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DOSSIER Luca Lo Sapio, La carne sintetica

LUCA LO SAPIO

LA CARNE SINTETICA, UN VOLANO PER COSTRUIRE UN NUOVO RAPPORTO TRA

SAPIENS E GLI ANIMALI NON UMANI

1. Introduzione e inquadramento del tema 2. Il consumo di carne come volano evoluzionistico


3. Allevamenti industriali e problemi annessi
4. Modelli etici e statuto morale degli animali non umani
5. La carne sintetica come soluzione ai mali associati al consumo di carne
6. I problemi associati all’uso di carne sintetica
7. La carne sintetica: una strategia non più rimandabile

ABSTRACT: IN VITRO MEAT, A


FLYWHEEL TO BUILD A NEW
RELATIONSHIP BETWEEN SAPIENS
AND NON-HUMAN ANIMALS
Meat consumption is a
considerable Harm for
human Health,
Environment, and animal
Welfare. In this essay I
assume that in vitro meat
could be a suitable
solution for each of
these problems. In the
first part of my inquire
I focus on animal Ethics.
In particular I analyze
the issue of moral status
of non-human animals. In
the second part I take
into exam the main
arguments against the use
of IVM. I conclude by
saying that IVM should be
promoted although some
criticalities raise up.

1. Introduzione e inquadramento del tema


Il World Economic Forum nel suo Report “Innovation with a purpose”
ha richiamato l’attenzione sulla necessità di sfruttare le
innovazioni esistenti o emergenti nel settore industriale per far

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fronte allo scenario, ormai ritenuto verosimile, di oltre 9


miliardi di esseri umani sul pianeta entro il 2050.
Nel report possiamo leggere, infatti, che «by 2050, global food
systems will need to sustainably and nutritiously feed more than 9
billion people while providing economic opportunities in both
rural and urban communities. Yet our food systems are falling far
short of these goals. A systemic transformation is needed at an
unprecedented speed and scale»1.
Le innovazioni tecnologiche che vengono associate alla cosiddetta
Quarta rivoluzione industriale hanno finora toccato solo in
maniera marginale l’industria alimentare. Tuttavia, la produzione
di carne via allevamenti intensivi sta generando numerosi problemi
che possono essere classificati in: 1) problemi di impatto
ambientale (diretto o indiretto); 2) rischi per la salute umana
(antibiotico resistenza); 3) trattamento crudele degli animali
impiegati. Dunque, sembrerebbe necessario avviare un percorso che
consenta di ridurre drasticamente l’impiego di animali non umani a
fini alimentari. Tale necessità sembra trovare un punto di
incontro con lo sviluppo di una nuova tecnica che consente di
produrre carne prelevando dall’animale vivo delle cellule che
opportunamente trattate in vitro possono generare muscoli,
tessuti, sangue, etc. finora ottenuti solo tramite uccisione e
macellazione degli animali.
Al di là delle difficoltà ancora presenti sulla strada che
potrebbe portare all’affermazione e diffusione di questa tecnica,
nel contributo che propongo intendo analizzare le problematiche
etiche legate all’uso di animali non umani e le problematiche
etiche legate all’uso della carne sintetica (IVM- in vitro meat).
D’altro canto, se si desidera mantenere il consumo di carne
attualmente in essere o, seguendo le proiezioni che i demografi
propongono sui trend di crescita della popolazione, dovendo

1
World Economic Forum, The role of technology innovation in accelerating food
systems transformation, gennaio 2018.

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persino incrementarli per far fronte alle richieste alimentari di


oltre nove miliardi di persone (stimate entro il 2050)2, appare
chiaro che gli allevamenti intensivi e gli attuali standard
3
industriali di produzione di carne siano inadeguati . Mantenere
tali standard significherebbe, infatti, aumentare le emissioni di
gas serra, aumentare le porzioni di suolo agricolo destinato
all’allevamento, aumentare i consumi cerealicoli e idrici
destinati a nutrire gli animali, acutizzare il fenomeno
dell’antibiotico resistenza negli umani e, aspetto forse ancor più
importante, perpetrare la sofferenza di miliardi di animali (un
numero quasi doppio rispetto a quello attuale, già
impressionante), destinati, infine, alla macellazione.
Ci sono varie strategie per evitare tali effetti: la prima
consisterebbe nell’adozione di una dieta vegetariana o vegana che
sostituisse quella onnivora4. Tuttavia, non tutti, anzi una quota
minoritaria di individui, soprattutto nei Paesi industrializzati,
sceglierebbe questa opzione. Esistono poi hamburger ricavati al
100% da vegetali (i cosiddetti impossible burger sono un esempio
in tal senso)5. Infine, la carne sintetica (IVM).
Nel presente saggio parto dalla constatazione che la carne è stata
un volano decisivo per l’evoluzione di Sapiens e per il suo
sviluppo culturale. Dunque, il consumo di carne non è in sé da
condannare. Tuttavia, lo sviluppo culturale ha consentito a
Sapiens di riconsiderare in maniera critica il proprio stile
alimentare. D’altro canto, dalla seconda metà del Novecento, in

2
Cfr. T. Searchinger, World resources report. Creating a sustainable food
future. A menu of solutions to feed nearly 10 Billion People by 2050 (Final
report, July 2019).
3
Non sto qui per altro considerando la questione dell’abbattimento di animali
per scopi non alimentari, ad esempio per la produzione di scarpe, portafogli,
borse e altri accessori. Per avere un’idea di questi aspetti e riflettere,
nello stesso tempo, sulla questione della trasformazione dei sistemi di
produzione del cibo cfr. World Economic Forum, Innovation with a purpose, cit.
4
E, ancora, alla sostituzione completa di pelle con similpelle (detta anche
pelle sintetica o finta pelle), per quanto attiene all’industria
dell’abbigliamento e degli accessori.
5
Cfr. https://www.cnet.com/news/beyond-meat-vs-impossible-burger-whats-the-
difference/ (ultimo accesso 10 dicembre 2019).

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maniera crescente, il consumo di carne, grazie all’introduzione


degli allevamenti intensivi ha raggiunto livelli impensabili fino
a pochi decenni prima. Tali allevamenti hanno avuto un impatto
considerevole sull’ambiente, sul clima, sulla salute umana e sul
benessere animale, contribuendo al peggioramento di ciascuno di
essi.
Nel saggio, dopo aver considerato brevemente la preistoria e
storia degli Animal Studies passo a esaminare le principali
argomentazioni contro l’uso della carne sintetica per concludere,
poi, con alcune argomentazioni a favore della completa
sostituzione di carne da animali macellati con IVM.

2. Il consumo di carne come volano evoluzionistico


I neurologi Adrian Williams e Lisa Hill in un recente contributo
hanno sottolineato come il consumo di carne abbia rappresentato
una tappa critica nell’evoluzione di ogni animale e degli esseri
umani6. Nella carne, infatti, è presente la vitamina
B3/nicotinamide, elemento fondamentale per la crescita del
cervello. La disponibilità di carne e nicotinamide è aumentata
fortemente a partire dall’esplosione cambriana7. Nell’ipotesi dei
due neurologi l’evoluzione di Homo (fino a giungere a Sapiens) può
essere letta attraverso l’analisi degli effetti prodotti da un
elevato apporto di carne nella dieta. «Considerevoli apporti di
carne sono correlati a una moderata fertilità, intelligenza
elevata, buona salute e longevità con conseguente stabilità della
popolazione, mentre uno scarso apporto di carne è correlato ad un
tasso di fertilità elevato, malattie, boom e crolli demografici»8.
Come ricorda Briana Pobiner il primo maggiore cambiamento
evolutivo nella dieta umana è stato l’incorporazione di carne e

6
A. C. Williams, L. J. Hill, Meat and Nicotinamide: a causal role in human
evolution, history, and Demographics, in «International Journal of Tryptophan
Research», 10, pubblicato on line il 2 maggio 2017.
7
A proposito dell’esplosione cambriana cfr. S. J. Gould, Il pollice del panda.
Riflessioni sulla storia naturale (1980), tr. it. Il Saggiatore, Milano 2009.
8
A. C. Williams, L. J. Hilo, op. cit.

