumo miocardico di ossigeno. Di fatto, un raddoppio della sola FC (ad esempio, durante pacing atriale) comporta un raddoppio del consumo miocardico di ossigeno. Altri fattori che influenzano in modo significativo il consumo miocardico di ossigeno sono la pressione arteriosa (PA, postcarico), la pressione e il volume ventricolare in diastole (precarico) e linotropismo cardiaco.

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Durante esercizio, lincremento della FC, della PA, dellinotropismo cardiaco e del ritorno venoso (precarico) contribuiscono tutti ad aumentare il consumo miocardico di ossigeno, e quindi la richiesta di un aumento del flusso coronarico (Figura 2). Mentre la misurazione precisa del consumo miocardico di ossigeno richiederebbe metodi invasivi, una valutazione non invasiva approssimata, ma attendibile, data dal prodotto FC x PA sistolica (doppio prodotto), largamente utilizzato nella pratica clinica per stimare il consumo miocardico di ossigeno, in particolare il suo incremento durante sforzo. LA CIRCOLAZIONE ARTERIOSA CORONARICA Dal punto di vista fisiologico, la circolazione arteriosa coronarica pu essere distinta in tre principali compartimenti, collegati in serie (Figura 3). Il compartimento prossimale costituto dalle arterie di capacitanza epicardiche, che hanno funzione conduttiva e non oppongono resistenza significativa al flusso, per cui la pressione rimane sostanzialmente costante lungo il loro decorso. Durante la contrazione miocardica il sangue viene spinto in senso retrogrado dai vasi intramiocardici verso i vasi epicardici, il cui contenuto aumenta quindi di circa il 25%. L'energia elastica accumulata durante la sistole si trasforma in energia cinetica durante la diastole, contribuendo a garantire un adeguato flusso coronarico in questa fase. Le arterie coronarie di conduttanza modificano il loro tono in risposta a variazioni di flusso, il cui aumento causa una dilatazione endotelio-dipendente dei vasi, e per effetto di sostanze vasoattive locali o circolanti e di stimoli neurogeni. I vasi distali sono vasi di resistenza ed hanno dimensioni inferiori a 0.5 mm. Per le loro dimensioni, questi vasi non sono visibili allangiografia coronarica e costituiscono la vasta area del microcircolo coronarico. Dal punto di vista funzionale, le piccole arterie cardiache possono essere divise in due distretti, uno prossimale, rappresentato dalle prearteriole, ed uno distale, rappresentato dalle arteriole. Le prearteriole hanno dimensioni di 100-500 m e contribuiscono per il 25-30% alla resistenza coronarica totale. La loro funzione principale di mantenere la pressione di perfusione all'origine delle arteriole a livelli ottimali. A tale scopo vanno incontro a vasocostrizione miogena in presenza di un aumento, e a vasodilatazione in caso di riduzione, della pressione arteriosa sistemica. Le arteriole hanno dimensioni <100 m di diametro e contribuiscono per il 40% circa alla resistenza coronarica. Esse sono la sede della regolazione metabolica del flusso coronarico. Per la loro posizione, infatti, esse risentono dellattivit metabolica delle cellule miocardiche, modificando il loro tono vasale in modo da adattare il flusso coronarico alle richieste energetiche. Cos, le arteriole si dilatano in caso di un aumento del metabolismo cardiaco, che comporta unaumentata richiesta di ossigeno, consentendo un adeguato aumento di flusso. Nei casi di maggiore richiesta di ossigeno miocardico, la riduzione massimale della resistenza coronarica consente un aumento anche di 4-5 volte del flusso coronarico, e quindi dellapporto di ossigeno, come nel caso di sforzi intensi. La capacit di aumento massimale del flusso coronarico rispetto al basale costituisce la cosiddetta riserva coronarica (che espressa matematicamente come rapporto tra flusso durante vasodilatazione massimale e flusso basale). Oltre che dallo stato metabolico delle cellule miocardiche, comunque, il tono delle arteriole anchesso modulato da fattori autacoidi locali, da sostanze vasoattive circolanti e da stimoli neurogeni. CONTROLLO DEL FLUSSO CORONARICO Diversi fattori contribuiscono alla complessa regolazione del flusso coronarico. Forze meccaniche extravascolari Una caratteristica esclusiva del cuore che esso stesso genera la pressione di perfusione del suo sistema arterioso. Durante la sistole le forze extravascolari intramiocardiche superano quella intravascolari: i vasi intramiocardici vengono, quindi, occlusi e il sangue in parte addirittura espulso verso i vasi epicardici. Il flusso anterogrado quindi praticamente abolito durante la sistole, soprattutto negli strati subendocardici, che ricevono quindi sangue esclusivamente in diastole (Figura 4). Regolazione del tono vascolare coronarico I fattori che contribuiscono a regolare il tono vascolare coronarico, e quindi il flusso coronarico, sono numerosi e possono variare nei diversi compartimenti arteriosi. a) La regolazione miogenica fa s che il tono vasale arterioso aumenti quando la pressione arteriosa aumenta, mentre si riduce quando la pressione decresce, ed ha, quindi, lo scopo di mantenere costante il flusso in proporzione alle variazioni della pressione di distensione del vaso. Essa sembra esplicarsi soprattutto nelle prearteriole. b) La regolazione metabolica del tono vascolare avviene a livello delle arteriole. Laumento della domanda di ossigeno causa il rilascio, da parte dei miocardiociti, di sostanze vasodilatatrici che determinano dilatazione arteriolare, consentendo cos laumento del flusso. Tra le sostanze implicate nella regolazione del flusso coronarico, un ruolo rilevante sembra essere svolto dall'adenosina, che, con l'aumento del metabolismo energetico, viene prodotta in maggiori quantit dai miocardiociti, in seguito alla maggiore scissione delle molecole di adenosin trifosfato (ATP). Ladenosina agisce sui recettori adenosinici A2 delle cellule muscolari lisce vascolari, attivando l'adenilato-ciclasi intracellulare, che determina la produzione di AMP ciclico. Altri fattori, tuttavia, possono contribuire alla vasodilatazione metabolica (pressione tissutale di ossigeno, pH, concentrazione di potassio, pressione osmotica, attivazione dei canali ATP-sensibili del potassio, bradichinina). L'aumento del flusso

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conseguente alla vasodilatazione arteriolare pu continuare ad essere garantito grazie anche alla vasodilatazione flusso-mediata, in larga parte endotelio-dipendente, che si determina nei vasi prossimali, in particolare nelle prearteriole, come conseguenza dellaumento della velocit di flusso. c) La regolazione neurogenica del tono vasale dovuta agli effetti esplicati sui vasi dal sistema nervoso autonomo simpatico e parasimpatico. La stimolazione simpatica causa un aumento del tono vasomotore e della resistenza coronarica tramite stimolazione dei recettori 1 2 da parte della noradrenalina. Un -tono sembra presente gi in condizioni di riposo, in quanto la somministrazione di -bloccanti causa un aumento di circa il 10% del flusso coronarico basale. Daltro canto, la stimolazione dei recettori 1 e 2 determina una vasodilatazione, con riduzione del 2030% della resistenza coronarica. Leffetto complessivo della stimolazione adrenergica in vivo (ad esempio, durante uno sforzo) comunque quello di un aumento del flusso coronarico. Ci soprattutto secondario all'aumento del consumo miocardico di ossigeno che essa determina, con conseguente vasodilatazione metabolica. Il ruolo del sistema nervoso parasimpatico nella regolazione del circolo coronarico non completamente chiaro: in vivo la stimolazione vagale tende a determinare un aumento del tono vasomotore, soprattutto come effetto secondario alla bradicardia ed alla conseguente riduzione del consumo miocardico di ossigeno. d) Un ruolo molto importante svolto dalla regolazione endotelio-mediata del circolo coronarico, diventata evidente in anni recenti. Molti studi hanno infatti dimostrato che l'endotelio pu essere considerato come un vero e proprio organo endocrino, in grado di produrre numerose sostanze, alcune delle quali svolgono un ruolo cruciale nella regolazione del flusso sanguigno (vedi Capitolo 47). Le principali sostanze prodotte dallendotelio hanno anzitutto attivit vasodilatatrice, e comprendono l'endothelium-derived relaxing factor (EDRF), la prostaciclina (PGI2) e l'endothelium-derived hyperpolarizing factor (EDHF) (Figura 5, Figura 6). L'EDRF ha emivita breve (5 secondi) ed stato identificato con l'ossido nitrico (NO). Esso agisce attivando la guanilato-ciclasi delle cellule muscolari lisce, che risulta nella fomazione di guanosin-monofosfato ciclico (cGMP). LEDRF sembra avere un ruolo nel determinare il tono vascolare basale; la somministrazione dellinibitore NGmonometil-L-arginina, infatti, riduce il flusso ematico a vari livelli. Molte sostanze vasoattive (ad esempio, acetilcolina, serotonina, bradichinina) esercitano il loro effetto vasodilatatore determinando il rilascio di EDRF da parte delle cellule endoteliali (vasodilatazione endotelio-mediata). L'EDRF, inoltre, sembra essere la sostanza principalmente responsabile della vasodilatazione che si ottiene in risposta all'aumento del flusso coronarico (vasodilatazione flusso-mediata). La PGI2 una prostaglandina, derivata dall'acido arachidonico. Ha anchessa emivita breve (10 secondi) ed rilasciata in risposta alla pressione pulsatile e a diverse sostanze (ad esempio., bradichinina, trombina, serotonina). Sembra contribuire anch'essa al tono vasale basale e alla vasodilatazione flusso mediata. L'EDHF non stato ancora ben identificato chimicamente; probabilmente deriva anch'esso dall'acido arachidonico ed ha emivita breve. Dati sperimentali suggeriscono che esso causi vasodilatazione mediante apertura dei canali del potassio e conseguente iperpolarizzazione delle cellule muscolari lisce. Sembra venire anch'esso rilasciato in risposta allo shear stress ed al flusso pulsatile, oltre che a diverse sostanze (ad es., acetilcolina, sostanza P, bradichinina, CGRP). Le cellule endoteliali, tuttavia, sintetizzano anche sostanze vasocostrittrici, in particolare l'endotelina-1 (ET-1), l'angiotensina II, l'endothelium-derived contracting factor (EDCF) e la prostaglandina H2, oltre ai radicali liberi dell'ossigeno (Figura 5, Figura 6). Se queste sostanze abbiano un qualche ruolo nella regolazione fisiologica del circolo coronarico non chiaro. Viceversa, lattivit vasocostrittrice dellendotelio (attivazione dellendotelio) pu aumentare in alcune condizioni patologiche (per esempio, ipertensione arteriosa, diabete, aterosclerosi, ischemia miocardia, scompenso cardiaco), contribuendo ai loro effetti negativi. LET-1, in particolare, il pi principali, ETA ed ETB. Lazione muscolari lisce. La stimolazione inibisce quello di ET-1, tendendo Integrit della parete vasale Lo svolgimento di un normale flusso coronarico comporta lintegrit della parete vasale. Ancora una volta, soprattutto l'endotelio a garantire questa integrit. Esso, infatti, previene la diffusione di sostanze aterogene nella parete arteriosa, produce costituenti della lamina basale e della matrice extracellulare dell'intima (che possono riparare danni vasali), ed inibisce la crescita e la migrazione cellulare mediante la sintesi di eparan-solfato ed NO (Figura 6). L'endotelio ha inoltre un ruolo chiave nel preservare la fluidit del sangue, in quanto il suo rivestimento interno con proteoglicani forma una barriera elettronegativa che previene l'adesione delle piastrine e delle altre cellule circolanti. La sintesi di NO e PGI2, inoltre, ostacola l'adesione e l'aggregazione piastrinica. Infine, le cellule endoteliali secernono diverse sostanze con attivit anticoagulante, come l'eparan-solfato, che catalizza l'inattivazione della trombina da parte dell'antitrombina III, e la trombomodulina, che si lega a trombina e proteina C, e sostanze in grado di attivare il plasminogeno, e quindi la fibrinolisi, come lo urokinase type plasminogen activator (u-PA) ed il tissue type plasminogen activator (t-PA). potente vasocostrittore conosciuto nell'uomo, agisce su due tipi di recettori vasocostrittrice svolta mediante stimolazione dei recettori ETA sulle cellule di recettori ETB sulle cellule endoteliali, daltro canto, induce rilascio di NO ed a contrastare cos gli effetti vasocostrittori dellET-1.

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Parte II Meccanismi dellischemia miocardica


DEFINIZIONE Lischemia miocardica si verifica quando il flusso coronarico risulta inadeguato a soddisfare le richieste di ossigeno e sostanze metaboliche necessarie alle cellule miocardiche per svolgere le proprie funzioni. Quando sufficientemente grave e prolungata, lischemia determina la necrosi delle cellule stesse. Questa, in caso di occlusione acuta di un vaso coronarico, interessa progressivamente prima gli strati subendocardici, pi sensibili al danno ischemico (vedi pi avanti) e solo pi tardivamente quelli subepicardici. Lischemia miocardica pu essere causata da due principali meccanismi, che possono, tuttavia, combinarsi tra loro nel determinare gli episodi ischemici: (1) impossibilit di aumentare in modo adeguato il flusso coronarico per soddisfare un aumento della domanda miocardica di ossigeno, in genere a causa della presenza di una stenosi coronarica, e (2) riduzione primaria del flusso coronarico, dovuta a vasocostrizione, spasmo o trombosi coronarica. STENOSI CORONARICHE EPICARDICHE Le stenosi coronariche epicardiche, causate da placche aterosclerotiche, sono il substrato pi frequente dellischemia miocardica. Una stenosi coronarica emodinamicamente significativa quando in grado di opporre, gi a riposo, una resistenza al flusso ematico, tale da determinare una caduta della pressione a valle. Ci comincia a verificarsi, in genere, quando il diametro del lume viene ridotto del 50%. Oltre questa riduzione critica, ogni ulteriore aumento della stenosi causa una sempre maggiore riduzione della pressione a valle, con una relazione di tipo esponenziale. La relazione tra caduta pressoria e flusso a livello di una stenosi, tuttavia, non semplicemente lineare, essendo la riduzione del flusso superiore a quella predetta dalla riduzione della pressione (Figura 7). Poich la pressione di perfusione il principale determinante del flusso, la sua riduzione a valle di una stenosi tende a ridurre il flusso. In condizioni basali, tuttavia, in corrispondenza di una stenosi non si osserva riduzione del flusso coronarico, in quanto la caduta della pressione compensata dalla riduzione della resistenza coronarica a valle, come conseguenza della dilatazione delle arteriole coronariche. Questa vasodilatazione compensatoria, tuttavia, riduce la riserva coronarica, vale a dire la capacit di aumento massimo del flusso in risposta allaumento del fabbisogno metabolico del miocardio. Il livello di lavoro cardiaco oltre il quale non pi possibile incrementare il flusso per soddisfare le richieste metaboliche, per cui si sviluppa ischemia, definito soglia ischemica. L'ischemia miocardica da discrepanza che si sviluppa in un paziente tipicamente limitata agli strati subendocardici, che, per varie ragioni, presentano una minore riserva coronarica, e sono quindi pi suscettibili allischemia, rispetto agli strati subepicardici. Infatti, il consumo di ossigeno delle cellule subendocardiche di base maggiore di quello delle cellule subepicardiche, a causa del maggiore stress sistolico parietale cui sono soggette. Come risultato, il flusso subendocardico di base del 15-20% superiore a quello subepicardico, nonostante sia sottoposto a maggiori forze compressive extramurali, con conseguente minore capacit di incremento relativo durante aumento della domanda di ossigeno (Figura 8). Oltre queste condizioni sfavorevoli, altri fattori, in presenza di una stenosi, possono contribuire a facilitare l'ischemia subendocardica in caso di aumento del lavoro cardiaco, come laccorciamento della diastole (durante una tachicardia) e un aumento ulteriore delle forze extravascolari (per esempio, in caso di aumento della pressione telediastolica ventricolare sinistra). Un meccanismo particolare di ischemia miocardica costituito dal furto coronarico transmurale, che si verifica quando, in presenza di un vaso con una stenosi, in genere molto critica, il flusso ematico si ridistribuisce dal subendocardio al subepicardio come conseguenza della vasodilatazione massimale dei vasi di resistenza subepicardici. Infatti, poich la riserva coronarica subendocardica e inferiore a quella subepicardica, una volta che la riserva subendocardica si esaurisce (per vasodilatazione massimale dei vasi subendocardici), unulteriore vasodilatazione epicardica comporter unulteriore caduta della pressione post-stenotica, con conseguente riduzione della perfusione subendocardica, che diventera insufficiente per le richieste metaboliche del subendocardio (Figura 9). Nella pratica clinica limportanza emodinamica di una stenosi in genere valutata allangiografia coronarica visivamente o usando metodi di misurazione quantitativa. La semplice valutazione del grado di una stenosi coronarica allangiografia, tuttavia, ha diverse limitazioni. Altri fattori, infatti, possono avere importanza nel determinare le conseguenze emodinamiche della stenosi, come il diametro del vaso originario, la lunghezza e la concentricit o eccentricit della stenosi e la presenza di altre stenosi nel vaso. Le conseguenze emodinamiche della stenosi possono ancora essere influenzate dalla modulazione dinamica del tono vasale a livello della stenosi e di quello del microcircolo distale, dalla presenza ed estensione di vasi collaterali e dalla resistenza extravascolare. In particolare, le stenosi coronariche sono spesso dinamiche; presentano, cio, variazioni vasomotorie del lume in grado di modificare il grado di stenosi, e quindi la riserva coronarica, dando origine ad un pattern anginoso caratterizzato da una significativa variabilit della la soglia ischemica, in contrasto con la stabilit e predicibilit della soglia ischemica nei casi di stenosi coronariche fisse. La dinamicit di una stenosi pu essere valutata saggiando la risposta vasomotoria alla somministrazione intracoronarica di sostanze vasodilatatrici e vasocostrittrici. Inoltre, un fattore importante in grado di influenzare gli effetti di una stenosi coronarica lo sviluppo di una

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circolazione coronarica collaterale verso il territorio ischemico. I collaterali possono svilupparsi sia da vasi anastomotici preesistenti, sia, pi limitatamente, come piccoli vasi di nuova formazione. Lo sviluppo e l'entit di una circolazione collaterale varia consistentemente da paziente a paziente, e il flusso nei vasi collaterali influenzato sia da fattori nervosi e umorali, sia da sostanze vasoattive autacoidi locali. TROMBOSI CORONARICA I fenomeni trombotici costituiscono il meccanismo fisiopatologico principale dellischemia miocardica nelle sindromi coronariche acute (Figura 10). Quando transitoria, la trombosi causa solo unischemia temporanea; se prolungata o persistente, tuttavia, essa determina la necrosi di una parte pi o meno estesa di tessuto miocardico. I meccanismi responsabili della trombosi coronarica sono complessi e ancora non del tutto chiariti. I trombi, tuttavia, si formano in genere a livello di placche aterosclerotiche complicate (ad esempio, da rottura, fissurazione o emorragia), che espongono al sangue una superficie vasale non pi in grado di contrastare efficacemente, come avviene normalmente, lattivazione di processi proaggreganti e procoagulanti, e, quindi, trombotica (vedi Capitolo 45). In almeno il 30% circa dei casi, tuttavia, trombi coronarici sono riscontrati a livello di placche non fissurate ed esenti da stenosi di rilievo e da apparenti danni della parete vasale. In questi casi, la formazione di un trombo probabilmente facilitata da lesioni microscopiche (erosioni) e/o da alterazioni funzionali dell'endotelio, secondarie a stimoli di varia natura (meccanici, anossici, chimici, infettivi, immunologici), in grado di compromettere in modo rilevante le funzioni antitrombotiche e vasodilatatrici delle cellule endoteliali, che sono anzi stimolate a produrre potenti sostanze vasocostrittrici ed esporre recettori di adesione leucocitaria e piastrinica (attivazione dellendotelio). Le alterazioni dellendotelio sono pi frequenti in vasi con flusso turbolento (ad es., a livello di stenosi), e possono essere causate da molteplici fattori, meccanici (alterato shear stress), chimici (LDL ossidate), infettivi (virus, batteri), e immunologici (anticorpi contro antigeni di superficie, linfociti sensibilizzati). In anni recenti, inoltre, stata accumulata evidenza che un'importante componente patogenetica della formazione di trombi intracoronarici, e quindi delle sindromi coronariche acute, costituita da processi infiammatori delle placche aterosclerotiche, che ne favoriscono le complicanze e stimolano localmente sia meccanismi trombotici che vasocostrittori. Indipendentemente dai meccanismi, la prima fase della formazione di un trombo costituita dalladesione di piastrine alla parete vascolare danneggiata, seguita da una serie di meccanismi che portano alla formazione di un trombo piastrinico, che, in presenza di stenosi critiche, pu di per s causare subocclusione o occlusione del vaso (e quindi, rispettivamente, ischemia subendocardica o transmurale). Pi frequentemente, soprattutto in presenza di stenosi meno gravi, il trombo murale piastrinico viene seguito dalla formazione di un trombo pi stabile, per lattivazione del sistema emostatico, che porta a deposizione anche di rilevanti quantit di fibrina, globuli rossi e leucociti, insieme alle piastrine, con finale occlusione del vaso. Gli effetti fisiopatologici e clinici di un trombo coronarico dipendono, oltre che da quanto esso riduce il lume, dalla sua evoluzione. Il suo destino naturale , infatti, variabile. Esso pu lisarsi spontaneamente in poco tempo, per cui causa solo un'ischemia pi o meno prolungata. Altre volte esso si risolve solo parzialmente, rimanendo in parte adeso alla parete, per cui si organizza e causa la progressione della preesistente stenosi con successiva riduzione della soglia ischemica. Altre volte, infine, subisce una rapida crescita che causa l'occlusione totale del vaso, con grave ischemia e necrosi miocardica. Il destino finale del trombo il frutto di una complessa interazione tra fattori protrombotici e antitrombotici, che coinvolge anche fattori emodinamici, vasomotori e fibrinolitici. Va osservato come trombi, sia ostruttivi sia non ostruttivi, possono dare origine a microembolie distali che causano aree di ischemia o necrosi miocardica circoscritta. Va infine ricordato come una trombosi pu localmente complicare uno spasmo coronarico, facilitando l'occlusione e l'infarto miocardico in pazienti con angina vasospastica. SPASMO CORONARICO Lo spasmo coronarico consiste in unimprovvisa, intensa contrazione delle cellule muscolari lisce di un segmento di unarteria coronaria epicardica, che occlude o riduce in modo critico il lume del vaso, con conseguente ischemia miocardica, in genere transmurale. Esso pu verificarsi sia in vasi stenotici sia in vasi completamente normali e, dal punto di vista clinico, anzitutto il meccanismo responsabile dellangina variante di Prinzmetal (Figura 11). Il substrato che rende un vaso coronarico suscettibile allo spasmo non noto. E probabile, tuttavia, che esso risieda in una o pi alterazioni delle vie intracellulari post-recettoriali di trasmissione e modulazione dei segnali che regolano la contrazione delle cellule muscolari lisce vasali, determinando una loro iperreattivit agli stimoli vasocostrittori. Ci suggerito dal fatto che lo spasmo pu essere indotto, in genere, da vari stimoli vasocostrittori (catecolamine, acetilcolina, alcalosi, ergonovina, serotonina, istamina) che agiscono su recettori differenti (Figura 12). DISFUNZIONE DEL MICROCIRCOLO CORONARICO Diversi dati, in anni recenti, hanno suggerito come alterazioni del flusso coronarico a livello dei piccoli vasi coronarici di resistenza (prearteriole e arteriole), che non sono visibili allangiografia coronarica, possano essere responsabili di unischemia miocardica. Ad esempio, stato osservato che l'infusione intracoronarica di neuropeptide Y o di alte dosi di acetilcolina in soggetti con arterie coronarie epicardiche normali pu indurre ischemia miocardica in assenza di variazioni significative delle arterie epicardiche, ma in presenza di una diffusa

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vasocostrizione dei rami distali e di un lento run off del mezzo di contrasto, indicativo di unintensa vasocostrizione microvascolare. Una disfunzione microvascolare sembra implicata nei meccanismi che causano ischemia miocardica in alcune condizioni cliniche. In pazienti con occlusione totale isolata di un vaso epicardico la somministrazione di ergonovina pu causare riduzione del flusso collaterale in assenza di modificazioni dei vasi epicardici, suggerendo che variazioni rilevanti della soglia ischemica siano conseguenti a variazioni del tono dei vasi di resistenza. In pazienti con stenosi isolata di un vaso coronarico, trattata con intervento di rivascolarizzazione percutaneo, la persistenza di sintomi anginosi e di alterazioni ischemiche dellECG durante sforzo, a dispetto del successo della procedura, suggerisce una causa microvascolare, come indicato da anomalie nellincremento del flusso coronarico in risposta a stimoli vasodilatatori (Figura 13). Alterazioni della resistenze coronariche sono state, inoltre, dimostrate distalmente a stenosi coronariche in pazienti con cardiopatia ischemica stabile o instabile, in vasi non stenotici di pazienti con stenosi ostruttive in altri rami coronarici epicardici, e in pazienti con fattori di rischio per malattia coronarica ma con arterie epicardiche angiograficamente normali. Infine, una disfunzione microvascolare ritenuta essere responsabile della sindrome X cardiaca, una condizione clinica caratterizzata da episodi anginosi, indotti prevalentemente dallo sforzo, in presenza di arterie coronarie angiograficamente normali. I meccanismi della disfunzione dei piccoli vasi arteriosi coronarici sono al momento poco noti, ma sono verosimilmente molteplici e differenti non solo nelle diverse condizioni cliniche, ma anche allinterno di uno stesso gruppo di pazienti. In pazienti con evidenza di malattia coronarica, la disfunzione microvascolare in genere attribuita all'aterosclerosi ed alle alterazioni neuroumorali e vasali (ad es., fibrosi perivascolare, ipertrofia della media) associate ad eventuali malattie sistemiche concomitanti (ad es., ipertensione, diabete). Di contro, nei pazienti con sindrome X cardiaca, in cui non sono presenti ostruzioni epicardiche, sono state riportate alterazioni strutturali dei piccoli vasi coronarici solo in alcuni casi, mentre sono state descritte diverse alterazioni in grado di determinare disfunzione del microcircolo ed ischemia miocardica. Uno schema dei meccanismi potenzialmente coinvolti nella sindrome X riportato nella Figura 14.

Capitolo 24 SINDROMI CORONARICHE CRONICHE Mario Marzilli


DEFINIZIONE Le sindromi coronariche croniche si identificano con langina stabile o angina cronica, termine che definisce una sindrome caratterizzata da attacchi di ischemia miocardica che si producono in circostanze simili, relativamente prevedibili e riproducibili, generalmente associate a sforzo fisico. Meno della met degli episodi ischemici si accompagna a sintomatologia dolorosa e la gran parte degli attacchi ischemici quindi silente. Lesordio dellangina pectoris rappresenta sempre, per definizione, un momento di instabilit: successivamente la forma, se non evolve verso eventi coronarici maggiori, pu entrare nella forma cosiddetta stabile. Laggettivo stabile che caratterizza questa sindrome coronarica deve essere inteso:

come espressione della costanza e ripetibilit delle condizioni in cui si produce lepisodio ischemico come espressione della stabilit nel tempo della frequenza e della severit degli episodi di angina. Questa sindrome ischemica caratterizzata da una bassa incidenza di eventi maggiori (morte improvvisa, infarto miocardico) a breve e medio termine. Il livello di attivit a cui compare langina o lischemia viene definito soglia del dolore o dellischemia. La soglia del dolore pu essere calcolata empiricamente, dal racconto del paziente, sulla base della comparsa dei sintomi e del momento di inizio e del tipo di attivit fisica che ha provocato langina, oppure pu essere definita da parametri ergometrici (minuti di esercizio, doppio prodotto, carico di lavoro) al momento della comparsa di ischemia elettrica (sottoslivellamento di ST) o del dolore. Quando le variazioni della soglia sono particolarmente evidenti, langina perde la sua caratteristica di stabilit sintomatica (angina a soglia variabile) ma pu mantenere la stabilit clinica e la scarsa incidenza di eventi maggiori nel follow up a breve e medio termine. PATOGENESI Il meccanismo patogenetico pi comune dellangina stabile laumento del consumo miocardico di ossigeno, per lo pi dovuto ad esercizio fisico, non accompagnato da un parallelo aumento del flusso coronarico. Pertanto langina cronica stabile generalmente una angina da sforzo. Lincapacit di aumentare il flusso coronarico in maniera adeguata allaumento delle richiesta metaboliche del miocardico pu dipendere da una molteplicit di fattori tra cui: presenza di una stenosi coronarica severa che riduce marcatamente la riserva coronarica, risposta vasocostrittiva del microcircolo distalmente ad una placca aterosclerotica, alterazioni del metabolismo energetico miocardico, etc

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In qualche caso, langina pu comparire in condizioni di riposo muscolare, quando, per altri meccanismi, si verifica comunque un aumento della frequenza cardiaca e/o della pressione arteriosa. DIAGNOSI CLINICA In pazienti che si presentano con dolore toracico, una anamnesi accurata, un esame obiettivo mirato ed una valutazione dei fattori di rischio coronarico consentono, nella maggior parte dei casi, una attendibile definizione diagnostica. Il dolore anginoso Un dolore toracico pu aver origine da numerose strutture (cuore, pericardio, grossi vasi, polmone, pleura, esofago, stomaco) e dipendere da patologie osteo-articolari, nervose o muscolo-cutanee della parete toracica. Lanamnesi rappresenta il primo e spesso anche il pi utile approccio nella diagnosi di angina pectoris. Il dolore anginoso tipico definito coi termini di costrizione, oppressione, peso, bruciore, ed frequentemente associato a malessere generale ed ansia. La sede tipica retrosternale con irradiazione lungo il lato ulnare dellavambraccio sinistro e la mano, oppure alla mandibola, al collo, ad entrambe le braccia ed ai polsi o al dorso. Altre sedi del dolore sono lepigastrio o lemitorace destro con irradiazione allavambraccio omolaterale. Tipicamente il dolore insorge gradualmente, raggiunge la massima intensit entro un minuto e recede spontaneamente dopo 2-10 minuti con la cessazione del fattore scatenante o con la somministrazione sublinguale di nitrati. Altre condizioni che possono determinare linsorgenza di angina sono il rapporto sessuale, gli stress emotivi, lesposizione al freddo, un pasto abbondante o una associazione di questi fattori (Figura 1). Pertanto in alcune condizioni lattacco anginoso pu manifestarsi anche indipendentemente da uno sforzo fisico. Anche se un dolore anginoso tipico si associa generalmente ad una o pi stenosi coronariche, importante tener presente che si pu avere angina da sforzo anche in pazienti con valvulopatia, miocardiopatia ipertrofica, ipertensione, miocardiopatia dilatativa ed in soggetti senza evidenti anomalie miocardiche o coronariche (sindrome X). In ciascun paziente, in caso di recidiva anginosa, la sintomatologia tende a riprodursi sempre con le stesse caratteristiche di sede, irradiazione, etc, anche a distanza di molto tempo. Pur essendo la sintomatologia anginosa il cardine della diagnosi di angina, bisogna sempre tener presente che gli episodi ischemici possono manifestarsi con sintomi diversi dal dolore come dispnea e facile stancabilit, e che oltre la met degli episodi ischemici possono essere privi di sintomi (ischemia silente). Le pi comuni forme morbose da considerare in diagnosi differenziale con langina stabile sono: laneurisma dellaorta toracica, lernia hiatale con esofagite da reflusso, lo spasmo o reflusso esofageo da sforzo, la distensione diaframmatica, lipertensione polmonare, il pneumotorace, le patologie osteo-articolari o neuromuscolari della parete toracica. Esame obiettivo Lesame obiettivo di un paziente con angina stabile non evidenzia di solito reperti diagnostici. Si possono, tuttavia, identificare elementi che aumentano la probabilit di coronaropatia, come la presenza di vasculopatia aterosclerotica sistemica, lipertensione arteriosa, i depositi lipidici cutanei. Lesame obiettivo eseguito durante un episodio ischemico pu evidenziare reperti significativi come la comparsa di 3 o 4 tono, di soffio da rigurgito mitralico, uno sdoppiamento paradosso del 2 tono (vedi Capitolo II) o di rantoli basilari che scompaiono poco dopo la cessazione dellepisodio anginoso. DIAGNOSI STRUMENTALE In un paziente con dolore toracico, il momento diagnostico pi importante rimane lanamnesi, che condizioner la successiva strategia. In un uomo con fattori di rischio e storia di dolore tipico, nessuna ulteriore indagine negativa potr ridurre significativamente la probabilit di malattia; la richiesta di indagini aggiuntive pu essere giustificata dallesigenza di completare la diagnosi di malattia con informazioni relative alla gravit, sede ed estensione della ischemia miocardica. In un paziente con bassa probabilit (donna giovane, dolore toracico atipico, assenza di fattori di rischio) un test diagnostico positivo modifica di poco la probabilit di malattia, ma pu innescare una interminabile e spesso inutile serie di esami aggiuntivi. Le modificazioni transitorie dellattivit elettrica e contrattile cardiaca e della perfusione miocardica che si accompagnano ad episodi ischemici provocati in laboratorio possono essere documentate con adeguate metodologie. Questa documentazione costituisce la base della diagnosi strumentale di angina da sforzo. Metodiche strumentali per la diagnosi di angina stabile ECG basale Lelettrocardiogramma a riposo generalmente non diagnostico nei pazienti con angina stabile, anche se nellinquadramento clinico e prognostico del paziente importante il rilievo di pregresso infarto miocardico, ipertrofia ventricolare sinistra o anomalie della ripolarizzazione ventricolare. ECG da sforzo

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Lelettrocardiografia da sforzo la metodica diagnostica di prima scelta in quanto indagine semplice, ovunque disponibile, a basso costo, relativamente sicura. Il criterio elettrocardiografico pi significativo di ischemia miocardica rappresentato dalle modificazioni del tratto ST (vedi Capitolo 26). Una prova da sforzo considerata positiva quando induce dolore tipico e/o sottoslivellamento discendente o orizzontale di ST uguale o superiore a 1 mm 0.08 secondi dopo il punto J. Linnalzamento del tratto ST di almeno 0.5 mm, peraltro piuttosto raro durante test ergometrico nei pazienti senza pregressa necrosi, di solito espressione di ischemia transmurale per ostruzione organica o per vasospasmo. Al contrario, il sopraslivellamento di ST da sforzo nei pazienti con pregressa necrosi deve essere considerato non specifico per ischemia. importante ricordare che talora un test ergometrico mostra alterazioni significative di ischemia non durante o al picco dello sforzo, ma in fase di recupero. ECG dinamico. La registrazione Holter di scarsa utilit diagnostica nella angina stabile. LECG dinamico pu essere riservato alla determinazione, in pazienti gi noti, del carico ischemico totale quotidiano, in considerazione della frequente sovrapposizione di attacchi sintomatici e non. Metodiche di imaging Stimoli diversi dallesercizio fisico impiegati per indurre ischemia in laboratorio sono rappresentati dal test al dipiridamolo, alladenosina o alla dobutamina (vedi Capitolo 26). Questi stressor hanno dimostrato di possedere, quando associati ad un test di immagine, unaccuratezza diagnostica per malattia coronarica comparabile a quella ottenuta con test da sforzo. Un test di immagine indicato: 1) quando il test ergometrico non fattibile o non interpretabile o controindicato, 2) in pazienti con media-bassa probabilit pre-test di malattia in caso di positivit ECG ad alto carico in assenza di angor, 3) in pazienti con media-bassa probabilit pre-test di malattia in caso di angor durante test ergometrico in assenza di modificazioni ECG. Coronarografia. Sebbene langiografia coronarica (vedi Capitolo 11) non rappresenti una metodica utile per la diagnosi di angina stabile, una coronarografia indicata quando ogni tentativo diagnostico strumentale per confermare o escludere un sospetto clinico sia risultato inefficace. La coronarografia si rende indispensabile anche quando, una volta raggiunta la diagnosi di angina stabile, il paziente, sulla base dei dati raccolti, sia definito ad alto rischio e quindi siano indicate procedure di rivascolarizzazione oppure queste si rendano necessarie per inefficacia della terapia. STRATIFICAZIONE PROGNOSTICA Premessa Nella stratificazione prognostica dei pazienti con angina stabile importante tener presente che il rischio di andare incontro a eventi cardiovascolari gravi basso: in questi pazienti lincidenza di morte cardiaca stata calcolata fra l1,5 e il 2% ad un anno, e quella dellinfarto non fatale intorno all1% per anno. La clinica Nei pazienti con sindromi coronariche croniche, il rischio aumenta con laumentare della gravit dellangina e con il peggiorare della funzione ventricolare sinistra secondo la classe NYHA, con la comparsa di sintomi e segni di insufficienza di pompa durante sforzo o angor, e se sono presenti episodi sincopali, eventualmente associati allo sforzo o allangina. La prognosi peggiora inoltre con let avanzata, se il paziente ha nella storia un infarto miocardico, se soffre di ipertensione arteriosa, se continua a fumare. ECG ed Ecocardiogramma di base La presenza di un ECG di base alterato considerata segno prognostico sfavorevole. Un esame ecocardiografico in condizioni di base utile per definire leventuale presenza e grado di disfunzione ventricolare sinistra, segno prognostico rilevante. ECG da sforzo Il test da sforzo rimane la modalit di valutazione pi frequentemente utilizzata nella gestione del paziente ischemico. Il test, analizzato in termini quantitativi relativamente al momento di comparsa e alla entit delle alterazioni ECG, allandamento dei parametri emodinamici e clinici rilevabili durante esercizio, consente di ottenere informazioni prognostiche sufficienti per un corretto inquadramento clinico del paziente.

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Lentit del sottoslivellamento di ST si correla con la gravit della coronaropatia: maggiore il grado di sottoslivellamento di ST pi alta la prevalenza di stenosi del tronco comune o di malattia trivasale. Anche il sottoslivellamento asintomatico di ST prognosticamente importante, indipendentemente dalla presenza o assenza di angina: la gravit della coronaropatia e la mortalit a distanza dei pazienti con sottoslivellamento asintomatico di ST sono analoghe a quelle dei pazienti che manifestano angina durante sforzo. Il mancato incremento della pressione arteriosa o la sua riduzione durante esercizio individua pazienti con coronaropatia estesa ed indicativo di un rischio elevato di eventi cardiaci gravi. La comparsa di sintomi e/o segni di ischemia per bassi carichi di lavoro identifica pazienti a rischio elevato. Coronarografia La prognosi peggiore nei pazienti con malattia del tronco comune dellarteria coronaria sinistra, nei pazienti con malattia coronarica multivasale o con lesione critica sul tratto prossimale dellarteria discendente anteriore, nei pazienti con depressa funzione ventricolare sinistra. CENNI DI TERAPIA Gli obiettivi della strategia terapeutica nellangina stabile sono il miglioramento della qualit della vita attraverso la riduzione dei sintomi, laumento della tolleranza allesercizio fisico e il prolungamentro della sopravvivenza attraverso la riduzione degli eventi cardiovascolari maggiori (morte, infarto miocardico non fatale). Il primo obiettivo solitamente raggiungibile con i farmaci convenzionali. Non vi sono invece evidenze cliniche certe che essi possano influenzare favorevolmente la prognosi di questi pazienti. Per contro, il trattamento aggressivo dei fattori di rischio (ipertensione arteriosa, diabete mellito, obesit, tabagismo, dislipidemia) e la profilassi antiaggregante si sono dimostrati in grado di ridurre la mortalit e di prevenire gli eventi coronarici maggiori nel follow-up. Il trattamento farmacologico classico dellangina stabile si basa sullimpiego di nitrati, betabloccanti e calcioantagonisti (vedi Capitolo 57). I nitrati sono vasodilatatori endotelio-indipendenti che riducono il consumo dossigeno miocardico e migliorano la perfusione miocardica. Ai dosaggi comunemente impiegati, la diminuzione del consumo dossigeno legata prevalentemente ad una riduzione del volume ventricolare sinistro e della pressione arteriosa secondari soprattutto ad una riduzione del precarico. I nitrati sono farmaci di prima scelta nel trattamento dell'attacco anginoso (nella formulazione sublinguale) e sono raccomandati nel trattamento cronico dell'angina stabile, particolarmente nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra. I betabloccanti sono farmaci che agiscono bloccando gli effetti della stimolazione beta-adrenergica sul cuore e sui vasi. Ne deriva una riduzione della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa e della contrattilit miocardica, ovvero dei maggiori determinanti il consumo di ossigeno miocardico. I calcioantagonisti sono farmaci che inibiscono la contrazione delle cellule muscolari lisce attraverso il blocco dei canali lenti del Ca . Il risultato una vasodilatazione arteriosa (sia coronarica che periferica). Gli effetti antianginosi sono principalmente legati alla vasodilatazione dei vasi coronarici epicardici e del microcircolo coronarico con riduzione delle resistenze ed aumento del flusso coronarico. L'azione vasodilatante arteriosa periferica concorre all'effetto favorevole mediante una riduzione del post-carico. Inoltre il modesto effetto cronotropo negativo di alcuni di essi (verapamil e diltiazem) in grado di contenere il consumo di ossigeno a riposo e durante sforzo. Unalternativa ai farmaci tradizionali offerta da farmaci come la trimetazidina e la ranolazina, che non hanno effetti apprezzabili sul flusso coronarico n sul consumo dossogeno miocardico ma modulano il metabolismo energetico della cellula miocardica interferendo con la betaossidazione degli acidi grassi.

Capitolo 25 SINDROMI CORONARICHE ACUTE Raffaele Bugiardini, Carmine Pizzi, Marco Ciccone
DEFINIZIONE Le sindromi coronariche acute (SCA) sono un gruppo di manifestazioni cliniche imputabili ad ischemia miocardica acuta, la cui causa generalmente la rottura di una placca aterosclerotica coronarica vulnerabile con successiva aggregazione piastrinica, sovrapposizione trombotica e riduzione o arresto del flusso. In base allentit della stenosi/occlusione ed alla sua persistenza, si determina uno dei seguenti quadri clinici.

Angina instabile : ischemia miocardica acuta senza significativa necrosi miocardica. Infarto miocardico acuto senza sopraslivellamento del tratto ST (non ST-segment elevation myocardial infarction, NSTEMI): ischemia miocardica acuta associata a necrosi miocardica subendocardica. Infarto miocardico acuto con sopraslivellamento del tratto ST (ST-segment elevation myocardial infarction, STEMI): ischemia miocardica acuta associata a necrosi miocardica transmurale.

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SEGNI E SINTOMI Il sintomo principale il dolore anginoso oppressivo o costrittivo. Il malato descrive in genere il dolore come una sensazione di pesantezza, di compressione, di soffocamento o di costrizione toracica. Il dolore ha tipicamente sede retrosternale, pi raramente avvertito allepigastrio o solo nelle sedi di irradiazione (il lato ulnare dellavambraccio sinistro, il braccio e la spalla sinistra, lepigastrio, il collo, la mandibola, il braccio destro, il dorso). Il dolore insorge spesso a riposo, e se compare durante uno stress psico-fisico non regredisce con il cessare dellattivit. Nellangina instabile il dolore ha di solito durata inferiore a 20 minuti; se persiste per oltre 20 minuti verosimile che si associ anche necrosi del miocardio, cio che si determini un infarto. Nello STEMI, in assenza della riapertura del vaso occluso, il dolore si protrae per diverse ore, con intensit variabile. La sintomatologia dolorosa si associa frequentemente a sudorazione fredda, sensazione di angoscia, nausea e vomito. Tali sintomi (detti neurovegetativi) possono essere talvolta gli unici presenti; il dolore, infatti, assente in oltre il 30% dei casi, soprattutto nei soggetti in et avanzata e nei diabetici. Alcuni pazienti hanno una SCA in assenza di qualsiasi sintomo; in questi la malattia viene diagnosticata a posteriori mediante ECG, scintigrafia o ecografia, oppure in seguito ad una complicanza acuta, la pi temibile delle quali la morte improvvisa per fibrillazione ventricolare. ELETTROCARDIOGRAMMA L'ECG unindagine chiave nella diagnosi delle sindromi coronariche acute. I reperti variano notevolmente in base a quattro fattori principali: 1) durata del processo ischemico (acuto, in evoluzione, cronico); 2) estensione del processo ischemico (transmurale o subendocardico); 3) localizzazione del processo ischemico (parete anteriore, laterale, infero-posteriore, o ventricolo destro); 4) presenza di altre alterazioni che possono mascherare o modificare il classico quadro ECG (per esempio: blocco di branca sinistra, preeccitazione). Il segno iniziale e caratteristico di una SCA il sottoslivellamento o il sopraslivellamento del segmento ST. Tuttavia, un ECG completamente normale in un paziente con dolore toracico non esclude la possibilit di SCA, poich dall1% al 6% dei pazienti con SCA hanno un ECG normale. Elettrocardiogramma nello STEMI Lalterazione ECG caratteristica dellinfarto transmurale il sopraslivellamento del tratto ST >1 mm con convessit in genere rivolta verso lalto (onda di lesione subepicardica). Levoluzione del tracciato ECG pu essere sintetizzata nelle seguenti fasi (Figura 1):

Fase acuta: tratto ST sopraslivellato, con entit che tende a ridursi progressivamente (schemi a,b,c). Fase subacuta: comparsa di onda Q patologica; persistenza del sopraslivellamento del tratto ST; onda T difasica (positivo/negativa) o negativa (schemi d,e). Fase cronica: normalizzazione del tratto ST; persistenza dellonda Q patologica (schema f). Le Figure ECG 20, ECG 21, ECG 22 riportano elettrocardiogrammi caratteristici di STEMI. Elettrocardiogramma nel NSTEMI e nellangina instabile Lalterazione dellECG caratteristica in caso di angina instabile o NSTEMI il sottoslivellamento del tratto ST >1 mm, di tipo orizzontale o discendente (ECG 18, ECG 19). Questa alterazione della ripolarizzazione ventricolare deve essere sempre valutata nel contesto clinico; in particolare, per essere considerata espressione di ischemia miocardica deve essere transitoria e/o associata a dolore toracico. Il sottoslivellamento di ST, infatti, si riscontra spesso in condizioni diverse dallischemia miocardica, per esempio nellipertrofia ventricolare o nel blocco di branca. Elettrocardiogramma e prognosi Oltre ad avere un ruolo centrale nella diagnosi di SCA e a condizionarne la terapia, lECG fornisce importanti informazioni prognostiche. La mortalit dei pazienti con infarto anteriore maggiore di quella dei pazienti con infarto inferiore; in questultimo gruppo la mortalit aumenta quando linfarto coinvolge anche il ventricolo destro. In generale, maggiore il numero di derivazioni con il sotto- o sopraslivellamento del segmento ST, maggiore il rischio di morte per il paziente. I pazienti con SCA che presentano anche aritmie (per esempio, tachicardia ventricolare sostenuta o blocco atrioventricolare di III grado oppure di II grado tipo Mobitz 2 ) hanno una prognosi peggiore di quelli in cui non si manifestano aritmie. MARKER DI NECROSI MIOCARDICA

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Per la diagnosi di infarto miocardico acuto necessario un aumento, seguito da una diminuzione graduale, dei marcatori biochimici di necrosi associato ad una delle seguenti condizioni: 1) sintomi suggestivi di ischemia miocardica, 2) alterazioni ECG indicative di ischemia, 3) comparsa di onde Q patologiche. I miociti che vanno incontro a necrosi liberano alcune sostanze (enzimi o proteine) il cui riscontro nel siero indispensabile per porre diagnosi di infarto miocardico acuto; le pi utilizzate sono la troponina e la creatinchinasi. Troponina (Tn). La Tn una proteina ad alto peso molecolare presente specialmente nel tessuto muscolare, ed costituita da 3 sub-unit. La TnC si trova sia nel muscolo cardiaco che nel muscolo scheletrico, mentre TnT e TnI sono presenti solo nel cuore e rappresentano marcatori sensibili e specifici per il riconoscimento del danno miocardico. Sono dosabili nel sangue dopo 2-4 ore dall'inizio dei sintomi, ed il picco raggiunto dopo 8-12 ore. La curva enzimatica di questo marker simile a quella della CK-MB (Figura 2).

Creatinchinasi (CK). La CK un enzima costituito da due monomeri, M e B. Lisoenzima MB contenuto in maggior quantit nel cuore, lisoenzima BB nel rene e nel cervello, lisoenzima MM nel muscolo scheletrico. Il dosaggio del CK-MB considerato patologico, quando maggiore del 6-10% del CK totale, che a sua volta deve essere almeno il doppio del normale. La Figura 2 rappresenta le concentrazioni dei marker di miocardio-necrosi in relazione al tempo. La latticodeidrogenasi (LDH) utile nella diagnosi di infarto miocardico, quando il paziente giunge allosservazione tardivamente, in quanto dosabile fino a 14 giorni dallevento acuto. COMPLICANZE DELLINFARTO MIOCARDICO ACUTO Le complicanze di un infarto possono essere suddivise in tre gruppi:

Complicanze aritmiche. Complicanze emodinamiche (compromissione della funzione di pompa; rottura di muscoli papillari, setto, o parete libera del ventricolo sinistro; aneurisma ventricolare). Complicanze ischemiche (estensione della necrosi, angina precoce postinfartuale). COMPLICANZE ARITMICHE Le complicanze aritmiche sono estremamente comuni durante una SCA ed in particolare durante le prime ore dellinfarto acuto. Extrasistoli ventricolari o sopraventricolari si osservano pressoch nel 100% dei pazienti, ma nella maggior parte dei casi non hanno significato sfavorevole. Alcune aritmie (tachicardia ventricolare sostenuta, fibrillazione ventricolare, blocco atrioventricolare di III grado) mettono a serio rischio la vita del paziente e richiedono un intervento terapeutico immediato. La fibrillazione e il flutter atriale sono frequenti, e possono determinare, se la risposta ventricolare elevata, una riduzione della gittata cardiaca ed un aumento del consumo miocardico di O2. La tachicardia ventricolare non sostenuta comune ed in genere ben tollerata, e non richiede necessariamente un trattamento, mentre la tachicardia ventricolare sostenuta (vedi Capitolo 40) pu degenerare in fibrillazione ventricolare. In questi casi la lidocaina abitualmente il farmaco di prima scelta se non vi compromissione emodinamica, nel qual caso necessaria la cardioversione elettrica; in alternativa alla lidocaina si pu usare lamiodarone. La fibrillazione ventricolare laritmia pi temuta, e porta al decesso il paziente in pochi minuti, se non si interviene immediatamente con la defibrillazione (vedi Capitolo 44). Un blocco atrioventricolare di I grado o di II grado tipo Wenckebach (Mobitz 1) comune nellinfarto inferiore, ma raramente causa compromissione emodinamica, e pu essere trattato, se necessario, con atropina. Il blocco atrioventricolare di II grado tipo Mobitz 2 (vedi Capitolo 41) ed il blocco atrioventricolare di III grado rappresentano indicazioni allinserimento di un elettrocatetere per eseguire la stimolazione ventricolare con un pace-maker esterno.

COMPLICANZE EMODINAMICHE Insufficienza ventricolare sinistra In corso di SCA, numerose condizioni possono indurre uninsufficienza del ventricolo sinistro, che pu essere strettamente legata allestensione dellarea ischemica (unarea ischemica vasta determina un marcato deficit di contrazione), o anche essere la conseguenza di aritmie o della disfunzione valvolare mitralica provocata dallinfarto. Le manifestazioni cliniche dellinsufficienza ventricolare sinistra consistono in dispnea, tachicardia sinusale, comparsa di terzo tono e di rantoli polmonari inizialmente localizzati alle basi. Lesame obiettivo consente di classificare la gravit dellinsufficienza ventricolare utilizzando le classi di Killip: la classe 1 si caratterizza per lassenza di rumori umidi polmonari, la classe 2 per la presenza di rantoli in meno del 50% dei campi polmonari, nella classe 3 i rantoli si ascoltano in pi del 50% dei campi polmonari, e i pazienti in classe 4 presentano il quadro dello shock cardiogeno (vedi Capitolo 22), caratterizzato da ipoperfusione generalizzata: il soggetto ha una pressione sistolica <90 mmHg, oligo-anuria (diuresi <20 ml/ora), agitazione psico-motoria, tachicardia sinusale, pallore, sudorazione e cianosi.

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Rottura del cuore Questa complicanza dellinfarto acuto pu interessare la parete libera del ventricolo sinistro, il setto interventricolare o i muscoli papillari. In genere si verifica nelle prime 24 ore dallesordio dellinfarto, ma pu avvenire anche a distanza di giorni, ed pi frequente nelle donne anziane con infarto anteriore. La rottura della parete libera provoca un emopericardio con tamponamento cardiaco (vedi Capitolo 32). Clinicamente esordisce con dolore toracico, shock cardiogeno e dissociazione elettromeccanica (persistenza per qualche minuto di unattivit elettrica ordinata e regolare in assenza di attivit meccanica del cuore). Non risponde alle misure di rianimazione cardiopolmonare, e la mortalit quasi del 100%. Raramente la rottura pu determinare uno pseudoaneurisma, quando si manifesta non un emopericardio massivo ma uno stillicidio ematico nel cavo pericardico, con tendenza allautolimitazione. La rottura del setto interventricolare generalmente apicale ed avviene in corso di infarto antero-settale o inferoposteriore; il difetto acquisito del setto interventricolare provoca, cos come accade nelle forme congenite, uno shunt sinistro-destro, poich la pressione maggiore nel cuore sinistro. Questa condizione provoca la comparsa di un soffio mesocardico rude accompagnato da fremito, dispnea e rapida evoluzione verso ledema polmonare e lo shock. Lecocardiogramma color Doppler consente di riconoscere rapidamente la perforazione settale (ECO 30). La rottura totale o parziale di un muscolo papillare determina una grave insufficienza mitralica acuta, rivelata da un soffio olosistolico puntale irradiato all'ascella (vedi Capitolo 15). Si manifesta tipicamente come un peggioramento improvviso del quadro, spesso con edema polmonare e shock. A parte la rottura, anche una disfunzione ischemica del muscolo papillare pu provocare uninsufficienza mitralica. COMPLICANZE ISCHEMICHE Il paziente con infarto miocardico acuto pu andare incontro ad angina postinfartuale precoce (nuovo ripresentarsi del dolore dopo che questo era cessato, ma senza segni biochimici o ECG di necrosi) o anche ad estensione dellinfarto, con ulteriore incremento dei marker dopo che questi erano gi in diminuzione, e modificazioni dellECG tali da suggerire unischemia ulteriore sovrapposta al quadro infartuale (per esempio, aumento del sopraslivellamento di ST a distanza di qualche giorno dalla fase iperacuta). Probabilmente in questa situazione larteria coronaria che dopo unocclusione transitoria si era riaperta tornata ad occludersi, provocando una nuova ischemia, oppure si verificata locclusione di un ramo coronarico precedentemente non interessato. Questi pazienti vanno immediatamente avviati a coronarografia ed angioplastica. ALTRE COMPLICANZE DELLINFARTO ACUTO Pericardite. Nellinfarto miocardico acuto si possono riscontrare due forme di interessamento pericardico: una la conseguenza diretta della necrosi transmurale, dovuta a deposizione di fibrina allinterno del pericardio che ricopre la zona infartuale, mentre laltra dipende da una reazione autoimmune post-infartuale (pericardite di Dressler). Nel primo caso i segni e i sintomi compaiono in 2 -6 giornata. Il paziente lamenta una ripresa del dolore toracico, che per varia con i movimenti del torace e/o gli atti respiratori, e lascoltazione del cuore mette in evidenza sfregamenti pericardici. LECG pu mostrare un persistente sopraslivellamento del tratto ST in pi derivazioni, lecocardiogramma evidenzia talvolta un versamento pericardico, in genere di lieve entit. La pericardite di Dressler si manifesta dopo 2-4 settimane dallepisodio acuto. Ai segni e sintomi sopra descritti possono associarsi febbre e versamento pleurico. Tromboembolia. In pazienti con infarto esteso, specialmente anteriore, lacinesia della zona infartuata pu favorire il formarsi di un trombo intracavitario, il quale pu, a sua volta, provocare unembolia sistemica. Lincidenza di questo evento si drasticamente ridotta da quando si impiega la terapia anticoagulante ed antiaggregante nei pazienti con SCA. CENNI DI TERAPIA Numerosi farmaci possono essere impiegati nelle Sindromi Coronariche Acute: fra questi lossigeno, gli antiaggreganti piastrinici, gli anticoagulanti, i fibrinolitici, i betabloccanti, gli ACE-inibitori, i calcioantagonisti, gli analgesici. La distinzione fra STEMI, e NSTEMI/angina instabile di primaria importanza per il trattamento demergenza. In particolare, nei pazienti con STEMI, il rapido ripristino del flusso nell'arteria occlusa, tramite terapia fibrinolitica o mediante interventi percutanei di rivascolarizzazione coronarica determinante per la prognosi. Nei pazienti con NSTEMI/angina instabile, invece, la terapia fibrinolitica controindicata. OssigenoLa somministrazione di O2 utile durante la fase iniziale di una SCA, in particolare nei pazienti con STEMI. Aspirina Numerosi studi hanno dimostrato i potenti benefici dellaspirina nelle SCA; il farmaco inibisce laggregazione piastrinica, contrastando il meccanismo della trombosi endoluminale attraverso il blocco irreversibile della formazione di trombossano A2. Altri anti-aggreganti Le tienopiridine sono farmaci antiaggreganti il cui meccanismo dazione consiste nellantagonizzare i recettori delladenosina difosfato a livello piastrinico. Leffetto antiaggregante irreversibile, e si realizza dopo 2-3 giorni di terapia.

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Il clopidogrel una tienopiridina entrata solo recentemente nella pratica clinica. Il suo maggiore impiego nei pazienti con SCA, in associazione allaspirina. La doppia antiaggregazione piastrinica (aspirina e clopidogrel) riduce maggiormente gli eventi cardiovascolari rispetto alla sola aspirina. La ticlopidina tra le tienopiridine quella da pi tempo in commercio; usata con successo nei pazienti che non tollerano laspirina. Antagonisti del recettore GP IIb/IIIa piastrinica. Durante lattivazione piastrinica, il recettore glicoproteico IIb/IIIa delle piastrine subisce un cambiamento di conformazione ed aumenta la propria affinit per il fibrinogeno, favorendo l'aggregazione piastrinica. Gli antagonisti dei recettori GP IIb/IIIa inibiscono l'aggregazione piastrinica per diverse ore (da 4 a 8 ore). Eparina La terapia anticoagulante un punto fondamentale nella terapia delle SCA: si esegue con leparina non frazionata o leparina a basso peso molecolare. Leffetto anticoagulante dell'eparina non frazionata si esplica mediante il potenziamento dellattivit dellantitrombina (conseguente allinattivazione del fattore IIa) e parzialmente mediante l'inattivazione del fattore Xa. Il farmaco richiede il monitoraggio dell'effetto anticoagulante mediante la determinazione del tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT). L'eparina a basso peso molecolare accelera l'azione di un enzima proteolitico che inattiva i fattori Xa, IXa, e IIa. Questo farmaco offre il vantaggio di non dover monitorare leffetto anticoagulante. La combinazione di eparina e terapia anti-aggregante un cardine della terapia delle SCA in quanto riduce significativamente gli eventi ischemici e il numero di interventi di rivascolarizzazione coronarica. Nitrati La nitroglicerina un vasodilatatore ed tra i farmaci di prima scelta nel sospetto di una sindrome coronarica acuta, soprattutto per ridurre o far cessare il dolore toracico. La vasodilatazione venosa che essa determina comporta un aumento del sequestro (pooling) di sangue in periferia, e quindi una riduzione del ritorno venoso al cuore e, in definitiva, del precarico. In accordo con la legge di Laplace, la diminuzione del diametro ventricolare riduce la tensione (stress) parietale, e anche il consumo di O2, che allo stress parietale direttamente correlato. La nitroglicerina ha effetti modesti sul post-carico; diminuisce, per, la pressione arteriosa sistemica, ed anche con questo meccanismo riduce il consumo di O2. Beta-bloccanti I beta-bloccanti antagonizzano gli effetti delle catecolamine sui recettori beta delle membrane cellulari. L'inibizione dei recettori beta-1 riduce la contrattilit miocardica (effetto inotropo negativo), la frequenza di scarica dellimpulso da parte del nodo del seno (effetto cronotropo negativo) e la velocit di conduzione dello stimolo (effetto dromotropo negativo). Queste azioni consentono una riduzione del consumo di O2 da parte del miocardio. ACE-Inibitori Gli inibitori dellenzima di conversione dellangiotensina I in angiotensina II sono in grado di ridurre la mortalit nei pazienti con SCA. L'inibizione dell'enzima di conversione ha come conseguenza una diminuita concentrazione dellangiotensina II, la quale il pi potente costrittore delle arteriole. Per effetto del farmaco cade il tono arteriolare, cio si riduce il post-carico, ovvero la pressione arteriosa, con conseguente riduzione del consumo di ossigeno. A livello cellulare, gli ACE-I antagonizzano gli effetti mitogeni esercitati dall'angiotensina II, responsabili, dopo un infarto miocardico, di alterazioni sfavorevoli (rimodellamento ventricolare). Calcio-antagonisti I calcio-antagonisti non diidropiridinici (verapamil e diltiazem) possono essere utilizzati, in assenza di insufficienza ventricolare sinistra, nei pazienti con angina instabile/STEMI che presentino ischemia ricorrente ed in cui controindicato luso dei beta-bloccanti. Morfina Nei pazienti con STEMI i cui sintomi non sono alleviati dalla nitroglicerina, a scopo antidolorifico ed in assenza di controindicazioni quali ipotensione, consigliata la morfina. Terapia fibrinolitica I farmaci fibrinolitici (streptochinasi, reteplase, alteplase, tenecteplase, etc.) trasformano il plasminogeno in plasmina, la quale degrada la fibrina e disgrega il trombo, con conseguente ricanalizzazione dellarteria coronarica occlusa. Il ripristino di un flusso normale varia in base alla precocit del trattamento (inizio ideale entro 2 ore), alla risposta del paziente e al farmaco utilizzato. Angioplastica primaria Sebbene la trombolisi sia un trattamento semplice, rapido e consolidato, non sempre pienamente efficace nel ricanalizzare il vaso occluso, per cui si diffusa langioplastica primaria, cio la ricanalizzazione meccanica, con o senza impianto di stent, del vaso responsabile dellinfarto nei pazienti con STEMI (vedi Capitolo 59). Numerose ricerche hanno dimostrato che langioplastica primaria offre notevoli vantaggi rispetto alla trombolisi in termini di

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eventi (mortalit, reinfarto, stroke, angina). Inoltre, maggiore il rischio dei pazienti, maggiore il beneficio osservato. Gli svantaggi che langioplastica primaria offre rispetto alla trombolisi sono legati a limitazioni tecnicologistiche (non tutte le unit coronariche dispongono di una sala di emodinamica) ed economiche (la procedura molto pi costosa del trattamento medico).

Capitolo 26 DIAGNOSTICA STRUMENTALE Carmen Spaccarotella, Ciro Indolfi


DEFINIZIONE La diagnostica strumentale della cardiopatia ischemica basata su tutte quelle indagini che permettono di dimostrare la presenza di unischemia miocardica. In questo senso lElettrocardiografia, lEcocardiografia, la Scintigrafia miocardica, la Coronarografia, la Tomografia computerizzata, la Risonanza magnetica, La TC coronarica, etc possono mettere in luce diversi fenomeni suggestivi o dimostrativi dellischemia. Nel presente Capitolo vengono esaminati soltanto alcuni aspetti relativi a: 1) il riconoscimento della cardiopatia ischemica nei casi in cui questa non sia accertata, ma soltanto possibile in base ai dati clinici; 2) la valutazione del rischio di eventi maggiori (infarto miocardico, morte improvvisa) in soggetti con cardiopatia ischemica gi nota. Per gli scopi suddetti vengono impiegati test volti a provocare unischemia miocardica, in particolare il test ergometrico e lecostress; la scintigrafia miocardica viene trattata nel Capitolo 6. IL TEST DA SFORZO E basato sulla registrazione dellECG prima a riposo e poi mentre il soggetto compie uno sforzo; leventuale ischemia viene suggerita dalle modificazioni caratteristiche dellECG, associate o meno a sintomi, che si verificano durante lattivit fisica. Questa indagine in grado di identificare unischemia miocardica assente a riposo e di stratificare il rischio in pazienti con angina stabile da sforzo. Il test ergometrico viene effettuato di solito al cicloergometro o al treadmill (tappeto rotante); nel primo caso il torace e le braccia del paziente sono relativamente stabili, permettendo di registrare una traccia elettrocardiografica senza troppi artefatti. Il test al treadmill, tuttavia, sarebbe preferibile perch consente di effettuare uno sforzo pi fisiologico, potendosi adattare la velocit e linclinazione del tappeto rotante allagilit del paziente. Il protocollo pi utilizzato per questultimo test quello di Bruce, che prevede un aumento di velocit e di inclinazione del tappeto ogni tre minuti. Lo scopo dello sforzo quello di incrementare gradualmente la frequenza cardiaca fino a raggiungere la frequenza massimale (220 meno let del soggetto); in caso di test ergometrico effettuato dopo infarto miocardico, tuttavia, viene solitamente utilizzato un protocollo sottomassimale (85% della frequenza massima teorica). Il test divenuto ormai pratica corrente perch utile nel predire il successivo andamento della malattia; un test da sforzo positivo identifica il paziente ad alto rischio e rappresenta unindicazione ad eseguire un esame coronarografico. I parametri pi importanti deducibili dal test ergometrico sono la massima capacit di esercizio, lentit del sottoslivellamento o del sopraslivellamento del tratto ST, il tempo di recupero delle alterazioni elettrocardiografiche (tempo necessario affinch le alterazioni dellECG indotte dallo sforzo regrediscano), il numero di derivazioni in cui compaiono le anomalie del tratto ST, la soglia a cui compare il dolore anginoso e le aritmie che si manifestano durante lesercizio. Lesercizio fisico provoca una complessa serie di eventi:

Aumenta il ritorno venoso al cuore destro per lazione di pompa dei muscoli delle gambe e laumentata pressione negativa intratoracica nellinspirazione profonda, con conseguente aumento della portata cardiaca). Aumenta la frequenza cardiaca. Aumenta la gittata sistolica. Aumenta sia la forza di contrazione miocardica (per laumento del ritorno venoso, cio del precarico, in accordo con la legge di Frank-Starling) che la contrattilit, per lincremento delle catecolamine circolanti. Lischemia miocardica dovuta ad uno squilibrio fra apporto e richiesta miocardica di ossigeno. Questa principalmente influenzata dalla frequenza cardiaca, dalla tensione di parete e dallo stato contrattile. In presenza di stenosi coronariche, il flusso si mantiene costante almeno fino ad un certo grado di stenosi, grazie al meccanismo di autoregolazione coronarica (vedi Capitolo 23). In condizioni di riposo, il flusso coronarico si riduce drasticamente solo quando la stenosi diventa molto serrata (> 90 %), mentre una stenosi del 75% non riduce il flusso in condizioni basali. Lesercizio fisico provoca un incremento del consumo miocardico di O2, e fa s che il flusso coronarico divenga insufficiente a mantenere un normale metabolismo gi in presenza di una stenosi del 50%. Per tale motivo, lo sforzo pu essere utilizzato per diagnosticare una stenosi coronarica. INDICAZIONI E CONTROINDICAZIONI AL TEST DA SFORZO Il test da sforzo pu essere indicato per motivi diagnostici, prognostico-valutativi o di screening.

Indicazioni Diagnostiche:

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- cardiopatia ischemica sospetta in base ai dati clinico-anamnestici; - pazienti con angina instabile a basso rischio (12-24 ore dallultimo sintomo); - pazienti con angina instabile a rischio intermedio (2-3 giorni dallultimo sintomo); - diagnosi differenziale in soggetti con sintomi da sforzo quali sincope, palpitazioni o vertigini; - aritmie ricorrenti durante lo sforzo; - diagnosi di ipertensione precoce borderline.

Indicazioni prognostico-valutative: dopo infarto miocardico acuto (alla dimissione del paziente colpito da infarto, per la stratificazione del rischio); angina cronica stabile dopo rivascolarizzazione miocardica (angioplastica o by-pass aortocoronarico); nellinsufficienza cardiaca cronica; nella valutazione dellefficacia della terapia antianginosa ed antiaritmica. Indicazioni per screening: follow-up nei pazienti con cardiopatia ischemica nota; maschi oltre i 40 anni con attivit lavorativa ad elevata responsabilit sociale, oppure con due o pi fattori di rischio coronarico maggiore, o che intraprendono attivit fisica intensa; ipertesi asintomatici che intraprendono attivit fisica intensa; per scopi assicurativi. Sono controindicazioni allesecuzione di un test ergometrico:

Linfarto miocardico acuto. La miocardite o pericardite acuta. Langina instabile. Le tachicardie ventricolari o atriali osservate subito prima dellesecuzione del test. Il blocco AV di secondo o terzo grado. La stenosi severa, gi nota, del tronco comune della coronaria sinistra. I tumori cardiaci. Lo scompenso cardiaco acuto. La sospetta embolia polmonare. L anemia severa, le infezioni gravi, lipertiroidismo. I disturbi importanti della deambulazione. Controindicazioni relative sono: la stenosi aortica (se di grado severo il test controindicato, se di grado moderato deve essere eseguito con cautela); lipertensione grave (il test pu essere eseguito se lipertensione controllabile farmacologicamente); lostruzione rilevante del tratto di efflusso del ventricolo sinistro (cardiomiopatia ipertrofica nelle sue varie forme); il marcato sottoslivellamento del tratto ST gi in condizioni basali; gli squilibri elettrolitici. CRITERI DI INTERRUZIONE DEL TEST DA SFORZO. Il test da sforzo deve essere interrotto quando si verifica :

Angina ingravescente. Associazione del dolore con alterazioni significative del tratto ST. Aritmie ventricolare). minacciose (extrasistoli ventricolari con carattere di ripetitivit (coppie) o tachicardia

Fibrillazione o flutter atriale. Blocco atrio-ventricolare di secondo o terzo grado.

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Riduzione della frequenza cardiaca o della pressione arteriosa nonostante la prosecuzione dello sforzo (in particolare repentina diminuzione della pressione sistolica > 10 mmHg). Dolore muscolo-scheletrico importante. Sintomi da bassa gittata (pallore, vasocostrizione e sudorazione). Estremo aumento della pressione arteriosa . Raggiungimento della frequenza cardiaca massimale (220 meno let). INTERPRETAZIONE DEL TEST DA SFORZO Il test ergometrico viene interpretato in relazione a parametri clinici e strumentali. I parametri clinici sono i sintomi (dolore toracico, dispnea, sincope) e i segni (pallore, cianosi, terzo tono, rantoli) dellischemia miocardica da sforzo. Altri parametri importanti sono la capacit funzionale, cio la capacit massima di compiere lavoro muscolare, la risposta cronotropa, espressa dallincremento della frequenza cardiaca correlato allo sforzo, la risposta pressoria, e il doppio prodotto, rappresentato dal prodotto della frequenza cardiaca per la pressione arteriosa sistolica. Lanalisi dellelettrocardiogramma si concentra sulle alterazioni del tratto ST. Sono indicative di ischemia le seguenti alterazioni:

Il sottoslivellamento del tratto ST. Indica positivit della prova da sforzo un sottoslivellamento orizzontale del tratto ST > 1mm (0.1 mV) 80 msec dopo il punto J in almeno tre complessi consecutivi (Figura 1B). Il sottoslivellamento discendente (Figura 1C) un indicatore pi netto di positivit, mentre il sottoslivellamento ascendente (Figura 1D, Figura 2) viene considerato diagnostico di ischemia in caso di depressione persistente a 80 msec. Il sopraslivellamento del tratto ST diagnostico se > 1 mm (0.1 mV) 80 msec dopo il punto J in almeno tre complessi consecutivi (Figura 1E). LECO-STRESS Lecocardiografia da stress una metodica alternativa al tradizionale ECG da sforzo. Il principio alla base che lischemia miocardica altera lattivit meccanica del cuore: il paragone fra la cinetica ventricolare in condizioni basali (Figura 3) e quella osservata durante stress pu suggerire la presenza di una stenosi coronarica, se lo stress si accompagna a un peggioramento contrattile (Figura 4). Lo stress pu essere fisico (in genere effettuato al cicloergometro) o farmacologico; in questo caso possibile impiegare farmaci inotropi come la dobutamina, che aumenta il consumo miocardico di ossigeno attraverso lincremento della frequenza e della contrattilit, o farmaci vasodilatatori come il dipiridamolo e ladenosina, che aumentano la perfusione dei tessuti irrorati da coronarie sane e riducono la perfusione dei territori irrorati da coronarie stenotiche: un fenomeno definito furto coronarico. Leco-stress trova indicazione soprattutto nei pazienti con alterazioni dellECG a riposo, (blocco di branca sinistra, sottoslivellamento del tratto ST>1mm, ritmo da pacemaker o sindrome di Wolff-Parkinson-White) e in quelli con ECG da sforzo non dirimente. LA TOMOGRAFIA ASSIALE COMPUTERIZZATA MULTISTRATO una metodica non invasiva per la diagnosi di coronaropatia che va rapidamente estendendosi come indicazioni cliniche. Unapplicazione emergente della TC la valutazione del paziente con dolore toracico, in particolare nella diagnosi differenziale tra sindrome coronarica acuta, dissezione aortica e trombo-embolia polmonare, nonch nella distinzione di queste dalle malattie pleuriche o polmonari. La TC in grado di identificare le placche coronariche, specialmente quelle calcifiche, e di valutarne la morfologia; in caso di occlusioni coronariche croniche, pu dare informazioni sulla lunghezza dellocclusione, e sulla presenza di calcificazioni. CARATTERISTICHE TECNICHE La sfida nella TC rappresentata essenzialmente dalle dimensioni delle arterie coronarie (2-4 mm), dal loro decorso complesso, tortuoso, e soprattutto, dal loro continuo movimento. Requisiti fondamentali ed imprescindibili di una metodica diagnostica non invasiva nello studio del circolo coronarico sono lelevata risoluzione spaziale e temporale, lelevata velocit di esecuzione, tale da consentire lacquisizione dei dati durante una singola apnea e ridurre cos gli artefatti da movimenti respiratori, e la corretta sincronizzazione delle immagini ricostruite con il ciclo cardiaco. Nel caso di frequenze cardiache superiori a 65 battiti per minuto, possibile impiegare algoritmi multi-segmentali, ottenendo i dati necessari per la ricostruzione delle immagini da cicli cardiaci contigui e non da un singolo ciclo. E consigliabile, pertanto, studiare pazienti con frequenza cardiaca <65, impiegando in caso di frequenze superiori ed in assenza di controindicazioni farmaci -bloccanti, somministrabili per os 45-60 minuti prima dellesame TC o per via endovenosa poco prima dellacquisizione TC. LIMITI ATTUALI

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Le aritmie, la capacit di apnea del paziente ed il tempo necessario per il post-processing e ladeguata valutazione delle immagini costituiscono, sino ad ora, le principali limitazioni della TC coronarica. A tali limitazioni vanno aggiunte quelle che riguardano la valutazione del lume coronarico in caso di marcata ateromasia calcifica, e la valutazione della perviet/stenosi dei bypass e delle loro anastomosi distali in caso di elevato numero di clip chirurgiche lungo il decorso dei graft arteriosi; la valutazione del lume degli stent invece legata in parte alle loro dimensioni: difficile analizzare stent con diametro inferiore ai 3 mm, come accade per la maggior parte di quelli impiantati in segmenti coronarici non prossimali . INDICAZIONI CLINICHE In attesa delle imminenti innovazioni, possibile ipotizzare per la TC un ruolo diagnostico concreto come: - alternativa allangiografia in pazienti con precedente stress-test equivoco; - alternativa a stress-test o allangiografia in pazienti con rischio basso-intermedio di malattia ischemica; - follow-up in individui con sintomatologia atipica e precedentemente sottoposti ad intervento chirurgico di rivascolarizzazione miocardica per lo studio dei by-pass; - definizione delle anomalie coronariche. Lo studio dei by-pass aortocoronarici (Figura 5) rappresenta attualmente la pi indiscussa applicazione della tomografia assiale computerizzata cardiaca.

Sezione VII. Cardiomiopatie Capitolo 27 DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE Gianfranco Sinagra, Gastone Sabbadini, Fulvio Camerini
INTRODUZIONE Il problema riguardante la definizione e la classificazione delle cardiomiopatie (CMP) rappresenta uno dei punti maggiormente controversi nellambito della cardiologia. Lintroduzione nel linguaggio medico del termine Cardiomiopatie (= Malattie del Muscolo Cardiaco) risale a circa mezzo secolo fa, ma solo nel 1980 che venne pubblicato da parte di un gruppo di esperti nominato dalla World Health Organization e dalla International Society and Federation of Cardiology (WHO/ISFC) il primo documento ufficiale in tema di definizione e classificazione delle CMP. In quel documento, le CMP venivano definite come malattie del muscolo cardiaco da causa sconosciuta; la loro natura idiopatica ne rappresentava, pertanto, uno dei caratteri distintivi fondamentali da altre malattie cardiache ad eziopatogenesi nota quali le cardiopatie ischemica, ipertensiva, valvolare, ecc. Tuttavia, i progressi compiuti dalla ricerca soprattutto nel campo della genetica e la sempre pi ampia diffusione di nuove metodiche dindagine non invasive, in particolare lecocardiografia, hanno condotto negli anni successivi ad un significativo incremento delle conoscenze sulle CMP, rendendo inadeguato il documento del 1980. Pertanto, nel 1995 la WHO e la ISFC hanno redatto congiuntamente un nuovo report che tuttora costituisce il documento di riferimento in materia di definizione e classificazione delle CMP (Tabella I). Gli aspetti salienti di tale documento sono: 1) la nuova definizione delle CMP come Malattie del Muscolo Cardiaco associate a disfunzione cardiaca sia sistolica che diastolica. La precedente espressione da causa sconosciuta veniva soppressa, essendo divenuta nel frattempo impropria alla luce delle nuove acquisizioni eziopatogenetiche; 2) la sottoclassificazione delle CMP in 4 tipi o forme principali: la CMP dilatativa (CMPD), la CMP ipertrofica (CMPI), la CMP restrittiva (CMPR) e la CMP/displasia aritmogena del ventricolo destro (CMP/DAVD). Limportanza del primo punto risiede nellesplicito riconoscimento che, accanto ai casi idiopatici di CMP, ne esistono altri in cui viceversa possibile identificare la causa della malattia (ad esempio, nella quasi totalit dei casi di CMPI ed in circa un terzo dei casi di CMPD oggi documentabile uneziologia genetica). Limportanza del secondo punto dovuta invece al fatto che la sottoclassificazione delle CMP viene operata sulla base di quadri morfo-funzionali di semplice riconoscimento (in tal senso, un ruolo fondamentale svolto dallindagine ecocardiografica), quali la dilatazione/ipocinesia ventricolare sinistra (CMPD), lipertrofia ventricolare sinistra (CMPI), la severa compromissione di tipo restrittivo del riempimento diastolico (CMPR), il prevalente coinvolgimento del ventricolo destro associato a spiccata aritmogenicit (CM/DAVD). Tale approccio classificativo si rivela di grande utilit nella pratica clinica perch richiama immediatamente gli aspetti essenziali e caratteristici di ciascuna CMP, orientando il cardiologo verso la corretta diagnosi e limpiego appropriato delle strategie terapeutiche attualmente disponibili. Restano indubbiamente margini di incertezza classificativa che riguardano disordini aritmogeni isolati dovuti ad alterazioni di funzione dei canali ionici o forme con interessamento miocardico ma difficilmente iscrivibili nei 4 gruppi principali come il miocardio non compatto, la cardiomiopatia peripartum e la malattia tako-tsubo.

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A differenza di quanto proposto nel documento del 1995 della WHO/ISFC, non andrebbero invece utilizzati termini fuorvianti come cardiomiopatia ischemica, cardiomiopatia valvolare e cardiomiopatia ipertensiva. (Tabella I)

Capitolo 29 CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA Sandro Betocchi, Maria Angela Losi, Massimo Chiariello
DEFINIZIONE La cardiomiopatia ipertrofica definita come ipertrofia ventricolare sinistra non spiegata da cause comuni d'ipertrofia (Patologia 28, Patologia 29), come l'ipertensione arteriosa o alcune valvulopatie (ad esempio, stenosi aortica). La definizione si basa, clinicamente, sul rilievo ecocardiografico di aumentato spessore parietale del ventricolo sinistro: ci non significa necessariamente che ci sia ipertrofia (aumento della massa muscolare da prevalente aumento delle dimensioni dei miocardiociti), perch situazioni in cui c', ad esempio, accumulo intra- o extracellulare di sostanze (come nell'amiloidosi, nella malattia di Fabry, in alcune glicogenosi etc.) ricadono, impropriamente, in questa definizione. Con questa definizione, la cardiomiopatia ipertrofica malattia relativamente frequente, con una prevalenza di 1/500, che la rende la pi comune cardiopatia su base genetica. EZIOLOGIA E PATOGENESI La cardiomiopatia ipertrofica una malattia autosomica dominante a penetranza incompleta. Le forme tipiche (a cui andrebbe riservato il nome di cardiomiopatia ipertrofica) sono dovute a mutazioni di geni codificanti per proteine sarcomeriche. I geni pi frequentemente interessati sono quelli delle catene pesanti della beta-Miosina, della proteina C legante la Miosina, e della Troponina T, ma tutti i geni codificanti per proteine sarcomeriche (contrattili, modulatrici o strutturali) possono determinare la malattia. La penetranza incompleta, cio possono esserci individui genotipo+ e fenotipo-, e dipende dall'et in modo variabile a seconda del gene causale: mentre la penetranza quasi completa entro la terza decade per le mutazioni delle catene pesanti della beta-Miosina e della Troponina T, per quelle della proteina C legante la Miosina la penetranza cresce costantemente fino alla vecchiaia. Individui appartenenti alla stessa famiglia (e dunque portatori della stessa mutazione causale) possono avere fenotipi molto diversi per morfologia del ventricolo sinistro e per quadri clinici. Ci spiegabile solo se si pensa che la mutazione causale interagisce con altri geni e con fattori ambientali per determinare il fenotipo. ancora soltanto un'ipotesi (ma basata su alcune evidenze solide) che l'incorporazione di una proteina mutata nel sarcomero ne determini una ridotta efficienza contrattile; questa aumenta lo stress sarcomerico con conseguente attivazione del signaling responsivo allo stress e sintesi di fattori trofici. I fattori trofici agiscono sui miocardiociti, determinandone ipertrofia, sui fibroblasti inducendo fibrosi interstiziale, e sulle cellule muscolari lisce della media delle arteriole coronariche, provocandone l'iperplasia. Questa ipotesi spiega le tre fondamentali caratteristiche morfologiche della cardiomiopatia ipertrofica: ipertrofia e malallineamento (disarray) dei cardiomiociti (Patologia 28), fibrosi interstiziale ed ispessimento della media delle arteriole. Questa ipotesi patogenetica ulteriormente supportata dall'osservazione, finora confinata all'animale transgenico, che il fenotipo reversibile o prevenibile con l'uso di farmaci di cui nota l'interazione con lo sviluppo ed il mantenimento dell'ipertrofia. FISIOPATOLOGIA Le tre principali caratteristiche fisiopatologiche della cardiomiopatia ipertrofica sono la disfunzione diastolica, l'ostruzione al tratto d'efflusso del ventricolo sinistro e l'ischemia. La disfunzione diastolica dipende da alterata affinit per il Ca++ delle proteine mutate, e da rallentato reuptake del Ca++ da parte del reticolo sarcoplasmatico. Ne deriva un incompleto rilasciamento ed un'aumentata rigidit del muscolo. Un'altra causa di disfunzione diastolica, forse pi rilevante clinicamente, secondaria all'ipertrofia ed alla fibrosi interstiziale, che determinano una ridotta distensibilit del ventricolo sinistro (cio richiesta una maggiore pressione atriale per riempirlo). Altra rilevante caratteristica fisiopatologica l'ostruzione al tratto d'efflusso del ventricolo sinistro. Il setto ipertrofico sporge nel tratto d'efflusso del ventricolo sinistro, e lo restringe progressivamente durante la sistole. Il sangue costretto ad accelerare fino al punto in cui si genera l'effetto Venturi, cio lo sviluppo di forze centripete che attirano il lembo della mitrale nel tratto d'efflusso (Systolic Anterior Movement, o S.A.M.). Ci provoca un'ulteriore riduzione della sezione del tratto di efflusso e lo sviluppo di ostruzione (Figura 1). Ovviamente, il S.A.M. determina anche insufficienza mitralica. In conseguenza del meccanismo di generazione, l'ostruzione al tratto d'efflusso del ventricolo sinistro meso-sistolica e dinamica (cio l'entit dell'ostruzione varia a seconda del volume ventricolare e dello stato inotropo). I pazienti con cardiomiopatia ipertrofica hanno spesso segni d'ischemia, anche in assenza di stenosi coronariche epicardiche. L'ischemia la conseguenza dell'ispessimento della media arteriolare, dell'ipertrofia (a causa dell'aumentato spessore non seguito da analogo aumento della densit capillare), e dell'aumento della pressione telediastolica del ventricolo sinistro (che determina un aumento delle resistenze coronariche estrinseche in diastole).

