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Jeremy Rifkin. ECOCIDIO. Ascesa e caduta della cultura della carne. Mondadori, Milano 2001. Traduzione di Paolo Canton.

Copyright Jeremy Rifkin, 1992. Titolo dell'opera originale: "Beyond Beef". Prima edizione maggio 2001. Jeremy Rifkin, presidente della Foundation on Economic Trends di Washington, insegna alla Wharton School of Finance and Commerce, dove tiene i corsi dell'Executive Education Program sul rapporto fra l'evoluzione della scienza e della tecnologia e lo sviluppo economico, l'ambiente e la cultura. Ha scritto "La fine del lavoro" (Baldini&Castoldi 1995), "Il secolo biotech" (Baldini&Castoldi 1998) e "L'era dell'accesso" (Mondadori 2000), che hanno ottenuto grande successo in tutto il mondo. INDICE. Introduzione all'edizione italiana: Mucche pazze e nuovi inizi. Introduzione. Parte prima. IL BESTIAME E LA COSTRUZIONE DELLA CIVILTA' OCCIDENTALE. 1. Dal sacrificio alla macellazione. 2. Di e dee. 3. Cowboy del Neolitico. 4. Doni e capitale. 5. La vacca sacra. 6. Toreri e machismo. 7. La bovinizzazione delle Americhe. 8. I "beefeaters" britannici. 9. Che mangino patate. 10. Vacche grasse e ricchi inglesi. Parte seconda. COME FU CONQUISTATO IL WEST. 11. 12. 13. 14. 15. 16. Raccordi ferroviari e attraversamenti per il bestiame. La grande svolta bovina. Cowboy e indiani. L'erba oro. La politica del corned beef. Filo spinato e appropriazione delle terre.

Parte terza. L'INDUSTRIALIZZAZIONE DEI BOVINI. 17. 18. 19. 20. 21. Il cartello della carne. La catena di smontaggio. Carne moderna. La giungla automatizzata. Il manzo mondiale.

Parte quarta. NUTRIRE LE BESTIE E AFFAMARE LA GENTE.

22. 23. 24. 25. 26.

Vacche ovunque. Malthus e la carne Sociologia del grasso. Venature di morte. Vacche che divorano uomini.

Parte quinta. VACCHE E CRISI AMBIENTALE GLOBALE. 27. 28. 29. 30. 31. 32. Colonialismo ecologico. Pascoli tropicali. Locuste con gli zoccoli. Sollevando nuvole di polvere. Placare la sete. Riscaldare il pianeta

Parte sesta. LA COSCIENZA DELLE CULTURE CARNIVORE. 33. 34. 35. 36. 37. 38. 39. 40. Psicologia della bistecca. Carne e gerarchie di genere. Carne, classe e nazionalismo. I bovini e la cultura della frontiera. L'hamburger e la cultura dell'autostrada. La decostruzione della carne moderna. I bovini e il male occulto Oltre la carne.

Note. Bibliografia scelta. ECOCIDIO. A Carol, mia compagna e amante degli animali Introduzione all'edizione italiana. MUCCHE PAZZE E NUOVI INIZI. L'encefalopatia spongiforme bovina (B.S.E.), o sindrome della mucca pazza, stata riscontrata per la prima volta nel 1986, su bestiame britannico, e ora si sta diffondendo, in modo incontrollabile, in Europa. Gli scienziati che studiano questa malattia degenerativa del cervello ritengono che la comparsa del morbo sul continente americano, in Asia e in tutto il resto del mondo, sia solo questione di tempo. Potremmo essere nelle prime fasi di una pandemia con conseguenze imprevedibili per l'industria dell'allevamento, il consumo di carne bovina e la salute dell'uomo. In Gran Bretagna, sono gi stati documentati ottantatr casi di morte fra individui che avevano mangiato carne di animali contaminati, contraendo cos la versione umana della malattia nota come sindrome di Creutzfeldt-Jacob. Numerosi altri casi di decessi sono stati registrati in Francia, in Irlanda e in altri paesi europei. I ricercatori affermano che questo primo pedaggio di morte pagato alla malattia potrebbe essere solo la punta di un iceberg, perch il periodo d'incubazione del morbo, nella sua variante umana, pu durare anche decenni. Centinaia di migliaia di persone in paesi di tutto il mondo potrebbero essere gi state contagiate. Negli ultimi mesi, nei paesi dell'Unione europea il consumo di carne bovina crollato del 27 per cento. In Germania, nel solo mese di febbraio 2001, il consumo di carni bovine si dimezzato, precipitando allevatori, industria

alimentare, grossisti e commercianti al dettaglio in una grave crisi economica. Si ritiene che la B.S.E. abbia avuto origine in Gran Bretagna, negli anni Settanta, a causa della pratica di alimentare i bovini d'allevamento con carne di pecore morte per una malattia correlata alla B.S.E., detta scrapie. La B.S.E. la variante di una classe di patologie dette encefalopatie spongiformi trasmissibili, o T.S.E., ed caratterizzata dalla distruzione delle cellule cerebrali delle vittime, che si trasformano in microscopici corpi spugnosi, provocando una fatale demenza. Gli scienziati sono convinti che animali e uomini s'infettino nutrendosi di carni che contengono prioni deformati. I prioni sono proteine normalmente presenti nel cervello umano e animale; quando vengono infettati, si deformano e si agglomerano in placche tossiche per il tessuto cerebrale. Se vero che causa scatenante della malattia della mucca pazza stato il superamento delle barriere delle specie dovuto alla somministrazione alle vacche di midollo spinale di pecore infettate dalla scrapie - con la creazione della nuova variante B.S.E. del terribile morbo - oggi gli scienziati sono convinti che la diffusione della B.S.E. in Gran Bretagna e in Europa sia da imputare all'impiego per uso alimentare bovino di una farina derivata dalle carcasse di bestie malate allo scopo di incrementare il tasso di crescita e la velocit di maturazione dei capi. A partire dagli anni Settanta, per la prima volta nella storia, i bovini sono stati forzatamente indotti a nutrirsi di altri animali, sotto forma di farine di ossa e di carne, e ci ha permesso alla malattia di moltiplicarsi e di diffondersi rapidamente in intere mandrie. Nel giugno 1993, allarmati dalla rivelazione della diffusione della malattia della mucca pazza in Gran Bretagna, gli avvocati della Foundation on Economic Trends (F.E.T.) di Washington, D.C., da me presieduta, hanno formalmente presentato una petizione alla Food and Drug Administration (F.D.A.) degli Stati Uniti, richiedendo l'immediata messa al bando delle farine animali a uso alimentare bovino e di altri ruminanti. La petizione metteva in guardia l'istituzione governativa sul fatto che la salute e la sicurezza dei ruminanti, principalmente ovini e bovini, sono a rischio a causa della prassi, relativamente recente e sempre pi diffusa, di nutrirli con proteine animali cio con i resti altrimenti inutilizzabili di vacche e pecore malate - sotto forma di farine poste normalmente in commercio da produttori di mangimi. Gi allora ero fortemente preoccupato dall'eventualit che, se negli Stati Uniti e negli altri paesi non fosse cessata la pratica di nutrire i bovini con carne bovina infetta, saremmo stati costretti ad affrontare l'evenienza di un'epidemia di B.S.E. Sebbene una correlazione diretta fra malattia della mucca pazza e l'inquietante incremento dei casi registrati di sindrome di Creutzfeldt-Jacob non fosse ancora stata dimostrata con certezza, le prove circostanziali erano sufficienti a creare preoccupazione circa la prospettiva di milioni di consumatori di carne potenzialmente esposti al rischio di contrarre la malattia in qualche forma. Consapevoli dell'urgenza della questione, e convinti che, se il governo non avesse preso immediati provvedimenti, il problema sarebbe potuto diventare incontrollabile, gli avvocati della F.E.T. si rivolsero non solo alla F.D.A., ma anche al Department of Agriculture degli Stati Uniti (USDA) affinch: 1) disponessero in via permanente il divieto di somministrare proteine animali ai ruminanti, soprattutto ai bovini e agli ovini; 2) avviassero progetti di ricerca epidemiologica per determinare l'incidenza delle encefalopatie spongiformi trasmissibili fra i ruminanti allevati negli Stati Uniti; 3) avviassero una separata e significativa ricerca epidemiologica per determinare l'incidenza della T.S.E., nelle sue varie forme, fra i bovini "downer" [sdraiati]; 4) costituissero una banca dati sugli studi in corso relativi alle T.S.E.; 5) avviassero una significativa ricerca epidemiologica volta a determinare l'incidenza delle encefalopatie spongiformi trasmissibili nella popolazione umana degli Stati Uniti; 6) avviassero una campagna di monitoraggio e una banca dati, a livello nazionale, ricorrendo a esami autoptici al fine di determinare qualsiasi variazione dell'incidenza della sindrome di Creutzfeldt-Jacob e di quelle analoghe sulla popolazione umana degli Stati Uniti. Se il governo federale avesse risposto rapidamente, accettando le nostre richieste, avrebbe inviato un segnale forte e chiaro alla Gran Bretagna e agli

altri paesi, che si sarebbero sentiti in dovere di fare altrettanto; questo, forse, avrebbe evitato l'attuale crisi. Invece, la F.D.A. si arresa alle pressioni politiche delle industrie dell'allevamento, della carne e dei mangimi, opponendo la burocrazia e i suoi ritardi alla richiesta di sospendere l'utilizzo delle farine animali per l'alimentazione bovina. Solo nel giugno 1997, quattro anni dopo la petizione degli avvocati della F.E.T. per la completa proibizione dell'uso di farine animali nell'alimentazione dei ruminanti, la F.D.A. ha messo fuori legge tale prassi. Questo accaduto pi di un anno dopo che, in Gran Bretagna, era stato accertato il legame causale fra malattia della mucca pazza e sindrome di Creutzfeldt-Jacob, e si erano registrati i primi casi di decessi umani. In questo intermezzo critico, i bovini americani hanno continuato a essere nutriti con milioni di tonnellate di farine di origine animale, aumentando la probabilit di trasmissione del morbo della mucca pazza negli allevamenti degli Stati Uniti. In tale contesto, ancora pi sconcertante un rapporto della F.D.A. del gennaio 2001, a tre anni di distanza dalla pur riluttante proibizione dell'impiego di farine animali per la nutrizione bovina, secondo cui un gran numero di aziende coinvolte nella produzione di mangimi non rispettano la regolamentazione F.D.A. Questo vergognoso disprezzo verso la salute umana e animale dimostrato dal governo degli Stati Uniti e dai produttori americani di mangimi, per pi di un decennio dopo l'accertamento dei primi casi di B.S.E. in Gran Bretagna, ha senz'altro fatto in modo che altri paesi si sentissero legittimati a prendere poco seriamente la minaccia del morbo della mucca pazza. Anche se il governo britannico ha bandito le farine animali per alimentazione bovina nel luglio 1988, per i successivi dieci anni i produttori britannici hanno continuato a esportare milioni di tonnellate di mangimi potenzialmente contaminati in tutto il mondo, inclusi gli Stati Uniti. Recentemente, il ministro dell'Agricoltura francese ha criticato i nostri amici inglesi, che hanno esportato questo male suggerendo che debbano essere moralmente condannati per questo, ma resta il fatto che, fino all'ottobre 2000, molti altri paesi europei hanno continuato a produrre ed esportare farine animali per alimentazione bovina, contenenti parti di cervello e midollo spinale. Le farine animali vietate nei paesi dell'Unione europea hanno trovato sbocco in Europa orientale, Medio Oriente, Nordafrica e persino in Indonesia, Thailandia e Taiwan. Negli ultimi mesi, in Francia, Germania, Italia, Spagna, Belgio, Irlanda, Svizzera e in altri paesi dell'U.E., consumatori, allevatori e politici sono stati presi dal panico per il manifestarsi di nuovi e sempre pi frequenti casi di B.S.E. Il 30 gennaio 2001, i ministri dell'Agricoltura dei paesi dell'Unione europea hanno proibito la vendita dei tagli di carne bovina prossimi alla colonna vertebrale, e reso obbligatori i test sugli animali di et superiore ai trenta mesi. La Commissione europea si anche offerta di rimborsare il 70 per cento del costo di acquisto delle carcasse ai governi comunitari che decidessero di distruggere, anzich sottoporle al test, le bestie di et superiore ai trenta mesi. Peraltro, la commissione ha dichiarato di disporre di risorse finanziarie sufficienti a coprire l'acquisto di circa 600 mila tonnellate di carne bovina (1,1 miliardi di euro pari a 2130 miliardi di lire), corrispondenti a un calo di consumi del 10 per cento. Con i consumi ormai diminuiti del 27 per cento nei paesi dell'U.E., potrebbero non essere disponibili i fondi per rendere operativo il progetto. Mentre scrivo queste note, i ministri tedeschi della Sanit e dell'Agricoltura sono stati costretti a rassegnare le dimissioni, per non aver saputo rispondere adeguatamente al problema B.S.E. In Francia, le famiglie delle vittime della variante umana del morbo della mucca pazza si sono rivolte ai tribunali, accusando le autorit francesi, britanniche ed europee di avvelenamento, per la cattiva gestione della vicenda B.S.E. In segno di protesta contro le misure d'emergenza adottate dal governo, migliaia di allevatori spagnoli hanno picchettato i macelli e gli stabilimenti di confezionamento, bloccando le forniture di carne e impedendo l'accesso agli impianti agli ispettori incaricati dei controlli. In Italia, carne infetta stata trovata presso l'abituale fornitore di uno dei pi grandi impianti europei per la lavorazione della carne,

fornitore a sua volta delle maggiori catene di fast-food e supermercati, gettando un'ombra di sospetto sulla salubrit della carne venduta nei negozi di tutto il continente. Se si pu trarre un insegnamento da questa situazione esplosiva, che l'uomo, trattando senza coscienza e raziocinio le altre creature viventi, ha messo a repentaglio la propria salute. Costringere animali vegetariani a nutrirsi di scarti di macellazione, e aggravare il crimine somministrando loro i resti infetti di animali della medesima specie - trasformando pacifici ruminanti in cannibali - un atto sconsiderato, contrario alle pi elementari regole della decenza. E la responsabilit di tutto questo da ascrivere ai valori sociali che ci hanno permesso di ignorare sistematicamente la natura intrinseca di questi animali per trattarli come puri utensili in un degradato e degradante sistema industriale della produzione agro-pastorale. Non ci si pu sbagliare sulle cause dell'attuale crisi. L'industria della carne considerava le farine animali come un sistema efficiente ed economico per incrementare la resa e il profitto. A tale fine, la natura stessa dell'animale stata sacrificata sull'altare degli obiettivi di produzione. L'arroganza sta nella perversa convinzione che una creatura vivente sia manipolabile all'infinito in funzione delle necessit imposte dalla logica del profitto. E' questa l'essenza dell'allevamento su scala industriale. In questo caso, come in decine di altri analoghi nella storia dell'allevamento moderno, l'esperimento miseramente fallito; ma, questa volta, il disastro ha superato le barriere delle specie. Ignorando la salute e il benessere dei bovini, abbiamo messo a repentaglio anche i nostri. In breve tempo, l'epidemia della mucca pazza porter a nuove pressioni per una riforma dell'allevamento degli animali, finalizzata alla riduzione o all'eliminazione di eccessi e abusi nelle pratiche di allevamento industriale. Nel lungo periodo, l'affare B.S.E. potrebbe condurre a un cambiamento ancora pi profondo del rapporto fra uomo e bovini. La crisi della carne, che continua a diffondersi in tutto il mondo, ci sta spingendo a riconsiderare la nostra dieta carnea tradizionale. Ci sono ottime ragioni per farlo, che vanno ben al di l dell'attuale panico da B.S.E. Anzi, come ho cercato di chiarire in questo libro, il nostro futuro e quello della biosfera possono dipendere dalle scelte alimentari che faremo sull'onda dell'emozione per il diffondersi dell'epidemia della mucca pazza. Le pagine che seguono sono dedicate a un'attenta analisi delle conseguenze che un consumo abbondante di carne ha sulla nostra salute e, in termini di sostenibilit, sull'ambiente terrestre. E' mia personale convinzione che, nel ventiduesimo e nel ventitreesimo secolo, i nostri pronipoti saranno sconcertati e perplessi nell'apprendere che i loro antenati consumavano carne di altre creature viventi. Quest'antica pratica, con i rituali che la accompagnavano, saranno considerati manifestazioni primitive di un barbaro passato, superato negli anni che seguirono all epidemia della mucca pazza. INTRODUZIONE. Attualmente, il nostro pianeta popolato da un miliardo e 280 milioni di bovini (1). Quest'immensa mandria occupa, direttamente o indirettamente, il 24 per cento della superficie terrestre e consuma una quantit di cereali sufficiente a sfamare centinaia di milioni di persone (2). Il peso complessivo di questi animali supera quello dell'intera popolazione umana. Il continuo incremento della popolazione bovina sta sconquassando l'ecosistema terrestre, distruggendo l'habitat naturale di sei continenti; l'allevamento di bovini la principale causa della distruzione delle sempre pi ridotte aree di foresta pluviale rimaste sulla terra. In Centroamerica e Sudamerica, milioni di ettari di foreste vergini vengono abbattuti per lasciare spazio a pascoli per il bestiame. Le mandrie bovine sono responsabili di gran parte della progressiva desertificazione dell'Africa subsahariana e delle catene montuose occidentali degli Stati Uniti e dell'Australia. Il pascolo eccessivo in aree aride o semiaride ha creato deserti sterili e desolati in quattro continenti. Negli Stati Uniti, oggi, la maggiore fonte di inquinamento organico delle falde

acquifere il materiale organico che esce dalle stalle. I bovini sono anche responsabili di buona parte del riscaldamento globale del pianeta: emettono metano, un potente gas-serra che impedisce al calore di disperdersi fuori dall'atmosfera terrestre. Bovini e altro bestiame d'allevamento consumano il 70 per cento di tutti i cereali prodotti negli Stati Uniti. Oggi, circa un terzo della raccolta totale di cereali impiegata come mangime per bovini e altro bestiame d'allevamento, mentre circa un miliardo di esseri umani soffrono per la fame e la denutrizione cronica (3). Nei paesi in via di sviluppo, milioni di piccoli agricoltori vengono allontanati con la forza dalle terre dei loro avi le quali, dalla produzione di cereali alimentari per la sussistenza, devono passare a quella, commerciale, di cereali per mangimi. L'utilizzo di cereali per l'alimentazione animale, mentre milioni di persone muoiono di fame, ha innescato violenti scontri politici in alcuni paesi in via di sviluppo, e tensioni fra i paesi ricchi e industrializzati dell'emisfero settentrionale e le nazioni povere di quello meridionale. Un autentico suicidio ecologico. Ma, se milioni di persone muoiono di fame per mancanza di cereali, nei paesi industrializzati milioni di persone muoiono a causa di patologie indotte da un eccessivo consumo di carne, soprattutto di manzo. Gli americani, gli europei e, in misura crescente, i giapponesi si ingozzano di carne e muoiono delle classiche malattie del benessere: infarto del miocardio, cancro e diabete. Il mostruoso pedaggio ambientale, economico e umano che si deve pagare per mantenere il complesso bovino mondiale non oggetto di una diffusa attenzione. La maggior parte della gente non consapevole degli effetti che l'allevamento intensivo dei bovini ha sull'ecosistema del pianeta e sulle sorti della civilt. Invece, oggi, l'allevamento bovino e il consumo di carne sono fra le principali minacce al futuro benessere della terra e della popolazione umana. "Ecocidio" la storia della relazione, plasmata da millenni di storia comune, che lega gli uomini e questi animali. Li abbiamo pregati, sacrificati agli di, usati per procurarci cibo, abiti, riparo, trazione e combustibile. Hanno arricchito la nostra vita spirituale e saziato i nostri appetiti. Noi li abbiamo elevati allo status di divinit, aggiogati all'aratro per dissodare la terra, munti per nutrire la nostra prole, e mangiati per conquistare la loro forza ed energia. Molta parte della vita religiosa e laica della civilt occidentale poggiata sulle solide spalle di questi potenti ungulati. Per gran parte della storia scritta, l'uomo ha pregato un dio toro e una dea vacca; loro erano i progenitori della creazione; loro, i simboli della forza generatrice, della virilit, della fertilit. Il bovino rappresentava anche la ricchezza. La parola cattle [bestiame] deriva dalle parole chattel [bene mobile] e capital [capitale]. Il bestiame la pi antica forma di ricchezza mobile ed stato usato come mezzo di scambio durante gran parte della storia occidentale. Il passaggio del bovino dallo stato di divinit a quello di moneta e merce di scambio rispecchia un altrettanto radicale cambiamento del rapporto fra uomo e natura. La mucca stata un'utile proiezione e una metafora per definire il nostro senso profondo nel mondo, oltre che uno strumento per dare forma al mondo che ci circondava. La relazione fra uomini e bovini emersa in varie epoche e in varie localit, dando luogo a complessi bovini: elaborate reti culturali che hanno contribuito a dare forma a dinamiche ambientali, economiche e politiche di intere societ; se i complessi bovini africani e indiani sono ben noti e approfonditamente esplorati, minore attenzione stata dedicata al complesso bovino americano e a quello europeo, e al ruolo centrale che hanno giocato nel modellare e orientare la storia occidentale. Questi grandi complessi bovini sono responsabili, almeno in parte, del ricorrente presentarsi di crisi ambientali ed economiche con cui il pianeta e la civilt umana devono confrontarsi; se vogliamo approfondire la comprensione degli effetti che il pascolo e la dieta carnea stanno avendo sulle nostre vite, e sulla vita del pianeta, dobbiamo ripercorrere la storia dei grandi complessi bovini della civilt occidentale, analizzando gli infiniti modi con cui hanno influenzato la nostra visione del mondo, e il mondo stesso. In "Ecocidio", analizzeremo la relazione umano-bovina nel corso della storia, dai primi reperti archeologici, risalenti alle pitture rupestri nelle grotte di

Lascaux, all'assassinio di Chico Mendes nella foresta pluviale amazzonica. Le prime tre sezioni del libro sono dedicate all'esplorazione del ruolo storico del bestiame nella civilt occidentale; in queste sezioni analizzeremo i grandi complessi bovini della storia, dai giganteschi palazzi mattatoio dei sumeri agli allevamenti intensivi delle pianure dello Iowa. Di particolare interesse sar la costituzione, nel diciannovesimo secolo, del complesso bovino euroamericano e, nel ventesimo, di quello del manzo globale, con lo straordinario convergere di forze storiche e culturali che hanno permesso l'emergere dell'attuale cultura della bistecca. Nella Parte quarta, Nutrire le bestie e affamare la gente, analizzeremo l'impatto sull'uomo del complesso bovino moderno e della cultura mondiale della bistecca. Vedremo come, nel corso dell'ultimo secolo, sia stata formulata una nuova scala artificiale delle proteine, al vertice della quale si trova il bestiame nutrito a cereali. La transizione della coltura cerealicola mondiale dall'alimentazione umana a quella animale fra i pi significativi cambiamenti intervenuti nei processi di redistribuzione della ricchezza, nel corso della storia scritta: i suoi effetti sull'uomo e le sue conseguenze economiche saranno esaminati con l'obiettivo prioritario di dare spiegazione all'enormit della tragedia che si sta compiendo. Nella Parte quinta, Vacche e crisi ambientale globale, passeremo in rassegna le minacce ambientali derivate, almeno in parte, dal complesso bovino mondiale; tali minacce sono sostanzialmente diverse dai problemi ambientali del passato: hanno scala globale e stanno cominciando a condizionare l'intera biosfera e la biochimica del pianeta. Per un pubblico abituato a pensare ai problemi ambientali esclusivamente in termini di gas di scarico delle automobili, scarichi industriali, materiali tossici e radioattivi, probabilmente la dimensione della distruzione ambientale provocata dal moderno allevamento di bestiame costituir una sorpresa. Eppure, la devastazione ecologica provocata dalla popolazione bovina mondiale sopravanza altre numerose e pi visibili fonti di rischio ambientale. Nella Parte sesta, La coscienza delle culture carnivore, esaminiamo la psicologia dei complessi bovini e le politiche della dieta carnea nella societ occidentale. Nella storia, gli antichi miti legati alla carne animale come alimento e le pratiche dietetiche sono stati utilizzati per mantenere il dominio del maschio e definire gerarchie di classe e di genere; in epoche pi moderne, l'alimentazione carnivora stata usata come strumento per forgiare identit nazionali, avanzare pretese coloniali e promuovere teorie di superiorit razziale. Sar analizzato il ruolo della dieta carnea nella definizione di valori culturali e nella creazione di legami sociali, come lo sar il ruolo del complesso bovino nell'emergere della cosiddetta cultura suburbana dell'autostrada. Analizzeremo la sociologia dell'hamburger - un fenomeno tipicamente americano - e valuteremo le implicazioni morali ed etiche che derivano dalla moderna destrutturazione della carne. Il libro si conclude con un appello all'umanit a superare la cultura della bistecca nel corso del ventunesimo secolo; lo smantellamento del complesso bovino globale e l'eliminazione della carne dalla dieta umana sono un obiettivo fondamentale dei prossimi decenni, se vogliamo avere qualche speranza di rimettere in salute il pianeta e di dare nutrimento alla popolazione umana in continua crescita. L'eliminazione della carne dalla dieta umana segnerebbe una svolta dal punto di vista antropologico nella storia della consapevolezza umana. Superando la cultura della bistecca, si forgerebbe un nuovo contratto sociale, basato sulla protezione della salute della biosfera, sull'impegno a sostentare altri esseri umani e sull'interesse per il benessere delle creature con cui condividiamo il pianeta; ho scritto questo libro nella speranza di contribuire a portare la nostra societ oltre la carne. Parte prima. IL BESTIAME E LA COSTRUZIONE DELLA CIVILTA' OCCIDENTALE.

1. DAL SACRIFICIO ALLA MACELLAZIONE. Diversi millenni prima della venuta di Cristo, fra i popoli del Nilo si fece strada un potentissimo re. Narmer-Menes un l'Alto e il Basso Egitto in un unico regno, creando il primo grande impero della storia occidentale. Sebbene sia ricordato dagli storici per le straordinarie imprese militari, le sue gesta spirituali non sono state meno significative: il nuovo re impose il culto del toro in tutto il regno, creando la prima religione universale. Secondo la leggenda, Api, il dio toro, fu concepito da una vacca speciale, ingravidata da un raggio di luna (1). Il giovane dio toro fu elevato al trono spirituale del neonato impero egizio e, da quella posizione di privilegio, governava sul cielo e sulla terra. Il dio toro rappresentava la forza e la virilit, la passione maschile per la guerra e il soggiogamento: un simbolo appropriato per un'epoca di conquista. Narmer-Menes governava l'Egitto per volere del nuovo dio toro. A sua volta, il re era venerato dal popolo come incarnazione del dio toro, come lo furono tutti i suoi successori nei grandi regni dinastici dell'impero egizio. I re erano chiamati mitici tori o tori celesti. Un migliaio di anni dopo il regno di Narmer-Menes, i re della diciottesima e della diciannovesima dinastia erano descritti dalle cronache di corte come grandi divinit taurine che distruggevano il nemico calpestandolo con i possenti zoccoli e infilzandolo con le corna affilate (2). Il grande dio toro Api condivideva il regno celeste con la dea vacca Hathor. Si riteneva che Hathor avesse partorito il sole. Hathor rappresentava la fertilit e il nutrimento, la fecondit dell'universo. Il cielo era immaginato come una gigantesca vacca, sorretta dagli altri di, le cui zampe si estendevano fino ai quattro angoli della terra (3). Le regine dell'antico Egitto erano considerate incarnazioni della dea vacca e, come tali, adorate dal popolo. Api simboleggiava il vigore della giovinezza e l'eternit della vita, ed era incarnato in un toro in carne e ossa che veniva custodito in un santuario e accudito dai sacerdoti; alla fine dell'anno, Api veniva macellato secondo un elaborato rituale; la sua carne veniva consumata dal re, che acquisiva cos la fiera forza dell'animale, la sua maestosa potenza e la virilit, in modo da diventare immortale. La macellazione rituale di Api era il tempo del rinnovamento, della resurrezione delle fortune private e politiche del regno; segnava il passaggio dall'anno vecchio all'anno nuovo. La morte del toro Api segnava la partenza dei sacerdoti che sciamavano per il paese alla ricerca del successore. Quando il nuovo toro era individuato, il suo proprietario veniva munificamente ricompensato e i sacerdoti, immediatamente, segregavano l'animale. Per quaranta giorni e quaranta notti il toro era tenuto nascosto. Davanti all'animale sfilavano donne nude, allo scopo di eccitare il dio e di assicurare la fertilit delle donne e della terra d'Egitto (4). Alla fine del periodo d'isolamento, il toro era trasportato nella citt santa di Menfi su una barca sacra, all'interno di una cabina dorata. Appena arrivato, il toro veniva incoronato in un grande tempio dedicato a Ptah, dentro al quale avrebbe vissuto in quartieri riservati, con aree di suo esclusivo utilizzo. Al toro Api erano serviti cibi speciali e l'acqua sacra delle sante sorgenti d'Egitto. Nei quartieri adiacenti alloggiavano delle vacche, che avevano il ruolo di concubine. Nelle festivit religiose, il toro era ornato di paramenti sacri e condotto dal popolo in stravaganti processioni; il compleanno del dio Api era preceduto da una settimana di gioiosi festeggiamenti. Il dio Api era dotato di poteri straordinari, fra cui la capacit di predire il futuro; ogni movimento dell'animale, ogni sua postura erano interpretati come un segno fausto o come una maledizione. Gli appartenenti alle classi privilegiate sborsavano ingenti somme per trascorrere una notte nel tempio, accanto al toro Api, cos che i loro sogni potessero essere interpretati attraverso i movimenti del dio. Si narra che il muggito del toro Api abbia predetto l'invasione dell'Egitto da parte delle armate di Augusto. Dopo la macellazione e il pasto rituale delle carni del dio Api, i suoi resti

venivano mummificati e sepolti in una camera speciale, celata da un gigantesco sarcofago pesante pi di cinquanta tonnellate (5). Dai tempi di Narmer-Menes, il rapporto dell'uomo con i bovini radicalmente cambiato. Oggi, la nascita dei vitelli preceduta dal frustrante rituale dei cosiddetti teaser bull o sidewinder: animali utilizzati per individuare le femmine in estro. A questi tori viene praticata un'operazione chirurgica per deviare il pene, in modo che esca loro dal fianco (6). Alla presenza di vacche in calore, il toro si eccita e tenta di montarle; ma, dato che il suo pene deviato, non pu penetrare la femmina; ci che fa, invece, lasciarle sul dorso un marchio colorato con un tampone che gli viene applicato all'addome. Gli allevatori ricorrono al marchio colorato per individuare le vacche in estro, isolarle dalla mandria e provvedere all'inseminazione artificiale. Negli ultimi tempi stata sviluppata e messa sul mercato una nuova generazione di farmaci per la sincronizzazione dell'estro, che permette agli allevatori di rinunciare alla barbara pratica del "teaser bull" (7). Iniettati alle femmine di una mandria, questi farmaci fanno in modo che tutte raggiungano l'estro simultaneamente. Upjohn Company promuove l'efficacia e la prevedibilit degli effetti del farmaco per la sincronizzazione dell'estro con l'eloquente slogan: Sei tu a fare le regole (8). Grazie ai farmaci per la sincronizzazione dell'estro, gli allevatori possono pianificare in anticipo e scegliere il periodo ideale dell'anno per far nascere i vitelli. Una volta nati, i vitellini vengono castrati, pratica che li rende pi docili e migliora la qualit della loro carne. Ci sono numerosi metodi di castrazione: uno di essi, ad esempio, consiste nell'afferrare lo scroto tirandolo verso il basso per poi affondarvi un coltello che ne lacera la sacca; quindi sono estratti i testicoli che vengono lasciati appesi al loro cordone. Infine, in una seconda fase, si utilizza uno strumento, detto emasculatore, per recidere il cordone. Per assicurarsi che gli animali non si feriscano reciprocamente, gli vengono estirpate le corna, ricorrendo a una pasta chimica che ne brucia le radici. Alcuni allevatori preferiscono aspettare finch i vitelli raggiungono un'et pi avanzata, quindi gli tagliano le corna con una cesoia elettrica, dotata di cauterizzatore a coppa. Ai vitelli pi maturi, corna e relative radici vengono tagliate con la sega e senza uso di anestetici. I vitelli godono di una breve stagione di libert, durante la quale permesso loro di stare in compagnia della madre, al pascolo, prima di essere trasferiti definitivamente in gigantesche stalle automatizzate per l'ingrasso e la preparazione alla macellazione. Negli Stati Uniti ci sono circa 42 mila stalle di allevamento intensivo, concentrate in tredici stati con forte vocazione all'allevamento bovino. I duecento maggiori allevamenti producono la met del bestiame da carne degli Stati Uniti (9). L'allevamento , in genere, una grande area recintata, di cui un lato costituito da una mangiatoia in cemento. In alcuni dei maggiori allevamenti, migliaia di vitelli sono allineati l'uno accanto all'altro, in box che non consentono alcun movimento. Per ottenere l'aumento di peso ottimale nel minor tempo possibile, i gestori degli allevamenti somministrano alle bestie grandi quantit di farmaci. Gli steroidi anabolizzanti, in forma di sfere a rilascio ritardato, vengono impiantati nell'orecchio degli animali: gli ormoni entrano progressivamente in circolo, aumentando il livello di ormoni nel sangue da due a cinque volte oltre la norma (10). Ai bovini vengono somministrati estradiolo, testosterone e progesterone (11). Gli ormoni stimolano le cellule a sintetizzare una maggiore quantit di proteine, facendo crescere rapidamente i tessuti muscolari e la massa adiposa. Gli steroidi anabolizzanti accelerano l'aumento del peso in misura compresa fra il 5 e il 20 per cento; la resa energetica del mangime, dal 5 al 12 per cento; e la crescita della carne magra, dal 15 al 25 per cento (12). A pi del 95 per cento dei vitelli allevati intensivamente negli Stati Uniti sono somministrati ormoni che favoriscono la crescita (13). In passato, gli allevatori erano soliti aggiungere al mangime per bovini massicce dosi di antibiotici, per promuovere la crescita ed evitare il diffondersi di epidemie, evento non improbabile in ambienti ristretti e malsani come quelli in cui gli animali sono costretti a vivere. Nel 1988, negli Stati Uniti, al bestiame d'allevamento sono state somministrate complessivamente circa

6800 tonnellate di antibiotici (14). I rappresentanti del settore zootecnico dichiarano pubblicamente di avere sospeso la somministrazione indiscriminata di antibiotici agli animali da macello, ma questi farmaci sono ancora propinati alle mucche da latte, che rappresentano quasi il 15 per cento della carne complessivamente consumata negli Stati Uniti (15). Residui di antibiotici spesso sono rilevati nella carne destinata al consumo umano: per progressiva assuefazione, il corpo umano diventa meno sensibile agli effetti dei farmaci di questa categoria e, quindi, pi esposto agli attacchi delle infezioni batteriche. Castrato, imbottito di farmaci e docile, il bestiame trascorre le giornate alla mangiatoia, consumando mais, sorgo e altri cereali, oltre a una vasta gamma di altri elementi. Il mangime saturo di erbicidi. Oggi, l'80 per cento degli erbicidi utilizzati negli Stati Uniti viene irrorato sui campi di mais e di soia, che rappresentano la base dell'alimentazione bovina e del bestiame da allevamento (16). I pesticidi ingeriti dall'animale si concentrano in alcune parti del corpo e, attraverso queste, giungono sulla tavola del consumatore sotto forma di un apparentemente innocuo taglio di carne. Secondo il National Research Council della National Academy of Science, la carne bovina al secondo posto, dopo i pomodori, fra gli alimenti che aggravano il rischio d'insorgenza di malattie degenerative a causa di contaminazione da pesticidi (17). La carne bovina il cibo pi a rischio di contaminazione da erbicidi e il terzo per contaminazione da insetticidi. Il N.R.C. stima che la contaminazione da pesticidi della carne bovina rappresenti complessivamente l'11 per cento del totale del rischio di cancro per cause alimentari a cui esposto il consumatore (18). Alcuni allevamenti hanno avviato progetti di ricerca per verificare la possibilit di somministrare ai bovini cartone e carta da giornale come alimenti. Altri addizionano i mangimi con sterco prelevato negli allevamenti di pollame e nelle porcilaie. Secondo il Department of Agriculture degli Stati Uniti, in futuro, la polvere di cemento potrebbe diventare un allettante complemento per l'alimentazione bovina, in grado di produrre un'accelerazione dell'aumento di peso fino al 30 per cento (19). Secondo rappresentanti ufficiali della Food and Drug Administration (F.D.A.) non raro che gli allevatori mescolino al mangime rifiuti industriali e oli esausti, per ridurre i costi e ingrassare le bestie pi rapidamente. Alcuni scienziati della Kansas State University hanno sperimentato un mangime plastico sostitutivo della fibra nell'alimentazione bovina: si tratta di pallini composti all'89/90 per cento di etilene e al 10/20 per cento di propilene (20). I ricercatori hanno sottolineato come tale soluzione, in fase di macellazione, presenti anche il non trascurabile vantaggio di poter recuperare dall'abomaso della bestia circa dieci chili di pallini, che possono essere fusi e riciclati (21). Questi pallini sintetici sono di gran lunga pi economici del fieno e permetterebbero di soddisfare le necessit di fibra degli animali a un costo decisamente inferiore (22). Tutte le caratteristiche dell'ambiente in cui gli animali vivono sono sotto stretto controllo, e regolate in modo da ottimizzare la resa dell'allevamento; perfino le mosche possono essere causa di fastidi, disturbando il bestiame e distraendolo dal mangiare: un vitello pu perdere fino a due etti di peso al giorno per scacciare gli sciami di mosche che abitualmente lo circondano (23). Le mosche, poi, contribuiscono a diffondere malattie tipo la congiuntivite virale e la rinotracheite bovina. Insetticidi altamente tossici sono irrorati da diffusori ad alta pressione installati su trattori che percorrono le strade di accesso agli allevamenti, avvolgendo le stalle e gli animali che ospitano in una nube di veleno. Negli allevamenti pi grandi, con pi di 50 mila capi di bestiame, gli allevatori, a volte, ricorrono all'irrorazione aerea: velivoli appositamente attrezzati sorvolano l'allevamento, spruzzando insetticidi e provocando una pioggia tossica sulle stalle (24). Una volta raggiunto il peso ideale di circa 500 chilogrammi, i vitelli maturi sono ammassati in giganteschi camion, dove non hanno la minima possibilit di muoversi; spesso, il viaggio verso il mattatoio duro e brutale; sovente, quando un animale cade, non ha la possibilit di rialzarsi ed calpestato dagli altri, subendo fratture agli arti o al bacino. Gli animali che non sono pi in