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midollo di animali di grossa taglia, avvenuto intorno ai 2.6


milioni di anni fa9. La dieta dei primi ominini era in qualche
modo simile alla dieta dei moderni scimpanzé. A partire da 2.6
milioni di anni fa, tuttavia, «a remarkable espansion in this diet
started to occur; some hominins began incorporating meat and
marrow from small to very large animals into their diet»10. Solo
nella linea Homo e, nello specifico, con Homo erectus riscontriamo
caratteristiche collegate (spesso) con il consumo di carne, come
l’incremento della corporatura e del cervello11, il
rimpicciolimento dei denti e dell’apparato intestinale12. In
effetti, come puntualizzato da Katherine Zink e Daniel Lieberman
«this paradoxical combination of increased energy demands along
with decreased masticatory and digestive capacities is
hypothesized to have been made possible by adding meat to the
diet, by mechanically processing food using stone tools or by
cooking»13.
Dunque, l’introduzione di carne nella dieta umana è stata un
volano evoluzionistico di fondamentale importanza. Ma non solo.
Cacciare animali, cucinare, cuocere la carne, sono diventati parte
della cultura umana14. Il cambio nella dieta di cui abbiamo
riscontri a partire da Homo erectus ha avviato una trasformazione
del mondo-di-vita della linea Homo, culminata in Sapiens. Infatti,
come ricorda Piergiorgio Donatelli in una riflessione più ampia
sul modernismo in filosofia, «la relazione con il cibo può
assumere un aspetto qualitativo profondo, può diventare uno stile

9
B. Pobiner, Evidence for Meat-eating by early humans, in «Nature Education
Knowledge», 4, 6, 2013.
10
Ibid.
11
Cfr. K. Milton, A Hypothesis to explain the role of meat-eating in human
evolution, in «Evolutionary anthropology», 8, 1, 1999.
12
D. R. Braun et al., Early hominin diet included diverse terrestrial and
aquatic animals 1.95 Ma in East Turkana, Kenya, in «Proceedings of the National
Academy of Sciences» USA 107, 2010, pp. 10002-10007.
13
K. D. Zink, D. E. Lieberman, Impact of meat and Lower Palaeolithic food
processing techniques on chewing in humans, in «Nature», 531, 2016, pp. 500-
503.
14
Cfr. J. Silvertown, A cena con Darwin. Cibo, bevande ed evoluzione (2017),
tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2018.

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di vita, e in questo modo» contribuire «a trasformare la rete di


interdipendenze coinvolte»15. I dati riportati e le brevi
considerazioni sviluppate ci invitano a evitare di affermare sic
et simpliciter che il consumo di carne sia da condannare.
Piuttosto ci invitano a effettuare un’operazione di
contestualizzazione. Non è il consumo di carne in sé a poter
essere oggetto di biasimo morale, ma, piuttosto, il consumo di
carne qui ed ora, nelle nostre moderne società occidentali16.

3. Allevamenti industriali e problemi annessi


L’incremento nella richiesta e nel consumo di carne e, di
conseguenza, la nascita dell’industria alimentare vanno collocati
entro la Seconda Rivoluzione industriale17. Il netto incremento
della popolazione (soprattutto nel ventennio 1850-1870)18,
l’emergere di specifici fabbisogni alimentari, l’avvento della
società di massa e il consolidamento di una classe media con
disponibilità di spesa considerevoli, fanno sì che abbia luogo un
drastico cambiamento nella dieta di una fetta non trascurabile
della popolazione. Sarà, tuttavia, dopo la Seconda Guerra
Mondiale, con il consolidamento del benessere per fasce sociali
sempre più ampie che si arriverà a una richiesta di carne
impossibile da soddisfare. Tra gli anni Cinquanta e gli anni
Sessanta si assiste, dunque, nel pieno del boom economico per
molti stati europei ed extraeuropei, all’introduzione degli
allevamenti intensivi.

15
P. Donatelli, Il lato ordinario della vita. Filosofia ed esperienza comune,
Il Mulino, Bologna 2018, p. 146.
16
In effetti, ciascuna epoca storica ha il proprio modus manducandi. Da questo
punto di vista, non deve stupire (neanche) che Homo abbia praticato il
cannibalismo in una specifica fase della sua storia evolutiva (cfr. V. Lusetti,
Il cannibalismo e la nascita della coscienza, Armando Editore, Roma 2008).
17
Cfr. C. Singer, Storia della tecnologia (1958), tr. it. Bollati Boringhieri,
Torino 1994 (in part. Il volume 5).
18
Cfr. S. Guarracino, Allarme demografico. Sovrappopolazione e popolamento dal
XVII al XXI secolo, Il Saggiatore, Milano 2016.

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Oggi, ogni anno, più di 60 miliardi di animali senzienti vengono


allevati in contesto industriale per la produzione di carne19 e a
causa dell’incremento di popolazione, entro il 2050 il consumo di
carne raddoppierebbe20. La produzione di carne ottenuta mediante
allevamenti industriali che coinvolge animali ruminanti è
responsabile dell’emissione di gas serra e contribuisce per circa
il 37% all’emissione complessiva di metano21 e il bestiame da
pascolo contribuisce alla deforestazione, a sua volta responsabile
di ulteriore emissione di gas serra. Inoltre, il consumo di carne
contribuisce all’insorgere di disturbi cardiovascolari e
antropozoonosi. Circa il 22% dei patogeni (come Salmonella o
Escherichia Coli) sono associati a carne e prodotti carnei22. Il
fenomeno dell’antibiotico-resistenza è connesso al consumo di
carne, essendo gli animali da cui essa è ricavata trattati
attraverso cicli di antibiotici somministrati a scopo terapeutico
o preventivo23.
Oltre a questi aspetti, non va trascurato il fatto che la
produzione di cibi di origine animale richiede un uso massiccio di
risorse alimentari. Un terzo della produzione mondiale di cereali
è consumata dagli animali allevati. Ingente risulta anche il
consumo di risorse idriche (oltre all’inquinamento di queste
ultime) e il consumo di suolo24.
Come sottolinea Peter Singer in alcuni lavori, una complessiva
rimodulazione della produzione alimentare mondiale potrebbe
19
A. Rorheim et al., Cultured meat: An ethical alternative to industrial
animal farm, 2016, p. 5; alcuni autori propongono stime lievemente differenti
(cfr. J. Sebo, The Ethics and Politics of Plant-based and cultured meat, in
«Les ateliers de l’éthique/The ethics forum», 13, 1, 2018, pp. 159-183).
20
Cfr. M. Pandurangan, A novel approach for in vitro meat production, in
«Applied Microbiology and Biotechnology», 99, 13, 2015, pp. 5391-5395.
21
S. P. F. Bonny et al., What is artificial meat and what does it mean for the
future of the meat industry, in «Journal of Integrative Agriculture», 14, 2,
2015, pp. 255-263.
22
Ibid.
23
Cfr. A. R. Manges et al., Retail Meat consumption and the Acquisition of
Antimicobial Resistant Escherichia coli Causing urinary tract infections: a
case-control study, in «Foodboorne Pathogens and Desease», 4, 4, 2007.
24
A. Orzechowski, Artificial meat? Feasible approach based on the experience
from cell culture studies, in «Journal of Integrative Agriculture», 14, 2015,
pp. 217– 221.

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favorire un miglioramento della condizione di vita per milioni (se


non miliardi) di persone provenienti dai Paesi poveri e in via di
sviluppo25. Non va sottaciuto, infatti, che parte delle risorse
alimentari destinate agli animali da allevamento (cereali e acqua
in primo luogo) potrebbe essere destinata a coprire una quota del
fabbisogno idrico e cerealicolo delle suddette popolazioni.
Oltre a questi effetti perniciosi, resta da considerare ancora che
gli allevamenti intensivi costringono miliardi di animali a vivere
in condizioni indicibili e, infine, portano alla macellazione di
questi ultimi, cancellando così l’esistenza di enti dotati di
senzienza e di una vita più o meno complessa26.

4. Modelli etici e statuto morale degli animali non umani


L’emergere di un’attenzione per il tema dei diritti, unitamente al
crescere della consapevolezza sul tema degli allevamenti
intensivi, conduce, negli anni Settanta, alla strutturazione di
quel vasto campo di studi noto come Animal studies27 e,
all’interno di quest’ultimo, della bioetica animale28.
Gli animali non umani erano stati oggetto di riflessione già
nell’ambito della Filosofia antica, medievale e moderna. Tuttavia,
essi verranno investiti di specifica considerazione morale solo a
partire dal Settecento.
Jeremy Bentham alla fine del Settecento è il primo a sottolineare
la necessità di riconoscere dei diritti anche agli animali non
umani. Il contesto storico non è da trascurare. Sono gli anni
delle Rivoluzioni borghesi. La rivoluzione americana con la
Dichiarazione di indipendenza (1776) e la Rivoluzione francese con
la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789)
portano al centro del dibattito il tema dei diritti naturali. I
25
Cfr. P. Singer, Salvare una vita si può. Agire ora per cancellare la povertà
(2009), tr. it. Il Saggiatore, Milano 2009.
26
Più complessa per i bovini e i suini meno complessa per animali come i polli
e i tacchini.
27
Cfr. S. Pollo, Umani e animali. Questioni di etica, Carocci Editore, Roma
2016.
28
Cfr. B. De Mori, Che cos’è la bioetica animale, Carocci Editore, Roma 2007.