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QUADRO CLINICO La cardiomiopatia ipertrofica ha un decorso clinico benigno nella maggioranza dei pazienti. I pazienti sintomatici lamentano soprattutto dispnea (dovuta a disfunzione diastolica e/o ad ostruzione al tratto d'efflusso), palpitazioni, angina pectoris (anche in assenza di malattia coronarica, vedi sopra), e sincope (in circa 1/3 dei pazienti). La caratteristica clinica pi temuta di questa malattia la morte improvvisa. Si definisce come tale la morte entro 24 ore dall'esordio di sintomi, ed tipicamente dovuta a fibrillazione ventricolare. I bambini sono maggiormente interessati, con un'incidenza pi che doppia di quella degli adulti. In questi ultimi, l'incidenza circa 1%/anno, e declina con l'et. Non molto noto circa i meccanismi della morte improvvisa, ma si osservata un'associazione epidemiologica tra alcuni eventi (definiti fattori di rischio) e la morte improvvisa. Questi sono:

familiarit per morte improvvisa storia di sincope recente inspiegata presenza di ipertrofia ventricolare sinistra massiva (massimo spessore di parete >= 30 mm) risposta pressoria anomala all'esercizio (normalmente, la pressione arteriosa cresce costantemente

durante l'esercizio; in circa 1/3 dei pazienti con cardiomiopatia ipertrofica la pressione invece aumenta e poi diminuisce durante l'esercizio, oppure diminuisce fin dall'inizio)

tachicardia ventricolare non sostenuta all'ECG Holter

La tachicardia ventricolare sostenuta considerata equivalente di morte improvvisa abortita e non un fattore di rischio. Il paziente adulto con cardiomiopatia ipertrofica ha un rischio 6 volte maggiore rispetto alla popolazione generale di sviluppare fibrillazione atriale parossistica o permanente, ed infatti circa 1/3 dei pazienti soffre di questa aritmia, ed pertanto frequente riscontrarla o durante Holter o durante visita clinica. DIAGNOSI La cardiomiopatia ipertrofica generalmente sospettata per la presenza di un soffio cardiaco o di anomalie elettrocardiografiche. Lostacolo alleiezione ventricolare sinistra dipendente dallipertrofia settale genera un soffio sistolico eiettivo, che si ascolta soprattutto al mesocardio, lungo la margino-sternale sinistra. La relazione fra lintensit del soffio e il volume ventricolare (il soffio tanto pi intenso quanto pi il contenuto di sangue nel ventricolo si riduce) pu permettere di diagnosticare allascoltazione del cuore la cardiomiopatia ipertrofica, e soprattutto distinguerla dalla stenosi valvolare aortica (vedi Capitoli 2 e 16). Se, mentre si ascolta il cuore, si fa eseguire al soggetto la manovra di Valsalva, ci si accorge che il soffio della stenosi valvolare aortica si riduce dintensit mentre quello della cardiomiopatia ipertrofica aumenta. La manovra di Valsalva (espirazione forzata a glottide chiusa), infatti, riduce la pressione negativa endotoracica, cio la forza aspirativa (vis a fronte) che favorisce il ritorno venoso: diminuisce quindi il riempimento diastolico dei ventricoli e con esso la gittata sistolica. La riduzione del volume ventricolare fa s che nella cardiomiopatia ipertrofica il soffio aumenti di intensit con la manovra di Valsalva, mentre diminuisce nella stenosi aortica, dove lintensit del soffio proporzionale alla gittata sistolica, cio alla quantit di sangue che attraversa la valvola. LECG anormale nella quasi totalit dei casi, anche se le anomalie presenti non sono patognomoniche e possono essere diverse: pi comunemente si osserva ipertrofia ventricolare sinistra, onde Q anomale e segni di ischemia ventricolare. L'ecocardiogramma esame fondamentale, che mostra ipertrofia generalmente asimmetrica, coinvolgente il setto interventricolare (Figura 2). La distribuzione dellipertrofia eterogenea e in una piccola percentuale di pazienti localizzata al solo apice ventricolare (forma apicale, identificata dapprima nelle popolazioni orientali, ma ubiquitaria; caratterizzata da buona prognosi). Una stima dell'ipertrofia data dallo spessore parietale massimo, particolarmente rilevante poich quando particolarmente aumentato (>= 30 mm) rappresenta un fattore di rischio per morte improvvisa. In circa 1/3 dei pazienti presente ostruzione al tratto di efflusso del ventricolo sinistro a riposo. Nei pazienti con sintomi e senza ostruzione a riposo indicata lesecuzione di esercizio fisico con valutazione del gradiente al picco dellesercizio; con questo approccio il 70% dei pazienti ha ostruzione. Con la risonanza magnetica nucleare (RMN) cardiaca possibile evidenziare tutte le pareti miocardiche e pertanto quando la caratterizzazione anatomica risulta difficile con leco, vi indicazione ad eseguirla. Inoltre, con la RMN viene misurata la massa ventricolare sinistra, non possibile con lecocardiogramma per leterogenea distribuzione dellipertrofia. La somministrazione di un mezzo di contrasto, il gadolinio, che si accumula tardivamente nell'interstizio (late-enhancement) consente di avere un'immagine della distribuzione di fibrosi in questi pazienti. Vista l'eziologia di questa malattia, dopo aver identificato un probando (primo paziente identificato in una famiglia) si deve procedere ad uno screening familiare con ECG, ecocardiogramma e, se disponibile, analisi genetica.

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TRATTAMENTO Dopo aver determinato il profilo di rischio per morte improvvisa, si pu individuare una strategia terapeutica. Ai pazienti con almeno 2 fattori di rischio per morte improvvisa va consigliato l'impianto di un defibrillatore (ICD). I pazienti con un solo fattore di rischio costituiscono una zona grigia, e l'impianto di un ICD va valutato caso per caso. I pazienti senza fattori di rischio per morte improvvisa ed asintomatici non richiedono trattamento. I pazienti sintomatici vengono posti in terapia con beta-bloccanti e/o Ca++-antagonisti non diidropiridinici (verapamil o diltiazem o gallopamil). La terapia ha la finalit di ridurre i sintomi, ma non ha effetto sulla prognosi. Se presente ostruzione al tratto d'efflusso, ai beta-bloccanti si pu aggiungere la disopiramide (un antiaritmico qui usato solo per il suo marcato effetto inotropo negativo, che contribuisce alla riduzione dell'ostruzione). Se la terapia medica non efficace nella riduzione dell'ostruzione, questa pu avvalersi di intervento chirurgico di miotomia-miectomia (asportazione di un cuneo di setto sottoaortico per allargare in tratto d'efflusso), o dell'ablazione alcoolica (iniezione di etanolo in uno o pi rami perforanti settali in modo da indurre infarto chimico della porzione alta del setto, sempre allo scopo di allargare in tratto d'efflusso). I pazienti che hanno fibrillazione atriale persistente o cronica debbono essere riportati in ritmo sinusale: ci non sempre possibile, ma importante tentare il ripristino del ritmo sinusale finch ragionevole. Il ripristino del ritmo sinusale si ottiene mediante cardioversione elettrica o farmacologica. La prevenzione delle recidive di fibrillazione atriale usualmente ottenuta con l'uso di amiodarone. In caso di fibrillazione atriale parossistica o persistente o cronica, per l'anticoagulazione si applicano le linee guida usuali.

Capitolo 29 CARDIOMIOPATIA DILATATIVA Gianfranco Sinagra, Gastone Sabbadini, Andrea Di Lenarda


DEFINIZIONE La cardiomiopatia dilatativa (CMPD) viene definita come Malattia del Muscolo Cardiaco caratterizzata da dilatazione e ridotta contrattilit del ventricolo sinistro o di entrambi i ventricoli e rappresenta assieme alle forme ipertrofica, restrittiva ed alla displasia aritmogena del ventricolo destro uno dei quattro sottotipi principali di Cardiomiopatia. EPIDEMIOLOGIA La prevalenza della CMPD nella popolazione generale stimata essere di circa 1 caso ogni 2.500 abitanti e lincidenza pari a 4-8 nuovi casi/100.000 individui/anno. Tuttavia, la sua reale frequenza certamente superiore, considerando che la maggior parte dei soggetti ancora asintomatici ma gi con le stimmate della malattia (dilatazione e disfunzione ventricolare sinistra) non vengono identificati sino a che non compaiono i primi sintomi e segni riferibili a scompenso cardiaco o a turbe del ritmo e della conduzione. ANATOMIA PATOLOGICA Il fondamentale reperto anatomo-patologico macroscopico della CMPD rappresentato dalla pi o meno cospicua dilatazione di una od entrambe le camere ventricolari; anche gli atri, specialmente nelle fasi avanzate della malattia, sono dilatati (Patologia 30). La progressiva dilatazione delle camere cardiache associata allinsufficienza contrattile del miocardio comportano fenomeni di stasi che facilitano la formazione di trombi endocavitari, di riscontro non infrequente in sede autoptica e documentabili prevalentemente a carico delle sezioni cardiache di sinistra(Patologia 31). La dilatazione delle camere cardiache e lipocinesia delle loro pareti frequentemente concorrono anche a determinare lallargamento degli osti atrio-ventricolari e lo stiramento delle corde tendinee da diastasi dei muscoli papillari, con conseguente insufficienza valvolare funzionale mitralica e/o tricuspidale. Per definizione, il circolo coronarico appare angiograficamente indenne o privo di stenosi critiche a carico dei grossi vasi epicardici. Il reperto isto-morfologico aspecifico, le alterazioni principali essendo rappresentate da degenerazione miocellulare e diminuzione del numero delle miocellule, ipertrofia dei miociti residui, fibrosi sostitutiva ed interstiziale, infiltrati flogistici di tipo linfo-istiocitario in genere sparsi e presenti nellinterstizio. EZIOPATOGENESI Accanto ai casi idiopatici di CMPD, ve ne sono altri per i quali possibile identificare con precisione la causa. Come per le altre forme di cardiomiopatia, anche per la CMPD i maggiori progressi in termini di conoscenze eziopatogenetiche riguardano il campo della genetica. A differenza di quanto si riteneva in passato, le forme familiari di CMPD sono piuttosto frequenti (circa 1/3 dei casi). Le diverse modalit di trasmissione ereditaria (autosomica dominante, autosomica recessiva, legata al cromosoma X) e di presentazione clinica (in relazione al grado di penetranza, allet di insorgenza, allinteressamento isolato o meno del miocardio, ecc) della CMPD

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familiare indicano lesistenza di una marcata eterogeneit genotipica e fenotipica. L'analisi del tipo di trasmissione genetica, del fenotipo e, quando disponibili, dei dati di genetica molecolare ha importanza non solo conoscitiva ma anche clinica perch le differenti forme possono non solo avere differente quadro clinico ma anche differente prognosi e differente rischio di malattia per i familiari. Fattori infettivi/immunitari potrebbero rivestire un ruolo importante nel determinismo della CMPD, anche se i meccanismi con cui in questo caso si realizza il danno miocardico non sono del tutto chiariti. I virus possono indurre un effetto citolitico diretto correlato alla loro virulenza come pure attivare una reazione autoimmune secondaria a mimetismo molecolare tra epitopi virali e costituenti normali del miocardio ad essi simili. QUADRO CLINICO La CMPD pu manifestarsi in pazienti di tutte le et, ma nella maggior parte dei casi lesordio avviene tra i 20 ed i 50 anni. La malattia colpisce prevalentemente il sesso maschile, con un rapporto maschi/femmine di circa 3:1. Dal punto di vista clinico, la CMPD si manifesta pi frequentemente con scompenso cardiaco od aritmie ventricolari o sopraventricolari. In oltre il 50% dei pazienti, la presentazione clinica rappresentata da un quadro di scompenso cardiaco sinistro; in una minore percentuale di casi, possono essere prevalenti i segni di scompenso destro. Le aritmie sono unevenienza frequente nella CMPD e non di rado costituiscono le prime manifestazioni cliniche; tuttavia, solo raramente sincope e morte improvvisa rappresentano l'esordio della malattia. Un dolore toracico, per lo pi da sforzo e talora con le caratteristiche di unangina, rappresenta il sintomo principale desordio della CMPD nel 10-20% dei casi; in questi pazienti, stata dimostrata una minore riserva coronarica. Nel 2-4% dei casi, usualmente con avanzata compromissione della funzione ventricolare e marcata cardiomegalia, la manifestazione clinica iniziale costituita da un episodio embolico sistemico o polmonare(Patologia 32). Talvolta, il sospetto di CMPD viene posto a paziente asintomatico. Si tratta di casi scoperti fortuitamente in occasione di una visita medica (ad esempio, per riscontro di un soffio cardiaco) o di unindagine strumentale (ad esempio, per il riscontro di blocco di branca sinistra allelettrocardiogramma o di cardiomegalia alla radiografia del torace) effettuate per altri motivi. DIAGNOSI Di fronte ad una presentazione clinica suggestiva per CMPD, necessario integrare i dati anamnestici e clinici con le opportune indagini strumentali e di laboratorio. Elettrocardiogramma. La tachicardia sinusale un dato di frequente riscontro allECG standard. Possono essere presenti anche turbe della conduzione atrio-ventricolare ed intra-ventricolare, in particolare il blocco di branca sinistra (vedi Capitolo 3), e anche onde Q di pseudo-necrosi in sede anteriore, in associazione con estesa fibrosi di questa regione. Anche le alterazioni della ripolarizzazione sono di frequente riscontro, come pure lintero spettro delle aritmie sopraventricolari e ventricolari. Radiogramma toracico. La cardiomegalia (rapporto cardio-toracico > 0.5) di comune riscontro, come pure i segni di redistribuzione a carico del circolo polmonare. Congestione interstiziale ed alveolare sono spesso documentabili nelle forme pi avanzate. Ecocardiogramma. Lanamnesi, lesame obiettivo, lECG e la radiografia del torace non sono in grado di fornire elementi specifici che consentano con sicurezza una diagnosi di CMPD, la quale richiede la presenza di alcuni criteri evidenziabili solamente con lesecuzione di un ecocardiogramma. La CMPD classicamente caratterizzata, da un punto di vista ecocardiografico, dalla presenza di una dilatazione globale del ventricolo sinistro associata a diffuse alterazioni della cinetica parietale con ridotta funzione di pompa (frazione di eiezione < 45%). Nei casi in fase avanzata, il ventricolo sinistro, oltre che essere di volume notevolmente aumentato, assume una geometria caratterizzata da una morfologia pi globosa e quindi meno ellissoidale che di norma. Lecocardiogramma anche in grado di documentare eventuali asincronie nella contrazione inter- ed intra-ventricolare (conseguenti a disturbi di conduzione, in particolare il blocco di branca sinistra), che possono contribuire a peggiorare la funzione di pompa cardiaca. Uninsufficienza mitralica funzionale, cio in assenza di alterazioni strutturali dei lembi, un reperto frequente nella CMPD, e lecocardiogramma rappresenta lindagine di elezione per confermarne la presenza e quantificarne la rilevanza emodinamica. Metodiche invasive. La coronarografia rimane unindagine di fondamentale importanza per la diagnosi differenziale tra CMPD e cardiopatia ischemica in fase dilatativo-ipocinetica. E indicata soprattutto nei pazienti di sesso maschile ed et > 35 anni, con uno o pi fattori di rischio coronarico e/o indicatori clinico-strumentali suggestivi di coronaropatia (angina, alterazioni segmentarie della cinetica ventricolare allecocardiogramma, ischemia miocardica alla scintigrafia miocardica od allecocardiogramma da stress). Il cateterismo cardiaco consente uno studio emodinamico dettagliato con la misurazione delle pressioni di riempimento ventricolare e della portata cardiaca, e mantiene un ruolo importante nella valutazione della gravit e nella stratificazione prognostica dei pazienti con CMPD. DIAGNOSI DI CMPD FAMILIARE

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Lo studio di una famiglia con CMPD si basa su unaccurata costruzione dellalbero genealogico e della storia familiare (volta ad individuare il possibile pattern di trasmissione della malattia) e sullo screening clinicostrumentale (ECG, ecocardiogramma) di tutti i parenti di primo grado (genitori, fratelli/sorelle, figli) del probando (primo individuo affetto di una famiglia che giunge allosservazione). La valutazione clinico-strumentale andrebbe ripetuta periodicamente non solo nei familiari affetti anche in quelli sani per escludere unevoluzione tardiva della malattia dovuta alla bassa penetranza. La CMPD viene definita familiare: 1) in presenza di due o pi individui affetti in una famiglia o 2) in presenza di un parente di primo grado di un paziente con CMPD che abbia avuto una morte improvvisa, documentata ed inaspettata, ad una et inferiore di 35 anni. PROGNOSI La prognosi della CMPD caratterizzata da una elevata mortalit (allinizio degli anni 80 era stimata essere del 50% a 2 anni dalla diagnosi), risultando in linea di massima tanto peggiore quanto maggiori sono le alterazioni morfo-funzionali a carico del ventricolo sinistro (marcata dilatazione, bassa frazione di eiezione) e quanto pi severi sono i sintomi (avanzata classe NYHA). Studi recenti hanno tuttavia dimostrato che una diagnosi precoce ed un altrettanto precoce impiego di farmaci efficaci come gli ACE-inibitori ed i betabloccanti possono significativamente contribuire a modificare favorevolmente la storia naturale dei pazienti con CMPD (sopravvivenza libera da trapianto cardiaco del 60% a 10 anni dalla diagnosi). CENNI DI TERAPIA Non sono attualmente disponibili terapie specifiche per la CMPD. Gli obiettivi principali del trattamento consistono nel limitare la progressione dello scompenso cardiaco e nel controllare le aritmie. Tra le misure generali sono incluse leducazione del paziente, la restrizione dellapporto di sale e fluidi con la dieta con limitazione dellintroito alcolico, il controllo del peso corporeo e lesecuzione di un moderato esercizio fisico aerobico. Terapia medica. La terapia medica si avvale degli agenti farmacologici comunemente impiegati nel trattamento del modello dilatativo-ipocinetico di scompenso cardiaco. Fra questi, i pi importanti sono gli ACE-inibitori, gli antagonisti recettoriali dellangiotensina (sartani), i betabloccanti, i diuretici tiazidici e/o dellansa, gli antagonisti recettoriali dellaldosterone. Gli ACE-inibitori ed i betabloccanti sono efficaci nei pazienti con scompenso cardiaco da lieve a severo (NYHA IIIV); gli ACE-inibitori lo sono anche in quelli con disfunzione ventricolare ancora in fase asintomatica (classe NYHA I). Nei casi in cui vi sia intolleranza agli ACE-inibitori, appare giustificato limpiego dei sartani. I diuretici tiazidici e/o dellansa vanno impiegati con lobiettivo di controllare il fenomeno della ritenzione idrosalina, modulando le dosi in funzione del grado di congestione polmonare e periferica. Gli antagonisti recettoriali dellaldosterone sono indicati solo nello scompenso cardiaco moderato-severo. La digitale utile per il controllo della frequenza ventricolare nei pazienti con fibrillazione atriale e in quelli in ritmo sinusale con scompenso persistente nonostante la terapia con antagonisti neuro-ormonali e diuretici. Nelle fasi avanzate della malattia possono essere impiegati farmaci inotropi per via endovenosa, particolarmente la dobutamina (farmaco simpaticomimetico con effetto predominante beta1-agonista) o gli inibitori delle fosfodiesterasi (amrinone, milrinone ed enoximone) che sono allo stesso tempo inotropi e vasodilatatori. Dati recenti suggeriscono lefficacia del levosimendan, un farmaco sensibilizzatore al calcio con propriet anche di vasodilatazione. Il trattamento anticoagulante, volto a prevenire lembolia polmonare o sistemica, viene raccomandato nei pazienti con fibrillazione atriale o in quelli a ritmo sinusale ma con trombosi endocavitaria e/o pregressa embolia, e anche nei soggetti con marcata dilatazione ventricolare e frazione di eiezione < 20-25%. Terapia meccanica. Limpiego di device meccanici nel trattamento dei pazienti con CMPD, sia per quanto riguarda la prevenzione della morte improvvisa (defibrillatore impiantabile) che per il ripristino della sincronia della contrazione cardiaca (terapia di resincronizzazione cardiaca mediante pace-maker biventricolare), trova indicazione in selezionati sottogruppi di pazienti. Assistenza ventricolare meccanica e cardiochirurgia. Sono state proposte procedure chirurgiche complementari alla sostituzione cardiaca, nellottica di ponte al trapianto od a questo alternative. In pazienti selezionati, possibile limitare la progressione della malattia correggendo linsufficienza mitralica mediante valvuloanuloplastica. Nel corso di episodi di severa riacutizzazione della malattia oppure nei pazienti in attesa di trapianto, giunti allo stadio terminale dello scompenso cardiaco, possibile utilizzare dispositivi meccanici che sostituiscono temporaneamente la funzione di pompa del cuore (assistenza ventricolare meccanica). Lassistenza ventricolare meccanica consente il ripristino di unemodinamica normale e di una perfusione tissutale adeguata sostituendo la funzione di pompa del cuore con dispositivi meccanici di vario tipo. Sono in corso di valutazione nuove prospettive per unassistenza meccanica a lungo termine potenzialmente alternativa alla sostituzione cardiaca. Trapianto cardiaco. La sostituzione cardiaca con organo di un donatore compatibile rimane allo stato attuale la soluzione pi efficace per i pazienti con scompenso cardiaco severo, refrattario ad ogni forma di terapia medica (vedi Capitolo 66). La sopravvivenza ad 1 anno, 5 anni e 10 anni si attestata rispettivamente intorno all80, 68 e 56%. Il problema maggiore costituito dalla carenza di donazioni.

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Capitolo 30 CARDIOMIOPATIA RESTRITTIVA Gianfranco Sinagra, Gastone Sabbadini, Rossana Bussani, Andrea Perkan
DEFINIZIONE Le cardiomiopatie restrittive (CMPR) sono un gruppo eterogeneo di malattie del muscolo cardiaco accomunate dal fatto che il ventricolo sinistro (o, pi di rado, entrambi i ventricoli) presenta(no) un pattern di riempimento diastolico di tipo restrittivo con volume diastolico generalmente ridotto, pareti incostantemente aumentate di spessore e funzione sistolica normale o modicamente ridotta. Lespressione pattern restrittivo indica che durante la diastole vi un ostacolo al riempimento del ventricolo, il quale non riesce ad accogliere il sangue perch le sue pareti sono rigide e poco distensibili. Di conseguenza, la pressione diastolica ventricolare aumenta e tale incremento si riflette a monte per cui si manifesta ipertensione anche nellatrio, nelle vene tributarie dellatrio, nei capillari, ecc. Il termine CMPR deve essere riservato esclusivamente a quelle patologie cardiache in cui il pattern restrittivo costituisce l'elemento caratterizzante il quadro fisiopatologico. EZIOPATOGENESI ED ANATOMIA PATOLOGICA Esistono forme primitive e secondarie di CMPR. Tra le prime vanno incluse la cosiddetta CMPR idiopatica (talvolta familiare con trasmissione di tipo autosomico dominante), la sindrome di Lffler e la fibrosi endomiocardica. Le forme secondarie comprendono le CMPR infiltrative (amiloidosi, sarcoidosi, ecc) e quelle da accumulo (emocromatosi, ecc). Ognuna di queste condizioni presenta specifici quadri istopatologici. Tuttavia, in linea generale, il reperto macroscopico quello di un cuore con atri marcatamente dilatati e spesso sede di trombi, mentre i ventricoli appaiono grossolanamente normali(Patologia 33). QUADRO CLINICO Nella maggior parte dei casi, le prime manifestazioni cliniche sono rappresentate da sintomi e segni di scompenso cardiaco quali ridotta tolleranza allo sforzo, astenia, dispnea da sforzo, dispnea parossistica notturna ed ortopnea, edemi declivi ed ascite. La comparsa di fibrillazione atriale un evento frequente nei soggetti con forme idiopatiche o secondarie ad amiloidosi; circa un terzo dei pazienti pu presentare episodi tromboembolici. Nonostante la relativamente bassa frequenza di aritmie minacciose (blocco atrio-ventricolare di III grado o tachicardia ventricolare), la morte improvvisa rappresenta comunque un evento possibile. L'esame obiettivo consente di rilevare valori di pressione arteriosa normali o ridotti con tendenza all'ipotensione ortostatica in una significativa percentuale di pazienti. E' spesso presente tachicardia a riposo. Il I ed il II tono sono in genere normali, ma si ascoltano spesso un III e/o un IV tono. E' possibile rilevare un soffio olosistolico da rigurgito mitralico o tricuspidale. Particolarmente nelle fasi avanzate, il fegato si presenta aumentato di volume e le vene giugulari sono distese. DATI DI LABORATORIO E STRUMENTALI In generale, nelle CMPR idiopatiche non sono presenti significative alterazioni dei parametri ematochimici. Il riscontro di indici di flogosi alterati e di ipereosinofilia orienta verso unendocardite di Lffler. Nelle forme da amiloidosi possono essere presenti diverse alterazioni quali anemia, leucocitosi, elevazione della velocit di eritrosedimentazione e della proteina C-reattiva, ipofibrinogenemia, iposideremia, monoclonalit allimmunoelettroforesi proteica o segni di compromissione della funzione renale ed epatica. La radiografia del torace pu mettere in evidenza un aumento delle dimensioni dellombra cardiaca, segni di congestione interstiziale od alveolare e versamento pleurico. Le possibili anomalie elettrocardiografiche includono i bassi voltaggi dei complessi QRS nelle derivazioni periferiche, le onde Q di pseudonecrosi nelle derivazioni antero-settali, il sottolivellamento del tratto ST; sono frequentemente descritti anche segni di ingrandimento atriale (ECG 47), di ipertrofia ventricolare sinistra ed aritmie di vario tipo. Nei pazienti con amiloidosi, le alterazioni del sistema di conduzione non sembrano particolarmente frequenti, mentre in quelli con CMPR idiopatica sono spesso documentabili blocchi atrioventricolari ed intra-ventricolari. Lecocardiogramma lindagine diagnostica cardine, mediante la quale possibile evidenziare un ventricolo sinistro non ingrandito, con spessori parietali normali o solo lievemente aumentati e con funzione di pompa normale o quasi. L'ispessimento e laspetto granulare delle pareti del ventricolo sinistro ed in particolare del setto interventricolare ("a vetro smerigliato") caratteristico delle forme amiloidosiche. Il ventricolo destro pu presentarsi dilatato, specie nei casi con ipertensione polmonare. E pressoch costantemente documentabile una dilatazione biatriale. Le valvole atrio-ventricolari appaiono frequentemente ispessite, e spesso si associa un rigurgito mitralico e/o tricuspidale. Lo studio del riempimento ventricolare sinistro mediante analisi Doppler del flusso a livello della valvola mitrale documenta un pattern di tipo restrittivo (ECO Figura45). Lecocardiogramma transesofageo pu essere utile per ricercare in modo pi accurato leventuale presenza di trombi endocavitari.

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Sebbene l'integrazione degli dati ottenibili dalla valutazione clinica e dagli esami strumentali non invasivi consenta nella maggior parte dei casi di porre correttamente la diagnosi, il cateterismo cardiaco e la biopsia endomiocardica conservano un ruolo importante nello studio della CMPR. In corso di cateterismo cardiaco, laspetto emodinamico caratteristico il segno della radice quadrata (dip and plateau), che si apprezza nella curva della pressione protodiastolica ventricolare ed dovuto ad una ripida discesa della pressione ventricolare allinizio della diastole seguita da un brusco incremento e da un plateau in protodiastole. La pressione sistolica e la pressione di riempimento ventricolare destro possono essere elevate. Le pressioni di riempimento nelle sezioni di sinistra sono usualmente maggiori di 5 mmHg rispetto alle sezioni di destra, e la pressione capillare polmonare (pressione di incuneamento) in genere elevata. La biopsia endomiocardica particolarmente utile nella differenziazione istologica, immunoistichimica ed ultrastrutturale delle diverse CMPR. Nelle forme idiopatiche, i reperti sono sostanzialmente aspecifici con ipertrofia cellulare e fibrosi interstiziale in assenza, tranne che per quel che riguarda la sindrome di Loffler, di infiltrati cellulari. La presenza di amiloide nel miocardio confermata dalla positivit per il rosso Congo, che conferisce al tessuto una tipica birifrangenza all'esame con luce polarizzata. L'indagine immunoistochimica consente di differenziare i vari tipi di amiloide (catene leggere immunoglobuliniche in corso di mieloma, transitiretina, lisozima, beta2 microglobulina, fattori natriuretici). La biopsia endomiocardica consente inoltre di definire la causa di altre forme meno frequenti di CMPR da accumulo miocardico. Laccumulo di ferro intramiocardico facilmente evidenziabile con la colorazione di Pearls; nella sindrome di Lffler, la biopsia endomiocardica evidenzia un quadro di marcata infiltrazione eosinofila dellendocardio e del miocardio; nella fibrosi endomiocardica dimostrabile la presenza di ampie deposizioni di tessuto collageno e di connettivo che interessano lendocardio, il subendocardio ed il miocardio. Studi scintigrafici mirati o metodiche di risonanza magnetica cardiaca con gadolinio possono contribuire alla diagnosi e caratterizzazione di alcune di queste forme DIAGNOSI DIFFERENZIALE La CMPR presenta spesso aspetti clinici indistinguibili dalla pericardite costrittiva, con problemi di diagnosi differenziale difficili da risolvere (vedi Capitolo 32). Una storia di pericardite acuta, pregressa infezione tubercolare, trauma toracico, intervento cardiochirurgico o terapia radiante del mediastino pu orientare verso la diagnosi di pericardite costrittiva. Allindagine invasiva, il rilievo di una pressione telediastolica del ventricolo sinistro inferiore di almeno 5 mmHg rispetto alla pressione telediastolica del ventricolo destro, di una pressione sistolica del ventricolo destro 50 mmHg ed di un rapporto pressione telediastolica/pressione sistolica del ventricolo destro 0.33 orienta verso una pericardite costrittiva. La tomografia computerizzata e la risonanza magnetica sono in grado di fornire informazioni pi complete su eventuali alterazioni del pericardio e sulla struttura della parete miocardica. Anche la biopsia endomiocardica pu essere di ausilio nella differenziazione della CMPR dalla pericardite costrittiva, particolarmente nei casi in cui possibile riscontare uninfiltrazione miocardica. CENNI DI TERAPIA In generale, la terapia farmacologica delle CMPR si avvale dei diuretici per una congestione secondaria allo scompenso cardiaco diastolico. Il dosaggio dei diuretici cautela, per evitare una sindrome da bassa portata conseguente ad eccessiva riduzione affetti da amiloidosi cardiaca devono essere evitati la digitale e i calcio-antagonisti possono causare fenomeni tossici anche con dosaggi generalmente ritenuti terapeutici. terapia sintomatica della deve essere stabilito con del precarico. Nei pazienti in quanto questi farmaci

In caso di fibrillazione atriale, necessario tentare di ristabilire il ritmo sinusale perch lassenza del contributo atriale al riempimento ventricolare comporta un sostanziale peggioramento della disfunzione diastolica. A questo scopo, sono indicati sia la cardioversione elettrica che quella farmacologica mediante limpiego di agenti antiaritmici, in particolare lamiodarone. In casi di difetti di conduzione atrio-ventricolare di grado avanzato pu rendersi necessario limpianto di un pace-maker. Il trattamento anticoagulante orale appare indicato nei pazienti con rischio tromboembolico, in particolare in quelli con riscontro ecocardiografico di trombi endocavitari, marcata dilatazione atriale, episodi ricorrenti di fibrillazione atriale parossistica o fibrillazione atriale cronica. Non esiste al momento la possibilit di migliorare levoluzione delle forme idiopatiche con trattamenti farmacologici specifici e, nelle fasi avanzate, il trapianto cardiaco rappresenta lunica valida opzione terapeutica.

Capitolo 31 CARDIOMIOPATIA/DISPLASIA ARITMOGENA DEL VENTRICOLO DESTRO Luciano Daliento, Barbara Bauce, Cristina Basso, Alessandra Rampazzo, Gaetano Thiene, Andrea Nava
DEFINIZIONE

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La cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro una malattia caratterizzata, dal punto di vista morfologico, da una sostituzione fibro-adiposa di tratti pi o meno estesi del ventricolo destro (Figura 1), con un non raro interessamento del ventricolo sinistro. Le alterazioni anatomiche sono responsabili di modificazioni morfofunzionali delle pareti ventricolari, riconoscibili mediante le tecniche di imaging (Figura 2), e fungono da substrato per linstaurarsi di aritmie da rientro (Figura 3). La malattia di origine genetica, nella maggior parte dei casi con trasmissione autosomica dominante; sono stati finora identificati diversi geni-malattia. Lespressione clinica pu essere diversa da soggetto a soggetto, sia per quanto riguarda le modificazioni morfo-funzionali cardiache che per il grado di instabilit elettrica, anche in pazienti portatori di unidentica mutazione. QUADRO CLINICO La presenza, in giovani adulti, di aritmie ventricolari con morfologia tipo blocco di branca sinistra, associate ad alterazioni morfo-funzionali del ventricolo destro, soprattutto delle zone che definiscono il cosiddetto triangolo della displasia (la regione sottotricuspidale, la punta e la regione dellinfundibolo) caratterizzano il quadro clinico e rendono possibile la diagnosi. Prevalgano in genere le forme di malattia con estensione lieve, e raramente il processo di sostituzione fibro-adiposa cos diffuso da provocare importante cardiomegalia o severa riduzione della funzione di pompa. Il fatto che venga interessato soprattutto il ventricolo destro spiega perch i pazienti affetti siano capaci, nella maggior parte dei casi, di ottime prestazioni funzionali; molti di essi, anzi, svolgono attivit sportiva e spesso gli eventi aritmici maggiori si avverano proprio durante una intensa attivit fisica. Non raro, infatti, che la morte improvvisa sia la prima manifestazione clinica nei giovani pazienti. DIAGNOSI Una Task Force della Societ Europea di Cardiologia ha definito i criteri diagnostici per la Cardiomiopatia aritmogena, basati oltre che sui dati clinico-anamnestici anche sulle modificazioni morfo-funzionali individuate con le varie tecniche di imaging (Tabella I). Nello studio clinico di un soggetto con aritmie ventricolari fondamentale eseguire unattenta e completa anamnesi familiare riguardo la presenza, nel gentilizio, di morti precoci ed inattese o episodi sincopali. Le metodiche di imaging (ecocardiogramma, risonanza magnetica cardiaca ed angiografia) sono indubbiamente le pi valide per la definizione diagnostica delle alterazioni morfo-funzionali delle pareti ventricolari; lelettrocardiogramma, lesame Holter delle 24 ore e lelettrocardiogramma ad alta amplificazione, assieme allo studio elettrofisiologico e alla ricostruzione della mappa elettroanatomica ventricolare destra, sono utili soprattutto per la stratificazione del rischio aritmico. Elettrocardiogramma LECG normale in circa il 20% dei soggetti con diagnosi clinica di cardiomiopatia aritmogena; in questi generalmente presente una scarsa sostituzione fibro-adiposa. La maggior parte dei pazienti, invece, presentano onde T negative nelle precordiali destre (Figura 4), ed in alcuni sono anche evidenti in queste derivazioni onde epsilon, piccole deflessioni presenti nel tratto ST o nellonda T che esprimono la depolarizzazione estremamente ritardata di alcune zone del ventricolo destro (Figura 5). Extrasistoli ventricolari o tachicardia ventricolare con morfologia tipo blocco di branca sinistra sono molto comuni nella cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro; esistono anche forme con aritmie ventricolari ripetitive polimorfe, associate ad un maggior rischio di morte improvvisa. La morfologia dei complessi ectopici somiglia a quella del blocco di branca sinistra poich le aritmie nascono nel ventricolo destro. Limpulso ectopico genera unattivazione non simultanea dei ventricoli: dapprima si depolarizza il ventricolo destro, sede in cui limpulso nasce, e poi il processo di attivazione si comunica al ventricolo sinistro; questa sequenza di diffusione dellimpulso nei ventricoli identica a quella che si realizza nel blocco di branca sinistra. In questultimo caso, per, il meccanismo da cui essa dipende lincapacit della branca sinistra a condurre limpulso, per cui il processo di depolarizzazione si realizza prima nel ventricolo destro, la cui branca integra, e solo tardivamente il fronte donda si trasmette anche al ventricolo sinistro. Allelettrocardiogramma amplificato si registrano potenziali tardivi (Figura 6) nella quasi totalit dei pazienti che presentano forme severe di cardiomiopatia aritmogena, nel 70-80 % dei pazienti con forme moderate e in poco pi del 50% dei pazienti con forme lievi. Il test ergometrico viene utilizzato non tanto per misurare la capacit funzionale, quanto per osservare il comportamento delle aritmie e la loro eventuale scomparsa o insorgenza durante lo sforzo. Metodiche di imaging Lecocardiografia (Figura 7), la risonanza magnetica nucleare (Figura 8) e la cineventricolografia (Figura 9) sono metodiche idonee alla diagnosi anche nelle forme con scarsa compromissione parietale. La presenza di un bulging (rigonfiamento) diastolico o di discinesie sistoliche della parete infero-basale del ventricolo destro, giusto sotto la inserzione del lembo posteriore della valvola tricuspide, la disomogeneit della architettura trabecolare, la dilatazione dellinfundibolo, lalterata configurazione dei margini della parete libera, soprattutto dellapice, sono segni caratteristici della malattia. Riguardo la risonanza magnetica (Figura 8), si d ormai pi importanza al riscontro di alterazioni della cinetica dei ventricoli che allaumento del segnale riferibile a grasso. Dati incoraggianti stanno arrivando dallutilizzo del mezzo di contrasto gadolinio, capace di identificare le aree miocardiche che presentano fibrosi (vedi Capitolo 7).

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Al momento attuale, lindagine di imaging a maggior grado di sensibilit e specificit rimane la cineventricolografia (Figura 9). La presenza di bulging diastolici della parete anteriore e sottotricuspidale, associata a trabecole disposte trasversalmente, ispessite e intervallate da profonde fessure, raggiungono la pi elevata sensibilit e specificit diagnostica. Linteressamento del ventricolo sinistro pi frequente di quanto non si ritenesse in passato e solitamente lo si ritrova nei soggetti adulti. Biopsia endomiocardica La biopsia endomiocardica rappresenta un valido supporto sia per la diagnosi, quando presente nel prelievo sostituzione fibro-adiposa, sia per la stratificazione del rischio aritmico, poich la presenza di una significativa componente infiammatoria o necrotica o di elementi apoptosici possono essere messi in relazione con una fase attiva della malattia, in cui linstabilit elettrica particolarmente spiccata. GENETICA Sono stati finora riconosciuti 11 loci di mutazione genetica associati alla cardiomiopatia aritmogena (Tabella II). Una forma autosomica recessiva associata a keratoderma palmo-plantare e capelli ricci stata descritta in pazienti che vivono nellisola greca di Naxos. Questa forma causata da una mutazione del gene della Plakoglobina, localizzato nel cromosoma 17q21, che codifica per un componente chiave dei desmosomi. In pazienti che presentavano criteri clinico-diagnostici per la cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro sono state identificate mutazioni del gene della Desmoplakina e della Desmogleina-2, proteine presenti nei desmosomi, dove svolgono un ruolo fondamentale nellassicurare la giunzione tra una cellula e laltra (Figura 10). In una famiglia con alta ricorrenza di morte improvvisa giovanile, aritmie ventricolari polimorfe, e lievi alterazioni morfo-funzionali del ventricolo destro stata identificata una mutazione del gene RyR2 che regola lattivit del recettore rianodinico cardiaco. Questo gene fra i pi grandi del genoma umano, essendo costituito da 106 esoni, e codifica per il recettore rianodinico, che regola lomeostasi intracellulare del calcio (Figura 11). La mutazione di questo gene provoca un aumento della concentrazione di ioni calcio allinterno del miocita e favorisce linsorgenza delle aritmie ventricolari durante sforzo. Sulla base delle conoscenze genetiche, si pu ipotizzare che la patogenesi molecolare di questa malattia risieda nel fatto che il danno della parete ventricolare con successivo processo riparativo sia la conseguenza di una debolezza del sistema delle giunzioni desmosomiali (Figura 12). Dato che i desmosomi sono presenti in tutto il miocardio, le alterazioni della proteine desmosomiali nei soggetti con mutazione genica sono espresse sia a livello del miocardio ventricolare destro che sinistro. Il fatto che in questa malattia siano prevalenti le alterazioni morfologiche a carico del ventricolo destro verosimilmente dovuto al diverso spessore della parete ventricolare, molto pi sottile a destra rispetto al versante sinistro. Gli studi pi recenti, eseguiti con risonanza magnetica ed iniezione di gadolinio, un mezzo di contrasto che individua la fibrosi miocardica, supportano questa spiegazione, mostrando a livello dellepicardio ventricolare sinistro la presenza di fibrosi, che in genere non comporta alterazioni della cinetica ventricolare sinistra. CENNI DI TERAPIA Nella maggior parte dei casi lintervento terapeutico rivolto alla prevenzione della morte improvvisa attraverso il controllo delle aritmie ventricolari. In presenza di aritmie complesse, soprattutto se queste sono polimorfe o si aggravano sotto sforzo, il primo provvedimento quello di limitare lattivit fisica ed iniziare un trattamento antiaritmico farmacologico. In presenza di episodi ripetuti di tachicardia ventricolare sostenuta o di importanti sintomi aritmici si ricorre allimpianto di un defibrillatore automatico. Esiste inoltre lopzione dellablazione con radiofrequenza (vedi Capitolo 60) in presenza di una lesione localizzata, se durante lo studio elettrofisiologico endocavitario si dimostra essere questa la fonte primaria dellaritmia ventricolare.

Sezione VIII. Pericarditi, Miocarditi, Endocarditi Capitolo 32 PERICARDITI Antonio Barsotti, Gian Marco Rosa
DEFINIZIONE Si tratta di affezioni acute o croniche interessanti il foglietto parietale e viscerale del pericardio, la cui eziologia pu essere infettiva, infiammatoria, neoplastica, immunitaria. Tra le malattie del pericardio possono essere enucleate le forme seguenti :

Pericarditi acute e subacute Pericardite cronica essudativa Tamponamento cardiaco Pericardite cronica costrittiva PERICARDITI ACUTE E SUBACUTE

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Sono processi infiammatori del pericardio a decorso acuto o subacuto, distinguibili in forme fibrinose, caratterizzate da abbondante formazione di fibrina e scarso versamento, e forme essudative, caratterizzate da formazione di versamento. Eziologia Il pericardio pu essere interessato da infezioni virali, batteriche, micotiche o tubercolari; le forme virali sono di gran lunga le pi frequenti (virus Coxackie A e B, echovirus, virus parotitico, citomegalovirus, herpes simplex, varicella, adenovirus, epstein barr e virus influenzali). (Tabella I) Una pericardite acuta si pu anche sviluppare come conseguenza dellinvasione diretta del pericardio da parte di una neoplasia di organi adiacenti (neoplasie polmonari, della mammella o linfomi). Altre condizioni morbose come patologie metaboliche (uremia o mixedema) e le collagenopatie (lupus eritematoso sistemico, sclerodermia, artrite reumatoide, dermatomiosite, poliartrite nodosa) possono interessare il pericardio. Sono state segnalate pericarditi da farmaci (Isoniazide, Procainamide, Idralazina e Antracicline), su base verosimilmente immunitaria. Linfarto miocardico acuto pu essere complicato dalla pericardite epistenocardica (II-IV giornata) o dalla sindrome di Dressler, pericardite autoimmune ad insorgenza pi tardiva. Altre forme di infiammazione asettica del pericardio sono le post-pericardiotomiche, che si osservano dopo interventi cardiochirurgici. Tra le patologie pericardiche sono incluse anche forme caratterizzate da raccolta di liquido di tipo trasudatizio, come accade nello scompenso cardiaco e nella sindrome nefrosica. Nel pericardio si pu formare una raccolta ematica (emopericardio) se si verifica rottura di strutture vascolari o cardiache. Anche la terapia radiante ad alte dosi pu essere associata a interessamento pericardico, quando le radiazioni siano dirette sul mediastino.

Fisiopatologia Normalmente la cavit pericardica contiene 25-50 ml di liquido sieroso, ed al suo interno vige una pressione negativa. Quando un agente patogeno di tipo chimico, fisico, batterico o virale lede lintegrit funzionale dei foglietti pericardici, la quantit di liquido aumenta. Il liquido pericardico pu essere sieroso, siero-fibrinoso, ematico, purulento, colesterolico, chiloso (Tabella II). Il versamento pericardico pu essere di tipo trasudativo o essudativo. Il trasudato presenta bassa densit, basso contenuto proteico, e scarse cellule mesoteliali, mentre l essudato pi denso, contiene maggior quantit di proteine e numerose cellule infiammatorie e mesoteliali. Con la formazione del versamento, la pressione intrapericardica aumenta, cosicch viene limitato il rilasciamento delle camere cardiache, aumentano le pressioni di riempimento ventricolare, ed ostacolato il ritorno venoso. La pressione intrapericardica dipende dalla quantit di liquido e dalla sua rapidit di formazione. Se il versamento pericardico si forma lentamente, senza che si realizzi un tamponamento cardiaco, la pressione intrapericardica subisce solo un modesto incremento, e la gittata sistolica, la portata cardiaca, e la pressione arteriosa sono mantenute nei limiti della norma. Solo se la pressione intrapericardica aumenta ulteriormente, il riempimento diastolico e la gittata sistolica diminuiscono. In questa situazione la portata cardiaca mantenuta entro limiti normali dallaumento della frequenza cardiaca.

Quadro clinico Il quadro clinico condizionato dalla gravit del processo infiammatorio, dalla quantit di liquido e dalla velocit con cui questo si accumula. In genere, dopo duetre settimane da un episodio di tipo influenzale, compaiono i sintomi della pericardite acuta. Il dolore precordiale uno dei sintomi pi caratteristici: presenta irradiazione verso il collo, verso il margine del muscolo trapezio e verso la spalla sinistra; talvolta pu avere localizzazione epigastrica tanto da simulare un addome acuto. La sua intensit pu variare, esacerbandosi con l inspirazione, la posizione supina, la tosse, la deglutizione, mentre si riduce in alcune posizioni antalgiche (la posizione seduta o quella genupetturale oppure flettendo il torace in avanti). Il dolore ha di solito durata protratta (giorni), e si riduce o scompare quando compare il versamento. Esame obiettivo Gli sfregamenti pericardici sono i segni pi caratteristici della pericardite acuta: essi originano dallattrito tra i foglietti pericardici, resi scabri dalla deposizione di fibrina. I rumori da sfregamento sono solitamente variabili, transitori e, quando presenti, consentono di porre diagnosi sicura di pericardite; possono accentuarsi con la compressione esercitata dal fonendoscopio oppure facendo inclinare in avanti il paziente . Indagini di laboratorio Sono spesso presenti segni aspecifici di flogosi quali leucocitosi, elevazione della PCR, rialzo della VES. I reperti di laboratorio possono essere utili per la diagnosi di pericardite uremica (azotemia e creatininemia) o per la diagnosi di mixedema (FT3, FT4, TSH). Si pu a volte riscontrare una fluttuazione del titolo anticorpale contro il virus responsabile. Lintradermoreazione alla tubercolina utile nella diagnosi di pericardite tubercolare. La determinazione del titolo degli anticorpi antinucleo e del fattore reumatoide va eseguita nel caso si sospetti una malattia autoimmune. Lesame del liquido prelevato con la pericardiocentesi (reazione di Rivalta) pu essere molto indicativo: si tratta di un trasudato nelle sindromi edemigene, di un essudato nelle forme infettive, di un liquido emorragico in caso di neoplasie, tubercolosi, sindrome di Dressler.

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Esami strumentali Elettrocardiogramma: nella pericardite acuta lECG mostra sopralivellamento del tratto ST, generalmente a concavit superiore, nelle derivazioni con QRS positivo; le onde T appaiono alte ed appuntite e il PR pu risultare sottoslivellato (Figura 1). Successivamente il sopralivellamento di ST regredisce, e londa T diventa negativa e simmetrica. Segno fondamentale per la diagnosi differenziale elettrocardiografica con le alterazioni in corso di infarto miocardico lassenza di onde q di necrosi. Quando la pericardite si accompagna ad abbondante versamento pericardico si verifica riduzione di voltaggio di tutte le onde dellECG, e a volte alternanza elettrica (vedi Capitolo 3). Esame radiologico: le pericarditi acute prevalentemente fibrinose, con scarso versamento, non sono evidenziabili utilizzando i metodi radiografici tradizionali standard. LRX del torace pu essere utile solo se la raccolta di liquido superiore a 200-250 ml: in questa situazione l ombra cardiaca perde la normale configurazione ed assume aspetto a fiasca (Figura 2). Ecocardiogramma: lesame pi specifico e sensibile in presenza di versamento pericardico (vedi Capitolo 4). LEcocardiogramma monodimensionale mostra uno spazio ecoprivo compreso tra il pericardio posteriore e la parete posteriore del ventricolo sinistro; a volte, in caso di versamenti maggiori, presente uno spazio analogo tra il pericardio parietale anteriore e la parete anteriore del ventricolo destro. Lindagine bidimensionale permette di visualizzare in modo pi completo il pericardio (Figura 3). Risonanza magnetica nucleare: la RMN cardiaca fornisce precisi dati anatomici sullo stato del pericardio, permettendo una miglior evidenziazione dei recessi pericardici superiori e dei versamenti posteriori, spesso misconosciuti. Diagnosi differenziale Il quadro pu essere confuso con quello dell infarto miocardico acuto per il dolore precordiale e per la presenza di alterazioni elettrocardiografiche. Gli sfregamenti pericardici, i reperti ecocardiografici, lassenza di aumento nel siero dei marker di necrosi miocardica (vedi Capitolo 24) permettono di dirimere il dubbio.

Complicanze Si dividono in precoci (recidive precoci e miocarditi) e tardive (recidive tardive e pericardite costrittiva). La pi importante complicanza dei versamenti pericardici il tamponamento cardiaco (vedi pi avanti). PERICARDITE CRONICA ESSUDATIVA Si diagnostica in presenza di versamento pericardico persistente da almeno sei mesi. Tutti i processi infettivi cronici, le collagenopatie, le malattie metaboliche, lo scompenso cardiaco congestizio, i tumori pericardici possono provocare versamenti pericardici ad andamento cronico.

Quadro clinico I pazienti possono essere asintomatici o paucisintomatici dal punto di vista cardiaco, pur presentando versamento pericardico all ecocardiogramma. I principali sintomi consistono in ridotta tolleranza allesercizio fisico e nella dispnea da sforzo. Versamenti massivi possono accompagnarsi a sintomi come tosse, disfagia, disfonia dovuti alla compressione delle strutture mediastiniche. Allascoltazione cardiaca i toni risultano ovattati e si possono apprezzare a volte sfregamenti pericardici . Il decorso clinico della pericardite cronica essudativa dipende prevalentemente dalla malattia di base e dalla presenza di cardiopatia sottostante. E possibile levoluzione verso la forma costrittiva . Diagnosi L ecocardiogramma lesame di scelta per la diagnosi di pericardite cronica essudativa. Lelettrocardiogramma pu essere normale, ma spesso evidenzia QRS di basso voltaggio e alterazioni aspecifiche della ripolarizzazione. Il radiogramma del torace pu evidenziare aumento dell ombra cardiaca. TAMPONAMENTO CARDIACO E una sindrome caratterizzata da segni e sintomi di bassa portata associati ad ipertensione venosa, che si verifica quando il versamento comporta un aumento della pressione intrapericardica tale da produrre una grave limitazione del riempimento del cuore in diastole. Eziologia: Le cause pi frequenti sono:

pericardite acuta o recidiva sanguinamento nello spazio pericardico per interventi cardiochirurgici, cateterismo cardiaco, impianto di pacemaker, traumi toracici, complicanze della terapia trombolitica e anticoagulante;

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rottura del cuore o di aneurismi disseccanti dell aorta nel sacco pericardico; versamento pericardico di origine tubercolare o neoplastica Fisiopatologia Il tamponamento cardiaco si sviluppa quando la quantit di liquido che si raccoglie supera la capacit di distensione del pericardio. Ne consegue aumento della pressione intrapericardica cui fa seguito progressiva riduzione del rilasciamento diastolico fino alladiastolia (uguaglianza delle pressioni diastoliche in ventricolo sinistro, atrio sinistro, capillari polmonari e sezioni destre), compressione del cuore e limitazione dell afflusso di sangue ai ventricoli. Fattori determinanti sono la distensibilit del sacco pericardico, la rapidit con cui si forma il versamento, la compliance diastolica dei ventricoli e la volemia: anche modeste quantit di liquido (per esempio, 150 ml) formatesi rapidamente possono determinare tale complicanza. Le principali conseguenze fisiopatologiche del tamponamento sono: 1) Riduzione della gittata sistolica a causa del ridotto riempimento ventricolare durante la diastole. 2) Aumento della pressione venosa centrale: lostacolato svuotamento atriale incrementa la venosa pressione a monte degli atri. Intervengono, inoltre, meccanismi di compenso che conseguono allaumentato tono adrenergico: tachicardia vasocostrizione periferica. Laumentata frequenza cardiaca cerca di opporsi alla riduzione della portata, lincremento delle resistenze periferiche tende a mantenere la pressione arteriosa nella norma. Quando meccanismi di riserva cardiaca non sono pi efficaci e la perfusione tessutale tende a ridursi, si verifica un vero proprio stato di shock cardiogeno (vedi Capitolo 22). Quadro clinico E dominato dalla bassa portata cardiaca, dalla ipotensione e dai segni di elevata pressione venosa, con obiettivit cardiaca muta. E una condizione di urgenza, da risolversi rapidamente con la rimozione del liquido (pericardiocentesi). Il paziente appare sofferente, con obnubilamento del sensorio, stato ansioso, sudorazione fredda, pallore, oliguria. E presente tachicardia, allascoltazione i toni cardiaci risultano ovattati, la pressione sistolica ridotta, il polso arterioso frequente e piccolo, e pu comparire il polso paradosso, cio laccentuazione della fisiologica riduzione di ampiezza del polso e della pressione arteriosa durante linspirazione (vedi Capitolo 2 ). Esami strumentali Lelettrocardiogramma mostra tachicardia sinusale e bassi voltaggi dei QRS. Lecocardiogramma evidenzia un versamento pericardico abbondante, sia in sede anteriore che posteriore, e numerosi altri segni fra cui un collasso diastolico della parete libera del ventricolo destro: la riduzione del diametro telediastolico del ventricolo destro al di sotto di 7 mm un segno molto indicativo di tamponamento cardiaco. e e i e

PERICARDITE CRONICA COSTRITTIVA Affezione che pu conseguire a malattie pericardiche acute o croniche, caratterizzata da un addensamento sclerocicatriziale del pericardio che, riducendo di molto la compliance del sacco pericardico, interferisce con il normale riempimento diastolico del cuore.

Eziologia Una pericardite cronica costrittiva pu complicare qualsiasi forma di pericardite acuta o cronica. Le principali cause di pericardite cronica costrittiva sono : le pericarditi idiopatiche ed infettive, specie la forma tubercolare, le neoplasie, la terapia radiante, gli interventi cardiochirurgici e lemopericardio.

Fisiopatologia Alcune malattie del pericardio, soprattutto le pericarditi fibrinose o siero fibrinose, hanno come esito la formazione di tessuto fibroso denso e calcifico. Si forma, perci, un involucro rigido che avvolge il cuore e ostacola gravemente il riempimento dei ventricoli. Gli effetti della costrizione pericardica si manifestano essenzialmente in fase meso e telediastolica, mentre il riempimento protodiastolico pu essere normale. In protodiastole la pressione ventricolare bassa, ma subito sinnalza notevolmente perch lafflusso del sangue ai ventricoli limitato dallastuccio rigido che avvolge il cuore. La curva pressoria di entrambi i ventricoli, perci, assume un aspetto a radice quadrata (dip and plateau) (Figura 4). Il riempimento ventricolare avviene principalmente in protodiastole, mentre nelle fasi seguenti ridotto al minimo e la pressione telediastolica tende ad essere equivalente in tutte le cavit cardiache (> 15-20 mmHg nelle forme pi gravi). Gli effetti della costrizione pericardica sono pi marcati a carico delle sezioni destre. Il meccanismo di Frank Sktarling non operante, essendo il volume telediastolico dei ventricoli fisso, mentre le modificazioni della gittata cardiaca dipendono quasi esclusivamente dalle modificazioni della frequenza cardiaca. Quadro clinico

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La malattia ha un esordio insidioso e pu decorrere misconosciuta per molti anni. Il quadro clinico della pericardite costrittiva simula quello di uno scompenso cardiaco congestizio, da deficit del ventricolo destro. I sintomi sono la dispnea da sforzo e lastenia (da attribuirsi alla riduzione del flusso anterogrado) mentre raramente si verificano dispnea a riposo e ortopnea. Lastenia il sintomo prevalente. I toni cardiaci sono di intensit normale o ridotta, si pu a volte ascoltare un tono aggiunto protodiastolico (pericardial knock), da attribuirsi al brusco impedimento diastolico dellespansione ventricolare ad opera della costrizione pericardica). Sono presenti segni di ipertensione venosa periferica e di congestione viscerale sistemica: epatosplenomegalia, edemi declivi, ascite, turgore delle giugulari. Pu anche essere presente polso paradosso (vedi Capitolo 2).

Diagnosi Non sono presenti alterazioni elettrocardiografiche specifiche, ma di solito i complessi QRS sono di basso voltaggio e le onde P slargate e bifide, a indicare ingrandimento atriale (vedi Capitolo 3), e nel 20-30 % dei casi si pu riscontrare una fibrillazione atriale cronica. AllRX del torace lombra cardiaca appare di normali dimensioni, ed frequente il rilievo di calcificazioni pericardiche. Allecocardiogramma si nota un ingrandimento atriale con dimensioni ventricolari normali, lispessimento del pericardio, la dilatazione delle vene epatiche e della vena cava inferiore; lesame doppler mostra anomalie del riempimento ventricolare. Il cateterismo cardiaco si rende necessario quando i sintomi e i reperti strumentali non permettono una diagnosi certa. La TAC e la risonanza magnetica cardiaca vengono considerate il gold standard per la diagnosi.

Diagnosi differenziale La pericardite costrittiva va distinta, sulla base dei reperti obiettivi e dei dai ecocardiografici, dallo scompenso cardiaco congestizio secondario a valvulopatie acquisite (specie tricuspidali). La diagnosi differenziale con la cardiomiopatia restrittiva (vedi Capitolo 30) difficile: lesame emodinamico dirimente giacch nella cardiomiopatia restrittiva la pressione telediastolica maggiore nelle sezioni sinistre che in quelle destre, mentre nella pericardite costrittiva tende ad essere uguale in entrambe le camere ventricolari. La diagnosi differenziale con il cuore polmonare cronico, la cirrosi epatica e l infarto del ventricolo destro semplice, e si basa sullanamnesi, sul quadro clinico ed sui principali esami strumentali. CENNI DI TERAPIA DELLE PERICARDITI La terapia delle pericarditi acute e del versamento pericardico dipende dalla loro eziologia: per esempio, nelle forme uremiche il trattamento necessario quello dialitico, nelle forme tubercolari quello specifico con farmaci chemioterapici. Nelle pericarditi acute virali ed in quelle postpericardiotomiche, lapproccio terapeutico dato dai FANS che debbono essere somministrati per lungo tempo (almeno 6 mesi) per impedire la comparsa di recidive. Anche la terapia corticosteroidea appare efficace ma aumenta in maniera significativa la frequenza delle recidive entro un anno dalla risoluzione del versamento. Nelle forme lievi con versamento modesto si consiglia l utilizzo dei FANS, mentre nelle forme associate a versamento pericardico importante si possono utilizzare anche i cortisonici. Nelle forme postinfartuali sono controindicati i farmaci corticosteroidei, che possono indebolire la formazione della cicatrice infartuale. Il trattamento del tamponamento cardiaco costituito dalla rimozione del liquido pericardico mediante pericardiocentesi oppure drenaggio chirurgico con creazione della finestra pleuropericardica.

Capitolo 33 MIOCARDITI Antonello Ganau, Pier Sergio Saba


DEFINIZIONE Le miocarditi rappresentano le malattie infiammatorie del tessuto miocardico. Sebbene abbiano frequentemente una evoluzione benigna, recenti dati autoptici le hanno chiamate in causa nella genesi della morte improvvisa dei giovani adulti, poich in una percentuale compresa tra l8% e il 12% dei casi lesame istologico del miocardio di giovani deceduti improvvisamente ha mostrato i caratteristici aspetti infiammatori. In ampi studi prospettici, le miocarditi sono state anche implicate nella genesi della cardiomiopatia dilatativa (vedi Capitolo) in circa il 10% dei casi. EZIOLOGIA I potenziali agenti eziologici delle miocarditi sono molto numerosi (Tabella I). La causa pi frequente una infezione virale, spesso da enterovirus ed in particolare da virus Coxsackie del serotipo B. Altri ceppi virali identificati come possibili cause di miocardite sono gli adenovirus, il virus dellepatite C (HCV) e il virus dellimmunodeficienza acquisita (HIV). Anche alcuni batteri, miceti, protozoi e parassiti possono agire come agenti patogeni. Numerosi farmaci, tra cui gli antibiotici (sulfonamidi, cefaloslosporine, penicilline), i diuretici, la digossina, gli antidepressivi triciclici e gli antipsicotici possono indurre miocardite mediante reazioni da ipersensibilit. Tra le malattie autoimmunitarie, anche la celiachia pu determinare una miocardite.

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PATOGENESI Gran parte delle conoscenze sulla patogenesi delle miocarditi deriva da modelli animali che hanno identificato tre fasi. Nella prima fase si verifica linvasione diretta del miocardio da parte di virus cardiotropi o di altri agenti infettivi. Dopo la risoluzione o lattenuazione della infezione virale pu insorgere la seconda fase di attivazione immunologica, nella quale si osserva una espansione clonale di linfociti B, che determina ulteriore miocitolisi, aggravamento della infiammazione locale e produzione di anticorpi circolanti anti-muscolo cardiaco. La terza e ultima fase conseguenza del danno virale e autoimmunitario, ma pu continuare autonomamente dopo linsulto iniziale. E caratterizzata da infiltrazione miocardica da parte di cellule infiammatorie, compresi i macrofagi e le Natural Killer, con la conseguente espressione di citochine pro-infiammatorie come la interleukina-1, la interleukina-2, il tumor necrosis factor (TNF), e linterferone- . Il TNF, in particolare, attiva le cellule endoteliali, recluta ulteriori cellule infiammatorie, incrementa la produzione di citochine e ha un effetto inotropo negativo diretto. MANIFESTAZIONI CLINICHE Le miocarditi si possono presentare con quadri che vanno dalle semplici anomalie elettrocardiografiche asintomatiche allo shock cardiogeno. I pazienti possono lamentare sintomi prodromici attribuibili ad una infezione virale, quali febbre, mialgie, sintomi respiratori o gastroenterici, prima della comparsa di sintomi e segni di insufficienza cardiaca acuta (vedi Capitolo). La manifestazione clinica pi drammatica la dilatazione cardiaca ad insorgenza acuta, con grave disfunzione sistolica del ventricolo sinistro e rapida insorgenza di scompenso. Talora la miocardite simula una sindrome coronarica acuta. In questi casi si osserva un aumento dei marcatori di necrosi miocardica (CK-MB, Troponina) e modificazioni elettrocardiografiche tipiche dellischemia miocardica, quali sopraslivellamento del tratto ST, inversione dellonda T, comparsa di onde Q patologiche o sottoslivellamento diffuso del tratto ST. Lecocardiogramma evidenzia spesso anomalie della cinetica ventricolare sinistra, pur in presenza di coronarie indenni da lesioni allesame coronarografico. Le miocarditi possono inoltre produrre variabili effetti sul sistema di conduzione e sul ritmo cardiaco, e sono in grado di provocare blocchi di branca (vedi Capitolo), blocco A-V (vedi capitolo), battiti ectopici (vedi Capitolo) o tachicardie. La tachicardia ventricolare (vedi Capitolo) si presenta raramente allesordio della malattia, ma si osserva frequentemente durante il follow-up a lungo termine di questi pazienti. VALUTAZIONE DIAGNOSTICA La diagnosi di miocardite pu essere sospettata sulla base dei sintomi, dellelettrocardiogramma, di valori elevati della proteina C reattiva e dei marker di danno miocardico (troponina o CK-MB) e di aumento delle IgM specifiche per virus a tropismo miocardico, ma la diagnosi di certezza si basa sulla istologia. Elettrocardiogramma I quadri elettrocardiografici pi comuni sono caratterizzati da una diffusa inversione dellonda T, ma pu anche comparire sopraslivellamento del tratto ST, soprattutto nelle forme di miocardite con interessamento pericardico ( Figura 1). Marcatori di infiammazione e di necrosi. La VES, la proteina C reattiva ed altri marcatori di infiammazione appaiono alterati in caso di miocardite, ma sono del tutto aspecifici e non si sono dimostrati particolarmente utili nella valutazione diagnostica e prognostica dei pazienti con miocardite. I marcatori di necrosi miocardica vengono misurati nei pazienti con sospetta miocardite, anche se la loro sensibilit diagnostica risultata in genere bassa e variabile. Ecocardiogramma In tutti i pazienti con sospetta miocardite dovrebbe essere eseguito un ecocardiogramma per la ricerca di anomalie della contrattilit ventricolare sinistra. Il reperto iniziale pi comune il riscontro di alterazioni della cinetica parietale del ventricolo sinistro, in assenza di significativa dilatazione della camera. La disfunzione del ventricolo destro meno frequente. Risonanza magnetica nucleare La metodica pi promettente per la diagnosi delle miocarditi la risonanza magnetica nucleare con contrasto di gadolinio. Tale tecnica in grado di individuare le aree miocardiche interessate dallinfiltrazione infiammatoria e consente leffettuazione di biopsie mirate per la conferma della diagnosi ( Figura 2). Biopsia endomiocardica La biopsia endomiocardica tuttora considerata il gold standard per una diagnosi di certezza della miocardite. Il tipico quadro istologico mostra linterstizio miocardico occupato da edema e infiltrato infiammatorio, ricco di linfociti e macrofagi, e la presenza di quadri di necrosi focale di miociti ( Figura 3) Tuttavia, le classificazioni istopatologiche proposte attualmente forniscono informazioni clinicamente utili soltanto in una minoranza dei casi. Per tale motivo la biopsia endomiocardica generalmente riservata ai pazienti con una cardiomiopatia rapidamente progressiva e refrattaria alla terapia standard o con una cardiomiopatia di origine sconosciuta associata a progressiva alterazione del sistema di conduzione o aritmie ventricolari minacciose per la vita. STORIA NATURALE

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La storia naturale delle miocarditi variabile, cos come la presentazione clinica. Le miocarditi che simulano un infarto del miocardio evolvono, nella stragrande maggioranza dei casi, verso il completo recupero. I pazienti che esordiscono con scompenso cardiaco possono presentare una moderata disfunzione miocardica (frazione di eiezione 40-50%), che gradualmente migliora nel giro di settimane o mesi. In una piccola percentuale di soggetti, tuttavia, la miocardite pu avere inizio con una funzione sistolica gravemente depressa (frazione di eiezione del ventricolo sinistro minore del 35%) e in tal caso la met circa dei pazienti evolve verso lo scompenso cardiaco cronico, il 25% va incontro al trapianto o alla morte, e solo nel rimanente 25% si assiste ad un progressivamente miglioramento della funzione ventricolare. Il tasso di mortalit delle miocarditi varia dal 20 al 56%, ma raggiunge l80% a 5 anni nelle forme che alla biopsia mostrano un quadro istologico a cellule giganti. La presentazione clinica caratterizzata da sincope, disturbo della conduzione intraventricolare (blocchi di branca) o frazione di eiezione minore del 40% gravata da un maggior rischio di morte o di evoluzione verso il trapianto. TERAPIA La terapia della miocardite principalmente di supporto. Solo i pazienti che si presentano con un quadro di scompenso cardiaco grave hanno necessit di trattamenti aggressivi, e in essi indicato luso di farmaci inotropi positivi, diuretici, e vasodilatatori. Dopo la stabilizzazione emodinamica iniziale, la terapia dovrebbe includere un ACE-inibitore e un -bloccante e, nei casi di grave disfunzione sistolica (III e IV classe funzionale NYHA), un diuretico. Risultati non ancora univoci suggeriscono limpiego di farmaci immunosoppressori nelle miocarditi. Al momento questo tipo di terapia non da considerare di scelta nella gestione routinaria di questi pazienti, sebbene dati incoraggianti siano stati ottenuti in quelli con miocardite a cellule giganti.

Capitolo 34 ENDOCARDITE INFETTIVA Sergio Dalla Volta


DEFINIZIONE Questa malattia stata nota, per molti decenni, con i termini di endocardite lenta o di endocardite batterica subacuta, che definiscono il primo landamento abitualmente, ma non necessariamente, torpido ed il secondo leziologia batterica della maggior parte dei casi. Si tratta di una forma morbosa che si sviluppa nellendotelio del cuore gi precedentemente leso, per lo pi sulle valvole cardiache sia native che protesiche, su cui si impiantano dapprima le piastrine, che penetrano attraverso la lesione stessa (endocardite abatterica). In presenza di batteriemia per penetrazione di microrganismi da varie fonti (cavit orale in particolare), i germi colonizzano sulle piastrine (endocardite infettiva) e formano le cosiddette vegetazioni, arricchite poi da eritrociti, leucociti, e cellule infiammatorie. Oltre che sulle valvole, le colonie si localizzano nei difetti del setto interventricolare, nel dotto arterioso di Botallo o sullendocardio murale; questultima evenienza possibile solo in caso di applicazione di dispositivi intracardiaci come cateteri o piccoli strumenti per chiudere difetti. Particolari condizioni, come la tossicodipendenza, le diminuite resistenze immunitarie, e lemodialisi favoriscono la malattia, la cui frequenza oggi stimabile tra il 2,5 ed il 6,0 per 100.000 persone. EZIOLOGIA Anche se molti microrganismi, non solo batterici, ma anche fungini, possono essere causa della malattia, non pi di una decina di agenti responsabile del 90% dei casi. Sulle valvole native o nei difetti intracardiaci, l85% costituito da streptococchi, pneumococchi o enterococchi; nei tossicodipendenti lo stafilococco aureo presente nel 90% dei casi; tra i funghi prevale la candida. I microrganismi entrano nel torrente ematico da mucose, siti di infezioni focali, meno spesso cute. Essi aderiscono ai trombi nella quasi totalit dei casi, eccetto lo stafilococco aureo che pu colpire direttamente lendotelio sano. Una patologia cardiaca preesistente abitualmente necessaria per limpianto dei germi, ma la frequenza di complicanze endocarditiche nelle singole patologie cardiovascolari variabile: il rischio massimo nellinsufficienza valvolare aortica o mitralica, seguite dalla persistenza del dotto arterioso e dai difetti del setto ventricolare, mentre minima nella stenosi mitralica o nel prolasso isolato della valvola mitralica. Nei portatori di protesi valvolari, il rischio pi o meno simile per ogni tipo di cardiopatia che ha richiesto linserzione della protesi, specie se meccanica; nei tossicodipendenti che fanno uso di siringhe non sterili con trasferimento della droga a pi persone, la sede iniziale spesso la tricuspide, ma le forme pi gravi sono la localizzazione mitralica od aortica. I microrganismi penetrano per lo pi in seguito a manovre strumentali sulla bocca (estrazioni dentarie) o dopo endoscopia digestiva, cateterismo delle vie urinarie, cateterismo cardiaco, emodialisi, aghi a permanenza nelle vene, raramente a causa di infezioni cutanee o ustioni. ANATOMIA PATOLOGICA

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I germi si localizzano nelle strutture sopra ricordate in presenza di endotelio non normale (quello intatto assai resistente allimpianto di microrganismi) dal lato della cavit a minore pressione (per esempio, sulla faccia atriale dei lembi mitralici). Si depositano inizialmente le piastrine e quindi giungono i batteri, che formano le colonie, mescolati a globuli rossi e bianchi, fibrina e materiale di distruzione del tessuto valvolare. A volte i germi si moltiplicano in modo violento, formando vere e proprie ulcerazioni, ma pi spesso la moltiplicazione lenta. Poich le vegetazioni (Figura 1) sono costituite da materiale friabile, la loro rottura frequente, comportando la reimmissione in circolo del materiale che comprende i microrganismi (batteriemia), e provocando nuove localizzazione in vari organi e tessuti: cute, mucose, reni, milza, cervello. PATOGENESI Le caratteristiche del quadro clinico e gli studi sperimentali hanno dimostrato che le manifestazioni della malattia ed i sintomi e segni clinici sono la conseguenza di tre meccanismi attivi simultaneamente: 1) le conseguenze della infezione; 2) le metastasi trombo-emboliche; 3) le alterazioni immunologiche. Le conseguenze dellinfezione sono legate alla tossicit dei microrganismi ed alla intensit della loro propagazione ai vari organi; le manifestazioni emboliche, dipendenti dalla friabilit delle vegetazioni, colpiscono in modo particolare alcuni distretti; i fenomeni autoimmuni sono la conseguenza della stimolazione del sistema immunitario da parte dei germi, con formazione di autoanticorpi. QUADRO CLINICO I sintomi e i segni della infiammazione sono precoci e numerosi, anche se aspecifici: tra quelli generali la febbre di tipo continuo, quasi mai con brividi, con valori inferiori a 39, compare nell80-90% dei casi, mancando solo negli immunocompromessi o nei grandi anziani. Essa si accompagna ad inappetenza, perdita di peso e malessere; meno comuni sono sudorazione e cefalea. Lascoltazione cardiaca pu rivelare la comparsa di nuovi soffi o la modificazione di soffi preesistenti in oltre l80% dei casi, ed indica la valvola interessata. La tachicardia presente nella met dei casi. La splenomegalia, oggi che la terapia antibiotica disponibile, rilevabile in non pi del 50% dei casi, essendo un segno non precoce. Nella met dei casi, sono riscontrabili petecchie nelle congiuntive, nella bocca, nella mucosa del palato, alle estremit; meno frequentemente si osservano i noduli di Osler, noduli teneri, piccoli come capocchie di spillo, ben visibili alle estremit delle dita e di durata da molte ore a pochi giorni. Le conseguenze emboliche della malattia comprendono: le macchie di Janeway, manifestazioni eritematose od emorragiche sulle palme delle mani o le piante dei piedi (7-10% dei malati), lembolia splenica, linfarto renale, locclusione embolica dellarteria retinica; pi rari gli ascessi embolici cerebrali con sindrome neurologica di focolaio. Tra le manifestazioni da immunocomplessi le pi importanti sono le lesioni renali (insufficienza renale da glomerulonefrite con ematuria e iperazotemia), la presenza di anticorpi specifici per il fattore reumatoide o di anticorpi antisarcolemmatici ed antiendocardio. Altre manifestazioni sono linsufficienza cardiaca da rottura di corde tendinee, lemorragia cerebrale da rottura di emboli micotici, lo shock settico, linsufficienza renale, che pu riconoscere pi meccanismi, compresa la terapia antibiotica in eccesso o con farmaci nefrotossici. Il laboratorio mostra reperti aspecifici quali gradi variabili di anemia, leucocitosi neutrofila, aumento della velocit di sedimentazione. Di estrema utilit lesecuzione di ripetute emoculture, volte allisolamento del germe responsabile. Lemocultura conferma che si tratti di endocardite infettiva con batteriemia e permette di iniziare una terapia antibiotica mirata. Di solito i germi patogeni abituali danno positivit della emocultura, ma in taluni casi, specie nelle forme su protesi valvolari da germi spesso poco patogeni, lemocultura pu non essere positiva inizialmente o esserlo in ritardo.Dati di notevole importanza offre lecocardiografia, per via transtoracica e sopratutto transesofagea: tale esame oggi obbligatorio in ogni caso sospetto di endocardite infettiva. Esso mostra la presenza delle vegetazioni aderenti alle valvole o alle altre sedi della infezione, sotto forma di ammassi translucidi (ECO 39,ECO 40,ECO 41,ECO 42,ECO 43). Lecografia transtoracica d positivit in circa il 65% dei casi, per cui la prima ricerca da eseguire, quella transesofagea d positivit vere in oltre il 90%, per cui obbligatoria nel sospetto fondato di endocardite se l'ecocardiografia transtoracica negativa. Il significato prognostico delle vegetazioni piuttosto controverso, anche se il rischio embolico particolarmente frequente se le vegetazioni sono voluminose. Durante il decorso, le vegetazioni mostrano, quando la malattia tende alla guarigione, una riduzione, sino alla loro scomparsa nella met dei casi, mentre restano invariate, anche a lungo termine, negli altri. In presenza di complicanze, ascessi dell'anello valvolare, aneurismi micotici dei seni di Valsalva, fistole, e cos via, l'ecocardiografia di grande valore. Elettrocardiogramma, radiografia del torace, immagini da TAC o RMN non forniscono di solito dati utili alla diagnosi dellendocardite infettiva. Riconoscimento della malattia. Gli aspetti polimorfi della endocardite, specie oggi, visto che la terapia antibiotica ha modificato il quadro clinico, hanno sempre fornito difficolt non piccole, per cui si presto ricorsi alla ricerca di criteri di certezza. Oggi i criteri della Duke University (Tabella I), che classifica i dati disponibili in maggiori e minori, sono seguiti quasi senza eccezioni: due criteri maggiori o uno maggiore e tre minori o, in modo meno attendibile, cinque minori, sono considerati necessari per la diagnosi definiva. La difficolt di riconoscimento della malattia, favorita dalla dimenticanza del postulato di Osler qualsiasi processo febbrile che dura pi di 5 giorni in un cardiopatico pu essere endocardite infettiva rende spesso tardivo il riconoscimento, per cui la diagnosi viene raggiunta dopo oltre due mesi, anche per la difficolt di distinguere la malattia da altre patologie

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infettive e no, tra cui il lupus eritematoso, la brucellosi, la tubercolosi polmonare, le glomerulonefriti, le vasculiti, i tumori. Decorso, prognosi. La malattia stata radicalmente modificata nel suo andamento e nella prognosi dallavvento della terapia antibiotica e, in casi particolari, dalla chirurgia cardiaca. In assenza di trattamento, lendocardite infettiva porta alla morte in circa il 90% dei casi; oggi oltre l80% dei malati pu guarire se la terapia, medica o chirurgica, ben condotta. Chiaro che una terapia iniziata tardivamente pu portare alla compromissione della situazione cardiaca, soprattutto a un aggravamento di lesioni valvolari preesistenti. CENNI DI TERAPIA La terapia antibiotica basata sulla identificazione del microrganismo responsabile e sulla dimostrazione della sensibilit del germe allantibiotico. Il trattamento iniziale dovrebbe essere condotto con i dosaggi massimi del farmaco e per via endovenosa, in modo da assicurare una concentrazione costante per tutte le 24 ore. In caso di risposta positiva, la terapia va condotta per 4 settimane, e a partire dalla seconda possibile il trattamento orale. In caso di endocardite ad emocultura negativa, si pu iniziare una terapia empirica a largo spettro, che comprenda un macrolide ed un antibiotico attivo sui gram negativi a dosi elevate e, possibilmente, sostituito dalla terapia pi adatta quando lemocultura ha chiarito il microrganismo responsabile. La terapia chirurgica ha ben precise indicazioni, e pu essere impiegata nelle seguenti condizioni:

infezioni incontrollate dai farmaci, dopo due settimane, in presenza di germi particolari, quali stafilococco aureo nei tossicodipendenti con grave endocardite o lo pseudomonas o talune infezioni fungine; mancata risposta alla terapia antibiotica per presenza di grave insufficienza cardiaca; lesione valvolare mitralica aortica o di entrambe le valvole con decorso tempestoso; ascessi anulari, batteriemia persistente nonostante una terapia medica massimale, embolie ricorrenti; vegetazioni molto grandi in sede valvolare. Profilassi: poich la malattia compare spesso dopo manovre mediche comportanti batteriemia (vedi sopra), queste dovrebbero essere precedute e seguite immediatamente da profilassi con antibiotici attivi sui gram positivi o negativi secondo le sede della manovra. La profilassi non risolve definitivamente il problema del rischio, ma ne riduce le probabilit: pertanto essa dovrebbe essere eseguita in tutti i casi in cui la possibilit di una batteriemia consistente. Per le manovre sullapparato respiratorio o dentario, lamoxacillina abitualmente adeguata, ma pu essere sostituita con la vancomicina o la clindamicina in caso di intolleranza: per le manovre comportanti il rischio di germi gran negativi, la gentamicina il farmaco pi largamente impiegato.