condizione di alzarsi vengono chiamati gli sdraiati. Le bestie viaggiano per ore o giorni lungo i percorsi autostradali, senza soste, nutrimento e acqua. Al termine del viaggio, gli animali ancora sani e in grado di muoversi vengono fatti scendere nel recinto di raccolta di giganteschi mattatoi. Gli sdraiati, ovviamente, aspettano per ore prima di essere scaricati dal camion: nonostante, spesso, soffrano terribilmente, solo di rado sono sottoposti a eutanasia o anestetizzati, e questo per evitare che si trasformino in una carcassa persa e in costi aggiuntivi. Sovente, schiacciati sul piano di carico del camion, incapaci di alzarsi o di camminare, vengono agganciati per gli arti rotti e trascinati gi dal camion fino alla rampa di carico, dove attendono il proprio turno di macellazione; gli animali che muoiono durante il viaggio vengono ammucchiati in quella che viene chiamata la pila dei morti. Alcuni degli impianti pi moderni, come quello di Holcomb, in Kansas, di propriet della Iowa Beef, coprono pi di cinque ettari di superficie (25). I vitelli entrano nel macello in fila. Appena entrati, vengono uccisi con una pistola pneumatica; mentre l'animale crolla a terra, un inserviente gli aggancia rapidamente una catena a uno degli zoccoli posteriori. L'animale sollevato meccanicamente dal pavimento e lasciato appeso a testa in gi. Uomini con tute da lavoro intrise di sangue e muniti di coltelli dai lunghi manici, tagliano a ciascuno la gola, infilando profondamente la lama nella laringe per uno o due secondi, e recidendo la vena giugulare e l'arteria carotidea quando la estraggono; il sangue schizza sul pavimento, imbrattando uomini e macchine. Un giornalista ha descritto la scena: Il pavimento una pozza di sangue ... il sangue ribolle e si coagula in pozze profonde alcuni centimetri. Il fetore aggredisce le narici. Gli uomini si muovono in quel lago di sangue; ogni sera, tutta quella poltiglia disgustosa viene lavata via... (26). L'animale morto si muove lungo una catena di smontaggio. Alla prima stazione viene scuoiato: la pelle viene incisa lungo la linea centrale del ventre e una macchina scuoiatrice lo libera dal suo involucro, lasciando la pelle intera. Poi la carcassa viene decapitata, la lingua tagliata e rimossa; la testa e la lingua vengono attaccate a ganci che scorrono lungo la catena di smontaggio. La carcassa, quindi, viene eviscerata: fegato, cuore, intestini e altri organi interni vengono rimossi. Dopo la rimozione delle viscere, nella stazione successiva, la carcassa viene squartata con una motosega lungo la colonna vertebrale, e privata della coda. La carcassa squartata viene lavata con un getto di acqua tiepida, avvolta in un tessuto e mandata nelle celle frigorifere per ventiquattro ore. Il giorno seguente, i macellai muniti di seghe a nastro smembrano la carcassa nei tagli canonici: filetto, costata, girello, spalla eccetera. I tagli vengono posti su un nastro trasportatore per la selezione e il confezionamento. I tagli di carne, affettati, pesati e confezionati sotto vuoto, raggiungono cos i banchi refrigerati dei supermercati di tutto il paese, dove vengono esposti e offerti in vendita. 2. DEI E DEE. Nel mito e nella leggenda, nel folklore e nella scienza, gli animali, sono stati i nostri modelli pi affidabili: ci hanno fornito metafore e capri espiatori. L'evoluzione della coscienza umana inseparabile dai mutamenti intervenuti nella relazione fra l'uomo e gli altri animali. In un universo altrimenti desolato, la natura vivente stata per l'uomo un gigantesco specchio a cui affidarsi per conoscere se stesso: in altre parole, e in senso pi ampio, nel corso dei millenni, l'uomo ha plasmato la propria identit in riferimento agli altri animali. Per la nostra specie, la straordinaria diversit della vita animale sulla terra ha rappresentato, e continua a rappresentare, un costante punto di riferimento: osserviamo continuamente i movimenti degli animali, i loro comportamenti, i loro rapporti, le loro idiosincrasie e, nel farlo, scopriamo

noi stessi. Da sempre gli uomini proiettano i propri bisogni, le proprie ansie e aspirazioni sul regno animale; in questo senso, profondamente reale, l'uomo si plasmato a immagine e somiglianza della natura, pur non cessando mai di cercare di modellare la natura a propria immagine. Fra i milioni di animali che vivono e interagiscono con l'uomo, una specie ha giocato un ruolo centrale e unico nell'odissea umana. Il toro e la vacca - la specie bovina - ci hanno accompagnato fin dagli albori del nostro soggiorno terrestre: il loro destino e il nostro si sono intrecciati in infiniti modi, e in ogni momento critico dell'evoluzione della civilt umana; ci siamo riconosciuti in loro e li abbiamo usati per creare la nostra cultura: la civilt occidentale fondata, almeno in parte, sulle robuste spalle di tori e vacche. Il toro , da sempre, simbolo di mascolinit. Rappresenta la forza generatrice, la potenza feroce, il dominio e la protezione. E' il pi territoriale fra gli animali, passionale e aggressivo, vera incarnazione della potenza fertilizzante. Il toro energia pura, senza freni: dotato di forza formidabile, senza paura, irriducibile e punta dritto allo scopo. La vacca una delle creature pi dolci e sublimi della terra, l'incarnazione della pazienza: le sue enormi mammelle sono a disposizione del mondo intero, per offrire nutrimento. D nutrimento ed , a sua volta, nutrimento; donatrice di vita. E' autonoma, pacifica, serena, determinata e tranquilla. La mucca purezza e rappresenta le forze del bene e della benevolenza nel mondo. I bovini dei giorni nostri discendono da due antenati selvatici, il gigantesco uro, presente in Asia occidentale, Nordafrica ed Europa, e il pi piccolo "highland shorthorn". L'uro, antenato della maggior parte delle attuali razze bovine, era una creatura colossale, alta anche pi di due metri alla spalla e con un imponente paio di corna a lira (1). Pi di qualsiasi altro soggetto, i bovini figurano nelle rappresentazioni pittoriche che costituiscono i primi documenti storici di cui disponiamo. Le pitture nelle grotte di Lascaux, in Francia, e altre pitture rupestri sparse in Europa e in Medio Oriente, mostrano immagini di giganteschi uri in corsa, o stesi a terra, feriti da frecce e lance (2). La spiritualit dei primi esseri umani era in gran parte legata ai bovini. Rituali primitivi, fra cui la drammatizzazione della caccia ai grandi ungulati, erano molto diffusi. Attraverso canti, danze e costruzioni di miti, l'uomo e la donna paleolitici cercarono di fare propri lo spirito e il corpo dei bovini. I nostri antenati veneravano la mascolinit e la femminilit di queste creature, e tentavano di assumerne lo spirito cibandosi della loro carne. La nostra relazione con la vacca sempre stata sacra e secolare insieme, spirituale e strumentale. Nel suo rapporto con il bovino, l'uomo paleolitico potrebbe aver percepito le proprie possibilit di crescita. Il toro e la vacca rappresentavano la luce e l'ombra dell'esistenza umana, la giustapposizione di energia e materia, di virilit e fertilit, il potere della morte, la rinascita e il rinnovamento: i temi che avrebbero spinto l'uomo a rivolgersi al cielo, alla ricerca del proprio posto nello schema dell'universo. Nello stesso tempo, la relazione dell'uomo con il bovino aveva anche un aspetto assolutamente prosaico: questi grandi animali selvaggi erano fonte di carne; le loro ossa potevano essere trasformate in ami da pesca, arpioni e punte di lancia; la loro pelle poteva essere conciata e trasformata in tenda, imbarcazione e abito. I bovini sono sempre stati considerati fra gli animali pi utili. I bovini vennero addomesticati per la prima volta in Mesopotamia, per essere utilizzati prevalentemente per i sacrifici animali nelle cerimonie religiose. Il popolo sumero venerava il dio toro Enlil, signore delle tempeste, e la sua sposa, la dea vacca lunare Ninlil. Le inondazioni del Tigri e dell'Eufrate, che ogni anno giungevano benefiche a fertilizzare la terra, venivano interpretate come conseguenza dell'unione delle due potenti divinit. Presso questa societ che venerava la dea vacca lunare, si diceva che le corna dei bovini rappresentassero la falce della luna e si riteneva che avessero un potere magico. E' interessante notare che sono stati proprio i bovini i primi animali a essere aggiogati e utilizzati per trainare. In Mesopotamia, le funi del traino venivano legate direttamente alle corna della bestia - proprio a causa del loro potere magico - e agganciate a slitte e carri utilizzati durante

le processioni religiose (3). In epoca pi tarda, i sacerdoti conducevano i bovini addomesticati a correre nei campi, convinti che il loro divino potere fertilizzante garantisse l'abbondanza dei raccolti. Anche molto tempo dopo che l'aratro trainato dal bove era utilizzato per dissodare il terreno, la credenza popolare continu ad attribuire alle qualit magiche delle corna dell'animale il successo del raccolto annuale. Un antico inno rende omaggio al bove: Il grande toro, il toro supremo che calpesta il pascolo sacro ... semina il grano e rende lussureggianti i campi (4). Nella storia del mondo occidentale, l'aratro a traino animale pu essere considerato il primo utensile indipendente dall'energia umana. Il fatto che questo uso assolutamente strumentale dell'animale sia pregno di significati religiosi testimonia la complessa natura del complesso bovino e dell'antica dicotomia presente nella natura dell'uomo, da una parte spirituale, contemplativa, concentrata sulla trascendenza; dall'altra carnale, terrena, concentrata sullo sfruttamento della terra. Oggi, pensiamo ai bovini in termini di bistecche e hamburger, latte e formaggio, gelatina e borsette di lusso e scarpe made in Italy. La nostra percezione dell'animale riflette l'inclinazione pragmatica del nostro tempo. Per molti potr rappresentare, quindi, una sorpresa scoprire che gran parte dell'esperienza religiosa occidentale, da prima della storia scritta fino all'era cristiana, stata dominata da di taurini e dee vaccine: dal culto del bovino. Anzi, persino la liturgia giudaico-cristiana stata influenzata dai grandi culti bovini: un fatto troppo a lungo ignorato dagli storici. Nel suo "The Horn and the Sword", Jack Randolph Conrad rileva le influenze dei culti bovini mediorientali nei secoli che hanno preceduto la venuta di Cristo. Dall'Egitto, afferma Conrad, il culto bovino si diffuse lungo il corso del Nilo, in tutto il Nordafrica e perfino nell'Africa orientale e a sud, fino agli attuali Zimbabwe e Repubblica Sudafricana, dove, ancora oggi, al centro della vita spirituale e secolare delle trib. In Africa, fra i banyankole, quando il re muore, il suo corpo viene lavato con latte vaccino e lasciato poi ad asciugare, avvolto nella pelle di una vacca uccisa per l'occasione. Quando i giovani delle trib masai vengono circoncisi, si chiede loro di dimostrare coraggio e forza afferrando un toro per le corna; nelle cerimonie nuziali dinka, il promesso sposo spalma sul seno della futura moglie il contenuto dello stomaco di un toro che ha ucciso con le proprie mani per propiziarne la fertilit. In occasione di una nascita, la testa, il collo e il petto di ciascun figlio vengono cosparsi del sangue di un toro appena ucciso, la carne del quale viene consumata dalla famiglia riunita (5). Presso gli zulu, i neonati vengono impiastrati di sterco bovino; e il primo regalo che ricevono una collana fatta con i peli della coda di una mucca. Nell'era precristiana, i culti bovini erano diffusi nel Mediterraneo settentrionale, in regioni che oggi comprendono Giordania, Siria, Libano e Israele. Nella terra degli ittiti, il toro selvatico era il dio supremo che governava la pioggia, il tuono e la folgore. Questo dio ittita del clima aveva nomi diversi: Teshub, Adad, Ramman e Sandas. In Palestina, il dio toro era conosciuto come Baal, quello che muggisce e ruggisce: era, insieme, dio delle tempeste e della fertilit. Il dio toro del Mediterraneo era accompagnato da una dea vacca: Astarte. Insieme, governavano su tutto il creato. I mercanti fenici diffusero il culto di Baal fino alle colonie pi distanti, a ovest e a nord, raggiungendo la Grecia, l'Italia e la Spagna. L'influenza del culto bovino tra i fenici era forte al punto che la prima lettera del loro alfabeto, quella che poi sarebbe diventata la A, era l'immagine pittografica di una testa di toro. Anche i primi ebrei adoravano il toro, a volte riferendosi a lui come al toro di Giacobbe. Conrad afferma che solo nelle trascrizioni pi tarde dell'Antico Testamento la parola il Divino ha sostituito la parola il Toro delle prime versioni. Dopo l'esodo dall'Egitto, gli ebrei erano ancora fortemente legati al culto bovino, al punto che furono ammoniti da Mos, sceso da Monte Sinai, affinch si astenessero dall'adorare il vitello d'oro. Nel Libro dei Numeri, gli ebrei alludono al dio toro che li aveva liberati dal faraone e li aveva condotti alla terra promessa: Dio, che lo ha fatto uscire dall'Egitto, per lui come le

corna del bufalo (6). Molti riferimenti artistici posteriori raffigurano Mos come incarnazione del dio toro ebreo. Il Mos di Michelangelo, nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma, raffigura il liberatore del popolo ebraico con le corna. Dopo essersi stabiliti a Canaan, gli ebrei, un tempo nomadi, fusero la religione di Yahweh con il culto locale di Baal: nella transizione da popolo nomade e guerriero a popolazione stanziale e contadina, il culto del toro come simbolo di forza si trasform in quello del toro come simbolo di virilit. Conrad sottolinea la progressiva ibridazione delle pratiche religiose degli ebrei a opera dei culti di adorazione del toro dei canaaniti. Durante il regno di Salomone, il tempio sacro era adornato di tori di bronzo e di sculture di uomini con le corna. Pi a occidente, in mezzo al Mediterraneo, nell'isola di Creta, l'antica civilt minoica adorava un dio toro, identificato con il sole. I minoici battevano monete speciali, con l'effigie del toro circondata da raggi di luce. Nel palazzo di Minosse, spesso il re era travestito da toro e la regina da vacca: eseguivano danze rituali, alcune delle quali culminavano in rapporti sessuali simbolici, che avevano lo scopo di garantire la fertilit della terra e l'abbondanza dei raccolti. Nella reggia di Cnosso, le pareti erano decorate con affreschi raffiguranti giganteschi uri. In battaglia, i guerrieri cretesi indossavano elmi cornuti che si credeva rafforzassero il loro coraggio. Nelle arene si tenevano spettacoli in cui atleti specificamente addestrati si confrontavano con un toro: quando il toro caricava, lo afferravano per le corna e si facevano scagliare in alto, per atterrargli, in piedi, sulla schiena, dopo aver compiuto un aereo volteggio. A queste cerimonie atletiche sacre assistevano enormi folle di spettatori, nella convinzione che, attraverso il rituale, una parte della forza e della potenza del toro passasse agli uomini. In altre cerimonie pubbliche, un toro veniva ucciso e la sua carne mangiata cruda, affinch i partecipanti assumessero le qualit sovrannaturali di virilit e forza della bestia. A Creta, come nella terra dei sumeri, in Egitto e presso altre culture bovine, il dio toro veniva sacrificato perch gli uomini potessero vivere. La morte liberava lo spirito del toro, che poteva rivivere nel corpo dell'uomo che si era cibato delle sue carni. La divinit taurina una figura preminente anche nella societ greca. Dioniso, dio della vita e della fertilit, era detto toro cornuto o Figlio della Vacca (7). Nei rituali dionisiaci, i devoti si riunivano segretamente, la notte, sulle montagne, per superare simbolicamente i vincoli della civilt: indossando corna bovine, i celebranti volteggiavano su se stessi fino al parossismo; nel mezzo di questa selvaggia danza di eccitazione fisica, un giovane toro veniva portato in mezzo a loro; aggredendolo a mani nude, i celebranti lo smembravano, imbrattandosi le mani e il corpo di sangue; quindi, divoravano la sua carne cruda, ancora calda, gridando e saltando fino al sorgere del sole. I seguaci del culto di Dioniso ritenevano che, consumando la carne del toro, sarebbero diventati simili agli di, e che il sangue del toro santificasse e benedicesse loro e la loro terra. Italia significa terra delle vacche. Quando i popoli della penisola si riunirono per contrastare l'avanzata di Roma, combatterono sotto la protezione di di dalle sembianze bovine e, come avveniva in altre terre, scesero in battaglia con elmi adorni di corna. Gli archeologi hanno scoperto monete del periodo effigianti il dio toro italico, Marte, signore della guerra, vincitore accanto alle spoglie della dea lupa di Roma (8). A met del primo secolo a.C., il culto bovino penetr nella cultura romana. Il culto di Mitra era un amalgama di diversi culti bovini praticati in Medio Oriente, Nordafrica e Asia Minore. Originariamente, Mitra era un'antica divinit ariana, dio della luce; ma gi in epoche remote, il culto solare si era fuso con i pi popolari culti bovini dell'epoca. Mitra veniva spesso definito signore dei pascoli selvaggi. Era il dio della vita, della fecondit. Saggio e puro, questo dio di purezza e di bont combatteva le forze del male. Alla fine del secondo secolo, il culto mitraico fu dichiarato religione ufficiale di Roma: all'epoca, era assai pi diffuso dell'allora neonato culto cristiano. Il culto bovino permeava quasi ogni aspetto della vita romana: quando una giovane coppia si scambiava il voto di matrimonio, all'altare la sposa dichiarava: Dove tu sei

toro, io sono vacca (9). Il grande mito mitraico dell'uccisione rituale del toro esercitava un fascino particolare sui soldati romani, che lo diffusero in ogni angolo dell'impero. Secondo il mito, Mitra aveva ricevuto l'ordine divino di uccidere il toro primordiale. Dopo numerosi fallimenti, alla fine vi riusc; alla morte della bestia fecero seguito una moltitudine di miracoli: Dal corpo del toro fiorirono tutte le piante e le erbe oggi note all'uomo. Dalla sua colonna vertebrale nacque il frumento, sostentamento della vita umana, e dal sangue nacquero la vite e il vino, sacra gioia della vita (10). Le forze del male, invidiose dei doni che l'uomo si era procurato, mandarono i loro demoni a impossessarsi della carcassa. Ma, come narra la leggenda, l'assalto da loro sferrato ai genitali del toro produsse un nuovo miracolo: il seme taurino si sparse, fu raccolto dalla luna e germin tutti gli animali utili della terra. L'anima del toro, quindi, sal al cielo e divenne guardiana delle greggi. I discepoli del culto mitraico venivano battezzati in feste speciali. I battezzandi si affollavano in una fossa, sopra cui si trovava un toro. Il sacerdote celebrava il mito mitraico che culminava con l'uccisione del toro: a quel punto i novizi levavano il volto verso l'animale morente il cui sangue colava sul loro corpo e nella loro bocca. Dopo essere stati purificati dal sangue sacro, a ognuno veniva somministrata una piccola dose di seme estratto dai testicoli del toro, che avrebbe garantito l'immortalit nel giorno del giudizio, quando il sacro toro dei tori scender sulla terra e Mitra riporter tutti gli uomini alla vita (11). Il mitraismo presenta diversi elementi comuni con il cristianesimo, fatto che rese le due religioni fortemente concorrenti: entrambi i culti affermavano la dualit di bene e male; entrambi sostenevano l'esistenza di un paradiso e di un inferno, e la salvezza eterna di chi era battezzato nella fede. Se l'imperatore Costantino non si fosse convertito alla fede cristiana, il culto mitraico avrebbe trionfato. Per questo, i ministri del culto cristiano si appropriarono di numerosi rituali mitraici, allo scopo di guadagnare maggiore seguito popolare. Conrad afferma che la cristianit ha assunto il bagno nel sangue, lavacro di tutti i peccati, dal culto mitraico, sostituendo il sangue di Cristo morente a quello del toro. La religione cristiana si appropri anche del giorno sacro a Mitra: il 25 dicembre, che celebrava la nascita del sole, divenne il giorno della nascita di Cristo. E, come finale colpo di grazia, i cristiani trasformarono il toro mitraico nel simbolo delle tenebre: il dio della religione avversa divenne incarnazione del diavolo. Nel 447 d.C., al Concilio di Toledo, la chiesa pubblic la prima descrizione ufficiale del demonio. Secondo i prelati, il demonio un'enorme, mostruosa apparizione nera, con corna sulla testa, zoccoli fessi - o un solo zoccolo fesso - orecchie d'asino, pelosa e unghiuta, con occhi lampeggianti, zanne terribili, un fallo immenso e odore di zolfo (12). 3. COWBOY DEL NEOLITICO. Se molto si sa dei culti bovini anticamente diffusi nel Medio Oriente, in Nordafrica e in Europa, minore attenzione stata dedicata dagli antropologi a un'altra area di influenza bovina, emersa autonomamente, a migliaia di chilometri di distanza, nelle sterminate praterie dell'Eurasia: un'area compresa, a occidente, fra Europa orientale e Ucraina, e, a oriente, fra Mongolia e Manciuria. Le orde delle steppe vivevano di rapine e razzie: avevano grande mobilit, erano molto combattive e istintivamente portate a espandersi; seguirono le praterie verso sud, fino all'India; a oriente, fino al cuore della Cina; a settentrione, nella penisola scandinava, e a ovest, fino a raggiungere la Spagna e le Isole britanniche.

Erano i grandi invasori, i temuti cavalieri del Nord che, a ondate successive, condussero in Europa enormi mandrie di bovini, distruggendo e sottomettendo i villaggi delle piccole e pacifiche comunit neolitiche del mondo antico. Gli di in grado di proteggere i barbari cavalieri delle steppe nelle loro sortite in terre lontane, erano divinit che governavano il clima, rapide e sfrenate come le orde dei nomadi. Queste divinit erano in netto contrasto con gli di dalle sembianze bovine del Medio Oriente, del Nordafrica e dell'Europa, che si occupavano principalmente delle coltivazioni di cereali ed erano adorati pi per le loro qualit generative che per gli attributi guerreschi. Gli di delle orde erano i garanti della vittoria e del bottino; gli di degli agricoltori erano i garanti delle alluvioni primaverili e del raccolto autunnale. Le divinit dei nomadi erano mobili e umorali; quelle degli agricoltori, sedentarie e prevedibili come il mutare delle stagioni. Gran parte della storia occidentale il racconto della rivalit fra i due gruppi: da una parte, i nomadi, dall'altra, gli agricoltori; i primi dipendenti dal pascolo; i secondi, dai cereali. Entrambi rendevano omaggio alla divinit bovina, anche se al medesimo simbolo attribuivano diversi caratteri. Le due tradizioni spesso interagivano, l'una temperando la visione del mondo dell'altra. Il loro rapporto stato tempestoso, costellato di scontri e capitolazioni. Lo scontro fra i nomadi dell'orda e i lavoratori della terra ebbe inizio circa 6000 anni fa, quando, per la prima volta, i nomadi delle steppe eurasiatiche incontrarono gli agricoltori neolitici europei. La cultura europea risale a ben prima del quinto millennio avanti Cristo. Piccole comunit rurali e urbane si diffusero nel continente, risalendo dalle coste del Mediterraneo e dell'Egeo, attraverso l'Italia e l'Europa centrale, e lungo il corso del Danubio, verso i Balcani orientali; prevalentemente agricoltori, con modeste attivit pastorali secondarie, questi primi abitanti d'Europa sembravano condurre un'esistenza pacifica. Secondo Marija Gimbutas, queste societ erano egalitarie e matriarcali, e ci sono prove minime - ammesso di volerle considerare tali - dell'esistenza di fortificazioni e di armi presso queste civilt (1). Le comunit rurali europee erano esperte nella lavorazione del rame. La tecnologia artigianale era avanzata e i tesori archeologici del periodo rivelano una cultura artistica gi solida: le pitture vascolari, le terrecotte e le piccole sculture erano mature nella concezione e sofisticate nell'esecuzione. Ci sono prove che suggeriscono un forte interesse verso gli ornamenti, in massima parte di carattere religioso. Su minuscoli vasi, ma anche su piatti e ciotole, possibile identificare una forma rudimentale di scrittura, lasciando aperta l'ipotesi di una sua fioritura in ambito europeo, precedente di quasi 2000 anni quella sumera (2). A partire dal 4400 a.C., l'Europa stata travolta da successive ondate di invasioni dall'Oriente. Le orde nomadi delle steppe eurasiatiche sciamarono nell'Europa orientale e meridionale, sconvolgendo la tranquilla vita rurale che aveva prosperato per alcune migliaia di anni. Si ritiene che gli invasori, noti come popolo kurga, discendessero da una cultura agropastorale che aveva coltivato e sfruttato i pascoli ai confini delle steppe eurasiatiche, nell'area dell'attuale Ucraina (3). Diventata improduttiva la terra, a causa di tecniche di pascolo primitive e inefficaci, furono costretti a spostarsi con le loro piccole mandrie, nelle terre marginali, sempre pi a oriente, dove continuarono a praticare l'agricoltura e la pastorizia. Durante la loro progressiva migrazione a est, per un certo periodo si insediarono ai piedi dalla catena degli Urali. Sull'altro versante della possente catena montuosa russa si trovavano le sterminate pianure della steppa eurasiatica, un vasto oceano di pascoli vergini, ancora inaccessibili, quindi non sfruttati dall'uomo (4). L'addomesticamento del cavallo mut la situazione, aprendo le pianure dell'Eurasia al pascolo bovino. L'introduzione delle mandrie bovine nei pascoli eurasiatici segn l'inizio di un viaggio di conquista e di dominazione della pastorizia, oggi estesa agli altipiani dell'Ovest americano, alla foresta tropicale del Centroamerica e Sudamerica, e alle aride pianure del continente australiano. Il popolo kurga fu il primo ad allevare cavalli e a addomesticarli per poterli

cavalcare. Questi primi cavalieri delle grandi pianure si dimostrarono una forza formidabile nella storia dell'umanit: dall'alto delle proprie cavalcature, potevano governare grandi mandrie di bovini in aree molto vaste. Con l'aiuto dei cavalli, i kurga conquistarono le steppe dell'Eurasia, creando il primo grande impero nomade della storia del mondo. Il cavallo diede ai kurga anche uno straordinario vantaggio militare che, nei secoli successivi, permise loro di dominare gran parte dei territori dell'Eurasia. Il periodico ripetersi di siccit nelle pianure eurasiatiche spinse i kurga a migrare di nuovo a occidente, verso l'Europa, e a sud, verso l'India e la Persia, alla ricerca di pascoli fertili. La prima ondata di invasioni nell'Europa orientale e meridionale, fra il 4400 e il 4300 a.C., fu seguita da un secondo assalto all'Europa centrale, fra il 3400 e il 3200 a.C., e da una terza ondata, che percorse l'Europa occidentale e la Scandinavia, fra il 3000 e il 2800 a.C. (5). Le culture dell'ascia da battaglia furono le prime grandi culture di frontiera del mondo occidentale (6). Come per i cowboy americani del diciannovesimo secolo, la loro superiorit militare si fondava sul cavallo, la loro ricchezza si misurava in capi di bestiame e il terreno delle loro scorrerie erano le pianure semiaride della zona temperata. Nel primo secolo a.C., le successive ondate di invasioni nomadi diffusero l'influenza kurga su quasi tutta l'Europa, sull'India, la Persia e, a oriente, su parte della Cina. E anche in quest'ultimo paese, pur non riuscendo a imporre la loro cultura, le invasioni kurga spesso riuscirono, seppur solo marginalmente, a esigere tributi e a garantirsi benefici temporanei. Nel dodicesimo e nel tredicesimo secolo, Gengis Khan e, in seguito, suo nipote ed erede Kubilay dominarono per qualche tempo su buona parte della Cina, dopo aver costretto la dinastia Sung a ritirarsi nella citt di Hangchow, poi capitolata alle orde mongole delle steppe asiatiche (7). In tremila anni di invasioni e conquiste, l'influenza kurga trasform l'Europa. I popoli della steppa portarono in Europa il cavallo e la cultura dell'allevamento bovino, ma anche l'ideologia e gli strumenti della guerra. La ricerca archeologica ha rivelato la turpe testimonianza dell'impatto delle invasioni kurga: la fine improvvisa di una civilt contadina molto avanzata e pacifica (8). A partire dal quarto millennio a.C., asce da battaglia e daghe hanno preso il posto di sculture e vasellame decorato; quando, nel quinto secolo, le orde unne di Attila annientarono Roma e conquistarono la Francia e l'Europa occidentale, secoli di terrore avevano gi completamente trasformato l'Europa (9). La gente delle steppe non ha lasciato grandi monumenti n opere d'arte n una lingua scritta a rammentare imprese e conquiste. Forse per questo che, fino a tempi molto recenti, la sua influenza sulla civilt occidentale stata praticamente ignorata dagli storici, che hanno preferito occuparsi dell'eredit culturale di civilt come quella sumera e quella imperiale romana (10). Il popolo kurga introdusse in Europa l'allevamento su vasta scala e una tecnologia militare superiore, ma anche un nuovo concetto di sicurezza: un concetto che avrebbe trasformato gli europei nei grandi colonizzatori della terra nell'era moderna. I kurga misuravano la sicurezza in termini di velocit e mobilit; in questo senso, si differenziavano dai popoli del Medio Oriente e del Nordafrica che vivevano sulla coltivazione dei cereali, oltre che da quelli delle piccole comunit rurali europee. Nelle societ agricole, la sicurezza discende da un profondo senso di appartenenza al territorio: il suolo un luogo consacrato, un riparo sacro, protetto dagli di e tutelato dagli spiriti degli antenati. La terra conferisce responsabilit, lega ogni generazione in una rete di obblighi e impegni di carattere sacro. In una societ agricola, l'appartenenza attaccamento alla terra, al mutare delle stagioni, all'eterno ciclo di nascita, crescita, morte e rigenerazione. I kurga non avevano legami di sorta con il territorio. La terra era qualcosa da conquistare, possedere, sfruttare; il suo valore era strategico ed economico, non sacro o intrinseco. Il loro senso di identit era interiore, legato alle armi, al bestiame e alle poche cose che potevano portare con s. Il popolo nomade delle steppe era portatore di una nuova coscienza di s: fieramente indipendente, militarista, scissa dalla terra, aggressiva e utilitaristica. Con

il passare dei secoli, la loro visione del mondo e il loro patrimonio genetico si fusero con quelli dei popoli sottomessi, creando una peculiare commistione di sensibilit europea e irrequietezza eurasiatica. Se la coscienza di s dei kurga contribu a preparare il terreno psicologico su cui avrebbe attecchito l'era moderna, fu il bestiame dei kurga a preparare il terreno economico su cui avrebbero attecchito il capitalismo moderno e il colonialismo. Il termine inglese che indica il bestiame, cattle ha la stessa radice etimologica di capitale. In molte lingue europee, la parola che significa bestiame sinonimo di beni mobili e immobili e di capitale (11). Bestiame significa propriet. Wilfred Funk, nel suo "Word Origins and Their Romantic Stories", sottolinea come nella lingua inglese, fino a tutto il sedicesimo secolo, si sia parlato di goods and cattals [beni e bestie] anzich di goods and chattels [beni e ricchezze materiali] (12). In spagnolo la parola "ganado" significa bestiame, ma anche propriet e guadagno (13). Anche la parola latina per moneta, "pecunia", deriva da "pecus", che significa gregge (14), Il bestiame stato una delle prime forme di ricchezza mobile, un'attivit patrimoniale che potesse essere utilizzata come normale mezzo di scambio fra popoli e culture. Tanto gli imperi cerealicoli del Medio Oriente e del Nordafrica, quanto le culture marinare del Mediterraneo commerciavano bestiame. Nella Grecia antica, spesso le famiglie davano alle figlie nomi legati alla cultura dell'allevamento bovino, cos da enfatizzare il loro valore e da attrarre pretendenti maschi: Polibia significa che vale molte vacche, Eubea significa ricca di vacche, e Pherebia che porta molte vacche (15). Sebbene il bestiame fosse considerato una forma di ricchezza tanto dai romani quanto dagli unni, furono coloro che facevano parte delle orde eurasiatiche i primi veri protocapitalisti, perch trasformarono il bestiame in un deposito di ricchezza mobile utilizzato per esercitare il potere sugli altri individui e sul territorio. L'emergere delle grandi culture occidentali legate ai bovini e lo sviluppo del capitalismo sono fenomeni strettamente connessi e interdipendenti. Per comprendere meglio come i bovini abbiano perso il proprio status divino, riducendosi al mero ruolo di capitale produttivo, necessario sondare la cultura kurga sotto la superficie, per esaminare la complessa struttura sociale di questo popolo nomade. E' nel ricco tessuto delle relazioni sociali kurga che germogliato il seme del nuovo ordine mondiale. 4. DONI E CAPITALE. La cultura kurga, e le molte che da essa derivarono, era organizzata in una gerarchia sociale che comprendeva tre distinte classi: i sacerdoti erano all'apice della piramide sociale; una classe guerriera stava al secondo livello; e il popolo, alla base della piramide. Nel suo "Priests, Warriors, and Cattle", Bruce Lincoln esamina le complicate interrelazioni fra sacerdoti e guerrieri nel complesso bovino kurga. Il ruolo primario dei sacerdoti era offrire sacrifici, sotto forma di animali, agli di kurga, per conquistare il loro favore e garantire salute e benessere alla comunit. Nelle sette indoiraniche, due divinit governavano il cosmo: Mitra, il dio che aveva riunito gli esseri umani, e Varuna, dio della magia e della legge cosmica. L'universo indoiranico era completato da un pantheon di sei o sette divinit minori. La richiesta pi frequente presentata agli di era pi uomini e pi bestiame (1). In quasi tutte le civilt indoeuropee di derivazione kurga - indiana, iranica, germanica, nordica, greca e russa - il ruolo sacerdotale ruotava intorno alla ripetizione simbolica del primo sacrificio; secondo il mito antico, il primo sacerdote, Manu, sacrific il primo re, Yemo, e il primo animale; dal corpo del bufalo primordiale sacrificato, nacquero tutte le specie animali e vegetali. La ripetizione rituale del mito, in cui ogni volta era sacrificato un bovino, permetteva ai kurga di ricreare nuovamente il mondo, alimentando simbolicamente l'infinita cornucopia delle ricchezze terrene per il popolo kurga. Offrendo

animali in sacrificio agli di, i kurga si garantivano, in cambio, il dono degli di: pi bestiame e pi uomini (2). La classe dei guerrieri aveva i propri di combattenti, che abitavano il regno celeste, ma a un livello inferiore rispetto agli di principali della casta sacerdotale. Generalmente questi di erano associati ai fenomeni meteorologici: tempeste, tuoni e fulmini. Fra gli indoiranici, Indra, il dio toro, regnava supremo fra gli di della guerra. Indra proteggeva i guerrieri, dava loro forza e valore perch sottomettessero il nemico in battaglia e conquistassero il bottino. La ricchezza veniva accumulata depredando altri uomini e le loro terre, ed era considerata un dono di Indra e degli di della guerra (3). La principale responsabilit della classe guerriera era combattere guerre ed espropriare bestiame. In sanscrito, il termine che significa battaglia "gavisti" - vuol dire, letteralmente, desiderio di bestiame, e un signore della guerra particolarmente potente veniva spesso chiamato Gopa, signore del bestiame (4). Come i sacerdoti, i membri della classe guerriera ripetevano simbolicamente il primo sacrificio, il racconto della prima razzia di bestiame; secondo questa antica leggenda indoeuropea, l'eroe, Trito, aiutato dal dio della guerra Indra, uccide il serpente a tre teste e si appropria delle sue mandrie. La sottrazione del bestiame, per, giustificata come atto di giustizia, dato che il serpente lo aveva a propria volta rubato. Il mito della razzia di bestiame stato ripetuto ritualmente per secoli e secoli, offrendo una giustificazione cosmica alla razzia del bestiame delle popolazioni autoctone dell'Europa, della Persia e dell'India. Durante i riti di iniziazione, ai giovani guerrieri veniva fatto bere uno stupefacente, la "sauma", e mangiare carne, in modo che conquistassero una forza superiore a quella del nemico. Tutte le razzie di bestiame dei kurga avevano carattere rituale: i guerrieri erano assistiti da sacerdoti specializzati nella ripetizione del mito che preparava la razzia. Secondo Lincoln, nel corso dei secoli la casta sacerdotale e quella dei guerrieri entrarono in conflitto in tutte le sette di derivazione kurga. Per i sacerdoti, il bestiame aveva importanza solo in quanto dono per compiacere gli di; quindi, per il suo ruolo sacrificale. Ci si aspettava che i guerrieri rubassero il bestiame per fornire sia i doni sacrificali agli di sia lo stock di ricchezza della comunit, ma il secondo obiettivo era subordinato al primo. Progressivamente i guerrieri cominciarono a considerare il bottino come un'attivit di valore, un capitale che potesse essere accumulato per ricavarne potere e privilegi (5). La spaccatura crescente fra sacerdoti e guerrieri sull'uso pi appropriato a cui destinare il bestiame il riflesso dell'epica lotta fra sacro e profano che ha caratterizzato tutta la storia del mondo occidentale. La casta sacerdotale rimase legata all'economia tradizionale dell'indebitamento e del dono: consideravano salute e benessere un dono degli di; si sentivano governati da forze che non potevano controllare, sempre in balia dell'autorit divina, esistenze puramente dipendenti e marginali nel quadro dell'universo. I guerrieri, invece, diventarono sempre pi sprezzanti: baciati dalla vittoria, induriti da millenni di guerre, cominciarono a considerarsi attori indipendenti, forze con cui fare i conti, dotati di diritti propri. Il bestiame era la testimonianza della loro potenza: il bestiame divenne capitale e i guerrieri, a loro volta, protocapitalisti. Sul palcoscenico del mondo si andava formando una realt economica completamente nuova, basata sullo sfrenato accaparramento, pi tardi giustificato dal puro e semplice interesse personale. In questo processo, i bovini si trasformarono in creature affatto nuove: il principio sacro di potenza generativa ispirata dalla divinit, incarnato dal bovino, fu sostituito da quello, secolare, di produttivit economica generatrice di ricchezza. La vacca, un tempo dea, si trasform inesorabilmente in merce. Questa trasformazione della relazione umanobovina si compiuta nell'arco di quattro o cinquemila anni, riflettendo l'altrettanto progressivo passaggio della coscienza europea dal sacro al secolare. Ovunque le genti delle steppe migrassero, la cultura della carne alterava il panorama naturale e psicologico. In alcuni casi, l'influenza dell'invasione kurga fu tale che continu a condizionare la sociologia e la politica di

specifiche culture fino all'era moderna. In nessun luogo questo accaduto con maggiore intensit che in India, in Spagna, nelle Isole britanniche, dove i discendenti indoiranici e celtici dei kurga hanno avuto un ruolo determinante nella definizione del carattere nazionale. In ciascuna di queste culture, specifici vincoli ecologici e condizioni storiche hanno generato complessi bovini del tutto particolari e approcci molto diversi all'era moderna. In India, il complesso bovino ha concorso alla creazione di un'organizzazione sociale statica; in Spagna e in Gran Bretagna ha contribuito a innescare i fuochi dell'espansione coloniale, spingendo alla scoperta e alla conquista del Nuovo Mondo. Comprendere il ruolo del complesso bovino in queste tre societ, cos differenti, essenziale per una vera comprensione del devastante impatto che il pascolo e la dieta carnea hanno avuto sulla popolazione umana e sull'ambiente del pianeta negli ultimi decenni del ventesimo secolo. 5. LA VACCA SACRA. I discendenti dei nomadi ariani delle steppe eurasiatiche invasero il subcontinente indiano intorno al 1750 a.C., decimando la civilt ind (1). Alla ricerca di pascoli, individuarono una nicchia ecologica ideale nella fertile valle dell'Indo e vi si stabilirono, portando con s cavalli, bestiame, armi e nuovi di. I nomadi ariani adoravano Indra, divinit taurina del temporale (2). Come abbiamo gi appreso, Indra era il toro primordiale, la cui forza e virilit veniva messa periodicamente alla prova in continui scontri con mostri della pi varia natura che gli rubavano il bestiame. Ogni volta, Indra trionfava e celebrava la vittoria fertilizzando la terra con la pioggia che, a sua volta, ingravidava le mandrie di vacche. Come i loro antenati delle steppe eurasiatiche, gli ariani si nutrivano di carne. I signori della guerra ariani riuscirono a guadagnarsi la sottomissione e l'obbedienza delle popolazioni originarie dell'India, anche grazie alla generosa distribuzione di carne bovina nel corso di cerimonie rituali e altre occasioni religiose. Dopo il 600 a.C., i signori ariani e i loro sacerdoti brahmani incontrarono progressive difficolt nel procacciare carne a sufficienza per saziare i propri solidi appetiti e appagare la popolazione sottomessa. Secondo l'antropologo Marvin Harris, la conseguenza fu che i brahmani continuarono a mangiare carne, mentre il popolo ne rimase privo; questo scaten una crisi di governo (3). Alla radice della crisi indiana della carne c' un intenso incremento della popolazione, associato a una terra in via di esaurimento, e a risorse naturali in progressiva diminuzione: un problema che si ripetuto, inevitabilmente, ovunque sia emerso un solido complesso bovino. Quando i mandriani giunsero per la prima volta in India, la densit di popolazione era bassa e la terra fertile. Gran parte della pianura del Gange era ancora coperta di foreste. Solo settecento anni dopo il loro arrivo, per, la regione era diventata la pi densamente popolata del mondo, con un numero di abitanti compreso fra i 50 e i 100 milioni (4). Gi nel 300 a.C., la foresta era stata completamente distrutta, e gran parte del territorio eroso fino al limite dell'isterilimento. Con il crescere della pressione demografica, gli appezzamenti agricoli si ridussero di dimensione e fu sempre pi difficile condividere la terra con gli animali da pascolo. Gran parte dei pascoli vennero convertiti alla coltivazione di cereali, miglio, lenticchie e piselli, per sostentare la crescente popolazione (5). Per sopravvivere, per, ogni agricoltore aveva bisogno di almeno due bufali per tirare l'aratro e di almeno una mucca per la riproduzione e il latte. La popolazione contadina non si poteva permettere di mangiare la propria unica fonte di energia motrice: senza i bufali era praticamente impossibile arare il terreno indurito dell'India settentrionale; senza la vacca non avrebbero potuto contare su nuove generazioni di bovini per lavorare i campi. Mentre il popolo si trascinava lungo la sottile linea di confine che separa la

mera sussistenza dall'inedia, vittima di siccit e inondazioni periodiche, la casta brahmana e i capi vedici continuavano ad attingere a piene mani al patrimonio bovino dell'India, consumando quantit enormi di carne ed esaurendo, cos, ulteriormente, la catena alimentare del subcontinente indiano. Ormai allo stremo, il popolo si ribell, chiedendo giustizia e contestando i governanti per la loro colpevole indifferenza. I dominatori dell'India ignorarono le proteste. Fu allora che, secondo Harris, il popolo si rivolse a una nuova setta religiosa, quella dei buddisti, che propugnavano il rispetto di tutti gli esseri viventi. La religione buddista rappresentava una rivoluzionaria novit: affrontava direttamente la penosa situazione dei poveri, condannava l'ostentazione della ricchezza e predicava la grazia salvifica dell'astinenza e della povert volontaria. Per il popolo, la nuova religione costituiva una speranza di salvezza, associata a una robusta dose di giustizia retributiva (6). Il buddismo condannava ogni uccisione, incluse le macellazioni rituali; dunque, si opponeva direttamente ai brahmani che le amministravano. L'abbattimento degli animali e il cibarsi di carne erano disapprovati da un numero crescente di piccoli agricoltori, che non potevano pi permettersi di uccidere il proprio bestiame per consumare carne, ed erano esasperati per l'arbitrario privilegio esercitato dai loro capi, che continuavano a confiscare bestiame al popolo per imbandire sontuosi festini. Secondo la leggenda, quando un buddista ramment a un brahmano che cibarsi di carne di vacca sacra sarebbe dispiaciuto agli di, che nell'animale avevano inculcato la potenza cosmica, il sacerdote rispose: Forse sar vero, nondimeno, io devo mangiarla, se la carne tenera (7). Per nove secoli, i buddisti combatterono con i brahmani ind per la supremazia sulle masse indiane (8). Gli ind, alla fine, riuscirono a prevalere, anche grazie all'adozione nella propria dottrina di numerose pratiche buddiste. La novit pi rilevante fu il cambiamento della religione brahmanica nei confronti dei sacrifici animali, con la condanna ufficiale delle macellazioni rituali. La nuova dottrina dell'"ahimsa" predicava la non violenza e considerava sacra ogni forma di vita (9). Questo fu, in effetti, un gesto estremamente significativo per una religione i cui capi discendevano dai guerrieri mandriani delle steppe. Si deve notare, a tale proposito, che la parola vedica che significa guerra ha, come abbiamo gi visto, anche il significato di desiderio di bestiame (10). Riscrivendo la propria storia e i fondamenti della propria religione, gli induisti affermarono che gli di non si cibavano realmente di carne e che i banchetti rituali a base di carne descritti nei testi sacri come il "Rig Veda" dovevano essere considerati metaforici. Nei rituali ind, la carne fu sostituita dal latte, che divenne la principale fonte di proteine della casta brahmanica, in precedenza carnivora. Gli ind andarono anche oltre, incoraggiando la venerazione delle vacche, cosa che i buddisti non avevano mai fatto. Oggi, il complesso bovino condiziona ogni aspetto della vita quotidiana ind. Attualmente, in India, ci sono circa 200 milioni di vacche, molte delle quali vagano libere per villaggi e citt (11). Tutte sono oggetto di venerazione. Gli ind credono che tutto ci che discende dalla vacca sia sacro, perch la vacca la madre della vita (12). Gandhi chiamava la vacca la madre di milioni di indiani (13). Harris descrive alcune delle numerosissime pratiche ind che coinvolgono i bovini sacri: I sacerdoti preparano un 'nettare' sacro composto di latte, cagliata, burro, urina e sterco, con cui spruzzano o irrorano le statue e i fedeli. Illuminano il tempio con lampade che bruciano "ghee", un burro chiarificato di latte vaccino. E ogni giorno lavano le statue del tempio con latte fresco di vacca. Nelle festivit che celebrano Krishna nella sua funzione di protettore di vacche, i sacerdoti modellano lo sterco vaccino, dandogli la forma dell'animale, gli versano latte nell'ombelico e gli si prostrano innanzi, sul pavimento del tempio ... In altre occasioni di festa, la gente si inginocchia a terra avvolta dalla polvere sollevata dal passaggio delle mandrie e si spalma la fronte di sterco appena deposto (14). Il complesso bovino permea anche gli aspetti pi prosaici della vita quotidiana.