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diritti naturali sono diritti inalienabili, imprescrittibili


dell’uomo: diritto alla vita, alla sicurezza, alla libertà, alla
proprietà privata e alla felicità (quest’ultimo presente solo
nella dichiarazione di indipendenza americana). Sono diritti che
appartengono all’uomo non in virtù di convenzioni sociali ma in
virtù della stessa natura umana.
Bentham paragona il trattamento degli animali non umani alla
schiavitù e gli animali non umani agli schiavi e sottolinea la
necessità di considerare la senzienza quale criterio per
l’attribuzione di status morale.
Secondo Bentham il cuore della moralità è rappresentato
dall’utile. Come ricorda Simone Pollo il bene si identifica con
l’utile. Il cuore della moralità, dunque, è costituito dal piacere
e dal dolore
la cui promozione o evitamento rappresenta la misura dell’utilità di
comportamenti, pratiche e istituzioni. La condotta moralmente corretta
consiste nella promozione della maggiore quantità di utilità
possibile, ovvero nella massimizzazione del piacere e nella
minimizzazione della sofferenza, fatta salva la clausola che ogni
individuo capace di piacere o dolore conta dal punto di vista morale
quanto gli altri. Piacere e dolore, inoltre, devono essere considerati
dal punto di vista quantitativo, ovvero non è rilevante l’identità del
soggetto che li sperimenta, ciò che li causa o lo scopo per i quali
sono prodotti (a meno che il fine non consista, ad esempio, in una
quantità di piacere che compensi e superi la sofferenza implicata nei
mezzi per raggiungerlo)29.

L’autore che più di ogni altro, tuttavia, ha dato un contributo ai


successivi dibattiti sull’etica animale è stato Charles Darwin con
la sua idea che tutti gli esseri viventi fanno parte di un’unica
rete.
Nel testo L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli
animali30, ad esempio, mostra come i cosiddetti sentimenti morali
(empatia, istinto alla socialità, altruismo, etc.) affondino le
loro radici nel regno animale e siano, ad esempio, una
caratteristica evidente nei mammiferi (ma non solo). Gli animali
non umani e gli umani sono, dunque, uniti in un’unica rete il cui
29
S. Pollo, op. cit., p. 49.
30
C. Darwin, L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali (1872),
tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2012.

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punto di origine è un progenitore comune da cui, per progressiva


speciazione, sono emersi i vari rami.
La scoperta di Darwin della non-fissità delle specie e dei
meccanismi alla base dell’evoluzione naturale (piccole variazioni
e selezione naturale), la rilettura, in chiave non lamarckiana,
del processo di adattamento hanno creato un vero e proprio
terremoto, di cui lo stesso Darwin si rendeva conto, un terremoto
che ha, di fatto, investito anche la morale31. Infatti, benché non
sia possibile una derivazione diretta di precetti morali dai dati
evoluzionistici, è possibile stabilire una serie di vincoli
all’argomentazione morale, la quale non può non tener conto delle
novità che Darwin e i suoi successori hanno messo in evidenza32.
Ad esempio, le teorie morali che argomentano l’esclusione dalla
comunità morale degli animali non umani sulla base dell’idea che
questi ultimi sarebbero toto coelo distinti dagli esseri umani
vengono private di qualsiasi supporto empirico.
Veniamo ora agli anni Settanta. Sulla scorta dei processi di
democratizzazione e rivendicazione di diritti specifici e grazie
alla spinta della bioetica intesa come complesso movimento
culturale volto a rivendicare nuovi stili di vita33, la
riflessione intorno allo statuto etico degli animali non umani
comincia a strutturarsi in un vero e proprio sotto-campo
disciplinare, una forma di etica applicata in cui varie expertise
disciplinari, dall’etologia alla psicologia animale, dalla scienza
veterinaria all’etica si intrecciano.
Una data spartiacque è il 1970. In quell’anno Richard Ryder
introduce il termine specismo per indicare l’atteggiamento
discriminatorio nei confronti degli animali, basato sull’idea che
la non appartenenza alla specie Sapiens sia ipso facto ragione per
l’esclusione da diritti e tutele.
31
Cfr. J. Rachels, Creati dagli animali (1990), tr. it. Einaudi, Torino 1996.
32
S. Williams, Il senso della vita senza Dio. Prendere Darwin sul serio
(2010), tr. it. Espress Edizioni, Torino 2011.
33
Cfr. M. Mori, Introduzione alla bioetica in A. Fabris, Etiche applicate. Una
guida, Carocci, Roma 2018.

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Nel 1971 esce, poi, un volume collettaneo tra i cui firmatari


troviamo John Harris34. Questo volume viene recensito da Peter
Singer, un filosofo utilitarista australiano, il quale introduce
l’eloquente espressione di “liberazione animale”.
Liberazione animale diventa anche il titolo di un volume che
Singer pubblica nel 197535. Nell’idea di liberazione animale c’è
l’intero programma che sorregge la riflessione e l’impegno
militante di Singer. Gli animali soffrono una condizione di vera e
propria prigionia, come fossero schiavi degli umani. È giunto,
dunque, il tempo che l’ugualitarismo e una profonda riforma
sociale siano portati in cima all’agenda pubblica.
Un tratto fondamentale della riflessione e dell’impegno di Singer,
infatti, è quello di sottolineare che la liberazione animale non
può essere qualcosa che riguardi solo i singoli, ma dev’essere una
questione di etica pubblica.
Ma torniamo all’espressione “liberazione animale”. Essa può essere
caratterizzata sulla scorta di tre principi:
1. Affermazione della capacità di provare piacere e dolore come
criterio di attribuzione di status morale;
2. antispecismo;
3. la questione del trattamento degli animali non può essere
relegata alla condotta privata e alla compassione individuale.
Soffermiamoci sull’antispecismo. Se lo specismo è una forma di
discriminazione, come quella sessuale o razziale, Peter Singer
sottolinea come spesso nelle nostre scelte compiamo
discriminazioni sulla base della specie di appartenenza
dell'individuo. Singer, a tal proposito, afferma la necessità di
abbracciare una posizione “anti-specista” e il cosiddetto
“principio di indifferenza”. Questo principio mette in evidenza
che nelle nostre scelte morali ciò che conta (o quantomeno ciò che
dovrebbe contare) non è l'appartenenza di specie di un individuo

34
S. Godlovitch, R. Godlovitch, J. Harris, Animals men and morals. An inquiry
into the maltreatment of non-humans, Gollancz, Londra 1971.
35
P. Singer, Liberazione animale (1975), tr. it. Il Saggiatore, Milano 2015.

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ma gli interessi di cui l'individuo è portatore (due individui


appartenenti a due specie diverse potrebbero avere gli stessi
interessi; oppure gli interessi di un animale non umano potrebbero
avere un peso specifico maggiore rispetto, ad esempio, agli
interessi di un infante).
Specifichiamo qualche passaggio con maggiore chiarezza.
L’attenzione morale per l’interesse dei senzienti (laddove
l’interesse si configura come “capacità di sviluppare una tensione
verso il futuro da parte dell’individuo”) è articolata da Singer
nella forma del conseguenzialismo utilitarista. Qualsiasi
interazione con gli animali che infligga a questi frustrazioni di
interessi non controbilanciate da un’adeguata quantità di
interessi soddisfatti deve essere evitata. Su questa base Singer
sostiene che l’alimentazione carnivora è sempre immorale (il
veganesimo sarebbe l’unico stile alimentare corretto)36.
Posizione ancor più radicale la troviamo in Tom Regan, il quale
non ammette eccezioni rispetto al tema del riconoscimento dei
diritti agli animali non umani. Mentre la prospettiva di Singer,
definita talvolta welfarista, ammette la possibilità di utilizzare
gli animali, in alcuni casi, per le sperimentazioni biomediche,
Regan, la cui prospettiva è abolizionista, non ammette eccezioni.
La sua è una prospettiva deontologica. Il possesso di determinate
caratteristiche conferisce a un individuo lo status di soggetto di
una vita37. Essere soggetto di una vita significa possedere valore
intrinseco. Come non si transige rispetto al riconoscimento di
diritti agli esseri umani, una volta riconosciuto che gli animali
non umani sono soggetti di vita non è più possibile tornare
indietro, quanto al riconoscimento dei loro diritti.