Sezione IX. Aritmie Capitolo 35 I TUMORI DEL CUORE Gaetano Thiene, Cristina Basso, Marialuisa Valente
Anche il cuore, seppur raramente, pu essere colpito da tumori, ma la loro malignit legata pi a fattori emodinamici che biologici. Va detto innanzitutto che le neoplasie secondarie (metastasi al cuore) sono molto pi frequenti che le neoplasie primitive, con un rapporto di circa 10:1. I tumori maligni che pi frequentemente metastatizzano al cuore sono il cancro del polmone, seguito da quello renale, del laringe, della mammella, del fegato e dai linfomi-leucemie. Linteressamento del cuore nel carcinoma polmonare avviene per lo pi sotto forma di diffusione pericardica (carcinosi pericardica) e la diagnosi pu essere fatta con un esame citologico del liquido pericardico. Per quanto concerne i tumori primitivi del cuore, le forme benigne sono di gran lunga pi frequenti (90%) rispetto a quelle maligne (10%). Fra i tumori benigni, primeggia il mixoma: tre su quattro neoplasie benigne del cuore e del pericardio sono costituite da mixomi. Il mixoma una neoformazione endocardica a crescita endocavitaria, di origine da una cellula indifferenziata che tende a produrre una matrice mixoide e strutture vascolari (endotelioma mixomatoso). Sede prediletta latrio sinistro (75%), seguito dallatrio destro (20%), dal ventricolo destro (3%) ed eccezionalmente dal ventricolo sinistro (1%). per questa ragione che conosciuto anche con il nome di mixoma atriale.Colpisce le donne nei due terzi dei casi, per lo pi in una fascia det fra i 40 e i 70 anni. Rari sono i mixomi in et pediatrica. La presentazione clinica varia. Prevalgono i sintomi di ostruzione al transito ematico, con dispnea e sincope nei mixomi atriali sinistri (Figura 1) e perfino morte improvvisa in quelle masse che si impegnano e si intrappolano nellorifizio mitralico. La superficie friabile, specie nelle forme villose, pu dar luogo ad embolie, che possono essere il sintomo di esordio (Figura 2) anche in neoplasie di piccole dimensioni. Il peso pu variare da una decina a oltre 100 grammi, e le dimensioni essere tali da occupare quasi tutta la cavit atriale.

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La produzione da parte del tumore di interleuchina rende ragione dei cosidetti sintomi costituzionali: febbricola, astenia, dolori osteo-articolari, malessere. Infine, esistono i mixomi cosiddetti silenziosi che non danno segni di s e rappresentano un reperto occasionale autoptico o, oggi molto pi frequentemente, ecocardiografico incidentale. Levoluzione naturale di questi mixomi silenziosi pu essere con gli anni la trasformazione calcifica (litomixoma). La diagnosi di mixoma facilmente e rapidamente eseguibile con lecocardiografia transtoracica. Possono simulare un mixoma atriale sinistro i trombi complicanti le valvulopatie reumatiche della mitrale (compreso il cosiddetto trombo a palla) e neoplasie maligne, primitive o secondarie, a prevalente crescita endocavitaria. La terapia costituita dalla resezione chirurgica in circolazione extracorporea. Lasportazione della base di impianto del setto interatriale previene la possibilit di recidive. Il papilloma endocardico, detto anche fibroelastoma papillare, rappresenta la seconda pi frequente neoplasia cardiaca benigna (Figura 3). Tumore prevalentemente di piccole dimensioni (1-2 cm), costituito da papille con asse fibroelastico, per cui a differenza del mixoma non friabile. Cresce pi spesso dallendocardio delle valvole cardiache, ma anche da quello murale, ed ha una crescita endocavitaria. La sintomatologia dovuta alla potenzialit emboligena, soprattutto per le stratificazioni trombotiche che si sovrappongono. Se localizzato nelle cuspidi sigmoidi aortiche, pu incunearsi negli osti coronarici e dare morte improvvisa. La diagnosi ecocardiografica, ma pu non essere visibile se di piccole dimensioni. Se situato nel settore sinistro del cuore, lasportazione chirurgica dobbligo per la potenzialit emboligena. Un tumore cardiaco benigno tipico dellinfanzia il rabdomioma. Presenta una crescita pi frequentemente intramurale ma anche endocavitaria con sintomatologia ostruttiva neonatale ed da considerarsi un amartoma, in quanto costituito da cardiomiociti carichi di glicogeno. Diagnostica la cosiddetta spider cell, ovvero laspetto a ragno del cardiomiocita con accumulo di glicogeno e dispersione a ragnatela dei miofilamenti. Frequente lassociazione del rabdomioma con la sclerosi tuberosa. Il fibroma unaltra tipica forma di tumore cardiaco benigno. classicamente a crescita intramurale e pu assumere anche dimensioni gigantesche, che possono impedire la sua enucleazione chirurgica e imporre un trapianto (Figura 4). Trattasi di una fibromatosi del cuore in quanto la proliferazione connettivale ingloba i miociti residui. Caratteristiche allistologia sono le calcificazioni. La sintomatologia pu anche essere ostruttiva quando le grosse dimensioni obliterano la cavit. Frequenti le aritmie da circuito di rientro, con rischio di morte improvvisa elettrica. Da segnalare, fra gli altri tumori benigni del cuore, il lipoma del setto interatriale e il tawarioma, ovvero il tumore cistico del nodo atrioventricolare (nodo di Tawara), di derivazione celomatica pericardica, che si pu manifestare con blocco atrioventricolare. Le neoplasie maligne primitive del cuore (sarcomi) sono rare e si originano sia dalla componente parenchimale che mesenchimale. Sono per lo pi a crescita intramurale infiltrante (angiosarcoma, rabdomiosarcoma), ma possono anche avere una prevalente crescita endocavitaria e simulare un mixoma (leiomiosarcoma, fibroistiocitoma). Si impone in questi casi lesame istologico di tutte le masse resecate chirurgicamente, anche quelle che mimano un mixoma, perch possono riservare sorprese con aspetti di malignit ed avere pertanto una prognosi infausta. Nelle neoplasie a crescita endocavitaria, la diagnosi pu essere conseguita senza toracotomia chirurgica, attraverso la biopsia endomiocardica. Il controllo istologico delle masse resecate chirurgicamente o prelevate con la biopsia pu rivelare una natura diversa da quella neoplastica: trombi (compresa la endocardite fibroplastica parietale di Loeffler della sindrome eosinofila) o infezioni (batteriche, fungine, protozoarie quali le cisti da echinococco).

Sezione X. Aritmie Capitolo 36 DEFINIZIONE E MECCANISMI DELLE ARITMIE Giuseppe Oreto, Marco Cerrito
DEFINIZIONE Le Aritmie sono state classicamente definite come alterazioni della formazione e/o della conduzione dellimpulso. Secondo una definizione pi recente Aritmia ogni situazione non classificabile come ritmo cardiaco normale, inteso come ritmo ad origine dal nodo del seno, regolare e con normale frequenza e conduzione. CLASSIFICAZIONE Una task force Italiana, incaricata nel 1999 di rivedere la classificazione delle Aritmie, ha affermato lopportunit di abbandonare definitivamente la vecchia nomenclatura, che divideva la aritmie in ipercinetiche e ipocinetiche. Questi termini non andrebbero pi impiegati per due ordini di motivi: da un lato essi utilizzano la parola cinetica, che di solito esprime il movimento delle pareti del cuore pi che il ritmo stesso, per cui possono essere fonte di confusione, e dallaltro divergono nettamente da quelli utilizzati oltre i confini dItalia, rendendo meno semplice la comunicazione fra gli Italiani ed il resto del mondo.

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La classificazione attuale delle Aritmie prevede 3 categorie: Tachicardie, Bradicardie, Battiti ectopici. Le tachicardie vengono suddivise in sopraventricolari e ventricolari, e ciascuna di queste classi ha diverse forme (Tabella I). Le bradicardie comprendono la bradicardia sinusale, il blocco seno-atriale e il blocco atrioventricolare. I battiti ectopici possono essere sopraventricolari (atriali e giunzionali) o ventricolari. MECCANISMI ELETTROGENETICI Vi sono meccanismi differenti per le tachicardie e i battiti ectopici da un lato, e le bradicardie dallaltro. Nelle tachicardie e anche nei battiti ectopici prematuri (extrasistoli) gli impulsi nascono quasi sempre al di fuori dal nodo del seno e sono anticipati rispetto al normale ritmo sinusale, per cui il problema fondamentale lalterata formazione dellimpulso. Nelle bradicardie, invece, il disordine principale riguarda (tranne che nella bradicardia sinusale) la conduzione pi che la formazione dellimpulso. Le tachicardie e le extrasistoli condividono i tre seguenti meccanismi aritmogeni: 1) Laumentato automatismo, 2) Il rientro, 3) I postpotenziali. LAUTOMATISMO Esistono nel cuore due popolazioni fondamentali di cellule: quelle segnapassi e quelle di lavoro. Soltanto le prime possiedono la capacit dellautomatismo, cio sono in grado di iniziare il processo di depolarizzazione, che poi si trasmette alle altre cellule. In altri termini, durante la fase 4 il potenziale di riposo di queste cellule non costante, a circa -90 mV, ma diviene gradualmente meno negativo fino a raggiungere il potenziale soglia, in corrispondenza del quale scatta la depolarizzazione rapida (fase 0 del potenziale dazione). In altri termini, mentre le cellule di lavoro si attivano solo quando vengono raggiunte da un impulso esterno, quelle segnapassi (denominate anche cellule pacemaker) vanno incontro a depolarizzazione diastolica spontanea durante la fase 4. La frequenza con cui le cellule segnapassi generano gli impulsi dipende dalla pendenza della fase 4 di depolarizzazione diastolica spontanea. Un segnapassi pu incrementare la propria frequenza di scarica con tre diversi meccanismi: laumentata pendenza della fase 4, lo spostamento del livello massimo di polarizzazione diastolica verso valori meno negativi, lo spostamento del potenziale soglia verso valori pi negativi (Figura 1). In alto (pannello 1) rappresentata laumentata pendenza della fase 4: il potenziale b (tratteggiato) ha una maggiore pendenza rispetto ad a, e di conseguenza la frequenza di formazione degli impulsi aumenta. Nel pannello di mezzo (2) viene presentata la differenza fra una cellula polarizzata a -90 mV (potenziale a, linea continua) e una in cui la polarizzazione minore, per esempio, -75 mV (potenziale b, linea tratteggiata). La seconda raggiunger il potenziale soglia pi in fretta, poich minore il percorso che separa il potenziale iniziale dalla soglia, e avr una frequenza di scarica maggiore rispetto a quella dellaltra. In basso (3) si pu osservare leffetto dello spostamento della soglia verso valori meno negativi. Se la soglia si sposta da -60 mV (a) a circa -70 mV (b, linea tratteggiata) la cellula raggiunger pi in fretta il potenziale soglia e la sua frequenza di scarica aumenter. Nel cuore vi sono numerosi pacemaker, ciascuno con il proprio automatismo, espresso dalla frequenza di scarica potenziale; i segnapassi sono soprattutto contenuti nel sistema di conduzione, particolarmente in alcune zone degli atri, nel fascio di His, nelle branche e nelle loro diramazioni, nelle cellule di Purkinje; il nodo del seno normalmente il segnapassi dominante perch il pi rapido, e il suo impulso, diffondendosi per tutto il cuore, scarica tutte le altre cellule pacemaker prima che il loro impulso maturi, cio raggiunga la soglia. Il ritmo fisiologico , perci, sinusale. In condizioni patologiche, altri pacemaker possono prendere il comando perch il loro automatismo, per uno dei meccanismi sopra descritti, diventa maggiore di quello del nodo del seno: ecco generarsi un battito ectopico, se il segnapassi diverso dal nodo del seno riesce a guadagnare il comando del cuore una sola volta, o un ritmo ectopico, nel caso in cui tale segnapassi riesca a depolarizzare il cuore per diversi battiti consecutivi. Vi sono molte condizioni patologiche in cui lautomatismo di un segnapassi ectopico pu essere esaltato; fra queste la stimolazione simpatica, lischemia, lacidosi, gli squilibri elettrolitici. Inoltre, anche una cellula che normalmente non ha attivit pacemaker, pu assumerla in determinate circostanze, per esempio in corso dinfarto miocardico. IL RIENTRO Inteso in senso classico, il rientro il fenomeno in cui un impulso generatosi in una camera torna indietro a riattivare la camera da cui proveniva. In realt lo stesso termine si applica quando un impulso torna a riattivare il tessuto da cui proveniva, indipendentemente dal concetto di camera. Perch il rientro abbia luogo, necessario che siano contemporaneamente presenti 3 elementi fondamentali: il circuito, il blocco unidirezionale, la conduzione rallentata. Il circuito rappresentato nella Figura 2 corrisponde approssimativamente a quello che si realizza nel nodo A-V. Nello schema vi una zona ineccitabile al centro (il disco) e due vie (a e ) che si riuniscono in alto in una via superiore comune (x) e in basso in una via inferiore comune (y). Un impulso proveniente dalla via superiore comune penetra in entrambe le vie; poich la via ha una elevata velocit di conduzione, limpulso lattraversa in un tempo breve e raggiunge la via inferiore comune quando ancora la via a, che ha una bassa velocit di conduzione, stata percorsa solo in parte. Limpulso che proviene dalla via pu, quindi, invadere la via a in

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senso retrogrado e collidere con il fronte d'onda anterogrado che sta percorrendo questa via. In questo caso vi il circuito, ma il rientro non si realizza per la mancanza degli altri due elementi. Il blocco unidirezionale viene schematizzato nella Figura 3. Esso si pu realizzare perch le due vie (a e ), oltre a possedere una diversa velocit di conduzione, hanno anche un differente periodo refrattario, che pi lungo per la via rapida . Pu sembrare strano che in un tessuto lelevata velocit di conduzione si associ con un lungo periodo refrattario, mentre un altro tessuto possiede bassa velocit conduttiva e breve periodo refrattario. In realt la velocit di conduzione dipende dalla pendenza (Vmax) della fase 0 del potenziale dazione, mentre la refrattariet dipende dalla durata del potenziale dazione, soprattutto dalle fasi 2 e 3. E quindi comprensibile che una via abbia lungo periodo refrattario ed elevata velocit di conduzione, mentre laltra ha periodo refrattario breve e bassa velocit di conduzione. Nella Figura 3, un impulso prematuro (fulmine) raggiunge simultaneamente le due vie: la via ancora refrattaria, per cui limpulso vi si blocca, mentre la via a gi uscita dalla refrattariet, e riesce a condurre. Limpulso raggiunge attraverso la via a la via inferiore comune (y), e da qui retroinvade la via . Giunto allestremit superiore della via , per, incontra ancora tessuto in periodo refrattario a causa della precedente attivazione anterograda, e si blocca. Il rientro, perci, non avviene, visto che solo due elementi (il circuito e il blocco unidirezionale) sono presenti. La conduzione rallentata, rappresentata nella Figura 4, consente infine il realizzarsi del rientro. Qui, a somiglianza della Figura 3, limpulso prematuro proveniente dalla via superiore comune si blocca nella via e viene condotto dalla via a; raggiunta la via inferiore comune, poi, retroinvade la via . Diversamente da quanto accadeva nella Figura 3, per, qui limpulso viene condotto cos lentamente che, al momento in cui esso giunge alla parte prossimale della via , questa gi uscita dalla refrattariet. Questo impulso, perci, pu rientrare nella via x, cio nel tessuto dal quale proveniva, e contemporaneamente ripercorrere in senso anterogrado la via a. Il rientro pu essere unico, oppure limpulso pu percorrere ininterrottamente il circuito, dando luogo a una tachicardia da rientro (Figura 4). Il rientro si pu verificare in qualsiasi sede del cuore, tanto negli atri che nella giunzione A-V e nei ventricoli. Il nodo A-V la struttura ideale per il realizzarsi del rientro, poich possiede gi in condizioni fisiologiche 2 vie con diversa refrattariet e velocit di conduzione. Altra situazione in cui si verifica il rientro la Sindrome di WolffParkinson-White, nella quale il circuito di rientro comprende una via accessoria di conduzione atrio-ventricolare (vedi Capitolo 38). Anche il flutter atriale unaritmia da rientro, dovuta a un macrocircuito che, nella maggior parte dei casi, contenuto nellatrio destro. Nei ventricoli, il rientro si realizza in presenza di fibrosi miocardica, soprattutto in seguito a un infarto: lesistenza di aree inattivabili (fibrotiche) allinterno di zone miocardiche eccitabili consente il formarsi di un circuito, da cui pu originare una tachicardia ventricolare. I POSTPOTENZIALI (ATTIVIT TRIGGERATA) Una forma particolare di automatismo caratterizza l'attivit triggerata. Diversamente dall'automatismo propriamente detto, nel quale la cellula segnapassi inizia la depolarizzazione autonomamente e senza l'intervento di un evento esterno scatenante, nellattivit triggerata necessario un potenziale estraneo (trigger) che provochi la formazione dell'impulso prematuro. Il battito scatenante viene seguito da post-potenziali che, in determinate circostanze, generano un nuovo potenziale d'azione. I post-potenziali sono oscillazioni del potenziale di membrana che seguono un potenziale d'azione o si sovrappongono ad esso. Sono stati descritti due tipi di post-potenziali: precoci e tardivi (Figura 5). I post-potenziali precoci si manifestano nel corso della ripolarizzazione (fasi 2 e 3 del potenziale d'azione), prima che questa si completi. Essi si osservano solitamente durante bradicardia o ripolarizzazione prolungata, ma possono anche essere indotti dalle catecolamine e da tutta una serie di condizioni quali ipokaliemia, ipocalcemia, acidosi, ipossia, somministrazione di alcuni farmaci. I post-potenziali tardivi, che si osservano quando la ripolarizzazione si completata (fase 4), sono oscillazioni verso la positivit del potenziale di membrana, che fanno seguito ad una temporanea iperpolarizzazione (Figura 5). Quando il post-potenziale tardivo sufficientemente ampio da raggiungere la soglia, si genera un nuovo potenziale d'azione. La durata della ripolarizzazione influenza l'ampiezza dei post-potenziali tardivi: quanto pi prolungata la ripolarizzazione tanto maggiore il voltaggio dei post-potenziali tardivi, e di conseguenza tanto pi probabile che si inneschi l'attivit triggerata. I farmaci che prolungano il potenziale d'azione, come la chinidina, possono aumentare l'ampiezza dei post-potenziali tardivi e rendere pi facile lo sviluppo dell'attivit triggerata. Fra le aritmie da post-potenziali vi sono la Torsione di punte, una tachicardia ventricolare che si associa in genere a QT lungo, le aritmie da digitale, quelle da disionia e quelle indotte da catecolamine. ELETTROGENESI DELLE BRADICARDIE Le bradicardie possono conseguire a due meccanismi (vedi Capitolo 41): ridotta frequenza di formazione degli impulsi o alterata conduzione di impulsi che si formano con frequenza normale. Lavviatore primario del cuore il nodo del seno (il segnapassi dotato di maggiore automatismo), e il sistema di conduzione trasmette il suo impulso a tutte le cellule miocardiche secondo una sequenza prestabilita e costante. Diffondendosi per il miocardio,

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limpulso sinusale scarica tutti gli altri potenziali segnapassi pi lenti, posti un p dovunque, prima che essi riescano ad emettere il loro impulso. Se, tuttavia, il nodo del seno diviene deficitario, tanto da emettere impulsi a frequenza troppo bassa, i segnapassi secondari possono intervenire, dando inizio alla depolarizzazione del cuore. Questo meccanismo prende il nome di scappamento, e i complessi atriali e ventricolari cos generati vengono detti appunto battiti di scappamento (vedi Capitolo 37). Altro possibile meccanismo delle bradicardie la mancata conduzione degli impulsi sinusali. Il problema pu riguardare la conduzione fra il nodo del seno e latrio circostante (blocco seno-atriale) o la trasmissione dellimpulso dagli atri ai ventricoli (blocco atrio-ventricolare). Anche in queste circostanze possono intervenire, a depolarizzare il miocardio che limpulso sinusale non riesce a raggiungere, i segnapassi di scappamento.

Capitolo 37 BATTITI ECTOPICI Francesco Luzza, Scipione Carerj, Sebastiano Coglitore


DEFINIZIONE In condizioni normali, il ritmo cardiaco governato dal nodo senoatriale, che rappresenta il naturale pacemaker del cuore e, a intervalli regolari, emette impulsi elettrici che depolarizzano tutto il miocardio (Figura 1). In particolari condizioni lattivazione del cuore, o anche di parte di esso, pu dipendere da un impulso che origina in una sede diversa dal nodo senoatriale; in tali casi limpulso definito ectopico e il battito che ne deriva un battito ectopico. Lemissione di un impulso ectopico pu essere anticipata rispetto al momento in cui atteso il complesso del ritmo di base; in tali casi si generano dei battiti prematuri detti anche extrasistoli. A seconda della sede di origine, le extrasistoli possono essere distinte in atriali, giunzionali e ventricolari.

Un battito ectopico pu anche manifestarsi in ritardo rispetto al momento in cui era atteso un complesso del ritmo di base; il fenomeno si pu verificare quando viene meno il battito normale, per cui un pacemaker secondario, solitamente silente perch depolarizzato dalla scarica del segnapassi primario, d origine a un impulso che attiva il miocardio. Questi complessi ectopici si manifestano dopo un ciclo pi lungo di quello di base e sono definiti battiti di scappamento. Come le extrasistoli, anche i battiti di scappamento possono essere atriali, giunzionali o ventricolari. CRITERI GENERALI Le extrasistoli sono un fenomeno molto frequente nella popolazione generale, e possono manifestarsi sia in pazienti cardiopatici sia in soggetti clinicamente sani. Spesso non provocano sintomatologia alcuna e il loro riscontro assolutamente casuale; a volte, tuttavia, sono avvertite dal paziente e rappresentano la pi frequente causa di cardiopalmo. Nella maggior parte dei casi, il paziente percepisce non il battito anticipato bens il lungo intervallo che di solito segue il complesso prematuro (pausa postextrasistolica) e lo descrive come una sensazione di vuoto, di battito mancante o di cuore che si ferma. In altre occasioni, invece, il battito del ritmo di base successivo allextrasistole ad essere avvertito: la pausa postextrasistolica, infatti, determina un prolungamento della diastole, cio del tempo di riempimento ventricolare, che provoca un incremento della gittata sistolica, per cui il battito cardiaco viene sentito dal paziente come un colpo, un tonfo o un senso di calore al volto. Alla palpazione del polso, lextrasistole viene avvertita come un battito anticipato seguito da una pausa o, non di rado, come un battito mancante; infatti, se lextrasistole molto precoce e la diastole breve, il ventricolo sinistro si contrae mentre contiene pochissimo sangue e la gittata sistolica cos ridotta da non generare unonda sfigmica apprezzabile al polso. In presenza di battiti prematuri necessario analizzare allECG alcuni elementi necessari per una diagnosi corretta e una completa valutazione del fenomeno. Morfologia del complesso prematuro Le extrasistoli presentano generalmente una morfologia differente da quella dei battiti del ritmo di base. Lattivazione della camera cardiaca in cui ha origine lextrasistole, infatti, inizia in un punto diverso e procede con una sequenza differente rispetto a quanto si verifica in condizioni normali; ci determina nei complessi prematuri un aspetto dellonda P e/o del QRS differente rispetto a quello dei battiti sinusali. In molti casi, specie in soggetti esenti da cardiopatia, i complessi prematuri sono uguali tra loro (extrasistoli monomorfe); non di rado, per, la loro morfologia variabile (extrasistoli polimorfe). Intervallo di accoppiamento tra lextrasistole e il precedente battito del ritmo di base Questo intervallo, detto copula, generalmente costante o presenta minime oscillazioni per battiti prematuri che hanno la stessa origine; ci suggerisce che lemissione dellimpulso prematuro sia in qualche modo legata alla precedente depolarizzazione dovuta al ritmo di base. Quando la copula molto breve lextrasistole detta precoce, in caso contrario detta tardiva; se la durata della copula solo di poco inferiore a quella del ciclo di

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base, cosicch il complesso prematuro si manifesta appena prima del battito del ritmo di base, lextrasistole si definisce telediastolica. A volte, battiti prematuri con identica morfologia mostrano una copula notevolmente variabile; in questi casi molto probabile che limpulso ectopico origini da un focus la cui attivit sia indipendente da quella del ritmo di base e proceda secondo un ritmo proprio. Il fenomeno definito parasistolia. Intervallo tra lextrasistole e il battito seguente del ritmo di base Il ciclo cardiaco successivo a un complesso prematuro generalmente pi lungo di quello del ritmo di base ed definito pausa postextrasistolica. A seconda della durata, questa pu essere compensatoria o non compensatoria. Nel primo caso, frequente soprattutto nelle extrasistoli ventricolari, la somma tra la durata della copula e quella della pausa equivale al doppio del ciclo di base, cosicch laccorciamento del ciclo cardiaco provocato dallextrasistole perfettamente compensato dalla pausa successiva. Quando la pausa non compensatoria la somma della sua durata con quella della copula inferiore al doppio di un ciclo di base. Il fenomeno frequente nelle extrasistoli sopraventricolari, ma a volte si pu osservare anche dopo un battito prematuro ventricolare. Modalit di comparsa dei complessi prematuri I battiti ectopici possono manifestarsi sporadicamente o, al contrario, essere relativamente frequenti. Spesso possono presentare un ritmo circadiano (ad esempio, incidenza elevata durante le ore diurne e scomparsa pressoch totale durante il riposo notturno) o comparire in occasione di eventi specifici. A volte, inoltre, possono manifestarsi con una cadenza regolare e dar luogo a sequenze pi o meno prolungate di bigeminismo (alternanza regolare di un complesso del ritmo dominante e di unextrasistole), trigeminismo (ogni extrasistole si manifesta dopo due complessi del ritmo di base), quadrigeminismo (unextrasistole ogni tre complessi del ritmo di base) e cos via. Nella maggior parte dei casi, le extrasistoli sono isolate (un solo complesso ectopico si manifesta tra due battiti del ritmo dominante) ma, a volte, possono essere ripetitive e presentarsi sotto forma di coppia (due battiti ectopici consecutivi non separati da complessi del ritmo di base) o di tripletta (tre extrasistoli consecutive). La tripletta configura gi una tachicardia non sostenuta (sopraventricolare o ventricolare).

EXTRASISTOLI ATRIALI (Figura 2, Figura 3, Figura 4, Figura 5) Sono riconoscibili per la presenza di:

onda P prematura di morfologia differente da quella delle onde P sinusali; pausa postextrasistolica generalmente non compensatoria; QRS solitamente identico a quelli sinusali. Gli impulsi atriali prematuri sono generalmente condotti ai ventricoli in modo analogo a quanto avviene nei complessi di origine sinusale; tuttavia possibile che, a causa della loro prematurit, trovino parte del sistema di conduzione ancora in stato di refrattariet e vadano incontro a un rallentamento o blocco della conduzione. Il pi delle volte il nodo A-V a non avere ancora totalmente recuperato la propria eccitabilit e gli impulsi prematuri atriali possono essere condotti ai ventricoli con un intervallo PR prolungato rispetto a quello dei complessi di base o, se molto precoci, possono addirittura bloccarsi nella giunzione atrioventricolare e, in tal caso, la P prematura non seguita da un QRS (extrasistole atriale non condotta). In altre occasioni, invece, il rallentamento o blocco della conduzione interessa il sistema di Purkinje e le extrasistoli atriali sono condotte con un blocco di branca (extrasistoli atriali condotte con aberranza). (Figura 6) I battiti prematuri atriali sono una delle cause pi comuni di irregolarit del ritmo cardiaco, anche se spesso il loro riscontro casuale; in genere, richiedono un trattamento solo nei casi in cui sono scarsamente tollerati dal paziente o quando costituiscono un potenziale meccanismo di innesco di aritmie maggiori, quali il flutter e/o la fibrillazione atriale. EXTRASISTOLI GIUNZIONALI Questi impulsi prematuri hanno origine nel fascio di His, prima della sua suddivisione nelle branche, e sono considerati sopraventricolari dal momento che la diffusione dellimpulso allinterno dei ventricoli procede in modo analogo a quella degli impulsi sinusali o atriali. (Figura 7) Sono caratterizzate da:

QRS prematuro uguale a quelli del ritmo di base; assenza di rapporti tra il QRS prematuro e la P sinusale. Londa P, infatti, pu precedere il QRS extrasistolico, ma a una distanza pi breve del normale e non compatibile con la conduzione A-V, oppure pu

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coincidere con il complesso ventricolare o anche manifestarsi immediatamente dopo di esso. In altri casi, invece, limpulso prematuro attiva gli atri prima dellimpulso sinusale e si manifesta unonda P dovuta alla retroconduzione dellimpulso giunzionale agli atri; in questo caso la P retrocondotta pu precedere, seguire o anche coincidere con il QRS prematuro. EXTRASISTOLI VENTRICOLARI (Figura 8, Figura 9, Figura 10) La diagnosi si basa sui seguenti elementi:

QRS prematuri, slargati, differenti da quelli del ritmo di base; mancanza di rapporti precisi tra i QRS prematuri e le onde P sinusali o, in alternativa, comparsa di onde P retrocondotte che seguono i QRS extrasistolici; pausa postextrasistolica generalmente di tipo compensatorio. La diagnosi delle extrasistoli ventricolari meno semplice quando il ritmo di base una fibrillazione atriale e le onde P sono assenti. In questo caso, infatti, limprovvisa comparsa di QRS larghi, differenti da quelli di base, potrebbe essere lespressione di una conduzione aberrante degli impulsi sopraventricolari e non di unorigine ventricolare dei QRS. A volte asintomatiche, le extrasistoli ventricolari sono in genere pi facilmente causa di cardiopalmo di quelle sopraventricolari soprattutto per la lunga pausa postextrasistolica che le caratterizza. La loro prognosi dipende dal contesto clinico: generalmente favorevole nei soggetti esenti da cardiopatia, nei quali pu non essere necessario alcun trattamento specifico, viceversa pu essere sfavorevole in presenza di una cardiopatia, in particolar modo nel corso di eventi ischemici acuti. I BATTITI DI SCAPPAMENTO Si manifestano quando un pacemaker secondario, dotato di bassa frequenza di scarica e solitamente depolarizzato dal segnapassi dominante, riesce a emettere il proprio impulso. Il fenomeno si osserva in caso di un improvviso rallentamento del pacemaker dominante (conseguente a patologia intrinseca come nella malattia del nodo del seno, ipertono vagale, effetto di farmaci, etc.) o anche per un disturbo di conduzione dellimpulso del ritmo dominante (blocco senoatriale o A-V, vedi Capitolo 41). In alcuni casi anche una pausa postextrasistolica particolarmente prolungata pu causare linsorgenza di un complesso di scappamento. I battiti di scappamento non necessitano di terapia, ma spesso bisogna trattare la condizione che ne ha determinato la comparsa. Scappamento atriale La diagnosi si basa sulla presenza di unonda P differente da quella sinusale, che si inscrive al termine di un intervallo pi lungo del ciclo di base. Scappamento giunzionale (Figura 11, Figura 12) Pu essere riconosciuto per la presenza di QRS identici a quelli del ritmo di base, che si manifestano al termine di intervalli pi lunghi di quello sinusale e non sono preceduti da unonda P. A volte la P sinusale compare prima dello scappamento giunzionale, ma con un intervallo molto breve, incompatibile con la conduzione A-V. Scappamento ventricolare (Figura 13) E facilmente riconoscibile per la comparsa di un QRS largo, differente da quelli del ritmo di base, al termine di un intervallo relativamente lungo, pi del ciclo sinusale. Analogamente a quanto accade per lo scappamento giunzionale, la P sinusale pu essere riconoscibile ma appare dissociata dal QRS di scappamento, oppure manca, ed sostituita da una P retrocondotta.

Capitolo 38 TACHICARDIE PAROSSISTICHE SOPRAVENTRICOLARI Rossella Troccoli, Matteo Di Biase


DEFINIZIONE Si definisce tachicardia parossistica sopraventricolare (TPS) una sindrome clinica caratterizzata da una tachicardia rapida e regolare, con improvviso inizio ed improvvisa interruzione. La maggior parte delle TPS dovuta ad un meccanismo di rientro (vedi Capitolo 36), che pu realizzarsi nel nodo atrio-ventricolare (tachicardia da rientro nodale) oppure in un circuito che include atri, ventricoli, il normale sistema di conduzione (nodo AV, Fascio di His, Branche ) ed una connessione atrio-ventricolare anomala (tachicardia da rientro atrio-ventricolare). TACHICARDIA DA RIENTRO NODALE La tachicardia da rientro nodale rappresenta i 2/3 circa di tutte le TPS e si riscontra nel 2-3% della popolazione generale. La sua pi comune manifestazione avviene nel quarto decennio di vita. Colpisce prevalentemente il sesso femminile (rapporto 2:1).

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Fisiopatologia Alla base di questa tachicardia vi un rientro intranodale dovuto alla dissociazione longitudinale del nodo in una via rapida e una via lenta (Figura 1). Il rientro si pu realizzare perch le due vie sono caratterizzate da una diversa velocit di conduzione (nella via rapida la conduzione pi veloce) e un differente periodo refrattario, che pi breve nella via lenta. Durante ritmo sinusale, limpulso percorre entrambe le vie (Figura 2A). La via rapida verr attraversata in un tempo pi breve e raggiunger la via inferiore comune quando la via lenta stata attivata solo in parte. Limpulso che proviene dalla via rapida pu, quindi, percorrere la via lenta in senso retrogrado e collidere con il fronte donda anterogrado che sta percorrendo questa via (vedi Capitolo 36). Limpulso sinusale, pertanto attiva i ventricoli soltanto attraverso la via rapida, e lintervallo P-R, espressione del tempo di conduzione atrio-ventricolare, sar breve. Un impulso prematuro (extrasistole) atriale pu incontrare la via rapida nel periodo refrattario e bloccarsi, mentre la via lenta, fuori dal periodo refrattario, percorribile (Figura 2B). Limpulso che percorre la via lenta raggiunge la via inferiore comune e pu invadere in senso retrogrado la via rapida: a causa del lungo tempo che limpulso ha impiegato a percorrere la via lenta, la via rapida sar uscita completamente dalla refrattariet e potr, essere percorribile in senso retrogrado (Figura 2C). Limpulso pu, quindi, raggiungere gli atri e contemporaneamente invadere il fascio di His progredendo verso i ventricoli. Se questo meccanismo si mantiene, si instaura una tachicardia da rientro nodale. Limpulso atriale prematuro che scatena il rientro si associa ad un marcato allungamento dellintervallo PR (salto della conduzione dalla via rapida alla via lenta). La tachicardia da rientro con conduzione anterograda lungo la via lenta e retrograda lungo la rapida viene definita di tipo comune. Caratteristiche cliniche I pazienti con una TPS da rientro nodale possono lamentare cardiopalmo ritmico ad insorgenza improvvisa, non correlata con eventi particolari, ed interruzione altrettanto brusca. Talora presentano lipotimie o, in presenza di elevata risposta ventricolare dispnea, angina, sincope. Un sintomo non infrequente la poliuria pallida, dovuta ad aumentata increzione di peptide natriuretico atriale durante la tachicardia.

Elettrocardiogramma La tachicardia da rientro nodale caratterizzata da QRS stretti con intervalli R-R costanti, a frequenza in genere compresa tra 120 e 200/m. Nella forma tipica londa P nascosta nel QRS, poich atri e ventricoli si attivano simultaneamente, o pu essere inscritta appena prima o appena dopo il complesso QRS simulando unonda r in V1 o una pseudo-s nelle derivazioni II, III e aVF (Figura 3). La stimolazione atriale, eseguita durante studio elettrofisiologico transesofageo o intracavitario, permette di indurre la tachicardia, caratterizzata dalla contemporanea attivazione degli atri e dei ventricoli. Terapia Linterruzione della tachicardia da rientro nodale si ottiene stimolando il vago in modo da indurre il blocco dellimpulso in una parte del circuito. Poich la persistenza della tachicardia dipende dallininterrotto circolare dellimpulso, limpossibilit del fronte donda a proseguire il suo percorso corrisponde al cessare della tachicardia. Le manovre che incrementano il tono vagale come la manovra di Valsalva, il massaggio del seno carotideo, il conato di vomito, limmersione del viso in acqua fredda, sono utili e di solito rappresentano il primo tentativo per linterruzione dellaritmia. Se le manovre vagali sono inefficaci si possono utilizzare farmaci somministrati per via venosa, fra i quali ladenosina, il Verapamil e gli antiaritmici della Classe 1C (vedi Capitolo 58). Nel trattamento a lungo termine della tachicardia da rientro nodale lapproccio di scelta lablazione transcatetere (vedi Capitolo 61), ottenuta erogando energia a radiofrequenza sulla via nodale lenta attraverso un catetere ablatore posto in corrispondenza del triangolo di Koch (area compresa tra seno coronarico, tendine di Todaro e lembo settale della tricuspide). TACHICARDIA DA RIENTRO ATRIO-VENTRICOLARE Le vie anomale di conduzione atrio-ventricolare forniscono il substrato per queste tachicardie reciprocanti, che vengono distinte in ortodromiche e antidromiche. Fisiopatologia Le vie accessorie sono connessioni atrio-ventricolari anomale congenite, derivanti da una incompleta separazione dellatrio dal ventricolo primitivo da parte dellanello fibroso durante lo sviluppo embrionale del cuore. Normalmente la comunicazione elettrica fra atri e ventricoli affidata solo al sistema di conduzione (nodo A-V, fascio di His, branche), mentre in alcuni soggetti esiste unaltra (a volte pi di una) via di conduzione che connette direttamente latrio al ventricolo: il fascio di Kent (Patologia 44). La presenza di due vie crea un circuito che comprende latrio, il nodo A-V, il fascio di His, una branca, un ventricolo e il fascio di Kent (Figura 4): quindi possibile lo scatenarsi di una tachicardia da rientro, definita atrio-ventricolare poich sia latrio che il ventricolo fanno parte del circuito. Il fascio di Kent formato da miocardio comune, cio da fibre rapide Na dipendenti, per cui possiede una velocit di conduzione maggiore rispetto alla via nodo-hissiana, ed in grado di trasmettere limpulso sia in senso

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anterogrado che retrogrado; in diversi casi, tuttavia, la conduzione solo retrograda. Durante ritmo sinusale, la via accessoria riesce a depolarizzare una parte pi o meno grande dei ventricoli prima che questi vengano raggiunti dallimpulso condotto attraverso il normale sistema di conduzione. Si realizza cos il quadro della preeccitazione, caratterizzata da intervallo P-R breve, onda delta e QRS largo (vedi Capitolo 3) (ECG 37). Quando a questi caratteri ECG si associa la tachicardia parossistica sopraventricolare da rientro A-V, si delinea la sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW). Le tachicardie da rientro A-V si distinguono in ortodromiche e antidromiche. Nelle prime la conduzione anterograda avviene lungo il normale sistema di conduzione e quella retrograda lungo la via accessoria, mentre nelle forme antidromiche la conduzione anterograda avviene lungo la via accessoria e quella retrograda attraverso il normale sistema di conduzione. Limpulso proveniente dallatrio si diffonde nei ventricoli mediante il normale sistema di conduzione (branche e rete di Purkinje) nelle tachicardie ortodromiche, mentre nelle antidromiche limpulso raggiunge i ventricoli tramite la via accessoria, e quindi si diffonde attraverso il miocardio comune. In questultimo caso la tachicardia sar a QRS larghi, mentre nelle forme ortodromiche i complessi saranno stretti (tranne che non vi sia un blocco di branca), in accordo con la normale conduzione intraventricolare dellimpulso. Caratteristiche cliniche La maggior parte dei pazienti con tachicardia sopraventricolare da rientro atrio-ventricolare non presenta cardiopatie organiche sottostanti. Tuttavia, in circa il 20% dei bambini con preeccitazione possibile riscontrare una cardiopatia congenita (anomalia di Ebstein, vedi Capitolo 53). I pazienti in genere lamentano cardiopalmo ritmico o aritmico, talora associato a dispnea o sincope. La tachicardia, spesso correlata allo sforzo, insorge e si risolve improvvisamente. Elettrocardiogramma A ritmo sinusale lECG pu presentare i segni della preeccitazione o essere normale. Durante tachicardia ortodromica il QRS generalmente stretto, gli intervalli RR sono regolari, e londa P si localizza nel tratto ST o nellonda T, con intervallo RP > 70 msec. Durante tachicardia antidromica, invece, il QRS largo come nelle tachicardie ventricolari, e la morfologia del QRS simile a quella che si ha durante preeccitazione massima. In circa il 10% dei pazienti con Sindrome di WPW compare una fibrillazione atriale (Figura 5). In questi possibile che per la rapida conduzione degli impulsi di fibrillazione lungo la via accessoria si raggiunga unalta frequenza ventricolare, che pu degenerare in fibrillazione ventricolare. Terapia Farmaci in grado di bloccare la conduzione atrio-ventricolare, come ladenosina e i calcio-antagonisti, bloccano o rallentano la conduzione nel nodo A-V, parte del circuito, ed interrompono il rientro, arrestando la tachicardia Nel trattamento a lungo termine sono efficaci i farmaci di classe I e III (vedi Capitolo 58). Nei pazienti sintomatici, con TPS mal tollerata, oppure sincope o fibrillazione atriale pre-eccitata lablazione transcatetere (vedi Capitolo 61) rappresenta la terapia di scelta. Questo trattamento viene attualmente indicato anche in tutti i Pazienti paucisintomatici ed in tutti quelli che svolgono particolari attivit lavorative (atleti, piloti, ecc.).

Capitolo 39 FIBRILLAZIONE E FLUTTER ATRIALE Antonio Montefusco, Lucia Garberoglio, Alessandro Blandino, Antonella Corleto, Fiorenzo Gaita Fibrillazione atriale
DEFINIZIONE La fibrillazione atriale (FA) unaritmia nella quale il ritmo cardiaco non governato dal nodo del seno, ma si generano negli atri impulsi a frequenza elevata (fino a 600 al minuto), con cicli irregolari; solo alcuni di essi, per, sono condotti i ventricoli, mentre un numero pi o meno grande di impulsi atriali va incontro a un blocco nel nodo atrio-ventricolare, per cui la frequenza ventricolare molto minore di quella atriale. EZIOLOGIA Le cause della FA possono essere molteplici (Figura 1). In passato la patologia sottostante pi frequente era rappresentata da patologie valvolari (soprattutto a carico della valvola mitrale), mentre nellultimo ventennio le malattie che pi frequentemente determinano un aumento della pressione in atrio sinistro, con conseguente aumento di volume atriale e quindi maggiore predisposizione alla FA, sono lipertensione arteriosa e le cardiomiopatie. In circa il 30% dei casi non identificabile nessuna patologia: in tali casi la FA viene definita come idiopatica o lone fibrillation. ELETTROGENESI E FISIOPATOLOGIA Diversamente da altre aritmie, la FA non ha un meccanismo elettrogenetico unico, ma pi fattori concorrono a determinare la sua genesi e il suo mantenimento. Sono stati identificati, specialmente nelle vene polmonari,

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segnapassi capaci di emettere impulsi a frequenza molto elevata, ed inoltre si realizzano negli atri multipli circuiti di rientro, che operano indipendente gli uni dagli altri. Nella FA non esiste un unico fronte di attivazione che, partendo dal nodo del seno, invada progressivamente in maniera ordinata tutta la massa atriale in un tempo relativamente breve, ma si realizzano multipli fronti donda che, disordinatamente e in maniera continuamente variabile, attivano ciascuno una regione pi o meno limitata dellatrio. Mentre nel ritmo sinusale la depolarizzazione degli atri occupa solo una piccola parte del ciclo cardiaco (circa 70-90 millisecondi, come espresso dalla durata dellonda P normale), nella FA latrio si attiva ininterrottamente: in ogni momento del ciclo cardiaco, infatti, vi sono aree atriali che si depolarizzano mentre altre zone si stanno ripolarizzando. Ci spiega la presenza di onde atriali (onde f, vedi pi avanti) per tutto il ciclo cardiaco. Da un punto di vista meccanico, la FA corrisponde ad una paralisi atriale: le singole fibrocellule si contraggono, ma la loro contrazione non efficace nel favorire la progressione del sangue perch non vi sincronismo nellattivit delle diverse aree atriali, ciascuna delle quali si contrae in un momento diverso. La mancanza della spinta atriale non necessariamente compromette il riempimento diastolico ventricolare, soprattutto se la frequenza ventricolare non elevata e se non vi disfunzione ventricolare: anche quando il ritmo sinusale, infatti, la maggior parte del sangue passa dallatrio al ventricolo durante la proto e mesodiastole, cio passivamente, e la contrazione dellatrio interviene solo in telediastole a completare il riempimento ventricolare. Quando, invece, la funzione diastolica del ventricolo sinistro compromessa (per esempio, per via dellipertrofia ventricolare) il ruolo della contrazione atriale diviene preminente nel favorire il riempimento ventricolare, per cui la FA, con la perdita dellattivit meccanica atriale, pu provocare una importante riduzione della gittata cardiaca, ed essere causa determinante dello scompenso cardiaco. EPIDEMIOLOGIA La fibrillazione atriale molto frequente nella pratica clinica, e la sua incidenza aumenta con let; circa il 5% della popolazione con et maggiore di 65 anni ne affetto. Pur non rappresentando sempre una condizione clinica di emergenza, la FA una importante causa di incremento di mortalit per malattie cardiovascolari ed associata ad un aumento di episodi di stroke ed a peggioramento della qualit di vita. QUADRO CLINICO La sintomatologia della FA legata alla irregolarit del ritmo ed alla frequenza ventricolare media generalmente elevata, ed rappresentata dalle palpitazioni. In corso di FA vi la perdita della contrazione atriale con conseguente possibile riduzione della gittata cardiaca e per tale ragione essa pu anche manifestarsi con dispnea, affaticabilit, dolore toracico (Figura 2). In circa il 20% dei casi la FA completamente asintomatica: e questo avviene frequentemente in soggetti con condizioni fisiologiche (ipertono vagale) che rallentino la conduzione atrioventricolare. Con la palpazione del polso radiale di solito possibile apprezzare la completa irregolarit del ritmo e la variabile ampiezza dellonda sfigmica. Questultimo fenomeno esprime il rapporto tra gittata sistolica e durata della diastole: durante una diastole lunga il ventricolo ha la possibilit di ricevere una elevata quantit di sangue, per cui la gittata sistolica abbondante e il polso ampio; dopo una diastole breve, invece, il ventricolo relativamente vuoto di sangue quando si contrae, e di conseguenza la gittata sistolica modesta e il polso piccolo. Quando la diastole diventa brevissima, come in caso di elevata risposta ventricolare, in alcune (o in molte) delle contrazioni il ventricolo contiene cos poco sangue da non riuscire provocare lapertura delle cuspidi aortiche; in questo caso non si genera unonda sfigmica e al polso il battito del tutto assente. In questa situazione, la frequenza cardiaca valutata al polso minore di quella reale (deficit cuore-polso): in pazienti con FA, perci, la frequenza cardiaca va rilevata non solo al polso ma anche mediante ascoltazione cardiaca sul focolaio della punta. La frequenza ventricolare durante FA influenzata in modo significativo dal tono del sistema nervoso autonomo: pu diventare molto rapida quando aumenta il tono simpatico e diminuisce il tono parasimpatico, come accade durante esercizio fisico. Le complicanze della FA possono essere dovute alla sua irregolarit, alla elevata frequenza cardiaca e alla perdita della contrazione atriale. Lirregolarit e lelevata frequenza cardiaca possono provocare una riduzione della funzione contrattile ventricolare sinistra, che in presenza di altre patologie concomitanti pu esitare in scompenso cardiaco. La perdita della contrazione atriale, inoltre, determina un rallentamento del flusso ematico che facilita la formazione di trombi allinterno degli atri, specialmente nelle auricole. I trombi sono generalmente adesi alla parete atriale, ma possono anche staccarsi, specialmente quando, col ripristino del ritmo sinusale, latrio riprende a contrarsi. Un trombo formatosi nellatrio sinistro pu quindi, attraverso la circolazione sistemica, embolizzare in qualsiasi distretto periferico: non di rado viene colpito lencefalo e si manifesta un ictus. La comparsa di scompenso, ma soprattutto le complicanze tromboemboliche, sono la causa dellaumentata mortalit nei pazienti con FA. ELETTROCARDIOGRAMMA L'ECG mostra lassenza delle onde P (che sono lespressione dellattivit elettrica atriale normale) e la presenza delle caratteristiche onde fibrillatorie rapide (onde f), le quali appaiono come irregolari ondulazioni della linea isoelettrica (Figura 3), e sono continue, durando per tutto il ciclo cardiaco. La loro frequenza varia tra 380 e 600 al minuto; lampiezza e la morfologia mostrano notevole variabilit da momento a momento. Le onde fibrillatorie possono essere di basso voltaggio e quindi scarsamente visibili (FA ad onde fini, Figura 3A), oppure di voltaggio pi elevato (FA ad onde grossolane Figura 3B).

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Gli intervalli fra i complessi ventricolari (intervalli R-R) sono irregolari, essendo molti stimoli bloccati a livello del nodo atrio-ventricolare che funge da filtro nel passaggio degli impulsi elettrici tra atri e ventricoli. CLASSIFICAZIONE Sono stati proposti diversi schemi di classificazione clinica della FA, ma nessuno comprende in modo completo tutti gli aspetti dellaritmia. Dal punto di vista clinico (Figura 4) utile distinguere un primo episodio documentato indipendentemente dai sintomi e dalla durata. Nel caso in cui il paziente presenti 2 o pi episodi, la FA considerata ricorrente. Se laritmia termina spontaneamente, la recidiva di FA viene definita parossistica; mentre se dura pi di 7 giorni, la FA viene detta persistente. Nella FA persistente, il ripristino del ritmo sinusale (cardioversione) si ottiene con farmaci o con mezzi elettrici (vedi pi avanti). La categoria della FA permanente comprende i soggetti nei quali la cardioversione fallita o non stata tentata. TRATTAMENTO Profilassi degli eventi cardioembolici Poich la FA aumenta significativamente il rischio di eventi tromboembolici, esiste unanime consenso sul fatto che tutti i pazienti con patologia cardiaca valvolare e FA richiedano lanticoagulazione con dicumarolici. In pazienti con FA non valvolare lindicazione al trattamento anticoagulante dipende dal rischio tromboembolico (Figura 5) calcolato in base ai fattori di rischio (scompenso cardiaco, ipertensione arteriosa, et > 75 anni, diabete mellito, precedente storia di ictus o TIA). E necessario comunque conoscere che la terapia anticoagulante con dicumarolici comporta un rischio di stroke emorragico pari all1% per anno. Cardioversione Con tale termine si definisce linterruzione della FA, con ripristino del ritmo sinusale. Quando la cardioversione non avviene spontaneamente, un episodio di FA persistente pu essere interrotto eseguendo una cardioversione elettrica o farmacologica. La cardioversione elettrica (CVE) consiste nella somministrazione di una scarica elettrica per mezzo di due piastre applicate al torace del paziente, cui consegue lazzeramento del potenziale di azione di tutte le cellule cardiache e quindi linterruzione dellaritmia. Numerosi farmaci antiaritmici possono essere utilizzati per eseguire una cardioversione farmacologica; tra questi il propafenone, la flecainide e lamiodarone sono quelli maggiormente efficaci. Il successo della CV farmacologica dipende dalla durata della FA, raggiungendo l80% in caso di FA con durata minore di 24 ore, mentre la percentuale di successo inferiore al 35% in caso di FA persistente. Un rischio della cardioversione, indipendente dal fatto che il ripristino del ritmo sinusale sia spontaneo o indotto elettricamente o con farmaci, che si verifichi unembolia arteriosa sistemica. Se, infatti, durante il periodo in cui laritmia stata presente si formato un trombo in atrio sinistro, la ripresa della contrazione atriale favorisce il distacco del trombo, che migra quindi nel circolo sistemico. Per questo motivo si pu cardiovertire elettricamente la FA se questa insorta da meno di 48 ore, mentre se lepisodio di FA ha una durata maggiore, la cardioversione, sia elettrica che farmacologica, deve essere preceduta da un periodo di anticoagulazione efficace di almeno 4 settimane. Controllo del ritmo e controllo della frequenza Nei pazienti con FA, la terapia farmacologica pu avere come scopo il mantenimento del ritmo sinusale (controllo del ritmo) o, nella FA permanente, il mantenimento di una frequenza ventricolare media accettabile (controllo della frequenza). La prima strategia viene scelta solitamente in soggetti giovani o molto sintomatici o con deterioramento emodinamico dovuto alla fibrillazione atriale. La seconda generalmente preferita in pazienti anziani o paucisintomatici. Per il controllo del ritmo i farmaci antiaritmici pi utilizzati (vedi Capitolo 58) sono quelli della classe I (chinidina, flecainide, propafenone) e III (sotalolo, amiodarone, dronedarone, azimilide). Tali farmaci hanno una efficacia nel mantenere il ritmo sinusale ad un anno che va dal 45-50% per quelli della classe I al 70-75 % per i farmaci della classe III. Purtroppo lincidenza di importanti effetti collaterali coinvolge quasi un quarto dei pazienti trattati. In caso di inefficacia e/o di effetti collaterali della terapia farmacologica, la strategia del controllo del ritmo pu essere perseguita utilizzando metodiche di ablazione transcatetere o chirurgiche che consistono nellisolamento elettrico delle vene polmonari e nellesecuzione di lesioni lineari (Figura 6). Per quanto riguarda il controllo della frequenza, evidenze cliniche hanno dimostrato come, soprattutto nei pazienti anziani, tale strategia possa risultare una valida alternativa terapeutica. Essa pu essere raggiunta con limpiego di tre diversi farmaci: la digossina pi utilizzata nei pazienti con scompenso cardiaco, i -bloccanti generalmente pi efficaci per il loro effetto nel controllo della frequenza sotto sforzo e i Calcio-antagonisti.

Flutter atriale
DEFINIZIONE Il flutter atriale unaritmia caratterizzata da unattivazione atriale regolare e rapida con una frequenza generalmente compresa tra i 240 e i 300/m. La risposta ventricolare, cio il numero di impulsi atriali che raggiungono i ventricoli, dipende dal nodo atrio-ventricolare, che funge da filtro, impedendo che la frequenza ventricolare raggiunga livelli troppo elevati. Generalmente la conduzione atrio-ventricolare avviene con un

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rapporto 2:1 (solo un impulso atriale su due condotto ai ventricoli) ma talora pu presentare rapporti di conduzione diversi (3:1, 4:1, 3:2). Lincidenza del flutter atriale nella popolazione generale stimata in 88 su 100000 abitanti. Molto spesso il flutter atriale si associa a fibrillazione atriale; la maggior parte dei casi si verifica in presenza di una condizione predisponente o di una malattia cardiaca strutturale. ELETTROGENESI Il meccanismo elettrogenetico del flutter atriale il rientro (vedi Capitolo 36). Si tratta, nelle forme tipiche, di un circuito posto nellatrio destro, delimitato dallanello tricuspidalico, dalla crista terminalis e dalla valvola di Eustachio. Il fronte donda pu percorrere il circuito in direzione antioraria (flutter comune) o oraria (flutter non comune) dando luogo a due quadri diversi da un punto di vista dellElettrocardiogramma. La zona critica per linnesco ed il mantenimento dellaritmia rappresentata dallistmo cavo-tricuspidale, compreso fra lanulus della tricuspide e lorificio della vena cava inferiore. Sono possibili altri macrocircuiti di rientro sia nellatrio destro che in quello sinistro; quando la sede del circuito diversa da quella classica, il flutter atriale viene definito atipico. QUADRO CLINICO I sintomi del flutter atriale sono simili a quelli della fibrillazione atriale e dipendono in larga misura dalla frequenza ventricolare: il disturbo pi comune la palpitazione, ma possono anche verificarsi vertigini, dispnea, debolezza, e raramente angina o sincope. CLASSIFICAZIONE Il flutter atriale si presenta allECG con una serie di onde atriali (onde F) regolari, a frequenza intorno a 300 al minuto; il numero dei complessi ventricolari quasi sempre minore, dato che solo alcuni impulsi atriali vengono condotti ai ventricoli. In base alla morfologia delle onde F, il flutter si distingue in tipico ed atipico. Nel flutter atriale tipico le onde F hanno un aspetto a dente di sega, e si susseguono senza interruzione, non essendo separate da linea isoelettrica (Figura 7); nel flutter atipico, invece, le onde F non hanno morfologia a denti di sega e sono separate da linea isoelettrica (Figura 8). Nel flutter tipico comune (antiorario) le onde F sono negative nelle derivazioni inferiori (II, III, aVF) e positive in V1, mentre nella forma non comune (oraria) hanno polarit positiva nelle derivazioni inferiori e negativa in V1. TRATTAMENTO Il trattamento del flutter atriale pu avere come scopo il mantenimento di una frequenza ventricolare non troppo elevata oppure linterruzione dellaritmia. I calcioantagonisti e i beta-bloccanti (vedi Capitolo 58) sono farmaci di prima scelta per rallentare la frequenza ventricolare, poich essi aumentano la refrattariet del nodo A-V e quindi diminuiscono il numero degli impulsi atriali che raggiungono i ventricoli. Per far cessare il flutter atriale e ripristinare il ritmo sinusale, viene comunemente impiegata libutilide somministrata per via endovenosa . Un altro metodo efficace per interromper il flutter la cardioversione elettrica (vedi il paragrafo Trattamento della sezione Fibrillazione atriale). Come per la fibrillazione, anche i pazienti con flutter atriale che dura da pi di 48 ore richiedono un opportuno periodo di scoagulazione. Anche la stimolazione elettrica atriale pu efficacemente porre fine al flutter; essa si esegue con un elettrocatetere introdotto nellatrio destro per via venosa oppure con un elettrodo inserito nellesofago e posto a stretto contatto con latrio sinistro, che si trova in immediata continuit con lesofago. Gli stimoli elettrici ad elevata frequenza, erogati da un apposito stimolatore, possono far cessare il flutter perch rendono refrattaria una parte del circuito di rientro, impedendo lulteriore progressione dellimpulso e quindi il perpetuarsi dellaritmia. E possibile curare il flutter atriale radicalmente, rendendo inagibile in modo definitivo il circuito di rientro mediante un intervento di ablazione transcatetere (vedi Capitolo 61). Nel flutter tipico lablazione viene eseguita inserendo un elettrocatetere nel cuore destro ed inducendo, con erogazioni di energia a radiofrequenza, una lesione stabile a livello dellistmo cavo-tricuspidalico. Quando questo tessuto diventa incapace di condurre limpulso, laritmia non pu pi essere scatenata per limpossibilit che limpulso percorra il circuito, una parte del quale divenuta ineccitabile in seguito al trattamento.

Capitolo 40 TACHICARDIE VENTRICOLARI Stefano Favale, Pierangelo Basso, Franceso Capestro, Valentina DAndria, Annalisa Fiorella
DEFINIZIONE Si definisce tachicardia ventricolare (TV) una successione di almeno 3 battiti ectopici di origine ventricolare con frequenza =100 al minuto. La TV viene classificata come sostenuta se ha durata >30 secondi o, pur avendo durata inferiore, richiede un immediato intervento terapeutico per linsorgenza di grave compromissione emodinamica, e non sostenuta se ha durata inferiore a 30 secondi. In base alla morfologia dei complessi ventricolari allelettrocardiogramma, la TV si definisce monomorfa se tutti i QRS sono identici e polimorfa quando sono evidenti variazioni nella configurazione del QRS. Si distinguono, inoltre, le forme seguenti: TV

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Iterativa (episodi di TV non sostenuta a regressione spontanea, generalmente a frequenza <150 b/m), TV Incessante (persistente per oltre l'80% della giornata), TV lenta (a frequenza compresa tra 100 e 150 b/m). ELETTROGENESI La genesi delle TV dovuta alla presenza di un anomalo generatore di impulsi nei ventricoli, da ricondurre a uno dei seguenti meccanismi: rientro, esaltato automatismo, attivit triggerata (vedi Capitolo 36). Un esempio paradigmatico di rientro dato dalla tachicardia ventricolare post-infartuale. Il miocardio ventricolare andato incontro ad infarto costituito da aree cicatriziali frammiste ad aree di miocardio ancora vitale che nellinsieme costituiscono un circuito fibrocellulare chiuso, con disomogeneit dei periodi refrattari in vari punti di esso. Un extrastimolo precoce pu subire un blocco unidirezionale nella zona con periodo refrattario pi lungo (quindi ancora ineccitabile) e percorrere con rallentamento della conduzione la zona con periodo refrattario pi corto, e che quindi gi eccitabile. Una volta percorsa larea di miocardio eccitabile, limpulso pu rientrare in senso opposto nella zona precedentemente ineccitabile (che nel frattempo ha recuperato dalla refrattariet) e percorrere lintero circuito. In questo modo il fronte donda trova sempre davanti a s tessuto eccitabile e ci consente lautomantenimento dellaritmia che si generata. EZIOLOGIA Le TV possono verificarsi in presenza o in assenza di alterazioni anatomiche macroscopicamente evidenti del cuore. In questultimo caso esiste unalterazione anatomica di dimensioni troppo piccole per essere messa in evidenza dai comuni presidi diagnostici (tachicardie cosiddette idiopatiche) o esiste un difetto funzionale dei canali ionici, generalmente su base congenita (per esempio, sindrome del QT lungo congenito, Sindrome di Brugada). Le forme idiopatiche costituiscono circa il 10% di tutte le TV. Le TV che si associano ad una alterazione anatomica del cuore possono complicare, talora con significato di evento terminale, tutte le cardiopatie, alcune in particolare.

TV ASSOCIATA AD ALTERAZIONI ANATOMICHE DEL CUORE La Cardiopatia ischemica rappresenta il principale fattore eziologico della TV: nellinfarto miocardico acuto una TV sostenuta si presenta nel 5-10% dei casi, ed frequente anche in pazienti con pregresso infarto miocardico. In seguito alla necrosi miocardica, infatti, si creano aree adiacenti non omogenee costituite da tessuto fibroso e miocardio vitale, che rappresentano il substrato ideale per il rientro. Nella Cardiomiopatia dilatativa, la TV fa parte della storia naturale (vedi Capitolo 29). La morte improvvisa, in questi pazienti, prevalentemente tachiaritmica (80%) nelle classi NYHA meno avanzate (II-III), mentre nelle fasi pi avanzate incidono anche le bradicardie, la dissociazione elettromeccanica e le tromboembolie. La frazione deiezione ridotta e la comparsa di sincope sono i fattori maggiormente predittivi di morte improvvisa nella cardiomiopatia dilatativa. Nella Cardiomiopatia ipertrofica la presenza, oltre che di ipertrofia ventricolare, di malallineamento dei miociti (disarray) rappresenta il substrato per la genesi di aritmie ventricolari (vedi Capitolo 28). Non raramente questa cardiopatia si manifesta per la prima volta con sincope o con morte improvvisa aritmica in pazienti prevalentemente giovani e peraltro asintomatici. La presenza di una marcata ipertrofia ventricolare sinistra, di una storia familiare di morte improvvisa, di sincope, risultano altamente predittivi del rischio di morte improvvisa in questi pazienti. La Cardiomiopatia/Displasia aritmogena del ventricolo destro si manifesta essenzialmente con aritmie ventricolari maligne e in particolare con TV sostenuta con morfologia tipo blocco di branca sinistra (vedi Capitolo 31). Nella Stenosi aortica circa il 20% dei pazienti muore improvvisamente per aritmie ventricolari maligne (vedi Capitolo 16). Anche il Prolasso valvolare mitralico, quando di entit severa, con rilevante insufficienza valvolare, pu are luogo alla comparsa di aritmie, inclusa la TV (vedi Capitolo 15).

TV IN ASSENZA DI ALTERAZIONI ANATOMICHE DEL CUORE Pu verificarsi per difetto funzionale dei canali ionici (Sindrome del QT lungo, Sindrome di Brugada), per leffetto di farmaci, squilibri elettrolitici o ipossia. La Sindrome del QT lungo (LQTS) una malattia su base genetica, caratterizzata da alterazioni strutturali dei canali ionici, in grado di provocare unanomalia nella ripolarizzazione delle cellule cardiache (vedi Capitolo 43). In questi pazienti, la sincope, che pu esitare in morte improvvisa, causata dallinsorgenza di una torsione di punta, una tachicardia ventricolare polimorfa, caratterizzata da complessi QRS di ampiezza variabile e con progressiva inversione di polarit. La morte improvvisa pu essere determinata dalla degenerazione della torsione di punta in una fibrillazione ventricolare. La Sindrome di Brugada una malattia elettrica primaria su base genetica, in cui allalterazione di un canale ionico consegue laccorciamento del potenziale dazione, soprattutto a livello epicardico, per cui si crea un gradiente elettrico dopo la completa attivazione del miocardio ventricolare. Ci responsabile di alcune alterazioni

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dellECG di base (onda J, sopraslivellamento di ST in V1 e V2) e della possibilit di innesco di tachicardia ventricolare. (vedi Capitolo 43). Alcuni Farmaci, ad esempio digitale, simpaticomimetici, antiaritmici ed alcuni Squilibri idroelettrolitici come Ipokaliemia, iperkaliemia, ipercalcemia, possono provocare una TV. CONSEGUENZE EMODINAMICHE I principali fattori che incidono nel deterioramento emodinamico indotto dalla TV sono: 1) la frequenza, 2) il mancato coordinamento fra gli atri e i ventricoli, 3) lattivazione eccentrica del miocardio. Per frequenze elevate, la fase di riempimento diastolico risulta compromesso e diviene insufficiente per permettere ladeguato riempimento ventricolare, per cui la portata si riduce la pressione arteriosa tende a cadere. Nella TV, inoltre, vi in circa il 50% dei casi la dissociazione fra lattivazione atriale e quella ventricolare, mentre nel restante 50% limpulso ventricolare viene retrocondotto agli atri. In questi casi, la contrazione atriale si verifica sempre (retroconduzione) o spesso (dissociazione) a valvole AV chiuse, con aumento della pressione atriale, inversione del flusso dallatrio alle vene e perdita totale del contributo atriale al riempimento ventricolare. Un altro fenomeno che caratterizza le TV lattivazione eccentrica del miocardio. Lattivazione del miocardio ventricolare secondo le normali vie di conduzione del segnale elettrico necessaria per una contrazione efficace dei ventricoli. Nella TV, invece, lattivazione ventricolare abnorme: dal punto di origine dell aritmia (circuito o focus ) l'impulso segue vie non fisiologiche, con il risultato di una desincronizzazione tra le varie parti dei ventricoli, in grado di compromettere lefficacia della contrazione La funzione ventricolare sinistra e l'eziologia della TV ne influenzano in modo determinante le manifestazioni cliniche. In un cuore sano, con normale frazione di eiezione, il quadro emodinamico compromesso solamente per le caratteristiche intrinseche della TV (frequenza, dissociazione ed eccentricit). Una TV in un paziente con severa disfunzione ventricolare sinistra (bassa frazione di eiezione), invece, pu determinare importanti riduzioni di portata cardiaca anche a frequenze non molto elevate. QUADRO CLINICO La sintomatologia della TV estremamente variabile, e si possono osservare tanto pazienti asintomatici quanto pazienti che arrivano a presentare sincope o arresto cardiocircolatorio. I fattori fondamentali nel determinare la sintomatologia sono la frequenza dellaritmia, la durata della stessa e la cardiopatia di base. La sensazione pi comunemente riportata dai pazienti quella del cardiopalmo, legata allaumento della frequenza delle contrazioni ventricolari. In certi casi il paziente pu riferire angor legato in questo caso alla discrepanza (squilibrio tra richiesta e apporto di O2) soprattutto nei pazienti che presentano di base una cardiopatia ischemica. Altro sintomo pu essere la dispnea, associata alla slatentizzazione di un sottostante scompenso cardiaco. Allesame obiettivo va posta particolare attenzione al polso che si presenter frequente, piccolo e ritmico. Un dato non raro, e generalmente sottovalutato, la variabilit dellampiezza del polso, che si rileva in presenza di dissociazione atrio-ventricolare, cio in circa il 50% dei casi. Quando lattivit ventricolare dissociata da quella atriale, la contrazione degli atri potr avvenire in qualunque momento del ciclo cardiaco; se essa cade a valvole AV chiuse non ci sar alcun contributo dellatrio al riempimento ventricolare, mentre quando gli atri si contraggono poco prima della sistole ventricolare, nella fase in cui le valvole A-V sono aperte, aumenter il riempimento ventricolare, e con esso la gittata sistolica di quel battito. In questa circostanza anche lampiezza del polso sar maggiore rispetto a quando gli atri si contraggono a valvole A-V chiuse, e poich la corretta sincronizzazione A-V (onda P poco prima del QRS) casuale, si avr ogni tanto una pulsazione pi ampia, pur mantenendosi ritmico il polso. Lascoltazione cardiaca evidenzier toni ritmici e tachicardici, con a volte variabile intensit del I tono (la genesi di questo fenomeno identica a quella che governa la variabile ampiezza del polso), mentre quella polmonare potr essere silente o evidenziare rumori umidi (rantoli a piccole o medie bolle) nel caso in cui la tachicardia ventricolare porti ad un quadro di edema polmonare. Infine, a seconda della compromissione emodinamica, subentrano quelli che sono i sintomi legati alla bassa portata quali lipotensione (sudorazione, pallore, etc.), le vertigini o la sincope (per ipoperfusione della sostanza reticolare). ELETTROCARDIOGRAMMA La diagnosi di Tachicardia Ventricolare si avvale fondamentalmente dellelettrocardiogramma, che mette in evidenza: - una sequenza di 3 o pi battiti ventricolari consecutivi; - complessi QRS di durata uguale o superiore a 0.12 sec; - la possibile dissociazione atrio-ventricolare (Figura 1). Il QRS, in corso di TV, ha una durata sempre (0.12 sec, mentre la sua morfologia assumer un aspetto tipo blocco di branca destra o sinistra a seconda del ventricolo in cui insorge laritmia. Nella TV, infatti, il ventricolo da cui nasce laritmia si attiva prima del controlaterale, che viene raggiunto dal processo di depolarizzazione tardivamente; lo stesso sfasamento si realizza nel blocco di branca, dove il ventricolo la cui branca incapace di condurre si attiva in ritardo. Perci quando la TV nasce nel ventricolo destro la morfologia del QRS somiglier a

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quella di un blocco di branca sinistra (prima si attiva il ventricolo destro, poi il sinistro), e una TV originatasi nel ventricolo sinistro avr un aspetto simile a un blocco di branca destra. Bisogna fare attenzione alla non semplice diagnosi differenziale fra le TV e le tachicardie sopraventricolari a QRS largo per conduzione aberrante frequenzadipendente o per blocco di branca preesistente; inoltre anche le tachicardie sopraventricolari condotte ai ventricoli attraverso una via anomala hanno QRS larghi (vedi Capitolo 38). Particolare il quadro elettrocardiografico in caso di Torsione di Punta dove, su un ritmo di base solitamente bradicardico e con QT allungato (soprattutto nei casi di ipokalemia), si osserva una sequenza di ventricologrammi con continua e graduale variazione della polarit, che diviene da positiva a negativa e viceversa. Altri mezzi diagnostici sono una registrazione pi dettagliata dellattivit atriale tramite lECG transesofageo (registrato ponendo un sondino munito di un elettrodo a livello esofageo) che permette di valutare meglio il rapporto atrio-ventricolare, e lECG endocavitario, registrato tramite cateteri in atrio e in ventricolo. CENNI DI TERAPIA Bisogna innanzitutto differenziare la terapia da effettuare in acuto rispetto a quella volta a prevenire le recidive. Nei casi di TV con compromissione emodinamica trovano spazio innanzitutto presidi elettrici quali il DC Shock sincronizzato (scariche di defibrillatore a 200-250 joules) o il pacing ventricolare (stimolazione a frequenze superiori a quelle dellaritmia nel tentativo di interromperla). Per quanto riguarda lapproccio farmacologico, il farmaco pi comunemente usato in acuto la Lidocaina. In alternativa, possibile usare lAmiodarone, la Mexiletina o il Propafenone a seconda delleziologia della TV e dalla cardiopatia di base del paziente. Per la prevenzione delle recidive va innanzitutto chiarita leziologia della TV (strutturale o idiopatica) e va fatta unattenta valutazione del paziente, comprendente un Holter (ECG dinamico delle 24 ore) e, se necessarie, indagini invasive (studio elettrofisiologico, coronarografia). La profilassi delle recidive verr condotta esclusivamente con terapia farmacologia (amiodarone, mexiletina, -bloccanti) nei pazienti a minor rischio, mentre i farmaci verranno affiancati da supporti elettrici (defibrillatore impiantabile) nei pazienti con rischio pi elevato di recidive, soprattutto in quelli con grave disfunzione ventricolare.

Capitolo 41 BRADICARDIE Francesco Arrigo, Giuseppe And


DEFINIZIONE Ogni ritmo cardiaco diverso dalla fisiologica cadenza degli impulsi regolata del NSA, con frequenza e conduzione normali, si definisce aritmia. Secondo la nomenclatura oggi condivisa, le alterazioni del ritmo che si manifestano con riduzione della frequenza cardiaca vengono definite bradicardie. Nel capitolo delle bradicardie sono tuttavia incluse alcune manifestazioni aritmiche che non si accompagnano necessariamente a riduzione della FC, come laritmia sinusale, il segnapassi migrante, il blocco A-V (BAV) di I grado (Tabella I). Le aritmie con riduzione della frequenza cardiaca sono causate da deficit dellautomatismo o da compromissione della conduzione e sono riconducibili a due grandi gruppi, le disfunzioni sinusali e i BAV. Legenda degli acronimi impiegati nel testo AV - atrio-ventricolare BAV - blocco atrio-ventricolare BSA - blocco seno-atriale bpm - battiti per minuto ECG elettrocardiogramma FC - frequenza cardiaca MAS - Sindrome di Morgagni-Adams-Stokes NAV - nodo atrio-ventricolare (nodo di Tawara) NSA - nodo seno-atriale (nodo di Keith e Flack). SSS - sick sinus syndrome, sindrome del seno malato. MECCANISMI ELETTROFISIOLOGICI I meccanismi che possono indurre bradicardia sono fondamentalmente la depressione dellautomatismo e le alterazioni della conduzione seno-atriale ed atrio-ventricolare (AV). La stimolazione regolare e continua del cuore assicurata da fibrocellule specializzate, poste principalmente nel NSA, ma anche - in misura sempre minore - nel tessuto di conduzione e nel miocardio di lavoro. Queste cellule sono dotate di automatismo, cio della propriet di depolarizzarsi spontaneamente a riposo (depolarizzazione in fase 4): il potenziale di riposo decresce gradualmente fino a raggiungere il potenziale soglia che innesca il

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potenziale dazione (vedi Capitolo 40). Le fibrocellule specializzate poste nel NSA (cellule P) sono immerse in una matrice fibrosa e circondate da un alone di cellule di transizione (cellule T o tessuto perinodale) nelle quali la trasmissione dellimpulso rallentata. La depolarizzazione cardiaca, iniziata dalle cellule del NSA, si estende poi attraverso vie di conduzione specifiche prima al miocardio atriale e, attraverso il NAV, al sistema di conduzione intraventricolare (fascio di His e branche) ed al miocardio di lavoro (Figura 1). La frequenza di depolarizzazione del NSA posta sotto il controllo dellequilibrio autonomico tra il sistema nervoso simpatico ed il parasimpatico e presenta nelle diverse specie animali una grossolana correlazione inversa con le dimensioni corporee. Nelluomo adulto, la FC viene convenzionalmente definita normale quando compresa tra 60 e 100 bpm; pertanto una FC inferiore a 60 bpm definita bradicardia, una FC superiore a 100 bpm definita tachicardia. Una FC inferiore a 60 bpm un reperto comune nella pratica clinica e, pur essendo spesso un riscontro occasionale e del tutto benigno, pu talora determinare una sensibile riduzione della portata cardiaca con conseguenze cliniche di rilievo. Occorre tenere ben presente che la FC varia fisiologicamente da individuo a individuo in base allet, al grado di allenamento fisico ed al momento dellosservazione. Ad esempio, negli atleti allenati facile osservare una FC a riposo inferiore a 40 bpm, senza che ci abbia un significato patologico. Anche durante il sonno, specie durante la fase REM, una FC inferiore a 40 bpm del tutto normale. Un importante aspetto per la valutazione di una FC bassa la risposta cronotropa allo sforzo fisico, ovvero la capacit del cuore di aumentare la frequenza in base al grado di esercizio. Una risposta cronotropa inadeguata (incompetenza cronotropa), insieme allincapacit di raggiungere la FC massima teorica prevista per let del soggetto al picco dello sforzo (definita in bpm dalla formula 220 - et in anni) suggeriscono fortemente lesistenza di unalterata funzione sinusale che richiede attenzione clinica. In conclusione, anche se scolasticamente definita come una FC inferiore a 60 bpm, la bradicardia pu essere meglio caratterizzata come una frequenza inappropriatamente bassa in relazione allet, al livello di attivit fisica ed al grado di allenamento. Pertanto, la bradicardia deve essere oggetto di ulteriori approfondimenti diagnostici o di una terapia specifica solo quando associata a sintomi acuti o cronici di bassa portata cardiaca, a riposo o durante esercizio fisico. Le fasi necessarie per la definizione della natura fisiologica o patologica della bradicardia e per una corretta gestione clinica del paziente bradicardico sono dunque:

la comprensione del meccanismo fisiopatologico (alterazione della formazione e/o della conduzione dello stimolo) responsabile della bassa o inappropriata frequenza cardiaca; lidentificazione delle cause, reversibili o irreversibili, della bradicardia; la valutazione del rischio di potenziali conseguenze infauste come la sincope, linsufficienza cardiaca, le tachicardie , i fenomeni trombo-embolici e la morte improvvisa per asistolia prolungata; la scelta di una terapia individualizzata. ASPETTI CLINICI Le bradicardie possono essere congenite o acquisite. Le disfunzioni sinusali congenite sono estremamente rare, mentre il BAV congenito spesso associato ad altre cardiopatie. Fra le forme acquisite, le pi frequenti sono quelle legate a fenomeni degenerativi senili ed alla cardiopatia ischemica. Altre cause frequenti sono le cardiomiopatie infiltrative, come la sarcoidosi, lamiloidosi e lemocromatosi. Pi rari sono oggi i BAV dovuti a malattia reumatica. Particolare attenzione va posta alle forme iatrogene causate sia da farmaci che deprimono la conduzione, in particolare i glucosidi della digitale, sia dalle procedure interventistiche cardiache che possono provocare lesioni del sistema di conduzione. La presenza di manifestazioni cliniche dipende dal grado e dalla rapidit di riduzione della portata cardiaca. Finch laumento compensatorio della gittata sistolica controbilancia la diminuzione della frequenza, anche i pazienti con bradicardia spiccata possono rimanere asintomatici e la loro bradicardia essere scoperta occasionalmente. Allaltro estremo dello spettro clinico, il paziente pu presentarsi con unampia variet di segni e sintomi. Le bradicardie sono associate a due quadri fisiopatologici principali, la sindrome da ipoperfusione cerebrale e la sindrome da bassa portata. Tra questi la sincope (vedi Capitolo 42), cio la perdita di coscienza che segue un arresto cardiaco prolungato, il pi drammatico. Brevi periodi di arresto della durata di pochi secondi possono, infatti, passare inosservati, ma se l'arresto cardiaco si prolunga, per 5-6 secondi in posizione eretta e per 8-10 secondi in posizione supina, in assenza di un ritmo di scappamento che possa mantenere l'attivit cardiaca, si verifica limprovvisa perdita della coscienza con caduta a terra per mancanza del tono posturale. Fortunatamente, nella maggior parte dei casi, quando si verifica un arresto per disfunzione sinusale o per mancata conduzione dell'impulso dagli atri ai ventricoli, centri automatici inferiori si depolarizzano spontaneamente e danno luogo a ritmi di scappamento che mantengono un'attivit cardiaca emodinamicamente sufficiente anche se a bassa frequenza. Pertanto la condizione essenziale perch si verifichi un arresto cardiaco sintomatico in corso di bradicardia la mancata attivazione di un centro ectopico vicariante. Gli episodi sincopali maggiori dovuti a bradicardie parossistiche sono stati definiti come Sindrome di MorgagniAdams-Stokes (MAS), dal nome degli autori che per primi hanno descritto questo quadro: perdita improvvisa della

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coscienza, con caduta ed eventuali fasi convulsive con scosse tonico-cloniche, non preceduta da alcun sintomo ed indipendente dalla posizione o da altre situazioni note per indurre sincope. Si ha anche la perdita del controllo degli sfinteri e compaiono cianosi, gasping respiratorio e morte, in caso di prolungamento della asistolia. Altre volte, i sintomi della bradicardia possono essere non specifici ed avere un andamento cronico: le vertigini transitorie, lo stato confusionale, la sensazione di testa vuota sono fenomeni che riflettono uno stato di ipoperfusione cerebrale relativa dovuta alla ridotta portata cardiaca; gli episodi di facile stancabilit e la debolezza muscolare con intolleranza allesercizio fisico sono espressione del mancato o insufficiente aumento dellapporto ematico ai muscoli scheletrici. La bradicardia pu inoltre essere percepita soggettivamente sotto forma di palpitazioni, particolarmente se intervengono battiti prematuri, a causa della maggiore gittata sistolica del battito che segue quello prematuro e del pi energico itto della punta. Chiare manifestazioni di insufficienza cardiaca, a riposo o durante sforzo, possono anchesse essere determinate da bradicardia spiccata, specialmente nei pazienti con ridotta funzione ventricolare sinistra. LA DISFUNZIONE SINUSALE Eziologia La degenerazione fibrosa considerata la pi comune se non lunica causa di disfunzione del NSA. Infatti, le modificazioni strutturali si associano alla progressiva riduzione della frequenza intrinseca di scarica del NSA che si verifica con linvecchiamento. La malattia coronarica molto frequente nei pazienti con disfunzione sinusale e lischemia della regione del NSA probabilmente contribuisce alla genesi delle bradiaritmie (ed anche delle tachicardie nella sindrome bradicardia-tachicardia). Aspetti diagnostici bradicardia sinusale. E definita dalla presenza di depolarizzazioni sinusali ad una frequenza inferiore a 60 bpm. La bradicardia sinusale un reperto fisiologico negli atleti allenati, che spesso hanno una frequenza a riposo da svegli tra 40 e 50 bpm e possono avere una frequenza durante il sonno anche di 30 battiti al minuto; lelevato tono vagale di questi soggetti pu determinare anche pause sinusali o fasi di BAV di II grado tipo Wenckebach che producono pause asistoliche finanche di 3 secondi. In altri casi va posta molta cura nellescludere cause farmacologiche attraverso unaccurata anamnesi. aritmia sinusale. In presenza di ritmo sinusale, gli intervalli P-P sono relativamente costanti, con variazioni da un intervallo dell'altro che non eccedono 0,16 secondi . Quando la differenza tra il ciclo pi lungo e quello pi corto superiore a 0,16 secondi si parla di aritmia sinusale. Generalmente le onde P sono normali per asse e morfologia e l'intervallo PR resta costante, nonostante lirregolarit dei cicli. La forma pi frequente di aritmia sinusale correlata all'attivit respiratoria, con un accorciamento dellintervallo P-P durante l'ispirazione per inibizione del tono vagale (aritmia sinusale respiratoria). Si tratta di una variante di normalit tipica dei giovani, senza alcun significato patologico. Laritmia sinusale non respiratoria (Figura 2A) invece caratterizzata da variazioni irregolari dell'intervallo P-P non correlate all'attivit respiratoria e pu essere espressione di una disfunzione sinusale. Arresto sinusale, blocco seno-atriale e sindrome bradicardia-tachicardia. La pausa sinusale (definita come unassenza di attivit elettrica pi lunga del 150% di un ciclo cardiaco sinusale basale) pu essere dovuta alla mancata formazione dellimpulso nel NSA (arresto sinusale) o ad un difetto nella conduzione dellimpulso dal NSA al tessuto atriale circostante (BSA). La manifestazione elettrocardiografica in entrambi i casi lassenza di unonda P sinusale; nel BSA lintervallo P-P durante la pausa generalmente, ma non sempre, un multiplo dellintervallo P-P normale (Figura 2C), mentre nellarresto sinusale (Figura 2B) non possibile dimostrare alcun rapporto numerico tra la durata del ciclo P-P basale e la durata della pausa. Le pause sinusali di durata inferiore a 3 secondi non hanno un significato clinico, ma lemergenza di un ritmo di scappamento da un segnapassi atriale o giunzionale pu favorire linsorgenza di tachiaritmie atriali, come la fibrillazione atriale o il flutter atriale. Pause pi lunghe possono invece causare episodi sincopali. La sindrome bradicardia-tachicardia una manifestazione della disfunzione sinusale che determina sintomi importanti ed caratterizzata dalla coesistenza di fasi di bradicardia o asistolia e di tachiaritmie atriali. La coesistenza dei due tipi di aritmia non casuale, in quanto da un lato la spiccata bradicardia o le pause prolungate dovute ad arresto sinusale o a BSA possono facilitare l'innesco di una tachiaritmia atriale; dallaltro unaritmia rapida atriale deprime l'automatismo del NSA di modo che alla sua cessazione la ripresa dell'attivit spontanea sinusale lenta e possono manifestarsi bradicardia molto spiccata o pause prolungate, dette pause pre-automatiche (Figura 2D). Aspetti fisiopatologici e clinici Le manifestazioni cliniche delle disfunzioni sinusali risultano spesso dalla combinazione di pi tipi di aritmia e sono riportabili a due quadri specifici, la sindrome del seno malato e la sindrome del seno carotideo. La bradicardia sinusale isolata un reperto generalmente benigno, di osservazione clinica frequente, e solo in casi selezionati necessita di trattamento.