I medici dei villaggi raccolgono la polvere depositata nelle impronte degli zoccoli delle vacche per farne medicamenti. Gli ind conservano orcioli di "gomutra", urina bovina, considerata un liquido sacro e utilizzata per lavare i bambini malati (15). Il governo mantiene antichi ricoveri per milioni di vacche troppo fragili o malate per vagabondare per le strade (16). Gli animali vengono alloggiati, nutriti e curati a spese dello stato. Se uno straniero mettesse in dubbio la ragionevolezza di spese cos ingenti per mantenere luoghi di cura per vacche, in un paese povero come l'India, uno stupefatto e offeso ind gli chiederebbe: Voi mandate le vostre madri al macello, quando diventano troppo vecchie? (17). I calendari ind sono illustrati con immagini di pin-up bovine. La pi popolare quella della vacca chimera: una bellissima giovane donna con il corpo di una grassa vacca bianca (18). Uccidere una vacca considerato uno dei crimini pi infami. In Kashmir, fino a qualche tempo fa, l'uccisione di una vacca era punita con la morte; oggi la pena stata limitata all'ergastolo (19). Se l'uccisione della vacca involontaria, il colpevole si deve rasare la testa e viene confinato per un mese in un pascolo, vestito della pelle dell'animale ucciso e, ogni giorno, per tutta la durata della pena, deve seguire le altre vacche e respirare la polvere sollevata dai loro zoccoli (20). Non c' da meravigliarsi che l'uccisione di una vacca venga considerata cos seriamente: gli ind credono che in ogni vacca risiedano 330 milioni di dee e di. Chiunque uccida un bovino, secondo la dottrina ind, retrocede di ottantasei trasmigrazioni e finisce al gradino pi basso della scala della reincarnazione: quello del diavolo (21). Poich gli ind vivono accanto a musulmani e ad altri gruppi religiosi che non condividono il loro rispetto per i bovini, periodicamente la convivenza degenera in aperte ostilit: disordini bovini con frequenti perdite di vite umane. Nel 1966, una rissa originata da una vacca ha lasciato sul terreno, cio sulla scalinata prospiciente il parlamento indiano, otto morti e quarantotto feriti (22). In India, la vacca pi di un oggetto di culto. In larga misura, la sopravvivenza della popolazione indiana dipende dal contributo di questi utilissimi animali. Le vacche coprono la quasi totalit del fabbisogno lattiero e caseario del paese; i buoi offrono forza motrice a 60 milioni di piccoli agricoltori, le cui coltivazioni nutrono l'80 per cento della popolazione indiana (23). Ogni anno, le vacche indiane producono tre miliardi e mezzo di quintali di sterco, met dei quali sono utilizzati come fertilizzante agricolo; il resto viene bruciato, prevalentemente per la cottura dei cibi. Harris ha stimato che lo sterco bovino provvede alle famiglie indiane l'equivalente calorico di 140 milioni di quintali di cherosene, 180 milioni di quintali di carbone, o 340 milioni di quintali di legna da ardere. Impastato con acqua, lo sterco di vacca anche utilizzato per fare i pavimenti delle capanne; ogni giorno, in tutta l'India i bambini pi piccoli seguono la vacca di famiglia nei suoi vagabondaggi quotidiani per raccogliere i suoi escrementi, preziosi per una quantit di usi domestici (24). Il pellame di vacca utilizzato dall'industria indiana della pelletteria, che la pi grande del mondo. Anche le carcasse delle vacche pi vecchie vengono vendute ai macelli e utilizzate per rifornire di carne musulmani, cristiani e aderenti ad altre religioni, i cui dettami non ne proibiscono il consumo alimentare (25). Sebbene costituiscano la fonte primaria di risorse per gran parte delle attivit economiche della popolazione rurale indiana, i bovini non entrano in competizione con l'uomo per i prodotti della terra arabile, come molti occidentali suppongono. Secondo una ricerca, meno del 20 per cento della dieta dei bovini del Bengala occidentale composto di alimenti commestibili anche per l'uomo (26). I bovini si nutrono prevalentemente di rifiuti domestici, pula, steli e fogliame. Inoltre, vengono nutriti con pasticci oleosi a base di semi di cotone e di soia, e residui di noce di cocco, non commestibili per l'uomo (27). Il complesso bovino creatosi in India riuscito a rafforzare tanto l'aspetto sacro quanto quello profano del rapporto dell'uomo con l'animale. Solo nell'Africa orientale, molte trib dedite all'allevamento nomade dei bovini

hanno mantenuto nei secoli un analogo equilibrio fra sacro e secolare. In India, ciascuno dei 700 milioni di abitanti, cio uno su otto della popolazione mondiale, vive "per" e "per mezzo di" un bovino (28). La storia della loro relazione con i bovini unica, fra quelle di derivazione ariana maturate in tutto il continente eurasiatico. Forse meglio di chiunque altro, stato Mohandas Gandhi a sintetizzare l'essenza del rapporto fra indiani e vacche: La caratteristica peculiare dell'induismo il rispetto con cui tratta la vacca. Proteggere la vacca sembra una delle pi ammirevoli manifestazioni della civilt umana. Per me, la vacca l'incarnazione del mondo infraumano: ci che permette al credente di percepire la propria appartenenza all'universo degli esseri viventi. A me pare incontestabile e ovvia la scelta della vacca per simboleggiare tale appartenenza ... la vacca un poema di compassione ... proteggerla significa proteggere tutte le creature deboli che Dio ha creato (29). Eppure, Gandhi non era ignaro dell'immensa utilit della vacca per la sopravvivenza del popolo indiano. Una volta afferm: La vacca, in India, era la migliore compagna: donava l'abbondanza; non si limitava a dare il proprio latte, ma a rendere possibile l'attivit agricola (30). Mentre l'India, nel corso dei secoli, ha continuato a venerare la vacca, nonostante il popolo la sfruttasse per sopravvivere e prosperare, in gran parte dell'Europa ci si andava orientando verso una soluzione affatto diversa. Nell'Europa centrale e occidentale, i discendenti degli ariani delle steppe sono stati costretti a seguire un percorso completamente diverso nel rapporto con i bovini: un percorso secolare che avrebbe portato alla colonizzazione del mondo e allo sfruttamento delle terre e dei popoli di diversi continenti. 6. TORERI E MACHISMO. Oggi, quando pensiamo a un toro, molto probabilmente pensiamo alla Spagna, ai fasti e alla crudelt della corrida, ai toreri e al machismo. I bovini hanno definito l'immagine del popolo spagnolo tanto quanto hanno definito quella del popolo indiano; ma, nel caso della Penisola iberica, stata l'immagine mascolina del toro a caratterizzare la storia, mentre in quello del subcontinente indiano, stata quella femminile della vacca. I bovini trovarono un terreno ideale nei pascoli semiaridi della Spagna, facendo del paese un importante punto di riferimento per i commercianti, e un'attraente preda per una lunga successione di popoli che fondavano la loro sopravvivenza sull'allevamento del bestiame. I fenici stabilirono missioni commerciali a Cadice e a Malaga, portando con s i loro bovini. Furono i mercanti del Medio Oriente a introdurre il culto di Baal nella Penisola iberica. Anche i greci giunsero in Spagna per razziare il miglior bestiame di pelo rosso e portarlo in patria, dove veniva destinato ai sacrifici. Le bestie spagnole erano sacrificate a Era, la dea vacca, moglie del dio toro, Zeus. L'influenza dei mercanti fenici, greci e cretesi fu significativa, ma limitata prevalentemente alla regione costiera mediterranea. Poi, nel 400 a.C., i nomadi celti discesero in Spagna, sottomettendo l'intera penisola. I celti portarono il culto di un feroce toro guerriero. I nuovi di bovini si fusero con le influenze precedenti del Mediterraneo e del Vicino Oriente, dando luogo allo specifico complesso bovino iberico. L'invasione romana introdusse il culto taurino mitraico, aggiungendo un nuovo elemento alle molte influenze che lentamente stavano forgiando il carattere nazionale spagnolo (1). Fra le molte vestigia antropologiche dell'epoca del culto taurino nella storia occidentale, nessuna vivida e vitale quanto la corrida spagnola. E' sopravvissuta nei secoli, nonostante i ripetuti tentativi della chiesa e della corona di allentare la sua presa sul popolo spagnolo. In particolare, la chiesa si sentiva minacciata da questo rituale, e non ha mai smesso di temere che l'influenza pagana della corrida sul popolo potesse minare la sua autorit. Ci

nonostante, la corrida ha prevalso. Il fascino di questo rituale taurino tipico della Spagna pu essere ascritto alla sua natura ibrida: una miscela di sanguinario sacrificio mitraico e di prodezza celtica fusi insieme in un'arena spagnola. Gli atti sacrificali al centro delle prime cerimonie di combattimento con i tori, a Creta, sono stati progressivamente messi da parte, nelle tauromachie romane, dalla dimostrazione di abilit e coraggio del combattente (2). Nel momento in cui le influenze romane e celtiche si fusero nelle arene spagnole, fra uomo e toro si stabil un nuovo rapporto: il torero spagnolo manteneva lo status di guerriero, ma scevro da qualsiasi forma di sacralit. Il toro non era pi sacrificato sull'altare di un dio, ma su quello dell'uomo. Nella "plaza de toros" spagnola, il sacrificio bovino - che per millenni era stato uno dei modi pi efficaci per ingraziarsi gli di - ha ceduto il passo a una battaglia simbolica fra uomo e natura, sintetizzata dalla lotta all'ultimo sangue fra toro e torero. Secoli prima che il melvilliano capitano Achab si battesse con la grande balena bianca, i "matadores" spagnoli facevano pratica nelle arene polverose delle piccole citt rurali della Penisola iberica, confrontandosi con le forze della natura in vista del nuovo ruolo che l'uomo avrebbe giocato sulla scena del mondo. Nel sedicesimo secolo, gli esploratori spagnoli esportarono l'antico complesso bovino iberico fino alle coste dell'America. I conquistatori spagnoli del Nuovo Mondo avevano una straordinaria somiglianza con le orde nomadi delle steppe eurasiatiche, che 5000 anni prima avevano conquistato l'Europa. Fin dall'inizio della moderna era coloniale, i bovini giocarono un ruolo fondamentale nel processo di confisca delle nuove terre e di sottomissione delle popolazioni indigene, proprio come lo avevano avuto nel lontano passato, quando i mandriani nomadi avevano calpestato le pianure europee. Da tempo, la carnivora Europa dipendeva dalla costanza delle forniture di spezie dall'Oriente per mascherare il gusto dolciastro della carne, non sempre freschissima (3). Spesso, spezie come pepe, zenzero, chiodi di garofano, noce moscata e coriandolo venivano aggiunte in dosi massicce alla carne, per coprire l'incipiente putrefazione (4). L'interesse verso nuove vie marittime per le isole delle spezie dell'Est, era stimolato anche dalla strategia commerciale dei turchi ottomani, la cui terra si collocava fra Europa e Oriente. Nel quindicesimo secolo, i turchi cominciarono a esercitare una progressiva pressione sul commercio internazionale delle spezie, aumentando significativamente le imposte sulle merci in partenza dai porti del Mediterraneo orientale, sotto il loro controllo, verso Venezia, all'epoca principale porto europeo. In conseguenza di questa politica, il prezzo delle spezie aument di pi dell'800 per cento (5). Anche ai nuovi, esorbitanti prezzi, gli europei erano disposti a comprare, ansiosi di assicurarsi le spezie necessarie per saziare la loro crescente voracit carnivora. Il consumo di carne, soprattutto di manzo, aument significativamente nel corso del quindicesimo secolo, in tutta Europa. La peste nera aveva ridotto la popolazione umana del vecchio continente e, nel periodo che segu, le condizioni di vita del popolo contadino e degli artigiani inurbati migliorarono per un breve periodo di tempo, dato che proprietari terrieri e mercanti furono costretti ad aumentare i salari per soddisfare i bisogni di una scarsa forza lavoro (6). Gran parte dell'aumento dei salari fin in un aumento del consumo di carne (7). Secondo lo storico Fernand Braudel, il periodo si caratterizz per le orge di carne. In Francia, afferma, carne in tutte le sue forme, bollita o arrostita, cotta con legumi e persino con pesci ... era servita alla rinfusa, 'in piramide', su immensi piatti, che in Francia erano chiamati "mets". In Germania, riferisce Braudel, un'ordinanza pubblica emessa nel 1482 disponeva che tutti gli operai ricevessero due piatti di carne per il pasto di mezzod. In Alsazia, ai contadini venivano garantiti due pezzi di manzo al giorno. Nel sedicesimo secolo, la Germania e l'Italia erano inondate di carne di bovini semiselvatici cresciuti sui pascoli della Polonia, dell'Ungheria e dei Paesi balcanici (8). A partire dalla met del sedicesimo secolo, l'aumento della pressione demografica port a un deterioramento dei pascoli, costringendo la maggior parte dei contadini europei a una dieta prevalentemente vegetariana. E, forse, non

solo una coincidenza che, alla met del diciassettesimo secolo, quasi met dei giorni dell'anno fossero di magro, secondo il calendario delle chiese inglesi e francesi (9). La carne rimase un alimento scarso fino a buona parte del diciannovesimo secolo, quando il miglioramento dei trasporti marittimi e le moderne tecniche di conservazione, refrigerazione e inscatolamento permisero a massicci volumi di carne di manzi allevati in Nordamerica e Sudamerica di arrivare sulle tavole degli operai e della piccola borghesia urbana europea. Ma durante il periodo critico a cavallo fra quindicesimo e sedicesimo secolo, quando il consumo di carne era ancora in forte aumento, come lo era il prezzo delle spezie, la possibilit di assicurarsi nuove rotte marittime per le isole delle spezie era uno degli argomenti di conversazione preferiti di mercanti ed esploratori, ansiosi di trovare un modo per aggirare le esose tariffe doganali imposte dai turchi. Fra chi nutriva speranze di trovare una nuova via delle spezie, c'era un giovane genovese, Cristoforo Colombo. Casualmente, Colombo era entrato in possesso di un libro scritto da Marco Polo, l'esploratore veneziano, che in toni favolosi raccontava di un viaggio di ritorno dall'Oriente attraverso le isole delle spezie. Polo, che grazie a quel viaggio era diventato ricchissimo, scriveva della gran quantit di zenzero, galanga, spigo e molte altre qualit di spezie (10). Colombo fu affascinato dal racconto di Polo e scrisse il proprio nome sul risguardo del volume. Determinato a raggiungere le isole delle spezie dell'Est, Colombo riusc a persuadere la regina Isabella di Castiglia a finanziare una spedizione. Non giunse mai alle isole delle spezie, ma scopr i Caraibi. Nei tre viaggi successivi verso l'America, rimase convinto di avere attraversato i mari e raggiunto l'India. Battezz, perfino, indiani gli indigeni, sperando, anche quando ormai non era pi lecito sperare, di avere scoperto la scorciatoia per l'Oriente (11). Colombo fall nella missione di individuare una nuova rotta per le isole orientali delle spezie, ma, involontariamente, scopr qualcosa di molto pi importante: foreste vergini, pianure e vaste praterie che coprivano due continenti. Alla ricerca di spezie per migliorare il sapore della carne, Colombo scopr nuovi pascoli per il bestiame. Oggi, a cinquecento anni di distanza, vaste porzioni del Nord, del Centro e del Sudamerica sono riservate all'allevamento di quattrocento milioni di capi di bestiame, che soddisfano la domanda della ricca popolazione carnivora dell'Europa occidentale, degli Stati Uniti e del Giappone (12). Colombo fu il primo a introdurre i bovini nel Nuovo Mondo. Nel suo secondo viaggio, il 2 gennaio 1494, l'esploratore gett l'ancora nei pressi di CapHatien, ad Haiti, e fece sbarcare 24 stalloni, dieci giumente e un numero imprecisato di vacche. Come annota lo storico David Dary, questi animali e la loro progenie erano destinati a cambiare il volto del Nuovo Mondo e ad avviare una rivoluzione di impatto equivalente a quello della rivoluzione industriale, quasi tre secoli dopo (13). 7. LA BOVINIZZAZIONE DELLE AMERICHE. "Conquistadores" e missionari spagnoli erano determinati a creare una Nuova Spagna sulle coste americane. Per raggiungere questo obiettivo, si diedero a fertilizzare il Nuovo Mondo con bestiame spagnolo, sperando di stabilire un complesso bovino iberico nelle Americhe. La situazione nella madrepatria incentivava il processo. Nel sedicesimo secolo, in Spagna, l'allevamento bovino era in piena crisi: per fare posto ai pascoli erano state abbattute foreste, ma la crescente domanda di carne, sego e pellami aveva ulteriormente messo sotto pressione il territorio; la conseguenza fu una progressiva desertificazione (1). La coincidenza propizia dell'impoverimento dei pascoli iberici e della scoperta di praterie vergini nelle Americhe, si dimostr irresistibile. I resistenti e mobilissimi bovini spagnoli dalle lunghe corna erano i soggetti

ideali per le selvagge condizioni del Nuovo Mondo. I galeoni spagnoli cominciarono, cos, a trasportare carichi di bovini nelle Indie Occidentali: a Puerto Rico, in Giamaica, a Cuba e su altre isole. Il bestiame era lasciato brado e, in pochi anni, super numericamente la popolazione umana delle isole (2). Nel Cinquecento, Gregario de Villalobos guid una spedizione spagnola sulla terraferma messicana, nella zona dove oggi sorge Tampico, portando con s diversi capi di bestiame. Nel volgere di un anno, Villalobos divenne vicegovernatore della Nuova Spagna e, dal suo quartier generale di Vera Cruz, cominci a coordinare l'arrivo dei coloni spagnoli, delle forniture e di un numero crescente di cavalli e bovini (3). In quegli stessi anni, la cavalleria di Hernando Corts sconfisse gli aztechi e conquist quella che oggi si chiama Citt del Messico. Le legioni di Montezuma furono decimate da uomini a cavallo, che gli aztechi chiamavano grandi cani (4). Molti indiani erano convinti che i cavalieri alla carica fossero centauri, per met uomini e per met cavalli, e, spaventati, si ritiravano di fronte all'esercito invasore. Dietro la cavalleria che avanzava c'erano le mandrie: alle prime avvisaglie seguirono ondate sempre pi massicce; l'area compresa fra Vera Cruz e Citt del Messico rappresentava un pascolo ideale per i bovini spagnoli. Nel nuovo habitat, gli animali prosperavano e si riproducevano pi rapidamente che nella loro terra d'origine. Un missionario francescano, Alonso Ponce, scrisse del successo dell'inserimento del bestiame: Si riproducono come in Castiglia, ma pi facilmente, perch la regione temperata e non ci sono lupi, o altri animali che li attacchino, come in Spagna (5). Corts divise la popolazione indigena sconfitta, mettendola sotto il controllo di cittadini spagnoli, a ciascuno dei quali era data una "encomienda", concessione terriera. Per la sua "encomienda" personale, Corts si attribu 23 mila indiani (6). Questi vennero convertiti alla fede cattolica, vestiti e marchiati, diventando la manodopera abbondante ed economica al servizio dei conquistatori spagnoli. Temendo che nelle mani di Corts e dei suoi uomini si concentrasse troppo potere e non volendo perdere il controllo sul Nuovo Mondo, la corona spagnola emise una serie di decreti finalizzati a ridurre il potere delle "encomiendas"; fra le altre cose, il governo spagnolo garant alla popolazione indigena il diritto di creare piccole fattorie e di utilizzare i pascoli comuni dei villaggi per il proprio bestiame. Nei decenni seguenti, furono frequenti le dispute fra i colonizzatori spagnoli e la popolazione indiana, dal momento che, incuranti dei decreti, gli allevatori spagnoli lasciavano che il bestiame pascolasse sulle terre coltivate dagli indigeni (7). In breve tempo, nei dintorni di Citt del Messico, il bestiame crebbe al punto che gli spagnoli non furono pi in grado di occuparsene. Fino agli anni Quaranta del Cinquecento, agli indiani era proibito possedere o montare cavalli: si temeva che, da esperti cavalieri, diventassero un'effettiva minaccia alla supremazia spagnola. Ma l'interesse commerciale scalz presto le cautele militari: furono i missionari i primi a vedere il vantaggio di trasformare gli indiani in cavalieri. La chiesa aveva bisogno di uomini per attendere alle mandrie allevate presso ogni missione; cos, insegn agli indiani a cavalcare, facendone i primi cowboy d'America. Questi cowboy indigeni adottarono il sombrero spagnolo e usavano indossare un fazzoletto al collo, una giacca e soprapantaloni di pelle. Gli stivali di cuoio, rari e costosi, erano il marchio distintivo dei ricchi spagnoli, ma ai "vaqueros" era permesso possedere speroni, che allacciavano alle caviglie nude. Le rotelle acuminate degli speroni spesso misuravano pi di quindici centimetri di diametro. Indossare gli speroni, in Europa, era simbolo di rango e discendeva direttamente da un costume delle trib nomadi delle steppe eurasiatiche. Gli speroni, di solito, venivano dati in premio agli uomini che si erano distinti per valore, ed erano un segno di riconoscenza. Nel Nuovo Mondo, gli speroni divennero il segno di riconoscimento dei mandriani: i primi cowboy "indios", e pi tardi neri, meticci, mulatti e bianchi poveri, divennero un gruppo semiprivilegiato fra i lavoratori delle classi subalterne, caratterizzati dal cavallo e dagli speroni (8).

Nel 1546, la scoperta dell'argento a Zacatecas, e la corsa al metallo che ne consegu, fece aumentare vertiginosamente la domanda di carne bovina, di pellame e di mandriani per accudire le mandrie sempre pi grandi. Nelle aree minerarie, il prezzo della carne esplose: un evento che si ripet, trecento anni dopo, nel Nord-Ovest americano, in coincidenza con la corsa all'oro californiano. I bovini non fornivano semplicemente carne per i minatori, ma anche sego per le candele e le lampade, oltre al pellame per i sacchetti in cui veniva trasportato l'argento dalle miniere agli impianti di lavorazione. Il cuoio bovino veniva anche utilizzato per la fabbricazione di selle, otri per l'acqua, giacche da cowboy e soprapantaloni, oltre che per infiniti altri usi (9). Nel sedicesimo secolo, sull'allevamento bovino si costituirono enormi fortune, ed emerse una nuova aristocrazia di allevatori, il potere e la ricchezza dei quali dettarono i termini della politica messicana per i seguenti quattro secoli. Nel 1598, un ricco proprietario di miniere d'argento, Juan de Oate, ricevette il permesso dalla corona spagnola di colonizzare l'alto corso del Rio Grande. Alla guida di una spedizione di 400 uomini, in quello che oggi la parte centrosettentrionale del Messico, Oate port con s 7000 capi di bestiame, disseminando tutto il Sud-Ovest di bovini europei (10). Cento anni dopo, gli spagnoli si mossero ancora verso nord, in quello che oggi il Texas orientale, portando quanto bastava per stabilire un avamposto. Dopo aver stabilito una missione sul San Pedro Creek, a nord della attuale Weches, in Texas, il comandante della spedizione, capitano Alonso de Len, dagli storici occidentali chiamato poi il Johnny Appleseed delle mucche, tornando a casa, in Messico, lasci un toro e una vacca, uno stallone e una giumenta a ogni guado. Nel primo decennio del diciottesimo secolo, i bovini selvatici pascolavano liberi nelle praterie texane. Lo storico Herbert H. Bancroft ha stimato che, nel 1780, la popolazione bovina selvatica del Texas superava i centomila capi (11). La diffusione dei bovini nel Nordamerica deve tanto all'intraprendenza dei missionari quanto alla spavalderia dei comandanti, e all'astuzia dei potenti allevatori spagnoli. Nel 1687, in Arizona, padre Eusebio Francisco Kino, esperto allevatore, introdusse l'allevamento dei bovini nelle terre a sud del Gila River. Secondo lo storico Herbert E. Bolton, padre Kino poteva essere considerato il re del bestiame della sua regione, nella sua epoca. In quindici anni riusc a consolidare l'attivit zootecnica nelle valli di Santa Cruz, San Pedro e Sonoita. L'industria zootecnica di almeno dieci grandi centri del panorama attuale deve i propri inizi su vasta scala proprio all'intraprendenza di questo infaticabile uomo (12). In quelli che sarebbero diventati Texas, New Mexico e Arizona, i missionari convertivano gli indiani e allevavano vacche, diffondendo cristianesimo e bovini. La loro influenza era forse pi sentita in California, dove i missionari francescani stabilirono una catena di missioni fra San Diego e San Francisco (13). Il clima e la topografia della California erano ideali per l'allevamento dei bovini. Nel 1770, fratel Juan Crespi diede una vivida descrizione della nuova terra, in occasione della prima spedizione spagnola: Il paese meraviglioso, perch coperto di un'erba rigogliosa, che sarebbe un'eccellente pastura per il bestiame (14). Gli "indios" vennero convertiti alla cristianit, poi trasformati in cowboy, per attendere alle mandrie sempre pi grandi di pertinenza delle missioni. La corona incoraggiava gli intraprendenti francescani, garantendo loro titoli esclusivi su porzioni sempre pi vaste della California, nella speranza che ci contribuisse a civilizzare la costa occidentale del Nordamerica, a favore della Spagna. Nel 1834, quasi 31 mila "vaqueros" al servizio delle missioni badavano a 400 mila vacche e 62 mila cavalli (15). Dopo che, nel 1821, il Messico dichiar la propria indipendenza dalla Spagna, il nuovo governo cominci a guardare con sospetto alle enormi ricchezze e al potere accumulati dai baroni del bestiame francescani, in California. Nel 1834, il nuovo governo ordin la secolarizzazione delle missioni: i religiosi risposero ordinando la macellazione in massa delle loro mandrie e la vendita del pellame (16). Se la decisione ridusse drasticamente la popolazione bovina della California, lasci intatta la manodopera specializzata dei mandriani "indios" che and a formare un serbatoio di lavoro a buon mercato per gli allevatori spagnoli e, pi tardi, per quelli inglesi.

La Spagna diffuse l'allevamento bovino anche in altre regioni delle Americhe. Nel 1521, Ponce de Len, introdusse i bovini in Florida. Hernando de Soto gli succedette nel 1539, disseminando centinaia di cavalli e di vacche nelle praterie semiaride della Florida. Come accadde nel Sud-Ovest, vennero fondate missioni - la prima a Saint Augustine, poi a Talahassee che allevavano bovini per il consumo locale (17). Negli anni Trenta del Cinquecento, i gesuiti seguirono le armate spagnole in Sudamerica, stabilendo missioni in Argentina, Paraguay e Brasile. Con s, portarono bestiame; molte missioni furono assalite e distrutte da banditi, e gli animali si dispersero; un centinaio di anni dopo, i bovini inselvatichiti avevano preso possesso di gran parte delle ricche praterie dell'America Latina (18). Nelle "pampas", i bovini erano cos numerosi che la loro carne non aveva pi alcun valore (19). Intere mandrie venivano massacrate in massa in spedizioni di caccia al bovino. Come sarebbe avvenuto in Nordamerica un secolo dopo, con la caccia al bisonte, gli animali venivano scuoiati per il pellame e il sego, e la carne lasciata a decomporsi. A Montevideo, secondo un resoconto, le carcasse di bovini ingombravano il terreno per un raggio di tre chilometri intorno alla citt. Nel Brasile del diciassettesimo secolo, si diceva che, lungo il corso del San Francisco, le vacche fossero numerose come le locuste. Joao Capistrano de Abreu ha battezzato il periodo et del cuoio: la gente, anche la pi modesta, mangiava carne tre volte al giorno. Le carcasse dei bovini venivano spesso lasciate a seccare appese ai recinti del bestiame; la gente tagliava un pezzo di carne quando ne aveva voglia, scegliendo solo i pezzi migliori e lasciando il resto a marcire all'aria aperta. In quell'epoca, la popolazione di Caracas consumava, complessivamente, il 50 per cento di carne in pi rispetto a quella consumata dai parigini: bisogna, per, rammentare che il numero dei cittadini era pari a un decimo di quelli della capitale francese (20). Un viaggiatore del diciassettesimo secolo descrive ci che ha visto in Argentina: Tutta la ricchezza degli abitanti consiste nel bestiame, che si moltiplica cos prodigiosamente che le pianure ne sono coperte ... in numero tale che, se i vitelli non venissero sbranati dai cani randagi ... devasterebbero il paese (21). I bovini invasero il continente, riempiendo e alterando ogni nicchia ecologica. Nel 1870 c'erano pi di tredici milioni di vacche che pascolavano libere nelle sole "pampas" argentine. Gli allevatori divennero ricchi esportando pellame in Europa. La carne salata e secca veniva esportata in gran quantit, per soddisfare la crescente domanda di carne della neonata classe operaia europea. La carne secca consisteva in fette di vacca e di bufalo seccate al sole. Le fette di carne, riferisce un osservatore, erano cos dure che si potevano masticare soltanto dopo averle a lungo battute con un pezzo di legno (dal quale molto non differiscono), n digerirle senza un'energica purga (22). Gli europei reclamavano carne fresca, ma i pascoli del vecchio continente erano esauriti gi da tempo ed erano ormai convertiti alla produzione cerealicola per l'alimentazione dei lavoratori industriali e dei poveri delle citt. La soluzione al problema venne nel 1878, quando la prima nave a vapore refrigerata, la "Frigorifique", salp dall'Argentina per il suo storico viaggio verso Le Havre, carica di carne fresca. A bordo della nave, la carne veniva tenuta alla temperatura costante di dieci gradi sotto zero da un motore che comprimeva ammoniaca. La nave attracc a Le Havre, con 5500 carcasse, rivoluzionando la storia alimentare: da quel giorno, gli ospiti del Grand Htel di Parigi potevano cenare gustando carne fresca di manzo argentino, e le" pampas" del Sudamerica divennero i nuovi pascoli d'Europa (23). Bestiame, beni mobili e capitale colonizzarono l'America tenendosi per mano. I "conquistadores", i missionari e, pi tardi, i ricchi proprietari terrieri colonizzarono le nuove terre con le vacche; in entrambi gli emisferi del continente americano, schiavi "indios" e africani, e pi tardi gli immigranti poveri di tutta Europa, vennero messi al lavoro per accudire il bestiame. Le Americhe, dalle regioni sud-occidentali di quelli che oggi sono gli Stati Uniti, fino alla punta estrema del Cile, erano popolate di vacche e dei servi del Nuovo