36
Più complessa, invece, per Singer la questione della sperimentazione
animale. Per il filosofo australiano, infatti, quest’ultima in alcuni casi non
può essere evitata, dal momento che la sua esclusione provocherebbe maggiori
sofferenze rispetto a un suo impiego parsimonioso e attento al tema del
benessere animale.
37
T. Regan, I diritti animali (1983), tr. it. Garzanti, Milano 1990.

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La prospettiva di Singer mette al centro gli interessi. La


prospettiva di Regan mette al centro gli individui.
Presento ora brevemente la prospettiva neocontrattualista di
Rowlands, la quale ci consente di mettere in evidenza altri
rilevanti nodi concettuali.
Pur partendo da un modello neocontrattualista Rowlands38 ritiene
che gli animali debbano essere inclusi nella comunità morale39.
Per sostenere questa posizione riprende un argomento sviluppato da
John Rawls nel testo A Theory of justice40.
In questo testo Rawls si pone il problema di quali siano i
requisiti per la costruzione di una società giusta e propone di
immaginare che ciascuno di noi regredisca a una posizione
originaria caratterizzata da un velo di ignoranza circa
l’evoluzione possibile della propria storia di vita. Chiede poi di
immaginare, non sapendo quale potrebbe essere l’evoluzione della
propria esistenza, che ciasacuno formuli una proposta in relazione
a cosa sia necessario per costruire una società giusta.
Rowlands estremizza questo esperimento mentale chiedendo di
immaginare che l’individuo non sappia neanche se si incarnerà in
un essere umano o in un animale non umano.
La piena realizzazione del “principio giustizia” richiederebbe,
dunque, che fossero inclusi nella comunità morale anche gli
animali non umani, ossia che venissero riconosciuti anche ad essi
dei diritti. Non riconoscerli è frutto solo della convenienza e

38
M. R. Rowlands, Contractarianism and animal rights, in «Journal of Applied
Philosophy», 14, 2008, pp. 235-347.
39
Diversa è invece la posizione di un altro neocontrattualista come Narveson
per il quale il criterio per l’attribuzione di status morale è la capacità di
“reciprocazione”. Tale criterio deve essere posseduto dai contraenti,
all’interno di uno spazio sociale, quantomeno in potenza (come nel caso degli
infanti o di coloro i quali versano in talune forme di coma reversibili). Per
questa ragione, gli animali non possono godere di considerazione morale. Essi,
infatti, non sono capaci di “reciprocare”. Cfr. J. Narveson, Animal rights
revised, in H. B. Miller, W. H. Williams, Ethics and animals, Humana Press,
Clifton 1983.
40
J. Rawls, Una teoria della giustizia (1971), tr. it. Feltrinelli, Milano
2017.

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dell’egoismo umani, non della mancanza dei requisiti per


l’attribuzione di status morale.
I pattern comportamentali esibiti, la presenza di una complessa
vita (relazionale) che si articola nel tempo e nello spazio,
l’esistenza di una progettualità, dovrebbero suggerirci la
conclusione che gli animali non umani hanno non solo una vita
biologica ma anche una vita biografica e che i loro interessi
vanno, per questa ragione, tutelati, piuttosto che frustrati.
Essendo capaci di sviluppare una vita biografica, gli animali non
umani41 devono essere tutelati non solo in relazione al proprio
essere ma anche al proprio ben-essere.
Il benessere animale può essere caratterizzato a partire da alcuni
parametri specifici. Innanzitutto una buona alimentazione (assenza
di fame e sete prolungate); un buon alloggiamento (comfort nel
riposo, comfort termico e facilità di deambulazione); buona salute
(assenza di lesioni e malattie nonché assenza di procedure indotte
da operazioni come la castrazione, il taglio della coda o delle
corna); buon comportamento che si esplica nell’espressione di un
appropriato comportamento sociale, tale che vi sia un
bilanciamento tra gli aspetti negativi (ad esempio l’aggressività)
e quelli positivi; appropriata espressione degli altri
comportamenti, tale che vi sia un bilanciamento appropriato tra
aspetti negativi (ad esempio comportamenti stereotipati) e aspetti
positivi; una buona interazione uomo-animale tale da mettere
l’animale nelle condizioni di non aver paura degli umani e,
infine, un positivo stato emozionale.
Al di là delle varie misure introdotte all’interno degli
allevamenti intensivi volte a mitigare in parte la condizione di

41
Quantomeno alcuni animali non umani. Quelli che hanno un sistema nervoso
sviluppato in modo tale da poter provare piacere e dolore. La questione, in tal
senso, non è semplice da dirimere. Ci sono, infatti, alcuni animali non umani
per i quali non risulta ancora del tutto chiara la presenza di specifiche
capacità di senzienza. (Si veda questo tema, ad esempio, in relazione alle
capacità di senzienza, coscienza e autocoscienza del “polpo” in P. Godfrey-
Smith, Other minds. The Octopus, the sea and the deep origins of consciousness,
Farrar, New York 2016).

83
DOSSIER Luca Lo Sapio, La carne sintetica

sofferenza degli animali, i parametri appena elencati sono, di


fatto, impossibili da rispettare. Quali strade percorrere, dunque,
per superare i problemi messi in evidenza?

5. La carne sintetica come soluzione ai mali associati al consumo


di carne
Nel dicembre 1931 il futuro primo ministro britannico Winston
Churchill scriveva sulle colonne del “The Strand Magazine” che
sarebbe arrivato un giorno in cui l’umanità sarebbe riuscita a
«sfuggire dall’assurdità di far crescere un pollo intero, solo per
mangiarne il petto o l’ala, facendo crescere queste parti
separatamente in un ambiente adatto»42. Il 5 agosto del 2013 oltre
duecento giornalisti si assieparono presso i Riverside Studios di
Londra per assistere alla dimostrazione pubblica di Mark Post,
docente di biotecnologie dell’Università di Maastricht, il quale
confezionò un panino utilizzando carne sintetica43. La carne
sintetica è carne sviluppata in laboratorio (in un medium di
coltura), prodotta utilizzando varie tecniche di ingegneria
tessutale.
La carne sintetica comprende muscoli scheletrici insieme a
adepociti, fibroblasti, cellule endoteliali e leucociti, i quali
conferiscono sapore e consistenza e rendono infine il prodotto
appetibile. Il processo coinvolto per la produzione della carne
sintetica prevede che le cellule staminali siano separate dalle
cellule muscolari e in condizioni di crescita adeguate come la
temperatura, l’ossigeno, nutrienti e fattori di crescita, tali
cellule crescano e si propaghino per formare miotubi
multinucleari. Solitamente il medium usato è un siero animale
estratto dagli adulti, dai neonati o dai feti. La maturazione dei
miotubi determina la formazione di fibre muscolari e l’ulteriore

42
W. Churchill, Fifty years hence, in «The Strand Magazine», dicembre 1931.
43
P. Benati, L’hamburger di Frankenstein: la rivoluzione della carne
sintetica, EDB, Bologna 2017.

84
S&F_n. 22_2019

sviluppo di fibre muscolari, a sua volta, determina il prodotto


finito44.
Tale tecnologia permetterebbe, se associata all’attenuazione e/o
eliminazione degli allevamenti intensivi, di conseguire numerosi
risultati positivi. In particolare, si potrebbe immaginare che la
carne sintetica sia più salutare rispetto alla carne ottenuta
mediante allevamenti intensivi. Ad esempio si potrebbero
rimpiazzare grassi dannosi con grassi salutari come gli omega-3
(associati alla riduzione dei rischi cardiovascolari); si potrebbe
ottenere, in tempi rapidi, un quantitativo di carne sufficiente a
sfamare molte più persone, dando dunque una risposta al problema
della fame nel mondo e della sotto-alimentazione; si ridurrebbero
le emissioni di gas serra, l’uso di energia, suolo e risorse
idriche; si aprirebbero prospettive per la riforestazione di
terreni utilizzati per gli allevamenti e si tutelerebbero specie
oggi in pericolo a causa del consumo di suolo; si attenuerebbe il
fenomeno dell’antibiotico-resistenza; infine si eliminerebbero le
enormi sofferenze a danno degli animali e si darebbe una risposta
efficace al tema dei diritti animali e alle richieste della
comunità vegetariana e vegana.