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La sindrome del seno malato (sick sinus syndrome, SSS, o malattia aritmica atriale) una delle cause pi frequenti di bradicardia nel soggetto anziano e comprende non solo una depressione dellautomatismo del NSA, ma anche unalterazione della conduzione seno-atriale ed intra-atriale ed aritmie atriali rapide tra cui soprattutto la fibrillazione atriale. La SSS si esprime clinicamente con vari gradi di gravit che vanno dalle forme pi semplici di bradicardia sinusale o di FC inappropriata, generalmente benigna ed asintomatica (1 stadio), alle forme persistenti con bradicardia spiccata, arresto sinusale o BSA e sintomi di bassa portata o di ipoperfusione cerebrale e sincope (2 stadio), alle forme con alternanza di bradicardia e tachicardia (sindrome bradicardia-tachicardia o bradi-tachi) per lo pi fortemente sintomatiche, anche con episodi sincopali maggiori. Per il corretto inquadramento diagnostico e per operare scelte terapeutiche mirate di fondamentale importanza mettere in relazione eventuali sintomi con le suddette aritmie, finalit per la quale spesso lECG convenzionale non sufficiente, poich gli episodi aritmici sono intermittenti: nello stesso paziente ed in diversi momenti di osservazione possono essere presenti manifestazioni aritmiche differenti. In questi casi, la diagnostica strumentale deve essere integrata con lECG dinamico (Holter), i sistemi di registrazione elettrocardiografica impiantabili e lo studio elettrofisiologico. In particolare, per rivelare la presenza di una depressione dell'automatismo sinusale si ricorre alla stimolazione atriale rapida, mediante la quale viene calcolato il cosiddetto tempo di recupero del NSA; con la stessa metodica pu esser misurato il tempo di conduzione seno-atriale. Poich la disfunzione sinusale pu essere espressa da unincompetenza cronotropa, lesercizio fisico o uno stress farmacologico possono rivelare lincapacit del NSA di incrementare la frequenza; un incremento della FC inferiore al 50% in risposta all'esercizio fisico ed inferiore al 30% dopo somministrazione di atropina sono indici di disfunzione sinusale. La sindrome del seno carotideo, nella sua variante cardio-inibitoria, consiste nella comparsa di episodi di asistolia per arresto sinusale o BSA. Meno frequentemente il fenomeno causato da un BAV parossistico. La sindrome viene innescata dalla stimolazione del seno carotideo, anche meccanica, che induce una marcata risposta vagale. Nella variante vaso-depressiva si osserva una diminuzione della pressione sistolica uguale o superiore a 50 mmHg. I pazienti con sindrome del seno carotideo (vedi Capitolo 42) sono sintomatici per sincopi o lipotimia, ma non sempre l'evento clinico riferibile all'aritmia. Occorre anche in questo caso dimostrare la coincidenza tra lalterazione elettrocardiografica ed il fenomeno clinico, dimostrazione che pu essere ottenuta con relativa semplicit mediante lesecuzione di un massaggio del seno carotideo o durante il tilt test che si esegue per lo studio della sincope vaso-vagale. Nella forma puramente cardio-inibitoria la stimolazione cardiaca permanente pu risolvere i sintomi. IL BLOCCO ATRIO-VENTRICOLARE Lo stimolo generato dal NSA si diffonde agli atri, attraversa il nodo AV e viene condotto ai ventricoli per mezzo del fascio di His e del sistema di conduzione intraventricolare. Tutto ci avviene fisiologicamente in un tempo compreso tra 0,12 e 0,20 secondi. Alterazioni organiche o funzionali del sistema di conduzione possono determinare un rallentamento della conduzione dellimpulso atriale, con prolungamento dellintervallo PR oltre 0,20 secondi (BAV di I grado), o un blocco parziale della conduzione, con la conseguenza che alcune onde P non sono seguite da complessi QRS (BAV di II grado), o una completa interruzione della conduzione, per cui nessun impulso sinusale viene condotto ai ventricoli (BAV di III grado o completo). Il rallentamento o il blocco della conduzione possono verificarsi, in maniera transitoria o stabile, a livello di tutte le componenti del sistema di conduzione, ovvero a livello del NAV (blocco intra-nodale o sopra-hisiano), a livello del fascio di His (blocco intra-hisiano), o nelle branche (blocco sotto-hisiano). Di norma, i blocchi sotto-hisiani si associano a complessi QRS larghi (superiori a 0,12 secondi), particolarmente se il ritmo di scappamento ventricolare. La distorsione della depolarizzazione ventricolare, espressa allECG dal QRS largo, determina unalterazione del sincronismo di contrazione ventricolare la quale produce effetti emodinamici negativi indipendenti da quelli dovuti alla bradicardia ed alla dissociazione AV ed additivi rispetto ad essi; pertanto, i blocchi sotto-Hisiani sono emodinamicamente tollerati peggio dei blocchi pi prossimali. Aspetti diagnostici BAV di I grado. riconoscibile all'elettrocardiogramma per il prolungamento dellintervallo PR al di sopra di 0,20 secondi, con onde P sempre seguite da un complesso ventricolare. Dal punto di vista elettrofisiologico la sede del ritardo pu essere a tutti i livelli del sistema di conduzione (NAV, fascio di His o branche). BAV di II grado. Del BAV di II grado si distinguono 4 diversi tipi. 1) BAV di II grado tipo 1 (o tipo Wenckebach). Questa forma caratterizzata dal progressivo allungamento dellintervallo PR, fin quando un impulso si blocca e non viene condotto ai ventricoli, cio unonda P non seguita da un QRS, per cui si verifica una pausa. Subito dopo questa, lintervallo PR normale o comunque pi breve di quello del ciclo precedente il blocco, mentre nei battiti successivi il PR si allunga di nuovo in maniera progressiva fino al blocco di un altro impulso, realizzando cos dei periodismi, detti di Luciani-Wenckebach (Figura 3A). Il BAV di II grado tipo Wenckebach in genere dovuto ad una lesione, per lo pi reversibile, in sede nodale ed particolarmente sensibile alle influenze vegetative (tono vagale) e farmacologiche. 2) BAV di II grado tipo 2 (o tipo Mobitz). Questa forma caratterizzata dallimprovviso blocco della conduzione di un impulso, con una pausa asistolica uguale al doppio di un ciclo sinusale. Gli intervalli PR sono costanti prima e dopo il ciclo bloccato, senza allungamento dellintervallo PR nel ciclo che precede la P bloccata;

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anche nel ciclo successivo allimpulso bloccato lintervallo PR identico a quello del ciclo precedente (Figura 3B). Il BAV di II grado tipo Mobitz in genere dovuto ad una lesione intra-Hisiana, o sotto-Hisiana. 3) BAV di II grado 2: 1. Il BAV 2:1 caratterizzato dallalternanza di un impulso condotto e di un impulso bloccato (Figura 3C). 4) BAV di II grado avanzato. definito dal blocco di due o pi onde P consecutive (Figura 3D). BAV di III grado. Il BAV di III grado (o BAV completo) caratterizzato dallassenza della conduzione degli impulsi atriali ai ventricoli e dalla completa dissociazione dellattivit atriale, pi rapida e caratterizzata dalle onde P sinusali, da quella ventricolare, che governata da un ritmo di scappamento la cui analisi pu fornire unindicazione sulla sede del blocco (Figura 4). La presenza di un ritmo stabile, con frequenza tra 40 e 50 e complessi QRS stretti, suggerisce un ritmo di scappamento giunzionale; un ritmo di scappamento a complessi QRS larghi e a frequenza inferiore a 40, invece, suggerisce un blocco a livello pi distale (blocco sotto-hisiano) e pertanto la necessit pi urgente di un intervento terapeutico di elettrostimolazione cardiaca. Dissociazione AV. Con il termine dissociazione AV si indica la condizione in cui gli atri ed i ventricoli si attivano indipendentemente gli uni dagli altri; un segnapassi, in genere il NSA, attiva gli atri, un altro segnapassi, posto a livello giunzionale, fascicolare o ventricolare attiva i ventricoli. La dissociazione AV rappresenta una conseguenza implicita del BAV completo, ma non si identifica con esso in quanto un fenomeno elettrofisiologico che pu essere riconosciuto in diverse manifestazioni aritmiche, come ad esempio nel BAV di II grado o nella tachicardia ventricolare. Aspetti eziologici, fisiopatologici e clinici Il BAV di I grado presente nel 5% circa della popolazione apparentemente sana ed un reperto relativamente frequente anche fra i cardiopatici, poich i fattori capaci di alterare la conduzione A-V, soprattutto a livello del NAV, sono numerosi. In forma isolata, spesso un reperto elettrocardiografico occasionale, poich nella maggior parte dei casi non determina sintomi e non necessita quindi di approfondimenti diagnostici specifici, se non per il riconoscimento della eziologia, potendo essere la prima manifestazione di una malattia reumatica passata inosservata, di una malattia infiltrativa cardiaca, di una disfunzione tiroidea, ecc. (Tabella II). Quando si pu stabilire con sicurezza l'insorgenza recente del blocco, se si tratta di un paziente giovane occorre pensare a una malattia reumatica. In pazienti anziani con anamnesi di sincope ed in assenza di farmaci che deprimono la conduzione AV, un BAV di I grado di recente insorgenza fortemente suggestivo di BAV parossistico di grado avanzato e richiede l'impianto di un pacemaker. Generalmente, il BAV di I grado non ha alcuna conseguenza emodinamica di rilievo. E possibile tuttavia che intervalli PR particolarmente lunghi, superiori a 0,30 secondi, possano determinare sintomi anche in assenza di gradi maggiori di BAV. Infatti, a causa del ritardo elevato, la sistole atriale si pu verificare durante la protodiastole del ciclo cardiaco precedente o addirittura durante la sistole precedente, producendo una contrazione atriale contro le valvole atrio-ventricolari chiuse. In questi casi, il riempimento ventricolare viene compromesso, si perde il sincronismo atrio-ventricolare e possono conseguirne un aumento della pressione di incuneamento nei capillari polmonari ed una riduzione della portata cardiaca. Il BAV di II grado tipo 1 (Wenckebach) raramente si manifesta con sincope e pi di frequente un riscontro ECG incidentale o associato a sintomi aspecifici. Nella quasi totalit dei casi lespressione di un disturbo funzionale e reversibile della conduzione a livello del NAV, spesso causato dalla somministrazione di farmaci attivi sul NAV come la digitale, i beta-bloccanti, i calcio-antagonisti non diidropiridinici. frequente lassociazione con linfarto miocardico acuto inferiore, nel quale in genere transitorio, non modifica la prognosi e raramente richiede una terapia specifica (corticosteroidi endovena o elettrostimolazione temporanea). I BAV di II grado tipo 2 (Mobitz), ed avanzato sono espressione di un danno organico del sistema di conduzione sotto-hisiano e quasi sempre progrediscono improvvisamente verso il BAV completo. Per tali motivi, queste forme di BAV di II grado richiedono in tutti i casi lelettrostimolazione cardiaca permanente. Il BAV di III grado provoca in genere evidenti segni e sintomi, dovuti alla riduzione della portata cardiaca. I sintomi possono insorgere in maniera improvvisa con una sincope, o in maniera pi lenta ed insidiosa, causando ad esempio astenia marcata o dispnea da sforzo, soprattutto se il BAV ha sede nodale ed presente un ritmo di scappamento giunzionale che assicuri una portata cardiaca sufficiente a non determinare una importante riduzione della perfusione cerebrale, ma incapace di garantire un buon adattamento allo sforzo o ad altre situazioni in cui richiesto un aumento della portata. PRINCIPI DI TRATTAMENTO DELLE BRADICARDIE La decisione di trattare una bradicardia basata soprattutto sulla presenza di sintomi attribuibili direttamente ad essa. Il primo approccio sta nel riconoscimento delle bradicardie reversibili, spesso indotte da farmaci o legate a situazioni identificabili e clinicamente reversibili come gli squilibri elettrolitici o linfarto miocardico acuto, nelleliminazione del meccanismo fisiopatologico e nella cura della causa scatenante. Ad esempio, nella malattia di Lyme, il BAV reversibile, come pure in presenza di iperpotassiemia. Al contrario, nelle malattie neuromuscolari ed in alcune patologie infiltrative del miocardio, come la sarcoidosi e lamiloidosi, limpianto di un pacemaker da raccomandare anche quando il BAV sia stato transitorio, a causa della imprevedibile possibilit di progressione del disturbo di conduzione.

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Terapia farmacologica Un intervento terapeutico non quasi mai necessario nei pazienti con bradicardia sinusale, aritmia sinusale, pause sinusali o arresti sinusali inferiori a 3 secondi. Per bradicardie pi rilevanti latropina endovenosa rappresenta un presidio terapeutico di emergenza che pu essere impiegato per accelerare la frequenza cardiaca sinusale e migliorare la conduzione AV, quando la sede del BAV sia chiaramente a livello nodale. Per la cura del BAV completo stato impiegato, in condizioni di emergenza, lisoproterenolo endovena per aumentare la frequenza di un eventuale segnapassi di scappamento ventricolare; tale farmaco ormai poco usato per i rischi connessi al suo potenziale aritmogeno e per la maggiore efficacia e sicurezza della elettrostimolazione cardiaca temporanea. Pertanto, tutti i pazienti che si presentano con sintomi legati ad una disfunzione del nodo del seno o a disturbi della conduzione AV dovrebbero essere presi in considerazione per limpianto di un pacemaker cardiaco temporaneo o definitivo. I pacemaker cardiaci I pacemaker cardiaci sono generatori di impulsi che erogano stimoli elettrici, trasmessi attraverso uno o pi elettrocateteri a determinate zone del cuore. Limpulso elettrico erogato dal generatore si propaga a tutto il miocardio e ne determina la depolarizzazione. Lattivazione elettrica delle camere cardiache indotta dal pacemaker non si propaga attraverso le normali vie di conduzione ma trasmessa attraverso il miocardio di lavoro, il che pu avere delle importanti conseguenze elettriche e meccaniche, provocando dissincronia inter- ed intra-ventricolare, e dissociazione AV in caso di sola stimolazione ventricolare. La necessita di ottenere una stimolazione cardiaca fisiologica ha portato allo sviluppo di pacemaker che mirano a preservare e/o ripristinare il normale sincronismo AV o interventricolare stimolando sequenzialmente prima latrio destro e poi lapice del ventricolo destro (pacemaker bicamerali) ed eventualmente anche la parete laterale del ventricolo sinistro (pacemaker tricamerali). Inoltre sono stati messi a punto sensori che modulano la frequenza di stimolazione cardiaca (pacemaker rate-responsive) in base allattivit del paziente in maniera da simulare le variazioni fisiologiche del cronotropismo. Date le ampie possibilit di scelta, la terapia di elettrostimolazione definitiva con pacemaker deve essere adattata individualmente ad ogni singolo paziente tenendo conto del tipo di difetto di conduzione, della condizione emodinamica del paziente e del suo livello di attivit. Principi di terapia della disfunzione sinusale La disfunzione sinusale una delle cause pi frequenti di indicazione allimpianto di un pacemaker cardiaco; tuttavia, pur permettendo un evidente miglioramento o la scomparsa dei sintomi dovuti alla bradicardia, lelettrostimolazione cardiaca permanente non chiaramente associata ad un aumento della sopravvivenza. Tutte le forme di disfunzione sinusale, inclusa la sindrome bradi-tachi, quando determinano sintomi rappresentano unindicazione assoluta alla elettrostimolazione cardiaca. Anche la bradicardia iatrogena che consegue a trattamenti farmacologici a lungo termine, per i quali non esistano alternative (per esempio i beta-bloccanti), rappresenta unindicazione allimpianto di un pacemaker. Lindicazione allimpianto meno perentoria, ma tendenzialmente accettata, in pazienti sintomatici quando non vi sia stata una chiara dimostrazione che i sintomi siano effettivamente dovuti alla bradicardia, ma la disfunzione sinusale, spontanea o iatrogena, determina una FC inferiore a 40 bpm. Lo stesso criterio si applica quando, a seguito di una sincope da causa inspiegata, venga dimostrata allo studio elettrofisiologico una marcata anomalia della funzione sinusale, pur senza la coincidenza documentata con eventi clinici. Principi di terapia del BAV Lelettrostimolazione cardiaca permanente migliora non solo la qualit di vita dei pazienti con BAV ma soprattutto la prognosi a lungo termine; le indicazioni allimpianto di un pacemaker in presenza di un BAV dipendono dai sintomi e da semplici indicatori quali in primo luogo la durata del QRS e la durata delle pause. Il BAV di III grado e il BAV di II grado avanzato hanno una indicazione assoluta allimpianto di pacemaker, indipendentemente dalla sede elettrofisiologica del blocco, quando sono presenti sintomi dovuti alla bradicardia oppure, in pazienti svegli ed asintomatici, pause superiori a 3 secondi o un ritmo di scappamento a frequenza inferiore a 40 bpm. Anche nei pazienti con BAV di II grado tipo Mobitz sintomatici lindicazione allimpianto di pacemaker assoluta. Lindicazione meno perentoria ma tendenzialmente accettata nei pazienti con BAV di II grado tipo Mobitz asintomatici, specialmente se con QRS largo, per lelevata probabilit di progressione verso gradi pi avanzati di blocco. In questi casi, lindicazione alla cardiostimolazione potrebbe essere posta in dubbio solo se il BAV fosse asintomatico e associato a QRS stretti, ma la sussistenza di entrambe le condizioni di rarissima osservazione clinica. Il BAV 2: 1 pu avere, come detto, una localizzazione sopra-Hisiana (nodale), intra-Hisiana o sotto-Hisiana, ma in genere determina sintomi a causa dellimportante riduzione della frequenza cardiaca; pertanto richiede quasi sempre limpianto di pacemaker. Il BAV di I grado isolato ed il BAV di II grado tipo Wenckebach con complessi QRS stretti sono in genere manifestazione di una lieve alterazione della conduzione nodale e non hanno alcun significato prognostico negativo. Inoltre queste forme di BAV, quando insorte in seguito ad infarto miocardico inferiore, ad interventi

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cardiochirurgici o come effetto di farmaci, sono quasi sempre reversibili. Tuttavia, nei pazienti con BAV di II grado tipo Wenckebach non dovuto a cause reversibili e sintomatici, lindicazione allimpianto di pacemaker assoluta.

Sezione XI. Sincope e Arresto Cardiocircolatorio Capitolo 42 SINCOPE Luigi Padeletti, Alfonso Lagi
DEFINIZIONE La sincope una perdita improvvisa della coscienza e del tono muscolare, di breve durata e a risoluzione spontanea. E la conseguenza dellischemia generalizzata di entrambi gli emisferi cerebrali e/o del tronco. La sincope un sintomo comune a molte malattie, al pari della febbre o dellanemia. La sua importanza deriva da due considerazioni: la prima, esclusivamente medica, che la sincope pu essere anticipatrice di una morte improvvisa nel futuro prossimo; la seconda, riguardante il grande impatto emotivo sullindividuo che ne soffre e sulla famiglia, che la sincope rappresenta una vera interruzione della vita, anche se breve ed a risoluzione spontanea, cos da far pensare che lesperienza si possa ripetere con risultati non altrettanto favorevoli. Se letimologia della parola significa interrompere (dal greco) bisogna ben considerare che the only difference between syncope and sudden death is that in one you wake up. Il momento fisiopatologico determinate della sincope la ipoperfusione dellencefalo, ma ci non significa che il fenomeno dipenda necessariamente da una ipotensione acuta e transitoria. I fattori determinanti la pressione arteriosa sono il volume circolante nel distretto arterioso, la gittata cardiaca, e le resistenze periferiche. Le alterazioni di uno o pi di questi parametri possono portare alla sincope. La riduzione della gittata cardiaca pu conseguire a diminuzione della gittata sistolica, a critiche variazioni della frequenza cardiaca (tachicardie o bradicardie estreme ) o a diminuzione del volume circolante; la riduzione delle resistenze periferiche leffetto di mediatori fisiologici o patologici (farmaci con azione simpaticolitica, eventi riflessi, malattie neurologiche). E fondamentale tener presente che varie malattie possono mimare la sincope, soprattutto le epilessie generalizzate non convulsive (crisi di piccolo male), i disturbi del sonno e le forme psicogene (crisi di ansia generalizzata). EPIDEMIOLOGIA La sincope molto frequente. Si calcola che nel nostro paese vi siano oltre 100.000 casi/anno. Il 75% della popolazione sana va incontro ad almeno un episodio sincopale in un arco di tempo di 26 anni; nei nostri Ospedali la sincope rappresenta il 3% delle presentazioni, e nel 25 % dei casi si manifesta una recidiva. La sincope colpisce tutte le et, con unincidenza progressivamente crescente con il passare del tempo. La ricorrenza della sincope molto frequente, stimata al 30% della popolazione che gi ne ha sofferto. CLASSIFICAZIONE La sincope una fra le transitorie perdite di coscienza. Una adeguata classificazione deve prendere in considerazione anche quelle affezioni che possono mimare la sincope, per poter avviare una adeguata diagnosi differenziale. Queste situazioni vengono spesso indicate come syncope like La sincope pu essere classificata come segue.

Neuromediata: vasovagale, situazionale, sindrome da ipersensibilit del seno carotideo, nevralgia glossofaringea e trigeminale Ipotensione ortostatica: disautonomia, farmaci, deplezione di volume Aritmica Cardiopatia strutturale: cardiopatia ischemica, cardiomiopatie , cardiopatie con ostruzione allefflusso Cerebrovascolare: furto della succlavia Syncope like Epilessia generalizzata Sincope psicogena: attacchi di panico, ansia generalizzata Ipossiemia acuta transitoria: intossicazione da CO, esposizione a base concentrazioni di ossigeno La sincope neuromediata la forma pi comune, e consegue ad un riflesso che pu essere scatenato da molteplici fattori (odori, dolore, emozioni, vista di episodi sgradevoli, prolungata stazione eretta). In genere si accompagna ad un insieme di sintomi (nausea e/o vomito, pallore, sudorazione) la cui presenza permette un alto grado di sospetto.

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La sincope da ipersensibilit del seno carotideo (SSC), frequente nella popolazione anziana, caratterizzata dal fatto che uno stimolo anche lieve, portato nella zona del seno carotideo (massaggio del seno carotideo MSC) diventa efficiente nel provocare la sintomatologia. Questo ha unevidente corrispondenza in clinica nella comparsa degli episodi spontanei. La sincope situazionale, pi frequente nel giovane, permette una diagnosi di certezza solo su base anamnestica (minzione, defecazione, deglutizione). Marker diagnostico di tutte le forme neuromediate, quando esse sono colte dallosservatore o provocate in laboratorio durante il tilt test o il MSC, la presenza di bradicardia e/o ipotensione da vasodilatazione, con differente prevalenza dei due aspetti patogenetici La sincope ortostatica comune, e si manifesta a seguito dellassunzione della posizione eretta. Pu essere accompagnata da sintomi che esprimono la riduzione pi o meno rapida della pressione arteriosa in ortostatismo (sensazione di testa vuota, vertigine, astenia) con recupero della sensazione di benessere alla riassunzione della posizione seduta o distesa. Una disfunzione autonomica deve essere sospettata nellanziano, associata o meno a sintomi di malattie sistemiche (amiloidosi e diabete) o neurologiche degenerative (Morbo di Parkinson). Altre cause sono luso di farmaci ipotensivi o di diuretici e alcune malattie endocrine (Ipocorticosurrenalismo primitivo o secondario). Le aritmie cardiache sono causa di sincope quando inducono uneccessiva bradicardia o tachicardia. Entrambi i fenomeni provocano la caduta della gittata cardiaca e quindi della perfusione cerebrale. Le bradicardie secondarie a disfunzione del nodo del seno (sick sinus sindrome) e quelle legate a disturbi della conduzione atrio-ventricolare (vedi Capitolo 40), sono le pi frequenti, seguite dalle tachicardie ventricolari (vedi Capitolo 39). La perdita di coscienza si pu verificare allinizio dellaritmia o alla fine, quando interrompendosi improvvisamente il ritmo anomalo, si registra una pausa prolungata che precede il recupero del ritmo normale. La sick sinus syndrome (SSS) esprime una combinazione di bradicardia (sinusale, pause sinusali, blocchi senoatriali ) e di tachicardia, in genere flutter o fibrillazione atriale. I periodi di bradiaritmia sono considerati pi frequentemente in causa nella patogenesi della sincope. I disturbi della conduzione AV possono esser causa di sincope. Si deve dare poca importanza al blocco AV di I grado e a quello di II grado tipo Mobitz I (Wenckebach), mentre pi frequente la sincope in corso di blocco AV di II grado tipo Mobitz II o di blocco AV di III grado. La tachicardia ventricolare (vedi Capitolo 39) una frequente causa di sincope. La sindrome del QT lungo congenita o acquisita (vedi Capitolo 42) favorisce la comparsa di una tachicardia ventricolare a torsione di punta, specialmente in associazione a periodi di bradicardia o in concomitanza di ipokaliemia. La tachicardie sopraventricolari sono di rado causa di sincope, solo quando si associano a bassa gittata; in genere i soggetti anziani sono quelli che presentano pi frequentemente la sincope in corso di tachicardia sopraventricolare . La malattie cerebrovascolari sono cause rare di sincope. In particolare il furto della succlavia (vedi Capitolo 53) provoca, in condizione critiche, una ipoperfusione a livello del circolo cerebrale posteriore che rientra fra gli attacchi ischemici transitori. Le situazioni raggruppate sotto la dizione syncope like comprendono unampia variet di condizioni morbose, che vanno da crisi epilettiche generalizzate non convulsive associate a ipotonia muscolare (attacchi di piccolo male), a episodi critici in corso di ansia generalizzata (crisi di panico), a disturbi del sonno, a episodi di amnesia globale transitoria. Alcune di queste evenienze sono di facile diagnosi, se accadono in presenza di testimoni che possono descrivere il comportamento dei paziente, ma sono di difficile inquadramento quando il paziente ne soffre senza che alcuno sia presente allepisodio critico. DIAGNOSI Lobiettivo primario della strategia diagnostica definire il profilo di rischio del paziente: lobiettivo fondamentale a cui devono mirare le indagini lesclusione di una patologia cardiaca. Quando questa possa essere esclusa, lidentificazione della causa della sincope permetter di mettere in atto una serie di provvedimenti che migliorino la qualit di vita e riducano la morbilit associata. Una volta esclusa la patologia aritmica (bradicardie o tachicardie critiche), il medico ha a che fare con una sincope anamnestica. E quindi necessario un algoritmo diagnostico che miri alla individuazione delle cause cardiogene e, una volta escluse queste, alla ricerca di altre malattie. Lanamnesi il momento diagnostico pi importante poich permette la diagnosi in oltre il 70% dei casi, specialmente quando essa pu essere confermata da un testimone. Nella pratica clinica, occorre richiedere al paziente di concentrarsi e descrivere lultimo evento critico, poich si presuppone che esso sia pi facilmente riferibile, e successivamente valutare e confrontare con lultimo gli episodi precedenti. Alcuni elementi sono fortemente indicativi per la diagnosi: si devono valorizzare precedenti patologici quali la presenza di cardiopatia, di malattie del sistema nervoso centrale, (per esempio, malattia di Parkinson, epilessia), di morte improvvisa nella famiglia, della recente assunzione di farmaci, di malattie psichiatriche. Successivamente si deve ricercare la presenza dei sintomi e segni elencati nella Tabella I come post critici, critici e pre critici in relazione al periodo di comparsa. Nel dare un peso ai sintomi e ai segni rilevabili durante la raccolta dellanamnesi si deve ricordare che nelle forme ospedalizzate la sincope neuromediata giustifica il 66% delle osservazioni, la forma cardiogena ne comprende l11% e le forme sincope-like rappresentano il 6% della casistica. La perdita di coscienza in soggetto con et superiore a 54 anni, con meno di due episodi, in associazione a palpitazioni orienta per una forma cardiogena,

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mentre lassociazione di nausea, sudorazione, visione confusa o sensazione di testa vuota che precedono o seguono la sincope indicativo di una forma neuromediata. La sincope cardiogena appare molto probabile quando vi rilievo anamnestico di cardiopatia, mentre lassenza di cardiopatia anamnestica esclude la sincope cardiogena nel 97% dei pazienti. STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO La sincope cardiogena la prima diagnosi da confermare o escludere poich pu essere annunciatrice di morte o di gravi complicanze. E quindi necessario per ogni paziente definire il profilo di rischio, cio la probabilit di essere affetto da una malattia potenzialmente letale. I due pi forti indicatori di sincope cardiogena sono lanamnesi di cardiopatia strutturale e lECG patologico. La registrazione dellelettrocardiogramma tradizionale a 12 derivazioni troppo breve per potere cogliere aritmie significative, ma fornisce informazioni sul ritmo e sulla conduzione AV. La bradicardia sinusale, lintervallo PR prolungato (blocco A-V di I grado) o la presenza di un blocco di branca aumentano la possibilit di una disfunzione sinusale o di un blocco atrio-ventricolare intermittente (vedi Capitolo 40) da cui la sincope pu dipendere. Lesame del complesso QRS pu permettere di identificare unonda delta, indice di una via accessoria (vedi Capitoli 3 e 38) e di una sindrome di Wolff-Parkinson-White, potenzialmente responsabile della sincope. Le malattie genetiche classificate oggi come canalopatie o malattie dei canali ionici (Sindrome del QT lungo e Sindrome di Brugada, vedi Capitolo 42), possono essere identificate con lECG, come anche, in alcuni casi, la cardiomiopatia/displasia aritmogena del ventricolo destro o altre cardiomiopatie; anche i segni di necrosi miocardica, indicativi di un pregresso infarto, vengono rivelati dallECG. In tutte queste condizioni, la sincope pu essere provocata da una tachicardia ventricolare. ITER DIAGNOSTICO SUCCESSIVO ALLA SINCOPE In assenza di cardiopatia strutturale e di pregresse aritmie si deve considerare fortemente sospetta la forma neuromediata (nei giovani) o da ipotensione ortostatica (negli anziani). In questi casi lindagine diagnostica di scelta il tilt test (test allortostatismo passivo), eseguito ponendo il soggetto su un letto che viene poi inclinato, in modo che la persona assuma una posizione ortostatica, con i piedi che poggiano su unapposita pedana. Quando un essere umano sta in piedi, muove necessariamente le gambe, e la contrazione dei muscoli (pompa muscolare) favorisce il ritorno venoso al cuore. Quando, invece, lortostatismo viene mantenuto passivamente per un certo tempo (in genere da 40 minuti a unora), si verifica un sequestro di sangue negli arti inferiori, e il ritorno venoso si riduce. I ventricoli, perci, si contraggono mentre sono relativamente vuoti di sangue, e la portata cardiaca tende a diminuire: ci provoca un incremento reattivo del tono simpatico, che aumenta la contrattilit ventricolare; la vigorosa contrazione dei ventricoli che contengono poco sangue stimola i meccanocettori delle pareti ventricolari, generando un riflesso vagale che esita infine in bradicardia e ipotensione indotta dalla vasodilatazione arteriolare. Questi meccanismi (cardioinibizione e vasodepressione) possono indurre la sincope, che pu essere cardioinibitoria, vasodepressiva o mista, a seconda della prevalenza di una componente sullaltra. Il tilt test positivo per sincope neuromediata quando si verifica una perdita di coscienza o comunque una condizione di pre-sincope associata a bradicardia e ipotensione; di contro lipotensione ortostatica viene diagnosticata per la presenza di ipotensione senza bradicardia. La perdita di coscienza durante tilt test in assenza di modificazioni significative della pressione arteriosa e/o della frequenza cardiaca invece, indica una sincope psicogena. Anche il massaggio del seno carotideo, manovra che induce una stimolazione vagale riflessa, trova indicazione nei casi di sincope senza dimostrata cardiopatia strutturale, quando i dati anamnestici orientino verso la diagnosi di sincope senocarotidea (sincope che fa seguito a bruschi movimenti del collo). Teoricamente la manovra dovrebbe essere condotta in posizione semi-ortostatica per valutare sia la risposta cardioinibitoria, che quella vasodepressiva, ma in pratica il test viene eseguito in posizione distesa, valorizzando solo la risposta cardioinibitoria, che viene considerata patologica quando lintervallo fra due battiti cardiaci supera 3,5 secondi . LEcg da sforzo raramente trova indicazione nelliter diagnostico della sincope, a meno che la sintomatologia non abbia una stretta correlazione con lattivit fisica. In questi casi esiste la possibilit di una patologia dellefflusso dal ventricolo sinistro (cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva, vedi Capitolo 28) che in genere evidenziata con lecocardiogramma, ma esiste anche la possibilit di una cardiopatia ischemica o di una malattia disautonomica. La registrazione ambulatoriale dellECG (Holter-24 ore) viene spesso utilizzata in pazienti con sincope per cogliere aritmie potenzialmente pericolose (tachicardia ventricolare sostenuta o non sostenuta, asintomatica o sintomatica, bradicardia paucisintomatica). Se gli episodi sincopali sono rari, possibile utilizzare registratori che il paziente porta per periodi pi lunghi di 24-48 ore. Esistono i loop-recorder esterni che permettono la registrazione dellelettrocardiogramma per diversi giorni e quelli impiantabili sottocute, che possono arrivare a registrare fino a 18 mesi di attivit cardiaca. Nelle sincopi la cui causa rimane indeterminata alla fine del percorso diagnostico standard, il loop recorder impiantabile permette di giungere alla diagnosi fino al 43% dei casi. Lecocardiogramma (vedi Capitolo 4) e lesame Doppler dei tronchi sopraortici (vedi Capitolo 12) permettono di individuare cardiopatie strutturali (per esempio, stenosi aortica, mixoma atriale) o anomalie vascolari che giustifichino la sincope. Lo studio elettrofisiologico (SEF, vedi Capitolo 60) valuta la funzione del nodo sinusale, la conduzione AV e la suscettibilit a sviluppare tachicardie sopraventricolari o ventricolari. Le malattie neurologiche, syncope like (vedi classificazione), richiedono accertamenti orientati e specifici. Esse sono sospettate sulla base di sintomi focali che precedono o accompagnano la perdita di coscienza (aura,

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parestesie, diplopia, disartria). I test da utilizzare in questi casi sono indagini neurologiche di tipo funzionale (Elettroencefalogramma) e di imaging (TC ed RM dellencefalo). CENNI DI TERAPIA A stretto rigore di termini dobbiamo parlare di prevenzione delle recidive sincopali piuttosto che di terapia della sincope. I nostri sforzi sono diretti a prevenire nuovi episodi sincopali trattando la malattia e i meccanismi patogenetici che sottendono la sincope. La sincope neuromediata o vasovagle, di gran lunga la forma pi frequente, ha poche possibilit di unefficace prevenzione. Molti sono infatti i fattori scatenanti che devono essere individuati ed evitati. Il paziente deve essere educato ad evitare tutte le condizioni favorenti e scatenanti il riflesso patogeneticamente efficiente, come gli ambienti affollati, i luoghi con temperatura eccessiva, le condizioni fisiche e farmacologiche che favoriscono la disidratazione e lipovolemia. Egli dovr essere sensibilizzato al riconoscimento dei sintomi premonitori e dovr conoscere le manovre che sono in grado di far abortire la crisi sincopale, prima fra tutte il mettersi in posizione supina non appena egli avverte i sintomi premonitori. Il soggetto deve essere rassicurato sulle sue condizioni di salute e reso edotto della benignit dellevento di cui ha sofferto e della possibilit di una recidiva, al fine di evitare gli aspetti psicologici, come ansia e depressione, che possono accompagnare uno o pi episodi sincopali. In caso di sincope vasovagale ricorrente e in pazienti molto motivati, la prescrizione di periodi prolungati di postura eretta od altre manovre fisiche specificamente orientate possono essere utili nel ridurre gli episodi ricorrenti. Scarsa indicazione trovano oggi, alla luce delle esperienze attuali, i numerosi farmaci che sono stati proposti in passato quali i (-bloccanti e i vasocostrittori. Limpianto di un pacemaker si dimostrato efficace nella Sindrome del seno carotideo cardioinibitoria, di cui ormai diventato il trattamento di scelta. Lo stesso non si pu dire per la sincope vasovagale, che stata oggetto di numerosi trial in cui il braccio terapeutico efficace era rappresentato da un pacemaker. Dopo alcuni studi condotti su popolazioni limitate di pazienti e non in doppio cieco, stata dimostrata la non superiorit del trattamento con pacemaker rispetto al placebo. Lefficacia dei pacemaker, invece, dimostrata in tutte le forme da disfunzione del nodo sinusale o da blocco AV (vedi Capitolo 40). Le tachicardie parossistiche sopraventricolari hanno indicazione alluso di farmaci antiaritmici, ed in realt molte se ne giovano, anche se transitoriamente. Luso sempre pi diffuso delle tecniche di ablazione transcatetere (vedi Capitolo 60) ha permesso il successo anche nei casi non sensibili ai farmaci, evitandone gli effetti collaterali e rendendo permanente lefficacia della terapia. Quando la tachicardia ventricolare a indurre la sincope, trova indicazione il trattamento farmacologico o limpiego di specifici device. I farmaci antiaritmici di Classe I (vedi Capitolo 58) non sono indicati per il loro effetto inotropo negativo; lamiodarone invece il farmaco di scelta per la virtuale assenza di effetti inotropi negativi. In alternativa, si pu impiegare il defibrillatore impiantabile (ICD, implantable cardioverter defibrillator), che riconosce la tachicardia e la fibrillazione ventricolare e la tratta con uno shock elettrico in grado di interromperla (vedi Capitolo 43).

Capitolo 43 MORTE CARDIACA IMPROVVISA Lia Crotti, Peter J. Schwartz


DEFINIZIONE Con il termine morte cardiaca improvvisa si intende il decesso per cause naturali di origine cardiaca che consegua ad una improvvisa perdita di coscienza entro unora dallesordio dei sintomi. I soggetti possono anche essere cardiopatici noti, ma la modalit e il momento dellinsorgenza della perdita di coscienza devono essere inattesi. EPIDEMIOLOGIA Negli Stati Uniti la morte cardiaca improvvisa allorigine di 300000-400000 vittime allanno e nei paesi industrializzati la causa di morte pi frequente per i soggetti in et produttiva (20-65 anni), in particolare di sesso maschile. Nella stragrande maggioranza dei casi la morte cardiaca improvvisa dovuta ad una tachiaritmia fatale (fibrillazione ventricolare primaria o tachicardia ventricolare degenerante in fibrillazione ventricolare). Nel 10-15% dei casi la causa unasistolia (assenza del battito cardiaco); pi raramente una dissociazione elettromeccanica (presenza di attivit elettrica in assenza di contrazione efficace del cuore). La patologia coronarica senzaltro la causa pi frequente di morte cardiaca improvvisa e per tale motivo sia la distribuzione sia i principali fattori di rischio sono comuni alle due condizioni. Lincidenza della morte cardiaca improvvisa mostra un ritmo circadiano con una prevalenza tra le ore 6 del mattino e mezzogiorno. Questo ritmo circadiano molto simile a quello osservato per linsorgenza di altri eventi cardiaci acuti quali linfarto del miocardio e lischemia miocardica transitoria. Anche se il meccanismo di questo picco mattutino non noto con certezza, verosimile che dipenda almeno in parte dallaumento di attivit simpatica che compare al risveglio. Infatti, nelle prime ore del mattino si osserva un aumento del tono vasocostrittore coronarico, della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa, delle catecolamine plasmatiche e delladesivit piastrinica. Esistono due picchi di incidenza della morte improvvisa; il primo nei primi sei mesi di vita

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(Sudden Infant Death Syndrome o SIDS) e il secondo tra i 45 e 75 anni di et. Poich la morte cardiaca improvvisa nel primo anno di vita riconosce meccanismi fisiopatologici diversi rispetto alla morte improvvisa delladulto, alla sua trattazione riservato un paragrafo a parte. FISIOPATOLOGIA La genesi della morte cardiaca improvvisa coinvolge una serie di fattori con ruoli diversi. Un modello efficace di morte cardiaca improvvisa prevede lesistenza di un substrato miocardico, di fattori scatenanti e di fattori modulanti o favorenti che interagiscono a causare la tachicardia o fibrillazione ventricolare (la causa pi frequente di arresto cardiaco). Con il termine substrato si intende la presenza di alterazioni strutturali o elettriche cardiache che favoriscono il rischio aritmico: 1) alterazioni strutturali possono ad esempio essere rappresentate da una cardiopatia congenita, da alterazioni conseguenti alla ipertrofia o alla fibrosi miocardica, che possono ad esempio seguire ad un infarto del miocardio; 2) alterazioni elettriche sono tipicamente quelle presenti in cardiopatie aritmogene ereditarie, legate a difetti di canali ionici cardiaci, quali la Sindrome del QT Lungo o la Sindrome di Brugada (vedi Capitolo). Un fattore scatenante importante costituito, ad esempio, da un episodio ischemico acuto. La frequente assenza, nei vasi coronarici esaminati allautopsia, di lesioni occlusive sottolinea la possibilit che a scatenare lepisodio di arresto cardiaco sia una ischemia miocardica solo transitoria. In accordo con questa ipotesi il fatto che solo una minoranza dei soggetti risuscitati dopo arresto cardiaco sviluppa un infarto del miocardio. Con il termine fattore modulante si intende un fattore variabile nel tempo, che possa in talune circostanze presentarsi con caratteristiche tali da favorire linsorgenza, la perpetuazione o la degenerazione di unaritmia ventricolare minacciosa. Esempi tipici sono rappresentati dalla presenza di alterazioni elettrolitiche quali lipopotassiemia. Altre possibilit sono costituite da situazioni transitorie di ipossia o di acidosi o dallutilizzo di farmaci con potenziale effetto proaritmico. Un posto di primaria importanza nellambito dei fattori modulanti spetta al sistema nervoso autonomo. Numerosi studi sperimentali hanno indicato leffetto sfavorevole rappresentato da una eccessiva attivazione simpatica nella genesi delle aritmie ventricolari maligne, in particolare in occasione di ischemia miocardica acuta. Una eccessiva attivazione adrenergica esercita una serie di effetti sfavorevoli sia nel senso di un aumento della gravit dellischemia (per aumento del consumo di ossigeno e delle resistenze coronariche) sia di un aumento della probabilit di aritmie. Ci si verifica per una facilitazione sia delle aritmie da rientro (favorite dalla riduzione della refrattariet ventricolare) sia di aritmie scatenate da un alterato automatismo (vedi Capitolo). Lattivazione parasimpatica si dimostrata in grado di antagonizzare efficacemente gli effetti sfavorevoli di una aumentata attivit adrenergica. Questi concetti hanno trovato applicazione nella pratica clinica, grazie allutilizzo di indici autonomici, quali la sensibilit barocettiva e la variabilit della frequenza cardiaca, che si sono dimostrati di estrema utilit per la stratificazione del rischio nel post-infarto e per lindividuazione dei pazienti a maggior rischio di morte cardiaca improvvisa (vedi Capitolo). PRINCIPALI CONDIZIONI PATOLOGICHE ASSOCIATE A MORTE CARDIACA IMPROVVISA La cardiopatia ischemica responsabile di circa l80% delle morti improvvise nei paesi occidentali e le cardiomiopatie si rendono responsabili di un altro 10-15%. Tuttavia, la completa comprensione della morte cardiaca improvvisa richiede il riconoscimento di altre cause, che sebbene pi rare, sono importanti, da una parte, per una miglior comprensione delle basi fisiopatologiche della morte improvvisa e dallaltra, per la possibilit di agire a livello preventivo attraverso lattuazione di adeguate misure terapeutiche. Tra laltro molte di queste entit minori sono tra le principali cause di morte improvvisa in adolescenti e giovani adulti in cui molto pi bassa la prevalenza della aterosclerosi coronarica. Ci sono inoltre dei casi in cui la causa della morte cardiaca improvvisa o della fibrillazione ventricolare resuscitata non riesce ad essere identificata e si parla quindi di Fibrillazione Ventricolare Idiopatica. A cinque anni di followup questi pazienti hanno un rischio del 30% di avere un nuovo arresto; per tale motivo esiste unindicazione assoluta allimpianto del defibrillatore automatico, un apparecchio simile ad un pace-maker, ma in grado di riconoscere e trattare attraverso shock elettrico le aritmie ventricolari maligne. Cardiopatia ischemica Circa il 5% dei pazienti che giungono vivi in ospedale con un infarto miocardio acuto, ha un episodio di fibrillazione ventricolare (FV) nelle prime 24 ore successive allinfarto. In generale loccorrenza dellepisodio di fibrillazione ventricolare non giustificata n dallestensione particolarmente importante dellinfarto n dalle condizioni di particolare compromissione della funzione ventricolare sinistra. Da cosa dipenda questa predisposizione a rispondere allischemia miocardica acuta con aritmie fatali uno dei problemi maggiori ancora irrisolti della cardiologia contemporanea. Il Paris Prospective Study, uno studio condotto su oltre 7500 dipendenti pubblici ha dimostrato che la morte cardiaca improvvisa di uno dei due genitori aumenta il rischio relativo di tale evenienza nel soggetto di circa due volte e addirittura di nove volte se entrambi i genitori sono morti improvvisamente. Due recenti studi clinici hanno confermato che la storia familiare di morte cardiaca improvvisa il principale predittore di FV durante la fase acuta di un infarto del miocardio, supportando lipotesi che esista una predisposizione, almeno in parte geneticamente trasmessa, ad una aumentata instabilit elettrica che possa favorire linsorgenza di FV in presenza di un appropriato substrato clinico. I pazienti sopravvissuti ad un infarto del miocardio sono quelli studiati pi a fondo in senso prognostico, in quanto stato facile rendersi conto che molti di essi muoiono improvvisamente e che lincidenza massima di questo

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evento nel primo anno successivo allinfarto. Diversi sono i fattori di rischio che sono stati identificati, quali la riduzione della frazione di eiezione, la presenza di frequenti battiti ectopici ventricolari, un intervallo QT costantemente prolungato ed un episodio di FV nella fase acuta di un infarto a sede anteriore. Negli ultimi anni sono aumentati i dati che indicano uno stretto rapporto tra morte improvvisa e sistema nervoso autonomo. In particolare nei pazienti con infarto del miocardio uno squilibrio autonomico caratterizzato da una ridotta attivit vagale e da una aumentata attivit simpatica si associa in modo significativo ad un aumento della mortalit cardiaca e di quella improvvisa. I parametri clinici pi utilizzati per valutare il profilo autonomico sono la variabilit della frequenza cardiaca e la sensibilit barocettiva, che si rivelata predittiva anche nei soggetti con frazione di eiezione conservata e anche oltre i 65 anni (vedi Capitolo). Dallinsieme di queste considerazioni dovrebbe essere chiaro che un notevole progresso stato fatto nella identificazione di quei soggetti che, dopo un infarto del miocardio, sono ad alto rischio di morte improvvisa. E anche chiaro per che stiamo parlando di morti improvvise non totalmente inattese. Da un punto di vista pratico il problema dellidentificazione dei soggetti a rischio di morte improvvisa rimane molto complesso. Infatti, non si pu prescindere dal numero totale di eventi e dalla popolazione di pazienti nei quali tali eventi si verificano. Se vero che vi sono dei gruppi di pazienti, ad esempio quelli che hanno avuto un episodio di tachicardia o FV dopo un infarto miocardico, con un rischio molto alto di morte cardiaca improvvisa, anche vero che il contributo in termini assoluti al numero totale delle vittime di morte improvvisa relativamente modesto. E infatti nella popolazione non selezionata, nella quale lincidenza di morte cardiaca improvvisa estremamente ridotta (1-2 per mille per anno), che si verifica il numero maggiore di eventi. In questi soggetti la morte improvvisa rappresenta generalmente la prima manifestazione della malattia (per lo pi coronarica) e si tratta quindi di morte cardiaca improvvisa totalmente inattesa. Cardiomiopatie Tre sono le principali cardiomiopatie che si associano al rischio di morte improvvisa:

Cardiomiopatia dilatativa (vedi Capitolo). E una malattia del miocardio caratterizzata da dilatazione e da compromissione della funzione contrattile del ventricolo sinistro o di entrambi i ventricoli. La cardiomiopatia dilatativa rappresentata in prevalenza da forme primitive, ad etiologia non nota, le cosiddette forme idiopatiche. La distribuzione per sesso ed et sembra privilegiare il sesso maschile fra la terza e la quinta decade di vita. La morte improvvisa responsabile di circa la met delle morti dei pazienti con questa patologia; tuttavia, tende a manifestarsi pi tardivamente, quando sono spesso gi presenti sintomi da compromissione emodinamica. Cardiomiopatia ipertrofica (vedi Capitolo). E una patologia primitiva del muscolo cardiaco, a trasmissione autosomica dominante, caratterizzata da unipertrofia ventricolare sinistra e/o destra di eziologia ignota, associata ad un aspetto istologico di disorganizzazione (disarray) delle fibrocellule miocardiche. Tipicamente lipertrofia asimmetrica ed il setto interventricolare il distretto pi frequentemente interessato. Nel 70% circa dei casi la cardiomiopatia ipertrofica riconosce un andamento familiare e sono stati identificati una serie di geni, codificanti per proteine del reticolo sarcoplasmatico, alla base della malattia. In questa patologia il rischio di aritmie ventricolari maligne elevato e la morte improvvisa pu essere la prima manifestazione della malattia. La cardiomiopatia ipertrofica la prima causa di morte improvvisa negli atleti al di sotto dei 35 anni di et. Cardiomiopatia-Displasia aritmogena del ventricolo destro. E una patologia primitiva del muscolo cardiaco, caratterizzata da sostituzione fibroadiposa dei miocardiociti, che tipicamente interessa il ventricolo destro e pu successivamente andare ad interessare anche il ventricolo sinistro. Nel 30-50% dei casi tale patologia sembra avere una distribuzione familiare, con modalit di trasmissione di tipo autosomico dominante. Tale patologia si associa ad un elevato rischio di aritmie ventricolari sostenute, tipicamente a partenza dal ventricolo destro, che possono anche portare alla morte improvvisa, frequentemente indotta dallesercizio fisico. Per tale motivo, specialmente nel Veneto dove questa patologia ha unelevata prevalenza, essa rappresenta una delle principali cause di morte improvvisa nei giovani atleti. Patologie valvolari Se non trattata chirurgicamente, la stenosi valvolare aortica severa (vedi Capitolo) si associa ad un elevato rischio di morte cardiaca improvvisa. Dopo sostituzione valvolare, lincidenza di morte improvvisa si riduce moltissimo, tuttavia permane, data la possibilit di disfunzioni protesiche, aritmie o coesistenza di coronaropatia. E tuttora controverso se il prolasso della valvola mitrale (vedi Capitolo) si correli con un incremento del rischio di morte improvvisa. Considerata lalta prevalenza di prolasso mitralico, verosimile che il rilievo anatomopatologico di prolasso nei soggetti deceduti improvvisamente rappresenti una coincidenza casuale pi che una condizione causale. Tuttavia, se il prolasso complicato da insufficienza mitralica significativa, disfunzione ventricolare sinistra o degenerazione mixomatosa della valvola, il rischio di eventi tromboembolici, endocardite infettiva e morte improvvisa aumenta notevolmente. Cardiopatie aritmogene ereditarie Le cardiopatie aritmogene ereditarie, sono un gruppo di patologie geneticamente trasmesse che si associano ad un rischio di morte cardiaca improvvisa per lo pi in giovane et. In queste patologie il cuore risulta

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strutturalmente normale, ma sono presenti difetti a carico di canali ionici cardiaci che favoriscono la genesi di aritmie ventricolari maligne. Si riconoscono quattro principali cardiopatie aritmogene ereditarie:

Sindrome del QT Lungo (LQTS). Euna cardiopatia a trasmissione per lo pi autosomica dominante, caratterizzata da un prolungamento dellintervallo QT allECG di superficie (QTc>440 msec) e da un elevato rischio di aritmie ventricolari maligne che tendono a manifestarsi pi frequentemente in giovane et e che sono tipicamente indotte da stress fisici od emotivi. Date le caratteristiche della LQTS, il caso tipico non presenta particolari difficolt dal punto di vista della diagnosi per il medico che ha familiarit con questa malattia. Tuttavia, i casi borderline sono pi complessi e richiedono lattenta valutazione di pi variabili, oltre ovviamente allanamnesi e allintervallo QT, quali la storia familiare, le anomalie morfologiche dellonda T e la variabilit dellintervallo QT durante le 24 ore e a seguito di test quali il test ergometrico e quello alliperventilazione. Lo screening molecolare ormai un componente importante del processo diagnostico, specialmente per i casi borderline. Tuttavia bene ricordare che circa il 25-30% di casi indubbi di LQTS sfuggono alla diagnosi molecolare. Unarea in cui lo screening molecolare d un apporto importante ed unico nella diagnosi dei familiari con QT normale. Esistono tre varianti genetiche principali di Sindrome del QT Lungo, pur essendo ad oggi noti ben 10 geni alla base della malattia. Nella variante LQT1, dovuta a difetti sul gene KCNQ1, la maggior parte degli eventi si manifestano in condizioni di stress fisico ed il nuoto unattivit particolarmente rischiosa. In questi pazienti la terapia beta-bloccante estremamente efficace. I pazienti LQT2 hanno la maggior parte dei loro eventi in condizioni di stress emotivo e tipicamente a seguito di rumori improvvisi specie se al risveglio; in questo sottogruppo genetico lefficacia dei beta-bloccanti buona. I pazienti LQT3 sono quelli di pi difficile gestione. Essi hanno mutazioni sul gene SCN5A e la maggior parte dei loro eventi avviene a riposo o durante il sonno. La terapia beta-bloccante solo parzialmente efficace e spesso si devono considerare misure terapeutiche aggiuntive quali il bloccante del sodio mexiletina, la denervazione simpatica cardiaca di sinistra o limpianto del defibrillatore. La morte improvvisa pu essere la prima manifestazione della malattia in un 10-12% dei casi di Sindrome del QT Lungo ed in uno studio recente mutazioni responsabili della LQTS sono state identificate in ben il 20% delle morti improvvise di giovani con autopsia negativa (9). Poich in questa malattia esiste una terapia (farmaci betabloccanti) in grado di ridurre significativamente il rischio di aritmie fatali, non vi sono giustificazioni per lesistenza di pazienti sintomatici senza diagnosi. Sindrome del QT Corto. E una cardiopatia a trasmissione autosomica dominante di recente descrizione. E caratterizzata dalla presenza di un intervallo QT corto allECG di superficie (QTc<340 msec) e da un elevato rischio di aritmie ventricolari maligne. Purtroppo nessuna terapia farmacologia si dimostrata fino ad ora in grado di ridurre in maniera significativa il rischio aritmico, pertanto limpianto di un defibrillatore rimane per il momento lopzione di scelta per la prevenzione della morte improvvisa. Sindrome di Brugada. E una cardiopatia caratterizzata allECG da unonda terminale positiva larga (onda J), che simula un blocco di branca destra completo o incompleto, e da un sopraslivellamento del tratto ST da V1 a V3. Questa patologia si associa ad un significativo rischio di morte improvvisa, che avviene tipicamente nel sonno o in condizioni di riposo. La distribuzione per sesso ed et sembra privilegiare il sesso maschile fra la terza e la quinta decade di vita. Anche in questo caso lunico strumento di prevenzione della morte improvvisa limpianto del defibrillatore, che viene riservato a quei pazienti con un elevato profilo di rischio (pregresso arresto cardiaco o sincope di verosimile origine aritmica, pattern diagnostico spontaneo con inducibilit di aritmie ventricolari maligne allo studio elettrofisiologico, familiarit per morte improvvisa) Tachicardia Ventricolare Catecolaminergica (CPVT). E una cardiopatia a trasmissione autosomica dominante caratterizzata dallo sviluppo di tachicardie ventricolari polimorfe, tipicamente bidirezionali, che possono degenerare in fibrillazione ventricolare e quindi morte improvvisa. Le aritmie sono tipicamente indotte dallesercizio fisico, pertanto per fare una diagnosi corretta necessario effettuare un test ergometrico od un ECG Holter delle 24 ore, mentre lECG di base solitamente normale. Da uno studio emerso che mutazioni responsabili della CPVT sono state identificate nel 15% delle morti improvvise di giovani con autopsia negativa. Anche per questa malattia esiste una terapia (beta-bloccante) in grado di ridurre il rischio di aritmie fatali. Se la terapia beta-bloccante non sufficiente sono disponibili misure terapeutiche aggiuntive come la denervazione simpatica cardiaca di sinistra ed eventualmente limpianto del defibrillatore. Cardiopatie Congenite Un aumento del rischio di morte cardiaca improvvisa stato descritto fondamentalmente in quattro condizioni, e cio nella tetralogia di Fallot, nella trasposizione delle grandi arterie, nella stenosi aortica e nellostruzione vascolare polmonare (vedi Capitolo). Il rischio persiste dopo lintervento cardiochirurgico ed presente anche nellipertensione polmonare primitiva e secondaria. Nella tetralogia di Fallot la durata del QRS si correla con le dimensioni del ventricolo destro e con il rischio di morte improvvisa. Altre patologie cardiovascolari Altre patologie cardiovascolari che possono associarsi al rischio di morte improvvisa sono lembolia polmonare (vedi Capitolo), la dissezione aortica (vedi Capitolo), e tutti quei processi infiammatori, infiltrativi, neoplastici e degenerativi che possono interessare il miocardio. Alcuni esempi sono rappresentati dallamiloidosi, dalla sarcoidosi dallemocromatosi e da tutte le possibili diverse forme di miocardite. SIDS

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Il termine Sudden Infant Death Syndrome (SIDS) identifica una morte improvvisa nel primo anno di vita che risulta inaspettata in base alla storia clinica del soggetto ed in cui lesame autoptico non riesce a dimostrare unadeguata causa di morte. La SIDS la principale causa di morte infantile nei paesi occidentali e colpisce circa 1 bambino ogni 2000 nati vivi. Esistono diverse ipotesi riguardo la genesi della SIDS, le due pi accreditate sono la teoria respiratoria e quella cardiaca. Gi negli anni settanta era stato ipotizzato che alcuni casi SIDS fossero legati a fibrillazione ventricolare ed era stato proposto che la Sindrome del QT Lungo potesse essere responsabile di alcuni di questi casi. Questa ipotesi venne supportata dai risultati di uno studio prospettico su 34442 neonati dimostranti che i neonati con un QTc > 440 ms avevano un rischio di SIDS 41 volte superiore a quelli con intervallo QT normale. La dimostrazione finale della validit dellipotesi per cui un certo numero di casi di SIDS pu dipendere dalla LQTS giunta da uno studio molecolare in oltre 200 casi SIDS ed un simile numero di controlli. E emerso che il 10% delle vittime SIDS ha mutazioni sui geni responsabili per la Sindrome del QT Lungo. Questo dato indica che almeno una parte di queste tragedie con devastanti effetti familiari pu essere evitata, e pone lattenzione sulla necessit di effettuare screening elettrocardiografici nel primo mese di vita, per individuare il pi precocemente possibile pazienti affetti da Sindrome del QT Lungo e potenzialmente a rischio di morte cardiaca improvvisa, sia nel primo anno di vita che pi avanti, se non correttamente diagnosticati e trattati.

Sezione XII. Ipertensione arteriosa Capitolo 45 L'IPERTENSIONE ARTERIOSA Massimo Volpe, Sebastiano Sciarretta
DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA Per Ipertensione arteriosa si intende una condizione clinica morbosa caratterizzata da un aumento anomalo stabile, e non legato a normali variazioni fisiologiche, dei livelli di pressione arteriosa. Tale aumento riguarda pi frequentemente entrambe le pressioni sistolica e diastolica, ma esistono forme di ipertensione caratterizzate da aumento solo della pressione sistolica (ipertensione sistolica isolata), condizione pi frequente negli anziani, o pi raramente solo della diastolica. In base alle ultime Linee Guida europee sulla gestione clinica del paziente iperteso, la presenza di ipertensione arteriosa viene definita arbitrariamente da valori di pressione arteriosa > 140 mmHg per quanto riguarda la pressione sistolica e/o > 90 mmHg per quanto riguarda la pressione diastolica. Sulla base dei livelli pressori inoltre, la malattia ipertensiva pu essere classificata in 3 diversi gradi di severit clinica (grado I: 140-159/90-99 mmHg; grado II: 160-179/100-109 mmHg; grado III: > 180/>110 mmHg) che, come intuibile, possono avere un diverso impatto sulla storia naturale della malattia. Lipertensione arteriosa viene definita essenziale quando non possibile risalire ad una eziologia chiaramente identificabile alla base del suo sviluppo, e questa rende conto di oltre il 90% dei casi di ipertensione arteriosa. Di contro, quando laumento dei valori pressori secondario a disordini daltra natura, lipertensione arteriosa viene definita secondaria. Lipertensione arteriosa essenziale una condizione di enorme rilevanza epidemiologica, pressoch ubiquitaria nel nostro pianeta. Nella maggioranza dei casi, interessa soggetti adulti con prevalenza direttamente correlata allet. Si presume che nel mondo vi siano circa 690 milioni di soggetti attualmente affetti da ipertensione arteriosa. La prevalenza nella popolazione generale di circa il 20%, ma sale ad oltre il 50% nella popolazione det superiore ai 60 anni. Per quanto riguarda il sesso, la prevalenza dipertensione maggiore nei maschi quando si considerano soggetti con et inferiore ai 50 anni, mentre uguale tra i 2 sessi per et superiori. In termini sociali, lipertensione arteriosa pi frequente nelle zone urbane rispetto a quelle rurali, in particolare nei quartieri meno agiati, nonch nei Paesi industrializzati, mentre per quanto riguarda la razza, la prevalenza dipertensione maggiore in quella nera. In base a queste considerazioni si prevede che entro il 2025 vi saranno nel mondo oltre 1 miliardo e 200 milioni di ipertesi, con un impatto di gran lunga superiore a qualunque altra condizione in termini di carico di malattia. EZIOPATOGENESI E FISIOPATOLOGIA Se lipertensione di tipo secondario riconosce i suoi fattori eziopatogenetici nella malattia primitiva a cui associata, alla base dello sviluppo dellipertensione arteriosa essenziale vi sono molti fattori causali per lo pi non identificati. Lipertensione arteriosa essenziale pu essere definita una malattia multifattoriale, dove elementi di tipo genetico ed ambientale agiscono sinergicamente su numerosi processi biochimici e metabolici che a loro volta sono alla base del suo sviluppo. Tra i fattori ambientali, i pi importanti sono legati allo stile di vita e allalimentazione, e sono la sedentariet, lo stress psichico, labitudine tabagica, una dieta ipersodica ed iperlipidica, ed il frequente ed eccessivo consumo di alcool e caff. Tra i fattori genetici identificati e pi probabilmente coinvolti, vanno annoverati invece quelli determinanti una maggiore attivit del sistema reninaangiotensina-aldosterone, un aumento costituzionale del tono adrenergico, un aumento della risposta vascolare a sostanze vasocostrittrici quali lendotelina, una ridotta escrezione renale di sodio ed infine una ridotta sintesi endoteliale di sostanza vasodilatanti (prostacicline, EDRF etc). Fisiologicamente la pressione arteriosa determinata dal prodotto delle resistenze periferiche per la gittata cardiaca, la quale a sua volta la risultante del prodotto della frequenza cardiaca per la gittata sistolica. Pertanto

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proprio sulle resistenze periferiche, la frequenza cardiaca e la gittata sistolica che agiscono i differenti meccanismi fisiologici che regolano la pressione arteriosa. Per esempio, le resistenze periferiche sono condizionate dal sistema simpatico, che regola il tono vascolare, cos come lo la frequenza cardiaca, mentre la gittata sistolica prevalentemente regolata dalla contrattilit miocardica e dal precarico, a sua volta correlato alla volemia. In generale, i meccanismi preposti al controllo della pressione arteriosa possono essere distinti in meccanismi a breve, medio e lungo termine. Tra i meccanismi a breve termine possono essere annoverati i sistemi baro- e chemo-recettoriali, che modificano in pochi secondi il tono simpatico modulando lattivit cardiaca, il tono arteriolare e i livelli pressori. I meccanismi a medio termine sono invece quelli di tipo umorale mediati principalmente dal sistema renina-angiotensina-aldosterone, dalla vasopressina e dal sistema delle chinine. Il rene invece deputato al controllo a lungo termine della pressione arteriosa, principalmente attraverso la regolazione della volemia. Pertanto qualsiasi alterazione patologica dei suddetti determinanti fisiologici della pressione arteriosa e dei suoi meccanismi di regolazione pu determinare linsorgenza di uno stato ipertensivo. In particolare, tra i meccanismi fisiopatologici responsabili dello sviluppo dellipertensione arteriosa essenziale quelli maggiormente implicati sono legati ad unalterata omeostasi elettrolitica soprattutto del sodio, al rimodellamento vascolare, ad uniperattivit del sistema renina-angiotensina-aldosterone, ad una ridotta sensibilit insulinica ed in ultimo ad una funzione endoteliale alterata. Un aumento delle concentrazioni organiche di sodio sicuramente coinvolto nella genesi della malattia ipertensiva, in particolare attraverso un aumento del volume plasmatico ed un aumento delle resistenze periferiche. Tuttavia studi clinici hanno mostrato come solo in una frazione (20-30%) dei soggetti ipertesi una riduzione dellintroito di sodio determini una significativa riduzione dei valori pressori. Sulla base di tale risposta individuale alla riduzione dellintroito di sodio stata coniata la definizione di ipertensione arteriosa sodiosensibile. Anche altri elettroliti sono coinvolti nella genesi dellipertensione arteriosa tra cui il potassio ed il calcio, le cui concentrazioni sono inversamente associate ai valori pressori. Tuttavia diversi studi che hanno valutato gli effetti di un aumento dellassunzione dietetica di potassio e calcio sulla riduzione della pressione hanno fornito finora risultati controversi. Lipertensione arteriosa associata nella maggior parte dei casi ad un aumento delle resistenze periferiche, e se nelle fasi iniziali del suo sviluppo tale aumento spesso secondario ad una vasocostrizione arteriolare di origine funzionale, dipendente da un aumentato stimolo da parte di sostanze vasoattive quali catecolamine, angiotensina II o endoteline, o ad unelevazione persistente della portata cardiaca, successivamente un rimodellamento vascolare strutturale implicato nel perpetuarsi di elevati valori pressori. Infatti lincremento della pressione ed il costante insulto meccanico sulle pareti dei vasi stimolano lo sviluppo di unipertrofia delle cellule muscolari lisce vascolari, con ulteriore riduzione del lume arteriolare, ed il conseguente aumento delle resistenze periferiche, le quali determinano la persistenza od anche il peggioramento dello stato ipertensivo, anche quando i potenziali fattori causali iniziali vengano a mancare. Tra i determinanti fisiologici del tono vascolare, ha un ruolo primario il sistema renina-angiotensina-aldosterone, il quale esercita importanti azioni regolatorie sulla pressione arteriosa anche attraverso la regolazione dellomeostasi elettrolitica e del riassorbimento di sodio e acqua a livello tubulare; inoltre, attraverso effetti di tipo autocrino e paracrino, in alcuni tessuti lattivit del sistema renina-angiotensina-aldosterone regola la crescita e la differenziazione cellulare e favorisce lo sviluppo di fibrosi tissutale, in particolare a livello vascolare. Pertanto, una disregolazione dellattivit del sistema renina-angiotensina-aldosterone, ad esempio unattivit sproporzionata rispetto allassunzione di sodio o ai livelli pressori stessi, determina un aumento dei valori pressori e progressive modificazioni strutturali vascolari e cardiache, tali da giustificare lintervento farmacologico su questo sistema. Anche linsulina svolge delle azione regolatorie importanti sulla pressione arteriosa: legandosi ai recettori tirosinkinasici essa determina a livello endoteliale una cascata trasduzionale intracellulare che porta allaumentata trascrizione genica e successivamente alla sintesi dellenzima ossido nitrico sintetasi, il quale catalizza la produzione di ossido nitrico, sostanza con potente azione vasodilatatoria ed anti-infiammatoria. Quindi nelle condizioni caratterizzate da una ridotta sensibilit insulinica a livello vascolare si assiste ad una riduzione della sintesi di ossido nitrico con conseguente aumento delle resistenze periferiche e dei valori pressori. Inoltre, laumento compensatorio delle concentrazioni di insulina negli stati di insulino-resistenza si associa ad un incremento del tono simpatico con un ulteriore aumento del tono vascolare ed una riduzione della funzionalit endoteliale. Questultima sicuramente un altro importante elemento sottostante allo sviluppo di ipertensione arteriosa. Lendotelio, infatti, svolge importanti azioni protettive a livello vascolare, attraverso la produzione di sostanze vasodilatanti ad azione autocrina e paracrina quali lossido nitrico, le prostacicline e lendothelium-derived relaxing factor (EDRF), ed anche attraverso la produzione di sostanze antitrombotiche (vedi Capitolo 48). Tuttavia quando questo sottoposto allazione dannosa dei diversi fattori di rischio quali fumo e diabete, si realizza a livello vascolare e cellulare uninfiammazione subclinica ed un aumento dello stress ossidativo, i quali danneggiano le cellule endoteliali e conseguentemente portano allo sviluppo della loro disfunzione. Quando si instaura una disfunzione endoteliale vengono meno le suddette funzioni protettive collegate ad un endotelio integro, con conseguente aumento della reattivit vascolare, aumentata espressione di molecole dadesione leucocitaria che portano al perpetuarsi dellinfiammazione vascolare, ed in ultimo unaumentata suscettibilit alla evoluzione

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aterosclerotica e alla formazione di trombosi. Questi processi promuovono in ultima istanza lo sviluppo di eventi aterotrombotici (vedi Capitolo 46). IMPATTO CLINICO Nella maggioranza dei casi, lipertensione arteriosa non determina lo sviluppo n di sintomi o disturbi, n di complicanze a breve termine, bens pu decorrere asintomatica per molti anni, determinando progressive e sempre pi gravi alterazioni strutturali e funzionali a carico del sistema cardiovascolare, renale e cerebrale. Complicanze anche molto gravi, spesso precedute da alterazioni di tipo pre-clinico, possono palesarsi improvvisamente con eventi acuti e drammatici quali linfarto del miocardio, lictus cerebrale e lo scompenso cardiaco. La relazione tra ipertensione arteriosa ed aumento dellincidenza di patologie cardiovascolari fu illustrato in maniera molto chiara dalle ormai mitiche tabelle elaborate dagli studi condotti da una compagnia assicurativa nordamericana, la Metropolitan Life Insurance Company, che dimostravano come in una popolazione di uomini di quarantacinque anni, valori pressori di 130/90 mmHg rispetto a valori pressori inferiori erano in grado di determinare una riduzione dellaspettativa di vita di 3 anni, e, se ci si spingeva fino a valori pressori di 140 su 95 mmHg laspettativa di vita si riduceva di 6 anni. Ancor pi, se si consideravano uomini con valori pressori di 150 su 100 mmHg laspettativa di vita media si riduceva di 11.5 anni. Una conferma di questi dati ci stata fornita da diversi studi epidemiologici tra cui quello condotto da Wilhelmsen, nel quale veniva dimostrato come laumento dei valori pressori anche se limitato a 10 mmHg, corrispondesse ad un brusco incremento della incidenza di coronaropatia, anche nellambito del range dei valori pressori normali. La Prospective Studies Collaboration ha comunque fornito le evidenze pi importanti sulla relazione tra ipertensione arteriosa ed aumento del rischio cardiovascolare. Questa analisi ha preso in esame circa 1 milione di pazienti in 61 studi prospettici osservazionali per 12 anni. A partire da unet compresa tra 40 e 69 anni, ogni aumento di 20 mmHg di pressione arteriosa o di 10 mmHg di pressione diastolica risultato associato ad aumenti di 2 volte di mortalit per cardiopatia ischemica e circa 4 volte per ictus. La mortalit vascolare risultava superiore al 50% nella decade 80-89 anni, mentre il rischio relativo era maggiore nei soggetti pi giovani, con un aumento di circa 10 volte. Lipertensione arteriosa viene pertanto considerata un classico fattore di rischio per lo sviluppo di malattie cardiovascolari. Il significato ed il valore predittivo dei valori di pressione arteriosa nei confronti delle principali malattie cardiovascolari quali la cardiopatia ischemica e lictus cerebrale stato gi identificato da alcuni decenni. E stato a tal proposito dimostrato che persino nellambito di popolazioni non ipertese il progressivo incremento dei valori pressori corrisponde ad una graduale riduzione dellaspettativa di vita. Se da un lato valori pressori elevati sono associati ad un aumento del rischio cardiovascolare, parallelamente la loro riduzione in grado di prevenire lo sviluppo di una considerevole percentuale di complicanze soprattutto di natura cerebrovascolare. La relazione tra ipertensione arteriosa e rischio cardiovascolare aumentato non comunque secondaria solo alla presenza di elevati valori pressori, bens una conseguenza anche di altri fattori di rischio cardiovascolari che sono frequentemente presenti nel paziente iperteso, quali la dislipidemia, il diabete mellito, lobesit ed il fumo. La presenza contemporanea di fattori di rischio multipli stata indagata nel corso dello studio di Framingham che ha dimostrato come la presenza isolata d'ipertensione arteriosa si osservi solo nel 20% dei pazienti, mentre nel 50% dei casi elevati valori pressori si associano a 2 o 3 fattori di rischio concomitanti. Questa frequente associazione tra ipertensione arteriosa ed altre anomalie del profilo metabolico quali il diabete mellito e la dislipidemia suggerisce come queste associazioni non siano casuali ma siano probabilmente legate alla presenza di fattori eziopatogenetici comuni alla base dello sviluppo di tali anomalie. Il riscontro di alterazioni del profilo lipidico caratterizza un'ampia percentuale della popolazione ipertesa e contribuisce in maniera sostanziale allo sviluppo di complicanze cardiovascolari. L'alterazione del profilo lipidico pi frequentemente associata alla presenza di ipertensione certamente lipercolesterolemia, presente in oltre il 40% dei pazienti con valori pressori francamente elevati e con una prevalenza progressivamente crescente al crescere della gravit del quadro ipertensivo, supportando uneventuale correlazione tra tali due fattori di rischio anche in ambito patogenetico. Dislipidemia ed elevati valori pressori sono inoltre elementi costitutivi della cosiddetta sindrome metabolica, condizione clinica frequentemente associata alla presenza di ipertensione arteriosa. Questa sindrome caratterizzata, da un punto di vista clinico, dalla presenza di pi fattori di rischio associati, mentre da un punto di vista fisiopatologico dalla presenza di unobesit viscerale, particolarmente aterogena, da una condizione di insulino-resistenza, ed infine da uno stato infiammatorio cronico subclinico. Anche il diabete mellito di tipo 2 risulta associato frequentemente allipertensione arteriosa con la quale condivide la responsabilit di una significativa quota della mortalit e morbilit cardiovascolare, nonch alcuni importanti tratti fisiopatologici. Le conseguenze patologiche dellipertensione arteriosa possono essere di tipo preclinico e clinico; le prime sono caratterizzate da modificazioni strutturali e funzionali a carico degli organi bersaglio senza che queste si manifestino con sintomi o segni clinici, le seconde consistono invece in alterazioni organiche pi gravi che si palesano con dei quadri clinici ben definiti, soprattutto linfarto del miocardio, lo scompenso cardiaco e lictus cerebri. In generale la conseguenza patologica classica della malattia ipertensiva lo sviluppo di aterosclerosi, che vede maggiormente coinvolti il cuore con i vasi arteriosi, il rene ed il sistema nervoso centrale.

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Le principali alterazioni precliniche cardiache associate allipertensione sono legate ai processi di rimodellamento ventricolare sinistro in risposta allo stato ipertensivo e sebbene siano asintomatiche, configurano comunque una condizione clinica fortemente predittiva di eventi cardiovascolari futuri, condizione identificata con il termine di cardiopatia ipertensiva (Patologia 46). Tali alterazioni cardiache riconoscono nellipertrofia ventricolare sinistra e nella disfunzione diastolica le manifestazioni principali. La prima caratterizzata dallaumento della massa cardiaca soprattutto in risposta allaumento dello stress sistolico determinato dalla pressione elevata, e pu essere di tipo concentrico od eccentrico. Il primo tipo caratterizzato dallispessimento delle pareti ventricolari per la classica apposizione di nuovi sarcomeri in parallelo, senza un aumento della cavit ventricolare, il secondo tipo invece caratterizzato dallaumento del diametro ventricolare consensuale allaumento degli spessori parietali, secondariamente allapposizione, a livello miocardico, di nuovi sarcomeri in serie. La prevalenza di ipertrofia ventricolare sinistra, diagnosticata allECG (vedi Capitolo 3) del 3-8% nei pazienti con ipertensione lieve-moderata, mentre allesame ecocardiografico (vedi Capitolo 4) la massa ventricolare aumentata in ipertesi non selezionati dal 12 al 30%, e dal 20 al 60% nei centri di riferimento. L ipertrofia ventricolare sinistra diagnosticata con lecocardiogramma un potente fattore di rischio indipendente per eventi avversi cardiovascolari maggiori, ed aumenti progressivi della massa ventricolare sono correlati continuativamente con il rischio cardiovascolare sia negli uomini che nelle donne, come dimostrato in numerosi studi. Per disfunzione diastolica del ventricolo sinistro sintende invece lincapacit di questa camera cardiaca, durante la diastole, di accogliere il sangue a basse pressioni di riempimento, per cui il ventricolo pu raggiungere un volume telediastolico tale da garantire unadeguata gittata sistolica solo a spese di unaumentata pressione diastolica la quale, a sua volta, si riflette in un incremento della pressione in atrio sinistro e nelle vene polmonari. Dal punto di vista fisiopatologico, la disfunzione diastolica pu essere conseguenza di alterazioni funzionali della fase attiva del rilasciamento ventricolare in protodiastole, o essere secondaria ad alterazioni della geometria ventricolare sinistra o dellarchitettura miocardica tali da compromettere le fisiologiche propriet elastiche del ventricolo sinistro coinvolte nel riempimento telediastolico. La prevalenza di disfunzione diastolica negli ipertesi anziani stata stimata intorno al 25%, ed stato dimostrato come questa rappresenti un predittore indipendente di eventi cardiovascolari avversi. Le manifestazioni cliniche cardiache pi gravi e comuni dellipertensione arteriosa sono identificate invece nella cardiopatia ischemica, rappresentando linfarto del miocardio la pi frequente causa di mortalit nel paziente iperteso, e la complicanza meno efficacemente influenzata dal trattamento antiipertensivo. Le manifestazioni ischemiche nellipertensione arteriosa sono per lo pi secondarie alla presenza di placche aterosclerotiche coronariche, ma spesso possono essere caratterizzate da una disfunzione del microcircolo subendocardico che determina una riduzione della riserva coronarica. La malattia ipertensiva si manifesta anche con lo scompenso cardiaco, di tipo sistolico o diastolico (vedi Capitolo 19). Il primo si verifica nei pazienti con disfunzione ventricolare sinistra sistolica insorta secondariamente alla presenza di una cardiopatia ischemica o di una cardiopatia ipertensiva evoluta attraverso lo sviluppo di una disfunzione contrattile (evoluzione ipocinetica), il secondo tipo si associa invece ad una normale funzione contrattile ventricolare e sembra essere secondario alla presenza di una disfunzione diastolica. In ultimo, altre complicanze cardiache comuni nellipertensione arteriosa sono le aritmie, in particolare la fibrillazione atriale. Questa aritmia considerata secondaria alle modificazioni strutturali dellatrio sinistro conseguenti all aumento cronico delle pressioni atriali solitamente secondario alla presenza di una disfunzione diastolica. Complicanze aritmiche pi temibili sono invece quelle ventricolari che possono precipitare in una morte improvvisa. In questo contesto verosimile che giochino un ruolo fenomeni di rientro elettrico ventricolare causati da un progressivo disarrangiamento dellarchitettura miocardica, caratterizzato soprattutto da un aumento della fibrosi interstiziale, frequentemente osservabile nelle alterazioni della geometria ventricolare sinistra. Lipertensione arteriosa ha effetti patologici importanti anche sui reni, infatti circa il 20% degli ipertesi affetto da insufficienza renale cronica. Tuttavia la progressione dallipertensione non complicata allinsufficienza renale non rapida, bens dura anni, periodo nel quale si verificano progressive alterazioni strutturali a carico dei reni che, se dapprima non hanno delle ripercussioni funzionali importanti, successivamente determinano una progressiva riduzione del filtrato glomerulare e lo sviluppo di insufficienza renale. Un indice precoce di danno renale preclinico, in particolare negli ipertesi diabetici, la presenza di microalbuminuria, che consiste in unaumentata escrezione di albumina nelle urine, compresa per definizione tra i 30 ed i 300 mg/die, infatti oltre i 300 mg questa si definisce invece macroalbuminuria. Un aumento dellescrezione di albumina pu semplicemente rappresentare una conseguenza dellaumento della pressione idrostatica intraglomerulare, ma pu anche derivare da un danno della barriera glomerulare, o da unalterazione del riassorbimento tubulare dellalbumina filtrata. Anche la microalbuminuria rappresenta un predittore di rischio indipendente per eventi cardiovascolari maggiori, particolarmente negli ipertesi diabetici, ed stato dimostrato come un rischio aumentato sussiste gi per valori di microalbuminuria al di sotto del cut-off di normalit. Se non trattata, lipertensione arteriosa determina con il tempo una progressione inesorabile del danno renale, particolarmente quando si associa al diabete, verso una riduzione significativa del filtrato glumerulare con lo sviluppo dinsufficienza renale cronica, che anche conseguente allaumento importante delle resistenze vascolari intraparenchimali renali. Questa evoluzione spinge i valori pressori ad aumentare ulteriormente rendendo ancor pi grave il quadro clinico e pi difficile il trattamento.