Mondo. I nuovi mandriani avevano nomi diversi nei diversi paesi: "huaso" in Cile, "gaucho" in Argentina, "llanero" in Venezuela, "vaquero" in Messico. Ma, ovunque, andarono a formare una nuova classe subalterna di immigrati, mal pagati, sfruttati senza piet, la cui unica caratteristica distintiva era il cavallo. Privi di terra e di educazione, questi lavoratori stagionali tanto esaltati dalla letteratura, erano gli accoliti e i factotum dei ricchi, i guardiani del bestiame nei pascoli del Nuovo Mondo, gli uomini che portarono sulle spalle il peso del potere economico della corona spagnola e della nuova aristocrazia terriera delle Americhe. Oggi, la classe dominante di molta parte del Centroamerica e del Sudamerica discende dalle famiglie che hanno colonizzato il continente con il bestiame. In Cile, nel corso del diciottesimo secolo, l'lite degli allevatori ha conquistato il controllo di quasi tutto il territorio nazionale. Nell'ultima parte del diciannovesimo secolo, l'oligarchia del bestiame cileno possedeva allevamenti giganteschi, con svariate mandrie, ciascuna di almeno 20 mila capi. Attraverso la propria potente consorteria agraria, dominava gran parte della politica del paese. Nel 1924, meno del 3 per cento degli allevatori attivi nella valle centrale del Cile controllava l'80 per cento dei terreni agricoli (24). L'Uruguay ha avuto una vicenda storica analoga. Le politiche coloniali spagnole favorivano la concentrazione del potere: a poche famiglie venivano concesse sterminate estensioni di terre, che venivano governate come l'aristocrazia spagnola governava le terre nella madrepatria. I baroni del bestiame, riuniti, avevano formato l'Associazione Agricola Uruguayana, un potentissimo circolo di allevatori che gestiva con il pugno di ferro le fortune economiche e politiche della nazione (25). In Argentina, la borghesia agricola aveva formato le proprie associazioni di rappresentanza: la Societ Agricola Argentina e il Jockey Club. Dopo la sconfitta degli "indios" delle "pampas", i baroni del bestiame argentino si mossero per consolidare il proprio controllo sui pascoli delle grandi pianure patagoniche (26). In Venezuela, i grandi allevatori furono in grado di esercitare la propria egemonia a partire dalla met del diciottesimo secolo. Nel 1750, trenta famiglie di allevatori controllavano la maggior parte del territorio a pascolo del paese (27). I baroni del bestiame delle praterie ispano-americane non erano molto diversi dai signori della guerra che alcuni millenni prima avevano devastato l'Europa: in Centroamerica e Sudamerica stabilirono una societ gerarchica imbevuta di violenza, fondata sull'allevamento e la sottomissione, mantenuta grazie allo sfruttamento spietato delle terre e delle popolazioni indigene. 8. I "BEEFEATERS" BRITANNICI. Tre secoli dopo l'inizio della colonizzazione bovina del Nuovo Mondo, cominci l'invasione bovina inglese delle praterie americane. Negli anni Ottanta dell'Ottocento, le societ commerciali di Fleet Street e di Glasgow usurparono vaste porzioni delle pianure del Nordamerica, trasformando gran parte del paese a ovest del Mississippi in un pascolo per bestiame britannico. La vera storia della conquista del West non mai stata raccontata: una storia di malversazioni finanziarie, furti di terre e accordi clandestini orchestrati nei club, negli uffici commerciali e nelle residenze di campagna dell'aristocrazia britannica. Gli inglesi hanno avuto un ruolo fondamentale nella colonizzazione del West: gli uomini della frontiera e i cowboy aprirono la strada all'espansione verso ovest, ma fu la classe privilegiata inglese a fornire gran parte delle risorse finanziarie necessarie a trasformare una sterminata pianura incolta nei pascoli pi ricchi e proficui del mondo. Per capire come i britannici siano giunti a svolgere un ruolo centrale nella colonizzazione della frontiera e nel modellare l'America dopo la guerra civile, necessario fare qualche passo indietro e analizzare la vicenda storica del complesso bovino britannico: una vicenda caratterizzata da continue conquiste e

appropriazioni di terre altrui e dalla sottomissione di popoli, per garantire alla Gran Bretagna quantit di carne sempre maggiori. Gli inglesi erano i pi grandi mangiatori di carne d'Europa. Gi in epoca precristiana, i loro antenati celti possedevano una consolidata cultura fondata sul bovino. Nel 43 d.C., quando invasero l'arcipelago, i romani portarono con s il proprio bestiame. Le tecniche di allevamento dei romani dominarono le "lowlands", mentre la cultura bovina celtica continu a prevalere nel Nord, nell'Ovest, in Scozia e in Irlanda (1). La carne era il cibo preferito dell'esercito romano di stanza in Inghilterra, e la crescente domanda rappresent, per la popolazione locale, un facile sbocco commerciale per il bestiame (2). Anche dopo la ritirata dell'esercito romano, nelle Isole britanniche il bestiame rimase la forma di ricchezza pi importante e la carne l'alimento principe della dieta britannica. L'Europa era nota come terra di carnivori, ma gli abitanti delle isole d'oltre Manica consumavano carne pi di qualsiasi altro popolo europeo. Questa inclinazione carnivora aveva radici profonde nella cultura celtica, che si manifestavano nella caccia, nelle stragi di animali e nelle orge di carne. La tradizione si trasmise alla nobilt feudale e, pi tardi, alla classe dei proprietari terrieri. Quando Giacomo Primo cacciava il cervo, si occupava personalmente di tagliargli la gola, poi imbrattava con il suo sangue il volto dei cortigiani, che non avevano il permesso di lavarsela. Inoltre, permaneva l'usanza che le signore e le dame di rango che seguivano la caccia, restassero fino a quando i daini venivano squartati, per potersi lavare le mani nel sangue, che si riteneva comunemente le sbiancasse (3). Anche se tutti gli aspetti sacri legati all'uccisione degli animali non facevano pi parte della coscienza collettiva inglese, l'idea di un presunto potere della carne, e soprattutto del manzo, rimase una caratteristica della mentalit anglosassone, soprattutto fra le classi nobiliari. Un abbondante consumo di manzo era considerato fonte di grande forza e virilit. Alla vigilia della rivoluzione americana, quando la Gran Bretagna estendeva il proprio dominio militare in ogni angolo della terra, un inglese scrisse: Si trova pi coraggio fra gli uomini che si nutrono di carne che fra coloro che si accontentano di cibi pi leggeri (4). Nell'Inghilterra medievale, i nobili dissipavano fortune, tempo ed energie per preparare elaborati banchetti a base di carne, in una gara costante a superarsi l'un l'altro. Fra le classi privilegiate, il cibo e la sua preparazione divennero strumenti di importanza cruciale per manifestare rango e privilegio. Si diceva che, in Inghilterra, i poveri mangiano per vivere, ma i ricchi vivono per mangiare (5). La competizione fra i nobili assunse toni cos forti e accesi da costringere re Edoardo Secondo, nel 1283, a emettere un decreto per limitare l'oltraggiosamente eccessiva moltitudine di carni e piatti che i grandi uomini del regno usano nei loro castelli, e le persone di rango inferiore che li imitano, superando i limiti della propria condizione (6). L'editto reale limitava il numero di portate di carne ammesso in ogni banchetto: una decisione che ebbe notevoli conseguenze, dal momento che l'influenza politica di un uomo dipendeva in misura non irrilevante dalla sua capacit di attrarre alla propria tavola personaggi influenti. Alla tavola dei lord, la carne era uno strumento politico e sociale che suggeriva il rango e lo status dei commensali. I commensali pi importanti erano sempre serviti per primi, poi si passava agli altri rispettandone rigorosamente il rango, e cos via. I migliori tagli di carne erano riservati ai primi che venivano serviti; i tagli meno graditi erano distribuiti sulla base di criteri rigidamente gerarchici. Quando il cervo veniva portato in tavola, le interiora e i tagli meno nobili erano serviti per ultimi agli invitati di minor riguardo: da qui l'espressione popolare to eat the humble pie [mangiare il piatto dell'umile] (7). La ghiottoneria dei signori feudali inglesi e dei proprietari terrieri entrata nella leggenda. Ancora in epoca vittoriana, l'aristocrazia e le classi privilegiate organizzavano vere e proprie orge a base di carne. Il romanziere J. B. Priestley affermava: Dai tempi dell'antica Roma non si vedeva una tale diffusione della crapula (8). Nelle dimore di campagna dei grandi latifondisti, non passava giorno senza che fosse allestito un banchetto di caccia, con

elaborata preparazione di cibi e gran profusione di carni, sotto la supervisione di scalchi, cuochi maggiordomi e inservienti di cucina. Mentre i ricchi si ingozzavano di carne, i poveri, praticamente esclusi dalla dieta carnea fino alla seconda met del diciannovesimo secolo, si accontentavano di quelle che gli inglesi chiamano carni bianche: formaggio, latte, burro e altri prodotti caseari. Fra ricchi e poveri, vi erano una classe operaia sempre pi numerosa e una borghesia sempre pi benestante e potente che aspiravano ai costumi carnivori della nobilt. Alla vigilia della rivoluzione industriale, l'Inghilterra era gi la capitale mondiale della carne. Nel 1726, a Londra, per il solo consumo locale, si macellavano una media di 100 mila capi di bestiame l'anno; si diceva che a Londra in un solo mese si mangiava una quantit di buona carne bovina e ovina maggiore che in tutta la Spagna, l'Italia e parte della Francia messe insieme in un anno intero. Nel diciottesimo secolo, ai marinai inglesi venivano somministrati quasi 100 chilogrammi di carne bovina all'anno, nella convinzione che una dieta concentrata sulla carne rossa avrebbe dato loro un considerevole vantaggio sugli avversari (9). Nel 1748, un viaggiatore svedese in Inghilterra scrisse: Non credo che nessun inglese che sia padrone di se stesso abbia mai pranzato senza carne (10). L'Inghilterra era talmente ossessionata dalla carne che fu il primo paese al mondo a essere identificato da un simbolo alimentare: fin dagli albori dell'epoca coloniale, il "roast-beef" divenne sinonimo della ben nutrita aristocrazia e della classe media britanniche. Gli inglesi erano noti anche per la competenza nella preparazione della carne, che veniva generalmente cotta allo spiedo. Un osservatore straniero notava con disappunto: Pi di ogni altro popolo, gli inglesi conoscono l'arte di cuocere in modo acconcio i grandi tagli di carne: cosa di cui non ci si deve meravigliare, dato che l'arte della cucina praticata dalla maggior parte degli inglesi non va molto al di l del "roast-beef" e del "plum pudding" (11). La passione dei britannici per la carne divenne un'ossessione agli inizi dell'era moderna, influenzando in misura rilevante la strategia coloniale del paese. Nel diciassettesimo secolo, la crescente domanda di carne da parte dell'aristocrazia, della sempre pi prospera borghesia e dei militari, spinse il governo di sua Maest britannica a cercare nuovi pascoli. La Scozia e l'Irlanda divennero i primi pascoli coloniali dell'impero, seguite, nell'Ottocento, dalle grandi pianure del West americano, dall'"outback" australiano e dalle praterie della Nuova Zelanda. 9. CHE MANGINO PATATE. Per secoli, i pascoli celtici della Scozia e dell'Irlanda avevano ospitato mandrie di bovini. Gli inglesi colonizzarono queste terre e le trasformarono in pascoli estensivi per nutrire il bestiame che soddisfaceva il loro mercato interno, fiorente e in continua crescita. Alla met del diciottesimo secolo, la domanda britannica di lana, determinata dal mercato tessile in crescita, mise sotto ulteriore pressione i pascoli scozzesi (1). L'allevamento degli ovini cominci a competere con quello dei bovini, ed entrambi erano concorrenti degli agricoltori locali per la terra arabile. Senza terra n patrimonio, migliaia di agricoltori scozzesi furono costretti a emigrare nelle "lowlands" costiere, alla ricerca di lavori non qualificati nei nascenti impianti industriali. L'Irlanda, che dal dodicesimo secolo era sotto il dominio inglese, nel diciassettesimo secolo gi rappresentava la fonte principale di carne salata a basso prezzo per le colonie britanniche nei Caraibi. Nel 1689, un osservatore scrisse che le isole e le piantagioni in America sono, in certa misura, sostenute dalle enormi quantit di carne ... e di altri prodotti irlandesi (2). Alla fine del Settecento, il commercio di carne irlandese, come di quella scozzese, venne nuovamente diretto sul mercato interno inglese. In Gran Bretagna, l'effetto delle "enclosures" [Le famigerate leggi che consentivano ai grandi proprietari terrieri di effettuare recinzioni abusive.

N.d.T.] aveva sradicato dalla terra migliaia di famiglie inglesi, creando una forza lavoro a basso costo disponibile per i lavori non qualificati negli impianti industriali di Londra, Leeds, Manchester e Bristol. La carenza di generi alimentari e l'aumento dei prezzi alimentavano il malcontento fra le nuove classi lavoratrici e nei ceti medi urbani, creando i presupposti di un'aperta ribellione. Funzionari pubblici e imprenditori britannici placarono le masse con la carne scozzese e irlandese. Gli storici del periodo hanno sottolineato come se non fosse stato per i pascoli celtici di Scozia e Irlanda, probabilmente sarebbe stato impossibile sedare le tensioni della classe operaia, nei cruciali primi decenni dell'espansione industriale britannica. Lo storico Eric Ross afferma che la necessit di carne a buon mercato alla base della determinazione inglese ad accaparrarsi la carne scozzese e irlandese e, in ultima analisi, a fondare la propria crescita industriale sull'attribuzione a queste zone periferiche del ruolo subalterno di produttrici di riserve alimentari. Entro il 1856, scrive Ross, gran parte della carne nel mercato di Londra era importata dalla periferia celtica del paese (3). Ancora oggi, a centocinquant'anni di distanza, la Scozia e l'Irlanda continuano a essere, in larga parte, pascoli al servizio del mercato britannico della carne. La passione britannica per la carne ha avuto un effetto devastante sulle popolazioni impoverite e deprivate di Scozia e Irlanda. Fra le due colonie celtiche, l'Irlanda ebbe la sorte peggiore. Scacciati dai pascoli migliori e costretti a coltivare piccoli appezzamenti di terre marginali, gli irlandesi si dedicarono alla coltura della patata: un ortaggio che pu produrre raccolti abbondanti anche in terreni relativamente poveri. Alla fine, i bovini presero possesso della maggior parte del suolo irlandese, lasciando la popolazione locale completamente dipendente dalla patata per la sussistenza. Nel 1846, una malattia devast il raccolto di patate, provocando una carestia e la morte di migliaia di persone. Molti sopravvissuti raccolsero i propri miseri averi e attraversarono l'Atlantico, sbarcando sulle coste del Nuovo Mondo. La crisi alimentare irlandese avvantaggi ulteriormente l'Inghilterra; i banchieri inglesi ottennero il controllo sulle terre irlandesi abbandonate, trasformando gli orti in nuovi pascoli per i bovini e aumentando, cos, il flusso di carne verso le citt inglesi. Fra il 1846 e il 1874, il numero di vacche esportate dall'Irlanda all'Inghilterra fu pi che raddoppiato, passando da 202 mila a 558 mila capi. Nel 1880, l'Irlanda era praticamente stata trasformata in un gigantesco pascolo per bovini, per soddisfare il palato inglese. Le statistiche sono stupefacenti: pi del 50,2 per cento della superficie del paese e due terzi della sua ricchezza sono al servizio dell'allevamento del bestiame. Un decennio pi tardi, pi del 65 per cento della carne di produzione irlandese veniva spedita in Inghilterra, dove copriva il 30 per cento del fabbisogno per consumi domestici (4). Per un certo periodo, Scozia e Irlanda riuscirono a soddisfare la crescente domanda inglese di carne, ma, alla fine, anche i loro fertili pascoli cominciarono a essere sfruttati oltre le possibilit di rigenerazione, diventando cos insufficienti a tenere il passo con l'insaziabile appetito degli inglesi, che, molto presto, cominciarono a guardare a ovest, al di l dell'Atlantico, alle grandi pianure del Nordamerica. Qui, uno sterminato oceano d'erba non aspettava altro che bestiame da nutrire: quello stesso bestiame che sarebbe servito a placare il desiderio di carne degli inglesi e delle culture carnivore europee. Fu nelle pianure di Texas, Kansas, Nebraska, dei due Dakota, del Wyoming e del Colorado, che i banchieri britannici incontrarono la cultura bovina spagnola. Negli anni successivi alla guerra civile americana, gli allevatori del Texas avevano iniziato a portare le mandrie delle loro vacche dalle lunghe corna oltre il nodo ferroviario di Abilene, in Kansas, verso i ricchi pascoli delle praterie perch brucassero e ingrassassero prima della spedizione finale a est, verso i macelli industriali di Chicago. Il bovino spagnolo dalle corna lunghe un animale rustico: duro, resistente, capace di sopportare le condizioni termiche estreme dell'estate texana e dell'inverno nel Dakota; la creatura ideale per il clima e la topografia del Nordamerica. La sua carne, per, era troppo dura e magra per soddisfare il sempre pi raffinato gusto delle classi medie e privilegiate inglesi, ormai avvezze a una carne a elevato tenore di grassi.

Fu la predilezione inglese per la carne grassa a mettere in relazione, per la prima volta nella storia, due grandi tradizioni agricole: quella cerealicola, le cui radici affondano nelle prime grandi civilt agricole del Nordafrica e del Medio Oriente; e quella dei grandi mandriani, le cui ascendenze possono risalire ai nomadi a cavallo delle steppe eurasiatiche. Questi due grandi sistemi agricoli si incontrarono nelle pianure occidentali degli Stati Uniti, dove le sterminate praterie toccano le terre agricole del Midwest. Fu l che si concluse quello storico accordo fra banchieri britannici e allevatori americani che cambi il corso della storia e alter il regime alimentare di gran parte della popolazione umana, nel ventesimo secolo. I bovini spagnoli, discendenti degli uri della Penisola iberica sarebbero stati trasportati dalle pianure occidentali alla fascia agricola del Midwest, dove sarebbero stati ingrassati con una dieta a base di mais, finch la loro carne non fosse risultata sufficientemente grassa. Una volta macellata, la carne sarebbe stata trasportata per ferrovia e per nave ai porti britannici, per raggiungere le tavole dei voraci cittadini inglesi ed europei. Oggi, negli Stati Uniti, pi del 70 per cento dei cereali prodotti dal settore agricolo sono destinati all'alimentazione animale, in prevalenza bovini (5). A livello mondiale, un terzo della produzione globale di cereali destinata a bovini e ad altri animali d'allevamento (6). Il convergere di erba e cereali, allevamento e agricoltura in un unico complesso bovino ha avuto effetti consistenti sulla societ moderna e sull'ecologia del ventesimo secolo. Il trasferimento di gran parte della produzione cerealicola mondiale dall'uomo agli animali non sarebbe mai avvenuto se, a partire dal diciannovesimo secolo, gli inglesi non avessero sviluppato una decisa preferenza per la carne grassa, rispetto a quella magra. Il motivo per cui gli inglesi sono diventati amanti della carne grassa rappresenta uno dei capitoli pi bizzarri della storia delle culture bovine europee e merita di essere esaminato, considerato l'effetto che ha avuto sulla colonizzazione del West americano e sulle politiche agricole globali del ventesimo secolo. 10. VACCHE GRASSE E RICCHI INGLESI. Le classi privilegiate rurali inglesi cominciarono a preferire la carne grassa negli ultimi decenni del diciottesimo secolo. Nel 1800, gli inglesi proclamarono pubblicamente il loro amore per le vacche grasse con il pellegrinaggio nazionale del celebre Durham Ox, un gigantesco bovino che pesava quasi 1350 chilogrammi. La leggendaria creatura era ospitata in un carro speciale, progettato e decorato con pompa e solennit tutte inglesi, portato in processione per paesi e citt dell'Inghilterra e della Scozia. Per sei anni, entusiasti spettatori furono disposti a sborsare una bella cifra per ammirare la stupefacente mole della bestia. Nel 1802, circa duemila persone avevano pagato mezza ghinea per acquistare un'incisione del massiccio bestione dal manto roano. Durham Ox cattur l'immaginazione del pubblico: nella terra di John Bull e del "roast-beef", questo gigantesco manzo parve un simbolo appropriato della nuova immagine che la Britannia aveva di s. Nel diciottesimo secolo, gli inglesi avevano esteso il proprio potere e dominio sul mondo; nel diciannovesimo, la bandiera britannica sventolava orgogliosamente su paesi di ogni continente. La nuova opulenza britannica si manifestava in una miriade di modi, ma nessuno fu pi rivelatore del nuovo passatempo dei gentiluomini di campagna: l'allevamento di bovini da concorso. Da tempo, le classi rurali privilegiate avevano preso interesse nei confronti dell'allevamento di bovini, delegando, per, le questioni pratiche a mandriani e famigli. Improvvisamente, e abbastanza inaspettatamente, i proprietari terrieri cominciarono a dedicarsi personalmente alla selezione delle razze con uno zelo che, dapprincipio, stup i loro stessi compatrioti. Vennero costituite associazioni di allevatori selezionati, a cui aderirono i pi bei nomi dell'aristocrazia britannica. La pi famosa, fu lo Smithfield Club, che nel 1799 organizz la prima esposizione pubblica. Negli anni successivi, l'esposizione

bovina dello Smithfield Club divenne un avvenimento sociale di grandissima importanza, che attirava la crema della nobilt inglese e, perfino, la famiglia reale (1). I ricchi allevatori si dedicarono alla selezione e alla preparazione di bovini giganteschi, da esibire nelle manifestazioni di settore. Nelle fiere agricole, corpulenti animali venivano portati in parata di fronte a un pubblico di altrettanto corpulenti allevatori: testimonianza bovina dell'opulenza dell'aristocrazia britannica. La storica Harriet Ritvo osserva che nel rendere omaggio ai loro nobili animali, l'lite degli appassionati non faceva che celebrare se stessa (2). La classe dominante inglese, in qualche misura non ancora completamente a proprio agio nella nuova posizione di edificatrice di imperi, si dava un gran da fare per selezionare una genia di bovini dalle corna corte che incarnasse la nuova immagine di s da mostrare al mondo. Nel diciannovesimo secolo, la passione per questo passatempo raggiunse livelli demenziali: riviste come la Quarterly Review of Agriculture descrivevano le bestie premiate con un linguaggio amoroso che avr sicuramente strappato sorrisi sardonici a pi di un piccolo proprietario: Irresistibilmente affascinante ... la squisita simmetria delle forme del corpo ... rivestite da una pelle dalle ricche pieghe ... ornata di una piccola ... testa [e] luminosi occhi prominenti (3). I ritratti di bovini divennero una delle forme d'arte preferite dagli inglesi dell'epoca: molte case di campagna e molti salotti inglesi esibivano quadri che ritraevano bestie obese sullo sfondo di paesaggi bucolici. Alcuni dei pi affermati artisti britannici erano chiamati a dipingere i ritratti delle bestie vincitrici dei concorsi e, spesso, le riviste popolari dell'epoca offrivano inserti con incisioni ispirate a questi quadri, in modo che anche le classi subalterne potessero goderne, incorniciandole e appendendole alle pareti delle proprie case. Spesso gli artisti erano invitati ad accentuare le forme degli animali, in modo da esibire pi grasso: il pittore Thomas Bewick si lament di aver perso una commessa perch si era rifiutato di aggiungere qua e l masse di grasso, quando l'animale che aveva di fronte non presentava tali protrusioni. Alcuni di questi bovini da esposizione erano talmente grassi da non riuscire a reggersi sulle zampe, per cui dovevano essere trasportati di peso all'esposizione (4). Pur dichiarandosi motivati dal generale miglioramento del patrimonio zootecnico, i gentiluomini di campagna inglesi erano, in realt, molto pi interessati all'aspetto esteriore dell'animale da concorso, e alla sua storia familiare. Fin dall'inizio, l'attenzione si concentr sulle linee di discendenza: gli allevatori erano ossessionati dalla genealogia, e dedicavano ore e ore alla ricerca degli ascendenti e alla verifica della purezza delle linee di sangue. L'aristocrazia cominci a rodersi su questioni di razza pura. Gli animali venivano identificati per nome e registrati in un elenco che riportava informazioni dettagliate sui loro antenati, risalendo a ritroso fin dove era possibile; per le classi nobiliari, la cui rivendicazione di rango e titoli dipendeva esclusivamente dalle linee di sangue, la questione della purezza dei bovini vincitori di concorsi divenne di importanza capitale. La considerazione pi importante era da quanto la discendenza solo del miglior sangue, senza che sia intervenuto sangue inferiore (5). L'interesse quasi fanatico dell'aristocrazia per la questione della purezza trov un'eco anche nelle politiche coloniali: i filosofi e i naturalisti inglesi, fra cui Charles Darwin e suo cugino, sir Francis Galton, elaborarono la teoria della razza e la nuova scienza dell'eugenetica, affermando la superiorit della razza ariana, alla quale non doveva essere permesso di mescolarsi con le razze nere e indigene del resto del mondo, per non rischiare di essere contaminata da linee di sangue impure. I bovini da concorso divennero metafora della ricchezza e del prestigio della classe dominante inglese. Fin dalla notte dei tempi, il bestiame aveva avuto un ruolo predominante nella concezione di ricchezza del popolo inglese: in epoca romana, perfino Cesare aveva notato come il bestiame costituisce la vera ricchezza dei Britanni (6). Nel momento in cui l'Inghilterra diventava una

grande potenza imperiale, il bestiame dei nobili veniva esibito al mondo e al popolo come incarnazione tangibile della ritrovata grandezza inglese. La storica Ritvo scrive che queste creature, rimpinzate e ingrassate all'inverosimile, con zampe rigide, ventre gigantesco e fiato corto, erano l'ostentata prova del potere di consumo dei rispettivi proprietari (7) che, nel consumare il proprio bestiame, consumavano simbolicamente il proprio ruolo di dominatori del mondo; ecco un nuovo rituale profano: nutrirsi di carne venata del grasso del privilegio coloniale. Il manzo grasso divenne tanto il simbolo del benessere quanto la misura del gusto. Il desiderio di carne grassa, un tempo privilegio dei ricchi, presto divenne aspirazione della classe media e dei lavoratori. Ritvo afferma che i macellai di Londra acquistavano le carcasse pi celebri e le mettevano in mostra nelle loro vetrine, dove il pubblico potesse ammirarle un'ultima volta, prima che venissero acquistate da una gran dama che alla sua tavola voleva servire un arrosto che si potesse chiamare per nome (8). Mangiare carne grassa era un rito d'iniziazione per chi aspirava a diventare inglese: il gusto per il grasso era sinonimo di gusto per l'opulenza, il potere, il privilegio e i valori che avevano reso questo popolo isolano il dominatore invidiato e temuto del mondo. Furono le venature di grasso della carne a coinvolgere la borghesia e la classe operaia nella strategia colonialista: consumando carne bovina grassa, queste classi segnalavano la propria volont di partecipare al regime coloniale. Questo moderno battesimo della carne allineava le classi verso un obiettivo comune: adesso, tutto il popolo britannico avrebbe vissuto del grasso della terra; in Inghilterra, a cavallo fra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, il peso del bovino medio raddoppi; solo a met del diciannovesimo secolo, il resto d'Europa riusc ad allinearsi allo standard britannico. Gli aspetti pratici dell'allevamento di vacche grasse era lasciato a professionisti come Robert Bakewell, che giunse ad affermare che sarebbe riuscito a produrre bestie con anche la coda grassa (9). Furono dunque i ricchi, con la loro eccentrica preoccupazione per il bestiame da concorso, a definire gli standard gastronomici delle classi medie e subalterne inglesi e, pi tardi, della popolazione di tutta l'Europa e l'America, indotte a godere dei frutti del colonialismo. Alla met del diciannovesimo secolo, il mercato interno britannico smaniava per la carne bovina grassa. Come gi notato in precedenza, i pascoli della Scozia e dell'Irlanda erano sottoposti a uno sfruttamento eccessivo e non in grado di tenere il passo con la crescita della domanda di carne delle classi medie e operaie urbanizzate. I banchieri e gli uomini d'affari cominciarono a cercare pascoli pi verdi. Presto la loro attenzione si concentr sulle lussureggianti praterie dell'Ovest, nel Nordamerica. Intorno al 1870, alle istituzioni finanziarie londinesi cominciarono ad affluire resoconti di immense porzioni di territori a ovest del Mississippi, ideali per il pascolo dei bovini. Il momento non avrebbe potuto essere pi favorevole per un'invasione finanziaria inglese del West americano. Negli anni immediatamente successivi alla guerra civile americana, la frontiera occidentale fu colonizzata e convertita in pascolo per bestiame da carne destinato ai mercati urbani del Nord-Est. Il racconto di come la frontiera occidentale stata trasformata nel pi grande pascolo di bovini del mondo, e praticamente annessa agli interessi finanziari britannici, fra i capitoli pi sordidi e vergognosi della storia della repubblica americana. Questa storia comincia nella regione dei pascoli del Texas: fu nelle aride praterie del Sud-Ovest, infatti, che si prepar il terreno per la conversione delle Grandi Pianure per l'invasione inglese del West americano e per la creazione del potente complesso bovino euroamericano. Parte seconda. COME FU CONQUISTATO IL WEST.

11. RACCORDI FERROVIARI E ATTRAVERSAMENTI PER IL BESTIAME. Nei primi decenni successivi all'indipendenza, la maggior parte degli americani non aveva alcuna ragione di pensare in termini di continente. La vasta porzione di terra che si estendeva al di l del Mississippi era di scarso interesse. Daniel Webster diede voce a questo sentimento diffuso fra i suoi concittadini, domandandosi retoricamente: Cosa ce ne facciamo di questa enorme terra senza valore? Di questa regione di selvaggi e bestie selvatiche, di deserti e sabbie mobili, di mulinelli di polvere, cactus e cani della prateria? (1). Cinquant'anni dopo, le praterie occidentali erano state conquistate e colonizzate. Molti, fra coloro che le abitavano, erano stati massacrati; quelli risparmiati dal fucile e dalle malattie dell'uomo bianco erano stati radunati e costretti a vivere in riserve. Anche il bisonte americano delle Grandi Pianure era stato decimato, per riservare le sterminate praterie del West al pascolo dei bovini. Quando, nel 1890, l'U.S. Census Bureau dichiar la frontiera ufficialmente chiusa, un'area grande quanto l'Europa occidentale era stata trasformata nel pi vasto pascolo del mondo. In meno di mezzo secolo, il selvaggio West era stato convertito in risorsa produttiva: un compito senza eguali per dimensione e portata. Lo storico della frontiera Frederick Jackson Turner ha sintetizzato la portata dell'evento: nel 1890, descrisse la migrazione verso le Grandi Pianure come la pi grande transumanza della storia (2). La cultura bovina americana nacque in Texas. Il terreno su cui germogli era una gigantesca area confinante a nord con San Antonio. I confini del territorio di pascolo spagnolo si allungavano verso sud-est, fino alla costa del Golfo del Messico, e a sud, verso Laredo, sul Rio Grande (3). L'area si rivel un terreno ideale per l'allevamento dei bovini: clima mite, erba e acqua in abbondanza facevano del Texas l'incubatoio bovino ideale di tutto il Nordamerica. In un capitolo precedente abbiamo notato come i frati francescani siano stati i primi a esplorare la regione. Nell'ultimo quarto del diciottesimo secolo, l'ordine aveva stabilito in Texas pi di cinquanta missioni, disseminando per il suo territorio mandrie di bestiame. Quando, nel 1821, il popolo messicano dichiar la propria indipendenza dalla corona di Spagna, i frati delle missioni texane furono costretti a firmare un giuramento di fedelt al nuovo governo. La maggior parte rifiut di farlo, abbandon le missioni e, con esse, il bestiame, che venne lasciato in parte alla popolazione indigena e in parte liberato nelle terre selvagge, dove prosper. Durante la lotta per l'indipendenza con il Messico, negli anni Trenta dell'Ottocento, molti allevatori di origine spagnola si ritirarono a sud del Rio Grande, abbandonando le proprie mandrie, come avevano fatto i missionari nel decennio precedente. Nel 1836, la nuova repubblica del Texas dichiar i bovini inselvatichiti parte del demanio pubblico, costituendo cos una dote che i texani pi ambiziosi si diedero a sfruttare e a capitalizzare (4). Come si detto, i texani non hanno costruito la propria industria del bestiame, se la sono presa (5). Giovani cowboy cominciarono a radunare le bestie randagie lungo le sponde del Rio Grande. Mandrie fra i trecento e i mille capi venivano poi guidate verso il Missouri e l'Ohio, o lungo la costa del golfo, verso New Orleans, per essere vendute. Nonostante l'aumento vertiginoso di questa attivit, la popolazione bovina del Texas continu ad aumentare: negli anni Trenta dell'Ottocento, vagavano per quel paese circa 100 mila capi di bestiame; tre decenni pi tardi, alla vigilia della guerra di secessione, la popolazione bovina era salita a tre milioni e mezzo di capi (6). Durante la guerra civile, l'esercito nordista occup le sponde del Mississippi, tagliando i rifornimenti di carne del Texas alle retrovie sudiste. Le vacche dalle lunghe corna si moltiplicarono e, alla fine della guerra, gli emigranti sudisti che speravano di rifarsi una vita nei territori di frontiera del Texas trovarono bestiame brado a ogni angolo di strada. Nel frattempo, la guerra aveva devastato il patrimonio

zootecnico della Confederazione, mentre gli eserciti dell'Unione avevano seriamente ridotto lo stock di bestiame degli stati del Nord-Est e della regione atlantica per sfamare le truppe. Improvvisamente, quanto inaspettatamente, il paese cominci a interessarsi dei "longhorns" del Texas. Le spagnole a corna lunghe inselvatichite somigliavano ben poco alle selezionate bestie dalle corna corte abitualmente allevate all'Est. Per decenni vennero cacciate pi che allevate; di questi bovini, i texani dicevano che fossero selvatici come i cervi e cinquanta volte pi pericolosi del pi feroce dei bisonti (7). Il colonnello Richard Irving Dodge riferisce il racconto di un incontro casuale fra un "longhorn" del Texas e un reggimento al comando del generale Taylor. Un soldato spar all'animale, che caric l'intera colonna mettendo in fuga un reparto che pochi giorni dopo si sarebbe coperto di gloria scontrandosi vittoriosamente con un numero cinque volte superiore di esseri umani armati (8). Si diceva che il "longhorn" avesse un olfatto da segugio: i cowboy in cerca d'acqua mettevano la propria vita nelle mani di questi astuti animali, in grado di percepire l'approssimarsi di un temporale a venticinque chilometri di distanza, o di avvertire la presenza di un pozzo o di un torrente sotterraneo a cinquanta. Il "longhorn" non aveva pari anche nell'alimentazione molto flessibile: diversamente dagli altri bovini, poteva nutrirsi anche di foglie d'albero. La leggenda narra di uno scheletro di vitello trovato appeso a testa in gi, a un olmo. Secondo il proprietario, si era arrampicato sul tronco e lungo i rami come uno scoiattolo, per mangiare i germogli, finendo poi, accidentalmente, per impiccarsi. Questi agili animali potevano sollevarsi sulle zampe posteriori per frugare con quelle anteriori fra i rami del cotone e brucare le foglie, e spesso usavano le corna per far cadere a terra i fiori delle piante di Yucca. Lo storico Daniel Boorstin scrive: Potevano vivere di cardoncelli, e quando non c'era erba brucavano come cervi i getti e i polloni di alberi e cespugli. Si diceva avessero il collo flessuoso delle capre, e una bocca e uno stomaco che riuscivano rispettivamente a masticare e a digerire le spine dei cactus e del chaparral (9). Come hanno osservato Boorstin e altri, la loro caratteristica principale era un elevato grado di mobilit (10). Veloci, infaticabili, sempre in movimento, incarnavano lo spirito della frontiera: si muovevano seguendo il grasso della terra, spogliando il paesaggio del West di erbe e fiori selvatici; erano gli "swampers", i bovini semiselvatici delle pianure costiere del Texas che furono radunati, messi in recinto, marchiati e condotti a nord, verso i mattatoi di New Orleans e del Kansas (11). Gli intraprendenti mandriani che transumavano a nord, dal Texas fino allo Iowa o all'Illinois, per portare il proprio bestiame ai mercati settentrionali, erano parecchi, ma il viaggio attraverso il paese era troppo lungo e pericoloso per gli animali, nonostante la loro straordinaria mobilit. La perdita di peso, le calamit naturali e gli attacchi dei fuorilegge esigevano un forte pedaggio di bestie e, spesso, alla fine del viaggio, le mandrie erano molto deperite. Far giungere ai famelici mercati del Nord il surplus di bestiame del Texas divenne presto una sfida commerciale. La soluzione arriv nel 1867, quando al giovane imprenditore Joseph McCoy venne l'idea di collegare il bestiame del Texas al sistema ferroviario orientale, che allora stava cominciando a estendere le proprie ramificazioni alla periferia delle praterie del West. Le piste del bestiame lungo la direttrice nord-sud si incontravano con i binari ferroviari che correvano da est a ovest nella polverosa cittadina di Abilene, in Kansas: poco pi di una fila di case affacciate su un'unica strada. McCoy descrisse la citt come un villaggio piccolo, spento, fatto di qualche decina di capanne di tronchi, basse, mal costruite, per la maggior parte con il tetto di fango (12). In questa primitiva citt di frontiera le grandi direttrici nord-sud ed est-ovest d'America si incontrarono per la prima volta, collegando i quattro angoli di un grande continente. Il bestiame cominci cos a calpestare le rampe che salivano sui carri ferroviari, cambiando il corso della storia americana.

Il ventinovenne commerciante di carne dell'Illinois convinse la divisione Kansas Pacific della Union Pacific Railroad a costruire un raccordo ferroviario per i recinti del bestiame nella remota Abilene, corrispondendole una provvigione per ogni carro di bestiame trasportato. McCoy riusc poi a fare le opportune pressioni sul governatore del Kansas affinch eliminasse la quarantena imposta per legge ai bovini provenienti dal Texas che entravano nello stato (era stata un'epidemia di febbre texana, una grave malattia bovina, a indurre stati come il Kansas a contingentare o vietare le spedizioni di bestiame dallo stato della Stella Solitaria, per paura di un contagio delle mandrie locali) (13). Dopo aver convinto i legislatori dell'Illinois a emendare le leggi statali per permettere la massiccia importazione di bovini, McCoy si dedic alla costruzione di recinti per il bestiame, ad Abilene, e a pubblicizzare il suo progetto fra gli allevatori texani. Il 5 settembre 1867, McCoy sped venti carri ferroviari da Abilene verso est. Gi nel 1871, McCoy trattava 700 mila manzi "longhorn" l'anno, smistandoli verso i mattatoi di Saint Louis e Chicago (14). La temeraria impresa aveva avuto successo; l'uomo d'affari dell'Illinois era riuscito a mettere in contatto i mandriani del Sud con i compratori del Nord, cementando una nuova alleanza commerciale fra Nord e Sud, segnando il primo contatto commerciale di una certa importanza dopo la guerra civile. Prima della guerra, il cotone era re: le piantagioni schiaviste del Sud producevano balle di cotone destinate all'industria tessile del Nord e dell'Europa. Il nuovo accordo mise in discussione la duratura supremazia di re cotone: il bestiame stava per spodestarlo e gli allevatori del sud avrebbero fornito carne per i mercati del Nord e pellame per le concerie del New England. Per tutti gli anni Settanta dell'Ottocento, il Chisholm Trail che congiungeva il Texas ad Abilene fu percorso da una mandria dietro l'altra. Di solito, i manzi percorrevano da quindici a venti chilometri al giorno, nella loro migrazione di tre mesi verso il raccordo ferroviario; le mandrie erano condotte da giovani cowboy, una forza lavoro a basso salario fatta di giovani del Sud, neri, messicani e indiani. Sulla pista le condizioni di lavoro erano dure e la paga a livello di sussistenza: un mandriano guadagnava da 25 a 40 dollari al mese, per lavorare da dodici a diciotto ore al giorno, sette giorni su sette, per tre mesi consecutivi (15). Guide, cuochi e capisquadra se la cavavano un po' meglio. Il nuovo complesso bovino sull'asse nord-sud si estese nel corso degli anni Settanta dell'Ottocento. La domanda di carne, sego e pellame sembrava quasi insaziabile. Il Nord, riprendendosi dalla guerra, aveva avviato la ricostruzione ed espanso la propria base industriale; le nuove classi medie e operaie urbane che si crogiolavano nel benessere postbellico, non fecero che aumentare la domanda di carne. Il bestiame del Texas si rivel, cos, insufficiente a soddisfare la domanda crescente, spingendo gli allevatori a cercare nuovi pascoli per le proprie mandrie. Le grandi pianure del West stavano aspettando. Ma, prima di poterle utilizzare come pascolo, due enormi ostacoli dovevano essere superati: il bisonte e gli indiani dovevano essere eliminati per fare spazio alla grande invasione bovina. 12. LA GRANDE SVOLTA BOVINA. I grandi pascoli del West coprono circa il 40 per cento della superficie degli Stati Uniti (1) e si estendono fra Texas, Oklahoma, Kansas, Colorado, Arizona, New Mexico, a nord nei due Dakota, in Montana e Wyoming e, a ovest, in Idaho, California e Oregon. Gran parte dei pascoli occidentali erano relativamente privi di alberi, se si escludono il cotone e gli altri cespugli che crescevano lungo i torrenti e su qualche sporadica collina che interrompeva il paesaggio altrimenti monotono; le erbe della prateria - graminacee e dozzine di specie erbacee, arbustive e di flora locale - si estendevano come un mare ininterrotto. I roditori - citelli, ghiri e topi - erano i veri padroni delle praterie; falchi e aquile reali volavano alti, sorvegliando il territorio; orde di antilocapre, cervi e alci vagavano nei campi sterminati. I predatori - coyote, lupi e gatti selvatici - spadroneggiavano attraverso quella distesa d'erba; in termini

puramente quantitativi, le pianure occidentali erano confrontabili solo con le antiche steppe eurasiatiche. Le pianure sono governate da estremi; i torridi venti estivi possono quasi ustionare la pelle; quelli, gelidi, della stagione fredda rendono insopportabili i rigori invernali; nei mesi della siccit estiva, i fiumi si trasformano in strade fangose, quindi in gole riarse. Cicloni e temporali sono eventi comuni; spesso l'aria talmente carica di elettricit che il cielo notturno rischiarato da minuscoli fuochi di Sant'Elmo che si formano sulla punta delle corna del bestiame; le Grandi Pianure, scrive lo storico del West, Edward Dale, sono una terra in cui sembra che la natura operi su scala gigantesca (2). Luogo desolato e spaventoso, nei primi anni dell'indipendenza le pianure erano considerate il Grande Deserto Americano (3). A soli vent'anni di distanza dalla resa dei confederati ad Appomattox, i pascoli del West erano stati domati e trasformati per soddisfare le esigenze zootecniche e commerciali dell'epoca. La zona venne riconsacrata come terra delle vacche, e considerata uno dei pascoli pi pregiati al mondo. Le erbe selvatiche del West erano particolari e godevano di un evidente vantaggio, rispetto a quelle dell'Est: erano sufficientemente rustiche da resistere alla siccit e, diversamente da quelle orientali, d'inverno non dovevano essere falciate e riparate nei fienili. Le erbe del West si seccavano sul terreno, offrendo una riserva di fieno ricca e nutriente per il pascolo invernale. In lode di quell'erba meravigliosa, lo storico Daniel J. Boorstin si chiese retoricamente: Chi avrebbe potuto inventarsi un'erba favolosa che non avesse bisogno di pioggia e consentisse al bestiame di pascolare anche nei mesi invernali? (4). Disgraziatamente, quelle praterie erano gi occupate dai bisonti e dagli indiani: finch questi fossero rimasti su quella terra, non sarebbe stato possibile convertirla a pascolo e sfruttarla a favore del nuovo complesso zootecnico. La promessa e la sfida racchiuse in quelle pianure furono colte immediatamente. Narra la leggenda che, nel 1876, avendo saputo di una mandria di manzi che aveva svernato senza problemi nelle praterie intorno a Fort Keogh, il comandante generale della guarnigione, generale Nelson Miles, predisse: Quando ci saremo liberati degli indiani e dei bisonti, le vacche ... invaderanno questo paese (5). Divenne presto evidente che sarebbe stato pi facile liberarsi degli indiani eliminando i bisonti dalle pianure del West, perch questo avrebbe significato distruggere la loro principale fonte di sostentamento. Gli allevatori si allearono ai banchieri dell'Est, alle ferrovie e all'esercito degli Stati Uniti in una sistematica campagna di sterminio del bisonte. L'obiettivo era ambizioso: i bisonti oscuravano le pianure; mandrie di decine di migliaia di capi non erano un'eccezione (6), ed era possibile stare ad osservare per ore, senza interruzioni, il passaggio di una mandria; gigantesche nuvole di polvere, visibili a chilometri di distanza, si sollevavano quando le immense mandrie di bovini selvatici si mettevano in movimento. William Hornaday, cercando di descrivere lo spettacolo, scrisse: Stimare la quantit di bisonti che abitavano le Grandi Pianure in un qualunque momento della storia della specie antecedente al 1870, sarebbe stato facile come contare le foglie degli alberi di una foresta (7). Solo pochi anni dopo, il bisonte era ormai completamente scomparso dalle praterie del West, a conclusione di una storia che durava da decine di migliaia di anni. Al suo posto c'erano 600 mila capi di bovini che pascolavano pacificamente la stessa erba corta che, fino a pochi anni prima, aveva nutrito le immense mandrie di bisonti americani. In una ormai classica monografia, Hornaday fa risalire la condanna a morte del bisonte americano alle prime migrazioni di bovini texani verso le pianure settentrionali (8). Le ferrovie e l'esercito degli Stati Uniti avevano spianato la strada al "longhorn" spagnolo. Gi nel 1869, la Union Pacific Railroad aveva diviso i bisonti delle pianure in una mandria-nord e in una mandria-sud. Fra il 1871 e il 1874, la mandria-sud fu decimata a opera di cacciatori di bisonti professionisti, come Buffalo Bill, pagati dalle societ ferroviarie o dall'esercito affinch rifornissero di carne lavoratori e soldati (9). La mandria settentrionale fu cancellata molti anni dopo, lasciando le pianure al dominio incontrastato delle vacche e dei manzi.