6. I problemi associati all’uso di carne sintetica


In questo paragrafo discuto, attraverso il riferimento ad alcuni
importanti articoli, la questione delle problematiche etiche
collegate alla produzione e al consumo della carne sintetica.
Savulescu e Schaefer nel 2014 pubblicano un paper molti citato in
materia dal titolo The Ethics of Producing in Vitro Meat45. Qui i
due autori individuano vari aspetti problematici in relazione al
tema della carne sintetica e forniscono argomentazioni volte a
depotenziarli.
44
I. T. Kadim, O. Mahgoub, S. Baquir et al., Cultured meat from muscle stem
cells: a review of challenges and prospects, in «Journal of Integrational
agriculture», 14, 2015, pp. 222-223.
45
G. O. Schaefer, J. Savulescu, The Ethics of Producing in Vitro Meat, in
«Journal of Applied Philosophy», 32, 2, 2014.

85
DOSSIER Luca Lo Sapio, La carne sintetica

Una prima argomentazione afferma che produrre e consumare carne


sintetica farebbe venir meno il rispetto per la natura. In
particolare, seguendo la tassonomia di Helena Siipi46, la quale
prevede che vi siano tre ampie categorie di “naturalezza”: la
naturalezza storica (riguardante come qualcosa sia venuto
all’essere), la naturalezza di proprietà (riguardante le attuali
proprietà di una cosa) e la naturalezza relazionale (riguardante
la relazione sussistente tra le persone e un qualche oggetto o
ente), la produzione di IVM andrebbe a condizionare e
(costringerebbe a modificare) la relazione tra uomo, carne e
animali produttori di carne.
Su questa scia, si muove ad esempio Roger Scruton47 per il quale
c’è un certo valore nella nostra relazione con il mondo naturale e
cibarsi di carne è ammissibile nella misura in cui le persone
riconoscono che consumarla è parte di un disegno più vasto di
interdipendenza e interconnettività con il più ampio mondo
naturale. Anche Scruton (unitamente ad altri autori che si muovono
su questa scia) condannano gli allevamenti intensivi i quali
impediscono di riconoscere la nostra interdipendenza con il mondo
naturale. Tuttavia, la stessa carne sintetica ci porterebbe a
sostituire il rapporto di dipendenza dalla natura con un rapporto
di totale indipendenza da essa, incentivando così l’emergere di un
sentimento di dominio che allontanerebbe l’uomo dalla sua
dimensione più propria, ossia il suo carattere limitato e
dipendente. In qualche modo, l’impiego della carne sintetica
potrebbe favorire atteggiamenti di tipo strumentalistico, in cui
il mondo naturale verrebbe trattato come un semplice mezzo per i

46
H. Siipi, Dimensions of naturalness, in «Ethics and the environment», 13, 1,
2008, pp. 71-103.
47
Cfr. R. Scruto, The conscientious carnivor’, in S. F. Sapontzis (ed.) Food
for Thought: The Debate Over Eating Meat (Amherst, NY: Prometheus Books, 2004),
pp. 81–91. Cfr. anche D. B. Thompson, Natural food and the Pastoral: a
sentimental notion?, in «Journal of Agricultural and Environmental Ethics», 24,
2, 2011, pp. 165-194.

86
S&F_n. 22_2019

nostri usi48. Tuttavia, come sottolineano Savulescu e Schaefer,


non sempre un rapporto di dipendenza va promosso o preservato. Se
trovassimo un modo, del tutto sicuro, per produrre artificialmente
pioggia49, dovremmo forse impedire che venga usato in aree del
pianeta in cui le piogge sono scarse e la siccità provoca carestie
e dunque elevati tassi di mortalità infantile?
Se anche volessimo accettare, in parte, l’argomento per cui
conservare un certo rapporto di dipendenza può agevolare il
consolidamento di atteggiamenti positivi (apertura all’altro,
solidarietà, etc.) non possiamo, su tali basi, impedire che
vengano adottati metodi di produzione della carne volti a evitare
effetti nocivi sulla salute umana, sull’ambiente e sul benessere
degli animali non umani.
Per altro, come qualche autore ha fatto notare, nulla impedirebbe
di conservare, in misura ridotta, alcuni allevamenti, in cui agli
animali sia garantito il benessere di cui necessitano, e, nel
contempo, ci si possa servire di loro per ottenere cellule da
impiegare, poi, per il consumo alimentare o per l’industria
conciaria.
Una ulteriore obiezione, per alcuni aspetti simile alla
precedente, sottolinea come la produzione di carne sintetica
sarebbe irrispettosa per gli animali, i quali non sarebbero
considerati (più) come individui interi e completi, ma come parti
da poter utilizzare per i fini umani. Questo andrebbe contro

48
Cfr. S. S. Fairlie, Meat? A Benign Extravagance (East Meon: Permanent
Publications and White River Junction, VT: Chelsea Green Publishing Co., 2010).
In effetti questo punto non può essere derubricato come inconsistente, perché
l’uso di carne sintetica potrebbe favorire atteggiamenti di indifferenza verso
gli animali non umani, dal momento che questi ultimi sarebbero visti solo come
donatori di cellule oppure come alterità con le quali non si può stabilire
alcuna autentica connessione.
49
Sono allo studio delle tecniche di geo-ingegneria che vanno in questa
direzione.

87
DOSSIER Luca Lo Sapio, La carne sintetica

l’obbligo morale di rapportarsi agli animali non umani sempre


considerandone l’individualità50.
Tuttavia, se l’obiezione può essere persuasiva rispetto alla
necessità di evitare interventi di manipolazione sugli animali,
tali da alterarne le caratteristiche ai soli scopi umani (ad
esempio facendo crescere animali privi di alcune parti del corpo o
con alcune parti del corpo alterate) non sembra, altrettanto,
valida in riferimento alla carne sintetica, dove non saremmo in
presenza, stricto sensu, di un individuo animale, ma solo di
parti, cioè di materiale biologico che ab origine nasce come parte
e non come parte di un intero.
Altra obiezione da considerare è quella relativa ai diritti
animali. Se gli animali sono soggetti-di-vita, per impiegare
un’espressione di Regan51, anche l’intervento di prelievo di
materiale biologico può costituire una violazione di specifici
diritti. La mancanza di consenso da parte degli animali, rispetto
ai prelievi, potrebbe già costituire una ragione ineludibile per
impedire che questi siano attuati. Tuttavia, l’esistenza di metodi
non invasivi e non dolorosi per acquisire cellule da donatori
animali può rappresentare, nel calcolo costi-benefici, un elemento
importante per avallare la produzione di IVM.
Un ulteriore argomento volto a giustificare l’esistenza di
allevamenti intensivi e a minimizzare l’impatto di questi ultimi
sul benessere animale (a condizione che si diano per gli animali
stessi delle condizioni accettabili) è che grazie a essi molti
animali vengono alla luce e possono, per il tempo che viene loro
concesso, vivere una vita felice. Tuttavia, questo argomento
incorre in due obiezioni non eludibili.
In primo luogo, gli individui animali, così come gli individui
umani, possono avere un interesse a continuare a esistere se e
50
Bernice Bovenkerk, Frans W. A. Brom & Babs J. van den Berg, Brave new birds:
The use of “animal integrity” in animal ethics, in «The Hastings Center Report»
32, 1, 2002.
51
T. Regan, The Case for Animal Rights, University of California Press,
Berkeley 2004.

88
S&F_n. 22_2019

solo se sono già esistenti; non possono avere, al contrario, alcun


interesse a venire all’esistenza se non sono ancora esistenti.
Dunque, la loro possibile felicità è indifferente se considerata
dal “punto di vista” di individui animali non ancora esistenti52.
In secondo luogo, far venire alla luce un individuo animale in
vista della sua macellazione costituirebbe uno stravolgimento
delle ragioni che sono alla base della generazione di un essere
vivente, il quale se venisse creato solo per essere poi distrutto,
vedrebbe venir meno, per ciò stesso, ab origine il carattere di
indecidibilità (e casualità) rispetto alla data della propria
morte53.
Un ultimo argomento preso in esame da Savulescu e Schaefer è
quello del cannibalismo.
Infatti, se la produzione di IVM si potesse ottenere a un costo
accettabile, potrebbe aumentare anche la gamma di “carni”
ottenibili, includendo, tra le altre, la cane umana.
Nonostante il cannibalismo sia, infatti, considerato quasi
universalmente un taboo nelle società occidentali, esso potrebbe,
per un numero limitato di persone, rappresentare una scelta
alimentare specifica, oppure qualcosa da provare per soddisfare
una curiosità54.
Per altro, alcune delle argomentazioni sviluppate contro il
cannibalismo, ossia che esso implica l’uccisione della persona da
mangiare e/o la dissacrazione del suo cadavere, configurando,
dunque, almeno nella seconda ipotesi, una forma di danno postumo
o, quantomeno, un danno a carico della famiglia e degli amici
della persona mangiata55, non varrebbero nel caso della produzione

52
Valgono qui le argomentazioni sviluppate da D. Benatar, Meglio non essere
mai nati. Il dolore di venire al mondo (2006), tr. it. Carbonio Editore, Milano
2019.
53
Che ognuno di noi, infine, morirà non vi è dubbio. Tuttavia, sarebbe
problematico se i nostri genitori potessero decidere, per il solo fatto di
averci generato, quando mettere fine alla nostra esistenza.
54
W. Buehler Seabrook, JungleWays, George C. Harrap and Company, London 1931.
55
J. Feinberg, Harm to others, Oxford University Press, New York 1984.