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Infine, va sottolineato che il danno vascolare tipico dellipertensione coinvolge in modo significativo lencefalo, in conseguenza dellaccelerato processo di aterosclerosi, nonch attraverso lo stimolo meccanico costituito dagli elevati valori pressori. Alterazioni relativamente precoci sono osservate a carico del distretto carotideo, e possono essere caratterizzate da un lieve ispessimento del complesso intima-media carotideo, o da lesioni aterosclerotiche non stenosanti, oppure da placche che determinano stenosi di variabile severit del lume vascolare. Tutte queste alterazioni, anche quando ancora nello stato preclinico, sono associate ad un rischio aumentato di sviluppare eventi acuti cerebrovascolari, e per tal motivo una loro precoce individuazione permette una migliore stratificazione del rischio del paziente iperteso e di conseguenza la scelta corretta della strategia terapeutica pi efficace. Quando si manifesta clinicamente, la cerebrovasculopatia ipertensiva pu essere caratterizzata da un quadro di emorragia cerebrale, o pi frequentemente dallictus ischemico o da un attacco ischemico transitorio (TIA), da un infarto lacunare, od in ultimo da unencefalopatia acuta ipertensiva. VALUTAZIONE CLINICO-STRUMENTALE E STRATIFICAZIONE DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE L'ipertensione arteriosa rappresenta una condizione clinica che comporta un incremento del rischio cardiovascolare, sia di per s, attraverso i valori pressori elevati, sia perch tipicamente associata alla presenza di una serie complessa di altri fattori di rischio ed alterazioni morfo-funzionali i quali, presentandosi nello stesso soggetto secondo diverse possibili combinazioni, contribuiscono a definirne il profilo di rischio globale. Pertanto la classificazione dell'ipertensione arteriosa basata sulla sola valutazione dei valori pressori non permette un'adeguata rappresentazione del rischio individuale della patologia, che invece la risultante dell'interazione tra incremento pressorio e profilo di rischio concomitante. Negli ultimi anni di conseguenza radicalmente mutato lorientamento clinico nei confronti del paziente iperteso, con un approccio non pi mirato solo alla riduzione dei valori pressori, ma basato innanzitutto sulla valutazione del rischio cardiovascolare globale il quale deve successivamente guidare la condotta terapeutica. Nell'approccio razionale al rischio cardiovascolare nel paziente iperteso, uno degli elementi essenziali certamente rappresentato dalla possibilit di quantificare il rischio del paziente attraverso una valutazione integrata del contributo relativo di ciascuno dei fattori di rischio prima elencati (Tabella I). Secondo questa logica, in un paziente con un aumento lieve dei valori di pressione arteriosa, la presenza di altri fattori di rischio associati determina una probabilit di sviluppo di complicanze cardiovascolari comparabile o addirittura maggiore rispetto a quella che caratterizza i pazienti con un aumento pressorio pi marcato, ma isolato (Figura 1). Sulla base di tali considerazioni, lobiettivo principale della valutazione clinico-strumentale del paziente iperteso dunque quello di definirne il profilo di rischio globale, sia attraverso una buona raccolta anamnestica, che permetta di capire quali altri fattori di rischio sono associati alla presenza di ipertensione, sia attraverso il loro riscontro diretto mediante esami ematochimici o strumentali. Attraverso gli esami strumentali possiamo valutare soprattutto se sono gi presenti segni di danno dorgano causato dallo stato ipertensivo, la cui presenza, come gi precedentemente discusso, identifica una condizione a rischio aumentato.

Anamnesi. Nella raccolta della storia clinica occorre porre particolare attenzione ad individuare tutti quegli elementi che possono indicare un aumento del rischio cardiovascolare. Anzitutto importante una raccolta di informazioni sui fattori che possono determinare un aumento della pressione arteriosa del soggetto in esame, quali let, il sesso, lereditariet, la razza, il consumo di alcool e di caff e lo stress. Successivamente fondamentale chiedere informazioni sulla presenza di altri elementi che possono influenzare il profilo di rischio, quali il diabete, la dislipidemia, il fumo di sigaretta, lo stile di vita e la familiarit per malattie cardiovascolari. Durante la raccolta anamnestica si deve porre attenzione inoltre alleventuale uso di farmaci che possono determinare un aumento dei valori pressori, quali i FANS, gli spray nasali ed i cortisonici, ed escludere lassunzione di sostanze stupefacenti, in particolare i simpatico-mimetici indiretti come la cocaina e lanfetamina. Bisogna infine indagare se gi si sono verificati degli eventi cardiovascolari maggiori, quali langina o linfarto, o lictus, perch in tal caso il rischio cardiovascolare del soggetto molto elevato (Tabella II).

Esame obiettivo. Anche se la maggior parte dei pazienti risulta normale allesame fisico, unattenta valutazione del paziente iperteso necessaria al fine di scoprire se vi sono segni che facciano sospettare unipertensione secondaria e per valutare leventuale presenza di complicanze cardiovascolari (Tabella III). Un momento importante nella raccolta dei dati obiettivi durante la visita medica la misura della pressione arteriosa. Grande attenzione deve essere posta nell'ottenere una misurazione corretta, focalizzandosi in particolare sui seguenti aspetti:

il paziente non deve aver fumato o assunto caffeina nei 30 minuti precedenti la misurazione; il paziente deve essere seduto comodamente con il bracciale posto a livello del cuore; la misurazione deve essere effettuata dopo almeno 5 minuti di riposo;

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si devono misurare le pressioni sistolica e diastolica utilizzando rispettivamente il I e il V tono di Korotkoff; va quindi effettuata la media fra due o pi misurazioni, separate da un intervallo di almeno 2 minuti; devono essere impiegati sfigmomanometri a mercurio (tipo Riva-Rocci) o in alternativa apparecchi aneroidi tarati di recente; i bracciali devono essere di dimensioni appropriate, cio con un manicotto che circondi il braccio del paziente completamente o almeno per l'80%; nei bambini e negli obesi opportuno utilizzare bracciali specifici. Nella valutazione del paziente in esame, oltre all esame obiettivo generale e cardiovascolare, importante rilevare il peso e la distribuzione del grasso corporeo, in particolare mediante la misurazione della circonferenza addominale. L'obesit addominale rappresenta, infatti, un riconosciuto fattore di rischio cardiovascolare. Inoltre tra massa corporea e ipertensione arteriosa vi una correlazione significativa che indipendente dall'et e dal sesso, e tale relazione confermata anche quando vengono impiegate le tecniche pi raffinate per lo studio del grasso corporeo. A tal proposito i normotesi obesi hanno maggiori probabilit di diventare ipertesi e gli ipertesi magri di diventare obesi. Infine, a conferma dell'importanza di questo fattore, stato dimostrato che diminuzioni del peso corporeo di 12 kg e 3 kg indurrebbero riduzioni pressorie sistolica e diastolica rispettivamente di 21/13 mmHg e di 7/4 mmHg.

Esami ematochimici e strumentali. Anche nelle recenti Linee Guida stato raccomandato di effettuare una serie di esami bioumorali e strumentali, allo scopo non solo di definire la presenza di danno d'organo nel paziente, ma anche di identificare altri eventuali fattori di rischio associati. Alcune di queste indagini devono essere orientate da informazioni desunte dall'anamnesi e dall'esame obiettivo. - Esame emocromocitometrico: studia la crasi ematica, gli stati anemici, gli stati infettivi, etc - Creatininemia e clearance della creatinina: studio della funzione renale. Queste analisi permettono di scoprire alterazioni renali che possono concorrere allo sviluppo di ipertensione o esserne una conseguenza. Se la creatininemia inizia a elevarsi quando la funzione renale scende sotto i 50-45 ml/min, il calcolo della clearance invece, fornisce informazioni pi precise. - Glicemia basale, colesterolemia totale e le sue frazioni LDL ed HDL, la trigliceridemia e luricemia: quando alterati, questi parametri amplificano gli effetti lesivi dell'ipertensione costituendo ulteriori fattori di rischio cardiovascolare. - Potassiemia: in genere marcatamente alterata (ipopotassiemia) nella sindrome di Conn, nella sindrome di Cushing, nell'ipertensione nefrovascolare e durante l'assunzione non controllata di diuretici. - Esame delle urine: pu mostrare una microalbuminuria od una proteinuria franca, oppure la presenza di cilindri, leucociti, emazie, etc. - Elettrocardiogramma (vedi Capitolo 3): pu evidenziare un sovraccarico o un'ipertrofia del ventricolo sinistro mediante i criteri di Sokolow- Lyon (SV1+RV5 o V6 = 3,8 mV) o di Cornell-voltaggio (SV3+Ra Vl = 2,8 negli uomini e 2,0 mV nelle donne). Rispetto all'ecocardiogramma comunque un test molto meno sensibile anche se specifico. - Ecocardiogramma (vedi Capitolo 4): fornisce dati pi affidabili su un'eventuale presenza di ipertrofia e sulla geometria e funzionalit del ventricolo sinistro. Consente inoltre di determinare la presenza di una disfunzione diastolica e di classificarla nei suoi 3 pattern di disfunzione a gravit crescente. - Eco-Doppler arterioso (vedi Capitolo 12): per lo studio dei distretti arteriosi epiaortico e degli arti inferiori. Particolarmente importante lo studio ecoDoppler delle arterie carotidi, per la quantificazione dello spessore del complesso intima-media carotideo. - Monitoraggio dinamico della pressione arteriosa per 24 ore (ABPM): consiste nella registrazione per 24 h dei valori di pressione arteriosa campionati circa ogni 30 minuti. Pu fornire importanti informazioni quando vi sono marcate differenze fra i valori pressori riscontrati in pi visite, o quando ci sono discordanze tra i livelli riscontrati dal medico e quelli registrati dal paziente; inoltre utile per verificare il ritmo circadiano della pressione e lefficacia della terapia antiipertensiva. - Automisurazione della pressione arteriosa a domicilio dal paziente: consente la raccolta di valori pressori per diversi giorni e offre la possibilit di ottenere la loro media anche su molti mesi, coinvolgendo il paziente nella gestione del suo problema. La Tabella IV propone i valori di riferimento della popolazione normale con le differenti tecniche di misurazione della pressione arteriosa. - Esame del fondo dell'occhio: rileva le alterazioni delle arterie retiniche legate allo stato ipertensivo. Secondo le ultime Linee Guida assume un valore specifico solo in forme gravi di ipertensione, in grado di determinare la comparsa di essudati ed emorragie della retina (III-IV stadio della classificazione della retinopatia secondo Keith e Wegener). IPERTENSIONE ARTERIOSA SECONDARIA Lipertensione arteriosa secondaria rappresenta circa il 5% dei casi di ipertensione ed la conseguenza di un disordine primitivo soprattutto di tipo renale od endocrinologico. La ricerca di un'ipertensione secondaria dev'essere attuata con massimo scrupolo, soprattutto nei soggetti giovani, in quanto nella maggior parte dei casi la sua causa pu essere rimossa ed in questi casi lipertensione pu

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essere curata evitando una terapia per il resto della vita. Per tal motivo, quando vi il sospetto di unipertensione arteriosa secondaria necessario procedere con la valutazione strumentale del paziente con lausilio di esami specifici.

Ipertensione nefroparenchimale. Tutte le patologie parenchimali renali che determinino una riduzione dellescrezione di acqua e sodio, ed unattivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone provocano lo sviluppo di ipertensione. Uno stato ipertensivo si associa infatti a malattie renali acute quali linsufficienza acuta secondaria a cause renali e post-renali o le sindromi nefritiche, o a disordini di tipo cronico quali il rene policistico e linsufficienza renale cronica. Cause pi rare di ipertensione nefroparenchimale sono i tumori secernenti renina.

Nel sospetto di un ipertensione nefroparenchimale sono utili gli esami ematochimici per valutare la funzionalit renale, lesame dellurine, e in alcuni casi lecografia renale.

Ipertensione nefrovascolare. Questa frequente causa di ipertensione secondaria associata ad una stenosi mono o bilaterale dellarteria renale dovuta ad un processo aterosclerotico, o, nel caso di soggetti giovani soprattutto se donne, alla presenza di una displasia fibro-muscolare. La riduzione del flusso renale secondaria alla stenosi determiner unaumentata e non regolata secrezione di renina e la successiva formazione di angiotensina II con un aumento della vasocostrizione periferica, aumento del riassorbimento di acqua e sodio, e incremento rapido dei valori di pressione arteriosa. Ed proprio uno sviluppo rapido di uno stato ipertensivo non controllabile con la terapia medica, od insorto in un paziente giovane, che deve assolutamente porre il sospetto di unipertensione nefrovascolare. Questa dal punto di vista ematochimico si manifesta con ipopotassiemia, e con un aumento combinato dei livelli di renina ed aldosterone. Esami strumentali molto utili ai fini diagnostici sono lecocolor-Doppler dellarterie renali nel caso di stenosi prossimali, o alternativamente langio-TC e langio-RM renali. La metodica gold standard, anche se raramente viene impiegata per la prima diagnosi, langiografia delle arterie renali. Nel sospetto di unipertensione nefrovascolare bisogna prescrivere con estrema cautela ed a bassi dosaggi i farmaci ACE-inibitori, per il rischio di ipotensioni acute o di una riduzione brusca della perfusione renale con lo sviluppo di insufficienza acuta.

Iperaldosteronismo primitivo. Le sindromi da eccesso primitivo di mineralcorticoidi sono rappresentate nel 30% dei casi da un adenoma surrenalico, pi frequente nelle donne e nei bambini, e nel 70% dei casi da uniperplasia surrenalica. Condizioni pi rare sono secondarie al carcinoma surrenalico o alliperaldosteronismo sensibile ai glucocorticoidi. Un iperaldosteronismo va sospettato in presenza di unipertensione resistente alla terapia, eventualmente associata ad astenia, crampi muscolari, poliuria, polidipsia e palpitazioni. Il dato ematochimico pi importante lipopotassiemia associata ad unaumentata potassiuria, con un pH ematico che risulta aumentato per incremento dei bicarbonati. I livelli di aldosterone sono aumentati, mentre quelli di renina soppressi, per cui il rapporto aldosterone plasmatico/attivit reninica plasmatica generalmente aumentato. Per la diagnosi definitiva di iperaldosteronismo primario ci si pu avvalere di test dinamici di conferma. Tra questi il pi diffuso quello del carico salino: se i livelli sierici di aldosterone non risultano soppressi dopo il test si pu fare diagnosi di iperaldosteronismo primitivo. La diagnosi di iperaldosteronismo pu essere confermata anche dal test di soppressione al fludrocortisone. In presenza di iperaldosteronismo primario la somministrazione per 4 giorni di fludrocortisone non determina la soppressione dei livelli plasmatici di aldosterone. Feocromocitoma. Il feocromocitoma un tumore del tessuto cromaffine della midollare del surrene o del tessuto paragangliare, e si manifesta clinicamente attraverso l aumentata increzione di adrenalina e noradrenalina. Il feocromocitoma rappresenta una causa rara di ipertensione arteriosa, ma se non riconosciuta mette seriamente in pericolo la vita del paziente. Uno stato ipertensivo presente in tutti i soggetti affetti, pi frequentemente a crisi o talora cronico. I sintomi pi comuni sono lansiet, le palpitazioni, la cefalea, larrossamento improvviso del viso (flushing) e le sudorazioni profuse. La diagnosi di feocromocitoma pu essere fatta mediante il dosaggio delle catecolamine plasmatiche ed urinarie e dei loro metaboliti, pi facilmente se i campioni vengono ottenuti durante le crisi ipertensive. I dosaggi dellacido vanilmandelico e delle metanefrine plasmatiche e urinarie frazionate rappresentano gli esami pi attendibili. Nel sospetto diagnostico si pu ricorrere anche allimpiego di test farmacologici di inibizione o stimolazione, con clonidina e glucagone rispettivamente, o utilizzare subito metodiche dimaging quali lecografia, la TC o la RMN, di solito impiegate per localizzare il tumore.

Coartazione Aortica. La coartazione aortica (vedi Capitolo 52) consiste in una stenosi congenita dellaorta generalmente distale allorigine del dotto arterioso che si associa frequentemente ad altre anomalie quali la bicuspidia aortica gli aneurismi a bacca cerebrali. Questa una causa rara di ipertensione arteriosa secondaria soprattutto nei bambini e negli adolescenti. La diagnosi di solito clinica ed legata al riscontro di unipertensione esclusivamente a livello degli arti superiori e di un ipotensione a livello degli arti inferiori, alla presenza di un ritardo del polso femorale rispetto a quello radiale, allascoltazione di un soffio continuo al dorso, nella regione interscapolare, ed alla presenza di una spiccata pulsatilit delle arterie intercostali. La diagnosi di conferma invece pu essere fatta invece agevolmente mediante un angio-TC del torace ed unaortografia. La terapia della coartazione aortica pu essere percutanea, mediante lapposizione di stent, o chirurgica. Ipertensione indotta da farmaci. Alcune sostanze e farmaci possono determinare unipertensione arteriosa e queste sono: la liquirizia, gli spray nasali vasocostrittori, i contraccettivi orali, i FANS, i corticosteroidi, la

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ciclosporina e leritropoietina. Fondamentale pertanto la ricerca anamnestica delluso di tali sostanze per poter effettuare una diagnosi rapida. TRATTAMENTO La finalit principale del trattamento dellipertensione arteriosa consiste soprattutto nella prevenzione dello sviluppo delle sue complicanze cardio- e cerebrovascolari, e tali benefici terapeutici possono essere raggiunti non solo mediante la riduzione dei valori pressori, peraltro implicati direttamente nello sviluppo di alcune complicanze, ma anche attraverso la correzione dei diversi fattori di rischio frequentemente associati allipertensione. Di conseguenza molto importante, prima di iniziare un trattamento antiipertensivo, una valutazione clinica globale del paziente che miri a definire al meglio il suo profilo di rischio cardiovascolare, sia sulla base dellentit della malattia ipertensiva, sia sulla base degli altri fattori di rischio associati. Gli interventi terapeutici antipertensivi possono essere divisi in interventi di tipo non farmacologico, basati sulle modifiche dello stile di vita e delle abitudini comportamentali, ed in interventi di tipo farmacologico, basati sullimpiego di diverse classi di farmaci sia da soli che in associazione tra loro. Sulla base delle ultime Linee Guida emanate dallESH/ESC del 2007 sulla gestione clinica dellipertensione arteriosa, nei pazienti a rischio cardiovascolare basso-moderato in generale indicato iniziare solo un trattamento non farmacologico rivalutando dopo pochi mesi i soggetti, ed associando successivamente un trattamento farmacologico qualora i valori pressori non risultino controllati. Di contro, nei soggetti a rischio elevato in genere opportuno un approccio terapeutico pi aggressivo, combinando gli interventi non farmacologici con una terapia farmacologica (monoterapia o terapia di associazione) (Figura 2).

Interventi di tipo non farmacologico Gli interventi non farmacologici possono contribuire a ridurre i valori pressori ed il rischio cardiovascolare globale del paziente iperteso, nonch a favorire un ricorso pi contenuto alla terapia farmacologica. Sebbene siano spesso di non facile attuazione pratica e non ne siano mai stati documentati in maniera completa gli effetti a lungo termine sulla morbilit e mortalit cardiovascolare e globale, gli interventi non farmacologici non presentano (al contrario di quelli farmacologici) controindicazioni di impiego. Tre approcci terapeutici si sono dimostrati in grado di esercitare documentati effetti antipertensivi: il calo ponderale, la dieta iposodica e lesercizio fisico regolare. Considerata l'evidenza epidemiologica di una relazione diretta tra peso corporeo, distribuzione anatomica del grasso corporeo e pressione, non sorprende che una restrizione dell'apporto calorico si sia dimostrata in grado di ridurre i valori pressori, essendo l'entit dell'effetto antipertensivo medio pari ad una diminuzione di circa 1,5 mmHg di pressione arteriosa sistolica e 1,3 mmHg di diastolica per ciascun chilo di peso corporeo perso. Gli effetti antipertensivi di una restrizione alimentare sodica sono stati oggetto di numerose meta-analisi, che complessivamente hanno evidenziato unazione antipertensiva piuttosto modesta (3-5 mmHg per la sistolica e 2-3 per la diastolica). La restrizione sodica inoltre, non deve essere marcata (consumo giornaliero <2 grammi NaCl), perch stato dimostrato come questa induca effetti metabolici sfavorevoli e stimoli il sistema reninaangiotensina ed il sistema nervoso adrenergico. Allo stato attuale pertanto, una modica restrizione sodica (consumo giornaliero <4 grammi NaCI) indicata nel trattamento del paziente iperteso, specie considerando come questo intervento non farmacologco si sia dimostrato in grado di potenziare l'efficacia antipertensiva della stessa terapia farmacologica. Infine studi clinici controllati hanno pressoch uniformemente dimostrato che l'esercizio fisico regolare di moderata intensit (rappresentato da un incremento pari a circa il 40% del consumo di ossigeno valutato a riposo) in grado, dopo un congruo periodo di tempo, di ridurre i valori pressori sisto-diastolici (circa 6-8 mmHg a seconda dei valori pressori di partenza e del tipo di attivit fisica). Tali modificazioni si accompagnano ad un miglioramento del profilo di rischio cardiovascolare in virt degli effetti emodinamici (vasodilatazione) e metabolici favorevoli (miglioramento dell insulino-sensibilit e del profilo lipidico) di un training fisico costante.

Interventi antiipertensivi di tipo farmacologico Il trattamento farmacologico dellipertensione arteriosa deve essere intrapreso quando non si ottengono risultati sufficienti con gli interventi non farmacologici, o quando i valori pressori basali ed il rischio cardiovascolare del paziente sono molto elevati. Lobiettivo terapeutico essenziale della terapia farmacologica il raggiungimento di valori pressori ottimali, e se questo non possibile con limpiego di un solo farmaco consigliabile adottare unassociazione tra due o, se necessario, pi molecole. La scelta del tipo di farmaco da prescrivere ad un paziente iperteso non per basata solo sulla efficacia antiipertensiva, bens anche sui possibili effetti benefici sulla riduzione del danno dorgano cardiovascolare e renale, su eventuali sue azioni positive sulle alterazioni metaboliche concomitanti, quali il diabete o la dislipidemia, ed in ultimo, deve tener conto della tipologia del paziente (et, sesso, comorbidit), degli effetti collaterali, delle preferenze del paziente, di precedenti esperienze terapeutiche e di aspetti socioeconomici (Tabella V). Le principali classi di farmaci anti-ipertensivi (vedi Capitolo 58) sono:

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Ace-inibitori: sono una classe di farmaci con documentata efficacia antipertensiva, caratterizzata da effetti benefici sullapparato cardiovascolare, particolarmente nei pazienti con cardiopatia ischemica, disfunzione ventricolare sinistra e scompenso cardiaco. Sono molto utili per rallentare la progressione del danno renale, in particolare nei diabetici, ed hanno un profilo metabolico sostanzialmente neutro. Principali effetti collaterali sono la tosse, lipotensione da prima dose e raramente langio-edema della glottide. Le principali controindicazioni sono linsufficienza renale cronica, la gravidanza e la stenosi bilaterale delle arterie renali. Calcio-antagonisti: i calcio-antagonisti possono svolgere i loro effetti prevalentemente sul cuore (non diidropiridinici, diltiazem o verapamil) od essere principalmente dei vasodilatatori periferici (diidropiridinici); questultimi in particolare hanno una spiccata azione anti-ipertensiva e si sono dimostrati efficaci nel ridurre gli eventi cardiovascolari. Sono molto utili in prescrizione singola od in associazione con altri farmaci in particolare gli inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone. Bloccanti recettoriali dellangiotensina II (o sartanici): sono farmaci efficaci e molto ben tollerati anche in quanto caratterizzati da unazione farmacologia molto selettiva (blocco dei recettori AT-1 dellangiotensina II). Questa classe particolarmente utile nellipertensione arteriosa, in particolare nei pazienti con danno dorgano sia cardiaco che renale, e con presenza di diabete o sindrome metabolica. Diuretici: sono i farmaci antiipertensivi pi lungamente sperimentati, e quelli tiazidici sono particolarmente efficaci nel ridurre linsorgenza di complicanze cardiovascolari maggiori. Sono inoltre spesso prescrivibili in associazione precostituita con farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina. Le controindicazioni alluso dei diuretici sono soprattutto la scarsa compliance del paziente legata ad effetti indesiderati ed alcuni effetti collaterali quali lo squilibrio elettrolitico, in particolare lipopotassemia, liperuricemia e le alterazioni del metabolismo glico-lipidico. Beta-bloccanti: sono particolarmente indicati nei pazienti ipertesi affetti da cardiopatia ischemica, disfunzione ventricolare sinistra sistolica, tachicardia, oppure ipertiroidismo. Sono controindicati nei pazienti bradicardici o con turbe della conduzione atrio-ventricolare, con asma o con broncopneumopatia cronica ostruttiva, con vasculopatia periferica o con insulino-resistenza. I farmaci antiipertensivi appartenenti a queste classi farmacologiche possono essere associati tra loro specialmente se presentano meccanismi dazione diversi e complementari, se lefficacia ipotensivante superiore quando associati rispetto a quando somministrati in monoterapia, ed in ultimo se lassociazione ben tollerata. Altri farmaci antiipertensivi da usare in terapia addizionale, qualora non vengano raggiunti gli obiettivi, includono gli alfa-bloccanti, in particolare nei pazienti con ipertrofia prostatica, gli anti-ipertensivi ad azione centrale, soprattutto alfa-metildopa e clonidina, ed i farmaci anti-aldosteronici, che trovano indicazione soprattutto nelle forme legate ad iperaldosteronismo e nellipertensione refrattaria o resistente. URGENZE ED EMERGENZE IPERTENSIVE Le urgenze ed emergenze ipertensive sono forme cliniche caratterizzate da un notevole rialzo pressorio (solitamente PAD >130 mmHg) che richiedono un abbassamento rapido della pressione. Queste condizioni possono essere distinte in urgenze ed emergenze ipertensive. Per urgenza ipertensiva sintende un marcato e rapido rialzo pressorio peraltro non associato a segni di danno dorgano acuto cardiaco o neurologico e possono essere risolte nellarco delle 24 ore. Le emergenze ipertensive sono invece quelle situazioni nelle quali, per la presenza di segni di danno d'organo collegati al rialzo pressorio, e per grave pericolo di vita, indispensabile una riduzione della pressione arteriosa entro 1 ora. Le alterazioni dorgano che possono essere riscontrate nellemergenza ipertensiva sono linfarto miocardico acuto o langina instabile, lo scompenso cardiaco acuto, la dissezione aortica e lemorragia cerebrale. Un altro tipo particolare ed altrettanto grave di emergenza ipertensiva lencefalopatia ipertensiva, caratterizzata da disturbi neurologici reversibili come la cefalea, alterazioni visive e dello stato di coscienza, nausea e vomito. Questa, se non trattata pu evolvere rapidamente in uno stato di coma e successivamente in exitus. La fisiopatologia dellencefalopatia ipertensiva legata alla presenza di una necrosi fibrinoide arteriolare generalizzata e di una dilatazione sproporzionata delle arterie cerebrali con un conseguente iperafflusso sanguigno. Nelle emergenze ipertensive il trattamento deve essere iniziato il pi rapidamente possibile con l'obiettivo non di ottenere l'immediato ripristino di livelli pressori normali, ma di arrivare a limiti di "sicurezza" senza indurre, nello stesso tempo, complicanze cerebrali, coronariche o renali legate allinduzione di ipotensione troppo rapida. I farmaci di elezione nellemergenza ipertensiva somministrati per via endovenosa sono la clonidina, il nitroprussiato o nitroglicerina ed il labetalolo. Di solito sempre consigliabile embricare alla terapia endovenosa una terapia per via orale.

Sezione XIII. Arteriosclerosi Capitolo 46 L'ATEROSCLEROSI Paolo Golino 133

DEFINIZIONE Laterosclerosi, dal greco atre (sostanza pastosa) e sclerosis (indurimento), un processo degenerativo che si sviluppa a carico della parete delle arterie di grosso e medio calibro. La lesione anatomo-patologica fondamentale dellaterosclerosi rappresentata dallateroma o placca, una deposizione rilevata, focale, fibro-adiposa della parete arteriosa. Lateroma costituito da un centro, o core, composto prevalentemente da lipidi e matrice extracellulare, ma anche da una componente cellulare (cellule muscolari lisce, macrofagi, linfociti); un cappuccio fibroso riveste il core lipidico e lo separa dal sangue circolante (Figura 1). ANATOMIA PATOLOGICA Considerazioni introduttive Laterosclerosi la causa principale di numerose importanti malattie del sistema cardiovascolare, quali linfarto miocardico, langina pectoris, e lictus cerebrale, che insieme rappresentano di gran lunga la causa di morte pi frequente nei paesi occidentali. Fino a venti anni or sono, il nostro concetto dellaterosclerosi era quello di una lenta malattia da accumulo di lipidi: i depositi lipidici che si venivano a formare sulla superficie delle arterie crescevano sporgendo allinterno del lume fino a compromettere ed eventualmente bloccare completamente il flusso ematico ai tessuti interessati, causandone la necrosi ischemica. Questo concetto tradizionale dellaterosclerosi guardava alle arterie come condotti passivi sui quali si andavano a depositare i lipidi circolanti che rappresentavano quindi il centro fisiopatologico della malattia. Questa teoria stata oggi soppiantata, in quanto sappiamo che la parete arteriosa non possiede un ruolo passivo ma, al contrario, una struttura complessa formata da numerosi tipi cellulari che partecipano attivamente al processo aterosclerotico. Sappiamo inoltre che linfiammazione gioca un ruolo chiave in tutti gli stadi di sviluppo dellaterosclerosi, dalla formazione della lesione iniziale, allo sviluppo della placca, fino alla sua complicanza (erosione, ulcerazione, etc) con conseguente formazione di un trombo intravascolare. E proprio il trombo che, causando una improvvisa ostruzione al flusso ematico, si rende responsabile delle conseguenze pi gravi e temibili dellaterosclerosi, come linfarto miocardico e lictus cerebrale. Negli ultimi anni, data la difficolt a tenere separati il processo aterosclerotico da quello trombotico, si preferisce parlare di aterotrombosi, a sottolineare la presenza di un continuum fisiopatologico che unisce i due fenomeni (Figura 2).

Le fasi dellaterosclerosi Fase di inizio. Le prime fasi dellaterogenesi nelluomo rimangono largamente speculative. Tuttavia, lintegrazione di osservazioni ottenute in giovani adulti deceduti per cause traumatiche con quelle degli studi condotti negli animali da esperimento possono dare utili spunti. In condizioni normali, il monostrato di cellule endoteliali che riveste tutto lalbero vascolare si oppone alladesione dei leucociti. Tuttavia, la presenza di alcuni elementi induttori, quali una dieta ad alto contenuto di grassi saturi, il fumo di sigaretta, lipertensione e liperglicemia possono favorire lespressione da parte delle cellule endoteliali di alcune proteine cosiddette di adesione, in grado cio di legare alcuni recettori presenti sulla membrana dei leucociti. Tra queste, la vascular cell adhesion molecule-1 (VCAM-1) sembra particolarmente importante perch si lega ad un recettore presente sulla membrana dei monociti e dei linfociti T, due tipi cellulari presenti pressoch costantemente nelle lesioni aterosclerotiche iniziali (Figura 3). Una volta che i leucociti abbiano aderito allendotelio, devono ricevere un segnale specifico per penetrare nello spazio sottoendoteliale. Diversi mediatori chimici di natura proteica, denominati chemochine, con propriet chemiotattiche nei confronti dei leucociti, sono deputati a svolgere questo compito (Figura 3). Due gruppi di chemochine sono particolarmente importanti nel reclutare i monociti allinterno delle lesioni iniziali: una la cosiddetta monocyte chemoattractant protein-1 (MCP-1), che viene prodotta dalle cellule endoteliali e muscolari lisce in risposta ad alcuni stimoli nocivi come le lipoproteine ossidate. MCP-1 promuove la migrazione unidirezionale (chemiotassi) dei monociti allinterno della parete vasale. Limportanza di MCP-1 nel contribuire alliniziale reclutamento dei monociti allinterno della parete vasale durante le fasi precoci dellaterogenesi dimostrata da alcuni studi condotti nellanimale da esperimento in cui la produzione di MCP-1 veniva inibita attraverso tecniche di ingegneria genetica. Negli animali geneticamente modificati e sottoposti a dieta aterogena, le lesioni aterosclerotiche risultavano pi piccole e meno numerose rispetto agli animali di controllo. Altre chemochine importanti nel reclutare i monociti in questa fase dellaterogenesi sono linterleuchina-8 e linterferone , ambedue presenti in alte concentrazioni allinterno delle lesioni iniziali. Focalit delle lesioni aterosclerotiche E interessante notare che le lesioni aterosclerotiche non si sviluppano a caso allinterno dellalbero coronarico ma al contrario tendono a crescere con maggior frequenza in zone specifiche, come ad esempio le biforcazioni, probabilmente a causa del tipo di flusso ematico che in queste aree si forma. Un ruolo importante nella regolazione delle funzioni endoteliali infatti svolto dallo shear stress, cio dalle forze tangenziali che il sangue esercita sulla parete vasale. Uno shear stress laminare ed uniforme induce laumento di espressione di una serie di geni, quali la superossido-dismutasi, la ciclo-ossigenasi e la NO-sintetasi, enzimi che possiedono attivit antiossidanti, antitrombotiche ed antiadesive nei riguardi delle piastrine e dei leucociti e quindi, in definitiva, svolgono attivit di protezione nei riguardi del vaso rispetto allaterogenesi. Lo shear stress turbolento o comunque non laminare non induce i suddetti geni ateroprotettivi, per cui lendotelio per flussi lenti e turbolenti, quali quelli che si formano in corrispondenza delle biforcazioni, meno protetto dagli agenti aterogeni.

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Formazione delle strie lipidiche Una volta giunti nello spazio sottoendoteliale, i monociti si trasformano in macrofagi, esprimono elevate quantit di recettori spazzini sulla loro membrana, soprattutto nei confronti delle lipoproteine modificate dallo stress ossidativo, e cominciano a fagocitare le lipoproteine, fino a riempire gran parte del citoplasma, diventando cellule schiumose, cellule di grosse dimensioni il cui citoplasma letteralmente stipato di lipidi, esteri del colesterolo e lipoproteine ossidate. Allo stesso tempo, i macrofagi proliferano, aumentando di numero, e producono numerosi fattori di crescita e citochine che agiscono sostenendo e amplificando i segnali pro-infiammatori. A questo stadio, la lesione aterosclerotica rappresentata dalla cosiddetta stria lipidica che macroscopicamente appare come una stria giallastra (dato lalto contenuto in lipidi) sulla superficie della tonaca intima (Figura 4). Non tutte le strie lipidiche per evolvono verso la formazione di una placca avanzata e, daltra parte, esse vengono evidenziate allesame autoptico molto frequentemente anche in soggetti giovani e sani. La stria lipidica, quindi, non possiede necessariamente un significato patologico. Tuttavia, nella societ moderna dove prevale uno stile di vita caratterizzato da una elevata sedentariet e da un eccesso di disponibilit di cibo, la progressione della lesione aterosclerotica dalla stria lipidica alla formazione della placca conclamata purtroppo un evento frequente che pu verificarsi precocemente nel corso della vita. Studi autoptici hanno dimostrato che negli Stati Uniti 1 teenager su 6 mostra un ispessimento patologico delle arterie coronarie, indicando che nelle societ contemporanee laterosclerosi un processo che comincia precocemente nella vita di un individuo, anche se le sue complicanze sono caratteristiche della mezza et. Formazione della placca conclamata Da un punto di vista istologico la stria lipidica principalmente caratterizzata dalla presenza di macrofagi che hanno fagocitato elevate quantit di lipidi (cellule schiumose). Caratteristiche pi complesse, come la fibrosi, la necrosi del core lipidico, la trombosi e lelevato grado di calcificazione, sono tipicamente assenti nelle strie lipidiche, che rappresentano lesioni iniziali e largamente reversibili, almeno in determinate condizioni. Che cosa allora si rende responsabile, in alcuni individui, della progressione della stria lipidica verso la placca conclamata? Nellultima decade la ricerca medica stata particolarmente attiva in questo ambito e numerosi studi, sia clinici che sperimentali, hanno dimostrato un ruolo fondamentale dellinfiammazione e del sistema immunitario nel processo dellaterogenesi. Nella fase precoce della formazione dellateroma, il macrofago-cellula schiumosa reclutato allinterno della parete vasale serve non solo come deposito dei lipidi in eccesso ma anche come promotore di fenomeni infiammatori. Infatti, tale cellula in grado di produrre una grande quantit di citochine e chemochine pro-infiammatorie, nonch alcuni mediatori chimici di derivazione dallacido arachidonico, come i leucotrieni e le prostaglandine. Inoltre, i macrofagi sono in grado di produrre elevate quantit di specie molecolari altamente ossidanti, come lanione superossido, che contribuisce ad ossidare ulteriormente le lipoproteine presenti allinterno della lesione, aumentando quindi i fenomeni di infiammazione locale e contribuendo alla formazione di un circolo vizioso che culmina con la progressione della lesione aterosclerotica. In questo contesto, il sistema immunitario gioca un ruolo di primaria importanza nel sostenere e favorire la progressione della placca. Il termine immunit innata si riferisce quella serie di eventi che amplificano la risposta infiammatoria in assenza di stimolazione antigenica (Figura 5). Fanno parte dellimmunit innata i fenomeni di fagocitosi, la produzione di molecole pro-infiammatorie come le proteine di fase acuta, tipicamente rappresentate dalla proteina C-reattiva, ecc. Oltre allimmunit innata, numerose evidenze hanno ampiamente dimostrato limportanza dellimmunit acquisita nel modulare i fenomeni aterosclerotici. Limmunit acquisita, o antigene-specifica, costituisce la risposta dellorganismo nei confronti di sostanze estranee (antigeni) ed un fenomeno di grande complessit non ancora compreso completamente (Figura 5). Viene oggi largamente riconosciuto che la lesione aterosclerotica possiede tutte le caratteristiche di una malattia infiammatoria cronica a progressione lenta con coinvolgimento di molti tipi cellulari a funzione immuno-infiammatoria come i monociti/macrofagi, le mast cellule, le cellule dendritiche, i linfociti T e le cellule natural killer. Inoltre, nelle lesioni avanzate si ritrovano anche componenti del sistema del complemento in stretta vicinanza alla proteina C reattiva e ad immunoglobuline spesso legate ad antigeni specifici a formare immuno-complessi. E stato poi osservato che componenti cellulari costitutivi della parete vasale, come le cellule muscolari lisce, possono, in determinate condizioni, aumentare lespressione delle molecole HLA di classe II che sono coinvolte nel processo di riconoscimento dellantigene da parte dei linfociti T. Infine, il ruolo del sistema immunitario nel modulare lo sviluppo e la crescita delle lesioni aterosclerotiche viene anche indirettamente dimostrato dalle numerosi osservazioni ottenute nellanimale da esperimento che dimostrano come landamento dellaterogenesi possa essere significativamente modificato da interventi che interferiscono con i vari aspetti della risposta immune. Se da un lato esistono pochi dubbi circa limportanza dellimmunit acquisita nella formazione e nellevoluzione della lesione aterosclerotica, dallaltro le ipotesi riguardo lidentit dellantigene(i) coinvolto(i) in tale fenomeno rimangono largamente speculative. Possibili candidati sono le lipoproteine ossidate che, esposte ad un microambiente altamente ossidante quale lo spazio sottoendoteliale, vengono modificate nella loro struttura terziaria in modo da renderle estranee (non-self) al sistema immunitario. Unaltra possibilit rappresentata dalla presenza di antigeni batterici o virali che risultano simili ad alcune sostanze dellorganismo. In tal caso, si verrebbe a creare lattivazione del sistema immunitario nei confronti di antigeni propri dellorganismo perch simili antigenicamente a sostanze estranee (fenomeno della somiglianza antigenica). Un esempio a tale riguardo

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potrebbe essere la proteina legata allo shock termico (Heat Shock Protein, HSP). Le HSP sono una famiglia di proteine che hanno lo scopo di riparare altre molecole proteiche che hanno subito un danno da agenti nocivi, come ad esempio il riscaldamento eccessivo, da cui il nome. Esse sono molto importanti filogeneticamente per leconomia cellulare, tant che sono presenti praticamente in tutti gli esseri viventi, dai batteri agli organismi complessi come i mammiferi. E stato osservato che alcune HSP batteriche, in particolare quelle della Clamidia Pneumoniae, hanno una forte somiglianza antigenica con la HSP 45 umana, ed quindi possibile che una infezione da Clamidia con successiva localizzazione dellagente patogeno allinterno della placca aterosclerotica possa portare alla attivazione del sistema immunitario nei confronti di antigeni self. In ogni caso, una volta che lantigene viene riconosciuto come estraneo, si verifica lattivazione delle cellule T che, a loro volta, secernono una grande quantit di citochine che vanno a modulare i vari processi dellaterosclerosi. Mentre gli eventi iniziali della formazione dellateroma coinvolgono primariamente la disfunzione endoteliale e il reclutamento dei leucociti, la successiva evoluzione verso la formazione di una placca complessa coinvolge anche le cellule muscolari lisce della parete arteriosa. Le cellule muscolari lisce presenti nella lesione aterosclerotica provengono per migrazione da quelle normalmente presenti nella tonaca media; lo stimolo chemiotattico in questo caso rappresentato principalmente dal platelet-derived growth factor (PDGF), secreto dalle piastrine e dai macrofagi, che possiede anche potenti effetti mitogeni. Infatti, allinterno della lesione, le cellule muscolari lisce vanno incontro sia a fenomeni proliferativi, aumentando di numero, che di aumento della produzione e secrezione della matrice extracellulare. I due fenomeni, proliferazione cellulare e secrezione della matrice, sommati insieme contribuiscono in questa fase dellaterogenesi alla crescita della placca, anche se la matrice piuttosto che la componente cellulare contribuisce maggiormente al volume della placca. Le macromolecole pi importanti che costituiscono la matrice cellulare sono il collagene (tipo I e III), alcuni proteoglicani e le fibre di elastina. Le cellule muscolari lisce sono i principali tipi cellulari responsabili della produzione della matrice extracellulare la cui sintesi viene favorita da alcune sostanze, quali il PDGF e il transforming growth factor-beta (TGF-) che vengono prodotti da numerosi tipi cellulari allinterno della placca. E importante sottolineare che la crescita della placca non un fenomeno lineare e costante come si ritenuto fino a pochi anni or sono, ma piuttosto caratterizzato da una crescita non costante, dove accelerazioni improvvise si alternano a periodi di relativa quiescenza. Queste crisi proliferative possono essere messe in relazione ad episodi di danno meccanico della placca stessa, con attivazione delle piastrine circolanti e della cascata coagulativa e successiva esposizione delle cellule muscolari lisce a mitogeni potenti quali la stessa trombina. La lesione avanzata: necrosi e calcificazione Le placche avanzate spesso sviluppano aree di calcificazione al loro interno, ed infatti gi gli studi dellinizio del secolo scorso avevano descritto la presenza allinterno delle placche di caratteristiche morfologiche tipiche del processo di ossificazione. In anni pi recenti si scoperto che alcuni sottotipi di cellule muscolari lisce, sotto leffetto di citochine particolari con effetti osteogenetici come il TGF-, sono in grado di produrre zone di intensa calcificazione della placca. Inoltre, nelle placche avanzate vi sono proteine contenenti numerosi residui di acido glutammico carbossilato in posizione gamma specializzate nel sequestro di ioni calcio e quindi nel favorire i fenomeni di calcificazione. Unaltra caratteristica delle placche avanzate la presenza di aree di necrosi, nelle quali si avuto la morte delle cellule muscolari lisce ad opera di fenomeni di apoptosi che quindi possono contribuire allindebolimento della placca favorendone la rottura. FISIOPATOLOGIA I fattori di rischio In Italia le malattie cardiovascolari costituiscono una delle principali cause di mortalit, di morbosit e di invalidit. Nel 2004 sono stati registrati quasi 600.000 decessi, di cui 80.000 per le malattie ischemiche del cuore e 65.000 per le malattie cerebrovascolari: quindi, in Italia, un decesso su 4 dovuto a queste malattie che riconoscono una genesi comune. Secondo i dati dellOsservatorio Epidemiologico Cardiovascolare, nella popolazione italiana, su 1000 adulti tra 25 ed 84 anni, 15 uomini e 4 donne hanno una storia di infarto del miocardio, mentre ogni anno, nelle stesse et, 2 uomini su 1000 e 1 donna su 1000 va incontro ad un evento coronarico maggiore. Non esiste una causa unica dellaterosclerosi. Sono per noti da lungo tempo diversi fattori, denominati fattori di rischio, che aumentano il rischio di sviluppare la malattia e predispongono lorganismo ad ammalare (vedi Capitolo 46). I pi importanti sono: labitudine al fumo di sigaretta, il diabete, lobesit, i valori elevati della colesterolemia, lipertensione arteriosa e la scarsa attivit fisica, oltre alla familiarit, allet e al sesso. Dai fattori ambientali ai fattori genetici La malattia aterosclerotica una malattia multifattoriale la cui espressione fenotipica il risultato di un'interazione tra fattori genetici e fattori ambientali: da un lato pu essere presente una predisposizione genetica alla malattia aterosclerotica, dall'altro vi sono i fattori ambientali che possono modificare l'espressione di alcuni geni favorendo lo sviluppo della malattia stessa. Nella valutazione del rischio cardiovascolare individuale e nella conseguente elaborazione di strategie preventive e terapeutiche personalizzate, in futuro si dovr tener conto sia dei classici fattori di rischio legati allo stile di vita e all'et, sia dei fattori genetici.

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PRESENTAZIONE CLINICA Laterosclerosi una malattia cronica che progredisce lentamente al di sotto dellorizzonte clinico, rimanendo asintomatica per molti anni, spesso anche per decadi. Tuttavia, la velocit con cui la lesione aterosclerotica evolve dalla semplice stria lipidica alla placca conclamata estremamente variabile da un individuo allaltro, e non raro trovare soggetti sintomatici anche molto precocemente. E questo il caso di pazienti che sviluppano un evento cardiovascolare maggiore nella terza/quarta decade di vita, mentre altri soggetti, magari con numerosi fattori di rischio, non sviluppano mai eventi cardiovascolari. Questa apparente discrepanza dipende sostanzialmente dallinterazione geni/ambiente, cio dallinterazione del background genetico di un determinato individuo con gli eventuali fattori di rischio; questa interazione tale da rendere particolarmente suscettibili di ammalare quei soggetti che hanno un profilo genetico particolarmente sfavorevole, e particolarmente resistenti coloro i quali possiedono un profilo genetico protettivo. Al pari del diabete, non esiste un solo gene coinvolto nellaterogenesi, ma piuttosto essi sono numerosi (laterosclerosi una malattia poligenica) e non ancora identificati completamente. Le stenosi arteriose Anche quando laterogenesi nella sua fase florida, la crescita della placca pu essere compensata da fenomeni di rimodellamento positivo, cio di crescita della placca verso lesterno. Tuttavia, da un certo punto in poi la crescita della placca eccede la capacit di rimodellamento positivo del vaso e la placca stessa comincia a sporgere allinterno del lume arterioso riducendolo in maniera pi o meno significativa. Anche questa fase pu rimanere per un certo periodo di tempo largamente asintomatica, fino a quando la placca diventa emodinamicamente significativa. Con questo termine intendiamo definire quelle placche che restringono il lume del vaso colpito, causando un ostacolo al flusso ematico. Il principale meccanismo di compenso mediante il quale viene mantenuto un adeguato flusso ematico a riposo rappresentato dalla vasodilatazione delle arteriole di resistenza sottostanti al vaso malato (vedi capitolo 23). E a questo punto che la placca vira dalla fase asintomatica a quella in cui diventa apparente sul piano clinico. Le manifestazioni cliniche dellaterosclerosi cronica sono quindi conseguenti al restringimento dell'arteria colpita, che rende il flusso ematico relativamente fisso, cio incapace di aumentare quando le condizioni funzionali lo richiedono, come ad esempio durante gli sforzi fisici. Di conseguenza la sintomatologia, in particolare il dolore ischemico, tende ad essere assente a riposo e a presentarsi in occasione di esercizio fisico pi o meno intenso, a seconda della gravit dell'ostruzione arteriosa. Tipiche sindromi croniche sono: langina pectoris stabile, langina abdominis, la claudicatio intermittens, nella quale il dolore insorge durante la deambulazione e scompare tipicamente dopo pochi minuti di riposo. La rottura della placca e la trombosi Laterosclerosi, esclusivamente intesa come formazione e sviluppo delle placche aterosclerotiche, una malattia relativamente benigna. Infatti, anche in quei casi in cui lateroma progredisce fino ad occludere completamente il lume del vaso interessato, generalmente ci accade in un arco di tempo piuttosto lungo. In queste circostanze, il letto vascolare interessato ha il tempo di adattarsi alla nuova condizione sfavorevole attraverso un processo denominato neoangiogenesi, mediante il quale si formano circoli collaterali vicarianti che sostituiscono funzionalmente il vaso occluso. Il risultato finale quello di evitare la necrosi ischemica del tessuto interessato che invece accadrebbe se locclusione arteriosa fosse improvvisa. Al contrario, locclusione acuta di natura trombotica rappresenta la complicanza pi temibile dellaterosclerosi: poich lorgano interessato non ha il tempo sufficiente per stimolare lo sviluppo di un adeguato circolo collaterale, linevitabile conseguenza della trombosi arteriosa di solito la necrosi (morte cellulare) del tessuto ischemico. Tale processo si pu localizzare a livello del circolo coronarico, causando linsorgenza di una cosiddetta sindrome coronarica acuta (infarto miocardico o angina instabile), o a livello del circolo cerebrale, causando un ictus, o in un qualsiasi tessuto periferico, causando la necrosi dello stesso. La complicanza (rottura, ulcerazione, erosione) di una placca aterosclerotica stata identificata come la causa pi frequente di trombosi arteriosa. La rottura della placca espone sostanze pro-trombotiche contenute nella placca stessa (tissue factor, collageno, fattore di von Willebrand, etc) che attivano la cascata della coagulazione e le piastrine circolanti e che culminano quindi con la formazione di un trombo intrarterioso (Figura 6). Le placche che sono destinate a rompersi sono difficili da identificare, anche perch la severit della stenosi causata dalla placca aterosclerotica misurata con langiografia mal si correla con linsorgenza clinica di un evento acuto. Infatti, molti studi hanno dimostrato in maniera inequivocabile che le placche cosiddette vulnerabili, cio quelle maggiormente prone alla rottura, causano in genere stenosi non significative, in molti casi addirittura meno del 50% del diametro luminale. Queste placche vulnerabili e instabili, poich non sono significative dal punto di vista emodinamico, sono di solito silenti sul piano clinico, fino a quando vanno incontro a rottura e, attraverso lostruzione trombotica del flusso ematico coronarico, causano linsorgenza di un evento acuto. La sequenza di eventi che porta alla complicanza della placca non nota con esattezza, ma fattori meccanici, come lo stress tangenziale di parete e lassottigliamento del cappuccio fibroso che riveste il core lipidico giochino sicuramente un ruolo importante nellinfluenzare il destino della placca. Accanto a questa teoria puramente meccanica, nel corso degli ultimi 15 anni una grande massa di dati ha contribuito a far avanzare le nostre conoscenze sulla fisiopatologia della complicanza della placca, suggerendo che linfiammazione e il coinvolgimento del sistema immunitario giocano un ruolo importante non solo nella formazione della lesione aterosclerotica, ma anche della sua complicanza. Questa affascinante ipotesi venne inizialmente formulata sulla scorta di alcune osservazioni morfologiche che dimostrarono la presenza di linfociti T e macrofagi in numero molto pi elevato

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nelle placche complicate rispetto alle loro controparti stabili. Qual allora il ruolo preciso e come pu il sistema immunitario alterare la stabilit di una placca aterosclerotica? E affascinante pensare ad un ruolo dei macrofagi come cellule effettrici del fenomeno. Queste cellule infatti, una volta attivate, sono in grado di rilasciare radicali dellossigeno e vari enzimi proteolitici, come le metalloproteasi, enzimi ad azione litica nei confronti della matrice cellulare, che possono ridurre la resistenza del cappuccio fibroso e quindi favorirne la rottura (Figura 7). Questa teoria trova riscontro nellosservazione che le metalloproteasi sono presenti in elevate concentrazioni nelle placche complicate insieme ad altri prodotti di derivazione macrofagica. Poich noto che i macrofagi possono essere attivati dai linfociti T, lattivazione di tali cellule allinterno della placca pu rappresentare un meccanismo fisiopatologico importante nella complicanza della placca stessa. In questo senso vi sono diverse evidenze, anche se indirette, dellesistenza di tale fenomeno. Per esempio, studi autoptici hanno rivelato lesistenza di cellule T attivate allinterno della placca instabile, mentre altri studi hanno dimostrato la presenza di linfociti T attivati in campioni di placca instabile prelevati da pazienti in corso di procedure di rivascolarizzazione percutanea. CENNI DI TERAPIA Modificazione dei fattori di rischio. Evidenze scientifiche dimostrano che la riduzione dei livelli medi dei fattori di rischio riduce lincidenza delle complicanze dellaterosclerosi, sia diminuendo lincidenza delle malattie cardiovascolari che la mortalit a loro correlata. La prevenzione dellaterosclerosi coincide in gran parte con gli sforzi della collettivit per ladozione di stili di vita salutari: alimentazione sana, esercizio fisico, non dipendenza dal fumo di tabacco. Terapia farmacologica Attualmente il medico ha a disposizione alcuni farmaci molto efficaci nel diminuire i livelli ematici di colesterolo, uno dei pi importanti fattori di rischio per laterosclerosi. In particolare, le statine si sono dimostrate molto efficaci in questo ambito. Tali farmaci riconoscono come meccanismo dazione il blocco della prima tappa biochimica della sintesi del colesterolo in quanto inibiscono lenzima idrossi-metil-glutaril Coenzima A redattasi, enzima chiave sulla via biosintetica del colesterolo. Come conseguenza di tale inibizione, le cellule dellorganismo e quelle epatiche in particolare, si impoveriscono di colesterolo endogeno. Poich il colesterolo costituisce un elemento fondamentale per la vita della cellula ( un componente molto importante, tra laltro, delle membrane cellulari), la cellula reagisce aumentando lespressione dei recettori di membrana per le LDL, le lipoproteine responsabili del trasporto ematico del colesterolo. Laumento dei recettori di membrana per le LDL, a sua volta, causa labbassamento dei livelli ematici di colesterolo fino al 50%. E stato dimostrato che luso delle statine nei soggetti a rischio particolarmente elevato di sviluppare eventi cardiovascolari maggiori non solo abbassa il loro livello di rischio ma, in alcuni casi, porta ad un rallentamento della crescita delle lesioni aterosclerotiche e talvolta addirittura alla loro regressione. CONCLUSIONI E POSSIBILI SVILUPPI FUTURI Laterosclerosi una malattia degenerativa e progressiva delle arterie di grande e medio calibro a grande componente infiammatoria: linfiammazione infatti in grado di modulare fortemente tutte le fasi dellaterogenesi, dalla formazione della lesione iniziale alla complicanza della placca con occlusione trombotica del lume vasale. La Figura 8 riassume in maniera visiva quanto detto in questo capitolo. Sebbene molto sia stato fatto in termini di chiarimento dei meccanismi fisiopatologici che sono alla base dellaterosclerosi, ancora poco si pu fare per identificare le placche vulnerabili, quelle cio particolarmente a rischio di complicanza. La sfida per la moderna cardiologia nei prossimi 5-10 anni proprio rappresentata dalla identificazione di metodiche non invasive che possano distinguere le placche stabili da quelle a rischio, indirizzando quindi verso questultime i maggiori sforzi terapeutici.

Capitolo 47 LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO CORONARICO Salvatore Novo, Gisella Rita Amoroso, Giuseppina Novo
DEFINIZIONE La probabilit di coronaropatia aumenta in presenza dei fattori di rischio cardiovascolare i quali, se in numero > 1, potenziano il rischio in maniera non additiva ma esponenziale. Un fattore di rischio tale se trial prospettici su popolazioni numerose hanno dimostrato unassociazione di tipo statistico tra presenza del fattore di rischio e incidenza di nuovi casi di malattia, e se esiste la dimostrazione che correggendo il fattore di rischio si riduce prospetticamente lincidenza di nuovi casi di malattia. I fattori di rischio possono essere distinti in tradizionali ed emergenti. Per questi ultimi non vi ancora la possibilit di correzione farmacologica e/o la dimostrazione che correggendo il fattore di rischio diminuiscono i nuovi casi di malattia. FATTORI DI RISCHIO TRADIZIONALI Distinguiamo fattori di rischio non modificabile e modificabile, cio correggibile con modifiche comportamentali o con trattamenti farmacologici. I non modificabili sono let, il genere e la familiarit. Tra i modificabili i pi importanti sono sicuramente la dislipidemia, lipertensione arteriosa, il diabete mellito e il fumo di sigaretta.

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Vanno menzionati, come fattori di rischio minori, anche: linattivit fisica, lalcool, lobesit, lo stress, la frequenza cardiaca elevata.

FATTORI DI RISCHIO TRADIZIONALI NON MODIFICABILI Et Il rischio di coronaropatia aumenta con let, in particolare dopo i 65 anni, essendo la malattia aterosclerotica una patologia cronico-degenerativa. In particolare, con let aumenta lattivazione del sistema renina-angiotensinaaldosterone e la produzione di radicali tossici dellossigeno che favoriscono la disfunzione endoteliale e linnesco di fenomeni apoptotici. Genere Lincidenza di coronaropatia pi elevata negli uomini rispetto alle donne in et fertile, in quanto sembra che gli estrogeni svolgano un ruolo protettivo. Dopo la menopausa tale differenza si annulla, poich la carenza di estrogeni comporta variazioni sfavorevoli dellassetto lipidico, con aumento delle LDL e riduzione delle HDL, modificazioni dellemostasi in senso procoagulante e disfunzione endoteliale. Familiarit Numerosi studi epidemiologici hanno evidenziato una predisposizione familiare alla malattia coronarica che sarebbe determinata dallinterazione tra ereditariet a carattere poligenico e fattori ambientali. Si considera a rischio un individuo in cui un familiare di primo grado abbia presentato un evento coronarico ad unet < 55 anni se uomo e < 60 anni se donna.

FATTORI DI RISCHIO TRADIZIONALI MODIFICABILI

Dislipidemia Elevati livelli di colesterolo totale si associano ad unaumentata incidenza di malattia aterosclerotica, mentre una loro riduzione mediante dieta e/o terapia farmacologica, rallenta la progressione della stessa e favorisce la stabilizzazione delle placche. Particolarmente importante il riscontro di elevati livelli di colesterolo-LDL, essendo queste lipoproteine ricche in colesterolo e capaci di infiltrare la parete vasale, quando ossidate (vedi Capitolo 46). Il colesterolo LDL si pu calcolare semplicemente applicando la formula di Friedewald: LDL-C = CT HDL-C TG/5. Elevati livelli di trigliceridi sono anche un fattore di rischio; infatti, spesso si associano al diabete o alla sindrome da resistenza insulinica, e sono in grado di ridurre la fibrinolisi attraverso uninibizione dellattivatore del plasminogeno. Le lipoproteine HDL, invece, riescono a mobilizzare il colesterolo dagli ateromi trasportandolo al fegato per la metabolizzazione; inoltre, esplicherebbero azioni protettive quali linibizione delladesione dei monociti allendotelio, la riduzione della proliferazione delle cellule muscolari lisce, linduzione della vasodilatazione endotelio-mediata e linibizione dellossidazione delle LDL. Pertanto, elevati livelli di HDL-C esplicano unazione protettiva, mentre bassi livelli di HDL-C sono un fattore di rischio. Per qualunque livello di colesterolo totale o LDL il rischio aumenta se contemporaneamente vi sono bassi livelli di HDL-C. Soltanto lesercizio fisico e il consumo moderato di vino rosso aumentano il livello di HDL-C, mentre lobesit e il fumo lo riducono. Diabete Il diabete costituisce un importante fattore di rischio, tanto che stato considerato dalle Linee Guida una condizione di cardiopatia ischemica equivalente. Nel paziente diabetico coesistono in genere multipli fattori di rischio, essendo comuni lobesit viscerale, alterazioni del metabolismo lipidico, con elevazione dei trigliceridi, riduzione di HDL-C e presenza di LDL piccole e dense, aumento dei radicali liberi dannosi per lendotelio, iperaggregabilit piastrinica e iperfibrinogenemia. Nel paziente con diabete la riserva coronarica spesso diminuita, e la malattia coronarica severa e plurivasale, con lesioni prevalentemente distali, tali da rendere difficoltoso sia lapproccio interventistico che quello chirurgico. I pazienti diabetici hanno anche un maggiore rischio di sviluppare insufficienza cardiaca a causa della cardiomiopatia diabetica. Ipertensione arteriosa Molti studi epidemiologici hanno dimostrato linequivocabile correlazione lineare tra ipertensione arteriosa e malattie cardiovascolari, in particolare ictus cerebrale e infarto del miocardio. Da un lato lipertensione favorisce la disfunzione endoteliale attraverso laumento dello shear-stress, dallaltro si associa spesso ad elevati livelli di angiotensina II, che esercita unazione vasocostrittrice e proinfiammatoria e stimola la proliferazione delle cellule muscolari lisce. Fumo di sigaretta

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Il fumo aumenta il rischio di cardiopatia ischemica, proporzionalmente con il numero di sigarette fumate e gli anni di fumo; sembra che anche il fumo passivo sia un fattore di rischio. La nicotina attiva il sistema simpatico adrenergico con conseguente aumento della frequenza cardiaca, del lavoro cardiaco, della pressione arteriosa e possibile riduzione del flusso coronarico per vasocostrizione. Il monossido di carbonio agisce con un meccanismo tossico diretto sullendotelio che diventa pi permeabile alle lipoproteine, e provoca ipossia relativa secondaria allaumento della carbossiemoglobina. Il fumo, inoltre, aumenta laggregabilit piastrinica e la viscosit ematica. I benefici della cessazione del fumo sono gi evidenti dal primo anno, e dopo circa tre-cinque anni, il rischio relativo dellex-fumatore diviene simile a quello del non fumatore. Obesit Lobesit, e soprattutto laccumulo di grasso viscerale, si associano a dislipidemia e resistenza insulinica, con livelli elevati di trigliceridi, bassi di HDL-C e ridotta tolleranza al glucosio; tale cluster di fattori di rischio comunemente indicato come sindrome metabolica. Inattivit fisica I pi importanti studi epidemiologici hanno dimostrato che la vita sedentaria e la mancanza di attivit fisica regolare costituiscono un fattore di rischio. Viceversa, lattivit fisica svolta con regolarit riduce significativamente il rischio cardiovascolare, sia in prevenzione primaria sia in prevenzione secondaria. Essa determina una riduzione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa sotto sforzo, e quindi del consumo di ossigeno del miocardio; favorisce, inoltre, laumento del colesterolo HDL, la riduzione dei trigliceridi, della glicemia (nel diabete) e dell'obesit, e diminuisce l'aggregabilit piastrinica. Alcool Recenti studi hanno messo in evidenza un possibile ruolo dellabuso di alcool come fattore di rischio cardiovascolare. Al contrario, un uso controllato e limitato di vino rosso, sembra favorire laumento del colesterolo HDL e svolgere azione antiossidante grazie alla presenza di polifenoli e rosveratrolo. Frequenza Cardiaca Negli ultimi anni stato dimostrato un ruolo dellincremento della frequenza cardiaca e della riduzione della sua variabilit, anche in soggetti sani, nel predire eventi patologici cardiovascolari. Pattern comportamentale Numerose osservazioni hanno evidenziato che una particolare condizione comportamentale, definita come personalit di tipo A e caratterizzata da atteggiamenti caratteriali quali fretta, impazienza, eccessiva competitivit ed ostilit verso l'ambiente sociale, lavorativo e familiare, possa aumentare il rischio coronarico. Il meccanismo imputabile verosimilmente unaumentata reattivit cardiovascolare secondaria ad una maggiore liberazione di catecolamine e allipercortisolemia. Tuttavia, in tali soggetti il rischio aumenterebbe solamente quando non si realizzino gli obiettivi prefissati. FATTORI DI RISCHIO EMERGENTI Sindrome Metabolica La sindrome metabolica costituita da una combinazione di fattori di rischio che, coesistendo, conferiscono un rischio elevato di sviluppare cardiopatia ischemica. Esistono diverse classificazioni della malattia: secondo quella del NECP-ATP III la sindrome definita dalla coesistenza di almeno tre dei seguenti fattori di rischio: 1) circonferenza vita > 102 cm nelluomo e di 88 cm nella donna, 2) trigliceridemia =150 mg/dL, HDL-C < 40 mg/dL nelluomo e < 50 mg/L nella donna, 3) pressione arteriosa = 130/85mmHg, 4) glicemia a digiuno = 100 mg%. La prevalenza della sindrome metabolica aumenta con let con maggiore frequenza nel sesso maschile fino a 45 anni di et e successivamente nel sesso femminile. Infiammazione Recenti studi, hanno dimostrato che le lesioni aterosclerotiche sono il frutto di un processo infiammatorio cronico, e che la stessa flogosi contribuisce alla rottura e/o allerosione della placca predisponendo allo sviluppo di una sindrome coronarica acuta (vedi Capitolo 46). Alcune noxae (LDL ossidate, ipertensione, fumo, diabete, agenti infettivi, etc.) sono in grado di alterare la funzione dellendotelio inducendo la produzione di citochine proinfiammatorie (IL1, TNFalfa, IL6, sCD40L, etc.) e rendendolo suscettibile allinfiltrazione di lipidi e cellule infiammatorie. Queste amplificano il processo infiammatorio producendo altre citochine, fattori di crescita e fattori chemiotattici. Pi una placca ricca di lipidi e cellule infiammatorie (in particolare macrofagi in grado di produrre proteasi capaci di lisare il cappuccio fibroso, come le metalloproteinasi) pi incline alla rottura e quindi allinsorgenza di una sindrome coronarica acuta (SCA). In tal senso linfiammazione costituisce un fattore di rischio. La PCR, una proteina di fase acuta prodotta a livello epatico, il marker di flogosi pi ampiamente studiato anche perch essa dosabile nel sangue periferico in maniera semplice e poco dispendiosa. I livelli plasmatici di PCR (ultrasensibile = hsPCR) costituiscono un marker di rischio in pazienti asintomatici con fattori di rischio e un predittore prognostico in pazienti con angina

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instabile e SCA. La PCR in grado di attivare il complemento e di indurre lespressione di tissue factor, quindi di attivare la cascata coagulativa. Esiste anche unassociazione forte fra livelli di fibrinogeno ed eventi cardiovascolari. Il fibrinogeno aumenta la viscosit ematica, incrementa la trombogenicit del sangue ed esalta laggregazione piastrinica favorendo la trombosi e, infine, incrementa la formazione di fibrina portando conseguentemente ad un aumento delle dimensioni dei trombi e ad una riduzione della loro suscettibilit alla lisi. Iperomocisteinemia Lomocisteina un composto intermedio del metabolismo della metionina. Lassenza genetica dellenzima metilentetraidrofolatoreduttasi (MTHFR) che trasforma lomocisteina in metionina rappresenta una delle cause di iperomocisteinemia e si associa ad aterosclerosi accelerata ed a trombosi arteriosa e venosa. Lomocisteina sembrerebbe indurre il danno vascolare interferendo con la produzione di ossido nitrico da parte dellendotelio, e con la funzione piastrinica e incrementando la tendenza alla trombosi. Tuttavia, gli studi di intervento finora condotti non sono stati in grado di dimostrare che riducendo le concentrazioni di omocisteina si riducano gli eventi cardiovascolari. Microalbuminuria Il termine microalbuminuria indica laumento subclinico dellescrezione urinaria di albumina, con valori di compresi tra 30 e 300 mg/24 h, in assenza di macroproteinuria e di nefropatia conclamata. Laumento della permeabilit dei capillari glomerulari favorirebbe il passaggio transmembrana di albumina ma anche di lipoproteine aterogene nella parete vascolare, e sarebbe un indice di disfunzione endoteliale. La microalbuminuria rappresenta un marker di danno vascolare globale utile principalmente nella stratificazione del rischio di pazienti diabetici e ipertesi. Infezioni Vi sono evidenze che alcuni microrganismi come cytomegalovirus, herpes virus, chlamydia pneumoniae, helicobacter pylori (in particolare, il ceppo citotossici), possano contribuire allinsorgenza della malattia aterosclerotica, nonch rendere instabili le placche aterosclerotiche, agendo come noxae sullendotelio. Lincremento del titolo anticorpale verso tali patogeni stato utilizzato come predittore di eventi cardiovascolari futuri in pazienti con infarto acuto del miocardio. Lipotesi infettiva dellaterosclerosi resta tuttavia ancora controversa e i trial finora condotti con antibiotici non hanno dato alcun risultato significativo nel ridurre gli eventi cardiovascolari. MARKER STRUMENTALI DI DANNO VASCOLARE PRECLINICO Nella stratificazione del rischio coronarico oltre alla valutazione dei fattori di rischio utile la ricerca di segni di aterosclerosi preclinica, oggi possibile mediante lo studio ultrasonografico delle arterie carotidi, la misurazione dellIndice di Pressione Caviglia-Braccio (ABI) e la valutazione non invasiva della funzione endoteliale. Ispessimento Intima-Media (IMT) e Placca Asintomatica Carotidea Diversi studi epidemiologici hanno dimostrato unassociazione tra lincremento dello spessore medio-intimale carotideo (IMT) o la presenza di placche aterosclerotiche asintomatiche (PCA) delle carotidi e lincidenza di malattia cerebro- e cardiovascolare (ictus ed infarto miocardico) nella popolazione generale (vedi Capitolo 54). Indice di Pressione Caviglia-Braccio (ABI) Normalmente misurando la pressione arteriosa sistolica alla caviglia (tibiale posteriore) o alla tibiale anteriore e rapportandola alla pressione sistolica brachiale il rapporto > 1. Se tale rapporto < 0.9 questo significa che il paziente portatore di aterosclerosi preclinica a livello dellalbero arterioso iliaco-femoro-popliteo (vedi Capitolo 12). Numerosi studi epidemiologici hanno evidenziato che una riduzione dellABI associato ad aterosclerosi in altri distretti (coronarie e carotidi) ed a futuri eventi cerebro- e cardiovascolari. Disfunzione Endoteliale La disfunzione endoteliale rappresenta il primum movens nella patogenesi dellaterosclerosi (vedi Capitolo 48). La disfunzione endoteliale pu essere dimostrata dalla vasocostrizione conseguente alliniezione intrarteriosa di acetilcolina, in arteria brachiale o durante angiografia coronarica. Invece, se lendotelio integro, tale sostanza provoca vasodilatazione stimolando la liberazione di Nitrossido (NO) da parte dellendotelio. Recentemente stata messa a punto una tecnica non invasiva per lo studio la valutazione della funzione endoteliale attraverso lo studio della dilatazione flusso mediata (FMD) dellarteria brachiale con tecnica ultrasonografica. Pazienti con scarsa FMD hanno unalta probabilit di sviluppare eventi cardiovascolari rispetto a quei soggetti con normale FMD. Tale risultato evidenzia, infatti, una carente sintesi di ossido nitrico (NO) da parte dellNO sintetasi endoteliale, fattore cruciale della disfunzione endoteliale. RISCHIO CARDIOVASCOLARE GLOBALE E CARTE DEL RISCHIO Il rischio cardiovascolare un processo complesso, influenzato da fattori genetici, ambientali, sociali e culturali. Pertanto, al fine di valutarlo in maniera obiettiva si reso necessario introdurre il concetto di Rischio Cardiovascolare Globale (RCVG) e formulare le carte del rischio. Queste, mediante algoritmi e/o sistemi a punteggio che valutano una serie di parametri, consentono di stimare il rischio di eventi cardiovascolari nei successivi 10 anni. La prima carta del rischio stata quella di Framingham, che si basa sul calcolo del risk score ottenuto dalla somma del punteggio attribuito ai singoli fattori di rischio presenti. La carta europea del rischio

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utilizza per il calcolo una mappa di mortalit cardiovascolare a codifica di colore e distingue in Europa 2 zone, una ad alto ed una a basso rischio, di cui fa parte lItalia. Per stimare il rischio di presentare un evento cardiovascolare maggiore a 10 anni, l'Istituto Superiore di Sanit ha elaborato una carta italiana (Progetto Cuore), che distingue 4 categorie di soggetti: uomo diabetico (Figura 1), uomo non diabetico (Figura 2), donna diabetica (Figura 3), donna non diabetica (Figura 4), in cui il rischio attribuito in base alla presenza o meno, e al valore crescente, di: et, genere, diabete, abitudine al fumo, valori di pressione arteriosa sistolica e colesterolemia. Il RCVG calcolabile per uomini e donne esenti da precedenti eventi cardiovascolari, di et compresa fra 40 e 69 anni. Il livello di rischio a 10 anni distinto in: < 5%; tra 5 e 10%; tra 10 e 15%; tra 15 e 20%; tra 20 e 30%; > 30%. La stratificazione del rischio coronarico non costituisce un mero calcolo matematico, ma ha delle ovvie implicazioni di ordine pratico nella prevenzione di eventi cardiovascolari (Tabella I). PREVENZIONE PRIMARIA DELLA CARDIOPATIA ISCHEMICA Per prevenzione primaria sintende la messa in atto di una strategia dintervento sulla popolazione mirata a prevenire un evento mai manifestatosi in precedenza. Il fulcro della prevenzione primaria la correzione dei fattori di rischio ovvero l'abolizione dell'abitudine al fumo, la dieta alimentare (ridurre l'assunzione di zuccheri semplici, di alcool, di proteine animali, di sale e di colesterolo, prediligendo gli acidi grassi insaturi), il controllo del peso corporeo, lattivit fisica regolare, il trattamento dellipertensione, delle dislipidemie e delliperglicemia. I pazienti ipertesi ad alto rischio dovrebbero mirare a raggiungere una pressione arteriosa < 130/80 mm Hg, mentre valori < 140/90 mm Hg sono accettabili per lipertensione non complicata. Inoltre, se il rischio globale > 20% va istituito un trattamento farmacologico dellipercolesterolemia anche lieve. Nella Tabella II sono riportati i target raccomandabili per il colesterolo-LDL, per categoria di rischio, secondo le Linee Guida NCEP-ATP III e le indicazioni ad instaurare una terapia. Per quanto riguarda le HDL-C il valore desiderabile dovrebbe essere > 40 mg/dl per gli uomini e > 50 mg/dl per le donne, per i trigliceridi < 150 mg/dl. Le modificazioni dello stile di vita prima discusse comportano un aumento del 10-20% dei livelli plasmatici delle HDL-C ed una riduzione dei trigliceridi. Nelle ipertrigliceridemie elevate > 500 mg/dl, lintervento farrmacologico necessario. Nel paziente diabetico, per il rischio particolarmente elevato fondamentale l'ottimale controllo glicemico e lo stretto controllo di tutti i concomitanti fattori di rischio. Prevenzione nei pazienti a rischio intermedio, con aterosclerosi preclinica I soggetti con almeno 2 fattori di rischio, i quali secondo il Progetto Cuore hanno un rischio intermedio, in realt se coesistono segni strumentali di aterosclerosi preclinica (IMT > 1 mm o PCA, o ABI < 0.9 o ridotta FMD) si collocano ad un livello di rischio molto pi elevato. Tali soggetti necessitano di una strategia di prevenzione pi aggressiva e di misure farmacologiche anche se in tal senso il consenso non ancora unanime. PREVENZIONE SECONDARIA DELLA CARDIOPATIA ISCHEMICA Per prevenzione secondaria si intende lattuazione di una strategia terapeutica in soggetti che hanno avuto un evento cardiovascolare. Si basa sullinterazione tra modifiche dello stile di vita ed uso ragionato dei farmaci. Numerosi studi clinici hanno dimostrato l'utilit delle statine sia per il controllo dell'assetto lipidico sia per gli effetti di stabilizzazione sulla placca. Nel controllo dei valori pressori vanno considerati di prima scelta gli ACEinibitori, i sartani e i beta-bloccanti; questi ultimi hanno effetto cardioprotettivo, riducono il consumo di ossigeno e la mortalit. Inoltre, un ruolo fondamentale svolto dai farmaci antitrombotici, in particolare dallacido acetilsalicilico, che assunto con dosaggio da 75 a 325 mg/die riduce del 33% il rischio di reinfarto e del 25% la mortalit.