La quasi totale estinzione del bisonte americano rappresenta, a tutt'oggi, uno dei capitoli pi spaventosi della storia ecologica degli Stati Uniti: lo sterminio fu immediato e decisivo e mise fine, da un momento all'altro, a 15 mila anni di pacifica esistenza della specie nel proprio habitat naturale; alcuni osservatori, che assistettero personalmente allo spettacolo, hanno scritto racconti commoventi; il colonnello Richard Irving Dodge, scrisse che, nei paraggi del suo insediamento militare fino all'inverno del 1871 i bisonti erano presenti in un numero praticamente illimitato; ma gi nell'autunno del 1873 dove fino all'anno scorso c'erano miriadi di bisonti, ora non c'erano che miriadi di carcasse; l'aria era pregna di un odore nauseabondo e la vasta pianura, fino a poco prima brulicante di vita animale, era diventata un deserto di morte, desolato e putrescente (10). Dodge stim che fossero stati uccisi pi di quattro milioni di bisonti. Nelle pianure del Texas, agivano pi di 1500 cacciatori e scuoiatori, sparando a tutti i bisonti che riuscivano ad avvistare. Uno degli uomini della frontiera, S. P. Merry, disse che c'erano cacciatori ovunque ... dappertutto si sentivano spari di fucile. Le pelli venivano ammucchiate lungo i percorsi delle carovane o alle stazioni delle ferrovie che attraversavano le pianure del Texas. Un mercante aveva quasi due ettari ... coperti di balle di pellame in attesa che fossero trasportate dalle carovane a Fort Worth. Alla stazione ferroviaria di Fort Worth, nella primavera del 1876, c'erano 60 mila pelli di bisonte lungo i binari, in attesa di essere spedite a est (11). Nel 1871, erano stati sperimentati nuovi metodi di concia delle pelli di bisonte, che le rendevano pi interessanti dal punto di vista commerciale; i cacciatori di bisonti di solito ricevevano da uno a tre dollari per pelle. Le pelli erano spesso conciate con il pelo e utilizzate per confezionare cappotti, mantelli e soprascarpe. Buona parte delle pelli era acquistata dall'esercito britannico, che considerava la pelle di bisonte migliore di quella di vitello, per le sue caratteristiche di elasticit e flessibilit; la pelle di bisonte venne anche utilizzata per realizzare cinghie di trasmissione per i macchinari industriali e poteva essere ammirata nelle migliori case come imbottitura o rivestimento di arredi. Inoltre, era considerata il materiale migliore per le coperture di carri, slitte e carri funebri (12). I bisonti venivano abbattuti in massa. I cacciatori spesso gareggiavano fra loro per stabilire chi riuscisse a fare pi vittime nel minor tempo. L'iconografia cinematografica mostra il cacciatore di bisonti che cavalca accanto a una mandria in fuga, ma la maggior parte dei cacciatori preferiva la caccia da fermo, che consisteva nello sparare alle bestie da una postazione fissa (13): in tal modo, le carcasse non sarebbero state sparse lungo un ampio tratto di pianura, ma concentrate, facilitando il lavoro degli scuoiatori. Ogni cacciatore di bisonti sognava lo stand: accadeva che, nonostante gli spari, un'intera mandria di bisonti non si muovesse, permettendo al cacciatore di abbattere tutti i capi, a uno a uno, senza cambiare posizione. John Cook, cacciatore di bisonti di una certa fama, descrive lo "stand": Mi accaduto ci di cui spesso avevo sentito parlare, senza avervi mai personalmente assistito: uno "stand"... dopo che, pi o meno, ne avevo uccisi venticinque, il fumo che usciva dalla canna del mio fucile non faceva in tempo a disperdersi... Mentre sparavo ai bisonti non ancora colpiti, alcuni si sdraiavano a terra, apparentemente per nulla preoccupati di quello che gli accadeva intorno. Sparavo con lentezza, prendendo bene la mira (14). La carneficina prosegu per un'ora e un quarto. Quando fu terminata, sul terreno c'erano ottantotto bisonti, molti altri erano feriti. La prateria era un lago di sangue. Anche altri cacciatori riferiscono esperienze analoghe. Hornaday ha narrato che, spesso, i bisonti si radunavano intorno a quelli caduti, annusando il loro sangue ancora caldo, muggendo sconcertati, e facendo di tutto meno che la cosa giusta: fuggire (15). Il racconto del colonnello Richard Irving Dodge , forse,

quello pi dettagliato e coinvolgente: Attratti dall'odore del sangue, si radunano intorno all'animale ferito. Arriva un altro proiettile. Un altro bisonte cade e rimane fermo a terra, sanguinante. Gli altri lo guardano e, apparentemente convinti che sia stato il compagno ferito a emettere quello strano scoppio, concentrano l'attenzione su di lui. Il fucile spara ancora e ancora; uno dopo l'altro, i bisonti sanguinano, vacillano e cadono. I sopravvissuti continuano a guardarli, in uno stato di stuporosa imbecillit (16). In quel periodo, la caccia al bisonte divenne una pratica sportiva molto popolare e le ferrovie cominciarono a pubblicizzare viaggi economici attraverso le pianure, promettendo agli sportivi delle citt orientali la possibilit di sparare ai bisonti senza alcun limite di numero, nel comfort e nella sicurezza di un vagone ferroviario; un osservatore ha descritto la scena: Nelle pianure, la velocit del treno viene moderata e, dunque, spesso accade che le carrozze e i bisonti corrano fianco a fianco per chilometri... durante queste corse, si aprono i finestrini e molti fucili a retrocarica scaricano sulla mandria migliaia di pallottole. Molti poveri animali stramazzano, altri riescono ad allontanarsi dalla mandria per andare a morire in qualche gola. Poi il treno accelera, e la scena si ripete dopo qualche chilometro (17). I bisonti venivano lasciati a marcire. I loro resti deturpavano la sottile striscia di terra che per centinaia di chilometri costeggiava i binari della ferrovia. Nel maggio 1872, il Denver Rocky Mountain News condann questa caccia insensata nelle pianure: Carcasse di animali, a ogni stadio di decomposizione, lasciate dai passeggeri dei treni in corsa, costellano entrambi i lati dei binari, per tutta l'area in cui attraversano i pascoli dei bisonti. Sarebbe una buona idea che i sovrintendenti della divisione generale facessero rispettare la regola che vieta di sparare con armi da fuoco dai treni (18). Per i ricchi dell'Est e la nobilt europea, le battute di caccia al bisonte divennero una moda, negli anni Settanta dell'Ottocento. Buffalo Bill Cody, il pi famoso cacciatore di bisonti, racconta della gara organizzata fra lui e un altro famoso cacciatore di bisonti, tale Comstock, per il divertimento di un gruppo di appassionati sportivi di Saint Louis. Cody ricorda di aver abbattuto trentotto capi nella prima battuta, contro i ventitr di Comstock, attribuendo la propria vittoria alla superiorit nella tecnica di accerchiamento delle bestie. Avevo 'messo in posizione' i miei bisonti, proprio come fa un giocatore di biliardo con le palle, quando deve effettuare il primo tiro. Al termine dello spettacolo, gli ospiti di Saint Louis brindarono con lo champagne che si erano portati appresso, e che si rivel un'ottima bevanda sulla prateria del Kansas (19). L'ospite pi celebre di Cody fu il granduca Alexis, figlio dello zar Alessandro Secondo. Il 13 gennaio 1872, il nobile russo e il suo "entourage" si unirono al luogotenente generale George Custer, al generale Philip Sheridan e a Cody, per una battuta sul Red Willow Creek, nei pressi di North Platte, in Nebraska. Buffalo Bill prest al principe la sua migliore cavalcatura, Buckskin Joe, e gli cavalc accanto per dargli le istruzioni pi appropriate. Il principe impar in fretta e, dopo pochi tentativi infruttuosi, abbatt il primo bisonte. Il principe era esilarato dal successo, rammenta Cody nelle sue memorie. Il Kansas City Times riferisce che il principe nello stupore generale saltato di sella, lasciando libero il cavallo, ha lasciato cadere il fucile e con le proprie mani ha tagliato la coda della bestia, come "souvenir". Poi, seduto sulla carcassa, agitava il trofeo sanguinante e, come avrebbe poi dichiarato Custer, 'ha emesso una serie di grida e urla che sembravano i bramiti funebri di una mandria di cervi'... I russi si

sono precipitati da lui al galoppo, per vedere cosa stava succedendo. Prima abbracciarono solennemente il loro principe, poi si gettarono l'uno nelle braccia dell'altro. Il trofeo pass di mano in mano, finch tutti furono imbrattati di sangue e polvere (20). Non tutti approvavano le gratuite uccisioni dei bisonti nella prateria. Un giornale dell'epoca criticava con veemenza la tragedia che si stava consumando nelle pianure, definendola di una sfrenata malvagit. Lo stesso giornale condannava l'uccisione di questi nobili animali per utilizzarne la pelle, o per gratificare il capriccio di qualche duca russo o lord inglese (21). I libri di storia descrivono spesso il massacro di massa dei bisonti come un atto di eccessiva esuberanza; i fatti, per, sembrano indicare una chiara e sistematica strategia volta a rimpiazzare il bisonte con il manzo e gli indiani con i cowboy. Lo storico Eric Ross afferma che fu un prerequisito necessario per la diffusione dell'allevamento bovino nelle Grandi Pianure, oltre a essere anche considerato necessario per porre fine alla resistenza degli indiani delle Pianure (22). Il generale Philip Sheridan, comandante delle armate di stanza nel West, riassumeva questo pensiero strategico in un discorso al parlamento texano: Questi uomini [i cacciatori di bisonti]... per risolvere la tormentata questione degli indiani hanno fatto pi di quanto sia riuscito a fare l'intero esercito negli ultimi trent'anni. Stanno distruggendo i viveri degli indiani; ed un fatto noto che un esercito che perda la propria base di forniture in condizioni di grave svantaggio. Dunque, non riconoscete loro nulla, se lo desiderate; ma, se ambite a una pace duratura, lasciate che uccidano, scuoino e vendano finch il bisonte sar sterminato. Solo allora le vostre praterie potranno essere popolate di vacche e di esultanti cowboy, che seguiranno i cacciatori come seconda avanguardia di una civilt pi avanzata (23). Alla fine degli anni Settanta dell'Ottocento, lo sterminio del bisonte delle pianure fu portato a termine. Ossa cotte dal sole, di un bianco abbacinante, costellavano migliaia di chilometri quadrati di prateria. In realt, gli scheletri che deturpavano la prateria erano cos numerosi da costituire, di per s, una risorsa economica. Il raccolto bianco, come veniva chiamato dagli sciacalli del commercio di ossa, divenne un'attivit in piena espansione: le ossa di bisonte arrivarono sino a 8 dollari la tonnellata (24). Le ossa venivano trasportate a est, dove erano macinate per produrre fertilizzanti fosfati. Con le ossa pi fresche si faceva una carbonella, utilizzata dall'industria saccarifera per sbiancare lo zucchero grezzo (25). Alcune ossa servivano per realizzare suppellettili; zoccoli e corna diventavano bottoni, pettini, manici di coltello e colla (26). I cacciatori di bisonti e i mezzadri riuscirono a procacciarsi di che vivere dalla raccolta delle ossa. Per tragica ironia della sorte, molti indiani divennero a loro volta sciacalli delle ossa di bisonte: raccoglievano gli scheletri e li portavano alla pi vicina stazione ferroviaria, dove venivano pagati con la moneta dell'uomo bianco (27). In una cittadina del Dakota, un giovane banchiere, M. I. McCreight, descrisse l'acquisto di ossa di bisonte dai pellerossa: Si vedevano arrivare le carovane di carri degli indiani da lontano, lungo le piste tortuose della prateria che portavano al mercato. Davanti alla carovana incedeva il capo... seguito da una variopinta folla di uomini, donne, bambini e cani... A circa un miglio dalla citt, i visitatori si fermavano... e allestivano il campo. Poi, il capo, accompagnato dai suoi consiglieri, veniva in citt per informarsi sul prezzo corrente delle ossa. Dopo essere stato informato che le ossa valevano sei dollari a tonnellata, tornavano al campo e portavano in citt i carri carichi, per farli pesare. Dalle bilance, conducevano i carri ai binari della ferrovia, dove scaricavano il contenuto. Dopo essere stati pagati, gli indiani sciamavano negli empori per spendere il denaro. Solo dopo aver speso fino all'ultimo centesimo, levavano le tende (28). A Hays, in Kansas, al terminale della ferrovia Kansas Pacific, spesso le ossa

erano allineate in mucchi di tre metri d'altezza che si estendevano per chilometri, accanto ai binari. Anche al deposito di Dodge City le ossa si ammucchiavano per chilometri accanto ai binari della linea per Santa Fe: la quantit di ossa era tale che la compagnia ferroviaria non disponeva di un numero sufficiente di carri aperti per trasportarle all'Est. Il commercio di ossa di bisonte divenne una voce talmente importante nella vita economica della prateria, che la gente del Kansas usava dire che a Dodge City le ossa di bisonte erano moneta legale. Alcuni costruirono la propria fortuna sul commercio di ossa di bisonte. Ogni mese, treni lunghi chilometri iniziavano il loro lento viaggio verso est, carichi di scheletri. Sulla sola linea per Santa Fe furono trasportate pi di 500 tonnellate di ossa nel 1872,1250 nel 1873, e 3150 nel 1874 (29). All'inizio degli anni Ottanta dell'Ottocento, la strategia dell'uomo bianco di tagliare i rifornimenti alle trib indiane aveva avuto un successo che andava oltre le pi rosee aspettative (30): del grande bisonte delle praterie erano stati eliminati perfino gli scheletri, cancellando ogni testimonianza materiale della sua presenza. Ora, a pascolare nella prateria si potevano vedere solo "longhorns" spagnoli e "shorthorns" inglesi controllati da cowboy a cavallo. Gli indiani delle pianure non riuscirono pi a risollevarsi dall'inatteso colpo mortale inferto alla loro fonte di sussistenza; molte trib indiane, stupefatte, interpretarono la carneficina di massa come una punizione divina per la propria malvagit. Alcuni, come gli indiani Omaha, non riuscirono ad accettare che i bisonti fossero scomparsi e credettero a lungo che si fossero temporaneamente nascosti in caverne sotterranee o oltre l'orizzonte. Gli sciamani della trib tentavano di richiamare le mandrie dal loro lontano rifugio con cerimonie rituali. La cerimonia, detta unzione del Sacro Palo, richiedeva in sacrificio carne di bisonte. Ma, dato che di bisonti non ne erano rimasti, i capi trib racimolarono i pochi denari ottenuti con le sovvenzioni federali e acquistarono trenta vacche, che macellarono e offrirono in sacrificio agli di. Non funzion. Acquistarono altri bovini e ripeterono il sacrificio pi e pi volte, finch i soldi terminarono; sconfitti, fisicamente e spiritualmente, si rassegnarono a coltivare a mais piccoli appezzamenti di terra, e ad allevare polli, maiali e bovini per riuscire a mantenersi in vita (31). Ai Kiowa tocc una sorte simile. Per l'annuale danza del sole, il pi sacro dei loro riti, essi avevano sempre offerto un bisonte in sacrificio. Nel 1881, la danza del sole dovette essere posposta di due mesi, mentre la trib rastrellava la pianura alla ricerca di un bisonte. Trovarono un solitario sopravvissuto che vagava per i pascoli e lo offrirono in sacrificio al sole. L'anno seguente, non ne trovarono pi (32). 13. COWBOY E INDIANI. Per migliaia di anni, le trib indiane avevano vissuto in un rapporto simbiotico e sostenibile con il bisonte delle Grandi Pianure del Nordamerica. Gli indigeni americani cacciavano il bisonte quanto bastava loro per nutrirsi, coprirsi e ripararsi. I bisonti erano il cardine della loro esistenza, cos come per molte culture europee lo erano i bovini. Diversamente dai bovini europei, i bisonti americani non erano facilmente addomesticabili e rimasero animali da cacciare pi che da allevare. L'esercito degli Stati Uniti, le ferrovie e gli allevatori speravano che, eliminando il bisonte dalle praterie, avrebbero ridotto il nemico alla fame e alla sottomissione, limitando al minimo le perdite e contraendo i tempi del conflitto nelle pianure; il nemico erano le singole nazioni indiane, ciascuna custode di una piccola fetta di quell'immenso mare d'erba che si stendeva dal Mississippi alle Montagne Rocciose e oltre. In Texas e Oklahoma c'erano i Comanche; a Nord, in Oklahoma, Kansas e Colorado, i Kiowa; a Nord-Est gli Osage; pi a nord, nei Dakota, in Montana e Wyoming dominavano i Cheyenne; la gran parte delle pianure del Nord erano dei Sioux; a Ovest c'erano i Piedi Neri; nel grande bacino, fra le due catene delle Montagne Rocciose, risiedevano Ute,

Paiute, Shoshone e Washoe; il Sud-Ovest era popolato di Pueblo, Hopi, Apache e Navajo (1). Nei primi anni di campagna militare per liberare le pianure del West dagli indiani, occasionalmente le truppe governative si abbandonavano ad atti di sfrenata violenza. A Sand Creek, nel territorio del Colorado, la mattina del 29 novembre 1864, truppe al comando del colonnello John M. Chivington del Terzo cavalleria del Colorado, caricarono un campo indiano mentre gli occupanti dormivano. Il loro capo Black Kettle, usc dalla tenda sventolando la bandiera bianca e quella americana in segno di resa. Chivington ignor il segnale e massacr gli uomini, le donne e i bambini dell'accampamento. Un interprete rese questa testimonianza oculare alla commissione d'inchiesta militare che indag sull'evento: Gli strapparono lo scalpo e gli spaccarono la testa; gli uomini usavano i coltelli per sventrare le donne e massacravano i bambini, sfondandogli il cranio con il calcio del fucile e facendogli uscire il cervello. Mutilarono i loro corpi come pi non era possibile fare (2). Quel giorno vennero uccisi fra i 200 e i 500 indiani. Quando la commissione d'inchiesta chiese a Chivington perch avesse fatto fuoco sui bambini, questi rispose: Quei mocciosi erano pieni di pidocchi. Pi tardi, il colonnello Chivington apparve su un palco pubblico, a Denver, dove raccont gli eventi a una folla deliziata, mostrando pi di cento scalpi indiani, inclusi anche i peli pubici di numerose donne (3). Nel 1870, il Department of War aveva gi spostato l'attenzione dal massacro degli indiani alla loro resa per fame, con l'eliminazione della loro fonte di viveri: il bisonte delle Grandi Pianure. La strategia della fame si dimostr militarmente pi efficace: indebolite e demoralizzate dal massacro incondizionato dei bisonti, intere nazioni indiane si arresero, lasciando solo isolate sacche di resistenza. Le perdite militari furono decisamente meno ingenti di quanto comunemente si crede: secondo i documenti ufficiali del governo, in venticinque anni di azioni militari sulle pianure del West, il numero ufficiale di indiani uccisi ammonta a 5519, mentre quello degli ufficiali e dei militari raggiunge appena i 932, con 1061 feriti. Secondo l'esercito, nel corso dell'intera campagna militare del West, rimasero anche uccisi 461 civili, e 116 furono feriti (4). La strategia della strage di bisonti, che indusse gli indiani delle pianure ad arrendersi per fame, ebbe un tale successo che gi negli anni Ottanta dell'Ottocento la maggior parte delle trib viveva nelle riserve, dove era strettamente controllata da agenti del governo e da militari. Scomparsi i bisonti, gli indiani divennero totalmente dipendenti per la loro sussistenza dalle razioni alimentari del governo americano. Nutrire questi nuovi cittadini sottoposti alla sua tutela divenne una delle principali attivit del governo, oltre che un'eccellente opportunit commerciale per i sempre pi forti potentati agricoli del West. I mangiatori di bisonti divennero i primi consumatori di carne di manzo a ovest del Mississippi. Controllando l'origine e la distribuzione della carne, il governo era in grado di esercitare un controllo quasi totale su decine di migliaia di nativi americani. Nello stesso tempo, la nuova politica delle razioni alimentari rappresentava un mercato per il bestiame locale (5). L'Indian Department del governo federale acquistava dagli allevamenti del West enormi quantit di carne di manzo, stabilendo un precedente per i futuri programmi di aiuti federali. Nel solo 1880, il governo acquist capi per quasi 18 mila tonnellate, consegnati vivi a trentaquattro Agenzie Indiane in dieci stati dell'Ovest, a prezzi compresi fra i 44,6 dollari alla tonnellata dell'agenzia di Fort Belknap, in Montana, ai 74,8 dell'agenzia di Los Pinos, in Colorado (6). Secondo alcune stime, la quantit di manzo acquistata dal governo per la distribuzione nelle riserve raggiunse anche le 22650 tonnellate l'anno (7). Eliminati i bisonti e circoscritta alle riserve la presenza degli indiani per disporre in esclusiva di pascoli per il proprio bestiame, gli allevatori si misero a vendere carne al governo, perch nutrisse proprio quelle popolazioni a cui avevano sottratto le fonti di sostentamento. Questa la storia di molte

fortune dei primi allevatori del West, solo raramente menzionata nei libri di storia. Edward Dale scrive: Non pu esserci alcun dubbio circa il fatto che questo mercato sia stato un forte fattore di sviluppo degli allevamenti delle pianure, e che un rilevante numero di allevatori abbia gettato le basi della propria attivit sui redditizi contratti governativi per la fornitura di carne agli indiani (8). La cronaca del periodo tutta un susseguirsi di storie in cui intraprendenti allevatori del West cospirano con corrotti funzionari dell'Indian Department per gonfiare artificialmente i prezzi della carne nei contratti per le forniture destinate alle riserve e per limare la quantit e la qualit effettivamente consegnate. A Washington, fra i lobbisti dell'epoca successiva alla guerra civile, la cosiddetta cerchia del manzo era tristemente famosa per la prodigalit nell'ungere gli ingranaggi. E se questo non fosse bastato, gli allevatori occidentali, resi ancora pi sfrontati dal proprio successo economico, andarono oltre, usurpando non solo i pascoli liberi delle pianure, ma anche la terra destinata alle riserve indiane. Gli allevatori consideravano le praterie emancipate una propriet pubblica di cui erano concessionari per diritto di usucapione (9). In quegli anni, il governo non esercitava ancora alcun controllo sull'utilizzo e sull'occupazione del suolo demaniale, lasciando agli allevatori milioni di ettari di pascolo libero su cui far pascolare le proprie mandrie. Nei primi anni Ottanta dell'Ottocento, alcuni allevamenti nutrivano da 50 mila a 100 mila capi su pascoli pubblici. Per ridurre le spese di trasporto del bestiame da consegnare all'Indian Department per la distribuzione nelle riserve, molti allevatori si limitavano a portare le proprie mandrie direttamente nelle riserve, dove venivano lasciate a pascolare in loco, prima di essere consegnate agli agenti del governo (10). Alcune delle piste per il bestiame pi frequentate attraversavano i territori destinati alle riserve indiane e molti mandriani approfittavano dell'opportunit per farvi pascolare le proprie bestie giorni o settimane, prima dell'ultima tratta del viaggio, verso i terminali ferroviari del Kansas; una di queste riserve, quella dei Cheyenne e degli Arapaho, si trovava all'incrocio della pista Chisholm e della pista Western, due fra le pi importanti piste; la riserva copriva 1,7 milioni di ettari di prateria ed era stata delimitata dal governo nel 1869 per ospitare tremila e cinquecento indiani (11). Gi nel 1880, gli allevatori in cerca di nuovi pascoli cominciarono a invadere una sezione della riserva, nota come Cheyenne Outlet. Negli anni successivi, cercarono di ottenere dal governo il permesso di pascolo sulla terra indiana, offrendo un canone simbolico di 10 centesimi per capo di bestiame (12). Il Department of Interior continu a negare il permesso, ma con scarsi risultati: i bovini affluirono verso le riserve, divorando le praterie; nel frattempo, le popolazioni indiane che vivevano nella riserva stavano letteralmente morendo di fame. Le razioni di carne fornite dal governo erano inadeguate e gli indiani, intrappolati nelle riserve, divennero facile preda di un'altra truffa, perpetrata dagli allevatori: accettarono di permettere alle mandrie di pascolare nella riserva in cambio di carne. Il 12 dicembre 1882, i capi dei Cheyenne e degli Arapaho presentarono una richiesta formale al governo, per concedere in affitto agli allevatori, come pascolo bovino, poco meno di un milione di ettari di territorio della riserva, per un compenso di poco superiore ai 4 centesimi di dollaro a ettaro. Met del ricavato sarebbe stato impiegato per l'acquisto di giovani bestie che gli indiani avevano intenzione di allevare (13). Il Department of Interior degli Stati Uniti, pur non riconoscendo mai ufficialmente questi accordi, stabil informalmente di non opporsi. In una lettera alle parti in causa, il segretario di Stato afferm: Il Department non riconosce l'accordo o la locazione che citate n qualsiasi altro accordo della medesima natura; non intende approvarlo n assumersi l'onere di dirimere eventuali controversie fra le parti in virt di tale accordo. Ci nondimeno, il Department si impegner a evitare che terze parti, non coinvolte nell'accordo, possano interferire con chi in virt di questo abbia maturato dei

diritti (14). La strizzatina d'occhio informale del governo apr la strada alla diffusione di corruzione ed espropriazioni. Gli allevatori cominciarono a sollecitare favori, anche con pagamenti sotto banco, dai capi indiani, pur di assicurarsi diritti di pascolo, spesso per cifre corrispondenti solo a una frazione del valore di mercato del terreno. Generalmente, erano le maggiori aziende zootecniche quelle in grado di garantirsi gli accordi pi vantaggiosi. In pochi anni, le riserve indiane delle pianure furono suddivise in sfere d'influenza, di cui gli allevatori del West avevano un sostanziale controllo. Le tensioni fra indiani e bianchi, a causa dell'infrazione degli accordi o di obblighi non rispettati, aumentarono progressivamente, costringendo il presidente Cleveland a intervenire, nel 1885, ordinando l'estromissione di tutti i bovini dalla riserva Cheyenne e Arapaho (15). Questa prima, grande controversia fra governo, allevatori e indiani a proposito dell'uso dei pascoli del West ebbe un secondo, pi duraturo effetto: gli allevatori si allearono, creando la Cherokee Strip Livestock Association, prima fra le numerose e potenti associazioni di allevatori che per diversi decenni avrebbero dominato la politica nelle terre delle vacche. Oggi, a pi di un secolo di distanza dai primi tentativi di ottenere in concessione terre demaniali a prezzi inferiori a quelli di mercato, gli allevatori, con l'aiuto delle potentissime associazioni di categoria, continuano a godere di trattamenti di favore: nel West americano, gli ettari di terre demaniali concesse a pascolo a un canone per ettaro ben inferiore al valore di mercato, sono pi di 100 milioni (16). 14. L'ERBA E' ORO. Generazioni di scolari americani hanno ascoltato, rapiti, il romantico racconto della grande corsa all'oro del 1849. Pochi, per, sanno di un'altra corsa a ovest: quella delle migliaia di persone che cercarono fortuna nelle praterie delle Grandi Pianure. Negli anni Settanta del diciannovesimo secolo, lo slogan erba gratis colp l'immaginazione del paese: era dai tempi delle leggi sulle recinzioni in Europa e in Gran Bretagna che il mondo occidentale non aveva pi a disposizione, gratis, una cos vasta distesa di pascoli. I banchieri dell'Est e gli speculatori proclamarono: l'erba oro (1). Con la diffusione della notizia dell'emancipazione della prateria nell'Est, cominciarono ad affluire investimenti nel West, dapprima lentamente, poi a valanga. Resoconti euforici di profitti straordinari alimentarono la febbre. Praticamente, nello spazio di una notte, l'attenzione dell'intero paese si concentr sulle Grandi Pianure: nel Grande Deserto Americano era possibile fare fortuna. Ovunque, non si faceva altro che parlare di carne. Gli immigranti si misero in movimento verso ovest, alla ricerca del proprio mucchio d'oro; i banchieri inviarono rappresentanti nei territori occidentali per stringere accordi; un nuovo tipo di febbre bovina spazz la nazione, mentre gli americani cominciarono a immaginarsi come il pi grande impero alimentare della storia del mondo. Non tutti erano contenti dell'apertura della frontiera occidentale. In particolare, gli allevatori dell'Est erano amareggiati dalla piega presa dagli avvenimenti, che stavano costringendo molti a chiudere bottega. In "The Beef Bonanza; or How to Get Rich on the Plains", il generale James S. Brisbin scrisse del loro disagio: I nostri allevatori dell'Est stanno abbandonando l'attivit: non possono competere con il manzo delle pianure, dal momento che il pascolo costa loro dai 50 ai 75 - ma anche fino a 100 - dollari per meno di mezzo ettaro, e che devono tagliare e ricoverare il fieno per l'inverno. I pascoli del West, invece, praticamente non hanno un prezzo di mercato, e le bestie possono pascolare all'aperto anche in inverno perch le erbe delle pianure si seccano e riescono a nutrire il bestiame e a mantenerlo grasso anche in gennaio, febbraio e marzo

(2). In Inghilterra, l'interesse per i nuovi pascoli del West era pi forte che mai. I britannici, come gi detto, erano i maggiori consumatori europei di carne, e la loro nuova ricchezza di potenza industriale e coloniale aveva aumentato il loro potere d'acquisto. Come gi notato nei capitoli precedenti, la Scozia e l'Irlanda erano state completamente trasformate in pascolo per l'allevamento dei bovini destinati al mercato interno, ma neppure queste terre riuscivano a tenere il passo con la crescente domanda di carne delle classi privilegiate, medie e operaie, oltre che di quella dei militari, il cui appetito sembrava non avere limiti. Negli anni Sessanta dell'Ottocento, un'epidemia di antrace dall'Europa continentale si diffuse anche in Irlanda e in Gran Bretagna, decimando le mandrie e facendo aumentare vertiginosamente il prezzo della poca carne rimasta sul mercato. Cos, gli inglesi si rivolsero alle Americhe, Nord e Sud, per rifornirsi di carne. Nel corso di quel decennio, le spedizioni di bestiame vivo e di carne salata attraverso l'oceano Atlantico crebbero costantemente, ma il volume degli scambi rimase, comunque, limitato. L'apertura della frontiera del West si dimostr una colossale opportunit commerciale e, nello stesso tempo, una grande sfida tecnologica: c'erano pascoli nuovi, d'immenso potenziale, in grado di soddisfare abbondantemente la domanda inglese di carne; il problema era come collegare efficacemente i pascoli del West americano con il consumatore inglese, 800 chilometri pi a est. La soluzione del problema venne negli anni Settanta, grazie all'espansione a occidente del sistema ferroviario americano, all'invenzione di nuove tecnologie di refrigerazione e all'afflusso di capitali finanziari dall'estero. Le societ britanniche ebbero un ruolo fondamentale nel finanziamento della costruzione della ferrovia transcontinentale americana, durante gli anni Settanta e Ottanta dell'Ottocento. La Scottish American Investment Company, di Edimburgo, invest milioni di dollari nell'espansione ferroviaria americana (3). Gli inglesi erano ben lieti di contribuire al finanziamento della rete ferroviaria del nuovo continente, anche per facilitare il trasporto di quantit sempre maggiori di carne e di bestiame, a est, verso il mercato interno. Muovere il bestiame per ferrovia da ovest a est divenne l'obiettivo commerciale primario delle nuove ferrovie finanziate dagli inglesi. Lo storico Eric Ross sottolinea come spedizioni sempre pi massicce di bestiame vivo stimolarono una rapida espansione della rete ferroviaria (4). Mentre sulle praterie delle Grandi Pianure si posavano binari, un'innovazione tecnologica rese possibile, per la prima volta, trasportare carne fresca oltre l'Atlantico. Il trasporto refrigerato fu il nesso tecnologico che permise di configurare il complesso bovino euroamericano che avrebbe caratterizzato il secolo seguente. Un giovane inventore di New York, John I. Bates, fece alcuni esperimenti appendendo carcasse di manzo in celle refrigerate con un sistema di ventilazione forzata, alimentato da ghiaccio. Nel giugno 1875, utilizzando questo metodo, sped in Inghilterra otto carcasse. Le carcasse arrivarono fresche e il fatto cre fermento fra gli investitori britannici. Quello stesso anno, Timothy Eastman acquist il brevetto di Bates e lanci un'ambiziosa campagna per la spedizione di carne fresca in Gran Bretagna. Gi alla fine dell'anno, aveva spedito pi di 90 tonnellate di carne bovina fresca. L'anno successivo, cominci a spedire una media di 450 tonnellate al mese. Alla fine di quell'anno, si stima che Eastman rifornisse mensilmente i mercati inglesi con circa 1350 tonnellate di carne fresca di provenienza americana. Altre aziende seguirono le orme di Eastman e, presto, navi a vapore transoceaniche attrezzate con celle frigorifere colme di manzi americani, cominciarono a fare la spola fra Stati Uniti e Isole britanniche: quasi tutte le navi a vapore sulle rotte fra New York e Philadelphia e i porti inglesi portavano carne americana (5). Gi nel 1880, nel mercato britannico l'economica carne americana cominciava a soppiantare il costoso manzo scozzese e irlandese. I consumatori inglesi erano estasiati dall'abbondante offerta di carne fresca. Secondo alcuni resoconti, a Liverpool e a Dublino furono sul punto di scoppiare delle sommosse, quando la gente tent di accaparrarsi la carne a buon mercato (6). Molti allevatori delle

regioni settentrionali, per, si sentirono minacciati e avviarono una campagna d'informazione al pubblico in cui vantavano le superiori qualit dei pascoli scozzesi e irlandesi rispetto a quelle delle pianure del West americano (7). Non bisogn aspettare molto, prima che gli investitori britannici e scozzesi prendessero la febbre bovina che gi aveva colpito l'America. Nei salotti non si parlava d'altro che della nuova cuccagna: vecchi gentiluomini che a malapena sapevano distinguere fra un manzo e una giovenca, discutevano in dettaglio di investimenti zootecnici (8). Nei primi anni Ottanta dell'Ottocento, i banchieri britannici e scozzesi si lanciarono all'assalto finanziario dei territori del West americano: costituirono enormi aziende di allevamento, garantendosi la concessione di milioni di ettari dei migliori pascoli delle pianure, per servire il mercato britannico. Se furono i pionieri della frontiera a rendere sicuro il West per le attivit economiche, furono i lord, i banchieri, gli avvocati e gli uomini d'affari inglesi a comprarlo, affondando le radici dell'impero bovino britannico nelle ricche praterie americane. Di fronte a tanti racconti di fortune costruite sull'erba delle praterie americane, il governo britannico costitu la Royal Commission on Agriculture, e invi nel West due funzionari, per disporre di testimonianze documentate e di prima mano. Tornarono con storie ancora pi stupefacenti sulle praterie americane, coperte di fieno che si fa da s (9). La corsa alla colonizzazione e alla capitalizzazione del West era cominciata. Per prima giunse la Anglo-American Cattle Company, costituita nel maggio 1879 con 70 mila sterline di capitale (10). Pochi mesi dopo, venne costituita la Colorado Mortgage and Investment Company of London, che acquist pi di 4000 ettari di terreni a nord di Denver. Un anno dopo, si costitu la Prairie Cattle Company, con un capitale di 200 mila sterline, di cui assunse la presidenza il duca di Airlee. Questi cowboy da salotto acquistarono vastissimi appezzamenti di terreno lungo i fiumi del Colorado e del New Mexico. La Texas Land and Cattle Company, fu registrata nel dicembre del 1881 con 240 mila sterline di capitale e acquist propriet nel Texas meridionale e tutte le mandrie che pascolavano lungo la Horseshoe Range. Nel 1882, si form la Matador Land and Cattle Company che acquist immediatamente 60 mila capi di bestiame e 120 mila ettari di terra, e diritti di pascolo per altri 700 mila ettari. In quello stesso anno, la Missouri Land and Livestock Company, con sede a Edimburgo, cominci a operare nel Missouri e nell'Arkansas. Un'altra societ scozzese-americana, la Western American Cattle Company, venne registrata con un capitale di 220 mila sterline e avvi attivit di allevamento lungo il ramo settentrionale del Cheyenne River, nel South Dakota occidentale e in Wyoming. Nel 1883, la Western Ranchers, un'altra societ inglese, apr una sede nel territorio del Dakota occidentale. Negli anni Ottanta vennero fondate numerose altre societ inglesi o scozzesi, che andarono a occupare ogni nicchia disponibile delle pianure del West: fra queste, solo per citarne alcune, la Swann Land and Cattle Company, la California Pastoral and Agricultural Company, la Wyoming Cattle Ranch Company, la Cattle Ranch and Land Company, la Arkansas Valley Land and Cattle Company e la Maxwell Cattle Company (11). Molti investitori britannici assunsero personale scozzese o americano per gestire le nuove attivit zootecniche, ma pi di un lord inglese si costru il castello nella prateria: costosa residenza dotata di arredi e suppellettili di produzione britannica, fornita dei migliori vini e delle pi prelibate vivande europee, con squadroni di domestici e stallieri (12). Questi ranch nella prateria servivano come residenza estiva o casa per le vacanze della classe dominante britannica, che vi si intratteneva con amici di famiglia o conoscenti, fra battute di caccia e pesca, ed escursioni nella natura selvaggia. A Traving, Wyoming, Morton Frewen, rappresentante delle compagnie di bestiame inglesi, costru un elegante castello per la moglie, Clara Jerome, membro della buona societ newyorkese. Negli anni Ottanta, la sua casa divenne il luogo pi ambito e ricercato di vacanza estiva fra i rappresentanti della nobilt inglese, molti dei quali possedevano quote della Powder River Cattle Company. Cheyenne, in Wyoming, divenne il ritiro preferito degli inglesi che avevano

investito nella Prairie Cattle Company. I baroni americani e inglesi dell'allevamento formarono l'esclusivo Cheyenne Club, in cui era d'obbligo la cravatta bianca e si poteva gustare la migliore cucina europea, preparata da uno "chef" francese. Molti gentiluomini britannici continuarono a farsi recapitare regolarmente i quotidiani da Londra, per mantenere i contatti con la vita economica e sociale della madrepatria (13). La loro presenza nelle pianure appariva piuttosto stravagante, in un paese solo pochi anni prima popolato esclusivamente da bisonti e trib indiane. Numerose associazioni, organizzate dagli allevatori americani negli anni Settanta dell'Ottocento a tutela dei propri interessi economici di fronte ai parlamenti di stato e a Washington, divennero poco pi che la voce di baroni stranieri del bestiame (14). Ed era una voce molto potente. In New Mexico, le associazioni degli allevatori controllavano 16 milioni di ettari di terra e possedevano complessivamente un milione e mezzo di capi di bovini. La Texas Livestock Association aveva pi di 500 aderenti, che possedevano un milione di capi. La Wyoming Stockmen's Association, la pi grande, controllava 1300 chilometri quadrati di terra, con un valore complessivo di 150 milioni di dollari. Alla met degli anni Ottanta, gli interessi finanziari inglesi dominavano la vita delle associazioni, praticamente facendo del West un avamposto coloniale dell'Impero britannico (15). Cos, le associazioni degli allevatori dovettero subire pi di un attacco. Fra i detrattori, qualcuno affermava: Con l'aiuto di capitali inglesi e dell'Est, [gli allevatori] si sono improvvisamente alleati in confederazioni pericolose tanto per l'impresa privata quanto per la libert pubblica. Il governo degli stati e dei territori in cui prevale l'allevamento praticamente nelle loro mani: hanno il possesso esclusivo di migliaia di chilometri quadrati di terre demaniali e vi hanno escluso i piccoli proprietari; controllano il parlamento locale, e un giudice che interpreti la legge in modo a loro poco gradito ha una carriera molto precaria (16). Gi nel 1884, l'opinione pubblica cominci a ribellarsi contro l'annessione del West agli interessi inglesi. Sui quotidiani e sulle riviste di agricoltura cominciarono a comparire editoriali di fuoco; il Drover's Journal di Chicago cos metteva in guardia, rispetto alle conseguenze dell'appropriazione della terra da parte degli inglesi: Bisognerebbe senz'altro porre limiti agli alieni non residenti che portano enormi profitti in paesi stranieri. Si dice che pi di 8 milioni di ettari siano gi dati in concessione a capitalisti stranieri e a societ, in porzioni di dimensioni comprese fra 20 mila e 1 milione e 200 mila ettari... Certamente non saggio n giusto permettere a speculatori stranieri di ottenere il possesso di tali estensioni, escludendo i nostri cittadini che vi si vorrebbero stabilire per coltivarle (17). Nell'estate del 1884, i sentimenti antibritannici erano ormai diffusi, quando entrambi i candidati alle convention repubblicana e democratica inclusero nella piattaforma della propria campagna provvedimenti volti a limitare le propriet straniere, negli Stati Uniti. Nella campagna presidenziale di quell'anno, fra James C. Blaine e Grover Cleveland, Blaine foment i sentimenti antibritannici del popolo con lo slogan: L'America agli americani (18). In quell'anno, alla camera dei rappresentanti fu presentato un disegno di legge volto a proibire che gli inglesi e gli altri europei acquistassero altri territori del West americano; coloro che presentarono il disegno di legge affermavano che il persistente acquisto delle praterie americane da parte di nobili stranieri avrebbe portato a un sistema di latifondo incompatibile con gli interessi e le libere istituzioni degli Stati Uniti d'America. La legge condannava questa nuova forma di latifondismo assente e metteva in guardia contro il pericolo che l'America tornasse a essere un territorio coloniale dell'Impero britannico. Il comitato che presentava la proposta di legge concludeva affermando in modo altisonante che il suolo americano deve essere

posseduto esclusivamente da cittadini americani (19). L'adozione della legge non riusc a placare le inquietudini di un'opinione pubblica sempre pi xenofoba, che si sentiva vendere il paese sotto i piedi. 15. LA POLITICA DEL "CORNED BEEF". La protesta del pubblico e le preoccupazioni del Congresso, per quanto rumorose, non riuscirono a bloccare l'ondata d'investimenti britannici nelle praterie del West. Alla met degli anni Ottanta dell'Ottocento, gran parte dei territori del West americano appartenevano a banchieri britannici o scozzesi, e a un vasto assortimento di nobili inglesi. Gli inglesi portarono con s molto pi del loro capitale: portarono il gusto per la carne di bestie ingrassate; il consumatore britannico insisteva a preferire la carne rossa, abbondantemente venata di grasso e, per soddisfare le sue esigenze, i nuovi signori della carne inglesi formularono un progetto senza precedenti. Per la prima volta nella storia dell'agricoltura, riunirono l'allevamento bovino e la produzione cerealicola in un'innovativa relazione simbiotica, che avrebbe alterato le pratiche agricole e le modalit di distribuzione del cibo per le generazioni a venire. Negli anni Trenta dell'Ottocento, gli agricoltori americani del Midwest avevano cominciato a sperimentare, su piccola scala, la somministrazione ai bovini del mais in eccesso; a causa della sua inusitata topografia, la valle del fiume Ohio divenne il laboratorio sperimentale del nuovo progetto imprenditoriale. L'Ohio godeva di un suolo fertile e di un clima favorevole alla coltivazione del mais; la parte settentrionale dell'Indiana, invece, era del tutto inadatta alla coltivazione dei cereali, ma perfettamente attrezzata per l'allevamento dei bovini. Gi negli anni Trenta, nella Ohio Valley veniva prodotta una tale quantit di mais che ad alcuni agricoltori e a uomini d'affari locali venne l'idea di importare bovini dall'Indiana e di sottoporli a una ricca dieta a base di mais prima di condurli ai mattatoi di Cincinnati; la Miami Valley, nello Iowa sud-occidentale, e il Kentucky centrale furono le prime regioni in cui si pratic l'ingrasso dei bovini (1). Con l'aumento della densit di popolazione, una parte sempre pi consistente delle terre demaniali fu recintata e dissodata; gli allevatori di bestiame furono costretti a migrare a ovest, nelle praterie aperte dell'Illinois e dell'Iowa (2). Il mais segu le vacche nella migrazione verso ovest, consolidando la nuova relazione simbiotica fra erba e mais. Alla vigilia della guerra civile americana, dalle praterie dell'Iowa partivano regolarmente mandrie verso l'Illinois, dove venivano ingrassate a mais prima di essere inviate al macello, a Saint Louis o a Chicago. Quando le Grandi Pianure furono liberate per il pascolo, le condizioni storiche erano mature per un cambiamento radicale nella prassi agricola: il confluire, su grande scala, di zootecnia e cerealicoltura. La ferrovia aveva collegato le praterie del West agli stati del Midwest, accorciando la distanza fra pascoli e campi di mais: due fra le pi grandi regioni agricole del mondo una straordinaria terra di pascoli e una ricca regione coltivata a mais - si trovarono finalmente vicine. Negli anni Settanta, il Midwest era inondato di mais: nel 1871 il raccolto fu cos abbondante che gli agricoltori aumentarono la domanda di bestie da ingrasso provenienti dalle Grandi Pianure (3). L'antropologo Eric Ross commenta: L'allevamento del bestiame nelle pianure fu... rapidamente inglobato in una consolidata simbiosi interregionale con gli stati produttori di mais pi a est, che avevano costante necessit di bestiame a basso prezzo, nutrito al pascolo, destinato all'ingrasso per sfruttare il surplus della produzione di mais (4). Negli anni Settanta, erba gratis e surplus di mais si unirono soprattutto per soddisfare il palato del consumatore britannico, che preferiva la carne grassa. Secondo lo storico del West Edward Dale, non c' dubbio che la forte domanda inglese di carne abbia stimolato una relazione pi stretta fra gli allevatori delle Grandi Pianure e gli ingrassatori di bestiame della "cornbelt"