89
DOSSIER Luca Lo Sapio, La carne sintetica

di IVM umana, non implicando quest’ultima l’uccisione di alcun


essere umano né la violazione di qualche cadavere.
Tuttavia, autori come Feredick Ferrè hanno avanzato l’argomento
per cui la pratica del cannibalismo sarebbe irrispettosa verso il
valore intrinseco degli esseri umani56, dal momento che porterebbe
a considerare l’essere umano sub specie cibi. Tuttavia, l’elemento
da rimarcare è che la produzione di IVM non implicherebbe il
coinvolgimento di alcun essere umano, e, pur escludendo il suo uso
alimentare, potrebbe essere impiegata a scopo medico (produzione
di tessuti, organi, sangue per le trasfusioni). Dunque,
un’esclusione a priori risulterebbe almeno altrettanto
problematica rispetto a un suo impiego acritico.
Vediamo ora alcune altre obiezioni, segnalate in un importante
articolo sul tema del 200857 di Patrick Hopkins e Austin Dacey.
La prima è quella del pericolo che sarebbe associato alla carne
sintetica. Questa obiezione esibisce, di fatto, una struttura che
ritroviamo nelle argomentazioni avanzate quando vengono introdotte
delle nuove tecnologie58. Le novità provocano, quasi sempre, dei
sentimenti di repulsione e paura. In questo caso, la paura
associata alla consumazione di nuovi materiali non testati (o
anche testati). Tuttavia, questi argomenti non sembrano avere una
rilevanza morale bensì pratica. È, infatti, evidente che mangiare
materiale pericoloso sarebbe una cosa cattiva. È anche chiaro che
rendersi perfettamente conto di come fare dei test su questo
materiale possa essere difficile. Se, tuttavia, noi assumiamo che
a un certo punto la tecnologia sia tale da consentirci di produrre
della carne di fatto indistinguibile rispetto a quella che
attualmente mangiamo e con standard di sicurezza paragonabili a
quelli che oggi consideriamo accettabili quando mangiamo carne (se

56
F. Ferrè, Moderation, morals and meat, in «Inquiry», 29, 1–4, 1986, p. 403.
57
P. D. Hopkins, A. Dacey, Vegetarian Meat. Could Technology save animals and
satisfy meat eaters?, in «Journal of Agricultural and Environmental Ethics»,
21, 2008, pp. 579-596
58
Cfr. F. Minerva, The Ethics of Cryonics. Is it immoral to be immortal?,
Palgrave Pivot, London 2018.

90
S&F_n. 22_2019

non superiori), dovremmo essere disponibili ad accettare che la


questione del pericolo sia superabile. Ciò non toglie che vi
possano essere altre questioni da esaminare.
Una di esse è quella della “realtà della carne”. Molti consumatori
di carne sottolineano come la carne sintetica non sia “vera
carne”. Tuttavia, anche questa argomentazione è problematica e
implicherebbe l’esistenza di una “sostanza carne” che si andrebbe
ad aggiungere alla “carne” stessa. Ad ogni livello fisico,
tuttavia, la carne sintetica sarebbe “vera carne”. Infatti, ciò
che rende la carne “vera” è la sua struttura e i suoi costituenti,
non la sua modalità di produzione.
Altra argomentazione contro l’uso della carne sintetica è quello
della ripugnanza. Leon Kass, ad esempio, ha affermato, che la
reazione di disgusto ha una rilevanza morale59.
Il disgusto verso l’incesto o il cannibalismo sono degli esempi.
Tuttavia, tali reazioni non vanno sovradimensionate. Infatti, da
un lato esse potrebbero essere dei meccanismi di difesa evolutisi
per fronteggiare minacce derivanti da pericoli oggi non più
rilevanti, essendo l’ambiente mutato radicalmente. Potrebbero,
ancora, essere legati alla specifica dimensione culturale di
riferimento. Come in alcune culture non si mangia carne suina a
causa di specifici dettami religiosi, così potrebbe esserci un
“senso di ripugnanza” legato al consumo di IVM, cultural based.
Dunque, la ripugnanza non può essere per se un indicatore
affidabile, sotto il profilo morale. Essa può essere presa in
considerazione ma solo come primo indicatore, al quale deve far
seguito una opportuna riflessione60.

59
Questo autore ha parlato non a caso di “saggezza della ripugnanza” [cfr. L.
Kass, La sfida della Bioetica. La vita, la libertà e la difesa della dignità
umana (2004), Lindau, Torino 2007].
60
Riflessione che potrebbe, infine, anche arrivare a conclusioni
diametralmente opposte rispetto a quelle emerse inizialmente sotto l’azione del
“senso di ripugnanza”.

91
DOSSIER Luca Lo Sapio, La carne sintetica

7. Carne sintetica: una strategia non più rimandabile


La carne sintetica sembra offrire una soluzione ai problemi
innescati dagli allevamenti intensivi, dando, allo stesso tempo,
la possibilità di garantire un apporto di carne a quei consumatori
che non intendessero abbandonare una dieta onnivora.
Le principali obiezioni, esaminate nel precedente paragrafo, non
sembrano altresì fornire ragioni morali robuste per non perseguire
questa strada.
Restano, tuttavia, da analizzare alcuni altri aspetti della
questione, attraverso i quali metterò in evidenza che, al di là di
possibili considerazioni critiche rispetto all’idea che la carne
sintetica rappresenti “la panacea di tutti i mali”, la produzione
e il consumo della IVM risulta, infine, parte essenziale di una
strategia non più rimandabile se si vuole scongiurare un futuro
dalle tinte fosche: 1) la differenza tra metodi esterni e metodi
interni per la risoluzione di problemi legati alla salute e
all’ambiente; 2) l’impatto che avrebbe il consumo di carne sulla
specifica forma di vita di Sapiens; 3) l’impatto che
l’introduzione della IVM può avere sulla ridefinizione di alcuni
modelli antropologici (nell’ambito, più complessivo, della
cosiddetta Quarta rivoluzione industriale).

1) La differenza tra metodi esterni e interni


La risoluzione di problematiche legate all’ambiente e alla salute
umana ci pone di fronte alla necessità di individuare le strategie
(e i mezzi) migliori per ottenere i risultati sperati. Ora, le
problematiche di origine antropogenica (o nelle quali l’apporto
dell’uomo non è trascurabile)61 possono essere affrontate o

61
Faccio questa precisazione perché una delle strategie di depotenziamento
utilizzata dai negazionisti è quella di mettere in luce come fenomeni così
complessi (dall’impatto globale) non siano riportabili all’azione dell’uomo.
Tuttavia, l’errore che qui si compie è quello di confondere la causa esclusiva
con la concausa. Il surriscaldamento globale non è imputabile solo all’uomo (in
questo senso è corretto ricordare come nel corso della storia del nostro
Pianeta vi siano stati, per altro, diversi Global Warming) ma ha nell’uomo una
concausa rilevante. Una concausa che sta producendo un’accelerazione di un