Capitolo 48 LE FUNZIONI DELL'ENDOTELIO Marika Massaro, Egeria Scoditti, Maria Annunziata Carluccio, Raffaele De Caterina
LENDOTELIO VASCOLARE: DAL CONCETTO DI CONTENITORE PER LA CIRCOLAZIONE A QUELLO DI CONTROLLO DELL OMEOSTASI VASCOLARE I vasi sanguigni giocano un ruolo chiave nel mantenimento dellomeostasi cellulare e della fisiologia dorgano. Essi infatti permettono al sangue di circolare ininterrottamente attraverso tutte le parti dellorganismo, e cos assicurano sia la distribuzione capillare dei nutrienti e dellossigeno sia la rimozione dei cataboliti e degli xenobiotici da tutti gli organi e dai tessuti. William Harvey fu il primo a descrivere, agli inizi del quindicesimo secolo, i principi fondamentali della circolazione del sangue. Egli rimase talmente impressionato dalla sua complessit da affermare nel suo libro Exercitatio Anatomica de Motu Cordis et Sanguinis in Animalibus che sentiva quasi che il moto del cuore e del sangue potesse essere compreso realmente solo da Dio. Gli esperimenti di Harvey confermavano i principi secondo i quali il sangue rifluiva e circolava nel sistema vascolare, unidea gi presente nelle convinzioni di Galeno quindici secoli prima e che era stata successivamente sviluppata da Andrea Cesalpino nella seconda met del 500. Da Cisalpino infatti per la prima volta il moto del sangue fu

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definito circulatio e fu puntualizzato che il cuore, e non il fegato, costituiva il centro del movimento. Ma la genialit della concezione di Harvey fu quella di considerare, per la prima volta nella storia della medicina, la circolazione da un punto di vista meccanico e dinamico. Egli tuttavia non riusc a stabilire quale fosse il punto di unione tra sistema arterioso e venoso ossia come il sangue passa dalle arterie alle vene. Quindi, il suo circolo anatomico rest aperto almeno fino a quando Marcello Malpighi non rivel, nel 1661, che arterie e vene erano collegate da una finissima rete di capillari, unosservazione tanto importante da essere considerata la seconda maggiore scoperta, dopo quella di Harvey, della medicina vascolare. Il passo successivo nella caratterizzazione strutturale e funzionale dei vasi sanguigni, fu ad opera di von Recklinghausen, il quale, nel 1861 dimostr che i vasi sanguigni non sono delle semplici strutture di conduzione che si affondano inerti nei tessuti, ma sono costituiti, e internamente ricoperti, da organizzazioni cellulari vitali. Altrettanto importanti acquisizioni furono ottenute verso la fine dello stesso secolo da Starling, il quale attraverso la formulazione delle leggi sulla meccanica degli scambi capillari (1896) dellapprezz lendotelio come una barriera selettiva. Tuttavia stato solo con gli studi di microscopia elettronica condotti da Palade nella met degli anni 50 e con quelli di fisiologia cellulare condotti da Gowans poco anni dopo che si dimostrata la possibilit di uninterazioni fisica fra linfociti e cellule endoteliali e quindi si sancito in via definitiva il ruolo attivo giocato dallendotelio nella fisiologia vascolare. Altra tappa fondamentale nella storia della biologia vascolare stata la scoperta nel 1976 ad opera di Moncada e Vane, della prostaciclina (PGI2), per la cui importanza biologica Vane stato insignito del premio Nobel nel 1982. Infine, nel 1980, Furchgott e Zawadzki hanno dimostrato in vitro che il rilassamento arterioso in risposta allacetilcolina era subordinato alla produzione, da parte delle cellule endoteliali, di un fattore poi identificato da Moncada come nitrossido (NO), e per il quale riconoscimento Furchgott stato insignito del premio Nobel nel 1987. Questa importante osservazione stata la scintilla per lesplosione di nuova serie di conoscenze tutte concordanti nellindicare che lendotelio svolge un ruolo chiave nellassicurare la flessibilit funzionale dellalbero vascolare. Gli innumerevoli studi che da allora si sono succeduti hanno infatti permesso la caratterizzazione dellendotelio vascolare come lorgano a pi ampia diffusione, eterogeneit e dinamicit dellorganismo umano espletando funzioni vitali di carattere sintetico, secretorio, metabolico ed immunologico. Queste funzioni, come si apprezzer nei paragrafi successivi, appaiono costantemente volte al mantenimento dellomeostasi vascolare: in condizioni fisiologiche le cellule endoteliali garantiscono lintegrit vascolare attraverso una modulazione funzionale della liberazione di vari fattori vasoattivi, mentre negli stati patologici questa flessibilit, e dunque le potenzialit omeostatiche dellendotelio, diminuiscono a favore di unattivit specifica che prende il sopravvento (Figura 1). RUOLO DELLENDOTELIO NELLOMEOSTASI VASCOLARE Le cellule endoteliali svolgono un ruolo importante in molti processi fisiologici ed eseguono una grande quantit di funzioni, come la regolazione del trasporto di acqua e di soluti, la regolazione delle reazioni immunologiche ed infiammatorie, il mantenimento della fluidit del sangue nonch la regolazione del calibro dei vasi sanguigni nelle diverse condizioni emodinamiche od ormonali. Per la loro strategica localizzazione anatomica, tra il sangue circolante e la muscolatura liscia, le cellule endoteliali hanno la capacit di percepire variazioni emodinamiche (come le forze di shear stress e di pressione) e chimiche (ormoni, sostanze liberate dalle piastrine e peptidi prodotti localmente), e di rispondere a tutti questi stimoli con la produzione di molti fattori biologicamente attivi. Tali fattori includono il nitrossido (NO), la prostaciclina (PGI2) e il fattore iperpolarizzante di derivazione endoteliale (endothelium-derived hyperpolarizing factor, EDHF), ma anche sostanze con effetti opposti, ad azione vasocostrittrice, pro-aggregante e pro-mitogena, come il trombossano(TX) A2 la prostaglandina (PG)H2, l'endotelina(ET)-1 e langiotensina(Ang) II (Figura 1). E per questo motivo che lendotelio viene considerato uno dei pi importanti organi che partecipano allomeostasi cardiovascolare (Tabella I). Cambiamenti in alcune di queste funzioni indotte da stimoli qualitativamente o quantitativamente anormali possono risultare nellalterazione localizzata delle propriet anti-emostatiche, del controllo del tono vascolare, e nellacquisizione di un fenotipo iperadesivo verso i leucociti circolati o in una produzione aumentata di citochine e fattori di crescita. Queste alterazioni sono collettivamente indicate con il termine di disfunzione endoteliale, e poich sono diverse, con fenotipo spesso diverso (vedi lendotelio nellinfiammazione acuta contro lendotelio nellaterosclerosi), appare appropriato il termine di disfunzioni, al plurale. Il termine di attivazione endoteliale pi specificatamente designa linsieme delle disfunzioni endoteliali caratterizzate dallacquisizione, sotto linfluenza di stimuli specifici, di nuove propriet antigeniche e funzionali che condizionano soprattutto le interazioni dellendotelio con i leucociti circolanti. MORFOLOGIA DELLE CELLULE ENDOTELIALI Morfologicamente le cellule endoteliali si presentano di forma approssimativamente poligonale, appiattite verso lestremit e leggermente ingrossate al centro in corrispondenza del nucleo cellulare. Esse costituiscono un monostrato dello spessore di 0.2-4 m che riveste, in maniera ininterrotta, la superficie interna dei vasi. Si stima che lendotelio possa coprire in media unarea di 5,000 m2 e che la rete vascolare possa svilupparsi su 100,000 km di lunghezza. Inoltre, con un peso totale approssimativo di 1 kg per 6 trilioni di cellule, lendotelio, rappresenta l1% dellintera massa corporea, e per questo motivo pu a ben ragione essere considerato fra i pi grossi organi del corpo umano. Sia la forma che lorientamento delle cellule endoteliali dipendono dallorganizzazione del citoscheletro. In particolare lorientamento delle cellule endoteliali, tipicamente nella direzione del flusso ematico, dipende dai processi di riorganizzazione cui vanno incontro le fibre di stress in seguito alle sollecitazioni emodinamiche. Tali sollecitazioni sono in grado infatti di determinare la riorganizzazione dei fasci di filamenti di actina ed actinina soprattutto verso la periferia della cellula determinando cos lorientamento cellulare. Marcatori delle cellule endoteliali sono lenzima di conversione dellangiotensina (angiotensin converting enzyme, ACE), il fattore di von Willebrand (vWF, immagazzinato nei corpi di Weibel-

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Palade), i recettori per il fattore di crescita endoteliale (vascular endothelial growth factor receptor, VEGFR) di tipo 1 e di tipo 2, la vascular endothelial (VE)-caderina, la platelet-endothelial cell adhesion molecole(PECAM)-1 (o CD31), la P-selettina, la molecola simil-mucina CD34, e la E-selettina. Tuttavia, mentre la VE-caderina, la Eselettina e i recettori per il VEGF sono marcatori specifici per lendotelio, lACE, il vWF, il CD31, la P-selettina e il CD34 sono presenti anche sui megacariociti, sulle piastrine e su diversi altri tipi cellulari ematopoietici (Figura 2). LA FUNZIONE DI BARRIERA DELLENDOTELIO Il monostrato endoteliale si presenta strutturalmente molto compatto. Esso infatti mostra degli spazi intercellulari molto ristretti tanto da costituire una barriera altamente selettiva al passaggio di sostanze tra il sangue e i tessuti. Diversi fattori regolano la permeabilit e lintegrit del monostrato endoteliale. Questi includono a) le giunzioni intercellulari, b) alcune proteine di legame espresse sulla superficie cellulare, c) le cariche elettrostatiche della membrana cellulare e d) la struttura e la composizione della membrana basale. Le giunzioni intercellulari sono delle strutture che determinano uno stato di aderenza stretta tra le membrane cellulari appartenenti a due cellule contigue. Esse sono formate da proteine trans-membrana possibilmente legate a proteine citoplasmatiche e/o a proteine del citoscheletro, e costituiscono un sistema cos dinamico e reversibile da assicurare entro pochi minuti, attraverso un cambiamento nella propria organizzazione strutturale, il passaggio dei componenti del sangue allinterno dei tessuti. I tre principali tipi di giunzioni intercellulari identificabili in un monostrato endoteliale sono: le giunzioni strette (o tight junctions), le giunzioni comunicanti (o gap junctions) e le giunzioni aderenti (zonulae adherentes) (Figura 3). Le giunzioni strette Le giunzioni strette sono quelle che determinano un contatto serrato fra due cellule endoteliali adiacenti, tanto da impedire il passaggio paracellulare dei fluidi e dei soluti. La frequenza delle giunzioni strette varia in relazione al letto vascolare: mentre nelle arterie cerebrali e nelle arterie di grosso calibro la loro frequenza molto elevata, lendotelio delle venule postcapillari pu addirittura non mostrare alcuna giunzione stretta. Strutturalmente sono costituite da una proteina transmembrana, detta occludina, che sul versante intracellulare si associa con alcune proteine citosoliche a localizzazione periferica come la zonula occludens(ZO)-1 e -2, la cingolina, e la rabl3 le quali, complessivamente, collegano loccludina al citoscheletro (Figura 3A). Nellendotelio, in particolare, la ZO-1 si localizza immediatamente al di sotto della membrana plasmatica ed interagisce direttamente con loccludina, mentre la cingolina e la ZO-2 fanno da ponte tra la ZO-1 e i microfilamenti di actina del citoscheletro (Figura 3A). Studi recenti evidenziano che le giunzioni strette proteggono lendotelio dallo sviluppo di lesioni aterosclerotiche. E stato osservato infatti che il numero delle giunzioni strette aumenta nelle cellule endoteliali in coltura esposte a forze frizionali di tipo laminare. Ci spiegherebbe quanto avviene in vivo in quelle regioni dellaorta esposte ad alti livelli di forze frizionali (shear stress) e in cui la deposizione dei lipidi e la formazione delle lesioni aterosclerotiche sono eventi piuttosto rari. Giunzioni comunicanti Le giunzioni comunicanti o gap junctions (sinonimi: nexuses, giunzioni facilitanti intervallate, maculae communicantes) sono costituite da canali transmembrana che connettono i comparti citoplasmatici di cellule adiacenti permettendo uno scambio diretto di ioni e secondi messaggeri. I canali delle giunzioni comunicanti consistono di due emicanali chiamati connessoni ognuno dei quali costituito da sei unit denominate connessine (Figura 3B). Le connessine fanno capo ad una famiglia multigenica composta da 15 membri, ognuno dei quali esibisce differenti propriet di permeabilit, di trasporto e dinterazione con gli altri membri della stessa famiglia. Le giunzioni comunicanti costituiscono il mezzo di comunicazione intercellulare delezione sia tra tipi cellulari omologhi (comunicazione omotipica se ad esempio tali giunzioni sono stabilite fra due cellule endoteliali) che fra tipi cellulari diversi (comunicazione eterotipica se ad esempio stabilita fra cellule endoteliali e cellule muscolari lisce o fra cellule endoteliali e leucociti). Questo genere di comunicazione giunzionale gioca, ad esempio, un ruolo critico nella coordinazione della migrazione, della replicazione e della successiva organizzazione strutturale delle cellule endoteliali, dei periciti e delle cellule muscolari di supporto durante langiogenesi. Inoltre stato recentemente ipotizzato un loro possibile coinvolgimento nellaterogenesi, essendo stata osservata unalterazione nel quadro di espressione delle connessine endoteliali e muscolari sia nelle placche aterosclerotiche umane che nelle lesioni sperimentalmente indotte in animali da laboratorio. Giunzioni aderenti (zonulae adherentes) Le giunzioni aderenti sono costituite da una serie di proteine transmembrana conosciute con il termine di caderine (Figura 3C). Esse assicurano alle cellule endoteliali il riconoscimento omotipico calcio-dipendente, ed per questa ragione che molti autori sostengono la loro essenzialit nellorganizzazione dei contatti inter-endoteliali. Le giunzioni aderenti sembrano inoltre giocare un ruolo importante nel controllo della migrazione, della crescita e della differenziazione delle cellule endoteliali. Lendotelio esprime caderine specifiche e non specifiche. Le caderine non specifiche, e quindi presenti in diversi tipi cellulari, includono la N-caderina, la P-caderina e la E-caderina. Il loro ruolo nel mantenimento della struttura endoteliale rimane controverso. Diversamente, la VE-caderina espressa solo dalle cellule endoteliali tanto da rappresentarne un marker di riconoscimento specifico. Solo recentemente stata investigata la sua espressione in relazione allaterosclerosi. A questo riguardo emersa unalterazione della sua espressione nelle lesioni aterosclerotiche in corrispondenza delle cellule endoteliali che hanno dato luogo a fenomeni di neovascolarizzazione intraplacca. In particolare, la riduzione dellespressione della VE-caderina in questi neovasi sembra coincidere con un aumento dellentrata di cellule immunocompetenti nella matrice intimale circostante le strutture neovascolari. Ci suggerisce che la disorganizzazione delle interazioni fra

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le cellule endoteliali entro la neovasculatura pu costituire un evento significativo alla base della progressione della malattia aterosclerotica LA REGOLAZIONE DEL TONO VASCOLARE E DELLA FUNZIONE PIASTRINICA LNO: biochimica e funzioni LNO il principale vasodilatatore prodotto dalle cellule endoteliali. Esso viene sintetizzato per azione della ossido nitrico sintasi (nitric oxide synthase - NOS), che catalizza lossidazione dellazoto contenuto nella L-arginina, producendo NO e L-citrullina in presenza di NADPH. Una serie di studi di biologia molecolare ha portato allidentificazione di tre distinti geni che codificano tre diverse isoforme dellenzima NOS: la NOS di tipo I o nNOS, contenuta nei neuroni e nel muscolo scheletrico; la NOS di tipo II o iNOS, inducibile in molti tipi cellulari (leucociti, endotelio, cellule muscolari lisce e miociti cardiaci); e la NOS di tipo III o eNOS, espressa soprattutto nellendotelio, ma anche dalle piastrine, dai miociti cardiaci e dai neuroni dellippocampo. Le tre isoforme enzimatiche condividono molte caratteristiche strutturali e presentano dei meccanismi catalitici largamente sovrapponibili. Ad esempio, richiedono una serie di cofattori e gruppi prostetici per esplicare la loro attivit, fra i quali il flavin adenina dinucleotide (FAD), il flavin mononucleotide (FMN), leme, la calmodulina (CaM) e la tretraidrobiopterina (BH4). Per la loro attivit catalitica sono necessari tre distinti domini, che a partire dallestremit C-terminale sono: un dominio reduttasico, un dominio di legame della CaM, ed un dominio ossigenasico. Il dominio reduttasico accoglie il FAD e lFMN e trasferisce gli elettroni dal NADPH al dominio ossigenasico. Il dominio ossigenasico catalizza la conversione dallarginina in citrullina ed NO, e contiene i siti di legame per leme, la BH4 e larginina. La NOS di tipo II lunica isoforma inducibile e calcio-insensibile, dal momento che viene espressa solo dopo attivazione cellulare ed attiva anche a basse concentrazioni di Ca2+. Questo avviene perch la CaM rimane costantemente legata allenzima, comportandosi come una sua subunit. La sua espressione pu essere indotta in diversi tipi cellulari, primi fra tutti i macrofagi, in seguito a stimolazione con citochine proinfiammatrie come linterleuchina(IL)-1 ed il fattore di necrosi tumorale(TNF)a. Si tratta dellisoforma responsabile della produzione massiva di NO che alla base dellazione battericida e tumoricida dei macrofagi e dei neutrofili. Le isoforme NOS I e NOS III sono invece espresse costitutivamente, e sono calcio-sensibili, in quanto lattivit basale pu essere aumentata dal legame della CaM a seguito dallaumento dei livelli intracellulari di calcio. Le tre isoforme differiscono per la localizzazione intracellulare: la NOS I nel tessuto nervoso localizzata nella membrana postsinaptica, mentre nel muscolo scheletrico associata con il citoscheletro, tramite uninterazione con il complesso della distrofina; la NOS II, inizialmente ritenuta citoplasmatica, risultata invece essere associata alla membrana plasmatica, sia pure in modo ancora indefinito; la NOS III, infine, situata nella membrana plasmatica, in corrispondenza di microdomini altamente specializzati detti caveole. Le caveole si presentano come invaginazioni della membrana plasmatica composte essenzialmente da glicosfingolipidi e colesterolo, mentre le principali proteine che ne formano limpalcatura strutturale sono le caveoline, proteine palmitoilate di 20-24 kDa, di cui si conoscono almeno tre isoforme: la caveolina 1, presente in unampia variet di cellule, endotelio compreso; la caveolina 2 espressa principalmente negli adipociti; la caveolina 3 contenuta soprattutto nei muscoli striati, compreso il miocardio. Le caveole svolgono una funzione chiave nella regolazione dellattivit enzimatica. La eNOS infatti lega la caveolina o la CaM in una maniera mutualmente esclusiva: in condizioni basali il legame della eNOS alla caveolina riduce lattivit enzimatica, mentre in condizioni di attivazione cellulare laumento dei livelli intracellulari di calcio (in seguito ad esempio a stimolazione con acetilcolina o bradichinina) promuove la dissociazione reversibile della eNOS dalla caveolina e il successivo legame alla CaM che ne determina lattivazione. La produzione endoteliale di NO tuttavia regolabile non solo a livello dellattivit enzimatica, ma anche a livello pre- e post-trascrizionale. Gli estrogeni, alcuni componenti delle low density lipoprotein (LDL) come la fosfatidilcolina e lo shear stress inducono lespressione della eNOS a livello trascrizionale. Diversamente, gli inibitori dellenzima 3-idrossi-3-metilglutaril-CoA reduttasi, fra i quali la simvastatina, aumentano lespressione della eNOS prolungando lemivita del suo messaggero. Infine sono state mostrate forme di modulazione posttraduzionali dovute a meccanismi di interazione proteina-proteina come con le heat shock protein 90 (hsp90), oppure ad eventi di fosforilazione a carico di siti specifici come in ser1177 che aumentano lattivit enzimatica potenziando il flusso di elettroni dal dominio di riduzione a quello ossigenasico. LNO ha unemivita approssimativa di 3-5 secondi. Una volta prodotto, esso diffonde facilmente verso le cellule della muscolatura liscia dove, attivando la guanilato ciclasi, determina il rilassamento della muscolatura e la vasodilatazione. Lattivazione della guanilato ciclasi dovuta al legame dellNO con leme dellenzima: questinterazione altera la conformazione delleme e disloca il Fe3+ dal piano dellanello porfirinico. In questa maniera viene rimossa linibizione che il ferro esercita sullenzima, e sinnesca una produzione massiva di guanosin monofosfato ciclico (cGMP) a partire dalla guanosina-5-trifosfato (GTP). Il cGMP determina il rilassamento muscolare attraverso diversi meccanismi, fra i quali la fosforilazione delle chinasi della catena leggera della miosina (MLCK), che determina la riduzione nei tassi di fosforilazione della miosina e quindi aumenta la stabilit della miosina inattiva, nonch attraverso la riduzione dei livelli intracellulari di calcio. Oltre che in direzione abluminale, le cellule endoteliali liberano NO anche in direzione luminale e quindi, nella circolazione sanguigna. Qui lNO pu venire in contatto con le piastrine e i leucociti circolanti e sortire altrettanti importanti effetti biologici in termini sia di riduzione delladesivit leucocitaria che delladesione e dellaggregazione piastrinica, sempre secondo meccanismi cGMP-dipendenti. LNO nelle malattie cardiovascolari

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Le alterazioni funzionali della trasduzione del segnale lungo la via biosintetica della L-arginina/NO possono svolgere un ruolo importante nella fisiopatologia delle malattie cardiovascolari, in quanto si associano ad una riduzione della vasodilatazione endotelio-dipendente con conseguente riduzione potenziale del flusso ematico locale e ad un ridotto potere antitrombotico e antiaterogeno dellendotelio. Nelluomo le coronarie con aterosclerosi presentano una ridotta risposta vasodilatatoria allacetilcolina rispetto alle arterie normali; anche nei vasi di soggetti ipertesi tale risposta risulta diminuita, ma non chiaro se questi comportamenti anomali siano primari o secondari alla malattia. Il fatto che questa alterata vasomotilit sia presente anche in coronarie angiograficamente integre ne suggerisce un ruolo primario. Corrispondentemente, in modelli animali di ipercolesterolemia linibizione farmacologica della NOS accelera laterosclerosi, mentre unaumentata disponibilit di NO diminuisce o addirittura reverte la formazione delle lesioni aterosclerotiche. Tuttavia sebbene la somministrazione orale di L-arginina in animali ipercolesterolemici abbia generalmente sortito effetti benefici, i risultati nelluomo sono stati pi contrastanti, probabilmente a causa del numero limitato di soggetti arruolati e dei brevi periodi di osservazione cui gli stessi soggetti erano sottoposti. Prostanoidi Il termine eicosanoidi indica diverse famiglie di mediatori lipidici bioattivi, quali le prostaglandine (compresa la prostaciclina), i trombossani, i leucotrieni e gli acidi idrossieicosatetraenoici. Queste sostanze derivano dal metabolismo di acidi grassi poliinsaturi a venti atomi di carbonio, fra i quali il pi comune e il pi rappresentato lacido arachidonico, un componente dei fosfolipidi della membrana plasmatica. La prima tappa nella biosintesi degli eicosanoidi la liberazione dellacido arachidonico dalla membrana per azione della fosfolipasi A 2 (Figura 4). Una volta liberato, lacido arachidonico pu essere convertito in prodotti ossigenati da distinti sistemi enzimatici, fra i quali le prostaglandine H sintasi-1 e -2, detti anche cicloossigenasi(COX)-1 e -2, i cui prodotti, raggruppati sotto il termine di prostanoidi, sono tra i pi importanti mediatori prodotti dalla parete vasale. Mentre molti tessuti umani esprimono costitutivamente COX-1, tanto da far considerare questa una housekeeping molecule, lespressione di COX-2 inducibile in risposta a stimolazione con fattori di crescita, promotori tumorali, citochine, lipopolisaccaride batterico (LPS) e trombina. Entrambi gli isoenzimi COX possiedono unattivit cicloossigenasica, responsabile della captazione di due molecole di ossigeno e della ciclizzazione della catena idrocarburica dellacido arachidonico, e unattivit perossidasica, che catalizza la riduzione del gruppo idroperossido legato al carbonio 15 in gruppo idrossile, essenziale per lattivit biologica. Il prodotto dellattivit cicloosigenasica, la PGH2, ha unemivita molto breve, dellordine dei 5 minuti, e causa vasocostrizione. Esso tuttavia costituisce solo un prodotto intermedio, e infatti subisce unimmediata conversione enzimatica in una prostaglandina(PG) del tipo D2, E2, F2a, o in PGI2, oppure in TXA2, a seconda del tipo di isomerasi/sintasi che opera la trasformazione (Figura 4). Poich esiste una variazione tessutale nellespressione delle isomerasi, il profilo dei prostanoidi prodotti varia in maniera tessuto-specifica. I prostanoidi realizzano i loro effetti cellulari previo legame a recettori appartenenti alla superfamiglia dei recettori accoppiati alle proteine G. Nellendotelio in condizioni basali (di non attivazione), lazione costitutiva e concertata della COX-1 e della PGI 2 sintasi (PGIS) produce PGI2. Questa, attraverso lattivazione del corrispondente recettore IP presente sulle cellule muscolari lisce e sulle piastrine, causa vasodilatazione e inibisce laggregazione piastrinica secondo un meccanismo che prevede lattivazione della adenilato ciclasi e laumento dei livelli intracellulari delladenosin monofosfato ciclico (cAMP). Tuttavia, in condizioni proinfiammatorie (attivazione cellulare mediata da citochine e fattori di crescita), linduzione di COX-2 determina, oltre allaccumulo di PGI2, un aumento significativo nella produzione di PGE2 (e in minor misura di PGD2), anche per effetto della concomitante induzione della PGE sintasi microsomiale (mPGES). Inoltre, le cellule endoteliali sono anche in grado di sintetizzare il TXA 2, un prostanoide fino a pochi anni fa ritenuto di esclusiva produzione piastrinica. Altri prodotti endoteliali dellacido arachidonico sono rappresentati da una nuova classe di biolipidi, noti come isoprostani. Gli isoprostani sono prodotti di perossidazione dellacido arachidonico e strutturalmente possono essere considerati isomeri delle prostaglandine convenzionali. Pur essendo mediata dai radicali liberi, la produzione di isoprostani nellendotelio inibibile dallindometacina. E stato perci ipotizzato un modello secondo il quale COX-2 contribuisce alla produzione endoteliale di isoprostani non in termini di catalisi enzimatica classica ma attraverso la generazione di specie radicaliche. Il contributo relativo di COX-1 e di COX-2 alla fisiopatologia dellaterosclerosi rimane ancora molto dibattuto nonostante lenorme interesse scientifico e la mole di lavoro prodotto. A differenza delle arterie normali che esprimono prevalentemente COX-1, RNA messaggero sia per COX-1 che per COX-2 stato dimostrato nelle placche aterosclerotiche umane in corrispondenza dei macrofagi, delle cellule muscolari lisce e dellendotelio. E stato ipotizzato che linduzione di COX-2 in sede lesionale possa contribuire allinstabilizzazione della placca favorendo la digestione del cappuccio fibroso, secondo un meccanismo di accoppiamento funzionale fra COX-2 e la produzione, PGE2-mediata, di metalloproteinasi della matrice(MMP). Inoltre, fenomeni di neoangiogenesi intraplacca sono stati riconosciuti essere criticamente implicati nella crescita e nella instabilizzazione delle placche aterosclerotiche umane. Poich diverse linee di evidenze sperimentali indicano un ruolo proangiogenico dei prodotti enzimatici di COX-2, e poich stato osservato che COX-2, la MMP di tipo 9, e la membrane type-1 MMP colocalizzano nelle cellule endoteliali dei vasa vasorum di aorte aterosclerotiche umane, si ipotizza che la produzione di prostaglandine COX-2-mediata possa contribuire alla crescita e allinstabilizzazione della placca aterosclerotica anche attraverso linduzione e il mantenimento dei processi di neoangiogenesi. L EDHF Gi nei primi anni 80 diverse linee di evidenza cominciavano a indicare che la vasodilatazione endoteliodipendente non poteva essere spiegata esclusivamente con la produzione endoteliale di PGI 2 ed NO. Infatti, soprattutto nelle arterie di resistenza, linibizione farmacologica o il silenziamento genico delle NOS, con e senza

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inibizione della produzione di PGI2, non riusciva ad inibire completamente il vasorilassamento endoteliodipendente indotto sia in risposta a stimoli chimici (acetilcolina e bradichinina) che meccanici (shear stress). Si constat in seguito che tale attivit vasorilassante residua implicava liperpolarizzazione delle cellule muscolari lisce (oltre che dello stesso endotelio), indipendentemente dallaumento dei livelli intracellulari di nucleotidi ciclici. Per queste ragioni si sospett lesistenza di quello che fu denominato fattore iperpolarizzante di derivazione endoteliale(o endothelium-derived hyperpolarizing factor, EDHF), e sipotizzo che lEDHF avrebbe potuto sortire i suoi effetti inducendo, direttamente o indirettamente, lapertura dei canali del potassio sulle cellule muscolari lisce oppure determinando liperpolarizzazione delle cellule endoteliali che sarebbe stata, a sua volta, trasmessa alle cellule muscolari lisce da unaccoppiamento elettrico tra i due tipi cellulari. Rimangono tuttora aperte molte questioni, prima fra tutte quella dellidentit chimica dellEDHF. Si ritiene che leterogeneit tessutale e di specie comporti lesistenza di forme diverse di EDHF, tanto che fino ad ora sono stati proposti almeno quattro candidati. Evidenze ben documentate propongono un ruolo per i prodotti dellacido arachidonico ottenuti attraverso la via dellepossigenasi P450, ossia degli acidi epossieicosatetraenoici (EET), che almeno in alcuni letti vascolari funzionano come EDHF. Ci basato sullosservazione che, a seguito di unadeguata stimolazione recettoriale, gli EET sarebbero sintetizzati e liberati dallendotelio e diffonderebbero verso le cellule muscolari lisce nelle quali indurrebbero liperpolarizzazione in seguito allapertura dei canali del potassio ad alta conduttanza (BKCa). Una seconda candidatura stata proposta per un altro prodotto dellacido arachidonico, ossia per il cannabinoide endogeno anandamide. Lanandamide infatti, attivando i recettori dei cannabinoidi sia nelle cellule endoteliali che nelle cellule muscolari, induce iperpolarizzazione e vasorilassamento. Una terza ipotesi riconosce gli ioni potassio (K+) come possibili EDHF. E stato ipotizzato, infatti, che unadeguata stimolazione dei recettori endoteliali possa attivare lapertura dei canali del potassio a bassa e media conduttanza (SKCa e IKCa) nelle cellule endoteliali, che porterebbe alla liberazione di K+ e quindi allaumento del K+ extracellulare. Questo, a sua volta, indurrebbe liperpolarizzazione e il rilassamento delle cellule muscolari attivando i canali del K + di tipo rettificante in entrata (KIR) e la Na+ -K+ -ATPasi. Una quarta ipotesi, quella oggi pi accreditata, riconosce nelle giunzioni comunicanti mio-endoteliali la struttura essenziale alla base dellattivit vasodilatatoria endotelio-dipendente mediata dallEDHF. Il numero di queste giunzioni eterocellulari infatti aumenta con la diminuzione del diamentro dellarteria, osservazione che coincide con la prevalente attivit dellEDHF nei vasi di minori dimensioni. Si ritiene che questi meccanismi non siano mutualmente esclusivi, ma anzi possano realizzarsi simultaneamente o sequenzialmente cos da determinare un effetto additivo o sinergico. Gli effetti biologici dellEDHF sono ridotti nella malattia vascolare aterosclerotica associata allinvecchiamento e dallipercolesterolemia. Perci stato suggerito che una diminuizione della produzione di EDHF possa essere responsabile, almeno in parte, delle alterazioni della risposta vascolare nellaterosclerosi. Endoteline In netto contrasto con tutte le sostanze descritte fino ad ora, le endoteline (ET) sono dei potenti vasocostrittori. Si tratta di polipeptidi strettamente affini alla safratossina (componente tossico di alcuni veleni di serpente) e prodotti da diversi tessuti in tre forme: lET-l, lET-2 e lET-3. Le cellule endoteliali producono solo lET-l, che stata isolata per la prima volta, nel 1988, proprio dal mezzo condizionato di cellule endoteliali di aorta porcina. LET-1 deriva da un precursore a 203 residui amminoacidici, detto pre-pro-endotelina, che viene processato in successione per essere definitivamente convertito, in una reazione catalizzata dallenzima di conversione dellendotelina (ECE), nella forma biologicamente attiva a 21 aminoacidi. In natura esistono diverse isoforme dellECE, fra le quali la ECE-la, la ECE-lb e la ECE-2, ma le cellule endoteliali esprimono esclusivamente lisoenzima-1a. Il 75% della produzione endoteliale di ET-1 diffonde abluminalmente verso le cellule muscolari lisce, mentre il restante 25% liberato nel lume vasale, cosicch bassi livelli di ET-1 sono misurabili nel plasma anche in soggetti sani. LET-1 realizza i suoi effetti biologici attraverso la stimolazione di specifici recettori accoppiati alle proteine G, noti come recettori di tipo A (ETA) e di tipo B (ETB). Le cellule muscolari lisce esprimono soprattutto il recettore ETA e solo scarsamente il recettore ETB. La stimolazione di entrambi i recettori induce vasocostrizione attraverso due differenti meccanismi: aumento dellinflusso di calcio e attivazione della fosfolipasi C e della fosfolipasi A2. Gli stessi recettori ETB sono espressi anche dalle cellule endoteliali, nelle quali la loro stimolazione induce la produzione e la liberazione di NO e PGI2, allo scopo di ripristinare il normale tono vascolare. Unalterata produzione endoteliale di ET-1 caratterizza gli stati di disfunzione endoteliale legati alla malattia aterosclerotica. In accordo con questo, molti dei fattori associati allo sviluppo delle lesioni aterosclerotiche, come le citochine infiammatorie e le LDL ossidate, inducono la produzione endoteliale di ET-l. Inoltre laumento nella produzione e nellespressione di ET-1 nelle placche aterosclerotiche umane ne conferma un potenziale ruolo patogenetico. Si ipotizza inoltre che lET-1 possa contribuire allo sviluppo dellaterosclerosi non solo inducendo perturbazioni del flusso ematico, ma anche stimolando la proliferazione delle cellule muscolari lisce, lespressione endoteliale delle molecole di adesione e la chemiotassi dei leucociti circolanti. Il sistema renina-angiotensina nellendotelio Il sistema renina-angiotensina un complesso apparato enzimatico-ormonale deputato alla regolazione a lungo termine del bilancio idro-salino, della pressione sanguigna e del volume dei liquidi extra-cellulari. In condizioni fisologiche, il sistema viene attivato quando si verifica ipovolemia o una caduta di pressione (ad esempio in seguito ad unemorragia). In queste condizioni, la diminuita perfusione dellapparato iuxtaglomerulare dei reni stimola le cellule iuxtaglomerulari a liberare un enzima, la renina (che pu anche essere liberata dai vasi sanguigni in seguito ad insulto meccanico o di altra natura), che converte un peptide inattivo di derivazione epatica, langiotensinogeno, in angiotensina (Ang) I; questo peptide viene a sua volta convertito in Ang II dallenzima di conversione dellangiotensina (angiotensin converting enzyme, ACE) espresso principalmente dai capillari polmonari e in generale dallendotelio vascolare. LAng II agisce da vasocostrittore, aumentando la

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pressione sanguigna e stimolando la secrezione di aldosterone, che a sua volta promuove la ritenzione di sodio. Nei vasi sanguigni, lACE localizzato sulla superficie luminale delle cellule endoteliali dove, oltre a convertire lAng I in Ang II, degrada e inattiva la bradichinina, aumentando cos, con la sua attivit, leffetto vasocostrittorio. Gli effetti biologici dellAng II sono generalmente mediati da una classe di recettori che comprende: AT1A, AT1B e AT2. Nelle cellule muscolari lisce, gli effetti di contrazione e di stimolazione della proliferazione cellulare sono mediati esclusivamente da AT1. Moltissime linee di evidenza suggeriscono un profondo coinvolgimento del sistema renina-angiotensina nello sviluppo della malattia cardiovascolare. Laccumulo dei lipidi allinterno della parete vascolare aumenta lespressione di tutti i componenti del sistema renina-angiotensina, con il risultato di un aumento netto nella produzione di Ang II e quindi dei suoi effetti vasocostrittori e pro-mitogeni. Inoltre lAng II pu modulare, in via diretta, lo sviluppo delle lesioni aterosclerotiche attraverso un effetto pro-infiammatorio sulle cellule endoteliali. Ci stato ampiamente dimostrato in vitro dallinduzione, Ang II-mediata, di una serie di molecole di adesione, quali la vascular cell adhesion molecule(VCAM)-1 e la intercellular adhesion molecule(ICAM)-1, caratteristicamente implicate nelle fasi precoci di reclutamento leucocitario che accompagna la formazione della lesione aterosclerotica. Inoltre stato accertato che questi effetti pro-infiammatori sono mediati dallattivazione dei recettori endoteliali di tipo AT1, dal momento che il loro blocco farmacologico previene ogni effetto pro-infiammatorio dellAngII. RUOLO DELLENDOTELIO NEL CONTROLLO DELLEMOSTASI Lendotelio gioca un ruolo chiave nel controllo dellemostasi, influenzando la funzionalit piastrinica, la coagulazione e la fibrinolisi. In condizioni normali lendotelio possiede propriet anti-piastriniche, anti-coagulanti e pro-fibrinolitiche; linstaurazione di uno stato disfunzionale caratterizzato dallo spostamento della bilancia emostatica da uno stato anti-trombotico verso un franco stato pro-trombotico (Figura 1, Figura 6). Controllo della funzionalit piastrinica In condizioni normali le piastrine circolanti non interagiscono con lendotelio vascolare sia a causa della liberazione costitutiva di NO e PGI2 da parte dellendotelio, sia per lespressione endoteliale, anchessa costitutiva, dellenzima anti-piastrinico noto come ecto-ADPasi/CD39. LNO, oltre ad esplicare un potente effetto vasodilatatorio, inibisce ladesione, lattivazione e laggregazione piastrinica attraverso diversi meccanismi. Esso induce laumento dei livelli intrapiastrinici di cGMP, inibisce lespressione della P-selettina, previene laumento intrapiastrinico di calcio, e promuove la disaggregazione piastrinica inibendo lattivit della fosfatidil-inositolo 3-chinasi. Anche la PGI 2, oltre a regolare il tono vascolare, inibisce fortemente laggregazione piastrinica, attraverso lattivazione dei recettori IP presenti sulle piastrine e il successivo aumento dei livelli di cAMP. Altra attivit anti-piastrinica messa in atto dallendotelio normale quella che fa capo allespressione della ectonucleasi di membrana conosciuta come ecto-ADPasi/CD39. LADP, interagendo con il recettore piastrinico P2Y 12, funziona da potente attivatore delle piastrine. La ecto-ADPasi endoteliale, essendo una ATP-difosfoidrolasi, metabolizza efficientemente lADP in AMP, contribuendo in tal modo al mantenimento delle piastrine in una condizione basale di non attivazione. Propriet anticoagulanti dellendotelio La coagulazione del sangue il risultato di una serie di processi che possono realizzarsi allinterno o allesterno di un vaso sanguigno, e che portano alla formazione di un coagulo o un di trombo. Pur essendo il processo di coagulazione unico, possibile distinguere una forma fisiologica, detta emostasi, che avviene allesterno di un vaso e conduce alla riparazione di una ferita, e una forma patologica, detta trombosi, consistente nella formazione di una massa solida nelle cavit cardiache o vascolari, e che pu portare a conseguenze cliniche anche gravi. In entrambe le situazioni, la stabilizzazione dellaggregato piastrinico primario subordinata alla formazione e alla deposizione di un reticolo polimerico di fibrina. La fibrina deriva dalla scissione del fibrinogeno ad opera della trombina, una serin-proteasi che oltre allattivazione del fibrinogeno contribuisce allattivazione di diversi altri enzimi e cofattori della cascata coagulativa (Figura 5). Non sorprendente quindi che diverse vie di controregolazione si siano evolute per contrastare fisiologicamente la generazione eccessiva di trombina. In questo senso lendotelio gioca un ruolo di primo piano, orchestrando almeno tre meccanismi anti-coagulanti: a) il sistema eparina-antitrombina; b) il sistema di inibizione della via del fattore tessutale; c) il sistema anticoagulante della trombomodulina-proteina C. La matrice extracellulare a contatto con lendotelio particolarmente ricca di eparansolfati e glicosamminoglicani di derivazione endoteliale, molecole che promuovono lattivita dellantitromina(AT). Questo complesso inattiva la trombina, il fattore VIIa legato al fattore tessutale (TF), il fattore X e Xa (Figura 5). Lespressione degli eparansolfati e dei glicosaminoglicani da parte dellendotelio ridotta in condizioni pro-infiammatorie. Lendotelio previene la formazione di trombina anche attraverso la produzione dellinibitore della via del TF (tissue factor pathway inhibitor, TFPI), il quale lega e inattiva il fattore Xa in un complesso quaternario costituito da TF/VIIa/Xa/TFPI (Figura 5). Sia la produzione di TFPI che di AT sono alterate negli stati protrombotici che accompagnano le complicanze cliniche su base aterosclerotica. La trombomodulina una proteina di 74 kDa sintetizzata dalle cellule endoteliali, ed espressa sulla superficie luminale delle stesse a livello dei capillari, delle arterie, delle vene, e dei vasi linfatici. E stato stimato che le cellule endoteliali della vena del cordone ombelicale possono esprimere fino a 50,000 molecole di trombomodulina per cellula. Quando la trombina viene legata dalla trombomodulina (Figura 5), essa perde le sue propriet procoagulanti e il complesso diviene un potente attivatore della proteina C, proteina a funzione anticoagulante prodotta e liberata dal fegato fino al raggiungimento di una concentrazione plasmatica di 4 g/mL. Il tasso di attivazione della proteina C pi alto quando essa si lega, in maniera reversibile (KD 30 nM), al rispettivo recettore espresso dalle endoteliali noto come recettore endoteliale della proteina C (EPCR). Una volta attivata, la proteina C (ora activated protein C,

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APC), mantiene la sua affinit di legame per ECPR, ma questo complesso non sembra pi possedere attivit anticoagulante. LAPC infatti, quando si dissocia da ECPR, forma un complesso con la proteina S, una molecola sintetizzata nel fegato e nelle cellule endoteliali, catalizzando linattivazione dei fattori Va e VIIIa (Figura 5). Il TNFa riduce lespressione della trombomodulina inibendo la trascrizione del suo RNA messaggero e favorendo la degradazione della proteina matura nei lisosomi. Il riscontro di una ridotta espressione in pazienti con angina instabile ha fatto ipotizzare un ruolo per la proteina S nello sviluppo della malattia vascolare. Propriet procoagulanti dellendotelio Il passaggio chiave nella trasformazione dellendotelio da una superficie anti-coagulante ad una pro-coagulante consiste nellespressione del TF. Il TF una glicoproteina di 263 residui aminoacidici strutturati in un dominio extracellulare di 219 residui, in una singola sequenza trans-membrana e in un corto dominio intracitoplasmatico. Poich il TF catalizza lattivazione della via estrinseca della coagulazione (Figura 5), in condizioni normali esso non espresso. Esso invece risulta sovraespresso in corrispondenza di molte lesioni aterosclerotiche, e ci giustificherebbe lelevata trombogenicit di alcune placche. Corrispondentemente, lespressione del TF inducibile in vitro in risposta a diversi fattori pro-aterogeni, fra i quali le LDL ossidate, lo shear stress, le IL1a e , il TNFa, oltre che dallattivazione del recettore del CD40 da parte di linfociti T e di piastrine esprimenti il corrispondente ligando (CD40 ligando). Le cellule endoteliali possono anche liberare il TF nel plasma, e questo avviene attraverso limmissione del TF allinterno di strutture microparticellari. Infine le cellule endoteliali contribuiscono agli eventi coagulativi esprimendo sulla propria superficie i recettori per la fibrina e per i suoi prodotti di degradazione. Controllo della fibrinolisi La fibrinolisi il processo mediante il quale il reticolo di fibrina viene dissolto dalla plasmina cos da evitare la persistenza del coagulo e/o la formazione di trombi. La fibrinolisi ha inizio con la trasformazione del plasminogeno in plasmina per azione degli attivatori del plasminogeno come il tissue-type plasminogen activator (tPA) o lurokinase-type plasminogen activator (uPA). Sebbene inizialmente si ritenesse che la produzione e la secrezione di tPA fosse propria di tutte le cellule endoteliali, studi pi recenti condotti in vivo hanno dimostrato la produzione di tPA solo in alcune sotto-popolazioni di cellule endoteliali microvascolari. Analogamente, luPA non viene prodotto in condizioni basali, ma solo dopo stimolazione con plasmina. Lendotelio anche in grado di produrre gli inibitori dellattivatore del plasminogeno (plasminogen activator inhibitor, PAI). Sebbene il fegato rappresenti la maggiore sorgente di PAI, lesposizione a diversi stimoli pro-infiammatori stimola le cellule endoteliali a produrre abbondanti quantit di PAI indipendentemente dal distretto tissutale di appartenenza. Infine il legame della trombina alla trombomodulina determina lattivazione di una proteasi conosciuta come inibitore della fibrinolisi attivabile dalla trombina (thrombin-activatable fibrinolysis inhibitor, TAFI). Il TAFI una carbossipeptidasi in grado di scindere i residui carbossiterminali della fibrina. Ci risulta in una perdita dei siti di legame per il t-PA, con conseguente rallentamento del processo fibrinolitico. DANNO ENDOTELIALE E LESIONE ATEROSCLEROTICA Le lesioni aterosclerotiche hanno origine in punti critici della circolazione sanguigna, principalmente nei punti di diramazione di collaterali, nelle biforcazioni e sul lato convesso di arterie curve, dove gli shear stress, cio le forze frizionali messe in gioco dallo scorrimento del sangue contro una parete vascolare ferma, sono bassi od oscillanti. Tali condizioni circolatorie probabilmente favoriscono sia il trasporto passivo di componenti del sangue arterioso nella parete vascolare che lespressione di componenti della matrice (proteoglicani ricchi in condroitina), altamente ritensivi verso le LDL, che cos vengono intrappolate nel sotto-endotelio. Le lesioni aterosclerotiche avanzate, come abitualmente osservate nelladulto, prendono aspetti assai diversi e variegati, riflettendo stadi diversi dellevoluzione delle placche e probabilmente storie naturali diverse tra placche diverse. A fronte di questa notevole variet di aspetti tardivi, il primo stadio di sviluppo della placca aterosclerotica ritenuto essere una lesione precoce denominata stria lipidica. Questo tipo di lesione il primo a comparire nei modelli di aterosclerosi da ipercolesterolemia in diverse specie animali, compreso quello della scimmia con ipercolesterolemia moderata, il modello animale sicuramente pi vicino alla patologia aterosclerotica umana, ed stato riscontrato nelle coronarie del 50% di adolescenti tra i 10 e i 14 anni, venuti allosservazione autoptica. La stria lipidica unarea di ispessimento intimale focale, determinato dallaccumulo di macrofagi carichi di lipidi (cellule schiumose), circondato da una matrice extracellulare e da un numero variabile di linfociti. Molti considerano questa lesione reversibile, ma il consenso attuale che la stria lipidica, bench potenzialmente reversibile, proceda invariabilmente verso lesioni pi avanzate. Placche aterosclerotiche si sviluppano negli stessi siti dellalbero vascolare dove si localizzano inizialmente le strie lipidiche. Per questi motivi, lorigine dellaterosclerosi pu essere ragionevolmente ricondotta alla patogenesi della stria lipidica. Oggi generalmente accettato che linizio dellaterosclerosi non richieda un danno endoteliale, nella forma di desquamazione focale con denudamento intimale, ma piuttosto lintero processo sembra avere origine da un insieme meno evidente di alterazioni che non richiedono la perdita fisica dello strato endoteliale. Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, in condizioni normali lendotelio vascolare contribuisce allomeostasi della parete modificando adattativamente il proprio stato funzionale. Alterazioni delle funzioni endoteliali indotte da stimoli qualitativamente o quantitativamente abnormi possono modificare linterazione tra componenti cellulari e macromolecolari che agiscono allinterfaccia sangue-parete vascolare. In generale, ladesione di leucociti allendotelio viene riscontrata in un gran numero di disturbi infiammatori ed immunologici. Famiglie diverse di proteine, ognuna con una distinta funzione, forniscono segnali di traffico per i leucociti. Queste famiglie comprendono: a) le selettine, che riconoscono come ligandi i carboidrati sialilati o fucosilati; b) i chemoattrattanti, alcuni dei quali, classici, come gli N-formil-peptidi, componenti del complemento, il leucotriene B4 e il platelet-activating factor- PAF-, agiscono ad ampio spettro, su neutrofili, eosinofli, basofli e

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monociti, altri, di pi recente caratterizzazione, come la monocyte chemoattractant protein-1 (MCP-1) e lIL-8 mostrano unelevata selettivit per monociti e linfociti T; c) la superfamiglia delle immunoglobuline endoteliali quali ICAM-l, -2, e -3, e VCAM-1, che riconoscono come ligandi integrine sulla superficie leucocitaria. Mentre le selettine mediano il legame iniziale dei leucociti allendotelio, rallentandone la corsa e provocando il loro rotolamento sulla superficie endoteliale, il legame pi tenace dei leucociti allendotelio richiede linterazione dei ligandi integrinici sulla superficie leucocitaria con immunoglobuline endoteliali quali VCAM-1 e ICAM-1. ICAM-1, il cui ligando coniugato integrinico leucocitario la molecola CD11/CD18, costitutivamente espressa a bassi livelli sulla superficie delle cellule endoteliali non stimolate, ma in seguito alla stimolazione con citochine infiammatorie quali lIL-1, il TNFa e linterferone(IFN)-( la sua espressione aumenta notevolmente. Il suo picco di espressione viene raggiunto dopo sei ore dalla stimolazione e rimane costante per almeno 72 h. Lespressione di ICAM-1 regolata soprattutto a livello trascrizionale. Diverse sequenze induttrici sono state riconosciute nel promotore di ICAM-1, fra le quali siti di legame per nuclear factor(NF)- B, Spl, lactivator protein(AP)-1, elementi responsivi allacido retinoico e C/EBP. VCAM-1 sembra giocare un ruolo chiave nel reclutamento leucocitario dellaterosclerosi, in quanto media specificatamente ladesione dei monociti, dei linfociti e dei basofili allendotelio attivato, ma non ladesione dei neutrofili. Noti induttori di VCAM-1 comprendono citochine come il TNFa, e lIL-1, le LDL modificate e i prodotti di glicazione avanzata del diabete (advanced glycation endproducts, AGE). In maniera simile a quella di ICAM-1, la regolazione trascrizionale di VCAM-1 richiede lattivazione di NF- B e AP-1. La recente osservazione di un ridotto numero di lesioni aterosclerotiche in topi geneticamente predisposti allo sviluppo dellaterosclerosi, ma esprimenti un forma ipofunzionale di VCAM-1, ha fornito una forte evidenza a sostegno del ruolo causale di VCAM-1 nellaterogenesi precoce. La fase finale di emigrazione dei leucociti attraverso lendotelio implica invece un ruolo pi attivo per la PECAM-1. Questa molecola normalmente localizzata in corrispondenza delle giunzioni intercellulari, dove interazioni omodimeriche legano due cellule endoteliali adiacenti (Figura 2, Figura 6). Poich PECAM-1 anche espressa sulla superficie dei leucociti, la rottura del dimero endoteliale PECAM-1/PECAM-1 a favore della formazione di un nuovo dimero fra leucocita emigrante e la cellula endoteliale costituisce levento alla base della diapedesi dei leucociti, Tuttavia il ruolo patogenetico di PECAM-1 nellaterogenesi ancora incerto poich non si osservano modificazioni significative della sua espressione in corrispondenza delle placche aterosclerotiche umane o in topi geneticamente predisposti allo sviluppo dellaterosclerosi. Ruolo del fattore di trascrizione NF- B nella disfunzione endoteliale L'espressione genica delle molecole di adesione endotelio-leucociti come VCAM-1, ICAM-1 e di alcuni chemoattrattanti endoteliali solubili quali MCP-1 e IL-8, aumentata di parecchie volte in risposta ai diversi mediatori molecolari del rischio cardiovascolare, come le LDL modificate, gli AGE o le citochine infiammatorie IL-1 e il TNFa. Le cellule endoteliali a riposo, non attivate, esprimono quantit trascurabili o assai basse di tali molecole, con leccezione di ICAM-1. Poich la maggior parte delle molecole di adesione non viene espressa in condizioni basali, lattivazione richiede evidentemente linizio di una trascrizione del corrispondente gene. Inoltre lespressione delle diverse molecole di adesione procede simultaneamente allespressione dei fattori endoteliali solubili. Dunque necessario che avvenga unattivazione concertata di tali geni, e ci reso possibile dallattivazione di uno o di pochi fattori di trascrizione, tra cui NF- B. Questultimo, in particolare, ha ricevuto unattenzione crescente negli ultimi anni come denominatore comune dellattivazione endoteliale, legato causalmente allespressione delle molecole di adesione. Sequenze nucleotidiche capaci di legare specificamente fattori NF- B-simili sono stati identificati in molti geni, tra cui quelli delle molecole di adesione inducibili e delle citochine solubili. Il sistema NF- B comprende una famiglia di fattori di trascrizione originariamente identificati nelle cellule B e poi scoperti essere ubiquitariamente espressi oltre che filogeneticamente conservati, essendo stati riconosciuti anche in Drosophila. I membri di questa famiglia comprendono: p65 (RelA), RelB, c-Rel, NF- B1 (p50), e NF- B2 (p52), come pure le loro subunit inibitorie I Ba, I B, e I B(. Le subunit di NF- B formano complessi sia omo- che etero-dimerici, il pi comune dei quali leterodimenro p65/p50 che si lega alla sequenza consensus decamerica GGGRNNTYCC (R=G o A, Y=C o T, N un qualsiasi nucleotide), cos inducendo lespressione dei geni bersaglio. Normalmente tale dimero sequestrato nel citoplasma in forma inattiva attraverso linterazione con la subunit inibitrice. Sotto linfluenza di diversi stimoli fisiopatologici, tra i quali TNFa, IL-1, lipopolisaccardide batterico (LPS), AGE, alta concentrazione di glucosio, shear stress, LDL ossidate e ischemia/riperfusione, si assiste alla degradazione proteolitica di I B e alla conseguente migrazione di NF- B nel nucleo, dove NF- B attiva una variet di geni implicati nellattivazione endoteliale. Una peculiarit di NF- B rappresentata dalla natura rapida e transitoria della sua attivazione che lo rende ben adatto a regolare lespressione di quei geni che necessitano di essere espressi su domanda e per un periodo di tempo limitato. Indipendentemente dallo stimolo, lattivazione di NF- B pu essere inibita dal trattamento con antiossidanti o chelanti dei metalli. Per questo motivo stato suggerito che lattivazione di NF- B possa essere stimolata da modificazioni nel bilancio redox cellulare. Il sistema NF- B quindi una potenziale via comune per coordinare lespressione di un gran numero di geni implicati nellattivazione e nella disfunzione endoteliale come VCAM-1, E-selettina, IL-1, IL-6, IL-8, TF, PAI-1, COX-2, e iNOS. Questo concetto supportato dal fatto che lattivazione di NF- B risulta ben evidente nelle lesioni aterosclerotiche umane ed animali. CONCLUSIONI E stato ormai definitivamente accettato che lendotelio non costituisce una semplice barriera di separazione statica tra sangue e tessuti, ma svolge un ruolo attivo nel mantenimento dellomeostasi vascolare. Attraverso la secrezione di una serie di molecole specifiche, le cellule endoteliali assicurano lappropriata regolazione del flusso

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ematico, prevengono lattivazione delle piastrine e gli eventi indiscriminati di coagulazione. In condizioni normali, ad esempio, le cellule endoteliali rispondono a stimoli diversi modificando dinamicamente le proprie propriet funzionali a sostegno della crescita dei vasi o della loro riparazione, o per guidare la risoluzione di un processo. Queste alterazione transitorie del fenotipo endoteliale terminano di solito con la ristabilizzazione dellomeostasi vascolare. Tuttavia in certe condizioni patologiche, come nellaterosclerosi, in cui il comportamento delle cellule endoteliali cronicamente perturbato, le alterazioni della fisiologia endoteliale assumono una connotazione patologica e dnno lavvio allo sviluppo della malattia. Negli ultimi ventanni lesplorazione della biologia endoteliale ha caratterizzato dal punto di vista cellulare e molecolare le funzioni dellendotelio, compresi i meccanismi alla base delle sue modificazioni funzionali acute e croniche. Tutti gli sforzi fatti per comprendere le caratteristiche fisiologiche dellendotelio, i meccanismi che sottendono i cambiamenti a lungo termine e la possibilit di correggerli certamente costituiscono la migliore via, e forse lunica, per la scoperta di nuove strategie terapeutiche per il trattamento di condizioni patologiche in cui la disfunzione endoteliale gioca un ruolo patogenetico di primo piano.

Sezione XIV. Cuore Polmonare ed Embolia Polmonare Capitolo 49 IL CUORE POLMONARE CRONICO Cesare Fiorentini, Piergiuseppe Agostoni, Elisabetta Doria
DEFINIZIONE Si definisce cuore polmonare la dilatazione e/o lipertrofia del ventricolo destro per aumento del postcarico dovuto a malattie dei polmoni, della parete toracica, dei vasi polmonari o dei centri del controllo della ventilazione. Sono escluse dalla definizione di cuore polmonare le patologie del cuore destro dovute a cardiopatie congenite o a malattie del cuore sinistro. FISIOLOGIA DEL CIRCOLO POLMONARE La circolazione polmonare interposta tra il ritorno venoso sistemico e latrio sinistro; oltre a rivestire un ruolo chiave negli scambi dei gas, il circolo polmonare concorre alla regolazione biochimica, termica ed umorale del sangue. In condizioni normali, la forza che guida il sangue attraverso il polmone dipende in ugual misura dal ventricolo destro e dalla respirazione. La funzione di pompa del ventricolo destro, tuttavia, diviene rilevante solo in condizioni patologiche. In alcune procedure cardiochirurgiche (ad esempio lintervento di Fontan), infatti, si esegue un by-pass del ventricolo destro, mettendo in comunicazione diretta latrio destro con larteria polmonare, senza che il ritorno venoso al cuore sinistro venga compromesso; ci dimostra come la circolazione polmonare possa avvenire normalmente anche senza il contributo del ventricolo destro. La caratteristica principale del circolo polmonare che le pressioni sono basse. Per generare ed aumentare il flusso del sangue occorre superare la pressione di apertura dei vasi, reclutare progressivamente nuovi vasi e dilatare quelli gi aperti. La relazione tra la pressione guida (differenza tra pressione arteriosa polmonare media e pressione atriale sinistra) e il flusso, perci, curvilinea e non origina dallo zero degli assi cartesiani (Figura 1). La resistenza vascolare la relazione tra pressione e flusso. Nel circolo polmonare si misura la resistenza vascolare arteriolare, con la formula seguente:

e la resistenza vascolare totale, la cui formula :

In entrambi i casi si assume una relazione pressione/flusso lineare, assunto del tutto erroneo. Per esempio, nella Figura 1 (pannello A) i punti 1 e 2 sono sulla stessa curva pressione/flusso (curva isoresistenza) ma su differenti resistenze calcolate, mentre i punti 1 e 2 del pannello B hanno la stessa resistenza calcolata ma sono su curve pressione/flusso diverse. Per calcolare veramente la resistenza vascolare polmonare, perci, occorre costruire la relazione misurando almeno 3 punti identificati da pressione e flusso. Questo pu essere fatto modificando la portata cardiaca con variazioni della postura o con lesercizio fisico. La pressione polmonare a catetere incuneato o wedge si misura occludendo con la punta del catetere un ramo periferico dell arteria polmonare. Quella che si registra la pressione del punto pi lontano dal catetere in cui vi ripresa di flusso (Figura 2). Locclusione in A legge la pressione in B mentre locclusione in C legge la pressione in D. In clinica, per, non siamo in grado di percepire la differenza tra la pressione ottenuta occludendo A o C.

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La distribuzione del flusso di sangue nel polmone funzione del rapporto tra pressione arteriosa polmonare, pressione venosa polmonare e pressione alveolare. Le camere del cuore destro sono cavit ad alta compliance, che possono accettare grandi volumi di sangue con piccole variazioni di pressione. Il sistema va in crisi in presenza di ipertensione polmonare, che si definisce presente se la pressione polmonare media , a riposo e a livello del mare, > 20 mm Hg. FISIOPATOLOGIA DEL CUORE POLMONARE CRONICO Il ventricolo destro assume un ruolo molto importante in presenza di malattie del polmone o del circolo polmonare. In un cuore normale, la portata cardiaca comincia a ridursi quando la pressione polmonare sistolica 30-40 mm Hg. Il ventricolo destro non in grado di tollerare pressioni di 60-80 mm Hg, ma se il sovraccarico di pressione si instaura gradualmente, il ventricolo si ipertrofizza e si dilata, riuscendo a mantenenere pressioni molto pi alte, in alcuni casi addirittura superiori a quelle del ventricolo sinistro. Ci pu essere ipertensione polmonare in caso di: a) malattie cardiache congenite, b) malattie a carico del cuore sinistro (atrio, valvola mitrale, ventricolo, valvola aortica), c) malattie respiratorie, e d) malattie che interessano il circolo polmonare. Per definizione solo le condizioni c e d possono essere causa di cuore-polmonare. Vasocostrizione ipossica In presenza di ipossia alveolare, i vasi che portano sangue agli alveoli interessati dalla ipossia si costringono. Se localizzato, questo un meccanismo di difesa utile perch riduce la perfusione di alveoli poco efficienti, favorendo la perfusione di alveoli normossici. Se il fenomeno generalizzato, o comunque interessa una grossa parte del polmone, si sviluppa ipertensione polmonare ipossica. Questa permette di reclutare nuovi vasi polmonari ma, se la portata si mantiene, fa aumentare il lavoro del ventricolo destro. Lipossia alveolare pu essere acuta (apnee del sonno), subacuta (ARDS, edema polmonare da alta quota) o cronica (patologia polmonare, della parete toracica o del controllo della ventilazione). In presenza di ipossia cronica, le arterie polmonari sviluppano uno strato muscolare che aumenta progressivamente, in rapporto alla durata ed allentit dellipossia alveolare. Esistono fattori che aumentano la risposta ipertensiva allipossia alveolare, quali laumento della PaCO2, laumento dellematocrito che incrementa la viscosit del sangue, laumento o la riduzione importante del volume polmonare ed, infine, la riduzione anatomica o funzionale del letto vascolare polmonare. Bisogna ricordare che la resistenza vascolare polmonare dipende dal volume polmonare: per i vasi alveolari aumenta con laumento del volume polmonare, mentre per i vasi extra-alveolari si riduce con laumento del volume polmonare. La somma d la effettiva resistenza vascolare alla capacit funzionale residua (Figura 3). Episodi di ipossia alveolare, come quelli associati alle apnee notturne, possono causare o concorrere a causare cuore polmonare. Un esempio classico di questo il cuore polmonare della sindrome di Pickwick (obesit, sonnolenza, policitemia) o quello dei russatori per alcool, bronchite cronica, obesit. Lipossia alveolare cronica si sviluppa in corso di ipoventilazione alveolare e si associa ad ipercapnia. Le cause includono enfisema, fibrosi polmonare, patologia polmonare restrittiva e bronchite cronica.

Restringimento meccanico dei vasi Le modificazioni dei volumi polmonari hanno un ruolo importante nella genesi dell ipertensione polmonare. In presenza di malattia polmonare ostruttiva, il volume del polmone aumenta. Inoltre si pu sviluppare il fenomeno del air-trapping per linsufficiente flusso espiratorio. Se la ventilazione aumenta, questo fenomeno diviene sempre pi rilevante con zone di polmone che per linsufficiente espirazione sono ad alta pressione e comprimono i vasi. In questo caso, per mantenere il flusso deve esserci un ulteriore aumento della pressione vascolare. Anche la riduzione del volume polmonare si associa ad aumento della resistenza vascolare polmonare (Figura 3).

Sovraccarico pressorio attorno al cuore destro Il cuore circondato in gran parte dal polmone. Nel cuore polmonare la rigidit del polmone significativamente aumentata, e ci aumenta il lavoro esterno, quello soprattutto del ventricolo destro, le cui pareti sono sottili e meno potenti di quelle del ventricolo sinistro. Il movimento del cuore in sistole e diastole a maggiore costo energetico in presenza di polmone rigido.

Aumento della portata cardiaca L ipossia alveolare riduce il contenuto arterioso di ossigeno. Questa riduzione compensata da un aumento dellemoglobina e dallaumento della portata cardiaca. Questultima un ulteriore elemento di sovraccarico per il cuore destro. QUADRO CLINICO Non ci sono sintomi specifici di dilatazione e/o ipertrofia del ventricolo destro, ma il quadro clinico dominato dalla malattia che causa il sovraccarico ventricolare. In presenza di scompenso del cuore destro si ha un aumento della pressione venosa sistemica, da cui dipendono edemi declivi, turgore giugulare, epatomegalia ed ascite.

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Le sindromi che possono essere alla base del cuore polmonare cronico sono: a) malattia polmonare ostruttiva, b) malattia polmonare restrittiva, c) malattia polmonare mista (ostruttiva e restrittiva) e d) malattie vascolari polmonari. Malattia polmonare ostruttiva Il quadro clinico quello del fumatore, con frequenti episodi di bronchite soprattutto nei mesi invernali. Il paziente riferisce a volte sintomi correlati allincremento della CO2, quali confusione mentale e disorientamento. I segni pi frequenti sono quelli legati allaumento della pressione venosa (turgore giugulare, epatomegalia, edemi declivi) e quelli dipendenti dallipossia, come la cianosi labiale e delle estremit; quasi sempre presente tachicardia sinusale e non di rado fibrillazione atriale. La radiografia del torace dimostra un cuore ingrandito, salienza del secondo arco di sinistra per dilatazione dellarteria polmonare ed aspetto ad albero potato della vascolatura polmonare in periferia. I test di funzione respiratoria dimostrano riduzione di FEV1, FEV1/FVC e capacit vitale, ed aumento consistente del volume residuo. La diffusione alveolo-capillare ridotta. Lemogasanalisi dimostra ipossiemia e ipercapnia. La somministrazione incongrua di ossigeno pu peggiorare il quadro emogasanalitico. LECG (ECG 03) mostra ingrandimento dellatrio destro e ipertrofia ventricolare destra (vedi Capitolo 3). Lecocardiogramma rivela lipertrofia e la dilatazione del ventricolo destro, ed anche lipertensione polmonare, valutata con metodica Doppler (Figura 4). La terapia la sospensione del fumo, la riduzione del rischio di recidiva delle infezioni delle vie aeree e dei polmoni, la riabilitazione respiratoria, luso di broncodilatatori e mucolitici, limpiego congruo di ossigeno . La terapia farmacologia dellipertensione polmonare secondaria non ha successo. Malattia polmonare restrittiva Le malattie restrittive che portano al cuore polmonare cronico hanno prognosi infausta. Si possono riconoscere due gruppi di malattie restrittive: il primo comprende le alveoliti fribrotizzanti, le pneumoconiosi, le malattie della gabbia toracica e del suo apparato neuro-muscolare. Tutte queste malattie portano ad insufficienza ventilatoria con iperventilazione. Il secondo gruppo di malattie restrittive che portano a cuore polmonare caratterizzato fin dall inizio da ipoventilazione. La terapia delle fasi pi avanzate solo il supporto ventilatorio. Malattia polmonare mista (ostruttiva e restrittiva) I due quadri possono essere presenti: l aspetto clinico pi tipico quello del fumatore obeso. Malattie vascolari polmonari Lostruzione o la distruzione del letto vascolare polmonare pu causare ipertensione polmonare che, a sua volta, porta a cuore polmonare. In questo caso la pressione polmonare pu essere molto elevata, pi che nelle forme ipossiche. Lipertensione polmonare pu essere post-embolica, di solito successiva a molti episodi embolici pi o meno sintomatici e spesso clinicamente non riconosciuti, oppure causata da vasculopatia per ipertensione polmonare primitiva (vedi Capitolo 51) o associata a varie vasculiti. Lincidenza dellipertensione polmonare post-embolica minore di quanto ci si potrebbe aspettare dal numero di embolie ritrovate allautopsia: ci dipende verosimilmente dallestensione del letto vascolare polmonare e dai potenti meccanismi trombolitici dellendotelio polmonare.

Capitolo 50 L'EMBOLIA POLMONARE Giuseppe Mercuro, Francesco Peliccia


DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA Lembolia polmonare (EP) locclusione acuta del tronco o di un ramo dellarteria polmonare, che determina un ostacolo allo svuotamento del ventricolo destro e uninterruzione del flusso ematico nel distretto polmonare a valle dellocclusione. Il grado di compromissione emodinamica e respiratoria dipende dalla dimensione dellembolo, che pu interessare la biforcazione dellarteria polmonare (embolo a sella) o un suo ramo (Figura 1). Lincidenza dellEP dello 0.5-1, con un rapido incremento dopo i 60 anni di et. La mortalit per EP >15% nei primi 3 mesi dalla diagnosi. EZIOLOGIA

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Allorigine di unEP sta, nella quasi totalit dei casi, la mobilizzazione di un trombo venoso dalla sua sede di formazione periferica, usualmente le vene degli arti inferiori: il trombo percorre il circolo venoso refluo, latrio ed il ventricolo destro ed embolizza la circolazione arteriosa polmonare. Circa la met dei pazienti con trombosi venosa profonda (TVP) pelvica o prossimale delle gambe subiscono unEP, che rimane assai spesso asintomatica. Emboli a partenza dalle vene del polpaccio sono pi raramente causa di EP, ma rappresentano la sorgente pi probabile di emboli paradossi, che possono raggiungere la circolazione arteriosa sistemica attraverso un forame ovale pervio o un difetto del setto interatriale. Lorigine di un trombo dagli arti superiori possibile a causa dellutilizzo crescente di cateteri venosi a permanenza per alimentazione parenterale o chemioterapia, nonch di elettrocateteri di pacemaker e defibrillatori cardiaci. Gli stati di ipercoagulabilit che possono causare unEP, i fattori di rischio e le condizioni cliniche associate che possono favorirla sono gli stessi coinvolti nel determinismo della TVP (v. Capitolo ). Una predisposizione congenita deve essere considerata nei rari casi in cui lEP colpisce soggetti <40 anni, con storia di ricorrenti TVP o con anamnesi familiare positiva. I difetti genetici pi frequentemente in causa sono la resistenza alla proteina C attivata, la mutazione factor II 20210A, liperomocisteinemia e le carenze di Antitrombina III, proteina C e proteina S. In una minoranza di casi (<5%) lembolo non deriva da un trombo, ma di natura gassosa (posizionamento o rimozione di un catetere centrale), neoplastica, grassosa (trauma o frattura), amniotica o settica. FISIOPATOLOGIA Un aumento della resistenza arteriosa polmonare leffetto dellostruzione del vaso da parte dellembolo e, in parte, della liberazione di serotonina dalle piastrine del trombo. Sul versante respiratorio si verifica una diminuzione degli scambi gassosi con ipossiemia nelle forme pi gravi derivante da: a. dissociazione tra ventilazione e perfusione polmonare, con estensione dello spazio morto respiratorio allarea interessata dallEP; b. shunt di circolo a livello polmonare, per apertura di anastomosi artero-venose; c. ridotta compliance polmonare, dovuta a perdita di surfactante e ad edema alveolare. Il subitaneo innalzamento del postcarico per lostruzione vascolare polmonare pu produrre dilatazione del ventricolo destro e rigurgito tricuspidale. La dilatazione del ventricolo destro, cui pu accompagnarsi aumento dei livelli circolanti di BNP, determina una deviazione del SIV verso sinistra, limitando il riempimento diastolico del ventricolo sinistro. Questo evento, insieme con il ridotto precarico ventricolare sinistro secondario allinsufficienza ventricolare destra pu causare diminuzione della gittata sistolica, della pressione arteriosa sistemica e della perfusione coronarica. QUADRO CLINICO La dispnea il sintomo pi frequente dellEP (Tabella I). Un dolore toracico tipico presente in caso di ischemia miocardica, specie in soggetti con precedente cardiopatia. Altri sintomi comuni sono la tosse, la sincope e lemottisi. Lesame clinico mostra quasi senza eccezione tachicardia, e a volte distensione delle vene del collo, accentuazione della componente polmonare del II tono e cianosi. E utile classificare lEP in diversi quadri clinici, per attuare la migliore strategia terapeutica e determinare la prognosi. UnEP massiva interessa almeno la met del circolo arterioso polmonare, spesso bilaterale e induce facilmente cianosi, ipotensione arteriosa, sincope e shock cardiogeno. I pazienti con EP da moderata a sub-massiva, che interessa allincirca 1/3 del circolo polmonare, mostrano una PA normale, che maschera linstabilit emodinamica del ventricolo destro (ipocinesia, insufficienza tricuspidale). NellEP lieve un trombo di modeste dimensioni si disloca nella periferia del parenchima polmonare e pu interessare il foglietto pleurico con comparsa di dolore pleuritico e tosse. Un infarto polmonare pu prodursi in questa sede in capo a 3-7 giorni, associandosi a febbre, leucocitosi, emottisi ed un quadro radiologico tipico. La pressione arteriosa normale e la funzione del ventricolo destro conservata. DIAGNOSI Per giungere alla diagnosi di EP di grande importanza maturarne il sospetto, sulla base del profilo di rischio, dellanamnesi e della recente storia clinica. Peculiare dellEP la rapida insorgenza dei sintomi, inaspettata rispetto alle preesistenti condizioni cliniche del paziente. Occorre poi integrare questi dati con lesame fisico e con gli esiti delle indagini di laboratorio e strumentali. Test clinici e di laboratorio. Il test semi-quantitativo a punti di Wells, rappresentato da 7 domande da porre al paziente (Tabella II), ha un valore diagnostico di esclusione dellEP quando rivela un punteggio =4. Il dosaggio del D-dimero nel plasma molto sensibile ma poco specifico, perch esso pu aumentare nel decorso post-chirurgico come pure in caso di IMA, sepsi, cancro e patologie sistemiche in generale. Elevatissimo il suo potere predittivo negativo (>99%): virtualmente, nessun paziente con EP in atto risulta negativo al dosaggio del D-dimero. Elevati valori ematici di biomarker cardiaci, quali troponina e BNP correlano con il grado di compromissione funzionale del ventricolo destro e rappresentano un indice predittivo di eventi e di morte cardiaca. La troponina si libera in presenza di microinfarti; il BNP secreto dai cardiomiociti in risposta allaumentato stress di parete.

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La misura dellipossiemia non appare discriminante per la diagnosi di EP poich non meno del 20% dei pazienti mostra una PaO2 normale. Inoltre, per quanto la maggior parte dei pazienti con EP siano ipocapnici a causa delliperventilazione, la differenza in O2 alveolo-arteriosa normale nel 15-20% dei casi. Tecniche strumentali e di imaging. Pazienti con EP possono mostrare un ECG del tutto normale, ovvero con manifestazioni di interessamento ventricolare destro (blocco di branca incompleto o completo), un aspetto S1Q3T3 (onda S in D1, onda Q e T invertita in D3), sopraslivellamento di ST in V1-V2 e T negative da V1 a V4 (ECG 50). Inoltre, lECG serve ad escludere un infarto miocardico acuto. La radiografia del torace presenta anormalit in non pi del 25% dei casi; il reperto pi comune la cardiomegalia. In taluni casi lesame identifica aspetti patognomonici, quali loligoemia zonale, indice di unEP massiva e centrale, una densit periferica a forma di cuneo, indice di infarto polmonare, o una distensione dellarteria polmonare discendente destra (Figura 2). Lecocardiografia transtoracica (ETT) una tecnica aspecifica, poich lesame risulta nella norma in circa la met dei pazienti con EP. Del resto, lenorme diffusione e rapidit desecuzione dellETT, insieme con lelevata sensibilit nellapprezzare la dilatazione e la disfunzione del ventricolo destro, la rendono preziosa per la stratificazione del rischio in pazienti con EP gi diagnosticata. Segni di EP deducibili con lETT sono la rara visualizzazione diretta del trombo, il movimento anormale del setto interventricolare, il rigurgito tricuspidale, la dilatazione dellarteria polmonare, il mancato collasso inspiratorio della vena cava inferiore. Infine, lETT pu escludere altre patologie, quali infarto miocardico acuto, dissezione aortica o pericardite. La TC del torace con contrasto e.v. divenuta il test di imaging elettivo nella maggior parte dei pazienti con fondato sospetto di EP (potere predittivo negativo >99%; (Figura 3). Apparecchi di ultima generazione sono destinati a soppiantare langiografia polmonare come gold standard per la diagnosi dellEP, consentendo lacquisizione in pochi secondi dellintero torace con una risoluzione inferiore a 1 mm. Daltra parte, la TC fornisce informazioni dettagliate sulle dimensioni e la funzione del ventricolo destro. La scintigrafia polmonare rappresenta oggi unindagine di seconda scelta in caso di sospetta EP, mentre riservata a pazienti in gravidanza, oppure con insufficienza renale o allergia al contrasto. La risonanza magnetica (RM) angiografica utilizza un mezzo di contrasto non nefrotossico e pressoch esente da reazioni allergiche. Sensibilit e specificit diagnostiche sono paragonabili a quelle della TC di prima generazione, consentendo l'identificazione di EP segmentarie. La RM in grado di valutare anche la funzione del ventricolo destro.

Tecniche invasive Langiografia polmonare idonea a riconoscere emboli di 12 mm quali difetti di riempimento vasale intraluminale. Segni secondari di EP sono la netta interruzione di un vaso, loligoemia segmentale o una totale mancanza di circolo ed una fase arteriosa prolungata. Langiografia riservata ai pazienti con TC non diagnostica o che devono essere sottoposti ad embolectomia transcatetere o trombolisi mirata. Nella pratica clinica, auspicabile un approccio diagnostico integrato, esemplificato dal diagramma in Figura 4. Esso prevede a. lanamnesi indirizzata al profilo di rischio tromboembolico, lesame fisico e il calcolo dellindice di Wells; b. un ECG ed una radiografia del torace; c. il dosaggio del D-dimero che, se negativo, esclude lEP in soggetti con indice di Wells =4; d. la TC o la scintigrafia polmonare, nonch lecografia venosa degli arti. In sintesi, lEP pu essere esclusa in pazienti con bassa probabilit clinica e D-dimero negativo, cos come in quelli a rischio elevato, ma con TC negativa. Purtroppo, per quanto il test del D-dimero per lesclusione dellEP e quello della TC per la sua visualizzazione abbiano nettamente perfezionato la sensibilit diagnostica, lEP rimane ancora ardua da diagnosticare e quadri di EP sub-massiva o moderata rimangono non riconosciuti in non meno del 50% dei pazienti. TERAPIA Una rapida stratificazione della gravit dellEP fondamentale per il corretto inquadramento clinico del paziente e per la scelta della terapia pi appropriata. A questo scopo pu essere utilizzato lindice a punti di Ginevra che si basa su parametri anamnestici, clinici e strumentali facilmente ottenibili (Tabella III). Il trattamento dei pazienti con EP pu essere farmacologico, interventistico o chirurgico. La scelta tra queste tre strategie dipende sia dalla loro disponibilit sia, soprattutto, dal grado di compromissione clinica e funzionale determinato dallEP. Supporti terapeutici immediati sono la somministrazione di 02 e la sedazione del dolore toracico con antinfiammatori non-steroidei. In soggetti a basso rischio, con pressione sistemica normale e senza evidenza di disfunzione ventricolare destra, il trattamento mirato alla prevenzione di ricorrenti EP e/o TVP e si basa sulla sola anticoagulazione. Caposaldo di tale trattamento leparina non frazionata (ENF), la cui somministrazione previene lulteriore formazione di trombi e consente alla fibrinolisi endogena di dissolvere il trombo gi formato. Una valida alternativa allENF oggi rappresentata dalle eparine a basso peso molecolare, frammenti di eparina con migliore biodisponibilit e pi lunga emivita dellENF e che, a differenza di questa, non richiedono un monitoraggio della terapia con determinazione del PTT. Insieme alleparina occorre iniziare la

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somministrazione di un anticoagulante orale (AO), warfarin o acenocumarolo, il cui pieno effetto si manifesta in genere dopo 5 giorni. Leparina garantisce leffetto anticoagulante finch lAO non abbia prodotto valori di INR superiori a 2 per almeno 2 giorni consecutivi. In seguito, la dose di AO va scelta con lobiettivo di mantenere lINR tra 2 e 3. In caso di emorragia in atto, di controindicazione alluso degli anticoagulanti ovvero di EP ricorrente nonostante lAO. possibile ricorrere al posizionamento di un filtro nella vena cava inferiore. Pazienti con EP massiva e shock cardiogeno o portatori di vasta trombosi ileo-femorale, sono candidati alla trombolisi, al fine di ridurre la mortalit e prevenire la ricorrenza di EP. Ci avviene attraverso la dissoluzione sia del trombo occludente larteria polmonare, con rapido miglioramento dello scompenso cardiaco destro, sia dei trombi emboligeni presenti nella periferia del sistema venoso. Quando unEP massiva determina una grave compromissione delle funzioni cardiorespiratorie, imponendo la ventilazione assistita e il supporto cardiocircolatorio, oppure quando la trombolisi non abbia avuto successo o sia controindicata, appropriata lembolectomia, con rimozione meccanica del materiale trombotico dallarteria polmonare. Questa tecnica stata eseguita per molti anni solo chirurgicamente, a torace aperto, in arresto di circolo o a cuore battente, costituendo un intervento efficace, ma gravato da una significativa mortalit. Attualmente, invece possibile lembolectomia per via percutanea in sala di emodinamica. La procedura non necessita di anestesia generale, richiede solo un accesso venoso, in genere a livello femorale e si esegue con speciali cateteri che frammentano e aspirano il trombo occlusivo. In considerazione della difficolt di diagnosticare lEP e di contenere il danno clinico che essa produce, fondamentale attuare unefficace prevenzione del tromboembolismo venoso. Occorre diffondere lopinione che virtualmente tutti i soggetti ospedalizzati sono a rischio di EP e, se del caso, debbono ricevere misure preventive appropriate. Per i pazienti a rischio pi elevato la terapia anticoagulante (eparine a basso peso molecolare o AO) ed i presidi meccanici (calze elastiche o compressione pneumatica intermittente) che incrementano il flusso venoso e stimolano la fibrinolisi endogena, rappresentano una profilassi con un rapporto costo/beneficio assai vantaggioso.

Capitolo 51 L'IPERTENSIONE POLMONARE PRIMITIVA Carmine Dario Vizza, Roberto Badagliacca, Roberto Poscia, Francesco Fedele
DEFINIZIONE L ipertensione polmonare viene definita come un aumento della pressione polmonare media superiore a 25 mmHg in condizioni di riposo o di 35 mmHg durante attivit fisica. Per cuore polmonare cronico (vedi Capitolo 48) si intendono gli adattamenti morfofunzionali del ventricolo destro che si osservano in corso di ipertensione polmonare, caratterizzati da aumento dello spessore della parete libera, dilatazione della cavit e riduzione della funzione sistolica. CENNI DI FISIOLOGIA E FISIOPATOLOGIA DEL CIRCOLO POLMONARE Il circolo polmonare caratterizzato da alto flusso e basse resistenze: sufficiente una pressione media di soli 12-15 mmHg per far fluire tutta la portata cardiaca (circa 4-5 litri) attraverso i polmoni. Da un punto di vista emodinamico, dobbiamo distinguere due diverse forme di ipertensione:

ipertensione polmonare precapillare, che coinvolge il circolo polmonare a livello arteriolare, provocando un aumento della pressione solo nellarteria polmonare; ipertensione polmonare postcapillare, causata da un aumento delle resistenze a livello venulare o delle sezioni cardiache sinistre (come accade in corso di valvulopatie o miocardiopatie); in questa situazione, l'aumento della pressione in arteria polmonare necessario per mantenere un normale gradiente transpolmonare. La distinzione tra queste due condizioni importante dal punto di vista clinico e terapeutico, poich:

nella maggioranza dei casi lipertensione post-capillare secondaria ad una disfunzione ventricolare sinistra, ed il trattamento deve riguardare la patologia ventricolare sinistra; nelle forme precapillari la compromissione cardiaca prevalente a livello del cuore destro e le cure sono rivolte alla riduzione delle resistenze arteriolari polmonari.