[fascia del mais] (5). Nel 1876, il Commissioner on Agriculture formalizz la nuova relazione in una politica di governo: Le vaste aree a pascolo degli stati e dei territori della frontiera potranno essere impiegate per l'allevamento e il sostentamento dei bovini fino a due anni di et; a questo punto, verranno inviati in altre regioni, per essere nutriti per un anno a mais e ingrassati fino alle dimensioni gradite alla domanda estera (6). La nuova simbiosi conquist i britannici che, rapidamente, alla carne delle bestie scozzesi e irlandesi allevate a erica cominciarono a preferire quella dei manzi americani nutriti a erba e mais. La famiglia reale, il sindaco di Londra, il governatore della Banca d'Inghilterra e altre persone di rango tessevano le lodi della carne americana (7). Gi negli anni Ottanta dell'Ottocento, l'America rappresentava la fonte del 90 per cento delle carni importate in Inghilterra (8). Fu allora che i finanzieri inglesi si fecero avanti con enormi capitali, per acquistare le terre e l'industria del bestiame americana, facendo anche massicci investimenti negli stati produttori di mais, con l'obiettivo finale di controllare il fiorente complesso dei bovini alimentati a mais. Presto, questa nuova intrapresa avrebbe alterato i rapporti agricoli ed economici fra le nazioni e, con il tempo, arrecato un danno incommensurabile all'ambiente del pianeta. Nel breve volgere di cinque anni dall'avvio dell'invasione britannica delle pianure occidentali, le esportazioni di carni bovine verso l'Inghilterra avevano raggiunto un fatturato complessivo prossimo ai 31 milioni di dollari. Nel periodo compreso fra il 1884 e il 1886, furono spediti via mare verso le Isole britanniche pi di 43100 tonnellate di carne fresca. Si deve, comunque, notare che non tutti beneficiavano in ugual misura della nuova abbondanza: le classi medie e alte inglesi facevano la parte del leone nel consumo di carne bovina ingrassata a mais (9); i militari beneficiavano di gran parte del rimanente, dato che ogni soldato aveva un'ordinanza di 300 grammi di carne al giorno; le classi lavoratrici britanniche erano ancora largamente escluse dalla cultura della bistecca, poich erano in grado di acquistare solo modesti quantitativi dei tagli meno pregiati. Anche nell'ambito delle classi lavoratrici, la poca carne consumata non era uniformemente distribuita: ai maschi adulti andava la parte preponderante, mentre alle donne e ai bambini restavano gli avanzi (10). La domanda inglese di carne grassa, il bisogno degli allevatori del West di realizzare il massimo ricavo dai propri manzi, il desiderio degli agricoltori del Midwest di ricavare un reddito dal surplus di mais ingrassando bovini, e l'interesse dei finanzieri britannici di capitalizzare la nuova impresa coloniale agirono di concerto, contribuendo a creare un nuovo complesso bovino euroamericano. Progressivamente, gli americani si adeguarono al gusto inglese della carne grassa, in parte anche in risposta alle pressioni dell'offerta degli allevatori del West e degli agricoltori del Midwest che traevano il massimo profitto dalla combinazione di erba gratuita e surplus di mais. Nel 1884, gli Stati Uniti furono attraversati da una recessione economica. Poi, nell'inverno 1886-1887, le pianure furono sconvolte da un'impressionante serie di tempeste, che costarono la vita a decine di migliaia di capi. Alcuni allevatori persero sino al 70 per cento delle proprie mandrie (11). Le grandi tempeste del 1886 misero in ginocchio l'industria della carne, e mandarono in fallimento molti signori del bestiame. Le grandi societ inglesi e americane sopravvissero e si riorganizzarono. Gi nel 1900, le praterie dell'Occidente degli Stati Uniti registravano una popolazione bovina eccessiva ed erano sottoposte a una pressione di pascolo insostenibile. Gli allevatori non poterono pi permettersi di far pascolare le proprie mandrie nella prateria per cinque o sei anni (12). Nello stesso tempo, gli stati del Midwest continuavano a produrre granoturco in eccesso, rendendo pi pratico nutrire i bovini al pascolo per un solo anno, prima di trasferirli negli allevamenti intensivi per essere ingrassati a mais e, in seguito, macellati. Quello che era cominciato come un espediente per soddisfare la passione inglese per la carne venata di grasso si consolid progressivamente in una nuova

relazione economica, diversa da ogni altra nella storia dell'agricoltura. Dopo il 1900, le oscillazioni dei prezzi dei cereali cominciarono a influenzare anche il prezzo della carne bovina, dal momento che un numero sempre maggiore di bestie veniva finito a mais. Nello stesso tempo, le oscillazioni annuali della produzione zootecnica e della domanda dei consumatori cominciarono a influenzare pesantemente il prezzo dei cereali. La simbiosi era quasi completa. In effetti, il mercato dei cereali divenne cos dipendente dall'allevamento bovino che senza il mercato per l'alimentazione animale, i prezzi [sarebbero crollati] vertiginosamente (13). Per garantirsi il gradimento della carne grassa di manzo da parte del consumatore americano, il governo degli Stati Uniti configur un sistema di classificazione per misurare la qualit della carne bovina. Il sistema, introdotto nel 1927 dal Department of Agriculture degli Stati Uniti (USDA), classificava la carne sulla base del contenuto di grasso, partendo dall'assunto che, rispetto ai tagli magri, la carne grassa fosse di migliore qualit e preferita dai consumatori. Alla fine, la predilezione inglese per la carne grassa era stata adottata dal governo degli Stati Uniti come standard sulla base del quale giudicare la qualit, quindi il prezzo, della carne venduta ai consumatori americani. I gradi di qualit, stampigliati su tutti i tagli dagli ispettori dell'USDA, sono "prime, choice, select, standard, commercial, utility, cutter" e "canner" [superiore, scelta, selezionata, standard, commerciale, inferiore da macinato, e da conserva]; il grado di qualit determinato dalla quantit e distribuzione del grasso dell'animale (14). Generalmente, la qualit "prime" considerata la migliore, viene servita nei ristoranti di classe e venduta nelle macellerie pi eleganti. "Choice" il secondo livello, quello tendenzialmente preferito dai consumatori perch ha un buon contenuto di grasso, ma non altrettanto costoso della carne "prime". Il grado "select" meno grasso, quindi, incontrando poco il gusto dei consumatori, compare raramente sui banchi dei supermercati. Gli altri gradi sono prevalentemente utilizzati per le carni lavorate, come hot-dog e hamburger confezionati, o dai servizi di ristorazione collettiva. I gradi pi bassi sono impiegati anche nella produzione di cibi per animali. Il sistema di classificazione non ha nulla di scientifico e lascia spazio ad abusi ed errori; un ispettore federale procede lungo la fila di carcasse appese nella cella frigorifera del macello, sbirciando in un'apertura praticata fra la dodicesima e la tredicesima costola per esaminare il muscolo: ne valuta la marmorizzazione - cio la quantit di grasso diffusa nella carne - la consistenza e il colore. Controlla anche la cartilagine, per valutare l'et della bestia. L'esame completo non dura pi di quindici secondi, dopo di che l'ispettore timbra la carcassa con un punzone metallico che ne definisce la qualit. Non raro che, negli stabilimenti pi automatizzati, in un'ora un ispettore valuti la qualit di 330 carcasse. Non c', dunque, da meravigliarsi se il General Accounting Office (GAO) ritiene che una carcassa su cinque ottenga una valutazione non corrispondente alla realt (15). Favorendo la carne grassa rispetto a quella magra nel proprio sistema di valutazione della qualit e di determinazione del prezzo, l'USDA ha contribuito a supportare il complesso nordamericano dei bovini ingrassati a mais per gran parte dell'ultimo secolo. G. M. Ward riassume sinteticamente cos la partnership che si andata formando fra governo federale, allevatori di bovini e coltivatori di mais: A causa del prezzo pi favorevole, il grado di qualit "choice" l'obiettivo dominante degli ingrassatori, ed , quindi, evidente che l'attuale sistema di valutazione ha imposto una struttura all'industria che, a sua volta, ha istituzionalizzato i gusti del consumatore e la domanda di bovini finiti a mais (16). Il complesso dei bovini finiti della seconda guerra mondiale. bovini - pari a circa il 5 per finiti a mais: si trattava, in a mais cresciuto lentamente fino alla vigilia Appena prima della guerra, solo 2,2 milioni di cento del patrimonio bovino americano - venivano gran parte, di carne di qualit "prime" e

"choice" destinata all'esportazione in Gran Bretagna o nei mercati dell'Europa continentale o al consumo della classe media e privilegiata, nel mercato interno (17). Dopo la guerra, le nuove tecniche agricole aumentarono sensibilmente la produzione cerealicola degli Stati Uniti: l'introduzione nei campi di particolari monocolture cerealicole, il crescente ricorso a fertilizzanti petrolchimici e a pesticidi, e la meccanizzazione e automazione dei processi produttivi agricoli fecero aumentare considerevolmente la resa per ettaro. Fra il 1945 e il 1970, la resa media del terreno agricolo aument del 240 per cento: il pi grande incremento mai registrato nella storia dell'agricoltura americana (18). Secondo un rapporto sull'industria dell'allevamento postbellica commissionato dalla Rockefeller Foundation, l'enorme surplus di mais rese possibile quel sistema di produzione zootecnica basato sull'alimentazione a base di cereali che ancora oggi sta fornendo carne relativamente a buon mercato al consumatore americano (19). Fra il 1950 e il 1990, il numero di bovini negli Stati Uniti aumentato da 80 a 100 milioni di capi, la maggior parte dei quali allevata a pascolo e finita a mais (20). Per stimolare il mercato finale della carne grassa, Safeway e altre catene di supermercati hanno cominciato a pubblicizzare la superiorit dei tagli di qualit "prime" e "choice". A sua volta, l'aumento della domanda dei consumatori ha ulteriormente stimolato lo sviluppo di immense stalle da ingrasso in tutto il Midwest, negli stati delle pianure e in California, dove i bovini erano alimentati con una ricca dieta a base di mais e di altri cereali, in modo che producessero quella carne venata di grasso che avrebbe potuto ottenere il marchio di qualit "prime" o "choice" da parte dell'USDA. Gi nel 1989, circa la met della produzione nazionale americana di bovini alimentati a mais era stata finita in 198 grandi fabbriche di carne sparse in diversi stati del West (21). Alcune di queste stalle industriali gestiscono pi di 50 mila capi; negli anni Settanta, specifici incentivi fiscali federali hanno incoraggiato l'investimento in attivit di allevamento industriale. I ricchi americani, fra cui anche molte celebrit, come John Wayne, investirono in cooperative che acquistavano il bestiame e lo mettevano all'ingrasso in stalla, per poi venderlo ai soci della cooperativa (22). Si dovrebbe, ora, sottolineare che il bovino non fisiologicamente strutturato per mangiare grandi quantit di cereali a elevato contenuto energetico; una dieta prevalentemente cerealicola disturba il normale funzionamento dei microrganismi dell'apparato gastrico, provocando diverse malattie del sistema digestivo. Circa l'8 per cento di tutti i bovini macellati negli Stati Uniti presenta ascessi al fegato (23). Oggi, a un secolo dal primo incontro fra l'erba gratis delle Grandi Pianure e il surplus di mais del Midwest, 42,5 milioni di ettari di terreno agricolo americano sono impiegati per coltivare 220 milioni di tonnellate di cereali destinati all'alimentazione bovina e di altri animali d'allevamento (24). Negli USA, gli animali consumano il doppio dei cereali dell'intera popolazione statunitense (25). A livello globale, circa 600 milioni di tonnellate di cereali sono impiegate nell'alimentazione animale e, soprattutto, in quella dei bovini (26). Se la produzione agricola mondiale si concentrasse sui cereali per l'alimentazione umana, anzich animale, si potrebbero nutrire pi di un miliardo di persone in tutto il mondo (27). Il complesso zootecnico-cerealicolo ha promosso un drastico cambiamento nella dinamica delle relazioni sociali umane, agendo profondamente su tutti i livelli sociali. La questione che ci si pone oggi riguarda la sopravvivenza: chi mangia e chi non mangia, e come debbano essere utilizzati i milioni di ettari di terra disponibili nel pianeta, e a vantaggio di chi. I 16. FILO SPINATO E APPROPRIAZIONE DELLE TERRE. L'euforia per l'erba gratis fu di breve durata. Forse gli allevatori americani e i loro finanziatori d'oltre Atlantico sospettavano, seppure inconsciamente, che la cuccagna delle Grandi Pianure non avrebbe potuto durare a lungo. Gi nel

1862, il governo federale aveva approvato lo Homestead Act, con l'obiettivo di alleggerire la crescente pressione demografica sulla costa orientale, incentivando l'insediamento dei coloni a Ovest. Non appena il governo e gli allevatori ebbero scacciato il bisonte e gli indiani dalle praterie, facendo spazio ai manzi, orde di agricoltori cominciarono ad affluire ai margini delle praterie, affermando il proprio diritto sul demanio pubblico. Comunque, nella fase intermedia, negli anni del boom, fra i primi anni Settanta e i primi anni Ottanta dell'Ottocento, i signori del bestiame godettero di una quasi totale egemonia sulle terre demaniali. Sloggiati gli indiani dalle loro terre ancestrali, i colossi dell'allevamento del West dichiararono il proprio diritto di sovranit su vaste porzioni di terreno pubblico. La nozione di diritti territoriali venne ampiamente accolta: se un allevatore espropriava un ruscello, il suo diritto all'utilizzo esclusivo di tutte le terre irrigate da quel ruscello veniva accettato dagli altri allevatori: sebbene priva di qualsiasi fondamento giuridico, era questa la legge non scritta delle Grandi Pianure. In questi primi anni, alcuni dei maggiori allevamenti reclamarono diritti territoriali su aree pubbliche delle dimensioni del Massachusetts e del Delaware (1). E finch i signori del bestiame potevano permettersi di mantenere piccoli eserciti privati per proteggere la propria sfera di influenza, ben poco poteva essere fatto per ridurre il loro controllo sui pascoli. Poi, negli anni Ottanta, una nuova, rivoluzionaria invenzione giunse nelle pianure del West, cambiando per sempre la dinamica di potere nei territori vergini americani: il filo spinato, lo strumento che facilit la recinzione delle terre demaniali degli Stati Uniti. Joseph Glidden aveva inventato questo nuovo sistema di recinzione un decennio prima: pare che l'idea gli fosse venuta perch sua moglie l'aveva implorato di trovare un sistema che impedisse al cane dei vicini di entrare nel loro giardino. Glidden aveva utilizzato il macinacaff di casa per tendere un filo di ferro e, con l'aiuto di una vecchia mola, gli aveva avvolto intorno pezzi pi corti e appuntiti di filo di ferro. Il 24 novembre 1874, ottenne il brevetto per questa invenzione e apr un piccolo stabilimento a DeKalb, Illinois, per la produzione (2). Dapprincipio, i mandriani del West si opposero all'introduzione della nuova invenzione, temendo che potesse essere usata contro di loro da agricoltori ansiosi di proteggere i campi coltivati dall'invasione delle mandrie al pascolo. I cowboy si lamentavano che il filo spinato feriva cavalli e vacche e limitava la loro libert di movimento nelle pianure. Avevano battezzato il nuovo sistema di recinzione il nastro del cappello del diavolo (3). Non ci volle molto, perch qualche grande allevatore cominciasse a usare il filo spinato per proteggere la propria sfera d'influenza; Charles Goodnight, uno dei re del bestiame del Texas, recint un milione e duecentomila ettari di suolo demaniale con recinzioni illegali, che accett di rimuovere solo dopo anni, e in seguito all'intervento personale del presidente Theodore Roosevelt. Altri allevatori lo imitarono, recintando milioni di ettari di terra pubblica su cui non vantavano alcun titolo legale. La domanda di filo spinato crebbe rapidamente: gi nel 1880 se ne vendettero quasi 36 mila tonnellate (4). Le Grandi Pianure erano diventate un intrico delle stupefacenti recinzioni di Glidden. Gli allevatori continuarono a essere combattuti circa il reale beneficio del filo spinato. Sebbene alcuni ne sostenessero l'utilit per isolare le mandrie ed evitare le ibridazioni con bestiame di razza inferiore o i contatti con le bestie inselvatichite, portatrici di malattie, altri consideravano l'invenzione una minaccia alla libert di accesso alla terra e all'acqua. Nel 1884, un mandriano del Texas esprimeva cos il suo pensiero al riguardo: Nel 1874, lungo le piste di transumanza verso il Nord non c'erano recinzioni, e avevamo molta prateria a disposizione per il pascolo. Oggi, con tante terre recintate, le piste sono diventate, sotto molti aspetti, stretti corridoi in cui non si trovano spazi per fermarsi a far pascolare le mandrie... le recinzioni, signori, sono la maledizione di questo paese (5). Se gli allevatori si divisero in due opposti schieramenti, quello del pascolo libero e quello della terra recintata, la battaglia fu ancora pi aspra fra allevatori e agricoltori (6). I signori del bestiame sostenevano le antiche

leggi spagnole, che imponevano ai contadini di recintare la propria terra: la maggior parte degli stati del West aveva adottato una legislazione secondo cui le mandrie avevano libert di accesso ai fondi, lasciando sulle spalle degli agricoltori la responsabilit di tenerle lontane dalle coltivazioni, recintandole. Comprensibilmente, gli agricoltori propugnavano l'adozione della "common law" britannica, che imponeva al proprietario del bestiame di rinchiudere le mandrie all'interno di recinti, per impedire che invadessero i campi coltivati. Nei primi anni Ottanta, nelle grandi praterie ci furono veri e propri scontri armati, a causa delle recinzioni. Nel solo Texas, entro la fine del 1883, in pi della met delle contee si erano verificati episodi di distruzione di recinzioni e di incendi di pascoli (7). Durante l'autunno e l'inverno, nel corso di assalti notturni fu distrutto filo spinato per un valore superiore ai 20 milioni di dollari (8). In diverse occasioni, si verificarono sparatorie, con la morte di diversi cowboy. Il 4 ottobre 1883, il Dodge City Times, del Kansas, rifer: Nella parte meridionale della contea di Clay, in Texas, a seguito del taglio della recinzione di Sherwood, si verificato un fatto di sangue. Un certo Butler, ritenuto il capo del gruppo responsabile della distruzione dei recinti, stato ucciso, e molti sono stati feriti, probabilmente in uno scontro a fuoco con i guardiani incaricati di proteggere le recinzioni (9). Pi di qualche amministrazione locale e statale tent di impedire la recinzione di terreni pubblici, come fecero anche i rappresentanti degli uffici federali del catasto. Per anni, per, furono sopraffatti e resi impotenti dai signori del bestiame, che per mantenere la sovranit sul demanio pubblico potevano contare su un'efficace combinazione di influenza politica e pistole prezzolate. In Texas e in Montana, migliaia di ettari di terre pubbliche furono recintati. Nel SudOvest e nell'Ovest del Kansas, le grandi societ di allevamento recintarono intere contee. La Carlisle Cattle Company, a capitale britannico, recint una vastissima porzione di terra pubblica in Wyoming; e numerose altre aziende recintarono estesi appezzamenti in Nevada e New Mexico (10). Alla fine, nel 1885, rispondendo alle pressioni dell'opinione pubblica e, soprattutto, a quelle degli agricoltori che cominciavano a colonizzare massicciamente le pianure del West, il Congresso degli Stati Uniti approv una legge finalizzata a perseguire la recinzione abusiva di terreni pubblici per uso privato. Molti osservatori temevano che le grandi societ di allevamento si sarebbero limitate a ignorare la legge appena approvata, continuando a non rispettare le direttive del governo federale. I redattori del giornale economico Bradstreet, di New York, commentarono sarcasticamente: Sar interessante osservare il risultato di questo tentativo, per stabilire se comanda il governo, con i coloni, oppure i grandi allevatori (11). Nell'agosto di quell'anno, il presidente Cleveland lanci pubblicamente un anatema contro le recinzioni fuorilegge dei territori del West e dichiar che, se non fossero state rimosse, avrebbe inviato l'esercito a distruggerle. Molte societ di allevamento a capo del movimento di recinzione delle terre demaniali americane erano a capitale britannico. Fra queste, la Prairie Cattle Company e la Arkansas Valley Land and Cattle Company, entrambe accusate di aver recintato illegalmente quattrocentomila ettari di terre in Colorado. Gli inglesi rimasero spiazzati dall'improvviso cambiamento del clima politico negli Stati Uniti, e cominciarono a chiedersi quanto fosse stato saggio investire nei pascoli del West. L'Economist critic Fleet Street per l'ingenuit e la tendenza all'imbroglio di bassa lega: Su consiglio di americani di pochi scrupoli, che li hanno convinti a investire, ritenevano ingenuamente che gli 'interessi bovini' del West fossero abbastanza forti da sconfiggere la legislazione del paese. Si sono impossessati di milioni di ettari di un territorio su cui non avevano pi diritti di quanti ne potessero accampare sulla City Hall di Broadway. Hanno speso migliaia di sterline in recinzioni... che adesso devono smantellare. Hanno tentato di ottenere il controllo dell'intera regione dei pascoli... appropriandosene con la frode... Ora i nostri speculatori nel Far West non devono sorprendersi della tempesta di

impopolarit che li ha colpiti n dei rigori di leggi intese a proteggere i coloni n, tanto meno, dei tentativi tesi a distruggerli economicamente. Non si sono accostati con onest al popolo americano e al sistema americano di gestione del territorio; da questo nato il pregiudizio contro di loro, che si diffuso in tutti gli Stati Uniti (12). Anche con le nuove restrizioni imposte dal governo federale, le societ di allevamento britanniche e inglesi furono in grado di aggirare la legge attraverso sistemi contrari all'etica, se non apertamente illegali. Molte societ di allevamento approfittarono dello Homestead Act, che concedeva sessanta ettari di terra demaniale a ogni piccolo agricoltore. La maggior parte degli allevatori si assicurarono il titolo sui sessanta ettari immediatamente prossimi alla sede dell'allevamento e alle sorgenti d'acqua, pur continuando a pascolare le proprie mandrie su migliaia di ettari di terreni demaniali. Altri approfittarono del Timber Culture Act, del 1873, che concedeva altri sessanta ettari all'agricoltore che ne destinasse un quarto alla salvaguardia ambientale, piantandovi alberi: molti ottennero la terra, ma pochissimi piantarono gli alberi. Delle molte leggi approvate dal governo per distribuire con equit le terre pubbliche, nessuna fu pi abusata e sfruttata a fini perversi del Desert Land Act, del 1887, che concedeva la propriet della terra a chiunque si assumesse l'impegno di migliorarne le condizioni di irrigazione. Secondo lo storico Wallace Stegner, la legge non poteva essere configurata meglio per essere sfruttata da speculatori e accaparratori di terreni... La frode non era in alcun modo dimostrabile, ma si stima che il 95 per cento dei titoli esibiti in prova fosse fraudolento. La Union Cattle Company di Cheyenne si limit a tracciare un solco d'aratro lungo cinquantasei chilometri, e a chiamarlo canale di irrigazione, assicurandosi cos i diritti di propriet di pi di 13 mila ettari di terre demaniali (13). Altre societ di allevamento comprarono appezzamenti di terra dalle ferrovie, quindi fecero valere il diritto di prelazione sulle terre demaniali vicine ai suddetti appezzamenti. La societ (a maggioranza inglese) Swann Land and Cattle Company compr 200 mila ettari di terra dalla Union Pacific Railroad Company, che era fortemente finanziata da banchieri inglesi, e poi procedette a recintare altri 200 mila ettari di terra demaniale. In seguito, le indagini governative dichiararono che, fra il 1870 e il 1889, fra i 2 e i 3 milioni di ettari di terre pubbliche erano stati espropriati con la frode da societ attive nel settore dell'allevamento. Nel 1887, il Congresso approv una legge che proibiva alle societ a capitale estero, e alle societ nazionali con pi del 20 per cento di capitali di origine straniera, di ottenere nuove terre nelle pianure del West. Ma anche questa decisione si dimostr inefficace al fine di ridurre la dominazione straniera sui territori occidentali degli Stati Uniti. La Scottish-American Mortgage Company aggir la legge intestando i propri terreni a cittadini americani compiacenti. Altre societ fecero richiedere ai propri dipendenti i diritti sulla terra in base allo Homestead Act e ad altri provvedimenti governativi di concessione delle terre demaniali, riacquistando poi, per pochi spiccioli, i diritti di propriet. Nella storia americana, l'esproprio delle pianure occidentali stato un processo assolutamente diverso da qualsiasi altro movimento di colonizzazione. Lo storico Benjamin Hibbard ha riassunto cos lo spirito dell'epoca: Tutto considerato, si trattato del pi evidente, esteso e vergognoso caso di appropriazione indebita di terre che si sia mai verificato in America. Aziende con sede in citt dell'Est e perfino in Inghilterra recintarono tutte le terre che volevano, e qualcuna ebbe anche la sfrontatezza di affermare, davanti a un tribunale, che ogni uomo deve avere diritto a tutta la terra che pu recintare (14). Nel 1916, il governo federale approv il Grazing Homestead Act, che garantiva 250 ettari di terra agli allevatori che la destinassero specificamente a pascolo. Nel 1923, poco meno di 13 milioni di ettari di terre demaniali in quasi tutti gli stati e i territori del West, con l'eccezione del Texas, erano

stati reclamati da allevatori di bestiame, in virt del Grazing Homestead Act (15). L'assegnazione della terra pubblica fece ben poco per limitare il potere dei re del bestiame. Anzi, anche quando le leggi non li favorivano apertamente, gli allevatori riuscirono a volgerle a proprio favore, con mezzi legali o illegali. Il governo continu a dimostrarsi sordo alle proteste degli agricoltori e di tutti coloro che vedevano sistematicamente calpestati i propri diritti a favore di quelli dell'industria dell'allevamento. Il trionfo finale delle associazioni degli allevatori fu nel 1934, quando il presidente Franklin D. Roosevelt firm il Taylor Grazing Act, trasformandolo in legge (16). Apparentemente, la legge era destinata a incentivare il miglioramento dei terreni demaniali, concedendoli in affitto ad allevatori che si assumessero collettivamente la responsabilit della loro gestione e manutenzione; in realt, la legge riusc a trasformare decine di migliaia di ettari di terre pubbliche in concessioni private, in cambio di canoni di locazione o di concessione simbolici. Le potenti associazioni degli allevatori del West avevano fatto lobbying per pi di sessant'anni, al fine di ottenere provvedimenti favorevoli nella politica di concessione delle terre demaniali. L'idea era stata avanzata per la prima volta a un congresso nazionale degli allevatori, tenutosi a Saint Louis negli anni Settanta dell'Ottocento. In quell'occasione, una preveggente pubblicazione, The Statist, aveva avvertito che con un tale sistema di concessioni, i re del bestiame del West si trasformeranno in magnati dieci volte pi potenti e importanti di un duca inglese (17). Da allora, questa previsione si trasformata in realt. Oggi, 30 mila allevatori di undici stati fanno pascolare bestiame su circa 120 milioni di ettari di terre pubbliche: un'area equivalente ai quattordici stati della costa atlantica, dal Maine alla Florida, o al 16 per cento della superficie dei quarantotto stati dell'Unione. Fin dall'inizio, il canone di concessione dei pascoli era cos basso da poter essere considerato irrilevante: quando, nel 1936, la legge fu messa in atto, gli allevatori corrispondevano mensilmente al governo federale 5 centesimi di dollaro a capo (18). Chi riceve la concessione ha il diritto esclusivo di utilizzo dell'appezzamento di terra assegnatogli. Inoltre, la concessione pu essere detenuta in perpetuo dal concessionario e dalla sua famiglia, ovvero pu esser trasmessa per via ereditaria. Il governo ha concesso i permessi agli allevatori che possedevano propriet base nei pressi delle terre demaniali, garantendo alle stesse aziende zootecniche che tanto a lungo avevano goduto dei pascoli gratis di poter continuare a farlo, anche se a fronte di un canone di concessione simbolico. Oggi, per il diritto di pascolo su terre demaniali, il concessionario paga solo 1,81 dollari al mese a capo. L'amministrazione Reagan ha stimato che il prezzo di mercato per pascolare il medesimo bestiame su terreni privati sarebbe compreso fra 6,40 e 9,50 dollari al mese (19). Nel 1989, gli allevatori del West hanno corrisposto solo 35 milioni di dollari per far pascolare il proprio bestiame sulla quasi totale estensione delle terre demaniali a ovest del Mississippi: una cifra che rappresenta solo una frazione di ci che avrebbero speso se quei terreni fossero stati privati (20). Semplicemente, il Taylor Grazing Act rappresenta la pi grande donazione di terra della storia moderna: nessun altro gruppo, oggi o in passato, stato altrettanto supportato dai contribuenti americani; e raramente questo fatto viene discusso, quando si parla dell'opportunit di interventi di politica fiscale da parte del governo federale. Gli allevatori di bovini non beneficiano esclusivamente del canone simbolico di concessione dei terreni a pascolo, ma anche del valore di mercato delle concessioni stesse. Sebbene non possa trasferire volontariamente la titolarit della concessione, un allevatore pu vendere la sua propriet, e siccome la concessione rimane generalmente legata alla propriet, il valore di quest'ultima moltiplicato dai diritti esclusivi di pascolo che l'accompagnano. Grazie alle concessioni sui terreni demaniali, gli allevatori hanno lucrato centinaia di milioni di dollari. Una ricerca condotta nel 1984 dallo House Committee on Appropriations, ha analizzato l'abuso in dettaglio: in particolare, ha evidenziato come un singolo allevatore avesse venduto la propria azienda a un

prezzo superiore di un milione di dollari a quello che avrebbe ricavato se non avesse goduto di un diritto esclusivo sui pascoli demaniali (21). In quanto concessionari di suolo pubblico, gli allevatori godono di ulteriori benefici. I canoni che versano sono raccolti dal Bureau of Land Management, che utilizza il 56 per cento del ricavato per finanziare migliorie dei terreni nel medesimo distretto in cui i fondi sono stati raccolti (22). Poco pi di un terzo di quanto raccolto finisce nelle casse del Tesoro degli Stati Uniti, e il rimanente in quelle delle amministrazioni di contea (23). Lo United States Forest Service amministra programmi simili. Le migliorie che vengono finanziate, spesso sembrano ispirate al desiderio di favorire gli interessi economici degli allevatori pi che quelli dell'ecosistema, come invece imporrebbe il programma. Per esempio, a Whitehorse Butte, in Oregon, un allevatore paga un canone annuo di 18 mila dollari per l'uso di 51 mila ettari di terre demaniali, il B.L.M. ha in progetto di sussidiare l'allevatore costruendo un acquedotto, scavando un pozzo e recintando un perimetro di 25 chilometri. Il costo del progetto stimato in 174 mila dollari, a cui si devono aggiungere circa 14 mila dollari di oneri annuali di manutenzione dell'acquedotto (24). Dato che i ricavi dei canoni di concessione sono minimi, il canone corrisposto dal concessionario copre solo una parte dei miglioramenti eseguiti sui pascoli pubblici; il resto pagato dal contribuente americano. Nel 1989 per esempio, il B.L.M. e il Forest Service hanno speso 35 milioni di dollari in pi rispetto a quelli ricavati, per amministrare il programma (25). I miglioramenti predisposti dal B.L.M. includono la realizzazione di uno stagno, la semina di erbe esotiche, la costruzione di recinzioni, l'irrorazione con erbicidi, l'affissione di segnali e l'allestimento di altre infrastrutture. Nel 1985, il B.L.M. e il Forest Service hanno completato uno studio settennale sul programma di concessione dei pascoli pubblici nelle pianure occidentali, giungendo alla conclusione che l'attuale sistema corrisponde a una donazione di svariati milioni di dollari all'anno, a beneficio degli allevatori (26). La vera storia di come stato conquistato il West somiglia ben poco alla saga raccontata dai libri di storia a generazioni e generazioni di giovani americani. Dietro la facciata dell'eroismo della frontiera, del coraggio dei cowboy e dei valori della famiglia, si cela un racconto diverso: una storia di ecocidi e genocidi, di appropriazione indebita di terre, di espropriazione di un intero continente a esclusivo beneficio di pochi privilegiati. Il movimento di recinzione delle pianure americane non stato diverso da quello che caratterizz l'Inghilterra tudoriana ed elisabettiana e l'Europa continentale, per l'impatto avuto sulle popolazioni indigene e sull'ambiente. Nell'Inghilterra dei Tudor, all'inizio del sedicesimo secolo, la nobilt terriera un le proprie forze a quelle dell'emergente nuova classe mercantile per spingere i contadini fuori dalle terre ancestrali ancora indivise, per fare spazio alle pecore, la cui lana cominciava a generare grassi profitti nei nuovi mercati tessili. I "commons" inglesi erano stati coltivati collettivamente per secoli, sulla base delle regole pi diverse. La maggior parte dei piccoli coltivatori godeva del diritto di appartenere alla terra, che comprendeva anche il diritto di accedere ai campi e ai pascoli comuni. A partire dagli anni Trenta del Cinquecento, i latifondisti promossero la recinzione delle terre di propriet comune, trasformando i "commons" in pascoli privati per le pecore. Deprivati dell'accesso alla terra, i piccoli coltivatori divennero la nuova classe dei diseredati, impossibilitata a usare la terra ancestrale per sostentare se stessa e la propria progenie. Molti migrarono nelle nuove citt industriali, dove diventarono la prima generazione di lavoratori non qualificati. Altri cercarono di resistere, nell'inutile tentativo di riconquistare lo status perduto. In "Utopia", sir Thomas More ben sintetizz l'atmosfera dell'epoca: Le pecore divorano la gente, proclam, mentre latifondisti e mercanti continuavano a occupare con le pecore una terra che, fino a qualche anno prima, era stata zappata dai contadini per nutrire la propria famiglia. In America, nelle Grandi Pianure, milioni di indiani sono stati allontanati dalle terre comuni dei loro antenati dagli allevatori, dal governo federale, da nobili e banchieri inglesi, per lasciare il posto a bovini che avrebbero alimentato il nuovo mercato della carne in America e in Europa, oltre che le