92
S&F_n. 22_2019

attraverso interventi tecnici o attraverso un cambiamento negli


stili di vita o attraverso un mix tra interventi tecnici e
cambiamenti negli stili di vita.
La sostituzione di una dieta onnivora con una dieta vegetariana o
vegana è oggi un’opzione disponibile per ogni individuo.
Attraverso un opportuno monitoraggio medico e l’apporto di
integratori si può evitare di mangiare carne senza che questo
abbia conseguenze di rilievo per la salute. Dunque, i problemi
collegati agli allevamenti intensivi potrebbero essere risolti
anche attraverso uno stile di vita che respinga il consumo di
carne ab origine. Sarebbe questa una soluzione a monte del
problema. Tuttavia, in presenza di scelte che necessitano di
essere adottate da un numero elevato di individui (possibilmente
da tutti) non è possibile affidarsi all’idea che il solo vero
cambiamento proverrà da una metanoia nel proprio stile di vita.
Talvolta i cambiamenti vanno accompagnati con o anticipati da
soluzioni tecniche che avviino il processo.
Tuttavia, una obiezione che potrebbe essere mossa all’introduzione
su larga scala della IVM è quella della separazione tra mezzi e
fini, avanzata ad esempio da Leon Kass, con riferimento al
potenziamento dell’uomo tramite tecnologie biomediche.
Kass afferma che l’eliminazione dello sforzo connesso al
perseguimento di un fine potrebbe rendere il risultato così
ottenuto inautentico62. L’introduzione della carne sintetica, per
quanto genererebbe un effetto positivo e un impatto apprezzabile
sulla salute umana, sull’ambiente e sul benessere animale non
consentirebbe (almeno prima facie) di stimolare una doverosa
riflessione intorno agli animali non umani e al loro specifico
statuto morale. Anzi, potrebbe essere, in definitiva, una sorta di
soluzione a buon mercato che impedirebbe qualsiasi presa di
coscienza da parte degli animali umani rispetto alle problematiche

processo che prima facie potrebbe anche essere indipendente dall’azione


antropica.
62
L. R. Kass, op. cit., pp. 22-23.

93
DOSSIER Luca Lo Sapio, La carne sintetica

in oggetto. L’unica maniera adeguata per affrontate e risolvere il


problema del benessere animale sarebbe quello di agire per la
strutturazione di un mondo-di-vita nel quale gli animali non umani
abbiano dei diritti e siano tutelati in quanto esseri senzienti
(e, in alcuni casi, coscienti e autocoscienti). In tal senso,
potrebbe essere auspicabile l’implementazione di programmi
scolastici nei quali si mettano al centro i temi dell’etica
alimentare e dell’etica animale, al fine di stimolare lo sviluppo
di specifiche sensibilità individuali e di gruppo.
A mio avviso in questo genere di argomentazioni ci sono due
problemi di fondo: 1) non si può distinguere nettamente tra metodi
esterni e interni. Negli scenari reali tali metodi sono
intrecciati e spesso co-estensivi e separarli in maniera netta
costituisce una forma di miscomprensione dell’esistente; 2) di
fronte a una situazione di estrema urgenza, non si può affermare
che i metodi esterni siano forieri di soluzioni inautentiche,
mentre quelli interni sarebbero gli unici auspicabili.
Bisognerebbe al contrario mettere in evidenza come, nonostante le
soluzioni tecniche appaiano necessarie, esse non possono essere
assolutizzate. Andrebbero, al contrario, implementate all’interno
di specifici contesti, nei quali non dovrebbero essere percepite,
appunto, come soluzioni esterne che si giustappongono ad un quadro
generale di segno completamente differente, ma, al contrario, come
soluzioni che, in modo armonico, si sposano con un contesto
sociale adeguato.

2) La specifica forma di vita di Sapiens


Una seconda questione da esaminare riguarda la specifica forma di
vita che Sapiens ha costruito, nella quale gli animali e la carne
hanno una specifica posizione. La percezione della carne da parte
di molti consumatori è accompagnata da tre fattori sui quali
raramente si pone attenzione: tradizione, opacità e distanza.
Innanzitutto, quasi mai il consumatore è a conoscenza di che cosa

94
S&F_n. 22_2019

realmente avvenga negli allevamenti industriali; in secondo luogo


la carne viene confezionata in modo da distanziare il prodotto
finito dalla sua origine (dai würstel alla carne in scatola):
nessuno deve pensare all’animale la cui macellazione ha prodotto
quella carne; infine, il consumo di carne è parte di tradizioni
gastronomiche e culturali che disegnano e strutturano lo specifico
mondo-di-vita degli uomini (dalle proibizioni alimentari di
specifiche religioni, passando per la preparazione di specifiche
pietanze in occasione di festività comandate)63.
Ora, se il consumo di carne è legato a quanto appena detto risulta
difficile immaginare che l’introduzione della IVM possa generare
una sorta di metanoia nei consumatori. Lo specifico mondo di vita
dei consumatori non verrebbe affatto modificato; dunque la carne
sintetica non sarebbe portatrice di un nuovo atteggiamento di
fondo dell’uomo nei confronti degli animali non umani. Sarebbe
molto più efficace, da questo punto di vista, costruire delle
campagne di sensibilizzazione e dei percorsi formativi (erogati
anche dalle istituzioni scolastiche) volti a evidenziare da un
lato gli effetti del consumo di carne sulla salute dell’uomo,
dall’altro le conseguenze, sul benessere animale, della
“detenzione” degli animali non umani negli allevamenti intensivi.
Chiariamo meglio questo passaggio che, con ogni evidenza, si
connette strutturalmente al punto 1, analizzato in precedenza.
L’introduzione di carne sintetica, per quanto foriera di
conseguenze positive per la salute, l’ambiente e il benessere
degli animali, non permetterebbe, anzi ostacolerebbe l’emergere di
atteggiamenti virtuosi da parte degli individui. Le intenzioni

63
Cfr. S. Pollo, op. cit., pp. 94-96; Cfr. W. Seletan, The coscience of a
carnivore: it’s time to stop killing meat and start growing it, in «Slate
Magazine», Retrieved May 13 2008 from http://www.newscientist.com/article.ns?id
(ultimo accesso 10 dicembre 2019). Come sottolineano Patrick Hopkins e Austin
Dacey «il problema è dunque che molte persone non vogliono contribuire alla
sofferenza degli animali e tuttavia desiderano mangiare carne» e possono farlo
agevolmente con «il supporto della disconnessione concettuale e visiva tra il
loro mangiare-carne e la sofferenza degli animali» (P. D. Hopkins, A. Dacey,
Vegetarian Meat, op. cit.).

95
DOSSIER Luca Lo Sapio, La carne sintetica

alla base dell’introduzione di carne sintetica potrebbero essere


tutt’altro che virtuose dal momento che lo scopo di questa tecnica
è quello di consentire ai consumatori di carne di continuare a
farlo indisturbati64. Se l’uomo ha uno specifico atteggiamento
verso gli animali non umani e la carne è a causa della specifica
forma di vita che ha costruito (fatta di pratiche, abitudini, idee
e modelli di comportamento)65. Tale forma di vita si può
modificare se le pratiche, le abitudini, le idee e i modelli di
comportamento si trasformano. Se tale passaggio non avviene,
risulta difficile immaginare che una specifica tecnica, di per sé,
possa essere portatrice di un avanzamento morale degli uomini.
Tuttavia, non credo che queste osservazioni colgano completamente
nel segno per varie ragioni. Innanzitutto, se il discorso può
essere efficace a inquadrare il comportamento di alcuni individui
non lo è per altri e, di sicuro, non lo è per tutti. Ci possono
essere alcuni individui mossi da motivazioni non edificanti, sotto
il profilo morale, in relazione al consumo di carne sintetica. Ad
esempio, alcuni individui potrebbero voler trarre solo profitti da
questa nuova tecnica; altri potrebbero voler mangiare persino
quantitativi di carne maggiori rispetto al solito senza doversi
sentire in colpa per tutto ciò che è connesso agli allevamenti
intensivi. Tuttavia, anche laddove ci fossero degli individui
mossi da queste intenzioni, il risultato che ne conseguirebbe
sarebbe, in ogni caso, positivo, per l’ambiente, la salute umana e
il benessere animale.
Va aggiunto, ancora, che lo scenario appena presentato non
esclude, in linea di principio, né che vi possano essere individui
mossi da motivazioni morali giuste (ad esempio, eliminare o
diminuire le sofferenze degli animali non umani impiegati negli
allevamenti intensivi) né che, in generale, l’introduzione della
64
Cfr. C. Alvaro, Lab-Grown Meat and Veganism: A virtue oriented perspective
in «Journal of Agricultural and Environmental Ethics», on Line 26 febbraio
2019.
65
Cfr. C. Diamond, Eating meat and Eating animals in «Philosophy», 53, 2016,
1978, pp. 465-479.