CLASSIFICAZIONE Si distinguono 5 forme principali di ipertensione polmonare (Tabella I):

Ipertensione arteriosa polmonare (precapillare) Ipertensione venosa polmonare (postcapillare) Ipertensione polmonare secondaria a malattie polmonari (precapillare)

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Ipertensione polmonare secondaria a malattie tromboemboliche (precapillare) Miscellanea

Ipertensione arteriosa polmonare (IAP)


In questo gruppo vengono riunite le forme di ipertensione polmonare che hanno caratteristiche simili a quelle dellipertensione polmonare primitiva, che nella pi recente classificazione viene definita come ipertensione arteriosa polmonare idiopatica. Oltre alla forma idiopatica e familiare, la IAP pu essere associata al consumo di anoressizzanti, a malattie del connettivo (sclerodermia, lupus), all'infezione da HIV, allipertensione portopolmonare, alle cardiopatie congenite con iperafflusso polmonare (sindrome di Eisenmenger) (vedi Capitolo 51); rientra in questo gruppo anche lipertensione polmonare persistente nel neonato. Tutte queste forme sono caratterizzate da un interessamento quasi esclusivo della componente vascolare del polmone, con ostruzione delle arteriole di piccolo calibro secondaria a proliferazione delle cellule endoteliali e della media ed a fenomeni di trombosi in situ. Ipertensione venosa polmonare E una forma di ipertensione polmonare post-capillare, il cui principale meccanismo emodinamico laumento della pressione atriale sinistra (valvuopatie mitraliche) o telediastolica ventricolare sinistra (disfunzione ventricolare secondaria a valvulopatie, cardiopatia ischemica, miocardiopatie etc.. ). In questa situazione la pressione in arteria polmonare aumenta per mantenere il gradiente transpolmonare. Ipertensione polmonare secondaria a patologie parenchimali polmonari E' la forma pi frequente di ipertensione polmonare precapillare; interessa prevalentemente pazienti con grave patologia polmonare e insufficienza respiratoria ipossica e ipercapnica (vedi Capitolo 48). Ipertensione polmonare secondaria a tromboembolia cronica Questa forma rappresenta lesito di uno o pi episodi embolici polmonari che non si sono risolti in modo completo. Lalbero vascolare polmonare ostruito da formazioni costituite da tessuto fibroso tenacemente aderente all'intima del vaso. Lincidenza di ipertensione polmonare cronica in pazienti con embolia polmonare variabile tra lo 0,1 e il 3%. PATOGENESI DELLIPERTENSIONE ARTERIOSA POLMONARE Lipertensione arteriosa polmonare idiopatica una sindrome complessa, multifattoriale, in cui esiste una predisposizione genetica che conferisce una particolare reattivit vascolare polmonare a stimoli di varia natura. Una delle ipotesi patogenetiche pi accreditate che diversi fattori (virus, tossine, fenomeni autoimmunitari, ecc.), agendo su un terreno predisposto geneticamente, possano causare una lesione endoteliale rompendo lequilibrio tra fattori vasodilatanti/antimitogeni e fattori vasocostrittori/mitogeni a favore di questi ultimi. Si innescherebbe quindi un circolo vizioso caratterizzato da vasocostrizione, proliferazione delle cellule muscolari lisce ed endoteliali ed attivazione della cascata coagulativa, il cui esito la formazione delle lesioni arteriolari che si osservano in questa malattia. FISIOPATOLOGIA Nel corso della malattia si assiste ad un progressivo aumento delle resistenze vascolari, e per mantenere la portata cardiaca il ventricolo destro deve generare pressioni sempre pi elevate. La progressione verso linsufficienza cardiaca dipende dalla capacit del ventricolo destro di mantenere una funzione accettabile a fronte di un continuo aumento delle resistenze vascolari polmonari. Lipertrofia del ventricolo destro quasi sempre un meccanismo di compenso non adeguato, per cui si assiste a riduzione della funzione sistolica, dilatazione delle sezioni destre e comparsa di insufficienza tricuspidale e polmonare per dilatazione degli anelli valvolari. Nel corso della malattia si passa da una fase asintomatica o paucisintomatica (la portata cardiaca normale a riposo, e riesce parzialmente ad incrementarsi durante esercizio fisico) ad una fase sintomatica, con ridotta tolleranza allo sforzo (portata cardiaca normale a riposo, incapacit di aumento sotto sforzo), per arrivare alla fase terminale in cui la portata cardiaca ridotta anche a riposo. Insieme alle modificazioni della portata si assiste ad un aumento delle pressioni di riempimento ventricolare destro, con la comparsa dei segni di congestione sistemica (turgore delle giugulari, epatomegalia e edemi declivi). Oltre a fattori meccanici (aumento della pressione atriale destra), contribuiscono alla comparsa degli edemi anche fattori neuro-ormonali, come avviene nel corso dell'insufficienza ventricolare sinistra. L'attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone e dell'endotelina contribuiscono alla ritenzione idro-salina ed alla formazione di edemi. SINTOMI E SEGNI I sintomi della ipertensione arteriosa polmonare sono aspecifici e sono riconducibili alla incapacit di aumentare la portata cardiaca durante attivit fisica e allaumento del lavoro respiratorio. Comprendono, in ordine di frequenza, la dispnea (inizialmente da sforzo, nelle forme pi gravi a riposo), lastenia, il dolore precordiale, la lipotimia/sincope. Questo quadro sintomatologico si pu associare a segni obiettivi di ingrandimento ventricolare destro, con insufficienza della tricuspide (soffio olostolico sulla margino-sternale sinistra al IV spazio intercostale) o suggestivi di ipertensione polmonare (aumento di intensit del II tono sul focolaio della polmonare). Nei casi pi

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avanzati si osserva un quadro di insufficienza ventricolare destra (edemi declivi, turgore delle giugulari, epatomegalia, cianosi). DIAGNOSI La diagnosi di ipertensione polmonare difficile perch i sintomi sono aspecifici e compaiono solo negli stati avanzati della malattia. Nei soggetti con aumentata probabilit di sviluppare ipertensione arteriosa polmonare (pazienti con malattie del connettivo, con cardiopatie congenite operati e non, con infezione da HIV) il peggioramento della dispnea o dellastenia, la comparsa di episodi lipotimici/sincopali da sforzo, lipertrofia ventricolare destra allECG (Figura 1) o la dilatazione dellarteria polmonare destra alla radiografia del torace (Figura 2) possono far nascere il sospetto di unipertensione polmonare. Questo deve essere confermato dallecocardiogramma bidimensionale e Doppler, che permette di stimare la pressione sistolica in arteria polmonare attraverso il calcolo della velocit di rigurgito tricuspidale (vedi Capitolo 4) (Figura 3) e di valutare il grado di disfunzione ventricolare destra (Figura 4). Per la diagnosi di ipertensione arteriosa polmonare primitiva necessario escludere la presenza di: - una pneumopatia significativa (le prove di funzionalit respiratoria permettono di riconoscere una patologia parenchimale polmonare, Figura 5). - unipertensione polmonare secondaria a tromboembolismo cronico: in questi casi la scintigrafia polmonare evidenzia difetti segmentari della perfusione (Figura 6) o la TC spirale dimostra trombosi nei rami dellarteria polmonare (Figura 7). - unipertensione venosa polmonare, suggerita dalla presenza di disfunzione ventricolare sinistra (ECO 29). Raggiunta la diagnosi, necessario eseguire ulteriori indagini che permettano di stabilire se lipertensione arteriosa polmonare idiopatica o associata ad altre patologie (Tabella I). CENNI DI TERAPIA La terapia medica in primo luogo imperniata sul trattamento dellinsufficienza cardiaca congestizia e prevede luso di diuretici (furosemide, spironolattone) e digitale; gli anticoagulanti orali possono essere utili in quanto un rilievo istopatologico frequente la trombosi in situ. I calcio-antagonisti si impiegano solo nei casi responsivi ad un test acuto di vasodilatazione; sono indicati nella terapia a lungo termine la nifedipina o il diltiazem. L'ossigenoterapia necessaria nei pazienti con ipossiemia a riposo. Farmaci specifici per l'ipertensione arteriosa polmonare Prostanoidi Il razionale per l'uso di questo categoria di farmaci consiste nel rilievo di un deficit di produzione di prostaciclina a livello dell'endotelio dei piccoli vasi polmonari, con vasocostrizione, aggregazione piastrinica e proliferazione degli elementi mio-intimali. I prostanoidi attualmente disponibili sono: lepoprostenolo (somministrato per via infusionale continua), liloprost (per via inalatoria) e il treprostinil (per via sottocutanea). Tali farmaci hanno dimostrato efficacia nel migliorare la tolleranza allo sforzo e la la sopravvivenza a lungo termine dei pazienti con ipertensione arteriosa polmonare idiopatica. Antagonisti recettoriali dell'endotelina Lendotelina, mediatore autocrino e paracrino della proliferazione endoteliale e delle cellule muscolari lisce, ha certamente un ruolo nella patogenesi dell'ipertensione arteriosa polmonare. Il bosentan (antagonista dei recettori ETA ed ETB dellendotelina), il sitaxentan e lambrisentan (antagonisti selettivi del recettore ETA) possono essere somministrati per via orale e si sono dimostrati efficaci sia nellipertensione arteriosa polmonare idiopatica, che nelle forme secondaria a connettiviti. Sildenafil Il farmaco agisce bloccando la fosfodiesterasi 5 (particolarmente rappresentata a livello del circolo polmonare) con conseguente aumento del GMPc intracellulare che, in acuto, causa vasodilatazione e in cronico esercita un effetto antiproliferativo sulle cellule muscolari lisce. Il farmaco efficace nel migliorare lemodinamica e la tolleranza allo sforzo nei pazienti con IAP. Terapie chirugiche In caso di fallimento della terapia medica, l'unica alternativa quella del trapianto di polmone. Nei casi con insufficienza congestizia refrattaria alla terapia medica che non possono essere messi in lista per il trapianto possibile un intervento palliativo di settostomia atriale con catetere a palloncino durante cateterismo cardiaco (una procedura simile a quella che si esegue nella trasposizione dei grossi vasi, vedi Capitolo 53). Si crea cos un difetto interatriale con shunt destro-sinistro (la pressione in questi pazienti maggiore nellatrio destro che nel sinistro) che consente una decompressione delle sezioni destre ed un aumento del riempimento ventricolare sinistro, a scapito della comparsa di cianosi. I risultati clinici della settostomia sono buoni, con riduzione dellascite e dellepatomegalia e miglioramento della portata cardiaca sistemica.

Sezione XV. Cardiopatie Congenite 158

Capitolo 52 CARDIOPATIE CONGENITE PARTE I Raffaele Calabr, Giuseppe Pacileo, Maria Giovanna Russo, Marianna Carrozza, Carmela Morelli, Alessandra Rea, Giampiero Gaio
DEFINIZIONE E FISIOPATOLOGIA DELLE CARDIOPATIE CONGENITE Le cardiopatie congenite rappresentano le pi frequenti malformazioni riscontrate alla nascita, con unincidenza che varia dal 2.5 al 12% nelle diverse aree geografiche. Sulla base del quadro fisiopatologico, le cardiopatie congenite possono essere classificate in cinque gruppi principali. 1) Nelle cardiopatie con iperafflusso polmonare si realizza un passaggio di sangue dal cuore sinistro al cuore destro a causa di una comunicazione anomala tra la circolazione sistemica e quella polmonare (shunt sistemicopolmonare). Tale shunt sinistro-destro comporta un iperafflusso polmonare, cio un aumento della portata ematica polmonare, che risulta maggiore di quella sistemica. Laumentato ritorno venoso polmonare che ne consegue determina un sovraccarico di volume delle cavit cardiache destre o sinistre a seconda che la sede dello shunt sia localizzata al di sopra (shunt pre-tricuspidalico) o al di sotto (shunt post-tricuspidalico) della valvola tricuspide. 2) Nelle cardiopatie con ipoafflusso polmonare presente una riduzione del flusso ematico polmonare, generalmente secondaria ad un ostacolo allefflusso del sangue dal ventricolo destro. Ne consegue ridotta ossigenazione del sangue arterioso e cianosi. 3) Nelle cardiopatie con circolazioni in parallelo il sangue venoso sistemico non ossigenato proveniente dalle vene cave ritorna direttamente nel circolo arterioso sistemico, mentre il sangue venoso polmonare ossigenato viene nuovamente inviato nella circolazione polmonare (Figura 1). Tale condizione si determina nella trasposizione delle grandi arterie (cardiopatia congenita in cui laorta origina dal ventricolo destro e larteria polmonare dal ventricolo sinistro), ed incompatibile con la vita, a meno che non esista una comunicazione anatomica tra le due circolazioni (per esempio, difetto interatriale o dotto arterioso). Il neonato con questo tipo di patologia presenta cianosi alla nascita e pi tardivamente scompenso. 4) Le cardiopatie dotto-dipendenti sono caratterizzate da una severa ostruzione o atresia dellefflusso ventricolare destro o sinistro, per cui il flusso sistemico o quello polmonare dipende totalmente dalla perviet del dotto di Botallo. Queste cardiopatie portano a cianosi o scompenso cardiaco precoce. 5) Le cardiopatie con ostruzione allefflusso ventricolare sono caratterizzate da una stenosi lungo lefflusso ventricolare destro o sinistro, tale da determinare un sovraccarico di pressione del ventricolo. A differenza di quelle dotto-dipendenti, in tali cardiopatie la gravit dellostruzione non tale da condizionare una dipendenza del circolo polmonare o sistemico della perviet del dotto di Botallo, per cui la sintomatologia clinica, caratterizzata da cianosi o scompenso cardiaco, pu comparire anche pi tardivamente. SEGNI CLINICI La cianosi e lo scompenso cardiaco sono i principali segni clinici di una cardiopatia congenita. La cianosi una colorazione bluastra della cute e delle mucose dovuta alla presenza di almeno 5 grammi di emoglobina ridotta per decilitro di sangue. Tale condizione si pu verificare per desaturazione del sangue arterioso (cianosi centrale) o per rallentamento del circolo periferico ed aumentata estrazione di ossigeno dal sangue capillare (cianosi periferica). Per rilevare la cianosi nel neonato opportuno osservare soprattutto la punta del naso, le labbra, la mucosa orale e la lingua. Lo scompenso cardiaco una condizione determinata dallincapacit dellapparato cardiovascolare a mantenere una portata cardiaca adeguata a soddisfare le esigenze metaboliche dellorganismo. In et pediatrica il sintomo pi comune di scompenso cardiaco la difficolt ad alimentarsi e di conseguenza il ritardo della crescita. I segni clinici che possono presentarsi in un bambino in condizione di scompenso sono soprattutto pallore, sudorazione eccessiva, polipnea (> 60/minuto), dispnea, rientramenti intercostali, rantoli, tachicardia ed epatomegalia. Spesso si ascoltano il III e il IV tono (vedi Capitolo 2). CLASSIFICAZIONE Le principali cardiopatie congenite possono essere suddivise, in base ai diversi modelli fisiopatologici, in cinque gruppi. Per ogni singolo gruppo, sono elencate di seguito in parentesi, le cardiopatie pi frequenti, che saranno trattate in questo capitolo ed in quello successivo.

Cardiopatie congenite semplici con shunt sinistro-destro (Difetto interatriale, Difetto interventricolare, Perviet del dotto di Botallo) Cardiopatie congenite con ostruzione allefflusso ventricolare destro (Stenosi polmonare, Tetralogia di Fallot) Cardiopatie congenite con ostruzione allefflusso ventricolare sinistro (Stenosi aortica, Coartazione aortica) Cardiopatie congenite con circolazione in parallelo (Trasposizione dei grossi vasi)

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Cardiopatie congenite complesse (Canale atrioventricolare, Atresia della tricuspide, Cuore univentricolare, Truncus arterioso, Trasposizione corretta dei grossi vasi, Malattia di Ebstein). DIFETTO INTERATRIALE Il difetto interatriale isolato rappresenta circa il 10% di tutte le cardiopatie congenite; dal punto di vista anatomopatologico, il setto interatriale presenta una soluzione di continuo che pu avere sede e dimensione variabili. Si distinguono quattro tipi di difetto interatriale (Figura 2): - ostium secundum, localizzato nella parte centrale del setto a livello della regione della fossa ovale (Patologia 52). - ostium primum, localizzato nella parte bassa del setto, appena al di sopra delle valvole atrioventricolari (Patologia 53). - seno venoso. - seno coronarico. La presenza di una comunicazione tra le due cavit atriali determina, a causa della maggiore pressione vigente nellatrio sinistro, uno shunt sinistro-destro la cui entit varia in rapporto alle dimensioni del difetto e alla differenza di pressione tra i due atri. Questa cardiopatia caratterizzata da iperafflusso polmonare (portata polmonare superiore a quella sistemica) e da sovraccarico di volume dell'atrio e del ventricolo destro. Segni clinici. La maggior parte dei pazienti con difetto interatriale di moderata ampiezza asintomatica fino alla quarta-quinta decade di vita. I reperti ascoltatori dovuti all'iperafflusso polmonare sono rappresentati da un soffio sistolico eiettivo localizzato al II-III spazio intercostale lungo la margino-sternale sinistra e da uno sdoppiamento ampio e fisso del II tono (Vedi Capitolo II). L'elettrocardiogramma mostra di solito i segni di un ingrandimento atriale e ventricolare destro, con aspetto tipo blocco di branca destra (ECG 9 , ECG 10). L'esame radiografico mostra un ingrandimento delle sezioni destre del cuore, dilatazione dell'arteria polmonare ed iperafflusso polmonare (Figura 3). L'ecocardiogramma transtoracico permette di diagnosticare con precisione tipo, sede e dimensioni del difetto. (Figura 4). L'ecocardiogramma transesofageo mostra il difetto e lo shunt con grande evidenza (ECO 50). Cenni di terapia. La terapia del difetto interatriale di tipo chirurgico o interventistico. Nei pazienti adulti e nei bambini con peso maggiore di 20 kg, il DIA tipo ostium secundum pu essere chiuso per via percutanea mediante impianto di protesi a doppio ombrello (Figura 5). Prognosi e follow-up. La quasi totalit dei pazienti raggiunge in assenza di sintomi la prima e la seconda decade. Dopo la terza decade vita, si rileva spesso la comparsa di aritmie sopraventricolari (episodi di fibrillazione atriale parossistica, con evoluzione successiva in fibrillazione cronica). Nel DIA ampio pu comparire in et avanzata l'ipertensione polmonare, con riduzione dello shunt sinistro-destro e, nelle fasi pi avanzate, comparsa di shunt destro-sinistro e quindi cianosi. DIFETTO INTERVENTRICOLARE Fisiopatologia ed anatomia patologica. Consiste in una soluzione di continuo del setto interventricolare, la cui sede e dimensione sono estremamente variabili. I difetti interventricolari vengono classificati in (Figura 6):

Difetti perimembranosi, localizzati nella porzione membranosa del setto interventricolare (Patologia 54). Difetti muscolari, localizzati esclusivamente nel setto muscolare (Patologia 55). Quadro clinico. Nei difetti di ampiezza moderata, i sintomi sono generalmente assenti nei primi giorni o settimane di vita, ma successivamente la riduzione delle resistenze vascolari polmonari provoca un aumento delliperafflusso polmonare con conseguente comparsa di difficolt nell'alimentazione, scarso accrescimento ponderale o anche segni conclamati di scompenso cardiaco. All'ascoltazione presente in questi casi un soffio olosistolico con massima intensit al bordo sternale sinistro basso. Nei difetti ampi, invece, la sintomatologia compare precocemente, e si realizza il quadro dello scompenso cardiaco, caratterizzato da tachipnea, sudorazione eccessiva, epatomegalia, scarso incremento ponderale e ritardo di crescita. Diagnostica strumentale. Lelettrocardiogramma normale nei difetti piccoli, mentre si possono rilevare segni di ipertrofia biventricolare nei difetti moderati e ampi (Figura 7). La radiografia del torace mostra cardiomegalia ed eventuali segni di iperafflusso. Lecocardiogramma-colorDoppler rappresenta la metodica diagnostica di prima scelta, utile per individuare la sede del difetto e le eventuali anomalie associate (Figura 8, Figura 9). Il cateterismo cardiaco viene impiegato come metodica diagnostica solo nel sospetto di ipertensione polmonare, o anche per stimare lentit dello shunt in caso di dati clinici incerti o per escludere malformazioni associate se i reperti ecocardiografici sono dubbi. Cenni di terapia. Ai pazienti con sintomi clinici di marcato iperafflusso polmonare si somministrano farmaci ACEinibitori e diuretici. L'intervento chirurgico va effettuato precocemente (primi mesi di vita) nei casi di difetto

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interventricolare ampio con scompenso cardiaco refrattario al trattamento farmacologico. Nei DIV piccoli, per i quali non vi indicazione alla correzione chirurgica, consigliabile una profilassi antibiotica in caso di manovre invasive, per ridurre il rischio di endocardite infettiva. Prognosi e follow-up. La storia naturale del difetto interventricolare caratterizzata da un ampio spettro di ossibilit, che variano dalla chiusura spontanea allo scompenso cardiaco congestizio. Nei pazienti adulti con ampi difetti interventricolari si sviluppa spesso una grave ipertensione polmonare, per cui lo shunt sinverte, divenendo destro-sinistro, e compaiono cianosi, policitemia e ippocratismo digitale (sindrome di Eisenmenger).

PERVIET DEL DOTTO ARTERIOSO Fisiopatologia ed anatomia patologica. Durante la vita fetale il dotto arterioso, che connette larteria polmonare sinistra allaorta, presenta dimensioni uguali a quelle dell'aorta ascendente, e convoglia il flusso ventricolare destro verso l'aorta discendente. Dopo la nascita esso tende rapidamente a chiudersi grazie alla contrazione della componente muscolare, stimolata dall'aumento della tensione di ossigeno arteriosa secondaria all'inizio della respirazione. La chiusura ritardata o assente nel neonato prematuro, nel quale l'incidenza di perviet duttale superiore a quella del nato a termine. La presenza di uno shunt duttale tra il circolo sistemico e quello polmonare condiziona un aumento del ritorno venoso polmonare e provoca un sovraccarico diastolico delle sezioni sinistre responsabile, alla fine, di una disfunzione ventricolare sinistra. In caso di ampio shunt duttale si pu sviluppare con gli anni una vasculopatia polmonare irreversibile. Segni clinici. Le manifestazioni cliniche del dotto arterioso pervio dipendono dall'entit dello shunt e dalla capacit del paziente di compensare al sovraccarico di volume delle sezioni sinistre. Un dotto arterioso medio-ampio nel neonato pu manifestarsi sotto forma di sindrome da distress respiratorio oppure di scompenso cardiaco con tachicardia, tachipnea, rientramenti intercostali e rantoli polmonari. Nel casi di dotti arteriosi di piccole dimensioni, invece, i reperti obiettivi sono limitati alla presenza di un soffio continuo in sede sottoclaveare sinistra (vedi Capitolo 2), con aumento di intensit della componente polmonare del II tono. Diagnostica strumentale. I reperti elettrocardiografici non sono significativi in caso di shunt lieve, mentre in presenza di un ampio dotto arterioso pervio si rilevano i segni dellipertrofia ventricolare sinistra o biventricolare. La radiografia del torace mostra cardiomegalia e aumentata vascolarizzazione polmonare quando lo shunt moderato o severo. Lecocardiogramma conferma la diagnosi, rilevando la presenza del dotto arterioso e la dilatazione delle sezioni sinistre negli shunt significativi. (Figura 10). Cenni di terapia. Nel neonato prematuro, la chiusura del dotto arterioso pu essere favorita dalla somministrazione di farmaci anti-prostaglandinici (anti-infiammatori non steroidei, dei quali il pi usato l'ibuprofene). Nel caso di dotti ampi che determinino scompenso cardiaco o ipertensione polmonare in un neonato, il trattamento chirurgico rimane l'unica opzione terapeutica. Nel caso, invece, di dotti di moderata ampiezza possibile procedere, dopo il periodo neonatale (a partire dai 5 kg di peso), alla chiusura percutanea mediante spirali metalliche o protesi in nitinol (Figura 11). Questa metodica divenuta l'opzione terapeutica di scelta data la sua elevata efficacia ed il basso rischio che comporta. Prognosi e follow-up. La diagnosi di dotto arterioso pervio costituisce di per se stessa l'indicazione al trattamento per evitare l'insorgenza dello scompenso cardiaco (in caso di dotti arteriosi di grandi dimensioni) e ridurre il rischio di endocardite batterica (in caso di dotti arteriosi di piccole dimensioni). La chiusura chirurgica o in sala di emodinamica gravata da una bassa mortalit e morbilit. STENOSI POLMONARE VALVOLARE Fisiopatologia ed anatomia patologica. La valvola polmonare stenotica caratterizzata da un aspetto cupoliforme, con ispessimento e scarsa mobilit delle cuspidi, che si presentano fuse tra loro e/o displasiche (Patologia 57). La conseguenza funzionale della stenosi polmonare valvolare l'ostruzione all'efflusso ematico dal ventricolo destro, con conseguente sovraccarico pressorio del ventricolo, che va incontro ad ipertrofia e talora si presenta ipocontrattile. Segni clinici. Nel neonato con stenosi polmonare critica dotto-dipendente le manifestazioni cliniche iniziano dopo la nascita, al momento della chiusura del dotto arterioso, e consistono in cianosi ed acidosi metabolica. Viceversa, la maggior parte dei pazienti con stenosi polmonare valvolare lieve-moderata asintomatica e la diagnosi viene effettuata nel corso di una visita clinica routinaria. Il reperto clinico diagnostico della stenosi polmonare valvolare costituito dal soffio sistolico eiettivo a livello del focolaio polmonare (II spazio intercostale sinistro, sullemiclaveare). Diagnostica strumentale. La radiografia del torace mostra un aumento del II arco di sinistra, espressione dell'ectasia post-stenotica del tronco dell'arteria polmonare e, nel caso di stenosi severa, uniperdiafania dei campi polmonari, dovuta allipoafflusso. L'elettrocardiogramma mostra unipertrofia ventricolare destra proporzionale all'entit della stenosi. L'ecocardiografia estremamente utile per valutare le caratteristiche morfologiche della valvola polmonare, il grado di stenosi e le conseguenze fisiopatologiche dell'ostruzione (ipertrofia ventricolare destra) (Figura 12).

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Cenni di terapia. Il trattamento chirurgico stato ormai sostituito quasi completamente dalla valvuloplastica polmonare percutanea eseguita con catetere a palloncino in corso di cateterismo cardiaco. Questa tecnica altamente sicura ed efficace, potendo essere impiegata in tutte le fasce di et ed in pazienti con qualsiasi tipo di stenosi valvolare (Figura 13). Prognosi e follow-up. Senza trattamento, la stenosi valvolare polmonare severa pu determinare disfunzione ventricolare destra con scompenso cardiaco. Dopo trattamento interventistico, raramente l'ostruzione valvolare polmonare si ripresenta, e soltanto il 5% dei pazienti necessita di una nuova procedura di dilatazione nel corso della vita.

TETRALOGIA DI FALLOT Fisiopatologia ed anatomia patologica. La tetralogia di Fallot caratterizzata dalla deviazione anteriore del setto infundibolare. Da ci deriva il complesso malformativo costituito da: 1) difetto interventricolare, 2) cavalcamento aortico sul setto interventricolare, 3) ostruzione all' efflusso ventricolare destro a livello sottovalvolare, e 4) ipertrofia ventricolare destra. (Figura 14, Patologia 58). Il quadro fisiopatologico principalmente determinato dallentit dell'ostruzione all'efflusso polmonare, che condiziona la quantit del flusso polmonare e quindi il grado di desaturazione arteriosa di ossigeno. Il difetto interventricolare sempre ampio, cosicch la pressione nei due ventricoli uguale. Segni clinici. La caratteristica clinica principale della tetralogia di Fallot moderata o severa costituita dalla cianosi, la cui comparsa legata all'ipoafflusso polmonare, tanto che nelle forme con grave ostruzione polmonare essa si evidenzia alla nascita ed il flusso polmonare risulta dipendente dalla perviet del dotto arterioso. Talvolta l'ostruzione all'efflusso ventricolare destro anche di tipo dinamico, legata ad uno spasmo dellinfundibolo che provoca la comparsa di crisi di cianosi. Il reperto ascoltatorio tipico della tetralogia di Fallot costituito dal soffio eiettivo localizzato sul focolaio polmonare ed accompagnato da una riduzione di intensit o dalla scomparsa della componente polmonare del II tono. Diagnostica strumentale. L'elettrocardiogramma rivela un quadro di ipertrofia ventricolare destra. Nelle forme severe, la radiografia del torace mostra un sollevamento della punta del cuore (cuore a zoccolo) con riduzione del flusso vascolare polmonare ed assenza del II arco di sinistra, corrispondente allarteria polmonare. L'ecocardiogramma chiarisce con precisione il quadro anatomico (Figura 15), rivelando il grado di deviazione antero-superiore del setto infundibulare, della stenosi valvolare polmonare e/o sopravalvolare, e permettendo di valutare leventuale ipoplasia dellanulus e dei rami polmonari. Il cateterismo cardiaco e langiografia consentono di accertare la sede dellostruzione all'efflusso ventricolare destro e le dimensioni delle arterie polmonari (Figura 16). Cenni di terapia. Nelle forme con dotto-dipendenza del circolo polmonare e severa cianosi perinatale si rende necessario l'uso delle prostaglandine per mantenere pervio il dotto arterioso. La terapia medica delle crisi asfittiche finalizzata all'aumento dell'ossigenazione periferica (ossigeno-terapia in maschera), alla risoluzione dello spasmo infundibolare mediante la sedazione del paziente e la somministrazione di beta-bloccanti ed infine all'aumento della pressione arteriosa media (compressione degli arti inferiori in posizione genu-pettorale o somministrazione di farmaci ipertensivanti) in modo da aumentare il flusso ematico attraverso l'infundibolo polmonare spastico. Il trattamento palliativo, atto a creare una fonte aggiuntiva di flusso polmonare, pu essere chirurgico o, in casi selezionati, percutaneo (effettuato in sala di emodinamica). Lo shunt sistemico-polmonare chirurgico (interposizione di un tubicino di gore-tex tra larteria succlavia ed il ramo polmonare omolaterale), si esegue nelle prime settimane di vita nei pazienti con cianosi severa ed elevato rischio per una correzione radicale. Il trattamento percutaneo consiste nellimpianto di uno stent allinterno del dotto arterioso, per mantenere pervia lunica fonte di flusso polmonare naturale (Figura 17). L'intervento chirurgico correttivo si esegue tra i 3 e i 12 mesi ed costituito dalla chiusura del difetto interventricolare e la risoluzione dell'ostruzione all'efflusso ventricolare destro (vedi Capitolo 65). Prognosi e follow-up. La tetralogia di Fallot non trattata presenta una prognosi infausta in quanto l'ostruzione all'efflusso ventricolare destro tende progressivamente ad aumentare nel tempo. Il trattamento chirurgico migliora sensibilmente la prognosi sebbene comporti, in una certa percentuale di pazienti, la comparsa nel lungo termine di alcune sequele post-chirurgiche quali la disfunzione ventricolare destra da rigurgito polmonare residuo e le aritmie ventricolari. STENOSI AORTICA Lostruzione allefflusso ventricolare sinistro si pu localizzare a tre livelli: a) valvolare (Patologia 59), b) sottovalvolare (dovuta alla presenza di una membrana o cercine fibromuscolare che ostacola l'efflusso del sangue dal ventricolo sinistro), c) sopravalvolare, caratterizzata da un restringimento del lume dell'aorta poco dopo la sua origine. La forma valvolare la pi frequente, con prevalenza nel sesso maschile (4:1). Fisiopatologia ed anatomia patologica. Nella forma critica del neonato, caratterizzata dalla dotto-dipendenza della circolazione sistemica, il ventricolo sinistro di solito molto ipertrofico, con una cavit ridotta rispetto al normale o, talora, dilatato ed ipocontrattile. Nelle forme meno gravi la malattia ha comunque un andamento progressivo,

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caratterizzato da ipertrofia ventricolare sinistra, aumentata richiesta di ossigeno da parte del miocardio ed ischemia subendocardica. Segni clinici. I segni tipici della malattia sono il soffio sistolico eiettivo aortico ed i polsi di ampiezza ridotta. Nei pazienti con funzione di pompa depressa il soffio sistolico pu essere assente o poco evidente ed i polsi periferici possono non essere palpabili. Nei casi pi gravi, la malattia esordisce con scompenso cardiaco dopo la chiusura del dotto di Botallo (dotto dipendenza della circolazione sistemica). Diagnostica strumentale. Nelle forme meno gravi la diagnosi legata al riscontro occasionale di un soffio cardiaco o alla comparsa di sintomi quali palpitazioni, vertigini, sincope o angina. I reperti radiografici tipici sono la dilatazione dellombra cardiaca (Figura 18) e la dilatazione post-stenotica dellaorta ascendente. AllECG si osserva prevalentemente ipertrofia ventricolare sinistra. La diagnosi definitiva possibile mediante lecocardiografia color Doppler che permette di stabilire la morfologia ed il numero delle cuspidi aortiche (Figura 19, Figura 20, ECO 20, ECO 21), e di differenziare la stenosi valvolare da quella sopra o sottovalvolare. La stenosi aortica sopravalvolare determinata da un restringimento dell'aorta al di sopra dell'anello valvolare e del piano coronarico. Fra i tre livelli di ostacolo all'efflusso ventricolare sinistro, la sede sopravalvolare della stenosi la meno comune; spesso questa forma si associa alla Sindrome di Williams, caratterizzata da ritardo mentale, facies elfica, stenosi dei rami polmonari, stenosi delle arterie renali, ipercalcemia. Si pu trattare di un'ostruzione a membrana (Figura 21), ad imbuto/clessidra o diffusa per un lungo tratto di aorta ascendente. La stenosi sottoaortica consiste in una ostruzione fissa del tratto di efflusso del ventricolo sinistro, al di sotto della valvola aortica. In oltre il 20% dei pazienti, la valvola anomala (stenosi valvolare, piccolo anello aortico, valvola bicuspide); la membrana sottovalvolare occasionalmente adesa a una delle cuspidi valvolari della valvola aortica e mitrale: questo pu interferire con la funzione della valvola, producendo un'insufficienza di medio grado (Figura 22). Cenni di terapia. La terapia del neonato con stenosi aortica critica prevede la somministrazione di inotropi, prostaglandine e bicarbonati per stabilizzare il paziente. Per risolvere la stenosi valvolare, la valvuloplastica con palloncino rappresenta oggi unalternativa alla valvulotomia chirurgica. Le forme sottovalvolari e quelle sopravalvolari, invece, richiedono sempre un intervento chirurgico per rimuovere l'ostruzione sottovalvolare o per allargare l'aorta a livello sopravalvolare. COARTAZIONE AORTICA La coartazione aortica consiste in un restringimento dellistmo, la porzione dellaorta localizzata tra lorigine della succlavia sinistra e il dotto di Botallo (Patologia 60). Tale condizione determina un sovraccarico di pressione del ventricolo sinistro, cui consegue ipertrofia del miocardio. La coartazione dellaorta pi frequente nei maschi; il 15-25% dei pazienti con Sindrome di Turner ne affetto. Fisiopatologia ed anatomia patologica. Spesso alla coartazione si associano bicuspidia aortica, perviet del dotto arterioso, difetto interventricolare, stenosi mitralica. Lelevata pressione nel circolo arterioso prossimale alla coartazione e la bassa pressione arteriosa vigente nel territorio al di sotto dellistmo favoriscono lo sviluppo di circoli collaterali atti ad aumentare il flusso ematico alla met inferiore del corpo. Tali circoli si stabiliscono anteriormente fra le arterie mammarie interne (rami delle succlavie) e le arterie epigastriche della parete addominale, e posteriormente fra le arterie parascapolari e le intercostali. Proprio la dilatazione delle arterie intercostali responsabile delle alterazioni a carico delle coste che si osservano allesame radiologico in alcuni casi. Segni clinici. Nei casi pi gravi, lesordio caratterizzato da scompenso cardiaco dopo la chiusura del dotto arterioso (dotto dipendenza della circolazione sistemica). Le forme meno gravi possono decorrere a lungo asintomatiche: i bambini pi grandi e gli adulti con patologia meno importante si rivolgono in genere al medico per la comparsa di ipertensione arteriosa o per il riscontro di soffi cardiaci o per lassenza dei polsi arteriosi agli arti inferiori. Il reperto obiettivo pi frequente un soffio sistolico eiettivo sulla parete toracica anteriore e posteriore. Diagnostica strumentale. La radiografia del torace pu documentare la dilatazione dellaorta ascendente. Le incisure costali dovute allerosione ossea da parte delle arterie intercostali dilatate diventano evidenti tra i 4 e i 12 anni di et (Figura 23A). Inoltre lindentatura aortica pre-stenotica e la dilatazione post-stenotica (Segno del 3, Figura 23B) sono reperti patognomonici. LECG spesso aspecifico, ma non di rado mostra ipertrofia ventricolare sinistra. Lecocardiogramma permette di valutare con esattezza la morfologia dellarco aortico, la sede della coartazione e la sua gravit attraverso la stima del gradiente pressorio. Nelle forma delladulto possono essere di ausilio altre tecniche di imaging quali la TC e la RM cardiaca (Figura 24A). Cenni di terapia. La terapia della coartazione aortica del neonato chirurgica (vedi Capitolo 65). Per i bambini con peso superiore ai 20 kg, e per i pazienti adulti affetti da coartazione dellaorta o recoartazione post-chirugica proponibile la dilatazione della coartazione con catetere a palloncino (angioplastica) o con lapplicazione di stent endovascolari (supporti metallici di sostegno posizionati allinterno dellarteria per mantenerla dilatata) (Figura 24B, Figura 24C).

Capitolo 53 163

CARDIOPATIE CONGENITE PARTE II Raffaele Calabr, Giuseppe Pacileo, Maria Giovanna Russo, Marianna Carrozza, Carmela Morelli, Alessandra Rea, Giampiero Gaio
TRASPOSIZIONE DELLE GRANDI ARTERIE Fisiopatologia ed anatomia patologica. La trasposizione delle grandi arterie una cardiopatia congenita caratterizzata da unanomala connessione tra le camere ventricolari ed i grandi vasi che da esse traggono origine, per cui l'aorta origina dal ventricolo destro e l'arteria polmonare dal ventricolo sinistro (Patologia 61). In circa il 50% dei casi sono presenti anche altre malformazioni cardiache. In questa malattia il sangue desaturato proveniente dalle vene sistemiche viene inviato nuovamente in periferia, mentre il sangue ossigenato proveniente dalle vene polmonari giunge nuovamente nel circolo polmonare (Figura 1). Le circolazioni sistemica e polmonare vengono, quindi, a trovarsi in parallelo e non in serie come in un soggetto normale, e l'unica possibilit di sopravvivenza dipende dalla presenza di comunicazioni tra le due circolazioni. L'entit di tale scambio intercircolatorio (mixing) dipende dal numero, dalle dimensioni e dalla posizione delle comunicazioni anatomiche presenti. Nei primi giorni di vita, la chiusura del forame ovale e del dotto arterioso tendono a separare completamente la circolazione sistemica da quella polmonare, determinando cos cianosi ed ipossiemia: la sopravvivenza di questi neonati legata alla persistenza di una comunicazione interatriale ed alla riapertura del dotto arterioso. Se non presente un vero difetto interatriale, esso pu essere creato artificialmente mediante l'atrioseptectomia con catetere a palloncino secondo Rashkind, procedura che consiste nel far passare dallatrio destro al sinistro un catetere a palloncino introdotto per via venosa percutanea (vena ombelicale o femorale); dopo il gonfiaggio del palloncino in atrio sinistro, il catetere viene bruscamente ritirato in atrio destro, lacerando cos il setto interatriale e creando un difetto settale iatrogeno. La perviet del dotto arterioso, invece, viene mantenuta mediante l'infusione di prostaglandine. Segni clinici. La principale manifestazione clinica che indirizza verso la diagnosi di trasposizione delle grandi arterie la cianosi che si evidenzia alla nascita e si aggrava successivamente a seguito della progressiva chiusura del dotto arterioso. In assenza di malformazioni associate, i reperti clinici sono poco caratteristici, non rilevandosi n soffi n segni di scompenso cardiaco mentre in presenza di ampie sedi di "mixing" ematico la cianosi lieve ed il quadro clinico pu essere dominato dallo scompenso cardiaco secondario all'iperafflusso polmonare. Diagnostica strumentale. Alla radiografia del torace l'ombra cardiaca di normale volumetria, con aspetto ovalare ed assottigliamento del profilo mediastinico alto a seguito dell'anomala disposizione dei grandi vasi. Il quadro elettrocardiografico non mostra alcun reperto anomalo alla nascita, mentre dopo il periodo perinatale si osserva una mancata regressione della fisiologica ipertrofia ventricolare destra neonatale. L'ecocardiogramma (Figura 2, Figura 3) consente di porre la diagnosi, evidenziando l'anomala connessione tra le camere ventricolari ed i grandi vasi, e di identificare le eventuali malformazioni cardiache associate (difetto interventricolare, stenosi polmonare). Il cateterismo cardiaco non ormai pi necessario per la diagnosi, ma viene talvolta utilizzato per eseguire l'atrioseptectomia con catetere a palloncino secondo Rashkind in caso di scarso "mixing" intercircolatorio. Cenni di terapia. La terapia medica consiste nel riequilibrio metabolico del neonato mediante la correzione di eventuali squilibri idro-elettrolitici e il miglioramento del "mixing" ematico mediante la somministrazione di prostaglandina E e l'atrioseptectomia secondo Rashkind. Il trattamento chirurgico della trasposizione delle grandi arterie (vedi Capitolo 65) ha lo scopo di riportare in serie la circolazione sistemica e polmonare, ristabilendo una normale connessione ventricolo-arteriosa (aorta dal ventricolo sinistro e arteria polmonare dal ventricolo destro). Prognosi e follow-up. La storia naturale della trasposizione delle grandi arterie non sottoposta a trattamento chirurgico infausta, con una mortalit che si avvicina al 100% alla fine del I anno di vita. L'intervento chirurgico, invece, ha modificato sensibilmente la prognosi di questi pazienti, garantendo loro il raggiungimento dell'et adulta con una pressoch normale qualit della vita. CANALE ATRIO-VENTRICOLARE Il canale atrio-ventricolare rappresenta un difetto della giunzione atrio-ventricolare, e comprende un ampio spettro di lesioni che vanno da un difetto interatriale tipo ostium primum associato ad una fissurazione (cleft, ECO 12) della valvola mitrale (canale atrio-ventricolare parziale) fino ad una condizione in cui il difetto interatriale molto ampio, la valvola atrio-ventricolare unica, e coesiste un difetto interventricolare (canale atrio-ventricolare completo, Patologia 62). Frequente lassociazione con la sindrome di Down (25-36%). Canale atrio-ventricolare parziale Fisiopatologia. Se non vi insufficienza mitralica, la fisiopatologia simile a quella di un difetto interatriale ampio, con importante shunt sinistro-destro ed iperafflusso polmonare; se, viceversa, presente una insufficienza mitralica, il sovraccarico del circolo polmonare sar pi imponente e precoce, in quanto, oltre allo shunt interatriale vi sar anche un passaggio di sangue dal ventricolo sinistro direttamente in atrio destro (per la presenza del difetto interatriale ostium primum).

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Segni clinici. Il quadro clinico variabile in base alla gravit dellinsufficienza mitralica, per cui si va da bambini che possono scompensarsi fin dal primo anno di vita, a pazienti che rimangono asintomatici fino allet adulta. Allascoltazione si rileva un soffio sistolico eiettivo sul focolaio polmonare e un soffio sistolico da rigurgito puntale. Diagnostica strumentale. AllECG vi sono segni di ipertrofia ventricolare destra o biventricolare. La radiografia del torace mostra cardiomegalia e segni di iperafflusso polmonare. LEcocardiogramma evidenzia lo shunt interatriale nella porzione pi bassa del setto interatriale ed il cleft mitralico con insufficienza valvolare al color-Doppler (Figura 4). Il cateterismo cardiaco utile non tanto per la diagnosi ma per rilevare le pressioni e le resistenze polmonari. Cenni di terapia. Il trattamento di questa malattia esclusivamente chirurgico.

Canale atrio-ventricolare completo Il quadro clinico in relazione allampiezza dello shunt sinistro-destro interatriale ed interventricolare, alla gravit dellinsufficienza della valvola atrio-ventricolare comune ed alla eventuale ipoplasia di uno dei due ventricoli. I pazienti sono sintomatici fin dai primi mesi di vita, e presentano scompenso cardiaco, deficit di accrescimento ponderale ed infezioni respiratorie recidivanti. All ascoltazione si rilevano un soffio olosistolico al mesocardio e un soffio sistolico puntale. Diagnostica strumentale. LECG mostra ipertrofia ventricolare destra o biventricolare e deviazione assiale sinistra. La radiografia del torace evidenzia cardiomegalia e segni di iperafflusso polmonare. AllEcocardiogramma si osserva che le valvole atrio-ventricolari destra e sinistra stanno sullo stesso piano, a differenza che nel cuore normale, nel quale la valvola atrio-ventricolare destra dislocata verso lapice, e si trova pi in basso rispetto alla sinistra. Lecocardiogramma permette di valutare e quantizzare gli shunt interatriale ed interventricolare, linsufficienza della valvola atrio-ventricolare, la pressione polmonare e leventuale associazione con stenosi sottoaortica. Il cateterismo cardiaco risulta utile per rilevare lentit dello shunt, le pressioni e le resistenze polmonari. Cenni di terapia. Il trattamento di questa patologia farmacologico in caso di scompenso, ma la correzione esclusivamente chirurgica. Lintervento indicato tra i sei e i dodici mesi (pi precocemente nei casi in cui il canale atrio-ventricolare si associ a sindrome di Down). ANOMALIA DI EBSTEIN E una malattia caratterizzata da dislocazione apicale della valvola tricuspide, con origine della cuspide settale, e spesso anche di quella posteriore, dalla parete del ventricolo destro invece che dallanulus fibroso (Patologia 63). Fisiopatologia ed anatomia patologica. Lanomala inserzione della valvola divide il ventricolo destro in due parti: la porzione di entrata, funzionalmente integrata con latrio (sezione atrializzata), e la vera parte funzionante del ventricolo destro. Latrializzazione, la dilatazione del ventricolo destro e la sottigliezza delle pareti compromettono notevolmente lo svuotamento ventricolare, provocando diminuzione del flusso ematico polmonare. Segni clinici. Nei casi pi gravi la sintomatologia pu comparire precocemente, anche in epoca neonatale, caratterizzata da cianosi, dispnea e difficolt di alimentazione. Nei casi lievi i sintomi sono scarsi e i pazienti possono condurre una vita abbastanza normale, con una sopravvivenza piuttosto lunga. Frequenti sono le crisi di tachicardia parossistica sopraventricolare, di flutter e fibrillazione atriale. Allascoltazione si rileva uno sdoppiamento del I tono per ritardo di chiusura della valvola tricuspide e un soffio sistolico se presente insufficienza tricuspidale. Diagnostica strumentale. LECG mostra una deviazione assiale destra, basso voltaggio dei complessi ventricolari, onda P gigante nelle derivazioni precordiali destre, blocco di branca destra, allungamento dellintervallo PR. La radiografia del torace evidenzia una cardiomegalia. I campi polmonari sono poco irrorati, il peduncolo vascolare ristretto e lombra cardiaca assume una conformazione a fiasca simile a quella dei versamenti pericardici. LEcocardiogramma rivela la dislocazione apicale del lembo settale della tricuspide, talora con aspetto ridondante, a vela, del lembo anteriore (Figura 5, ECO 25). E possibile quantificare il grado e la gravit della malattia analizzando la morfologia dei lembi tricuspidalici, le dimensioni degli atri e della porzione atrializzata del ventricolo destro, gli indici di funzione ventricolare destra, le modificazioni del setto interventricolare, lo stato funzionale del ventricolo sinistro e della valvola mitrale ed ancora la presenza ed il grado di eventuali difetti associati. Tali dati sono utili sia ai fini prognostici che per indirizzare una corretta strategia terapeutica. In particolare, lentit della deformazione e della displasia dei lembi, unitamente al grado di atrializzazione ventricolare destro rappresentano importanti caratteristiche che condizionano le opzioni chirurgiche. Cenni di terapia. Il trattamento farmacologico in caso di scompenso (digitale, diuretici e vasodilatatori); la correzione dellanomalia di tipo chirurgico, con plastica della valvola o con sostituzione della stessa. E consigliabile posticipare quanto pi possibile lintervento, in quanto esso gravato da una elevata mortalit operatoria nei primi anni di vita.

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CUORE UNIVENTRICOLARE In questa cardiopatia congenita presente ununica camera ventricolare, in genere di morfologia sinistra, che riceve entrambe le valvole atrio-ventricolari e rifornisce il circolo sistemico e polmonare; laltro ventricolo ipoplasico (camera rudimentale collegata al ventricolo principale tramite un difetto interventricolare che generalmente prende il nome di forame bulbo-ventricolare) e non pu essere utilizzato per la correzione chirurgica. I grandi vasi escono, comunque, da entrambe le camere ventricolari: tale connessione influenza il quadro fisiopatologico. Fisiopatologia ed anatomia patologica. In caso di normale connessione ventricolo-arteriosa (ventricolo sinistro principale che d origine allaorta e ventricolo destro rudimentale che d origine allarteria polmonare), il quadro fisiopatologico e clinico dipende dallentit del flusso polmonare. Se vi stenosi polmonare severa e ipoafflusso polmonare (Figura 6) presente cianosi, ed i reperti clinico-strumentali sono quelli tipici delle cardiopatie cianogene. In assenza di stenosi polmonare, invece, il quadro fisiopatologico dominato dalliperafflusso, ed i segni clinico-strumentali sono quelli dello scompenso cardiaco congestizio. Segni clinici. Il reperto tipico la cianosi, la cui gravit dipende non dal mescolamento del sangue sistemico e polmonare, ma dal flusso polmonare, cio dalla presenza e dal grado della stenosi polmonare. Diagnostica strumentale. Il quadro radiografico evidenzia unombra cardiaca di volume normale o aumentato ed un flusso polmonare di grado variabile a seconda dellentit della stenosi polmonare. Lecocardiografia fondamentale per la diagnosi della malattia e lindividuazione di eventuali lesioni associate (Figura 7). Il cateterismo cardiaco indicato, in casi selezionati, per la esatta valutazione delle malformazioni associate e delle resistenze polmonari. Cenni di terapia. Dopo una iniziale palliazione volta alla regolazione del flusso polmonare, il trattamento chirurgico definitivo viene attuato secondo il principio di Fontan, che consiste nel "saltare" il ventricolo di destra, abboccando direttamente le vene cave all'albero polmonare (vedi Capitolo 65).

Sezione XVI. Malattie delle Arterie e delle Vene Capitolo 54 ARTERIOPATIE DEI TRONCHI SOPRAORTICI Salvatore Novo, Egle Corrado, Ida Muratori
INTRODUZIONE Laterosclerosi pu colpire indifferentemente la circolazione coronarica, cerebrale e periferica degli arti, esitando frequentemente in episodi ischemici gravi e a volte invalidanti. Spesso essa presente contemporaneamente in pi distretti arteriosi dello stesso individuo, a dimostrazione del suo carattere di malattia sistemica. Prenderemo in considerazione le alterazioni vascolari a carico delle arterie carotidi, delle vertebrali e delle succlavie, dopo un breve ricordo di anatomia. Lorigine delle arterie carotidi comuni differente; infatti, a destra la carotide comune deriva dal tronco anonimo, che subito dopo lorigine si biforca in arteria carotide destra e arteria succlavia destra, mentre a sinistra la carotide comune e la succlavia prendono origine separatamente dallarco dellaorta. Dalle arterie carotidi comuni nascono la carotide esterna e la carotide interna, la quale, allinterno della teca cranica, d origine alle arterie cerebrale anteriore, cerebrale media e comunicante anteriore. Le due arterie vertebrali, invece, nascono dalle rispettive succlavie e confluiscono nel tronco basilare, che successivamente si biforca nelle due arterie cerebrali posteriori e nelle comunicanti posteriori. Questo insieme di vasi costituisce il cosiddetto poligono del Willis (Figura 1). FISIOPATOLOGIA DELLOSTRUZIONE DEI TRONCHI SOPRAORTICI La carotide, per le caratteristiche anatomiche che possiede, una sede preferenziale per la formazione di placche aterosclerotiche; infatti, in corrispondenza della biforcazione in carotide interna ed esterna il flusso ematico non pi laminare ma turbolento, e si generano dei vortici. Questi, associati allipertensione arteriosa, al fumo di sigarette, al diabete ed allipercolesterolemia, sono i maggiori fattori di rischio per la genesi dellaterosclerosi carotidea. La formazione di una placca ateromasica produce un ostacolo al passaggio del sangue che ha, quindi, difficolt a raggiungere i distretti di irrorazione periferica. In genere, le ostruzioni carotidee monolaterali, con carotide controlaterale pervia, sono asintomatiche perch le numerose anastomosi esistenti tra carotide interna, carotide esterna e arteria vertebrale riescono ad assicurare un adeguato apporto ematico al Sistema Nervoso Centrale. Si ricorre ad intervento chirurgico di rimozione della placca solo in caso di ostruzioni che determinino una sintomaticit clinica evidente (vedi Capitolo 67). Le conseguenze dell'ostruzione delle carotidi possono essere varie: in genere, l'ostruzione si instaura in un tempo lungo, il che permette alle altre arterie di modulare il flusso cerebrale; a volte, tuttavia, pu verificarsi improvvisamente un evento trombotico, e dalla sede aterosclerotica possono liberarsi emboli che determinano eventi ictali.

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La patologia delle arterie carotidi comprende forme asintomatiche costituite dallispessimento intima-media e dalla placca carotidea asintomatica, e forme sintomatiche che danno origine allattacco ischemico cerebrale transitorio, comunemente denominato TIA (transient ischemic attack) e allictus cerebrale ischemico. ESAME OBIETTIVO DEI TRONCHI SOPRAORTICI E CENNI DI DIAGNOSTICA STRUMENTALE La diagnostica delle ostruzioni dei tronchi sovraortici, si avvale di manovre semeiologiche e di indagini strumentali. Dapprima si osservano la sede e lampiezza dei polsi carotidei, quindi si procede alla palpazione delle arterie, da eseguire con delicatezza, al davanti del muscolo sternocleidomastoide e in corrispondenza della met del collo, per evitare il seno carotideo situato al di sotto dellangolo mandibolare. Lascoltazione permette di rilevare eventuali soffi, spesso segno di stenosi emodinamiche del vaso. Lesame obiettivo si completa con la misurazione della pressione arteriosa bilateralmente; in caso di stenosi della succlavia, infatti, oltre a rilevare un eventuale soffio o uniposfigmia, sar presente una differenza dei valori pressori fra arto destro e sinistro. USO DEGLI ULTRASUONI L'Ecocolordoppler lesame di scelta per la diagnosi e lo screening delle malattie vascolari (vedi Capitolo 12). E una metodica non invasiva, affidabile, documenta bene anche le pi piccole lesioni di parete e consente la valutazione quantitativa delle stenosi (Figura 2). Questo esame, assolutamente non invasivo, richiede una buona apparecchiatura e la conoscenza dell'anatomia dei vasi. Le placche di piccola - media entit, se non lipidiche o fibrolipidiche, non devono far temere eventi ischemici, ma vanno monitorate nel tempo; le placche ulcerate, invece, anche se di piccola entit, possono essere molto pericolose. Le lesioni carotidee con stenosi superiore al 70-75% determinano importante aumento della turbolenza ed accelerazione del flusso ematico; tali condizioni possono facilitare il distacco di una porzione di placca o la formazione di un coagulo a valle della lesione; il risultato comunque l'obliterazione di una arteria medio-distale e la sofferenza del territorio cerebrale a cui viene a mancare l'apporto in ossigeno. I pazienti con stenosi carotidea sintomatica sono maggiormente a rischio di ictus ischemico rispetto a quelli con stenosi carotidea asintomatica di pari grado. Per quanto riguarda la stenosi carotidea sintomatica, lo studio NASCET riporta, per pazienti con stenosi tra il 70 e 99%, unincidenza annuale di ictus del 13% entro il primo anno e del 35% a cinque anni, mentre lo studio Asymptomatic Carotid Endarterectomy Trial (ACAS) riporta, per pazienti con stenosi carotidea asintomatica tra il 60 e 99%, unincidenza annuale di ictus solo del 2%. PATOLOGIA DEI TRONCHI SOPRAORTICI: QUADRI CLINICI Linsufficienza cerebrovascolare pu derivare da: 1) Ischemia dovuta a lesioni aterosclerotiche stenoticheocclusive a carico dei tronchi sovraortici, favorita da transitoria ipotensione sistemica; 2) Embolia a partenza da lesioni ulcerate (placche) o da aneurismi dei tronchi sovraortici, oppure di origine cardiaca; 3) Emoderivazioni brachiocefaliche (furto della succlavia) da lesioni stenotiche del segmento prevertebrale delle succlavie e del tronco anonimo. Gli episodi di insufficienza cerebrovascolare sono classificati, in base alla durata dei sintomi neurologici in: 1) TIA (attacco ischemico transitorio) con durata < 24 ore; 2) RIA attacco ischemico transitorio non completamente regredito con deficit modesti; 3) Ictus ischemico o emorragico. La lesione pi spesso responsabile una placca ateromasica localizzata allorigine della carotide interna, in grado di mettere in circolo frammenti che raggiungono i vasi intracranici, occludendoli. Se la placca si ulcera, si pu formare un trombo piastrinico che pu provocare locclusione acuta della carotide o microembolie. Lembolia pu avere anche origine cardiaca, ad esempio in corso di fibrillazione atriale. Attacco ischemico transitorio Il termine TIA (transient ischemic attack) definisce un'ischemia transitoria i cui sintomi si risolvono entro 24 ore. I sintomi sono gli stessi dell'ictus, possono durare da pochi secondi a qualche ora e si manifestano con perdita transitoria della vista, disturbi della parola, incapacit di identificare le persone o i luoghi in cui ci si trova, temporanea sospensione della funzione di un nervo motorio (paralisi momentanea del braccio o della gamba, asimmetria della rima labiale, etc.), vertigini, nausea, barcollamento, sonnolenza. I sintomi regrediscono completamente, ma costituiscono un importantissimo campanello d'allarme: i TIA, infatti, preannunciano un probabile futuro ictus, e un loro adeguato trattamento pu evitare l'insorgenza di quest'ultimo.

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Lischemia non compensata provoca entro pochi minuti un danno irreversibile che pu regredire in parte perch i neuroni della zona periferica alla lesione presentano solo unalterazione funzionale e pertanto reversibile. Poich la maggior parte dei TIA dura meno di un'ora, spesso la diagnosi solo anamnestica, al contrario dell'ictus dove nella maggior parte dei casi disponibile anche il rilievo obiettivo. Ictus Dopo le malattie cardiovascolari ed i tumori, lictus la causa pi comune di morte nei paesi industrializzati; esso rappresenta unemergenza medica (attacco cerebrale) e deve essere prontamente diagnosticato e trattato in ospedale per lelevato rischio di disabilit e di morte che comporta. La definizione di ictus comprende, sulla base dei dati morfologici, l'ictus ischemico, l'ictus emorragico, e alcuni casi di emorragia subaracnoidea. LIctus ischemico caratterizzato dallocclusione di un vaso a causa di una trombosi o di unembolia o, meno frequentemente, da unimprovvisa e grave riduzione della pressione di perfusione. Le cause pi comuni sono:vasculopatia aterosclerotica, che interessa le arterie di maggior calibro, comunemente le carotidi, le vertebrali e le arterie che originano dal circolo del Willis, allinterno delle quali si forma un trombo; occlusione delle piccole arterie(TIA o ictus lacunare); cardioembolia o embolia cardiogena, fenomeno frequente in presenza di fibrillazione atriale, protesi valvolare meccanica, stenosi mitralica con fibrillazione atriale, trombo in atrio e/o auricola sinistri, sick sinus syndrome, infarto miocardico acuto recente, trombo ventricolare sinistro, mixoma atriale, endocardite infettiva, cardiomiopatia dilatativa, acinesia di parete del ventricolo sinistro. Liter diagnostico volto a inquadrare il paziente con ictus comprende lesecuzione della TAC cerebrale senza contrasto per la diagnosi differenziale fra ictus ischemico ed emorragico e altre patologie non cerebrovascolari. Lecocolordoppler permette di identificare locclusione o la stenosi di un vaso, la presenza di collaterali, o la ricanalizzazione. Le terapie acute dell'ictus (farmaci antiaggreganti come l'aspirina, farmaci trombolitici come rTPA) hanno visto progressi significativi durante gli ultimi anni; sono utili, comunque, a un modesto numero di pazienti, in quanto la fibrinolisi si applica soltanto in unit specializzate (Stroke Unit), presenti solo in una piccola parte degli ospedali italiani. Mentre le possibilit di intervento acuto una volta che si manifestato l'ictus sono limitate, le possibilit di prevenzione (oppure la prevenzione di un secondo ictus una volta che sia avvenuto il primo) sono notevoli e devono essere sfruttate. Ispessimento intima-media e placca carotidea asintomatica Negli ultimi anni, numerosi studi hanno documentato lutilit di valutare lo spessore medio-intimale (IMT) carotideo per lindividuazione e il monitoraggio della malattia aterosclerotica della parete arteriosa. La misurazione ultrasonografia dellIMT stata dapprima studiata in modelli animali e successivamente nelluomo. Uno dei pi importanti studi di validazione stato realizzato dal gruppo italiano Pignoli-Paoletti, i quali dimostrarono come la distanza tra le due linee ecogene rilevate nellimmagine ultrasonografia correlasse con la somma delle tuniche intima e media misurate con tecniche anatomo-patologiche in arterie con e senza aterosclerosi (Figura 3). Dopo liniziale studio di Pignoli, misurazioni dellIMT carotideo sono state realizzate in molti studi clinico-epidemiologici, permettendo di raccogliere numerose informazioni per quanto riguarda lassociazione tra IMT e rischio cardiovascolare. Tali studi hanno portato a considerare lIMT carotideo come un indicatore di aterosclerosi generalizzata e indotto lAmerican Heart Association ad affermare che nella valutazione del rischio cardiovascolare, la misurazione dellispessimento medio intimale carotideo pu fornire informazioni aggiuntive rispetto ai fattori di rischio cardiovascolare. Patologia delle arterie vertebrali

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Le arterie vertebrali originano dalla succlavia, e passando dal forame ovale delle vertebre cervicali si uniscono a livello del solco bulbo pontino a formare larteria basilare, grosso vaso che ha come terminali le arterie cerebrali posteriori. Il tronco basilare, che la principale fonte di perfusione della fossa cranica posteriore, lunico esempio nel corpo umano di due arterie che si uniscono per formarne una sola. Questo spiega come lostruzione o lagenesia (mancanza di sviluppo) di una delle arterie vertebrali possa risultare completamente asintomatica. Lischemia del territorio vertebro-basilare (insufficienza vertebro-basilare - IVB) riconosce le seguenti etiologie: - ipotensione arteriosa (IVB emodinamica) - embolica a partenza cardiaca - emodinamica ed embolica associate. Nel 13% dei casi la causa dellIVB indeterminata. Quadro clinico I Sintomi per diagnosticare un TIA posteriore secondario a IVB emodinamica comprendono:

Turbe motorie mono o bilaterali Turbe sensitive al viso e/o agli arti Perdita visus bilaterale Emianopsia laterale omonima Turbe dellequilibrio o della marcia in assenza di vertigine Drop attacks Diplopia, disfagia, disartria, vertigine associate tra loro o ad uno dei sintomi precedenti

Per la diagnosi di TIA posteriore necessaria lassociazione di almeno tre sintomi. Per precisare la natura e la topografia della lesione, va associata alla diagnosi clinica la valutazione strumentale, che comprende lecocolordoppler, la TAC o la RMN cerebrale, il Doppler transcranico e, in casi selezionati, lAngiografia. Sindrome da furto della succlavia Larteria succlavia destinata a portare il sangue allarto superiore e alla parte posteriore dellencefalo. La succlavia destra nasce dallarteria anonima, la sinistra direttamente dallarco dellaorta. La Sindrome da furto della succlavia una particolare situazione emodinamica in cui si viene a trovare il circolo epiaortico nel caso, non raro, in cui larteria succlavia presenti una stenosi prevertebrale, la cui causa generalmente laterosclerosi (Figura 4). Il furto viene consentito dalle particolarit anatomiche della circolazione cerebrale, cio dallesistenza del poligono di Willis, al quale confluiscono larteria basilare e le due carotidi interne; questi vasi si riuniscono a formare, insieme alle arterie comunicanti, un unico circolo che permette, nel caso uno degli affluenti si occluda o sia gravemente stenotico, di far giungere il sangue anche a quella parte dellencefalo di cui tributaria larteria interessata (carotide interna o vertebrale). La stenosi della succlavia localizzata tra la sua origine e quella della vertebrale comporta la caduta pressoria non solo nella stessa succlavia, ma anche nella vertebrale. Dato che il torrente ematico scorre per gradienti di pressione, il flusso nellarteria basilare si inverte, dirigendosi verso la vertebrale a bassa pressione e da qui alla succlavia nel tratto oltre la stenosi. La succlavia, perci, ruba il sangue alla vertebrale omolaterale e al poligono di Willis. Il debito della succlavia derubata pagato del circolo anteriore (carotidi interne) e in maggior misura dalla vertebrale controlaterale. La sintomatologia viene scatenata da un impegno muscolare dellarto interessato dalla stenosi, che comporta il furto di un volume maggiore di sangue per sopperire allimpegno della succlavia, il cui compito rifornire i muscoli del braccio. La sintomatologia dipender dal territorio prevalentemente derubato (anteriore nel caso di compenso carotido-vertebrale, posteriore nel caso di compenso vertebro-vertebrale). Ad ogni sforzo prolungato dellarto omolaterale alla stenosi, si potranno manifestare TIA, vertigini, lipotimia, disturbi del visus. La sindrome andr sospettata tutte le volte che ci si trovi di fronte ad una stenosi della succlavia (con differenza pressoria significativa tra le due omerali), specie se il paziente riferisce una sintomatologia tipica. Pu confermare la diagnosi il test di iperemia reattiva mediante ecocolor doppler. Con la sonda posizionata sulla vertebrale si

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pratica (tramite un manicotto pressorio) lischemizzazione del braccio a minor pressione, per tre minuti. Al rilascio (sgonfiaggio rapido del manicotto) si otterranno modificazioni dellonda velocimetrica relativa alla vertebrale, consistenti in inversione di flusso e/o incremento della velocit, a seconda del tipo di furto. Nel furto permanente la direzione del flusso costantemente invertita, per cui liperemia al braccio produce un incremento della velocit di fuga del sangue dalla vertebrale derubata. Nel furto intermittente il flusso diretto alla basilare in sistole ed alla succlavia in diastole. Liperemia succlaveare comporter la stabilizzazione della direzione di fuga dalla vertebrale. Nel furto latente la direzione di flusso fisiologica di base, ma si inverte totalmente con il test delliperemia. CENNI DI TERAPIA DELLATEROSCLEROSI DEI TRONCHI SOPRAORTICI Le terapie mediche, volte a ridurre la probabilit di TIA ed ictus e di morte nei pazienti con danno carotideo, includono quelle che modificano i fattori di rischio e quelle che inibiscono la trombosi. I farmaci antiipertensivi, ipolipemizzanti e antiaggreganti riducono il rischio di TIA e ictus cerebrale ischemico. Anche gli ACE-inibitori diminuiscono la probabilit di ictus nelle popolazioni ad alto rischio. Lefficacia e sicurezza dellaspirina a basso dosaggio nella prevenzione primaria cardiovascolare nelle donne, stata indagata nel Womens Health Study, il quale ha mostrato una riduzione del 17% del rischio di ictus nei soggetti trattati rispetto al gruppo placebo. In pazienti con precedente ictus o attacco ischemico transitorio, l'aspirina riduce il rischio di ulteriori eventi cardiovascolari del 23% . La rivascolarizzazione della carotide indicata nei pazienti con stenosi carotidea asintomatica significativa (> 70%) e nei pazienti con sintomi rilevanti di ischemia cerebrovascolare o ictus non debilitante e stenosi > 60% (vedi Capitolo 67). Oltre che con la classica endarterectomia, la rivascolarizzazione pu essere oggi effettuata anche con langioplastica che, dopo lintroduzione dei filtri, ha visto progressivamente diminuire il tasso di complicanze cerebrali, e quindi si pone come una metodica altamente competitiva rispetto allendoarterectomia (vedi Capitoli 60 e 67).

Capitolo 55 ARTERIOPATIE DELLE ARTERIE PERIFERICHE Giuseppe Mercuro, Ettore Manconi


DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA Le arteriopatie obliteranti degli arti inferiori (AOAI) comprendono un gruppo di malattie caratterizzate da un restringimento o unocclusione dellalbero arterioso distrettuale, con riduzione dellapporto ematico alle estremit. Laterosclerosi la causa di gran lunga pi frequente delle AOAI, con una incidenza annuale di nuovi casi del 6. Vi una sottostima dei casi di AOAI per una mancata diagnosi dei soggetti paucisintomatici, con circa 200 casi di AOAI non riconosciuta n trattata per ogni 100 casi di malattia clinica con claudicazione intermittente. Lincidenza massima della malattia collocata tra la V e la VII decade di vita; si stima che il 12-17% della popolazione di et >50 anni ne sia affetta (Figura 1). Il sesso maschile pi colpito, con una frequenza tripla rispetto al sesso femminile durante la VI decade di vita; nelle decadi successive la differenza dipendente dal genere si attenua sensibilmente. In accordo con il concetto di pluridistrettualit della malattia aterosclerotica, le AOAI si associano con sensibile frequenza alla vasculopatia coronarica e cerebrale. La mortalit a 5 anni pari al 32% dei casi con AOAI sintomatica. EZIOLOGIA E CLASSIFICAZIONE La AOAI sono causate nel 90% dei casi dallaterosclerosi; pertanto, lepidemiologia e le manifestazioni cliniche della malattia sono associate con i fattori di rischio classici (fumo, ipercolesterolemia, diabete, ipertensione, storia familiare e menopausa) e nuovi (es. iperfibrinogenemia, iperomocisteinemia). Il fumo e lipercolesterolemia sono particolarmente rilevanti nelle forme ad esordio precoce, mentre liperfibrinogenemia lindicatore di rischio pi frequente in quelle che si manifestano in et pi avanzata. Altre AOAI hanno eziologia degenerativa, infiammatoria (arteriti), trombotica e displastica. La pi comune fra le arteriti la tromboangioite obliterante (morbo di Burger), un processo occlusivo e trombotico, per lo pi osservato in individui giovani e fumatori, che colpisce arterie di diverso calibro e vene superficiali. Frequenza minore hanno altre arteriti, fra le quali larterite a cellule giganti di Takayasu, la panarterite nodosa, la malattia di Kawasaki, le arteriti in corso di malattie sistemiche del connettivo. Tra le AOAI displastiche, la pi frequente la displasia fibromuscolare, che interessa prevalentemente le arterie iliache e le renali. Le AOAI trombotiche sono causate da anormalit coagulative primarie o secondarie, quali a volte si manifestano in presenza di neoplasie o di stati infiammatori.

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FISIOPATOLOGIA La stenosi o locclusione dellarteria causano una riduzione del flusso ematico ai tessuti, definito ischemia. A livello cellulare si produce un adattamento al ridotto apporto di 02 e di nutrienti; in particolare, la cellula muscolare scheletrica muta il proprio metabolismo da aerobio a parzialmente anaerobio, con produzione finale di acido lattico. Nel distretto vascolare si produce una modificazione dellarchitettura dei vasi, con rarefazione dei capillari nutritizi, che divengono allungati e con percorso tortuoso, per favorire una migliore estrazione dell02. Lischemia pu essere acutao cronica, in base alle modalit dinsorgenza; relativa o assoluta, a seconda che lapporto ematico distrettuale sia adeguato in condizione di riposo e insufficiente durante attivit muscolare, o insufficiente anche a riposo. Quando lischemia relativa progredisce verso la forma assoluta, si configura il quadro dellischemia critica, termine che si riferisce non pi solo allimpotenza funzionale dellarto, ma a un rischio per la sua stessa conservazione anatomica. PRESENTAZIONE CLINICA La sintomatologia e linquadramento clinico, sempre correlati al grado di deficit emodinamico, sono tradizionalmente definiti dalla classificazione di Fontaine-Leriche.

Nel 1 stadio (preclinico) della malattia le lesioni arteriose possono essere pi o meno diffuse, ma comunque non tali da provocare una significativa ischemia distrettuale. La sintomatologia assente o aspecifica, con parestesie e una maggior suscettibilit delle estremit al freddo. Nel 2 stadio, quello con cui pi frequentemente esordiscono le forme a decorso cronico, sono presenti lesioni arteriose emodinamicamene significative, cio idonee a provocare unischemia relativa. Il sintomo peculiare di questo stadio la claudicazione intermittente, legata alla produzione muscolare di acido lattico durante lesercizio fisico (in genere la deambulazione) con comparsa di rigidit e dolore muscolare crampiforme, che costringono allinterruzione della marcia. La sede del dolore strettamente connessa con il livello della lesione arteriosa. Al cessare dellesercizio segue, in pochi minuti, la scomparsa spontanea del dolore. Caratteristica della claudicazione intermittente laripetibilit nel tempo dellepisodio descritto, con linsorgenza del dolore per un livello fisso di esercizio fisico (sogliaischemica) e la sua scomparsa dopo un tempo di recupero costante. Il 2 stadio dellAOAI aterosclerotica viene suddiviso in due sottolivelli, sulla base dellautonomia di marcia: 2 stadio A se essa >200 metri; 2 stadio Bquando lautonomia <200 metri. In questo stadio si pu osservare allispezione assottigliamento e pallore della cute, modificazione degli annessi cutanei, con rarefazione o scomparsa dei peli e distrofia ungueale (assottigliamento, indebolimento e talvolta fibrosi e discheratosi delle unghie). Alla palpazione si rileva riduzione della temperatura cutanea dellarto ischemico e riduzione o assenza dei polsi arteriosi a valle della sede di lesione. Tipica dellarteriopatia a localizzazione aorto-iliaca la concomitante presenza di deficit dellerezione peniena (sindrome di Leriche). Nel 3 stadio il sintomo caratterizzante il dolore ischemico a riposo. Le AOAI ad insorgenza acuta esordiscono frequentemente con un quadro clinico al 3 stadio. Il paziente riferisce un dolore pressoch continuo, che insorge o si esacerba durante il riposo notturno, costringendolo ad alzarsi e a muovere qualche passo; infatti, la posizione ortostatica fa elevare per gravit la pressione idrostatica e muta la condizione ischemica del distretto interessato da assoluta a relativa. Nel 3 stadio avanzato il decubito si fa obbligato e il riposo a letto senza dolore possibile solo con larto ischemico in posizione declive fuori dal letto. Infine, quando la sintomatologia persiste senza modificarsi per oltre 15 giorni, ci troviamo nella situazione clinica dellischemia critica. Il 4 stadio dellAOAI cronica caratterizzato dalla presenza di lesioni trofiche. Esse possono essere parcellari, come le ulcerazioni, per lo pi localizzate sulle aree di maggior sollecitazione meccanica (vallo periungueale, tallone) oestese, come le gangrene, nelle due varianti umida e secca, talvolta complicate da sovrapposizioni batteriche (gangrena gassosa). DIAGNOSI relativamente semplice nel 2, 3 e 4 stadio; essenzialmente strumentale nel 1 stadio. LAOAI iniziale andrebbe sospettata e ricercata nei soggetti con fattori di rischio cardiovascolare come fumo, ipercolesterolemia, diabete mellito e ipertensione, soprattutto se associati tra loro. La peculiarit dei sintomi e segni che accompagnano il 2 stadio rende sufficientemente agevole la diagnosi. Daltra parte, per quanto la claudicazione intermittente sia un sintomo estremamente caratteristico, essa pu essere presente, anche se in modo meno costante e tipico, in altre condizioni cliniche, quali la compressione di radici nervose per ernia discale o lartrosi anca/ginocchio/caviglia. Peraltro, nelle patologie non ischemiche il dolore non presenta la ripetibilit tipica delle AOAI, ma pi incostante. Inoltre, pu essere presente gi a riposo e si esaurisce non con linterruzione della marcia, ma assumendo determinate posizioni. Lipotesi clinica formulata con anamnesi ed esame obiettivo deve essere confermata con alcuni semplici test strumentali. Il pi impiegato lindice pressorio caviglia/braccio (indice di Winsor). Esso si calcola misurando la pressione arteriosa sistolica brachiale con uno sfigmomanometro e quella alla caviglia con una cuffia pneumatica ed un apparecchio Doppler CW (vedi Capitolo 12). Nei soggetti sani, la pressione alla caviglia risulta di 10-15 mm Hg pi elevata di quella brachiale, determinando un indice pressorio >1. Questo semplice rilievo, oltre che confermare la presenza dellAOAI e di determinarne lo stadio di evoluzione, consente di apprezzare lefficacia della terapia nel tempo. Un indice di 0.9 possiede una sensibilit del 79% ed una specificit del 96% nel riconoscere una stenosi =50%.

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Un test da sforzo al treadmill pu essere utilizzato per differenziare la claudicazione ischemica da altre sindromi, quantificare lautonomia funzionale del paziente e prescrivere un programma di riabilitazione fisica individualizzato. Lecocolordoppler (vedi Capitolo 12) la tecnica di imaging di elezione per lo studio accurato delle AOAI. Essa in grado di precisare, con elevata sensibilit (97%) e specificit (86%) la sede, unica o multipla, di occlusione o stenosi arteriosa. Lecografia bidimensionale consente una dettagliata analisi morfologica della parete arteriosa, differenziando la forma aterosclerotica da quella arteritica e identificando le lesioni aterosclerotiche a maggior rischio tromboembolico. Il color-Doppler consente di stabilire con grande precisione il grado della stenosi e lentit del deficit di flusso nel circolo a valle. Larteriografia trova attualmente indicazione solo nello studio di casi particolari, quali malformazioni vascolari o in associazione con terapie maggiori e tecniche invasive (trombolisi loco-regionale ed angioplastica percutanea, con o senza posizionamento di stent). opportuno che nel paziente con AOAI aterosclerotica lindagine sia estesa ad altri distretti, in specie quello coronarico, per la frequente associazione con la cardiopatia ischemica CENNI DI TERAPIA Il trattamento di questa malattia indirizzato a: 1) controllare la progressione della malattia aterosclerotica; 2) migliorare la qualit di vita dei pazienti (incremento dellautonomia di marcia); 3) prevenire le amputazioni degli arti interessati dalla malattia. La terapia dei pazienti con AOAI pu essere farmacologica, interventistica o chirurgica (vedi Capitolo 68), con eventuale associazione dei diversi trattamenti. La scelta tra queste strategie dipende soprattutto dal grado di compromissione determinato dallarteriopatia. Quando lAOAI riconosciuta al 1 stadio, il suo trattamento esclusivamente medico e si fonda sulla correzione dei fattori di rischio per laterosclerosi e sulla terapia antiaggregante piastrinica (aspirina). In presenza di diabete mellito, consigliabile un controllo particolarmente attento della glicemia e dei valori pressori. In caso di ipertensione arteriosa, le classi di farmaci che si dimostrano pi efficaci nel favorire il controllo della progressione dellAOAI sono gli ACE-inibitori e i Ca -antagonisti. Una dislipidemia imporr lutilizzo di ipolipemizzanti, come le statine. Nel 2 stadio di malattia, i farmaci da utilizzare, oltre quelli descritti per il 1 stadio, sono quelli che migliorino le qualit emoreologiche del sangue (pentossifillina) o il metabolismo muscolare (levo-propionil-carnitina). I prostanoidi (PGI2 e PGE1), molto efficaci nel migliorare lautonomia di marcia, sono di esclusivo utilizzo ospedaliero. Questi farmaci, non privi di effetti collaterali spiacevoli, trovano maggiore indicazione negli stadi successivi dellAOAI. La terapia interventistica, attuata con angioplastica percutanea, con o senza posizionamento di stent, indicata nei casi con stenosi arteriose isolate e con restante circolo in buone condizioni. La terapia chirurgica limitata agli stadi 3 e 4 dellAOAI o ai casi del 2 stadio B che si dimostrino rapidamente evolutivi verso gli stadi successivi (vedi Capitolo 68).