industrie del sego e della concia di pelli. I bisonti sono stati sterminati e gli indiani rinchiusi in riserve dove, affamati e indeboliti dalle malattie dell'uomo bianco, ricevevano le magre razioni governative, appena sufficienti per sopravvivere. Nel West, le vacche divorano la gente. E divorano anche l'ambiente. Come accadde in Inghilterra, dove l'eccessiva pressione ovina e gli insostenibili ritmi di pascolo isterilirono rapidamente la terra, provocando danni permanenti alla flora e alla fauna delle Isole britanniche, cos l'invasione bovina nelle pianure occidentali ha devastato le praterie, distruggendo milioni di ettari di terre e minando alla base l'ecosistema originario: una questione che analizzeremo pi approfonditamente nella Parte quinta. La trasformazione delle pianure americane da praterie vergini in pascoli commerciali, nel volgere di meno di una generazione, , senza dubbio, una delle pi colossali transazioni d'affari della storia del mondo. Pochi americani sono consapevoli del fatto che il West stato colonizzato a vantaggio dei bovini, e che gli allevatori hanno cospirato con banchieri e nobili inglesi per colonizzare il 40 per cento della superficie degli Stati Uniti, creando il potente complesso bovino euroamericano. E un numero ancora inferiore di loro, oggi, consapevole del fatto che gli allevatori e le grandi societ zootecniche attive nell'Ovest del paese praticamente godono di accesso gratuito a milioni di ettari di pascoli di propriet pubblica, e che le loro intraprese sono finanziate con il denaro dei contribuenti; l'idea dei fieri e indipendenti allevatori del West, i cavalieri della frontiera che hanno aperto all'ovest la strada alla civilt, poco pi di un mito, alimentato dagli stessi signori del bestiame e perpetuato da migliaia di romanzetti tascabili e film western. Parte terza. L'INDUSTRIALIZZAZIONE DEI BOVINI. 17. IL CARTELLO DELLA CARNE. Negli anni che seguirono alla guerra civile americana, il complesso bovino si leg inestricabilmente al potere imprenditoriale, esercitato a ogni livello della societ: dal controllo e dall'utilizzo della terra e delle risorse alla preparazione e alla distribuzione del cibo a diverse classi e gruppi di individui. Abbiamo gi analizzato le forze che hanno colonizzato la terra a vantaggio della cultura bovina; ora con la medesima attenzione bisogna esaminare una forza altrettanto formidabile: quella costituita dagli uomini e dalle aziende che in America hanno istituzionalizzato il proprio potere sulla distribuzione della carne e dei suoi derivati. Fra gli anni Settanta e Ottanta dell'Ottocento, in America, il consolidamento del controllo dei pascoli e delle coltivazioni di mais fu accompagnato dall'emergere di un altro gruppo di potere, gravitante intorno alle grandi citt dell'industria della trasformazione alimentare: Chicago, Saint Louis, Cincinnati e Kansas City. Una nuova generazione di imprenditori e uomini d'affari, in gran parte americani, si mosse rapidamente per concentrare nelle proprie mani il controllo dei macelli, delle linee ferroviarie, dei punti di distribuzione, diventando unico arbitro ed esclusivo intermediario fra l'industria dell'allevamento del Midwest e del West, e il consumatore finale di carne, all'Est e all'estero. Nel 1850, gli Stati Uniti trattavano carni rosse per un controvalore approssimativo di 12 milioni di dollari. Solo settant'anni dopo, il settore delle carni bovine rosse aveva un fatturato complessivo di 4,2 miliardi di dollari ed era fra i settori che maggiormente contribuivano al prodotto interno lordo, oltre a essere il secondo datore di lavoro del paese (1). In America, il manzo era re, e poche aziende controllavano quasi completamente il settore della carne. Il successo di queste imprese pu essere fatto risalire alla capacit di trarre vantaggio dalle innovazioni nella tecnologia di refrigerazione, per sconfiggere la concorrenza e monopolizzare il mercato. Il

carro ferroviario refrigerato, come la nave mercantile transoceanica refrigerata, rivoluzion l'industria della carne. Nel 1869, George H. Hammond, industriale di carni di Detroit, fu il primo a spedire su rotaia carne di manzo confezionata ai commercianti all'ingrosso di Boston. Nel 1871, apr un impianto di macellazione e confezionamento nell'Indiana, al confine con l'Illinois (quindi con Chicago), a poche miglia di distanza dal gigantesco Union Stockyard. Gi nel 1875, Hammond faceva spedizioni regolari di manzo nel New England, dove i macellai locali erano disposti a pagare un sovrapprezzo di 5 centesimi al chilo per la carne fresca. Gustavus Swift, uno dei commercianti di carni di Boston che vendeva localmente il manzo Hammond, rimase talmente impressionato dai margini di profitto realizzati dal suo fornitore che, nel 1877, a Chicago, decise di aprire un impianto proprio di macellazione e lavorazione della carne. Cominci immediatamente a spedire carne a est. Nel 1878, assunse un ingegnere di Boston, Andrew Chase, per progettare un vagone refrigerato pi efficiente. Il vagone Swift-Chase - cos fu chiamato - si rivel molto pi affidabile di quelli precedenti, e permise ai suoi inventori di trasformare un commercio limitato in un mercato nazionale. Macellando i manzi a Chicago e spedendo solo i tagli confezionati, Swift risparmiava milioni in costi di trasporto: il 60 per cento del peso dei manzi spediti vivi verso est non aveva alcun valore economico e non faceva che aumentare i costi; Swift al costo di un manzo vivo, poteva spedire l'equivalente di tre bestie tagliate e confezionate e, trasportando solo i tagli nei carri refrigerati, aveva costi inferiori di almeno 7,5 dollari alla tonnellata rispetto ai macellatori della costa orientale (2). L'immediato successo di Swift scaten un'orda di imitatori. Nel 1882, Philip e Simeon Armour lanciarono la propria impresa di carne refrigerata. Gi nel 1886, alla loro societ faceva capo circa un quarto del fatturato dell'industria della carne di Chicago. Nelson Morris entr nel settore nel 1884 e, rapidamente, divenne il terzo maggiore produttore di carni di Chicago. A quell'epoca, Hammond era il quarto. Nel 1901, Armour acquist la Hammond Company, aumentando il proprio dominio sul settore. La Cudahy Packing Company e la Schwarschild and Sulzberger (pi tardi trasformata in Wilson & Company) entrarono nel mercato alla fine degli anni Ottanta; si formarono, cos, le cinque aziende poi diventate note come Beef Trust: il cartello della carne. Alla vigilia della prima guerra mondiale, le cinque aziende controllavano pi dei due terzi della produzione di carni fresche degli Stati Uniti, e la met della macellazione e del confezionamento di carni bovine rosse (3). Come i re del bestiame inglesi e americani si erano serviti di frodi e coercizioni per conquistare le pianure, cos i re della bistecca di Chicago cospiravano per fissare il prezzo della carne e controllare i mercati, in violazione delle leggi federali. Anche dopo l'approvazione dello Sherman Antitrust Act, i macellatori di Chicago continuarono le proprie attivit illecite, incuranti delle direttive e degli avvertimenti del governo federale. Un'indagine governativa del 1893 aveva rivelato che i dirigenti delle cinque grandi aziende di macellazione e confezionamento si incontravano regolarmente [a Chicago] nella suite di un albergo... l'affitto di questi locali e le altre spese connesse a queste riunioni erano suddivisi fra le diverse imprese in proporzione al volume delle spedizioni di tagli di carne. Nel corso di queste riunioni, si ripartivano le aree e i volumi di vendita spettanti a ciascuna azienda, sulla base di rilevazioni statistiche... e quando una di queste superava la quota autorizzata in uno dei territori, scattava una penale nei suoi confronti (4). Quando, nel 1903, la Corte Suprema degli Stati Uniti emise una sentenza contro il cartello, tre delle cinque societ - Armour, Morris e Swift - crearono una nuova azienda, battezzata National Packing Company, nel tentativo di aggirare la lettera della sentenza. La nuova societ cominci ad acquistare le aziende concorrenti e le loro attivit, per ottenere il controllo del settore della trasformazione alimentare negli Stati Uniti. Gi nel 1911, la National Packing Company era diventata cos potente che la stampa popolare la chiamava il pi grande trust del mondo (5). Il giornalista scandalistico Charles Edward Russell

avvert i lettori che la National Packing Company stava accumulando un potere superiore a quello di dieci Standard Oil. Espandendosi, assorbendo uno dopo l'altro i concorrenti, allargandosi e ingigantendosi con forza brutale ed espedienti cos insidiosi e pervasivi da non poter essere scoperti, giorno dopo giorno questa mostruosa creatura cresce, rafforzando la presa sulla nazione (6). La National Packing Company riusc a respingere con successo diverse accuse che le erano state mosse dal governo, ma fu sciolta nel 1913; non prima, per, che si formasse un nuovo cartello della bistecca, questa volta di dimensioni internazionali. Armour, Swift, Morris e Sulzberger si coalizzarono con societ britanniche e sudamericane per controllare il traffico di carne fra gli Stati Uniti e l'Europa. A quell'epoca, i cinque re della carne avevano gi impianti di macellazione e confezionamento in Brasile, Argentina e Uruguay, da dove esportavano carni destinate ai mercati nordamericani ed europei (7). Alla fine della prima guerra mondiale, il cartello della bistecca controllava buona parte dell'industria americana. Secondo le indagini federali, gli oligopolisti della carne avevano interessi nell'allevamento, nei terminal ferroviari, nelle societ ferroviarie, nei centri di raccolta del bestiame, nelle macchine utensili, nei magazzini, in societ immobiliari, servizi di pubblica utilit, case editrici, aziende produttrici di articoli sportivi, banche e centinaia di altri settori, con un patrimonio complessivo nell'ordine dei miliardi di dollari (8). Nel 1920, sotto la minaccia di una nuova accusa di violazione della normativa antitrust, i cinque oligarchi accettarono un decreto consensuale che imponeva di liquidare gran parte degli interessi nel settore della carne e in quelli pi strettamente correlati (9). Il decreto offr un temporaneo sollievo, ma nel lungo termine non riusc a ostacolare efficacemente le attivit al limite del lecito dei grandi macellatori. Nel 1935, Armour e Swift avevano riconquistato il controllo di pi del 61 per cento delle vendite di carne nel paese. Vent'anni dopo, nel 1957, un rapporto del Congresso giungeva alla conclusione che la concentrazione economica nel settore della macellazione e del confezionamento delle carni maggiore oggi che ai tempi del decreto consensuale (10). Fin dall'inizio dell'esperienza industriale americana, le aziende del settore della carne hanno avuto un ruolo dominante nel definire i contorni delle attivit commerciali. Nei primi decenni che seguirono la guerra civile e nella prima met del ventesimo secolo, sono state una forza onnipresente, in grado di dettare continuamente i termini dell'impegno nello sviluppo capitalista americano. Con i loro sistemi operativi, le loro tecniche di marketing, i loro rapporti con il governo federale, i giganti della macellazione hanno definito lo stile delle prassi aziendali americane del ventesimo secolo: la loro influenza stata avvertita in ogni ambito della vita economica; ma in nessun settore stata pi forte che in quello dei processi di produzione. I macellatori sono stati i primi industriali a impiegare con successo le tecniche della produzione di massa, la divisione del lavoro e la catena di montaggio nei processi produttivi, divenendo, nel ventesimo secolo, un modello per l'industria automobilistica e per tutti gli altri settori industriali. Questo metodo di organizzazione razionale, che pone l'enfasi sulla velocit, l'efficienza e l'utilit applicate alla produzione della carne e alla gestione degli uomini, ha contribuito a creare le condizioni per l'emergere di un nuovo complesso bovino, dotato di tutti i caratteri fondamentali della moderna produzione industriale. La vita industriale del ventesimo secolo cominciata con l'introduzione della catena di smontaggio nei macelli di Chicago della Union Stock Yards. 18. LA CATENA DI SMONTAGGIO.

L'era che segu la guerra civile americana fu caratterizzata dall'emergere della potenza industriale. I raccordi ferroviari e le linee telegrafiche segnarono il continente, facendo dell'abbondanza di materie prime, della forza lavoro degli immigranti e dei mercati urbani in fermento una potente falange commerciale. Fonderie e fabbriche si ammassavano lungo le vie fluviali e i laghi delle regioni nord-orientali e del Midwest, le loro ciminiere ruggivano, bruciando energia, a indicare un futuro di prosperit economica. Ovunque si parlava di macchine innovative e di nuovi metodi di produzione. Legioni di donne e uomini vennero reclutate per lavorare nelle nuove industrie, e istruite nell'arte del lavoro con le macchine e della produzione in fabbrica. I cicli circadiani lasciarono il posto all'orologio punzonatore e alla programmazione del lavoro; le abilit artigianali maturate attraverso il lavoro di molte generazioni, si persero nel fracasso e nell'urgenza delle macchine e degli uomini che, senza sosta, replicavano prodotti identici fra loro, uniformi, prevedibili, anonimi e a buon mercato. Un nuovo senso del tempo nacque e s'impose come principio organizzatore della nuova era industriale. L'efficienza divenne lo strumento, quindi l'obiettivo primario del nuovo ordine. Gli uomini erano tormentati, perfino ossessionati, dall'idea di trovare nuovi sistemi per massimizzare il prodotto nel minimo tempo, impiegando, nel farlo, la minima quantit di lavoro, di energia e di capitale. La velocit sostitu la qualit come "modus operandi" della nuova cultura della produzione di massa. Fu nei giganteschi recinti della Union Stock Yards di Chicago che nacque gran parte del nuovo pensiero industriale. La maggior parte degli storici dell'economia hanno guardato all'acciaio e all'automobile alla ricerca delle radici del genio industriale americano, ma fu nei macelli che gran parte delle innovazioni pi importanti della progettazione industriale furono utilizzate per la prima volta. Gli enormi impianti di macellazione e lavorazione delle carni nel South Side di Chicago superavano, in dimensione, qualsiasi altro apparato industriale dell'epoca: erano giganteschi e giungevano a coprire anche pi di due chilometri quadrati. Aziende come Armour e Swift occupavano pi di 5000 dipendenti (1). Gi nel 1886, centinaia di chilometri di binari ferroviari circondavano i recinti sterminati in cui i treni scaricavano, a getto continuo, vagoni e vagoni di "longhorns" provenienti dal West (2). Ovunque l'occhio girasse, c'erano bovini che vagavano disordinatamente, pronti per essere smistati e introdotti nei recinti secondo l'ordine stabilito, in attesa dell'ultimo trasferimento, verso lo scivolo che sovrastava il macello. E recinti strapieni, con tanto di quel bestiame che ci si sorprende che possa esisterne al mondo scrisse Upton Sinclair ne "La giungla" (3). Gli stabilimenti per la lavorazione delle carni furono le prime industrie americane a sperimentare la catena di montaggio. Non riuscendo a tenere il passo con il quotidiano afflusso di bestiame che giungeva per ferrovia dalle Grandi Pianure, ansiosi di soddisfare le pressanti richieste di carne delle citt dell'Est e dei mercati esteri, i giganti della macellazione ebbero l'idea di fluidificare il processo utilizzando un nuovo strumento: il nastro trasportatore. Una pubblicazione dell'epoca, finanziata da una societ di lavorazione della carne, cos descriveva il processo: Gli animali uccisi, appesi a testa in gi a una catena, il cosiddetto nastro, passano da un operaio all'altro, e ciascuno esegue un'unica fase del processo (4). Grazie alla produzione a catena di montaggio, la velocit a cui gli animali potevano essere uccisi, squartati, puliti e lavorati era stupefacente. Per esempio, i processi pi antiquati prevedevano che il manzo venisse tramortito, sgozzato, e lasciato a dissanguare sul pavimento; a quel punto, ci volevano tre uomini per trascinarlo fino al supporto a croce su cui veniva appoggiato, con la testa che ciondolava liberamente. Per questa operazione occorrevano fino a quindici minuti. Gi nel primo decennio del ventesimo secolo, un unico agganciatore poteva sollevare settanta carcasse al minuto, semplicemente agganciando l'anello di trazione allo zoccolo posteriore di ognuna, e lasciando

fare il resto all'energia del vapore (5). In seguito, Henry Ford avrebbe ricordato: L'idea [della catena di montaggio automobilistica] mi era venuta in linea generale dai carrelli sopraelevati che si usano nei mattatoi di Chicago per la lavorazione della carne (6). La parziale sostituzione degli uomini con le macchine nel processo di macellazione, introdusse una nuova realt: per la prima volta, l'atto dell'uccisione fu neutro, distaccato. Per la prima volta, per velocizzare il processo di uccisione in massa, si ricorse alle macchine, di cui l'uomo diventava un banale subalterno, costretto a conformarsi al ritmo e alle esigenze della catena di montaggio. Parlando del nuovo processo di uccisione meccanizzata e distante, lo storico della tecnologia Siegfried Giedion afferm: Quel che pi stupefacente di queste transizioni di massa dalla vita alla morte la completa neutralit dell'atto... Avvengono cos rapidamente, e sono talmente integrate al processo di produzione da non generare quasi emozioni... Non ci si commuove, non si prova nulla: ci si limita a osservare (7). La catena di smontaggio introdusse i concetti centrali della moderna produzione industriale: la divisione del lavoro, il flusso continuo della produzione, la produzione di massa e, soprattutto, l'efficienza. Nella grande catena della vita, il bovino era stato ulteriormente declassato: desacralizzata, oltre che smembrata, questa icona della fertilit soprannaturale fu trasformata dai grandi sacerdoti dell'efficienza - Gustavus Swift, Philip Armour e tutti gli altri - in un fattore di produzione standardizzato. Appesa a una catena, trascinata da un carrello su rotaia, la nobile creatura, per i primi millenni della storia scritta venerata in tutte le culture occidentali, passava da una stazione all'altra per essere squartata, smembrata, tagliata, divisa, ridotta e confezionata, trasformandosi, al termine della linea di produzione, in pezzi di carne non pi riconducibili a un corpo. Non c' da meravigliarsi che gli storici dei periodi successivi, per tessere le lodi della catena di montaggio e della produzione di massa, abbiano rivolto lo sguardo all'industria automobilistica. Per quanto sconvolgente, l'alienazione mentale del lavoratore alla catena di montaggio era comunque lontana dal sangue dei mattatoi. Nei nuovi mattatoi meccanizzati di Chicago, il fetore della morte, il fragore delle catene e il rumore delle creature smembrate che fluivano in un'ininterrotta processione, stordivano i sensi e smorzavano l'entusiasmo anche dei pi fervidi sostenitori dei nuovi valori della produzione. I lavoratori delle catene di smontaggio se la passavano male: nei mattatoi le condizioni di lavoro erano dickensiane. Gli uomini lavoravano in ambienti poco illuminati e ancora meno aerati, nell'assoluta ignoranza delle pi elementari norme igieniche: spesso lavoravano in una poltiglia di acqua stagnante mista a sangue e fluidi corporei; nei primi anni, le aziende non mettevano a disposizione n una mensa n assistenza medica. I lavoratori mangiavano in fretta il proprio pasto, spesso sul posto di lavoro, nel puzzo degli animali morti e nello spettacolo rivoltante delle carcasse squartate e smembrate. Ferirsi era normale, soprattutto nelle stazioni di abbattimento, dove i lavoratori brandivano asce, coltelli e ogni sorta di arma da taglio. Non avendo a disposizione un'adeguata assistenza medica, chi si feriva si medicava alla bell'e meglio, per non rallentare il ritmo della linea. Malattie e infezioni erano diffusissime, a livelli pi alti che in qualunque altro settore produttivo. Nelle celle frigorifere si diffondevano la polmonite e la tubercolosi: a Chicago, nel solo stabilimento Swift, fra il 1907 e il 1910, furono tredici i lavoratori morti a causa di tali patologie (8). La catena di smontaggio era insensibile alla sicurezza del lavoro come all'indipendenza e alla professionalit dei macellai qualificati. Con il processo di lavoro suddiviso in segmenti elementari, che richiedevano poca o nessuna formazione per essere eseguiti, gli stabilimenti per la lavorazione delle carni si rivolsero all'ampio bacino di forza lavoro costituito dagli immigrati e dai neri, per completare il proprio organico. Gi nel primo decennio del ventesimo secolo, i macellai qualificati erano completamente scomparsi dai grandi stabilimenti di lavorazione delle carni di Chicago, sostituiti da squadre

di macellazione composte anche da 157 uomini, ripartiti in 78 diverse mansioni elementari, ripetute per l'intera giornata di lavoro. I commentatori dicevano meraviglie dell'efficienza del nuovo metodo di produzione, che aveva trasformato la divisione del lavoro in una scienza esatta. Sarebbe difficile immaginare un altro settore in cui la divisione del lavoro abbia trovato un'espressione altrettanto precisa e ingegnosa, afferma l'economista del lavoro John R. Commons. E' come se l'animale fosse stato analizzato e messo a nudo in ogni dettaglio, come una mappa (9). Le aziende speravano che, segmentando l'attivit in operazioni elementari, sarebbero riuscite a eliminare ogni residuo di controllo da parte del lavoratore sulla condotta e sul ritmo di produzione, aumentando la velocit. Ebbero successo su entrambi i fronti. Una pubblicazione di management cos spiegava il nuovo approccio alla macellazione: Nella lavorazione delle carni non c' spazio per l'individualit o per il talento; il lavoratore non decide dove o come eseguire i tagli; non guarda l'animale e non decide sulla base di quel che vede. Tutti i tagli vengono eseguiti secondo il manuale; le istruzioni sono assolutamente esatte (10). Nel 1908, Armour introdusse nel proprio impianto un sistema di trasporto automatizzato, costringendo il lavoratore a conformarsi al ritmo imposto dalle macchine. Una rivista economica dell'epoca cos descrisse l'innovazione: Non sono raggiunge perch il nel tempo pi gli uomini a doversi spostare in fabbrica, ma il lavoro che li dove si trovano. E devono essere costanti e precisi in quel che fanno, lavoro arriva senza sosta, e ciascuno deve eseguire il proprio compito stabilito, o ammettere di non essere in grado di eseguirlo (11).

Nei decenni che seguirono l'introduzione della catena di smontaggio, la produzione aument drasticamente. Nel 1884, cinque squartatori in una giornata lavorativa di dieci ore gestivano 800 capi; nel 1894, quattro squartatori gestivano 1200 capi al giorno. Upton Sinclair fu sconcertato dalla furiosa intensit degli squartatori: gli parvero quasi posseduti, mentre spaccavano colonne vertebrali, un manzo dopo l'altro. Il ritmo imposto era cos serrato che gli squartatori smembravano le carcasse ancora in movimento (12). Spogliati della loro umanit, costretti a lavorare in un ambiente pericoloso e infernale, gli operai delle fabbriche di lavorazione della carne si ribellarono, chiedendo salari pi alti e migliori condizioni di lavoro. Alcune delle pi sanguinose battaglie sindacali degli ultimi anni del diciannovesimo secolo e dei primi decenni del ventesimo, furono combattute fra i sindacati del settore delle carni macellate, sempre pi forti, e il cartello della bistecca. Nel 1894, la piccola Chicago Stockvard Butchers' Union attacc i cinque grandi della macellazione: migliaia di lavoratori scesero in sciopero e furono sostituiti da crumiri. La reazione fu immediata e violenta. Ai cancelli delle fabbriche, i crumiri vennero picchiati dagli scioperanti; per sedare gli scontri fu chiesto l'intervento della polizia e il presidente Grover Cleveland invi le truppe federali, facendo fallire gli sforzi del sindacato in sciopero (13). Nel 1896, la American Federation of Labor, allora sotto la ferrea guida di Samuel Gompers, incoraggi la formazione dell'Amalgamated Meat Cutters and Butcher Workmen of North America, il primo sindacato nazionale dei lavoratori del settore delle carni e della macellazione; gi nel 1903, l'Amalgamated aveva negoziato con successo accordi di settore che includevano aumenti dei salari in misura del 15 per cento e un aumento degli organici per compensare l'incremento dei ritmi di produzione (14). Accecati dall'orgoglio per il proprio potere contrattuale, i capi sindacali esagerarono, richiedendo significativi aumenti salariali in un momento in cui l'economia era in fase recessiva e la disoccupazione raddoppiata. Gli industriali rifiutarono e il sindacato scese in sciopero. Cinquantamila lavoratori incrociarono le braccia; nelle citt dove si trovavano i pi grandi impianti di macellazione - Chicago, Omaha e Kansas City - ci furono scontri. Le aziende mantennero gli impianti attivi ricorrendo massicciamente a crumiri reclutati fra i nuovi immigrati e i neri poveri. Nel volgere di pochi mesi, il

sindacato aveva esaurito i fondi accantonati per far fronte allo sciopero e gli iscritti, demoralizzati, abbandonarono lo sciopero e il sindacato. Alla fine, Jane Addams, la riformatrice sociale di Chicago, intervenne presso J. Ogden Armour, supplicando di porre fine al conflitto. L'azienda accett di riassumere gli scioperanti a salario ridotto: sconfitti, molti accettarono l'offerta, lasciando il sindacato senza pi risorse n seguito. In pochi anni, dopo la sonora sconfitta subita a opera del cartello della bistecca, il numero degli iscritti al sindacato scese da 56 mila a 6000. Negli anni successivi, l'Amalgamated riusc a riconquistare posizioni e torn a crescere, fino a raggiungere i 100 mila iscritti, su un totale di 161 mila occupati nel settore (15). Nel 1921, il sindacato organizz un secondo sciopero nazionale. Nel dicembre di quell'anno, 55 mila lavoratori di tredici impianti di lavorazione delle carni sparsi per il paese, scesero in sciopero. Sfortunatamente, com'era accaduto nel caso della "dbcle" del 1904, il sindacato aveva deciso di scioperare nel bel mezzo di una recessione. Con la disoccupazione in crescita, le imprese non ebbero difficolt a trovare crumiri per non arrestare la produzione. Inoltre, un tribunale emise una sentenza che dichiarava illeciti i pacifici picchettaggi ai cancelli delle fabbriche (16). Per applicare il decreto, vennero impiegati 2000 agenti di polizia, creando i presupposti per un sanguinoso scontro. Il capitano Russell della Stockyard Police di Chicago riferisce cos le istruzioni date alle proprie truppe in assetto antisommossa: Gli agenti erano stati istruiti a non sparare, se non fosse stato assolutamente necessario; erano stati comunque consigliati di ricorrere generosamente agli sfollagente e ai pugni. In ogni caso, fu detto loro che, qualora si fosse presentata la necessit di sparare, avrebbero dovuto farlo rapidamente e con la massima precisione. Questo tipo di tattica aveva dato eccellenti risultati gi in precedenza (17). Il 7 dicembre, gli scioperanti e le loro famiglie si riunirono in Ashland Avenue, lanciando pietre e insulti contro la polizia a cavallo. Gli agenti aprirono il fuoco, uccidendo uno scioperante e ferendone nove. L'Amalgamated perse lo sciopero, capitolando davanti ai colossi della macellazione, il primo febbraio 1922, dopo due soli mesi di lotta. Ancora una volta, il sindacato riusc a risorgere e, finalmente, negli anni Trenta fu in grado di riorganizzare i lavoratori del settore, e a negoziare accordi duraturi con le maggiori aziende di macellazione e lavorazione della carne (18). 19. CARNE MODERNA. Dopo la seconda guerra mondiale, i cambiamenti intervenuti nel settore della carne offrirono a nuove aziende l'opportunit di mettere in discussione la supremazia dei cinque grandi: ma se, da un lato, la leadership passava di mano, coercizione e corruzione continuavano a caratterizzare le strategie e le prassi operative dei nuovi leader del settore. L'ascesa lampo delle stalle-fabbrica negli anni Cinquanta e Sessanta, i nuovi processi automatizzati di macellazione e la diffusione sempre maggiore della carne pretagliata e confezionata, fecero spostare il centro del potere dalle imprese tradizionali e consolidate ad aziende pi nuove e aggressive. Molte fra queste avevano aperto impianti altamente automatizzati di macellazione e lavorazione nelle aree rurali pi prossime alle grandi stalle, tagliando i costi di trasporto e traendo vantaggio da una forza lavoro rurale non sindacalizzata. I colossi del settore, rallentati da attrezzature antiquate e da contratti di lavoro eccessivamente onerosi, progressivamente non si trovarono pi in condizione di competere con i nuovi concorrenti. Nel 1970, la vecchia Union Stock Yards del South Side di Chicago, fu chiusa: un evento rivelatore del successo di una strategia di lavorazione della carne pi moderna e decentralizzata (1). I camion e le autostrade avevano largamente

sostituito carri ferroviari e binari, e molta parte dell'attivit di macellazione dei bovini si era diffusa in diversi stati del Midwest e della pianura. Dei cinque grandi, solo Swift resisteva in posizione di leadership, mentre il vuoto che si era creato nel dopoguerra veniva colmato da aziende aggressive e intraprendenti, come Iowa Beef Packers (I.B.P.) ed Excel. Iowa Beef Packers, oggi la pi grande azienda americana del settore della macellazione, cominci a crescere negli anni Sessanta. Facendo propria la lezione di Gustavus Swift e dei primi "meat-packers", che avevano fondato il proprio successo sull'abbattimento dei costi di trasporto, spedendo quarti e pezzature refrigerate, anzich animali vivi, I.B.P. fece un ulteriore passo avanti, cominciando a spedire confezioni di tagli in piccola pezzatura, invece di quarti. I risparmi erano enormi e permisero a I.B.P. e ai suoi imitatori di conquistare il dominio del settore in meno di un decennio. Il dirigente I.B.P. Dale Tinstman cos sintetizzava la strategia dell'azienda: In un camion o in un carro ferroviario pieno di quarti di manzo c' un sacco di spazio sprecato: i quarti di manzo hanno forme irregolari, che non permettono di sfruttare razionalmente lo spazio. E poi nei quarti ci sono ancora molte ossa e parti che non raggiungeranno mai il bancone di vendita. Passare ai piccoli tagli confezionati stata un'evoluzione logica (2). La carne confezionata era anche vantaggiosa per i nuovi supermercati, che stavano aprendo i battenti nei centri commerciali delle aree residenziali suburbane, lungo le nuove autostrade. I supermercati tendevano a contenere i costi del personale e i consumatori apprezzavano la comodit della carne gi tagliata in porzioni. Nel corso degli anni Ottanta, il numero delle macellerie al dettaglio diminu progressivamente: sopravvissero soprattutto i punti vendita specializzati, che servivano un mercato di nicchia e le comunit etniche nei grandi centri urbani. Inoltre, le aziende del settore erano in grado di ottenere ricavi aggiuntivi, utilizzando il grasso e le parti di scarto per la produzione di sottoprodotti. I.B.P. risparmiava ulteriormente sui costi di lavoro mantenendo un atteggiamento fortemente antisindacale: collocava i propri impianti in stati non sindacalizzati, come lo Iowa, il Nebraska, il Kansas e il Texas, e combatteva aggressivamente ogni tentativo di sindacalizzazione dei propri dipendenti con un connubio di tattiche legali e illegali. Il suo successo ispir molte nuove aziende del settore, costituite negli anni Sessanta. Il giornalista David Moberg descrive cos i vari mezzi usati da I.B.P. per eliminare dalla fabbrica le organizzazioni sindacali: Invece di consegnare quarti a grossisti urbani e a catene di supermercati, vendeva 'carne confezionata' che eliminava la necessit di assumere macellai qualificati e ben pagati. Combatteva senza esclusione di colpi i sindacati del settore, assumendo crumiri durante gli scioperi, e firmando accordi civetta con sindacati compiacenti, come Teamsters e National Maritime Union, e accettando accordi con i sindacati tradizionali del settore solo a livelli retributivi inferiori a quelli prevalenti... In questo, era efficiente e spregiudicata (3). I sindacati non rimasero a guardare. Nel 1979, i due maggiori sindacati dei macellai, United Packing House Workers of America e Amalgamated Meat Cutters and Butcher Workmen, unirono le proprie forze a quelle del sindacato dei lavoratori del commercio Retail Clercks International Union, formando la United Food and Commercial Workers Union (U.F.C.W.). La nuova piattaforma operativa del sindacato prendeva particolarmente di mira I.B.P. e gli altri macelli antisindacali. Le due forze si scontrarono nel 1982 presso lo stabilimento I.B.P. di Dakota City. Il sindacato reclamava un trattamento contrattuale uniforme a quello ottenuto presso le altre aziende del settore: il confronto fra I.B.P. e lavoratori assunse toni drammatici quando fu richiesto l'intervento della Guardia nazionale per sedare la violenza dei picchettaggi (4). A questo seguirono altri scioperi, fra cui quello del Local P-9 della U.F.C.W. contro l'impianto di macellazione George A. Hormel, ad Austin, in Minnesota. Lo sciopero alla Hormel fu duro e violento e, per mantenere l'ordine pubblico, si

richiese l'intervento della Guardia nazionale del Minnesota. La nuova ondata di scioperi, con il conseguente ricorso ai crumiri, le battaglie davanti ai cancelli degli impianti di macellazione e la presenza dei militari a garanzia dell'ordine pubblico, ci riporta alle lotte di inizio secolo, quando una forza lavoro composta prevalentemente da immigranti cominci a lottare contro i cinque grandi del cartello della bistecca, reclamando rappresentanti e migliori condizioni di lavoro. Dai tempi del racconto di Upton Sinclair, all'inizio del ventesimo secolo, poco cambiato nell'ambiente di lavoro dei macelli. Le condizioni sono ancora rischiose e scarsamente igieniche; i lavoratori sono ancora spietatamente sfruttati; lungo la linea di produzione e nelle celle frigorifere le societ continuano ad applicare pratiche disumane. Insomma, spesso le condizioni di lavoro sono primitive, se non infernali. Secondo Eleanor Kennelly della U.F.C.W., un macello qualcosa di inimmaginabile: come una visione infernale (5). Non c' da meravigliarsi se, in taluni impianti, il turnover del personale raggiunge il 43 per cento al mese (6). Spesso, sono le stesse aziende a incoraggiare il ricambio, mettendo gli immigrati messicani in competizione con i rifugiati politici asiatici per le mansioni pi abiette, alienanti e pericolose. L'elevato ricambio contribuisce a isolare l'azienda dall'influenza sindacale. Ancora pi importante, dal punto di vista dell'organizzazione sindacale, il ricambio del sistema, che impedisce ai dipendenti di acquisire consapevolezza e conoscenza, semplicemente perch non si fermano abbastanza a lungo nel posto di lavoro (7). Il ricambio del personale ulteriormente accelerato dall'elevata incidenza di incidenti sul lavoro, seconda solo a quella dell'industria forestale. Nel 1988, su un totale di occupati di 165 mila unit nel settore della lavorazione delle carni bovine, 45 mila lavoratori hanno subito un incidente sul lavoro: un tasso di incidenti triplo rispetto alla media nazionale dell'industria americana. La Occupational Safety and Health Administration (OSHA) ha stimato che, in alcuni macelli, il tasso di incidenti sul lavoro raggiunge l'85 per cento (8). Negli ultimi cinque anni, gli incidenti sul lavoro sono aumentati considerevolmente, a causa della fluidificazione e dell'accelerazione dei processi produttivi. Il ritmo stupefacente: oggi, i lavoratori eseguono migliaia di tagli al giorno, nel mattatoio o lungo una linea di produzione che tratta fino a 300 capi all'ora. Alcuni tagliatori sono costretti a eseguire cinque tagli ogni quindici secondi (9). Aziende come I.B.P. minimizzano il problema degli incidenti sul lavoro, preferendo considerarlo semplicemente un costo aggiuntivo che deve essere computato fra i costi di produzione. Un portavoce della I.B.P. spiega: Ogni mattina, quando avviamo la linea, non vogliamo che si fermi fino alla chiusura. Se si ferma, i costi salgono. A noi interessa solo realizzare il nostro obiettivo di tonnellaggio (10). Nel 1987, il Labor Department ha comminato alla I.B.P. un'ammenda di 2,59 milioni di dollari per falsificazione dei registri degli incidenti sul lavoro e violazione delle norme di sicurezza: l'azienda aveva volontariamente omesso di registrare 1038 casi di incidenti sul lavoro e malattie professionali in uno solo dei suoi molti impianti produttivi. Nel 1988, la OSHA ha annunciato di aver multato John Morrel & Company per 4,6 milioni di dollari, per volontarie e premeditate violazioni delle norme sanitarie nello stabilimento di Sioux Falls, South Dakota (11). Se le condizioni di lavoro nei macelli e nelle celle frigorifere del paese sono infernali, non migliori si rivelano le condizioni di vita dei lavoratori del settore. Gli stabilimenti di lavorazione delle carni si trovano spesso alla periferia di piccoli centri rurali. Gli immigrati occupati nel settore, come quelli occupati in agricoltura, conducono un'esistenza essenzialmente nomade, spostandosi continuamente da un'azienda all'altra; spesso vivono in sovraffollati parcheggi per camper e roulotte, dotati di strutture igieniche e sanitarie insufficienti. In questi gruppi di lavoratori i tassi di mortalit infantile e di analfabetismo sono fra i pi alti del paese; spesso essi e le loro famiglie sono anche discriminati dalle comunit locali, che li considerano

estranei e intrusi. Questi lavoratori non hanno legami con la comunit in cui vivono. Spesso i loro rapporti con la comunit sono ostili. Sono ostracizzati. Creano tensioni sulle risorse della collettivit. Frequentemente, gli ospedali sono restii a curare gli indigenti; le scuole non amano dover insegnare l'inglese a bambini di altre lingue madri... L'esistenza quotidiana di questa nuova manodopera subumana. Il ricambio sistematico dei lavoratori rende le condizioni di vita e di lavoro ancora pi intollerabili, e nei piccoli centri causa di un forte deterioramento sociale (12). I.B.P. e i suoi concorrenti attingono fra le schiere dei poveri delle aree rurali e fra quelle dei nuovi gruppi di immigranti che, a ondate, stanno entrando dal Messico, dal Centro e dal Sudamerica, e dal Sud-Est asiatico, gettando le fondamenta del loro impero industriale sulle spalle di un serbatoio di lavoratori poveri e disorganizzati. Nel 1988, I.B.P. macellava il 29 per cento dei bovini degli Stati Uniti, e controllava una quota compresa fra il 35 e il 40 per cento del mercato della carne bovina confezionata (13). Il successo di I.B.P. non attribuibile esclusivamente alla tempestivit dell'innovazione e allo sfruttamento intensivo della forza lavoro. Nel corso della sua ascesa, l'azienda si fatta conoscere per il coinvolgimento in affari poco chiari, con accordi sottobanco, corruzione e tattiche commerciali illecite. Nel settembre 1984, l'azienda e il suo fondatore, C. J. Holman, sono stati condannati, insieme a un membro della mafia di New York, per collusione finalizzata all'acquisizione di una quota rilevante del ricco mercato della carne della citt, il pi grande centro di commerci del mondo, attraverso il pagamento di tangenti e di ristorni a grossisti, commercianti e rappresentanti sindacali. Negli anni Settanta, la mafia aveva il controllo pressoch totale sul commercio di carne nella citt di New York. Nel 1970, nel corso di un incontro clandestino nella suite di un albergo, il rappresentante dell'organizzazione criminale, Moe Steinman, stipul un accordo illegale con la I.B.P.; in cambio di pagamenti periodici - per un totale di milioni di dollari in un periodo di otto anni Steinman e compagnia avrebbero garantito alla I.B.P. un accesso privilegiato al mercato all'ingrosso e al dettaglio di New York. Il Wall Street Journal, che rivel la tresca, riferiva: A seguito dell'incontro allo Stanhope Hotel, Iowa Beef avrebbe riorganizzato completamente il proprio apparato di marketing, permettendo all'organizzazione di Steinman di controllare completamente il pi ampio mercato dell'azienda, e di influenzare le sue attivit a livello nazionale. Nel 1975, Iowa Beef avrebbe poi cooptato nella propria dirigenza il genero di Moe Steinman, offrendogli un posto nella sede centrale, nei pressi di Sioux City, alla guida della pi importante divisione aziendale, permettendogli di intervenire anche su questioni vitali per l'azienda (14). Il Wall Street Journal concludeva che grazie al controllo esercitato su Iowa Beef, l'influenza del racket su altri segmenti dell'industria della carne destinata a espandersi e a rafforzarsi. In conseguenza di ci, il prezzo della carne, per i consumatori americani... destinato ad aumentare (15). Nel 1981, I.B.P. fu acquisita da Occidental Petroleum per 800 milioni di dollari (16). Il "chairman" di Occidental giustific al consiglio di amministrazione la diversificazione nel settore delle carni predicendo che negli anni Novanta, la carenza di cibo sar equivalente alla carenza di energia che ha caratterizzato gli anni Settanta e Ottanta (17). Negli anni Settanta, il maggiore concorrente e imitatore di I.B.P. fu M.B.P.X.L. Corporation, con sede a Wichita, Kansas, che nel 1978 fu acquistato da Cargill Industries, la pi grande impresa privata al mondo nel settore cerealicolo, che cambi in Excel la denominazione dell'azienda e trasfer gli impianti produttivi a Dodge City, Kansas (18). La decisione di Cargill di aggiungere al proprio portafoglio aziendale attivit di lavorazione delle carni bovine rifletteva la tendenza all'integrazione verticale che caratterizzava la scena imprenditoriale