96
S&F_n. 22_2019

carne sintetica non sia accompagnata da campagne pubbliche di


sensibilizzazione sui temi dell’etica animale. Le due cose
potrebbero procedere in parallelo. L’obiettivo al quale tendere
deve, dunque, essere quello di modificare alcuni tratti della
specifica forma di vita che l’uomo occidentale si è dato.
Tuttavia, anche se questo obiettivo non dovesse essere realizzato,
in tutto o in parte, rimarrebbero gli effetti positivi di cui
abbiamo prima discusso.
Il rischio di usare la carne sintetica come alibi per non
diminuire i consumi di carne e, ancora, il rischio che investendo
in questo settore si trascuri il vero obiettivo, cioè eliminare il
consumo di carne e/o sostituirlo con carne derivata da estratti
vegetali, non è trascurabile ma non deve impedirci di vedere che
nel breve-medio periodo quella della carne sintetica appare come
una delle soluzioni migliori per la difesa dell’ambiente, degli
animali e dei consumatori.

3) Carne sintetica e quarta rivoluzione industriale


La carne sintetica è un passo importante da compiere per la
costruzione di un nuovo modello di interazione tra uomo e animali
non umani. In particolare, essa ci costringe a rivedere le nostre
categorie morali e i doveri che abbiamo nei loro confronti.
Di fatto, se tra qualche anno avremo una tecnologia sicura e
contenuta nei costi, la possibilità di eliminare del tutto gli
allevamenti intensivi e di cancellare le pratiche di macellazione
animale per scopi alimentari e non, diventerà concreta. Uccidere
un animale per ricavarne un hamburger o una borsa in pelle sarà
non solo moralmente reprensibile ma aberrante, in quanto si
passerebbe dal compiere un atto non necessario al compiere un atto
del tutto futile66.

66
Futile dal momento che potremmo ottenere lo stesso risultato evitando,
tuttavia, le conseguenze negative. Da questo punto di vista si può proporre
quanto segue: gli atti possono essere distinti in 1) moralmente doverosi; 2)
moralmente opportuni; 3) indifferenti sotto il profilo morale; 4)

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DOSSIER Luca Lo Sapio, La carne sintetica

L’introduzione della carne sintetica, infine, libererebbe


molteplici nuove possibilità di interazione e strutturazione di
specifiche forme di vita per Sapiens. Si potrebbe, infatti,
immaginare che ciascuno di noi mediante l’impiego di stampanti 3D
sarà in grado, con cellule staminali animali, di “disegnare” e
produrre in proprio muscoli, ossa, borse, portafogli e altro67. Si
potrebbe, inoltre, immaginare l’impiego della stessa tecnica per
fornire sostegno alimentare, potenzialmente illimitato, agli
astronauti.
Infine, si potrebbero dare delle risposte efficaci al problema
della fame nel mondo, con l’introduzione di specifici programmi
alimentari basati sull’uso di questa tecnica.
È qui che gli scenari della quarta rivoluzione industriale si
colgono con efficacia. I processi di automazione crescenti e le
stampanti 3D che della rivoluzione industriale sono simboli
potenti si presterebbero alla risoluzione del problema che da

supererogatori. Lasciando da parte la tipologia 3, che non ci interessa


approfondire in questa sede, evitare di mangiare carne, in un contesto nel
quale c’è penuria di cibo e non ci sono altre opzioni alimentari disponibili,
sarebbe un atto supererogatorio. Pur essendo moralmente giusto evitare che
degli animali non umani possano soffrire ed essere poi macellati per soddisfare
i bisogni alimentari dell’uomo, in assenza di alternative e di fronte al
rischio incombente di annichilimento di membri della specie Sapiens non è
richiesto sotto il profilo morale un atto di rinuncia alla carne. Se si decide
in tal senso, mettendo a repentaglio la propria vita, si compie un atto morale
supererogatorio (si è fatto più del richiesto). Se, invece, non ci troviamo di
fronte ad alcuna penuria alimentare e abbiamo la possibilità di non mangiare
carne perché sono disponibili alternative veggie, evitare di mangiare carne è
un atto morale opportuno (opportuno ma non doveroso). Infatti, se i sostituiti
non sono completamente equivalenti (ad esempio non consentono di assumere in
modo adeguato vitamina B12) qualcuno potrebbe affermare che eliminare il
consumo di carne potrebbe avere un impatto sulla salute umana e sullo sviluppo
cognitivo degli infanti, che produrrebbe conseguenze peggiori rispetto al male
per il quale si voleva trovare una soluzione. Pertanto, si potrebbe affermare
che, appunto, evitare il consumo di carne è moralmente opportuno ma non
doveroso. Grazie alla carne sintetica, tuttavia, queste posizioni non avrebbero
più alcuna ragion d’essere, dal momento che si avrebbe un sostituto
perfettamente equivalente dal punto di vista nutrizionale e gustativo. Dunque,
evitare di consumare carne da animali macellati (o prodotti derivati da animali
“detenuti” in allevamenti intensivi) diventerebbe, incondizionatamente, un atto
moralmente doveroso.
67
Non si tratta di mera speculazione bensì di progetti già in essere
https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-
ricerca/2018/09/20/news/il_petto_di_pollo_e_vegetale_e_stampato_in_3d-
206925069/ (ultimo accesso 10 dicembre 2019).

98
S&F_n. 22_2019

sempre affligge l’uomo: la ricerca di cibo per la sopravvivenza e


l’accrescimento del proprio benessere.
In definitiva, meno consumo di suolo, meno consumo di acqua, meno
inquinamento, meno malattie (antibiotico resistenza), meno
sofferenza per gli animali, e dunque, stimolazione di modalità
dell’alimentazione e dello stare al mondo diverse. E tuttavia
questa soluzione non va assolutizzata perché:
- non basta alla strutturazione di una pars construens nella quale
venga attribuito, in un’ottica non antropocentrata, agli animali
non umani uno statuto morale;
- non implica, necessariamente, che nessuno possa più macellare
animali (andrebbe accompagnata, quindi, da una produzione
normativa volta a punire qualsiasi forma di crudeltà perpetrata ai
danni degli animali non umani);
- sarebbe difficilmente implementabile presso quei Paesi che
esibiscono ancora condizioni di mera sussistenza a meno di non
immaginare alcune modifiche non superficiali all’organizzazione
dell’attuale sistema di produzione e distribuzione dei beni e
delle merci;
- la carne sintetica potrebbe sfavorire il consolidarsi di un
mercato veggie.
Sebbene alcune di queste osservazioni non siano eludibili con
agio, mi sembra, all’altezza della riflessione proposta,
altrettanto ineludibile la conclusione per cui questa strada va
seguita.
L’introduzione della carne sintetica non è di per sé sufficiente
alla costruzione di un diverso modo della relazione tra uomo e
animali non umani. Può tuttavia, da un lato fornire risposte e
soluzioni a specifici problemi pratici, dall’altro preparare a un
nuovo modo della relazione68. Può aprire (certo non determinare di

68
Il modo di cui qui discuto è quello della cooperazione in contrapposizione a
quello del dominio. In tal senso la carne sintetica potrebbe favorire
quantomeno l’emergere di un atteggiamento per il quale gli animali non umani
verrebbero visti non in quanto enti da dominare ma con i quali cooperare. In

99
DOSSIER Luca Lo Sapio, La carne sintetica

per sé) a nuove possibilità dello stare al mondo, in cui gli


animali non umani non saranno visti come schiavi dell’uomo
destinati al macello ma come alterità alle quali tributare
rispetto morale in virtù del proprio specifico statuto e della
propria utilità in chiave alimentare. Utilità che, tuttavia, gli
animali non saranno più costretti a pagare al prezzo della propria
vita.

tal senso la Quarta Rivoluzione industriale potrebbe, in qualche modo,


invertire il trend che, sebbene con differenti modulazioni, è stato presente
nelle tre precedenti rivoluzioni industriali in cui la natura (e dunque anche
gli animali non umani) era vista come un quid da piegare alle esigenze
dell’uomo e la macchina era concepita come una sorta di serva meccanica. La
Quarta rivoluzione industriale è caratterizzata invece da 1) un diverso modo di
concepire la macchina, come un ente in grado di autoregolarsi e auto-
organizzarsi; 2) un diverso modo di concepire l’impatto dell’attività
industriale sull’ambiente (impatto eco-friendly); 3) un diverso modo di
guardare alle alterità non umane, sia esse viventi che robotiche come enti con
i quali stabilire trame di cooperazione e non dinamiche di mero assoggettamento
[a tal proposito cfr. P. Dumouchel, L. Damiano, Vivere con i robot (2016), tr.
it. Raffaello Cortina, Milano 2019; K. Schwab, La Quarta rivoluzione
industriale (2016), tr. it. FrancoAngeli, Milano 2019; L. Floridi, Quarta
rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo (2014), tr. it.
Raffaello Cortina, Milano 2017].

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