Capitolo 56 ANEURISMI E ANEURISMA DISSECANTE Francesco Spinelli, Giovanni De Caridi, Michele La Spada
DEFINIZIONE Laneurisma una dilatazione localizzata permanente di unarteria. Nel caso di interessamento dellaorta si parla di aneurisma se si verifica un aumento del diametro di almeno il 50% rispetto a quello normale del vaso. Laclassificazione degli aneurismi aortici cruciale per formulare una diagnosi corretta e pianificare il trattamento. Essa si basa sulla forma (fusiforme se coinvolge lintera circonferenza del vaso, sacciforme se solo una parte risulta dilatata), sulle dimensioni (macroaneurisma e microaneurisma), sulla struttura (vero o falso) e sulla eziologia (gli aneurismi possono essere la conseguenza di un processo congenito, degenerativo, infettivo, infiammatorio omeccanico-traumatico). Particolare importanza riveste poi lindividuazione della sede. Sulla base della localizzazione, infatti, gli aneurismi aortici si distinguono in toracici, toraco-addominali ed addominali (Figura 1). EZIOLOGIA Dal punto di vista eziologico, la causa pi frequente quella degenerativa, visto che laterosclerosi responsabile del 90% degli aneurismi aortici. Il processo aterosclerotico (vedi Capitolo 46), che induce nella parete arteriosa la formazione di placche fibrose o ateromatose, pu creare unatrofia della tonaca media che a sua volta esita in indebolimento della parete, con conseguente ectasia e dilatazione aneurismatica. Tra le cause congenite si distinguono quelle idiopatiche da quelle dovute a un difetto del tessuto connettivo, come la sindrome di Marfan o a quella di Ehlers-Danlos. Tra quelle infettive distinguiamo le forme micotiche, sifilitiche e tubercolari; gli aneurismi che ne derivano vengono classificati come falsi o pseudoaneurismi, in quanto sono conseguenti alla rottura del vaso con formazione di un ematoma delimitato da tessuto connettivo periavventiziale, che risulta connesso al lume originario attraverso un orifizio a livello del punto di rottura. Infine, tra le cause infiammatorie

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sono la malattia di Takayasu, larterite a cellule giganti, la malattia di Behcet, la poliarterite nodosa e il lupus eritematoso sistemico. PATOGENESI Dal punto di vista patogenetico, vi sono due fattori comuni a tutte le forme aneurismatiche: la debolezza strutturale e la forza meccanica che, insieme alle cause specifiche per ciascuna forma (deficit genetico del tessuto connettivo, infezione, infiammazione, traumi), contribuiscono alla genesi e alla progressione degli aneurismi. Si suppone che il cedimento strutturale del vaso sia conseguente alla disgregazione del collagene (alla cui composizione concorre in maniera preponderante la presenza di elastina) contenuto nellavventizia aortica. La predisposizione del tratto addominale dellaorta a subire questa patologia dilatativa dovuta a una ridotta presenza di lamelle elastiche nel contesto del tessuto connettivo avventiziale, che comporterebbe la diminuita elasticit del vaso. A ci si aggiunge il fatto che i vasi nutritivi della parete arteriosa, i vasa vasorum, sono quasi del tutto assenti a livello dellaorta sottorenale. Questi dati anatomici possono predisporre alla degenerazione aneurismatica il tratto sottorenale dellaorta, se esposto a fattori locali o sistemici sfavorevoli, come accade in presenza di una patologia aterosclerotica. Lo sviluppo dellaneurisma, a sua volta, provoca localmente stasi di sangue che, unitamente al danno intimale, favorisce il deposito di trombi e quindi lulteriore indebolimento della parete arteriosa. Lassottigliamento della parete che ne deriva, accompagnato a progressiva dilatazione, comporta una riduzione della resistenza, favorendo lulteriore dilatazione. Applicando la legge di Laplace, che mette in correlazione la tensione parietale con il raggio del vaso e la pressione transmurale, si pu affermare che per una data pressione transmurale, la tensione parietale direttamente correlata al raggio, per cui allaumentare del diametro del vaso si assiste a un incremento della tensione esercitata sulla parete arteriosa e quindi ad una ulteriore tendenza alla dilatazione. SINTOMI E SEGNI CLINICI Esistono manifestazioni sintomatologiche e segni clinici comuni per tutte le forme aneurismatiche e altre specifiche a seconda del distretto interessato. Il sintomo principe di ogni malattia, il dolore, varia la sua localizzazione che pu essere toracica, addominale o posteriore con localizzazione lombare e/o dorsale. La compressione da parte dellaneurisma su strutture contigue pu comportare, nel caso di un aneurisma a localizzazione addominale, disturbi gastrointestinali quali nausea, perdita di peso o ittero. In caso di erosione duodenale si pu assistere a sanguinamento intermittente o ad emorragia massiva. Possono essere presenti sintomi correlati allapparato urinario in caso di compressione ureterale. Se, invece, la compressione avviene a livello di strutture poste nella cavit toracica come la trachea o i bronchi possono manifestarsi dispnea e tosse. Lerosione del parenchima polmonare o delle vie aeree pu provocare emottisi, e lerosione dellesofago disfagia od ematemesi. La trazione del nervo vago a livello dellarco aortico pu provocare paralisi del nervo laringeo ricorrente, con raucedine. Sono comuni lembolizzazione distale di trombo o di frammenti ateromasici e la graduale ostruzione e trombosi dei rami viscerali e delle arterie degli arti inferiori. Circa tre quarti dei pazienti portatori dellaneurisma aortico pi comune, quello addominale, sono asintomatici al momento della diagnosi, che viene generalmente effettuata in seguito al riscontro di una massa pulsante addominale o come rilievo occasionale in corso di altre indagini. Un vago e discontinuo dolore addominale spesso presente, ma questo diventa costante e importante solo quando, in seguito a una rapida espansione dellaneurisma, si verifica uno stiramento del sovrastante peritoneo. In questo caso la palpazione in sede epigastrica accentua la dolenzia che si pu anche irradiare posteriormente in sede lombo-dorsale. Lo shock conseguenza di una fissurazione o di una franca rottura aneurismatica. Lesame clinico pu evidenziare una pulsazione addominale patologica sia allispezione, in particolar modo se il soggetto magro, che alla palpazione, che permette di individuare la massa pulsante in sede epigastrica. Talvolta laneurisma si accompagna a un soffio addominale. DIAGNOSI STRUMENTALE Lecografia rappresenta lesame di primo livello in caso di sospetto aneurisma aortico. Per laneurisma toracico, la metodica diagnostica lecocardiografia transesofagea, mentre nel caso di localizzazione addominale si esegue pi semplicemente un esame ecografico con metodica Doppler o color-Doppler che, oltre a visualizzare e a permettere di misurare con accuratezza la dilatazione vasale fornisce informazioni sul flusso e consente di distinguere il lume canalizzato dal trombo parietale e di visualizzare con accuratezza lorigine dei vasi che nascono dallaorta. E possibile ottenere delle informazioni, seppur parziali, anche da una radiografia, che sia a livello toracico che addominale pu mostrare uno slargamento dellimmagine del vaso sottolineata dalle calcificazioni della parete. Laortografia ha il limite di valutare solo il lume pervio dellaorta. Lesame imprescindibile in previsione di un intervento chirurgico rappresentato dalla TC, in particolar modo con mezzo di contrasto (Angio-TC) (Figura 2,Figura 3), che analizza la parete aortica, il lume ed i rami emergenti. Le nuove metodiche TC permettono anche una ricostruzione tridimensionale dellintera estensione aortica (Figura 3). TERAPIA CHIRURGICA

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Le indicazioni al trattamento chirurgico degli aneurismi, sia toracici che addominali, hanno parametri di riferimento comuni che possono indirizzare alla scelta chirurgica e alleventuale strategia da adottare. Essi sono: il rischio operatorio, dipendente dalle condizioni cliniche del paziente, il rischio di rottura che si basa sulleziologia, sul diametro e sulla morfologia dellaneurisma, e leventuale presenza di sintomi o complicanze correlate. Per quanto riguarda il rischio operatorio, i fattori prognostici negativi sono costituiti dallet avanzata e dalla presenza di patologie associate a livello cardiaco, polmonare e renale. Il rischio di rottura maggiore per aneurismi sacciformi, poich anche se piccoli questi sottendono una debolezza localizzata della parete aortica, o per aneurismi con trombo endoluminale eccentrico e con parete sottile o con estroflessioni sacciformi (blisters). Convenzionalmente, per gli aneurismi toracici che non presentano le caratteristiche precedentemente elencate e in presenza di una buona aspettativa di vita, lindicazione al trattamento costituita da un diametro superiore a 5,5 cm: numerosi studi dimostrano che al di sotto di questo valore il rischio di rottura circa l1%. Per quanto riguarda gli aneurismi addominali, un diametro superiore a 5 cm comporta un rischio di rottura compreso tra il 25 e il 40% a 5 anni, mentre per diametri minori i rischi sono compresi tra il 2 e il 10%. Altra indicazione al trattamento chirurgico per diametri inferiori a quelli sopra espressi , per entrambi i tipi di aneurismi, la crescita uguale o superiore a 1 centimetro per anno. La scelta di quale strategia adottare, tra tecnica a cielo aperto e tecnica endovascolare, dipende sia dalla aspettativa di vita e dalle condizioni cliniche, che dallanatomia dellaorta e della sua biforcazione. Nel caso di tecnica chirurgica tradizionale a cielo aperto, ulteriori parametri che possono indirizzare la scelta sono la conformazione del paziente, lestensione della malattia aneurismatica e la presenza di complicanze. Le tecniche chirurgiche sono rappresentate dalla metodica tradizionale a cielo aperto e da quelle mininvasive (minilaparotomica nel caso di aneurismi addominali, laparoscopica, endovascolare). Nel caso di tecnica tradizionale la via daccesso maggiormente praticata in caso di aneurismi toracici rappresentata dalla toracotomia posterolaterale sinistra, mentre nel caso di aneurismi addominali le possibili scelte del tipo di approccio sono essenzialmente due: trans-peritoneale o retro-peritoneale. Lintervento pi praticato consiste nella sostituzione del tratto aneurismatico mediante un innesto protesico (Dacron o Goretex) (Figura 4). Nel caso di aneurismi dellaorta toracica, un elemento molto importante rappresentato dalla protezione degli organi nobili (midollo spinale e reni) durante il periodo di clampaggio. In alternativa, si pu ricorrere allarresto cardiocircolatorio in ipotermia profonda, che presenta due vantaggi principali: quello di lavorare in un campo operatorio completamente esangue e quello di assicurare una protezione efficace contro lischemia. La tecnica minilaparotomica deriva direttamente dalla chirurgia classica e si limita a una incisione mediana ridotta (6-10 cm) sfruttando divaricatori autostatici e clamp aortici posizionati allesterno dellincisione. Alcune varianti comprendono laccesso retroperitoneale, lincisione trasversale o lutilizzo di clamp particolari costituiti da un corpo malleabile che minimizza lingombro dei clamp tradizionali. I vantaggi ottenuti con la tecnica miniinvasiva sono la diminuzione della morbilit, della mortalit, della durata della degenza e conseguentemente dei costi. La tecnica laparoscopica pu essere totalmente eseguita in laparoscopia o, nel caso di aneurismi addominali, anche con tecnica video-assisted (due tempi operatori: uno laparoscopico e uno tradizionale). La tecnica totalmente laparoscopica presenta i vantaggi della chirurgia a cielo aperto coma la visione tridimensionale del campo operatorio e limpiego degli strumenti convenzionali (modificati per laparoscopia). Le problematiche maggiori poste da questa tecnica sono rappresentate dai tempi operatori piuttosto lunghi per la difficolt nelleseguire anastomosi vascolari con tecnica laparoscopica. Per ovviare a ci, recentemente stata introdotta la tecnica robot-assisted. La tecnica endovascolare (Figura 5, Figura 6) prevede il posizionamento di una endoprotesi o di uno stent autoespandibile ricoperto da materiale protesico di Dacron o di Goretex attraverso un accesso chirurgico inguinale (bilaterale o anche semplicemente percutaneo in caso di aneurismi addominali). I vantaggi di questa tecnica sono rappresentati dalla ridotta invasivit, inferiore a qualsiasi altra tecnica, che risulta vantaggiosissima in caso di rottura aneurismatica. I limiti sono rappresentati dalla applicabilit condizionata dalle condizioni anatomiche favorevoli (appropriati siti di ancoraggio prossimale e distale, contenuta tortuosit dellaorta, etc.). Ciascuna di queste tecniche presenta delle complicanze che possono essere comuni o specifiche. Quelle comuni sono linfezione (particolarmente nelle metodiche a cielo aperto), locclusione, lembolizzazione distale, lischemia (midollare se la sede toracica, intestinale se addominale). Le complicanze specifiche per ciascuna tecnica sono rappresentate, nel caso di tecniche a cielo aperto, dallipotensione post-declampaggio, da fistole tra la protesi e gli organi contigui, da lesioni a carico di strutture viciniori e dalla formazione di falsi aneurismi. Nel caso di tecniche laparoscopiche, il problema principale la scarsa affidabilit in termini di tenuta e di perviet delle anastomosi se non opportunamente confezionate. Nel caso di tecnica endovascolare le complicanze sono: la possibilit di rottura dellendoprotesi (1% circa), il rischio di migrazione (1% circa), limpossibilit di eseguire la metodica con necessit di conversione in intervento chirurgico tradizionale (1-2% circa), e soprattutto gli endoleak (fenomeni che comportano una imperfetta esclusione dellaneurisma dal circolo aortico e che determinano quindi un rifornimento della sacca aneurismatica; questi problemi insorgono in una percentuale che oscilla attorno al 2530%. SINDROME AORTICA ACUTA

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La sindrome aortica acuta pu insorgere per rottura aneurismatica, dissezione aortica, ulcera penetrante, ematoma intramurale o lesioni traumatiche (penetranti o contusive). In questi casi ci si trova davanti a una condizione di emergenza chirurgica gravata da un alto tasso di complicanze. Levenienza pi frequente la rottura dellaneurisma, che presenta una mortalit operatoria del 50% circa; la mortalit, tuttavia, aumenta a oltre il 90% se si prende in considerazione anche il decesso che avviene prima dellarrivo in ospedale. Il forte dolore toracico o addominale con irradiazione posteriore, accompagnato da shock, indirizza verso la diagnosi di rottura. La terapia chirurgica volta ad arrestare il sanguinamento e a ripristinare la continuit aortica. Il successo della procedura strettamente condizionato dal tipo di rottura (libera o tamponata), dallo stato emodinamico del paziente e dalla possibilit di un rapido controllo del sanguinamento della lesione aortica quando il paziente si presenta instabile per unemorragia attiva. Il trattamento si avvale delle due opzione terapeutiche gi descritte: la terapia convenzionale o quella endovascolare. La morbilit legata allesposizione chirurgica e al clampaggio aortico sempre toracico, o comunque sopra-renale, anche in caso di aneurismi addominali, rende in particolari condizioni vantaggioso lapproccio endovascolare, che risulta efficace e sicuro anche in condizioni anatomiche favorevoli. DISSEZIONE AORTICA La dissezione aortica, in precedenza definita come aneurisma dissecante, la condizione in cui il sangue penetra nella parete aortica attraverso una lacerazione intimale, e si fa strada allinterno della tonaca media, creando un falso lume. La dissezione della media pu estendersi per un lungo tratto (anche per tutta laorta) e interessare i rami che nascono dallaorta; in diversi casi il sangue che riempie il falso lume torna poi nel lume vero attraverso una breccia distale. Dal punto di vista anatomo-patologico, questa lesione dellaorta uno pseudoaneurisma, perch lintima (il lume vero) non realmente aneurismatica, ma la dilatazione del falso lume (che di solito il pi ampio dei due lumi) d luogo a un allargamento dellaorta al di l delle sue dimensioni normali, per cui stato attribuito a questa condizione il termine di aneurisma. Esistono due sistemi di classificazione quello di Standford e quello di DeBakey (Figura 7): se interessata laorta ascendente, larco dellaorta e laorta discendente si parla di tipo A secondo Stanford, che corrisponde al tipo I e II di DeBakey . Se laorta ascendente non interessata si parla di tipo B di Stanford, che corrisponde al tipo III di DeBakey. La lesione anatomo-patologica tipica riscontrata nei pazienti con dissezione aortica acuta di tipo B (che sono di solito anziani e spesso ipertesi) la degenerazione muscolare liscia allinterno della tonaca media. Nei pazienti con dissezione di tipo A, che sono in genere pi giovani, si assiste invece a unalterazione congenita del tessuto connettivo della tonaca media dellaorta (medionecrosi cistica) con conseguente degenerazione del tessuto elastico. Quadro clinico. Le dissezioni aortiche diagnosticate entro due settimane dallinizio del dolore o degli altri sintomi desordio vengono classificate come acute, mentre quelle diagnosticate pi tardivamente sono definite croniche. Il sintomo pi comune un fortissimo e lancinante dolore toracico anteriore o posteriore, interscapolare, dovuto allo stiramento dellavventizia aortica da parte dellematoma dissecante. La migrazione del dolore fa pensare che la dissezione si stia espandendo o estendendo. Si pu anche manifestare un quadro di shock (per rottura intrapericardica dellaorta con tamponamento cardiaco o per rottura intra-toracica con sanguinamento). Lesordio pu avvenire, sebbene di rado, con un quadro di infarto miocardico causato da dissezione coronarica. Lampia costellazione di sintomi e segni concomitanti (ictus, paraplegia, ischemia degli arti superiori o inferiori, anuria, dolore addominale per ischemia renale o mesenterica) correlata al coinvolgimento, da parte della dissezione, dei rami aortici distali e alla conseguente compromissione della perfusione dei diversi organi irrorati da tali rami. Il dolore toracico va distinto da quello di tutte le altre malattie, cardiovascolari e non, che possono essere responsabili di questo sintomo: infarto miocardico, pericardite, embolia polmonare, pneumotorace, malattie dellesofago, affezioni ossee, nevralgie, etc. A parte i casi non frequenti di dissezione coronarica e correlato infarto miocardico, lElettrocardiogramma e il dosaggio dei marker di necrosi miocardica sono normali nei pazienti con dissezione aortica, permettendo una immediata esclusione della cardiopatia ischemica. In una percentuale non minima dei casi lascoltazione del cuore rivela uninsufficienza aortica massiva, prima assente, provocata dalla dilatazione della radice aortica, con mancato collabimento delle cuspidi valvolari in diastole. La diagnostica strumentale si avvale dellecocardiografia transtoracica, ma soprattutto di quella transesofagea (ECO 22) e della TC con mezzo di contrasto (Figura 8). Nella dissezione acuta di tipo A, il primo obiettivo terapeutico rappresentato, in attesa dellintervento chirurgico, daltrattamento dellipertensione, per prevenire la rottura dellaorta nel pericardio o nello spazio pleurico, ed evitare il coinvolgimento degli osti coronarici o della valvola aortica o il danno irreversibile multiorgano. Lintervento chirurgico consiste nella sostituzione protesica dellaorta ascendente e della parte prossimale dellarco. Nel caso di dissezione acuta di tipo B spesso si preferisce la terapia medica, mentre lintervento chirurgico viene riservato a pazienti giovani, a basso rischio, con dissezione non complicata, allo scopo di prevenire una rottura, e

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consiste nella sostituzione protesica del segmento di aorta toracica discendente che contiene le lesioni pi gravi. Nella dissezione cronica, sia di tipo A che B, lindicazione chirurgica tiene presente che i fattori di rischio pi frequenti per una rottura aortica sono il diametro aortico, leccentricit della dilatazione e una rapida espansione (maggiore di 1 cm per anno). Pertanto, si pone indicazione allintervento chirurgico in caso di dilatazione dellaorta ascendente superiore a 5,5 cm oppure pari a 5 cm, quando coesistano patologie del tessuto connettivo, specialmente la Sindrome di Marfan, o in caso di dilatazione dellaorta discendente superiori o pari a 6 cm o pi, o se presente una familiarit per connettivopatie. Lapproccio endovascolare prevede limpianto di una endoprotesi a copertura della dissezione prossimale per ripristinare il flusso ematico nel lume vero compresso. La procedura, che prevede leventuale stenting del flap intimale in caso di malperfusione dorgano, si pratica soprattutto nei casi di dissezioni di tipo B non complicate. LULCERA PENETRANTE AORTICA consiste in una lesione della lamina elastica interna da parte di un processo ateromatoso che si estende sino alla tonaca media. La sua evoluzione naturale rappresentata dallematoma intramurale, dalla dissezione o dallo pseudoaneurisma, con conseguente possibile rottura vasale. Il suo riscontro occasionale non implica necessariamente il trattamento, che si rende invece necessario in caso di sintomatologia o di rapida progressione. La metodica terapeutica maggiormente indicata rappresentata dal trattamento endovascolare atto a escludere la lesione.

Capitolo 57 MALATTIE DELLE VENE Marco Matteo Ciccone


CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA DELLE VENE Nella circolazione venosa esistono due distretti, quello profondo e quello superficiale: questi lavorano sinergicamente, ma hanno differenti funzioni. La circolazione superficiale porta il sangue dal microcircolo cutaneo o viscerale al circolo venoso profondo e questo convoglia il sangue allatrio destro. Le caratteristiche della circolazione venosa variano da un distretto allaltro; negli arti inferiori, per esempio, si distinguono (Figura 1): a) Vene profonde in continuit con latrio destro, satelliti delle arterie omonime, con decorso al di sotto delle aponeurosi (R1). b) Vene superficiali tronculari affluenti del circolo venoso profondo con decorso sottocutaneo al di sopra delle aponeurosi muscolari (R2). c) Vene superficiali comunicanti, che sono vasi sopra-aponeurotici di connessione tra vene superficiali tronculari (R3). d) Vene perforanti, ovvero vasi di connessione tra circolo venoso profondo e superficiale, che perforano le aponevrosi ed in condizioni normali dirigono il sangue dal circolo superficiale al profondo (R4). Le vene sono da considerare, da un punto di vista idraulico, come dei tubi compressibili a basso regime pressorio, nei quali si genera pressione quando aumenta il volume del liquido in essi contenuto. Lingresso del sangue nelle vene genera una tensione che, data la presenza di valvole unidirezionali, determina la progressione del sangue verso latrio destro. La pressione intratoracica contribuisce a determinare il ritorno venoso, e quando diventa negativa, come nellinspirazione profonda, produce un effetto di suzione che facilita il ritorno venoso. Questo fenomeno riguarda particolarmente le vene profonde, che sono caratterizzate da un flusso continuo, modulato dagli atti del respiro. Classificazione delle malattie delle vene La classificazione anatomica prevede due gruppi di flebopatie: quello delle vene superficiali e quello delle vene profonde; la classificazione fisiopatologica, invece, basata su tre gruppi nosografici: flebopatie ectasianti, flebopatie obliteranti e/o flogistiche, e flebopatie funzionali. MALATTIE DELLE VENE SUPERFICIALI Le malattie delle vene superficiali hanno come sintomi: senso di pesantezza a volte associato a dolore, stanchezza alle gambe o tensione dopo prolungata stazione eretta, crampi a riposo, prurito ed edema malleolare serotino. Si riconoscono le seguenti forme: Flebopatia ipotonica o malattia delle commesse E caratterizzata da da sintomatologia flebostatica (senso di pesantezza ed edemi bilaterali serotini degli arti inferiori) senza segni strumentali di insufficienza venosa n di ipertensione venosa superficiale. La patogenesi da attribuire ad ipotonia parietale venosa. Flebostasi costituzionale

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Ha come elemento fondamentale lacroipotermia (estremit fredde); il sottocute ha un aspetto similmixedematoso, ed i quadri clinici pi frequenti sono l'eritrocianosi declive tipo rusticanus, la cianosi lipomatosa ed il lipedemacellulitico. Altre flebopatie funzionali sono: Lacrocianosi, caratterizzata da cianosi ed ipotermia a livello delle estremit. Leritrocianosi, nella quale si manifesta cianosi in regione malleolare. La livaedo, in cui compaiono alterazioni del colorito cutaneo simili ai lividi che si osservano dopo esposizione al freddo. Si presenta in tre forme cliniche: anularis, reticularis e pigmentata. Flebite superficiale (non trombotica) E caratterizzata dall'improvvisa comparsa di dolore, rossore e calore sul territorio di una vena superficiale. Pu risolversi spontaneamente entro una settimana o evolvere in flebotrombosi; frequentemente recidiva. Malattia varicosa Le varici sono dilatazioni e tortuosit permanenti delle vene superficiali; possono essere tronculari principali se interessano gli assi safenici, o tronculari collaterali se interessano collaterali safeniche. Si distinguono varicicongenite o angiodisplasiche, che compaiono pi spesso entro la seconda decade di vita, caratterizzate da spiccata tortuosit segmentaria dei vasi venosi, e varici primitive o essenziali, che interessano le vene in tutto il loro decorso, sono quasi sempre familiari e riconoscono fattori facilitanti fra cui l'obesit, l'ortostatismo, la stipsi, la gravidanza. Le varici secondarie si sviluppano a seguito di una trombosi venosa profonda, e rappresentano un circolo di supplenza; in questa situazione le vene appaiono ectasiche ma senza tortuosit. Tromboflebite superficiale E caratterizzata da dolore, rossore e calore lungo il decorso di una vena superficiale. Alla palpazione, la vena ha l'aspetto di un cordone, e le indagini strumentali dimostrano una trombosi parziale o totale della vena. Rare sono le complicanze tromboemboliche. Insufficienza venosa superficiale cronica In questa situazione presente una disfunzione cronica del circolo venoso superficiale, espressa da insufficienza venosa, ipertensione venosa, stasi ed ulcere flebostatiche. Ulcere Flebostatiche. Rappresentano l'80% di tutte le ulcere degli arti, e sono provocate dall'ipertensione venosa. Le ulcerazioni possono interessare i piani muscolari, hanno sede paramalleolare e sono sensibili all'elastocompressione ed alla terapia eparinica ed antibiotica topica. MALATTIE DELLE VENE PROFONDE TROMBOEMBOLISMO VENOSO Si definisce "malattia tromboembolica venosa" la condizione in cui si realizza una patologia trombotica a carico del circolo venoso profondo, associata o meno ad embolia polmonare. Si riconoscono i quattro seguenti quadri clinici :

Trombosi venosa profonda o flebotrombosi Embolia polmonare Sindrome venosa post-trombotica Ipertensione arteriosa polmonare secondaria a tromboembolismo.

Le prime due forme sono acute, le ultime due croniche. Lembolia polmonare e lipertensione arteriosa polmonare conseguente a tromboembolismo venoso vengono trattate rispettivamente nel Capitolo 50 e nel Capitolo 51. Trombosi venosa profonda E la condizione in cui si forma un trombo occludente o parzialmente occludente il lume di una vena profonda. Spesso la malattia ha come evoluzione la sindrome post-trombotica (SPT), nella quale si verifica la devalvulazione del sistema venoso profondo, cui consegue linsufficienza venosa. Epidemiologia. La reale incidenza della malattia tromboembolica venosa nella popolazione generale difficile da determinare, perch la maggior parte delle informazioni riguarda pazienti ospedalizzati. In uno studio condotto in 16 ospedali americani, l'incidenza annuale stata di 48 episodi di trombosi venosa profonda (TVP) e 23 di embolia polmonare (EP) per 100.000 abitanti, con una mortalit ospedaliera del 12%.

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Eziologia. Il rallentamento della circolazione venosa il presupposto fondamentale per la formazione del trombo. Sono le vene profonde della sura, della coscia e dell'asse ileo-femorale le sedi da cui pi frequentemente si distaccano gli emboli, mentre raramente questi provengono dalle vene superficiali delle gambe o dalle vene profonde degli arti superiori. Quadro clinico. Il paziente affetto da trombosi venosa profonda pu essere asintomatico o presentare, in relazione all'entit dell'ostruzione ed al segmento venoso interessato, uno o pi dei seguenti sintomi e segni clinici: tensione dolorosa all'arto, dolore intenso e crampiforme che si accentua con il movimento, dolore alla dorsiflessione del piede (segno di Homans), dolorabilit in seguito alla compressione dei muscoli, perch la flogosi attiva i nocicettori della parete vasale. L'ostruzione venosa, inoltre, provoca ipertensione venosa locale, e quindi edema caratteristicamente associato a fovea. Tra i segni obiettivi pi affidabili l'aumentata circonferenza dell'arto interessato rispetto al controlaterale; altri segni clinici sono l'ipertermia ed il rossore, provocati dalla flogosi venosa locale e dall'aumento del flusso venoso superficiale. La cute pu presentare discromia, o pu essere cianotica a causa dell'ipossia. Nella trombosi ileo-femorale si pu realizzare il quadro clinico della phlegmasia cerulea dolens, della gangrena venosa o della phlegmasia alba dolens (cute pallida ed ipotermica, polsi iposfigmici per vasocostrizione arteriolare). La trombosi venosa profonda pu risolversi con restitutio ad integrum, oppure esitare nella sindrome post-trombotica con insufficienza venosa cronica. Nelle vene degli arti inferiori, in cui l'innervazione simpatica scarsa, diversamente che nelle vene cutanee e splancniche, ed il flusso venoso anterogrado garantito dalla pompa muscolare e dall'integrit delle valvole, il processo trombotico altera tali strutture ed il circolo venoso diviene incontinente. Diagnosi. La trombosi venosa profonda sintomatica in meno del 50% dei soggetti. Quando presenti, i sintomi e segni clinici di questa affezione sono simili a quelli di numerose altre malattie (affezioni muscolo-tendinee, osteoarticolari, del circolo linfatico, affezioni cutanee, cisti poplitee), per cui la diagnosi difficile. La flebografia considerata la metodica di riferimento nella diagnosi di trombosi venosa profonda. La flebografia ascendente evidenzia difetti di riempimento del lume venoso, o interruzione brusca del mezzo di contrasto con presenza di circoli collaterali.Tra le indagini non invasive, l'Eco-Color-Doppler ha sensibilit e specificit analoghe alla flebografia Tra tutti gli esami di laboratorio proposti per la diagnosi di trombosi venosa profonda in fase acuta, il dosaggio del D-dimero si rivelato particolarmente utile, anche per lalto valore predittivo negativo nei confronti della trombosi venosa profonda. Sindrome venosa post trombotica Lo stato successivo a uno o pi episodi di trombosi venosa profonda, caratterizzato da insufficienza venosa, ipertensione venosa, alterazioni cutanee (dermatite cianotica ed ulcere flebostatiche) prende il nome di sindrome post trombotica. Questa pu evolvere clinicamente verso un flebedema persistente, che va trattato con elastocompressione, terapia fisica e terapia farmacologica. Farmaci che hanno dimostrato efficacia in tale condizione sono le eparine e gli anticoagulanti orali.

Sezione XVII. Approccio al trattamento delle Malattie Cardiovascolari: Cardiochirurgia Capitolo 62 CIRCOLAZIONE EXTRACORPOREA Claudio Muneretto, Paolo Piccoli, Gianluigi Bisleri
INTRODUZIONE La terapia chirurgica delle malattie cardiache ostacolata da difficolt di carattere tecnico legate alla necessit di vicariare la funzione cardio-polmonare per lintervallo di tempo necessario allesecuzione dellintervento. Solo dopo lacquisizione di nuove tecnologie nella manifattura di materiali plastici biocompatibili e lo sviluppo delle moderne tecniche anestesiologiche e chirurgiche, e dopo la scoperta dellazione anticoagulante delleparina, ha potuto avere inizio levoluzione di efficaci tecniche di circolazione extra-corporea (CEC). La sperimentazione di sistemi pompa-ossigenatore risale allinizio degli Anni 30 quando John Gibbon (Figura 1) inizi i primi lavori sperimentali al Massachusetts General Hospital di Boston; nel 1953 fu proprio Gibbon ad effettuare il primo intervento cardiochirurgico, la riparazione di un difetto interatriale, utilizzando una macchina cuore-polmone (Figura 2). Da allora il progresso tecnologico e lacquisizione di conoscenze sempre pi approfondite nellambito della risposta infiammatoria sistemica e del danno dorgano causati dalla CEC hanno consentito una progressivo miglioramento dei biomateriali e delle tecniche di by-pass cardio-polmonare (Figura 3). PRINCIPI DI FUNZIONAMENTO DELLA CEC La circolazione extra-corporea basata sullesclusione dal circolo del cuore e dei polmoni (by-pass cardiopolmonare) tramite la deviazione del ritorno venoso dalle sezioni destre del cuore ad un ossigenatore e quindi la re-immissione del sangue ossigenato nel circolo arterioso (Figura 4) .

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Durante la CEC il sangue, reso incoagulabile con eparina, scorre in un sistema di tubi in materiale plastico biocompatibile e viene quindi raccolto in un contenitore (cardiotomo o reservoir) da dove, spinto da una pompa, raggiunge il sistema ossigenatore/scambiatore di calore. Larterializzazione del sangue venoso avviene nellossigenatore mediante diffusione di anidride carbonica e ossigeno, secondo gradienti di concentrazione, attraverso una membrana semipermeabile dellossigenatore stesso. Lo scambiatore di calore connesso con lossigenatore permette di regolare la temperatura del sangue per ottenere i diversi gradi di ipotermia necessari. Una volta ossigenato, il sangue viene reimmesso nellorganismo tramite una cannula inserita nel circolo arterioso ( aorta ascendente, a. femorale, o ascellare). Prima dellapertura delle camere cardiache necessario clampare laorta, cio posizionare una particolare pinza, chiamata clamp in aorta ascendente in modo da isolare il cuore dalla circolazione arteriosa e di impedire il sanguinamento. Con il clampaggio dellaorta si interrompe la circolazione coronarica e si realizza pertanto una condizione di ischemia miocardica completa. Appare pertanto necessario proteggere il cuore mediante infusione nelle coronarie di una soluzione denominata cardioplegia che ha lo scopo di raffreddare il miocardio a 10 C (riduzione del metabolismo basale) ed arrestarlo in diastole (riduzione del metabolismo funzionale) . Larresto diastolico cardioplegico viene ottenuto con la somministrazione di elevate concentrazioni di potassio (20-25 mEq/l). La protezione miocardica indotta dalla cardioplegia consente, con ragionevole sicurezza, di eseguire clampaggi aortici anche prolungati (2 ore) durante i quali possibile eseguire la totalit degli interventi cardiochirurgici. IL CIRCUITO Per veicolare il sangue allesterno del sistema cardiocircolatorio del paziente vengono utilizzate delle cannule inserite rispettivamente nel sistema venoso ed arterioso del paziente. Esistono diversi schemi di cannulazione per circolazione extra-corporea (Figura 5): comunemente si utilizza per il drenaggio venoso una singola cannula a doppio stadio inserita in atrio destro attraverso lauricola dirigendo la punta nella vena cava inferiore (Figura 5A), e per la linea arteriosa una cannula inserita in aorta ascendente o in arteria femorale. Negli interventi a carico della valvola mitrale o di strutture del cuore destro (valvola polmonare, tricuspide, setto interatriale), si utilizza uno schema di cannulazione che prevede linserimento di due cannule rispettivamente in vena cava superiore ed inferiore (Figura 5B). LOSSIGENATORE Lossigenatore il componente pi importante della macchina cuore-polmone, non soltanto perch regola la tensione dei gas presenti nel sangue, ma soprattutto poich nellossigenatore vi la maggior superficie di contatto tra sangue e materiale artificiale non-self: dalla membrana ossigenante si attivano gran parte delle reazioni infiammatorie caratteristiche della CEC. I moderni ossigenatori a membrana sono composti da un sistema di fibre cave al cui interno scorre la miscela gassosa ed intorno alle quali passa il sangue. LO SCAMBIATORE CI CALORE E LIPOTERMIA Lipotermia viene utilizzata in cardiochirurgia per ridurre le richieste di ossigeno e quindi diminuire il rischio di danni da ipoperfusione sistemica durante la CEC. Per variare la temperatura dellorganismo si agisce raffreddando o riscaldando il sangue nel suo passaggio allinterno dellossigenatore: allinterno di questo vi un circuito separato in cui scorre acqua a temperatura controllata da una unit esterna (scambiatore di calore). Negli interventi di routine (by-pass aorto-coronarico, sostituzione valvolare, riparazione di cardiopatie congenite semplici) desiderabile il raggiungimento di una temperatura intorno ai 28- 33C (ipotermia moderata). Per lesecuzione di interventi complessi che prevedano una fase di arresto del circolo (ad esempio, sostituzione dellarco aortico) necessario raggiungere temperature anche inferiori a 20 (ipotermia profonda). LEMODILUIZIONE Prima dellavvio della CEC il circuito viene riempito (priming) con una soluzione elettrolitica bilanciata. Una volta instaurata la circolazione extra-corporea tale soluzione viene a mescolarsi con il sangue del paziente creando un certo grado di emodiluizione. Lemodiluizione da un lato diminuisce la viscosit ematica con effetti positivi dal punto di vista reologico (minore emolisi, migliore per fusione capillare); dallaltro diminuisce la capacit di trasporto dellossigeno e riduce la pressione colloido-osmotica favorendo la trasudazione capillare. Oggi, si preferisce evitare leccessiva emodiluizione, e si tende a mantenere lematocrito a valori non inferiori ai 28-30% LA POMPA La funzione propulsiva dei ventricoli viene vicariata da una pompa. Il meccanismo pi semplice ed efficace costituito dalla cosiddetta pompa roller (Figura 6A): un rotore allinterno di un cilindro metallico comprime il tubo al cui interno passa il sangue, generando forza propulsiva. Questo sistema efficace, di semplice costruzione

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ed economico; tuttavia il traumatismo a carico delle emazie allinterno del tubo ad ogni giro del rotore determina un certo grado di emolisi. Per ovviare a questo problema sono state disegnate delle pompe che utilizzano la forza centrifuga come propulsore (Figura 6B,C); queste pompe determinano un ridotto effetto emolitico, ma risultano pi costose e di complessa gestione. LA CARDIOPLEGIA Le soluzioni cardioplegiche (cristalloidi o ematiche) contengono una elevata concentrazione di potassio (8-20 mEq/L), magnesio ed una miscela di componenti (stabilizzatori di membrana, aminoacidi, elettroliti) volti a ridurre il danno ischemico e da riperfusione. Linfusione della cardioplegia avviene immediatamente dopo clampaggio aortico e successivamente ad intervalli di 20-30 minuti. Larresto dellattivit meccanica e la riduzione del metabolismo basale dovuta allipotermia, riducono del 90-95% il consumo miocardico di ossigeno. Questo consente di intervenire per un intervallo di tempo di circa 2 ore, oltre il quale aumenta progressivamente il rischio di danno ischemico del cuore. DANNI DA CEC L assenza di flusso pulsatile, lalterazione della perfusione distrettuale, la perdita dei riflessi baro e chemo-cettori, la riduzione della pressione colloido-osmotica plasmatica e la formazione di microemboli che si verificano durante la circolazione extra-corporea possono determinare unalterazione dellomeostasi ed una serie di danni dorgano. La continua esposizione del sangue a superfici non endotelizzate determina lattivazione di una forma peculiare di infiammazione generalizzata (whole body inflammatory response) che coinvolge il sistema del complemento, i granulociti neutrofili, i monociti, le cellule endoteliali e, in misura minore, le piastrine ed i linfociti. Lattivazione di queste componenti ha come conseguenza la sintesi e secrezione di ingenti quantit di enzimi citolitici, citochine, radicali liberi e peptidi vasoattivi che partecipano attivamente al danno da ischemia/riperfusione. Le alterazioni della funzione renale dopo CEC (aumento della creatinina, riduzione filtrato glomerulare) sono in parte conseguenza della reazione infiammatoria generalizzata. La risposta infiammatoria insieme allemodiluizione indotta da CEC causa di unaumentata permeabilit capillare con conseguente edema interstiziale generalizzato. Gli effetti negativi delledema interstiziale possono essere particolarmente evidenti nel parenchima polmonare dove causano una significativa riduzione della compliance. Esistono delle sottoclassi di pazienti con aumentato rischio di morbilit post-CEC rappresentate dai neonati e bambini al di sotto del 1 anno di vita, soggetti anziani o con scompenso cardiaco cronico. In queste sottoclassi di pazienti, unesacerbata risposta infiammatoria e la coesistenza di patologie associate incrementano il rischio di complicanze post-CEC quali insufficienza renale e respiratoria, coagulopatie ed eventi neurologici. Tuttavia normalmente la CEC non causa una morbilit evidente dal punto di vista clinico ne complicanze di rilievo, ed molto ben sopportata dalla grande maggioranza dei pazienti.

Capitolo 63 INTERVENTI SULLE VALVOLE CARDIACHE Luigi Chiariello, Carlo Bassano


INTRODUZIONE La chirurgia delle valvole cardiache pu essere di tipo sostitutivo, con protesi meccaniche o biologiche, (Figura 1) ovvero riparativo. La prima opzione viene scelta quando i lembi valvolari sono malati (sclerosi, calcificazione), mentre la seconda viene impiegata quando i lembi sono relativamente sani (per esempio, linsufficienza aortica secondaria a patologia dellaorta ascendente) oppure quando la malattia primitiva dei lembi consenta una chirurgia riparativa con restitutio ad integrum della funzionalit. LE PROTESI VALVOLARI Protesi biologiche Le protesi biologiche (Figura 2) si distinguono in:

eterologhe (valvola aortiche di suino, valvole con lembi in pericardio bovino o equino rese non omologhe (prelevate da cadavere, sterilizzate e utilizzate fresche o crioconservate); autologhe (valvola polmonare del paziente rimossa e impiegata in posizione aortica con contemporaneo

immunogene e conservate in soluzioni fissanti);

impianto di una protesi omologa in posizione polmonare).

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Le protesi eterologhe possono essere montate su una struttura portante (stent) che ne facilita limpianto, oppure essere prive di sostegno (stentless, esclusivamente per la sede aortica); quelle omologhe e autologhe sono sempre stentless. Protesi meccaniche Le prime erano a dispositivo occludente (una sfera o un disco); in seguito sono state introdotte quelle a disco incernierato oscillante e pi recentemente quelle a doppio emidisco, dotate di miglior rendimento meccanico (Figura 3). Sono tutte costituite da una struttura rigida di lega metallica (in genere carbonio pirolitico) di forma circolare, nel cui interno sono alloggiati dei sistemi di cerniera dove vengono ancorati gli elementi mobili e al cui esterno fissato un ulteriore anello in tessuto attraverso il quale vengono passate le suture necessarie allimpianto. Vantaggi e svantaggi delle diverse protesi valvolari Le protesi biologiche hanno ottima biocompatibilit, non necessitano di profilassi antitrombotica e non sono rumorose; tuttavia vanno incontro a progressiva degenerazione strutturale (spesso determinata da calcificazione dei lembi) che ne comporta una durata mediana di circa 15 anni in pazienti di et avanzata (nei pazienti pi giovani il tasso di deterioramento strutturale primitivo maggiore, nei pi anziani minore). Le valvole meccaniche sono anchesse dotate di buona biocompatibilit in quanto costituite da componenti biologicamente inerti e non vanno praticamente mai incontro a deterioramento strutturale primitivo. Tuttavia necessitano di profilassi antitrombotica a vita, con conseguente rischio combinato di fenomeni tromboembolici e di emorragie dell1-2%/anno/paziente. Modalit di disfunzione protesica Sono sostanzialmente di due tipi:

Deterioramento strutturale, cio rottura o grave alterazione morfologica e meccanica degli elementi mobili Disfunzione non primitiva, cio un processo patologico che non riguarda la protesi in s, ma che

(lembi biologici o dischi). comunque ne limita la capacit funzionale, come la trombosi o la crescita di panno fibroso che ostacolano, fino a bloccare, i meccanismi di cerniera delle protesi meccaniche, le endocarditi (che possono provocare distacco protesico, perforazione dei lembi delle bioprotesi o crescita di vegetazioni ad alto rischio embolico) o le deiscenze anastomotiche.

SOSTITUZIONE VALVOLARE AORTICA Dopo aver instaurato il bypass cardiopolmonare e una volta ottenuto larresto cardioplegico, si esegue unaortotomia trasversale e si espone la valvola nativa (Figura 4A). Si procede alla exeresi dei lembi e alla rimozione completa delle calcificazioni anulari eventualmente presenti, e si procede alla misurazione del diametro anulare per scegliere una protesi di dimensioni adeguate (Figura 4B). Punti staccati in poliestere vengono passati attraverso lanulus nativo; tali suture possono essere semplici o doppie (ad U), rinforzate da pledgets in feltro di teflon per evitare che possano tranciare i tessuti (Figura 5). I capi liberi delle suture vengono quindi passati attraverso lanello di sutura della protesi e infine annodati, solidarizzando lanulus nativo alla protesi. In alternativa, la protesi pu essere anche impiantata con una sutura continua in polipropilene. Laortotomia viene infine chiusa con una sutura in polipropilene e il cuore deareato e riperfuso. Nel caso delle protesi stentless la procedura chirurgica pi complessa e prevede due linee di sutura: la prima del tutto analoga a quella precedentemente descritta per le bioprotesi stented e meccaniche, la seconda per ancorare la sezione distale della bioprotesi allinterno della parete aortica (Figura 6). SOSTITUZIONE VALVOLARE MITRALICA Instaurato il bypass cardiopolmonare e ottenuto larresto cardioplegico, per accedere allatrio sinistro si utilizza in genere unatriotomia sinistra anteriore allo sbocco delle vene polmonari destre. In alternativa si pu incidere latrio destro e quindi il setto interatriale. Una volta esposta la mitrale (Figura 7A), si procede alla rimozione dei lembi (Figura 7B), avendo per cura di risparmiare parte dellapparato di sostegno sottovalvolare (corde tendinee primarie e loro inserzione sui muscoli papillari (Figura 7C). Infatti, la discontinuazione del sostegno tendineopapillare ha un effetto prognostico negativo sui risultati a distanza della SVM a causa della modificazione

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geometrica che induce sul ventricolo sinistro, che tende ad assumere un aspetto sferico anzich ellissoidale, una volta eliminato il sistema di ancoraggio dei muscoli papillari allo scheletro fibroso del cuore. Analogamente a quanto avviene per la protesi aortica, una serie di punti staccati ad U, rinforzati con pledgtes in feltro di teflon in posizione sotto- o sopra-anulare vengono passati nellanulus nativo, quindi attraverso lanello di sutura della protesi e infine annodati per ottenere la solidarizzazione tra strutture biologiche e materiale protesico (Figura 7E). La procedura completata con la deareazione e la riperfusione miocardica. Rischi specifici della sostituzione valvolare mitralica Due aspetti tecnici aumentano il rischio legato alla SVM. Il primo riguarda la difficolt di rimozione completa delle calcificazioni dallanulus mitralico: il calcio pu infiltrare profondamente il miocardio e la sua rimozione pu provocare lesioni della parete libera del ventricolo sinistro. Il secondo riguarda il rischio di ledere il ramo circonflesso della coronaria sinistra durante il posizionamento delle suture, con possibilit di provocare un infarto miocardico intraoperatorio o uninfiltrazione emorragica della parete ventricolare sinistra. Inoltre, la preservazione dellapparato cordale pu interferire con il libero movimento degli elementi mobili delle protesi meccaniche, che deve quindi essere accuratamente verificato dopo limpianto. Anche le manovre di deareazione devono essere eseguite con cautela, in quanto la protesi rigida in posizione mitralica potrebbe provocare la rottura della parete ventricolare sinistra. CHIRURGIA RIPARATIVA DELLA VALVOLA AORTICA Nelladulto si esegue quasi esclusivamente per linsufficienza valvolare. Pu essere effettuata per difetti primitivi delle diverse componenti anatomiche della valvola aortica (anulus, commissure, lembi) o per insufficienza valvolare secondaria a patologia della radice aortica (aneurismi degenerativi cronici o dissecazioni aortiche acute). Il presupposto fondamentale che i lembi siano morfologicamente normali, cio non sclerotici e privi di calcificazioni. Tecniche riparative dellinsufficienza aortica primitiva Dipendono dal meccanismo che determina linsufficienza. Questi i pi comuni:

Dilatazione anulare: si esegue una plastica commissurale con lintento di avvicinare i lembi tra loro,

diminuendo il diametro anulare e aumentando larea di coaptazione. Se coesiste un prolasso questo pu venire corretto da una plastica asimmetrica delle commissure o associando una plicatura del margine libero del lembo (Figura 8A).

Prolasso di un lembo in valvola bicuspide: in genere responsabile del prolasso il lembo fuso. La tecnica

consiste nella resezione del tessuto esuberante e nella ricostruzione del lembo, in genere associandola alla plastica commisurale (Figura 8B).

Tecniche riparative dellinsufficienza aortica secondaria Linsufficienza aortica secondaria riconosce due diversi meccanismi patogenetici: in caso di aneurisma espansivo che coinvolga la giunzione senotubulare, la trazione centrifuga esercitata sulle commissure provoca dislocazione dei lembi e perdita della coaptazione centrale; nel caso delle dissecazioni aortiche, invece, le commissure possono perdere il sostegno della parete aortica, determinando dislocazione centripeta della commissura stessa e prolasso dei lembi. In entrambi i casi la valvola aortica in genere normale e pu essere risparmiata: la ricostituzione della radice aortica nelle giuste dimensioni ripristina la corretta disposizione anatomica dei lembi e la loro corretta funzione. Questa pu essere ottenuta con la semplice sostituzione protesica dellaorta ascendente e conseguente ricostruzione della giunzione senotubulare. Se la patologia aortica coinvolge la radice lintervento diventa pi complesso. In questultimo caso, due approcci simili sono stati messi a punto: il reimpianto della valvola aortica secondo David e il rimodellamento della radice aortica secondo Yacoub. In entrambi i casi prevista lexeresi totale dei seni di Valsalva, e quindi inevitabile il reimpianto degli osti coronarici sul condotto protesico col quale si sostituisce laorta prossimale. CHIRURGIA RIPARATIVA DELLA VALVOLA MITRALICA La chirurgia riparativa della stenosi mitralica (commissurotomia) stato uno dei primi interventi della cardiochirurgia: consisteva nella separazione delle commissure fuse eseguita manualmente a cuore chiuso, cio senza lausilio della circolazione extracorporea. La commissurotomia stata poi per anni eseguita anche a cuore

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aperto in visione diretta (Figura 9), ma attualmente stata soppiantata dalla valvulotomia percutanea, ed ha quindi quasi esclusivamente un valore storico. La riparazione della mitrale si esegue pertanto quasi esclusivamente per insufficienza mitralica. In base ai meccanismi patogenetici del vizio valvolare si possono identificare sostanzialmente tre tipi di insufficienza mitralica, che richiedono approcci chirurgici diversi: 1) da esagerato movimento dei lembi (prolasso); 2) da ridotto movimento dei lembi (alterazioni dellapparato sottovalvolare o dilatazione del ventricolo sinistro con allontanamento dei papillari e trazione sui lembi); 3) con normale movimento dei lembi (dilatazione anulare o perforazione dei lembi). Nel primo caso sar necessario eliminare il tessuto ridondante (resezione dei lembi o accorciamento delle corde tendinee), nel secondo restituire libert di movimento per ottenere un aumento della superficie di coaptazione (allungamento o sostituzione delle corde e anuloplastica restrittiva), nel terzo infine la strategia chirurgica sar valutata sulla base del meccanismo prevalente (anuloplastica o riparazione con piccoli patches di eventuali perforazioni). Chirurgia riparativa della mitrale per prolasso Il lembo prolassante quasi sempre il posteriore. Il tessuto esuberante viene quindi resecato e la continuit del lembo ricostruita con una sutura a punti staccati o continua a sopraggitto. Nella resezione (di norma un frammento quadrangolare) viene incluso anche il corrispondente segmento di anulus mitralico su cui si impiantava il tratto di lembo esuberante, che sar preventivamente ricostruito con un punto in poliestere (Figura 10). E possibile che si associ un grado variabile di dilatazione anulare, per cui diventa opportuno eseguire unanuloplastica riduttiva con un apposito anello protesico (vedi oltre). Limpianto di un anello protesico d inoltre maggiore stabilit alla plastica. Il coinvolgimento del lembo anteriore mitralico Il prolasso del lembo anteriore, associate o meno al prolasso posteriore, pi difficile da trattare in quanto la resezione del tessuto esuberante non ha portato a risultati soddisfacenti e il segmento anteriore dellanulus mitralico fisso, cio non riducibile chirurgicamente. Una tecnica di facile applicazione consente tuttavia di ovviare spesso a questo problema: ancorando il margine libero del lembo anteriore al corrispondente margine libero del lembo posteriore (plastica edge-to-edge) si riesce a prevenire il ribaltamento del lembo anteriore verso latrio sinistro. La mitrale assume un aspetto a doppio orificiosenza che questo comporti una stenosi, in quanto la somma delle aree dei due orifici , di norma, pi che sufficiente ad un passaggio del sangue di tipo non restrittivo (Figura 11). Anuloplastica mitralica con anello protesico Limpianto di un anello protesico rigido o flessibile, sovrapposto allanulus mitralico nativo (Figura 12), pu essere eseguito con due scopi sostanziali: dare stabilit nel tempo ad altre procedure (per esempio, una resezione quadrangolare del lembo posteriore o una plastica edge-to-edge), oppure ridurre le dimensioni di un anulus nativo dilatato per patologia degenerativa primitiva o secondariamente a dilatazione del ventricolo sinistro (frequentemente in casi di insufficienza mitralica secondaria a cardiomiopatia ischemica). Altri tipi di valvuloplastica mitralica Interventi meno comuni sulla mitrale sono quelli di chirurgia cordale: ne esistono di due tipi, cio la traslocazione (sezione cordale e reinserimento del capo sezionato in modo tale da ripristinare la funzione di contenimento, scegliendo la sede di reimpianto in funzione della lunghezza della corda) oppure la sostituzione cordale con filamenti di politetrafluoroetilene, dopo exeresi delle corde rotte o allungate (Figura 13). Infine, nel caso di perforazioni dei lembi conseguenti ad endocarditi con perdita di sostanza, possibile colmare le lacune dei lembi con delle piccole toppe (patches) in pericardio autologo con sottili suture in polipropilene. CHIRURGIA DELLA VALVOLA TRICUSPIDE La valvola tricuspide raramente affetta da patologie primitive, sia acquisite che congenite. Tuttavia spesso secondariamente coinvolta nelle patologie valvolari del settore sinistro, soprattutto quella mitralica. Lipertensione polmonare di lunga data, quale che ne sia la causa, provoca dilatazione del ventricolo destro e conseguente dilatazione anulare tricuspidale, cui segue insufficienza valvolare da deficit di coaptazione dei lembi (vedi Capitolo 14). Unanuloplastica riduttiva ripristina le dimensioni dellanulus e consente una efficace giustapposizione dei lembi. La tecnica pi diffusa di anuloplastica tricuspidale quella proposta da De Vega: consiste nella conduzione di una sutura circonferenziale tipo borsa di tabacco lungo tutto lanulus tricuspidale: la trazione sui capi liberi consente di ridurre quindi la circonferenza anulare al livello desiderato. Alternativamente, possibile eseguire unanulocommissuroplastica secondo Kay, che consiste nellobliterazione della commissura laterale, escludendo cos un settore di anulus e riducendo larea utile al passaggio di sangue, mentre lanulus stesso assume una forma a racchetta.

Capitolo 64 183

CHIRURGIA DELLA CARDIOPATIA ISCHEMICA Luigi Chiariello, Paolo Nardi


IL BY-PASS CORONARICO Il bypass coronarico (coronary artery by-pass grafting, CABG), introdotto alla fine degli anni 60 da Ren Favaloro, da circa 35 anni lintervento chirurgico maggiore pi diffuso nel mondo occidentale. La sua diffusione stata giustificata dagli ottimi risultati clinici in termini di sopravvivenza e libert da eventi sfavorevoli a distanza, risultati coi quali ogni tecnica alternativa di rivascolarizzazione opportuno si confronti. Il CABG rappresenta la terapia chirurgica della cardiopatia ischemica, che nella grande maggioranza dei casi secondaria ad aterosclerosi ostruttiva dellalbero coronarico. Lo scopo di questo intervento di saltare, cio aggirare (bypassare) il punto in cui l'arteria coronaria stenotica o del tutto occlusa, permettendo cos lirrorazione di quella parte di muscolo cardiaco del quale cui larteria tributaria. Lintervento tradizionale di CABG prevede laccesso al cuore ed allaorta del paziente mediante sternotomia mediana, il prelievo dellarteria mammaria interna (Figura 1) e/o della vena safena dallarto inferiore (Figura 2), lavvio della circolazione extracorporea (vedi Capitolo 62) e larresto del cuore stesso con la cardioplegia. Il chirurgo esegue quindi il/i bypass dopo aver praticato una piccola incisione sulla/e coronaria/e a valle del punto di stenosi, suturando larteria mammaria nella sua estremit distale o il segmento di vena safena autologa invertita (la safena provvista di valvole che impedirebbero la progressione del sangue!) alla coronaria. Lestremit prossimale della safena viene poi suturata allaorta ascendente, da cui il sangue, attraverso la vena stessa, raggiunge la coronaria, mentre lestremit prossimale dellarteria mammaria, ramo dellarteria succlavia, gi naturalmente collegata al sistema arterioso (Figura 3, Figura 4, Figura 5). INNESTI PER IL BY-PASS CORONARICO Gli innesti pi frequentemente utilizzati per la rivascolarizzazione sono larteria mammaria interna (AMI) e la vena safena invertita. La superiorit dellAMI rispetto alla vena safena in termini di perviet a distanza (superiore al 95% rispetto a circa il 65% a 12 anni), di sopravvivenza (60% rispetto al 35%) e di maggiore libert da infarto miocardico e reintervento, rende routinario lutilizzo dellarteria mammaria interna sinistra, in particolare per il ramo discendente anteriore della coronaria sinistra, il vaso pi importante ai fini prognostici perch responsabile di oltre il 50% dellirrorazione del miocardio ventricolare sinistro. Per lottima perviet dellarteria mammaria interna rispetto alla vena safena, si anche esteso limpiego di entrambe le arterie mammarie (generalmente lAMI destra per il ramo discendente anteriore, lAMI sinistra per il ramo marginale ottuso) (Figura 6) che rispetto alluso dellAMI singola si confermato associarsi ad un ulteriore miglioramento della sopravvivenza a 20 anni e ad una maggiore libert da reintervento. Per la minore perviet a distanza, rispetto a quella evidenziata per larteria mammaria, sono meno frequentemente utilizzati altri innesti arteriosi quali larteria radiale, la gastroepiploica e lepigastrica (Figura 7). INDICAZIONI AL BY-PASS CORONARICO Lefficacia del CABG rispetto alla sola terapia medica per il trattamento della cardiopatia ischemica stata valutata da grandi trial i quali hanno avuto il merito di identificare i pazienti che pi traggono beneficio dalla chirurgia: il CABG risultava la metodica pi efficace nel garantire migliore sopravvivenza e libert da eventi a lungo termine in presenza di: 1) malattia del tronco comune della coronaria sinistra (stenosi =50%), 2) malattia trivasale, 3) malattia bivasale con stenosi prossimale del ramo discendente anteriore. Il beneficio della chirurgia risultava ancora pi evidente in presenza di angina, prova da sforzo positiva, ridotta funzione sistolica del ventricolo sinistro (frazione di eiezione <50%). Il CABG non offriva, invece, vantaggi superiori alla terapia medica in presenza di malattia monovasale o bivasale con buona funzione del ventricolo sinistro, senza coinvolgimento dellarteria discendente anteriore. Stato attuale della chirurgia coronarica. Durante gli anni di sviluppo ed espansione delle metodiche di rivascolarizzazione percutanea, anche la chirurgia ha fatto importanti progressi, con notevole espansione delle indicazioni al CABG. I pazienti sottoposti a intervento chirurgico sono oggi di et sempre pi avanzata, con maggiore incidenza di disfunzione ventricolare sinistra e di malattia multivasale, di comorbidit associate (insufficienza renale, respiratoria, vasculopatia periferica, diabete, fumo, fattori di rischio cardiovascolari) ed in genere con rischio pi elevato. I progressi della chirurgia sono legati allaffinamento delle tecniche di protezione miocardica e di emostasi intraoperatoria, al miglioramento delle metodiche anestesiologiche e rianimatorie, allimpiego estensivo dei graft arteriosi, in particolare dellarteria mammaria interna bilaterale, alla possibilit di eseguire interventi a cuore battente. Grazie a tali progressi, la mortalit per intervento di CABG rimasta stabile, intorno al 2%, nonostante la complessit dei pazienti chirurgici sia aumentata, visto che i casi di coronaropatia con compromissione anatomica non molto grave e diffusa vengono oggi trattati con angioplastica percutanea. In conclusione, il CABG rappresenta il gold standard per il trattamento della malattia mutivasale e del tronco comune per: a) bassa mortalit operatoria (circa 2%); b) risultati ineguagliati in termini di sopravvivenza a lungo termine e libert da eventi cardiaci maggiori; c) eccellenti risultati, confermati anche in categorie di pazienti ad elevato rischio operatorio; d) perviet dellarteria mammaria interna >90% a lungo termine; e) rischio minimo di ripetere una nuova rivascolarizzazione a distanza (0.5%/anno).

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Lefficacia a lungo termine della chirurgia si basa essenzialmente su due razionali che la terapia medica o le metodiche di angioplastica percutanea non hanno: 1) totale e pi completa rivascolarizzazione: il bypass coronarico consente il trattamento di qualsiasi tipo di lesione coronarica, anche la pi complessa o lostruzione completa, e non solo della lesione responsabile della sintomatologia, ma anche di tutte le altre presenti (rivascolarizzazione completa); 2) perviet a lungo termine degli innesti, in particolare di quelli arteriosi (arteria mammaria), che favorisce la stabilit del risultato a distanza.

Capitolo 65 CHIRURGIA DELLE CARDIOPATIE CONGENITE Mario Chiavarelli, Gianluca Lucchese


DIFETTI DEL SETTO INTERATRIALE Il difetto interatriale necessita di terapia chirurgica solo in presenza di sovraccarico ventricolare destro. Di solito un difetto interatriale della fossa ovale ha indicazione alla chiusura se il rapporto tra flusso polmonare e flusso sistemico (Qp/Qs) superiore a 2 oppure superiore a 1,5 nei difetti interatriali complicati. Non c vantaggio in termini di risultati ad aspettare unet superiore a 1-2 anni, anche se in molti casi la diagnosi successiva. Let avanzata non costituisce controindicazione. La terapia chirurgica consiste nella chiusura del difetto o per sutura diretta o mediante patch (toppa) di pericardio o tessuto artificiale. L'approccio chirurgico mininvasivo ha trovato un crescente interesse per ragioni estetiche. La chiusura di difetto interatriale con device (ombrellini), posizionati in corso di cateterismo cardiaco (cardiologia interventistica) ha unapplicazione crescente nei casi non complicati. Tra tutti i difetti interatriali, si deve porre particolare attenzione a quelli tipo cavale e seno coronarico per la frequente associazione ad altre malformazioni cardiache fra cui ritorno venoso polmonare anomalo. DIFETTI DEL SETTO INTERVENTRICOLARE La presenza di un difetto interventricolare non costituisce indicazione a correzione chirurgica: i difetti muscolari e perimembranosi, specialmente se piccoli, possono chiudersi spontaneamente in un'alta percentuale di casi (fino al 50%). Questo processo generalmente si verifica entro i 5 anni. I difetti interventricolari grandi non operati sono gravati da una mortalit del 9% nel primo anno di vita, e portano a morte il 40% dei soggetti prima dei ventanni e il 78% prima dei quaranta; circa il 25-45 % dei pazienti sintomatici portatori di un difetto interventricolare deve essere operato entro il primo anno di vita per la comparsa di insufficienza cardiaca. Lindicazione chirurgica deve tener conto da un lato della probabilit di chiusura spontanea del difetto interventricolare, dallaltro del rischio di mortalit per insufficienza cardiaca e di sviluppare malattia vascolare polmonare, con conseguente ipertensione polmonare e inversione dello shunt, nei pazienti non operati. Lintervento condotto generalmente per via transatriale destra, dopo retrazione della valvola tricuspide e consiste nel suturare un patch di tessuto artificiale ai margini del difetto, evitando di danneggiare il tessuto di conduzione, che spesso in relazione con il difetto interventricolare. Se il peso del paziente molto basso, o in caso di sepsi o di difetti multipli, pu essere attuato il bendaggio dellarteria polmonare: un intervento palliativo che controlla liperafflusso polmonare e fa guadagnare tempo per la correzione definitiva. La chiusura con device (ombrellino) in laboratorio di emodinamica possibile per casi selezionati. PERSISTENZA DEL DOTTO ARTERIOSO Nei pazienti a termine il dotto pu essere chiuso con una bassa incidenza di complicanze (meno dello 0,5%). La chiusura pu essere effettuata tradizionalmente mediante legatura, divisione o applicazione di clip metallica. Attualmente l'occlusione endoluminale (cardiologia interventistica) o la legatura in toracoscopia prevalgono sulla chirurgia tradizionale. Nel prematuro indicato il trattamento farmacologico con indometacina o ibuprofene, farmaci inibitori della ciclossigenasi. La chiusura chirurgica indicata in caso di inefficacia dei farmaci o ricorrenza della perviet del dotto arterioso dopo una prima fase di chiusura. COARTAZIONE AORTICA Le tecniche impiegate per ricostruire o sostituire laorta nel suo tratto coartato sono molteplici e vanno considerate in base allet del paziente e al tipo di coartazione. Flap di succlavia. L'utilizzo della succlavia come lembo (flap) per la ricostruzione dell'aorta implica linterruzione della succlavia sinistra e pu essere eseguito se l'arteria di dimensioni e decorso adeguati. Nei pazienti di et inferiore ad un anno il sacrificio dell'arteria succlavia compensato dallo sviluppo di un circolo collaterale che assicura unadeguata perfusione dell'arto superiore sinistro. Resezione del tratto coartato ed anastomosi termino-terminale. quasi sempre possibile ed applicabile e ha il vantaggio di rimuovere il tessuto duttale. Ha indicazione anche nel trattamento dellipoplasia tubulare. Aortoplastica con patch. Incisione della parete aortica e allargamento dellarteria mediante sutura di patch ai margini dellaortotomia. Questa metodologia impiegata nel bambino quando la coartazione presente per un

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lungo tratto di aorta o nel neonato quando l'intervento eseguito in emergenza. Il vantaggio di questa tecnica la semplice eseguibilit, anche se sono possibili recidive e formazione di aneurisma. Aortoplastica con condotto. L'interposizione di un condotto artificiale a sostituzione del tratto aortico coartato una tecnica oggi quasi abbandonata in et pediatrica, ma ancora impiegata nell'adulto. TETRALOGIA DI FALLOT La presenza di questa malformazione costituisce indicazione allintervento chirurgico. La correzione a 2 stadi (palliazione con shunt sistemico-polmonare, seguita da riparazione), effettuata in passato in tutti i casi, ha oggi indicazione limitata a bambini molto piccoli o situazioni particolari. La riparazione primaria pu essere eseguita anche in et neonatale ma lo standard dopo i 6 mesi; let ottimale i due anni di vita. La chiusura del difetto interventricolare avviene per via transatriale destra; da questo accesso vengono rimosse le bande muscolari ostruttive del ventricolo destro. Se questo non sufficiente ad eliminare lostacolo, linfundibolo viene ampliato con un patch, che pu essere esteso attraverso la valvola polmonare (correzione con patch transanulare). Linsufficienza della valvola polmonare molto frequente dopo riparazione, ma viene ben tollerata per molti anni e solo occasionalmente richiede linserzione di una protesi valvolare. TRASPOSIZIONE DELLE GRANDI ARTERIE Nella trasposizione con setto interventricolare integro si inizia infusione di prostaglandina E1 alla nascita, per mantenere il dotto aperto e favorire il mixing, e si corregge lacidosi metabolica. In casi di mixing non soddisfacente si procede alla settostomia atriale con pallone. Nella prima settimana e non pi tardi di 30 giorni si esegue lo switch arterioso, ristabilendo la normale connessione tra ventricoli e grandi arterie e reimpiantando le coronarie (correzione anatomica). Se il bambino viene proposto per correzione chirurgica dopo le prime settimane di vita, il ventricolo sinistro ormai abituato a pompare nel circolo polmonare a basse resistenze e non in grado di sostenere la circolazione sistemica. In questi casi si opta per una correzione fisiologica con reorientamento dei flussi a livello atriale (intervento di Mustard o di Senning) in modo da ridirezionare il sangue venoso sistemico verso la mitrale e quello polmonare verso la tricuspide, ristabilendo le circolazioni in serie.

Sezione XIX. Approccio al trattamento delle Malattie Cardiovascolari: Chirurgia Vascolare Capitolo 67 LA MALATTIA DEI TRONCHI SOPRAORTICI Francesco Spinelli, Giovanni De Caridi, Michele La Spada
INDICAZIONI ALLA TERAPIA CHIRURGICA La conoscenza della patologia aterosclerotica, principale causa della malattia nel sistema cerebro-vascolare extracranico, e dei suoi effetti sullemodinamica arteriosa, ha permesso gi negli anni 50 la nascita della chirurgia carotidea. Il notevole sviluppo che questa chirurgia ha avuto negli anni successivi ha posto lesigenza di individuare gruppi e sottogruppi di pazienti, sia sintomatici che asintomatici, che potessero beneficiare del trattamento chirurgico rispetto a quello medico nella prevenzione dellictus, a condizione che le complicanze operatorie fossero inferiori alla morbilit e mortalit della popolazione non operata. Lobiettivo dei trial intrapresi stato quello di valutare lefficacia dellendo-arteriectomia carotidea nella prevenzione dellictus e quindi di fornire indicazioni chirurgiche standardizzate. I pi importanti studi multicentrici randomizzati condotti in pazienti sintomatici sono stati il NASCET (North AmericanSymptomatic Carotid Endarterectomy Trial) e lECST (European Carotid Surgery Trial), che hanno valutato gli effetti emodinamici di una stenosi carotidea sul flusso a valle e il rischio emboligeno delle lesioni. I risultati hanno permesso di stabilire che per stenosi uguali o superiori al 70%, responsabili di TIA o ictus lieve nei sei mesi precedenti, e con rischio chirurgico inferiore al 6%, la terapia chirurgica superiore rispetto a quella medica perch diminuisce il rischio di ictus a 2 anni dal 26% al 9%, con una riduzione ancor pi vantaggiosa in presenza di placca ulcerata. Per contro, nei pazienti con stenosi comprese tra il 50 ed il 69%, il tasso di ictus a 5 anni si riduce dal 22 al 17%. Si pu concludere che nei pazienti sintomatici, lindicazione allintervento chirurgico certa per stenosi superiori al70%, mentre nel caso di stenosi comprese tra il 50 ed il 69% vanno operati solo i pazienti a pi alto rischio, e per stenosi inferiori al 50% la chirurgia una scelta inappropriata. A volte anche le stenosi asintomatiche vanno sottoposte a trattamento chirurgico: il trial ACAS (Asymptomatic Carotid Aterosclerosis Study) ha messo in luce una riduzione del rischio di ictus a 5 anni dall11% al 5% per stenosi superiori al 60%, e lo studio ACSRS (Asymptomatic Carotid Stenosis and Risk of Stroke) ha individuato tre categorie di pazienti a rischio con stenosi superiori all80%, concludendo che per i soggetti con rischio inferiore all1% non vi indicazione chirurgica, per quelli con rischio superiore al 4% lindicazione possibile solo se il rischio chirurgico contenuto, mentre per i pazienti con rischio superiore al 7% lindicazione chirurgica assoluta.

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Lindicazione allintervento chirurgico rimane valida anche in caso di stenosi generate da alterazioni del decorso anatomico delle arterie carotidi (kinking o coiling) che determinino unaccelerazione del flusso tale da creare conseguenze emodinamiche al circolo cerebrale. In presenza di accertata patologia ostruttiva o emboligena carotidea in un paziente con deficit neurologico lieve o moderato, con coscienza conservata, ed in particolar modo in caso di occlusione carotidea controlaterale, si propende oggi per lintervento chirurgico allo scopo di ripristinare la perviet carotidea (in caso di occlusione) o di eliminare la fonte emboligena (in caso di stenosi significativa o di placca soft). INDICAZIONI ALLA TERAPIA ENDOVASCOLARE Una nuova svolta nel trattamento delle lesioni extra-craniche si avuta di recente con lintroduzione della metodica endovascolare (vedi Capitolo 59) che, anche se non ha cambiato le indicazioni al trattamento, ha sostituito in alcuni casi la tecnica chirurgica tradizionale. Anche in questo caso studi prospettici quali il NAPTAR (North American Percutaneous Transluminal Angioplasty Register) e il CREST (Carotid Revascularization Endarterectomy versus Stent Trial) hanno permesso di definire meglio il ruolo di questa metodica, dimostrando che i suoi risultati in termini di morbilit e mortalit sono incoraggianti soprattutto in casi selezionati, quali i pazienti ad alto rischio chirurgico, nelle restenosi successive ad endoarteriectomia, nei colli ostili, nelle stenosi in soggetti irradiati, nelle lesioni distali della carotide interna. LANESTESIA NELLA CHIRURGIA DEI TRONCHI SOPRAORTICI La tecnica anestesiologica praticata in relazione al tipo di intervento che si intende eseguire: possibile unanestesia locale in caso di tecnica endovascolare percutanea, oppure unanestesia locoregionale o generale in caso di intervento chirurgico tradizionale. Nel primo caso si ha il vantaggio di mantenere la coscienza del paziente conservata, condizione utile durante le fasi di interruzione della circolazione, ma con lo svantaggio di un mancato confort per il paziente e di riflesso per il chirurgo. Tale situazione si annulla con lanestesia generale, che per non permette al chirurgo di verificare la coscienza del paziente al momento dellinterruzione della circolazione; si cerca di ovviare a ci tramite metodiche che predicono la necessit di utilizzare un cortocircuito temporaneo, detto shunt, per mantenere la circolazione pervia durante lintervento. TECNICHE DI CHIRUGIA VASCOLARE La tecnica chirurgica maggiormente praticata consiste nella endoarteriectomia carotidea (Figura 1, Figura 2), Questa metodica consiste nel preparare accuratamente un tratto di arteria carotide comune e la sua biforcazione e, dopo aver interrotto la circolazione, nelleseguire una rimozione della placca dallintero tratto interessato dalla patologia aterosclerotica mediante uno scollamento a partenza dagli strati esterni della tonaca media dellarteria A questa fase segue la chiusura dellarteriotomia, che si effettua mediante lapplicazione di un patch di allargamento in materiale sintetico o biologico nel caso in cui la carotide interna appaia di calibro ridotto. Una variante dellendoarteriectomia standard lendoarteriectomia per eversione, che consiste nel sezionare la carotide interna, generalmente allorigine dalla biforcazione, evertere poi su se stessa la carotide interna sezionata per poter eseguire la rimozione della placca mediante una spatola e infine nel ricostruire la continuit del vaso. Una ulteriore variante tecnica, utilizzata principalmente in caso di lesioni aterosclerotiche particolarmente estese sulla carotide interna, consiste nelleseguire un by-pass a partenza dalla carotide comune sino alla carotide interna a valle della lesione, con sezione e legatura di questultima. La tecnica endovascolare (Figura 3, Figura 4) si effettua attraverso un accesso percutaneo e consiste nelleseguire unangioplastica e lapplicazione di uno stent, con leventuale ausilio di meccanismi di protezione, volti ad evitare lembolizzazione della placca, posizionati prima di espandere lo stent (vedi Capitolo 60).

Capitolo 68 LE ARTERIOPATIE PERIFERICHE Francesco Spinelli, Giovanni De Caridi, Michele La Spada


DEFINIZIONE DI INSUFFICIENZA ARTERIOSA Linsufficienza arteriosa cronica caratterizzata compromissione della vascolarizzazione distale. da unalterazione della perfusione con progressiva

La classificazione dellischemia critica secondo Leriche-Fontaine (vedi Capitolo 55) definisce la severit funzionale dellarteriopatia periferica ma non delinea chiaramente il livello di gravit della malattia e il rischio evolutivo legato alle lesioni aterosclerotiche. Proprio tale parziale corrispondenza tra stadio clinico e lesioni arteriose sottostanti ha condizionato per molto tempo liter decisionale. In passato, infatti, unarteriopatia al secondo stadio era prevalentemente appannaggio della terapia medica, e solo la comparsa di dolore a riposo o di turbe trofiche conducevano alla terapia chirurgica. Questo concetto va oggi rivisto in considerazione di due fattori. Il primo la migliore conoscenza della storia naturale della malattia, che pu comportare la distruzione irreversibile del letto a valle, il secondo il ruolo

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sempre pi importante assunto dalla terapia endovascolare, che offre unalternativa poco invasiva, anche se talvolta meno efficace, alla terapia chirurgica tradizionale. INDICAZIONI ALLA TERAPIA CHIRURGICA Lischemia funzionale al I stadio non rappresenta unindicazione chirurgica, ma rivela un rischio vascolare multifocale e dunque la necessit di unindagine multi-sistemica del rischio aterosclerotico e di un successivo piano di sorveglianza. Lischemia funzionale al II stadio rappresenta unindicazione relativa allintervento chirurgico, e ci dipende dalla conoscenza della storia naturale della claudicatio intermittens, che a 5 anni prevede una stabilizzazione o un miglioramento nel 50% dei casi, una progressione della sintomatologia nel 15% dei casi, il ricorso a un intervento chirurgico nel 25% dei pazienti e unamputazione maggiore in meno del 4%. Elementi quali il grado di claudicatio, let, le condizioni generali, lo stile di vita e la presenza o meno di circolo collaterale condizionano le indicazioni terapeutiche. Nel caso di una claudicatio lieve o moderata da ostruzione sotto-inguinale, soprattutto in pazienti anziani, consigliabile il solo controllo dei fattori di rischio per frenare e stabilizzare levoluzione della malattia e una terapia farmacologica anti-trombotica e vasoattiva. Per contro, la presenza di unaclaudicatio severa causata da un deficit arterioso sopra- o sotto-inguinale pu avvalersi, oltre che della terapia farmacologica, anche della rivascolarizzazione chirurgica o endovascolare. Lischemia critica (stadi III e IV) costituisce unindicazione assoluta a un intervento terapeutico invasivo in tutti i casi in cui non vi sia unadeguata risposta alla terapia farmacologica, sempre che esistano le condizioni tecniche per una ragionevole probabilit di successo. Nellambito del IV stadio, una considerazione a parte meritano i pazienti portatori di lesioni gangrenose estese allavampiede e al tallone ma che non hanno ancora una compromissione irrimediabilmente delle funzioni di appoggio del piede. Queste situazioni necessitano un intervento terapeutico rapido ed efficace, mentre lindicazione alla terapia medica limitata ai soli pazienti in cui tale situazione sia espressione di danno arterioso-capillare. TECNICHE CHIRURGICHE Il trattamento dellischemia cronica basato su unampia variet di by-pass e di tecniche di disostruzione, cui recentemente si aggiunta lopzione della terapia endovascolare. La scelta fra queste diverse metodiche influenzata da numerosi fattori quali la topografia delle lesioni (sopra- o sotto-inguinali), la loro natura (obliterante o emboligena) e il tipo di compromissione del vaso (stenosi od occlusione). Per la tecnica convenzionale bisogna tener conto dell'afflusso, comunemente indicato con il termine inglese inflow, a livello del sito dellanastomosi prossimale del by-pass, dellefflusso (outflow o run-off) delle arterie riceventi, e della disponibilit di materiale protesico. Per quanto riguarda la strategia endovascolare, invece, la scelta influenzata dalla sede e dalla lunghezza della lesione, dal tipo e dalla morfologia dellostacolo al flusso e dalla condizione del run-off. La notevole diffusione e il ruolo sempre pi importante assunto dalla terapia endovascolare ha stravolto lapproccio al trattamento dellischemia critica. La rapida evoluzione dei materiali endovascolari ha allargato notevolmente le potenzialit della metodica, e numerosi studi hanno suggerito che il primo approccio allischemia critica sia la terapia endovascolare, la quale permette di affrontare in maniera poco invasiva sia le occlusioni che le stenosi e le placche ateromatose friabili. Per quanto riguarda il trattamento chirurgico tradizionale, le opzioni sono il by-pass, la tromboendoarteriectomia e la profundoplastica. Il by-pass consiste nel superamento dellostruzione tramite un ponte che viene impiantato prossimalmente alla lesione, su un segmento di arteria sana, ed ha il punto di arrivo su un tratto di arteria sana distale alla lesione. Il by-pass femoro-popliteo sopra-articolare indicato se i vasi distali sono integri, mentre in presenza di occlusione completa della poplitea sottoarticolare si rende necessario un by-pass distale (destinato ai vasi del terzo inferiore di gamba o del piede) quando vi almeno un vaso di gamba pervio. Le opzioni chirurgiche prevedono: by-pass in venaautologa e in particolar modo in vena grande safena nelle due varianti invertita e in situ, lasciata cio nella sua sede naturale (Figura 1), oppure by-pass in protesi sintetica, o ancora by-pass compositi combinando in varia maniera materiale venoso e protesico. La vena autologa costituisce il materiale migliore per il basso rischio di infezione e per la presenza, sulla superficie di flusso, di uno strato endoteliale vitale che, insieme alla componente elastica, riduce sensibilmente la trombogenicit, soprattutto in prossimit delle sedi anastomotiche. Tra le vene autologhe si distingue per lunghezza, diametro e posizione anatomica la vena grande safena (VGS), che decorre lungo tutto larto inferiore e pu consentire di eseguire un by-pass fino alle arterie pedidia e plantare. Se la VGS non presente per pregressi interventi chirurgici (by-pass aorto-coronarici, stripping per varici) o non ha un calibro adeguato viene utilizzata la vena piccola safena o, se anche questa inadeguata o assente, le vene dellarto superiore. Nel by-pass in vena grande safena invertita, necessario lo scollamento del segmento venoso scelto per il pontaggio e la sua inversione al momento di confezionare le anastomosi prossimale e distale. In caso di bypass in vena grandesafena in situ, si rende necessaria la preparazione completa del segmento venoso ma si esegue uno scollamento solo del tratto iniziale e di quello distale per permettere il confezionamento dellanastomosi prossimale e, dopo aver devalvulato la vena con appositi strumenti (valvulotomi o stripper), anche di quella distale. A pontaggio eseguito, si dovr effettuare unattenta legatura dei rami collaterali della vena grande safena sotto visione diretta, angiografica, angioscopica o con lausilio di uno strumento Doppler, dato che

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se i collaterali della vena arterializzata rimanessero pervi si realizzerebbe un furto di sangue dal distretto arterioso a quello venoso . I materiali protesici, indispensabili nei casi in cui non vi sia materiale autologo adeguato, possono essere biologici e di materiale sintetico, principalmente polimerico. Tra i primi annoveriamo le protesi omologhe arteriose e venose, segmenti vasali, freschi o conservati, prelevati da cadaveri. Il problema principale di queste protesi rappresentato dal basso tasso di perviet a distanza e dalla frequente degenerazione aneurismatica. Sono anche disponibili protesi eterologhe, vasi di animali modificati in laboratorio, come ad esempio larteria carotide bovina fissata con glutaraldeide. Queste non presentano una significativa perdita di stabilit strutturale e mostrano risultati di perviet buoni nel distretto sopra-popliteo ma insufficienti a livello sotto-popliteo . Le protesi di materiale sintetico (Dacron, Teflon, ePTFE) offrono numerosi vantaggi quali limpermeabilit e la biocompatibilit, ma presentano il limite della quasi totale assenza di compliance, cio di quella capacit di ritorno elastico durante la fase diastolica che i vasi possiedono. Questa differenza di compliance tra protesi e arterie comporta problemi emodinamici che inducono liperplasia peri-anastomotica, responsabile della bassa perviet a distanza dei by-pass femoro-tibiali in protesi sintetiche. Per migliorare lesito a lungo termine di questi interventi sono stati escogitati numerosi espedienti tecnici, che prevedono luso di un collare venoso o di un patch venoso interposto nel punto danastomosi tra protesi artificiale e arteria nativa. I risultati della chirurgia tradizionale riportano perviet a 6 anni dei by-pass femoro-poplitei sopra-articolari in materiale venoso pressoch sovrapponibili a quelli eseguiti in PTFE (76% vs 68%). Per i by-pass femoro-poplitei sotto-articolari, la perviet a distanza del 67% per quelli eseguiti in vena e del 39% per quelli in PTFE. Per le rivascolarizzazioni femoro-distali la perviet maggiore per i by-pass in vena safena in situ rispetto a quelli eseguiti utilizzando le vene del braccio o le protesi in PTFE. La tecnica endovascolare consiste nelleseguire, attraverso un accesso percutaneo in anestesia locale, unangioplastica con eventuale applicazione di stent. Nel caso di lesioni stenotiche, si esegue una procedura transluminale, mentre nel caso di ostruzione unalternativa a questa metodica quella sottointimale. Per eseguire la tecnica transluminale si oltrepassa la stenosi con una guida metallica flessibile, sulla quale si inserisce nel vaso un catetere che reca allestremit distale un palloncino gonfiabile; questo viene portato in corrispondenza della stenosi ed espanso, provocando il rimodellamento o la rottura della placca aterosclerotica e lo stiramento della media e dellavventizia (Figura 2). Nellapproccio sottointimale, invece, la guida viene fatta avanzare non nel lume, ma allinterno della parete, sotto lintima, e dopo aver superato locclusione viene fatta rientrare nel lume arterioso vero, dilatando il tratto occluso mediante un catetere a palloncino. COMPLICANZE Nella valutazione delle complicanze che possono insorgere a seguito di un intervento chirurgico vascolare a carico degli arti inferiori bisogna tener conto di un duplice aspetto: lintervallo temporale di insorgenza e la relazione fra la complicanza e la procedura eseguita. Per quanto riguarda laspetto temporale si distingue un periodo postoperatorio precoce (entro 30 giorni) e uno tardivo (dopo 30 giorni). Riguardo al secondo aspetto le complicanze possono essere distinte in specifiche e non specifiche. Le prime sono ulteriormente suddivise in vascolari locali (stenosi, trombosi e infezione del by-pass o emorragia) e non-vascolari locali. La metodica endovascolare ha ridotto la percentuale di queste complicanze, ma ne ha aggiunte altre, tra cui quelle nel sito di puntura (ematoma, pseudo-aneurisma, fistola artero-venosa, trombosi), e quelle nella sede di dilatazione, di cui la pi importante la dissezione vasale con formazione di un flap intimale, che pu essere trattato con una nuova dilatazione e limpianto di uno stent. Una trattazione a parte merita lischemia acuta, che pu assumere un aspetto drammatico se non si creato nel corso del tempo un circolo collaterale. Le cause sono rappresentate nella maggior parte dei casi da embolia cardiogena (per esempio in corso di fibrillazione atriale o di trombosi allinterno delle camere del cuore sinistro), o da emboli a partenza da aneurismi dellaorta o di arterie dellarto colpito da ischemia. Nei restanti casi lischemia acuta dipende da traumi vascolari. Il trattamento si basa sulla terapia medica anticoagulante (per evitare la progressione del trombo), trombolitica (per sciogliere il trombo) o su quella chirurgica, che prevede la rimozione dellembolo tramite un catetere a palloncino o il by-pass.

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