degli anni Settanta; segnalava anche il consolidamento finale dell'industria della carne, con il raggruppamento di cerealicoltura, allevamento e macellazione e trasformazione della carne in un unico, grande complesso bovino. Un altro colosso dell'alimentazione, Con-Agra, si affacci con determinazione sulla scena dell'industria bovina negli anni Ottanta, acquistando Swift e alcune altre piccole imprese del settore. Con-Agra possiede aziende attive, o ha forti interessi finanziari, nei settori cerealicolo, dei mangimi, dei fertilizzanti, dei prodotti chimici per l'agricoltura, del commercio internazionale di materie prime, degli alimenti surgelati e del commercio al dettaglio. Nel 1989, la Red Meat Company di Con-Agra aveva un fatturato annuo superiore ai 7,5 miliardi di dollari (19). Oggi, i tre grandi dell'industria della carne esercitano un significativo controllo su quasi tutte le fasi del processo produttivo della carne: posseggono le aziende che producono le sementi utilizzate per le colture di cereali destinati all'alimentazione bovina; producono i fertilizzanti e i prodotti chimici utilizzati sui terreni e sulle colture; sono proprietari di stalle intensive e di mandrie bovine sempre pi numerose. I tre grandi allevano un quarto delle bestie che macellano e quasi il 17 per cento dei bovini macellati negli Stati Uniti. Si stima che entro il 1995, il 30 per cento del patrimonio zootecnico della nazione verr macellato in impianti controllati da queste aziende, in "joint venture" con i grandi allevamenti intensivi (20). Infine, negli Stati Uniti, I.B.P., Excel e Con-Agra dominano i processi di macellazione e confezionamento, trattando il 70 per cento dei bovini provenienti da allevamenti intensivi (21). Il nuovo cartello della bistecca esercita un controllo sul settore della carne ben superiore a quello che il suo predecessore di inizio secolo avrebbe anche solo osato immaginare. 20. LA GIUNGLA AUTOMATIZZATA. La maggioranza degli americani sa ben poco della miseranda esistenza di chi lavora nei macelli del paese; ma sa ancora meno di come vengono prodotte e confezionate le carni che consuma quotidianamente. Lo scrittore Upton Sinclair fu autore di una devastante denuncia dell'industria della carne. Nel 1904, "La giungla" scosse la nazione con la sua vivida descrizione delle condizioni di insalubrit dei mattatoi di Chicago. I lettori erano orripilati nel leggere che tutte le volte che avanzava carne troppo guasta da poter essere utilizzata altrimenti, era uso comune inscatolarla o trasformarla in salsicce... Non c'era la minima attenzione per quel che veniva tritato per essere insaccato come salsiccia: dall'Europa, tornavano indietro vecchie salsicce rifiutate in quei paesi, ormai bianchicce e muffite, che - trattate con borace e glicerina, e rovesciate nei recipienti - venivano riciclate per finire sulla tavola di migliaia di famiglie americane. S'usava la carne caduta per terra, su quel pavimento pieno di sporcizia e segatura, su cui i lavoratori camminavano e sputavano miliardi di bacilli di tubercolosi; s'usava la carne ammucchiata negli stanzoni, sulla quale non aveva smesso un attimo di gocciolare l'acqua dal soffitto pieno di crepe, su cui centinaia di topi non avevano smesso un attimo di correre. Era troppo buio per riuscire a vedere bene, in quegli stanzoni, ma bastava passare una mano sui mucchi di carne per raccogliere manciate d'escrementi secchi di topo. I topi erano una grossa scocciatura e i conservieri avevano dato disposizione perch venissero sparsi bocconi avvelenati: gli animali li mangiavano, morivano e poi le carcasse dei topi, il pane avvelenato e la carne finivano tutti insieme nei recipienti per la triturazione (1). Il ritratto a tinte fosche che emergeva innesc l'immediata reazione del pubblico. Oltraggiato, il Congresso degli Stati Uniti ag tempestivamente, approvando, nel 1906, il Pure Food and Drug Act, che proibiva il commercio interstatale di cibi e farmaci adulterati o non dovutamente etichettati. Nello stesso anno, il Congresso dispose anche un Meat Inspection Act, che rendeva

obbligatoria un'ispezione, "pre" e "post mortem", di tutti gli animali destinati all'alimentazione umana e di tutte le carni rosse indirizzate al commercio interstatale e ai mercati esteri. La legge conferiva allo USDA il potere di imporre, presso i macelli e gli impianti di confezionamento, l'adozione di attrezzature e condizioni di lavoro e procedure rispondenti alle norme sanitarie, al fine di evitare l'utilizzo di prodotti chimici pericolosi, di conservanti e di etichette ingannevoli; e di regolamentare il trasporto interstatale e internazionale della carne (2). Poco si era scritto sulle condizioni igienico-sanitarie dei macelli dall'inizio del ventesimo secolo, e la maggior parte degli americani era convinta che la carne che consumava non rappresentasse una minaccia per la salute pubblica. La fiducia del pubblico fu, temporaneamente, scossa negli anni Sessanta, quando il parlamentare Neal Smith dello Iowa cominci a richiamare l'attenzione sulle condizioni igieniche in cui avvenivano i processi di trasformazione delle carni negli stabilimenti non sottoposti ai controlli federali. Molte grandi aziende di macellazione - Swift, Armour e Wilson - aggiravano l'obbligo d'ispezione federale lavorando fino al 25 per cento delle carni in stabilimenti intrastatali e distribuendo i prodotti entro i confini dello stato, per evitare i controlli federali sul commercio interstatale (3). All'epoca, ben ventidue stati della federazione non imponevano alcuna ispezione, "pre" o "post mortem", sui bovini destinati all'alimentazione umana; otto non avevano determinato una procedura standard di controllo; secondo un rapporto interno dello USDA, rivelato alla stampa e al pubblico, nel Delaware gli ispettori USDA avevano trovato roditori e insetti, oltre a larve e vermi, che avevano libero accesso alle carni conservate e agli ingredienti dei prodotti derivati. In North Carolina, un osservatore aveva riferito di carne da salsiccia caduta sul pavimento dove gli operai sputavano tabacco e scatarravano... raccolta e buttata nella macchina confezionatrice. A Norfolk, Virginia, le autorit federali trovarono carne e fegati di manzo coperti di ascessi, fegati di maiale contaminati e infestati di parassiti mescolati a prodotti commestibili. Nelle audizioni davanti al Congresso, ai legislatori venne riferita la diffusa prassi di acquistare, per diminuire i costi, quelle che le aziende di settore chiamavano bestie 4 M: morte, morenti, malate e mutilate. Nel 1967, il presidente Lyndon Johnson ratific il Wholesale Meat Act, una legge che imponeva a tutti gli stati dell'Unione di definire standard di controllo sulle carni macellate analoghi a quelli che regolavano il commercio interstatale (4). Ma, sebbene all'epoca l'opinione pubblica e il Congresso non ne fossero consapevoli, l'ironia della legislazione approvata nel 1967 stava nella diffusa convinzione che le leggi sui controlli federali e la loro applicazione rappresentassero un modello adeguato a cui ispirare le normative locali. In realt, nonostante la normativa federale, il mancato rispetto delle pi elementari norme igienico-sanitarie costituiva la regola, nel settore della macellazione bovina. In una relazione del 1985, la National Academy of Science annunci che le procedure federali d'ispezione allora in vigore erano totalmente insufficienti a proteggere il pubblico dalla diffusione di malattie trasmesse attraverso il consumo di carne. Il rapporto del NAS raccomandava il ricorso a tecnologie pi moderne... e l'implementazione di tecniche di macellazione e confezionamento modificate per ridurre la presenza di agenti infettivi e di altri agenti pericolosi (5). Sorprendentemente, le raccomandazioni del NAS non sono mai state messe in atto. Anzi, lo USDA e le industrie del settore hanno unito le forze e definito nuove procedure di controllo che hanno avuto l'effetto di indebolire ulteriormente le gi scarse garanzie offerte dal processo di ispezione. Attualmente, lo USDA e diversi produttori di carni lavorate stanno sperimentando un nuovo processo di controllo, battezzato Streamlined Inspection System (SIS), che elimina quasi completamente il ruolo dell'ispettore federale delle carni nell'esame delle carcasse di manzo destinate al commercio interstatale e all'esportazione. L'obiettivo di questo processo di controllo ad alta velocit, gi utilizzato in alcuni degli impianti di macellazione e lavorazione pi grandi del paese, permettere un aumento della produttivit della linea nell'ordine del 40 per cento (6). Per raggiungere l'obiettivo, lo USDA ha sacrificato un

gran numero di procedure d'ispezione in uso da decenni per garantire livelli minimi di igiene e sicurezza alla carne destinata all'alimentazione umana. Nel nuovo sistema sperimentale SIS, gli ispettori federali non controllano pi ogni singola carcassa che viaggia sulla linea di produzione: sono i dipendenti della societ che gestisce il macello a essere incaricati di controlli a campione; a volte i controlli vengono effettuati su tre sole carcasse su mille. Il processo, che si affida completamente alle aziende per controlli a campione su base casuale, stato universalmente criticato dagli ispettori federali della carne. Uno di loro ha paragonato la nuova procedura a un medico che in un paese di mille abitanti visiti tre persone e, dato che quei tre sono sani, dichiari che lo sono anche tutti gli altri. Il programma pilota SIS stato progettato replicando le procedure di controllo qualit adottate in altri settori. I bovini, per, non sono prodotti in serie e non possono essere sottoposti a controlli campionari per verificare l'assenza di difetti di fabbricazione. Ogni manzo un caso a s stante. L'ispettore federale Stephen Cockerham ha descritto questa ovvia differenza in un "affidavit" sottoposto allo USDA, in cui criticava il nuovo sistema: Il settore della macellazione ha a che fare con animali ognuno diverso dall'altro, ognuno potenzialmente affetto da una malattia. Non stiamo parlando di componenti meccaniche prodotte in serie da sottoporre a controlli di conformit (8). Con la nuova procedura SIS, gli ispettori federali sono destituiti da ogni autorit. La loro ispezione declassata a supporto dello staff di controllo qualit dell'azienda; nella loro nuova, ridotta veste, gli ispettori federali controllano meno dell'1 per cento delle carcasse, quando in passato controllavano tutte le carcasse sulla linea di produzione; l'ispettore federale non pu pi compiere controlli regolari delle carcasse alla ricerca dei segni distintivi delle malattie: i reni non vengono pi controllati separatamente, cos come i linfonodi, la lingua, i polmoni e la testa, a meno che un dipendente del macello non sollevi qualche dubbio. L'ispettore federale che partecipa al programma pilota non ha pi l'autorit per disporre controlli sulla sterilit di prodotti e attrezzature, n per far togliere dalla linea di produzione una carcassa in cui abbia individuato i primi segni di malattie come l'actinomicosi. Gli ispettori federali non sono pi ubicati in un'area di controllo presso la linea di produzione, in una posizione che permetta loro di notare i segnali di cancro o di ascessi multipli sulle carcasse. Alla stazione di controllo della carcassa e dei reni, gli ispettori USDA non possono pi bocciare un capo per artrite o presenza di parassiti. Inoltre, non possono pi procedere al controllo dei locali, dei carri frigo o delle celle frigorifere per verificarne le condizioni igieniche. N pi permesso loro di toccare le parti necessarie per verificare le condizioni di salute dell'animale: la carcassa viene ispezionata da dietro un vetro appannato attraverso cinque metri di condensa e vapore, mentre sfreccia lungo la linea di produzione (9). Con le carcasse coperte di sangue e detriti vari, il semplice controllo a vista da dietro un vetro appannato si rivela spesso un esercizio inutile. Non potendo pi toccare o palpare le carcasse, gli ispettori non possono diagnosticare malattie e identificare agenti contaminanti. Un ispettore USDA afferma che non potendo pi palpare la lingua, gli ascessi provocati dalle spine dei cactus o da altri agenti non possono essere individuati. Ci sfuggono anche fasciola epatica, ascessi e larve di cisticercus, dato che non possiamo palpare il diaframma... il cuore o le guance (10). Lungo tutta la linea di produzione, gli standard sono stati abbassati, in modo che le carcasse pi contaminate e malate possano sfuggire al controllo. Il nuovo sistema non prevede un limite massimo di difetti per carcassa. Si arriva all'eliminazione della carcassa solo se un difetto misura dai 3 a 7,9 centimetri. Secondo la nuova regola, i grumi di sangue vengono presi in considerazione solo se superano i 2 centimetri. Per essere considerata, la mucosa su un'unica carcassa deve essere superiore di 2 centimetri al normale. Le macchie provocate da olio, grasso o ruggine sono accettabili se rientrano fra i 3 e i 7,9 centimetri; il tessuto cicatriziale di ulcere ed ulcere epatiche non

viene preso in considerazione dal processo di controllo e lasciato passare. Un ematoma deve essere pi grande di 2 centimetri per essere segnalato (11). I funzionari dello USDA giustificano l'allentamento delle procedure e la riduzione degli standard affermando che la carne di manzo non deve essere priva di qualunque contaminazione per essere esteticamente accettabile; secondo il ministero le carcasse il cui grado di pulizia... rientra fra quelli previsti per l'intervento dell'ispettore non sono nocive alla salute del consumatore (12). Carol Tucker Foreman, ex assistente del ministro dell'Agricoltura durante l'amministrazione Carter, ha dato voce alle preoccupazioni di molti, ribattendo seccamente che le migliaia di persone che hanno sofferto di intossicazioni alimentari dovute alla carne apprezzano senza dubbio la preoccupazione per una carne esteticamente accettabile, anche se li ha fatti star male. 'Bella da vedere, pericolosa da mangiare' non uno slogan che aiuta a vendere la carne (13). Fonti ufficiose nell'ambito del servizio federale di ispezione delle carni stimano che con il nuovo programma SIS, il tasso di carni imperfette che ottiene la certificazione USDA sia notevolmente aumentato. Il sistema destinato a fallire, secondo molti ispettori federali, perch si fonda su una premessa errata: che i controlli effettuati dalle imprese sui propri prodotti siano affidabili. Cos, mentre i dipendenti dei macelli controllano le carcasse, gli ispettori federali passano il tempo a confrontarsi con la burocrazia (14). Michael Beacom, ispettore federale delle carni, punta il dito direttamente sul problema: L'obiettivo del SIS rendere l'azienda e i suoi dipendenti responsabili dell'integrit della carne e dei suoi derivati. Ma i dipendenti prendono ordini e sono pagati a fine mese dall'azienda, il cui obiettivo realizzare il massimo profitto. Perch lo USDA vuole scaricare la responsabilit dei controlli sulla carne... sui proprietari dei macelli, la cui preoccupazione primaria il profitto? (15). I dipendenti sanno che fermare la linea per ripulire una carcassa o eliminare una parte contaminata rappresenta un costo e, quindi, una diminuzione dei profitti: se sono preoccupati di conservarsi il posto di lavoro - e questo accade nella quasi totalit dei casi - molto probabilmente fanno finta di non vedere, per non sollevare le ire dei dirigenti. Jim Dekker, ispettore federale, ha dato voce alla frustrazione e alle preoccupazioni di molti suoi colleghi in un "affidavit" formale sottoposto allo USDA, riguardante il nuovo programma SIS: L'idea stessa di lasciare che le industrie di macellazione e confezionamento si autocontrollino ridicola. Qualcuno ha detto che come mettere la volpe a guardia del pollaio, e io sono d'accordo (16). Inoltre, spesso i dipendenti delle aziende del settore hanno una cos scarsa esperienza da non essere in grado di identificare la carne contaminata, quand'anche si applicassero con la massima attenzione. Molti di loro vengono dal Messico, dall'America Latina, dal Sud-Est asiatico e sanno appena esprimersi in inglese. Come gi detto, il ricambio dei dipendenti serratissimo e gli addetti al controllo di qualit vanno e vengono, prima di riuscire ad apprendere anche le procedure pi semplici. Un ispettore dello USDA afferma che la gente viene assunta per la strada e dichiarata idonea appena riesce a tenere in mano un coltello senza farsi del male. Molte aziende preferiscono costituire squadre di controllo qualit prevalentemente composte da immigrati clandestini, che parlino preferibilmente laotiano o spagnolo: cos, il tagliatore non capisce quel che gli dice l'ispettore USDA (17). In uno stabilimento, i dipendenti addetti al controllo qualit erano cos poco informati sul significato delle procedure che domandarono all'ispettore USDA cosa significasse applicare il marchio governativo a un rene. Neppure sapevano che il marchio significa che la parte contaminata, e deve essere tolta dalla linea di produzione (18). I dipendenti impiegati nei controlli di qualit sono talmente male addestrati

che, in una verifica pilota, in quindici casi su quindici, non sono riusciti a riconoscere le tonsille infestate da larve di cisticercus, anche perch non sapevano dove si trovassero le tonsille n che aspetto avessero. In un altro test previsto dal programma SIS, gli addetti al controllo qualit non sono riusciti a riconoscere come tale un pezzo di pelle di manzo di cinque centimetri per trenta, perch coperto dal letame in cui era stato immerso. Il dipendente di una delle aziende coinvolte nella fase pilota del SIS ha avvertito gli ispettori federali che gli addetti ai controlli di qualit erano cos poco addestrati alla loro mansione da non saper riconoscere un'infezione finch il pus non sgorga dall'ascesso (19). I funzionari dello USDA hanno reagito alle critiche avvertendo il pubblico di fare molta attenzione a cuocere bene la carne acquistata; divertito dalla disinvoltura del ministero per cui lavora, Dekker ha sardonicamente ribattuto: Suppongo che, a cuocerli abbastanza a lungo, ascessi, sporcizia, letame, feci e altri agenti contaminanti diventino completamente innocui (20). Le imprese, poi, sono state colte in flagrante falsificazione di rapporti e registri, occultamento di dati e deliberata immissione sul mercato di carni infette. Il Government Accountability Project, un'organizzazione di pubblica utilit, ha monitorato severamente i controlli qualit di un'azienda e ha intervistato i membri delle squadre di controllo che hanno riferito come, in azienda, esistessero diversi registri per le violazioni degli standard di prodotto: uno per lo USDA, uno per l'archiviazione ufficiale e uno 'confidenziale' riservato ai dirigenti dell'azienda. I registri destinati allo USDA erano i meno veridici (21). Spesso le aziende rimettono in linea le bestie sanzionate dopo interventi cosmetici per mascherare i segni di malattia o contaminazione. Gli ispettori USDA riferiscono che le aziende suddividono le partite di bestie infette, mescolandole ad altri lotti, per ridurre la probabilit che l'animale malato rientri nella campionatura di controllo e per confonderlo pi facilmente nei lotti di bestie sane (22). Altri ispettori raccontano di bestie portate alla macellazione con la febbre alta: normalmente, il bestiame febbricitante non dovrebbe essere macellato; ma, con la nuova procedura, considerato accettabile lavarle con acqua fredda per abbassare la temperatura entro i limiti di legge. L'incidenza delle febbri non compare nelle registrazioni aziendali. Racconta un ispettore federale: Ho lavorato presso [uno dei maggiori macelli del paese] nel settore privato, prima di diventare ispettore USDA. In azienda, avevamo l'ordine di non segnalare per iscritto i problemi che riscontravamo. Sembra che, nel settore, sia diffusa la prassi di non registrare ufficialmente le cattive notizie (23). Si ricorre a lavaggi anche per camuffare le carcasse contaminate. In teoria, le carcasse devono essere lavate, dopo l'abbattimento, per eliminare la polvere e altri residui raccolti durante le prime fasi di lavorazione. Per, secondo Dora Fries, ispettore federale, il prelavaggio aggiunge acqua alla carcassa e copre lo sporco. Avete mai messo delle feci su un pezzo di sego [grasso di bovino] caldo, per poi lavarlo con acqua calda a pressione, come avviene nel prelavaggio? Se lo guardate, sembra pulito. Ma se prendete un bisturi, lo sezionate e lo guardate al microscopio, vedrete che la materia fecale ancora annidata nel grasso. Questo un test che ho fatto personalmente. Perch ricorrere a un prelavaggio, se non per eliminare superficialmente le feci e aggiungere acqua alle carcasse per farle pesare di pi? Il prelavaggio non efficace per eliminare lo sporco: il suo unico effetto di farlo annidare nel grasso pi profondamente (24). Recentemente, ventiquattro ispettori USDA hanno inviato una lettera congiunta alla National Academy of Science, manifestando preoccupazione per l'integrit e la salubrit della carne venduta negli Stati Uniti. La loro lettera si concludeva dicendo: In coscienza, non possiamo pi affermare che la carne bovina certificata dallo USDA sia sana... Secondo lo USDA, il SIS significa meno ispettori che controllano meno carne su pi carcasse, lungo linee di produzione

pi veloci, il tutto senza abbassare gli standard per la salute pubblica. Secondo noi, non vero (25). Nel 1990, gli ispettori federali di ogni angolo del paese hanno sommerso lo USDA di "affidavit", in cui descrivevano gli abusi commessi nel quadro del programma SIS. Nel nuovo regime di controlli, notava un ispettore, ci si aspetta che un ispettore controlli trenta fegati al minuto; la realt che in due secondi, mentre il fegato gli passa davanti agli occhi, non in grado di stabilire se sano o malato. Secondo un altro, il Primo Comandamento [del SIS] 'La linea non si deve fermare'... Siamo arrivati al punto che un ispettore non pu fermare la linea per far ripulire dai residui di una carcassa infetta le superfici su cui si lavorano le altre; questo significa che ci si pu aspettare una diffusione della contaminazione. Con il nuovo programma SIS, gli ispettori federali non hanno l'autorit di bloccare la linea di produzione, neppure se riscontrano un problema: L'unica cosa che possiamo fare lamentarci... E' come pensare che un poliziotto possa bloccare un rapinatore senza la pistola (26). A meno che l'azienda non ammetta l'esistenza del problema o violi la legge, l'ispettore federale non pu fare nulla. Secondo un altro ispettore dello USDA, gli standard sono stati talmente compromessi che carni le quali, in precedenza, sarebbero state marchiate e destinate alla distruzione, per gli evidenti sintomi di un'infezione, oggi ottengono la certificazione USDA per il consumo (27). Gli ispettori citano casi di bestie affette da ritenzione urinaria, con l'equivalente di un secchio di urina nella cavit addominale, che, quando la bestia viene macellata, si sparge ovunque (28). Con il nuovo sistema, queste carcasse non sono pi eliminate dalla linea di produzione, ma approvate per il consumo umano. I manzi con il peritonitus, un fluido mucillaginoso nella cavit addominale, vengono normalmente certificati, mentre secondo le vecchie procedure sarebbero stati eliminati (29). Perfino i manzi affetti da artrite e polmonite non vengono scartati. Secondo un ispettore dello USDA, oggi, i veterinari autorizzano la macellazione di bestie che starnutiscono vistosamente prima dell'abbattimento, e che hanno i polmoni pieni di fluidi, tessuti cicatriziali e ascessi lungo le pareti polmonari, o i polmoni attaccati alle costole, o che hanno... vasi sanguigni aperti in reni non pi funzionali (30). E' stata autorizzata la macellazione di bestie piene di cibo rigurgitato, poi fuoriuscito durante lo squartamento. Lungo la linea di produzione si spargono residui fecali, peli, larve, aderenze, fasciola epatica e residui alimentari. Un ispettore USDA rammenta di un caso in cui, da una distanza di due metri, aveva notato un'evidente contaminazione da feci e peli, soprattutto nella cavit addominale, sulle spalle e sulle zampe anteriori (31). Non sorprenda che l'aumento del livello di contaminazione da feci nella carne bovina abbia un parallelo nell'aumento dei casi registrati di salmonella. Negli ultimi sedici anni, negli Stati Uniti, l'incidenza della salmonellosi raddoppiata (32). Secondo il Center for Disease Control, pi della met dei casi sono riconducibili al consumo di carne bovina e pollame. Le intossicazioni alimentari, come la salmonellosi, provocano pi di 2000 decessi all'anno e 500 mila ospedalizzazioni, che rappresentano un costo di milioni di dollari per cure mediche e spese accessorie (33). Uno degli impianti pilota, che in sette anni non aveva avuto un solo lotto di carne bovina rifiutato per contaminazione da salmonella, ha riferito di tre lotti rifiutati nei primi quattro mesi di applicazione sperimentale del programma SIS (34). Come conseguenza del peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie dei macelli, si stanno diffondendo anche altre malattie a genesi alimentare, come le infezioni da stafilococco e la listeriosi (35). La descrizione delle condizioni di alcuni fra i maggiori impianti di macellazione del paese fatta dagli ispettori dello USDA sconcertante. Parlano di macellazione di vacche gi morte all'arrivo, con carcasse cos fredde da non far defluire correttamente il sangue (36), e di carcasse messe in lavorazione con interiora piene di oggetti estranei, come lamelle arrugginite, denti rotti, unghie, pinze, anelli, targhette di riconoscimento e resina (37). In alcuni impianti di macellazione, la velocit della linea di lavorazione tale che gli operai non hanno il tempo di rimuovere le spine di cactus dalla

lingua delle bestie (38). I nastri trasportatori si impregnano di grasso al punto da non riuscire pi a girare. Gli operai, invece di fermare la linea e ripulire la sozzura, si limitano a spruzzarla di acqua e sale finch torna a funzionare (39). La pressione esercitata per mantenere la continuit della produzione tale che la direzione di un impianto si rifiutata di fermare la linea nonostante che una perdita d'olio dall'impianto idraulico sporcasse la carne, e non ha nemmeno eliminato dalla produzione le carcasse contaminate (40). I muri dei reparti di lavorazione sono imbrattati di ogni tipo di sporcizia e segnati dall'umidit; dagli impianti di trasporto, il grasso cola sugli operai. Gli stabilimenti sono infestati di scarafaggi lunghi fino a cinque centimetri; parti delle carni lavorate sono cos vecchie da rivelarsi verdi al taglio (41): si tratta, spesso, di carne appartenente a lotti rifiutati dai supermercati perch non integri, destinati a essere nuovamente immessi sul mercato. In questo modo, teste contaminate, dette teste vomito perch piene del contenuto del rumine, possono essere recuperate e lavorate da dipendenti dell'azienda, che non devono sottoporle nuovamente al controllo dell'ispettore USDA. Ne consegue che in alcuni macelli pi del 24 per cento delle teste-vomito che raggiungono il tavolo di taglio sono contaminate da peli, sporcizia, pelle e residui alimentari (42). Mi mette a disagio dichiara l'ispettore USDA Michael Anderson pensare che domani sera una famiglia, del tutto inconsapevolmente, potrebbe mangiare un hamburger o del rag che contiene parti macinate di una testa come questa (43). Con il vecchio sistema, gli ispettori federali imponevano un'accuratissima pulizia dei pavimenti dei macelli. Oggi, la loro autorit assai pi ridotta e i pavimenti dei locali di macellazione e lavorazione delle carni sono spesso coperti di visceri, urine, feci e ogni genere d'immondizia; a volte sono cos scivolosi che camminarci diventa pericoloso (44). Il tanfo e la sozzura attirano eserciti di topi. In alcuni impianti, la caccia al topo diventata una via di mezzo fra uno sport e uno scherzo di cattivo gusto fatto agli ispettori; i dipendenti di alcuni macelli ci hanno riferito che, di notte, le celle frigorifere si riempivano di topi che correvano sulle carcasse, servendosi abbondantemente di carne (45). Alcuni imprenditori della trasformazione alimentare e grossisti stanno cominciando a lamentarsi pubblicamente, manifestando apertamente le proprie preoccupazioni riguardo all'aumento di carne di pessima qualit nei lotti consegnati dai grandi macellatori. La Finest Meat Products, di John Krusinski, un'industria di trasformazione alimentare che produce salsicce polacche; il signor Krusinski, esasperato dalla pessima qualit della carne consegnatagli da alcuni dei pi grandi produttori nazionali - fra cui anche Monfort, Iowa Beef ed Excel - nel 1989, a Cleveland, ha espresso il proprio sdegno nel corso di una trasmissione televisiva. In quell'occasione ha dichiarato che la carne che gli veniva consegnata dai macelli era evidentemente guasta e piena di batteri; puzzava e presentava ascessi purulenti. Quando la carne puzza troppo, gli ispettori federali ci suggeriscono di arieggiarla, prima di lavorarla (46). Krusinski ha sottoposto a esami di laboratorio un lotto di carni che gli erano state consegnate: queste hanno rivelato la presenza di colibatteri e fermenti in valori superiori alla norma; la carne era talmente deteriorata che, nel racconto di Krusinski, quando tentarono di macinarla e cuocerla, si sfald, lasciando fuoriuscire del pus (47). Molti macelli camuffano lo stato di putrefazione aggiungendo fosfati. Krusinski ha affermato che, in seguito alle sue lamentele, i fornitori mi hanno sostanzialmente fatto capire che l'alternativa era 'prendere o lasciare'. E hanno minacciato che, se avessi continuato a lamentarmi, non mi avrebbero pi venduto niente (48). L'imprenditore ha chiarito la ragione per cui, nonostante il rischio, ha deciso di parlare: La mia famiglia, i miei figli e i miei nipoti, mangiano i prodotti che preparo. Sia per una questione di integrit professionale sia per lealt alla mia famiglia e alla comunit, non posso stare zitto mentre lo USDA permette questo ingiustificabile deterioramento della qualit della carne commercializzata dai maggiori macelli (49).

Nell'intento di velocizzare la produzione, tagliare i costi e migliorare i margini di profitto, l'industria americana della carne e lo USDA hanno messo seriamente a repentaglio la sicurezza e gli standard igienico-sanitari dei macelli. Oggi, milioni di americani e di consumatori di altri paesi del mondo acquistano tagli di carne nell'assoluta inconsapevolezza della potenziale minaccia che questi rappresentano per la salute. Se, da una parte, aumenta l'incidenza delle malattie a trasmissione alimentare, dall'altra si scoprono nuove malattie bovine. Le nuove malattie non sono sottoposte a controlli dagli ispettori USDA, perch ancora non stato individuato un nesso causale diretto fra la loro presenza ed eventuali rischi per la salute umana. Nonostante i funzionari dello USDA continuino ad affermare che tali malattie sono specifiche della specie e non costituiscono un'immediata minaccia per gli esseri umani, gli studi epidemiologici suggeriscono, come minimo, la possibilit di un nesso causale e la necessit di studi pi approfonditi. L'encefalopatia spongiforme bovina (B.S.E.), nota anche come malattia della mucca pazza, si manifestata negli allevamenti britannici nel 1986, e gi nel 1990 aveva infettato 16 mila capi in 7000 diverse mandrie. La malattia distrugge le cellule cerebrali dell'animale, trasformandole in una massa dall'aspetto spugnoso. La malattia fa impazzire l'animale, rendendone necessario l'abbattimento. Gli scienziati sospettano che la B.S.E. - che incurabile - sia provocata dalla somministrazione ai bovini di mangimi contenenti midollo di pecore infettate dalla scrapie. Sebbene non sia ancora dimostrato che questa malattia si trasmetta all'uomo, la sua scoperta ha causato vive proteste nell'opinione pubblica in Gran Bretagna, portando perfino all'eliminazione della carne di manzo dalle mense di pi di mille scuole, nel timore che potesse infettare i bambini. In poche settimane dal primo caso registrato di B.S.E., un consumatore inglese su quattro ha smesso di mangiare carne bovina, danneggiando il mercato interno della carne (50). Ancora pi sconcertante la scoperta negli Stati Uniti di altre due malattie bovine, oggi assai diffuse, che si sospetta abbiano legami con gravi patologie umane. Il virus della leucemia bovina (B.L.V.) un retrovirus diffuso da un insetto che provoca malattie degenerative nei bovini e viene riscontrato nel 20 per cento delle bestie e in pi del 60 per cento delle mandrie presenti negli Stati Uniti. Anticorpi B.L.V. sono stati scoperti in pazienti leucemici, e la sperimentazione in vitro ha dimostrato che il virus B.L.V. attacca le cellule umane. Inoltre, indagini epidemiologiche suggeriscono un possibile legame diretto fra la B.L.V. e alcune forme di leucemia umana: questi studi hanno evidenziato la maggiore incidenza di leucemia umana nelle contee con un'elevata incidenza di bovini infettati dalla B.L.V.; studi analoghi condotti in Svezia e in Russia hanno collegato il manifestarsi della B.L.V. con l'aumento dell'incidenza delle leucemie nella popolazione umana. Gli scienziati hanno anche scoperto una forte correlazione diretta fra B.L.V. e H.T.L.V.-1, il retrovirus umano che per primo stato dimostrato causa diretta di cancro: una rara forma di leucemia, la leucemia delle cellule T. B.L.V. e H.T.L.V.-1 hanno in comune un gene, la funzione del quale replicare il virus (51). In anni recenti, stato scoperto anche un secondo virus nelle mandrie americane. Il virus, isolato per la prima volta negli anni Settanta in animali americani, detto virus dell'immunodeficienza bovina (B.I.V.), perch ha una struttura strettamente correlata a quella del virus H.I.V., o virus dell'AIDS. Gli scienziati sono riusciti a infettare cellule umane con B.I.V. e, in almeno uno studio, hanno sottolineato come il B.I.V. possa avere un ruolo nella diffusione di virus nell'uomo. Fin dal 1987, lo USDA Animal and Plant Health Inspection Service, insieme al National Institute of Health (N.I.H.), si blandamente impegnato nella ricerca sui potenziali legami fra il virus B.I.V. e patologie umane. In una risposta formale a una petizione sottoposta dalla Foundation on Economic Trends, il dottor James Wyngaarden, all'epoca direttore del N.I.H., e Bert Hawkins, funzionario dello USDA Animal and Plant Health Inspection Service, hanno riferito che il siero di bestiame proveniente da mandrie allevate in diverse localit degli Stati Uniti viene raccolto e sottoposto a verifiche relative alla presenza del virus B.I.V.. I due funzionari pubblici hanno anche annunciato di essere in procinto di sviluppare

test per il controllo di sieri umani appartenenti a individui a rischio di esposizione al virus, per ragioni professionali o per altri motivi (52). Nel 1991, lo USDA ha comunicato alla Foundation on Economic Trends i risultati di quattro anni di indagini condotte sul B.I.V. Le risultanze sono preoccupanti: secondo lo USDA, il virus dell'AIDS bovino diffuso fra le vacche da latte e da carne e si sospetta che annienti il sistema immunitario degli animali, esponendoli allo sviluppo di un'ampia gamma di malattie, fra cui la mastite e il linfosarcoma. Lo USDA afferma di non essere ancora in grado di stabilire se l'esposizione a proteine B.I.V. sia causa di positivit H.I.V. nell'uomo. Lo USDA sta proseguendo le indagini (53). Nel frattempo, il virus dell'AIDS bovina continua a diffondersi fra il bestiame americano, senza che ancora si sia individuata una cura. L'impatto economico del B.I.V. sull'industria della carne e sul settore caseario sar probabilmente devastante quando, nei prossimi anni, un numero crescente di bestie sar infettato dal virus dell'AIDS bovina e soccomber alla grande variet di patologie opportunistiche e parassitiche a cui sono esposti organismi con un sistema immunitario indebolito. Nonostante la crescente aneddotica sul legame fra il virus della leucemia bovina e quello dell'immunodeficienza bovina, con potenziale rischio per la salute umana, lo USDA si categoricamente rifiutato di eseguire controlli sulla carne macellata, sul latte e sui prodotti caseari per individuare tali retrovirus. Ogni giorno, gli americani consumano carne bovina, latte e derivati che potrebbero essere infettati dal virus della leucemia bovina o dell'AIDS bovino, senza alcuna garanzia per la propria salute. In America, l'evoluzione delle prassi di controllo nella macellazione simile a quella riscontrabile in altri settori della trasformazione alimentare, dove la spinta verso l'efficienza e il profitto ha avuto come conseguenza un trattamento disumano degli animali e dei lavoratori, oltre a un aumento di rischi per il consumatore. Oggi, questo approccio alla carne altamente industrializzato viene esportato in altri paesi, nel sistematico tentativo di creare un complesso bovino globale Questo sforzo titanico, guidato dalle grandi multinazionali, dalle istituzioni finanziarie internazionali e dai governi nazionali, rappresenta il punto culminante dell'espansione dei culti bovini a Occidente, attraverso le popolazioni indoeuropee e americane. Il consolidamento dell'industria della carne in un unico complesso globale sta gi producendo profondi effetti sull'ecosistema terrestre e sul sistema economico mondiale. 21. IL MANZO MONDIALE. Il capitolo finale della saga, lunga cinque secoli, della colonizzazione bovina delle Americhe stato scritto dopo la seconda guerra mondiale, quando gli stati e le aziende multinazionali hanno avviato il processo di integrazione di Nord, Centro e Sudamerica in un unico complesso bovino: una sterminata azienda zootecnica estesa per quasi 10 mila chilometri, dalle Grandi Pianure del Nord alle ricche praterie delle "pampas" argentine. Le istituzioni finanziarie britanniche invasero le praterie del Sudamerica nello stesso periodo in cui costituirono le societ di allevamento nelle pianure degli Stati Uniti. Come nel caso del Nordamerica, la sottomissione degli "indios" delle pianure e la tecnologia di refrigerazione diedero impulso a un massiccio afflusso di capitali britannici verso le praterie. Gi nel 1880, societ inglesi e scozzesi possedevano il 20 per cento dei bovini allevati nelle pampas (1). Nei due decenni successivi, i finanzieri britannici si mossero con rapidit e determinazione per creare un articolato complesso bovino in Sudamerica, proprio come avevano fatto in Irlanda e in Scozia, e come stavano facendo in Nordamerica. Lo storico S. Hanson descrive cos il processo: Nella regione del River Plate, il bestiame, migliorato dalla continua e massiccia importazione di bestie di sangue britannico, veniva spostato su

ferrovie britanniche verso macelli allestiti e finanziati da investitori britannici, che esportavano carne di manzo verso la Gran Bretagna, su navi refrigerate inglesi (2). Alla fine del diciannovesimo secolo, 278 navi refrigerate facevano la spola regolarmente fra una sponda e l'altra dell'Atlantico, trasportando carne sudamericana verso l'Inghilterra e l'Europa continentale (3). Alcuni mercanti inglesi fecero fortuna commerciando carne argentina: alla fine del diciannovesimo secolo, la famiglia Vestey, di Liverpool, domin gli scambi con l'Argentina, per poi costituire Dewhurst, la pi grande catena di vendita di carne al dettaglio in Inghilterra. L'Argentina provvedeva buona parte della carne destinata all'aristocrazia e alla classe media, mentre il bestiame uruguayano veniva usato per produrre estratto Liebig: un economico estratto di carne molto diffuso presso le classi lavoratrici britanniche, che per molti inglesi rappresentava la principale fonte di proteine animali. Negli anni Ottanta dell'Ottocento, per produrre l'estratto di carne Liebig nello stabilimento di Fray Bentos, di propriet inglese, sulle rive del fiume Uruguay, vennero macellati 150 mila capi di bovini uruguayani (4). L'aumento della domanda di carne in Europa e negli Stati Uniti nel secondo dopoguerra, rilanci l'interesse nei confronti dei territori del Sudamerica. Negli anni Sessanta, con il contributo finanziario della World Bank e dell'Inter-American Development Bank, i governi di quasi tutto il Centroamerica e il Sudamerica cominciarono a convertire milioni di ettari di foresta pluviale e di terreni agricoli in pascoli, destinati all'allevamento di bovini da commercializzare sul mercato internazionale. Solo fra il 1971 e il 1977, al fine di promuovere l'allevamento bovino, i paesi dell'America Latina hanno ricevuto aiuti finanziari e tecnici per un valore complessivo di 3,5 miliardi di dollari (5). Gran parte del Centroamerica stato trasformato in uno sterminato pascolo, per fornire carne a buon mercato al Nordamerica; in Sudamerica, la foresta pluviale amazzonica stata tagliata e bruciata per lasciare spazio ai pascoli per i bovini destinati a soddisfare la crescente domanda di carne inglese ed europea. La conversione stata rapidissima e ha avuto caratteristiche analoghe alle precedenti invasioni delle pianure del Nordamerica e delle "pampas" argentine. La bovinizzazione di Centro e Sudamerica stata parte di un sistematico sforzo, da parte delle imprese multinazionali, di creare un unico mercato mondiale per la produzione e la distribuzione della carne. Gli analisti del settore stanno gi cominciando a propagandare un nuovo termine: il manzo mondiale, come esiste l'automobile mondiale (6). Le societ transnazionali, ansiose di creare quello che Peter Drucker e altri hanno chiamato il supermercato globale, si stanno muovendo per assumere il controllo di ogni aspetto della produzione bovina, nella speranza che una completa integrazione verticale a livello mondiale permetta loro di ottimizzare le risorse e massimizzare il potenziale di mercato. Le multinazionali dell'alimentazione stanno gi cominciando ad assemblare i bovini come si assemblano le automobili, miscelando i fattori di produzione provenienti da vari paesi sementi, cereali, farmaci, embrioni animali, processi automatizzati di macellazione, marketing su vasta scala e distribuzione al dettaglio - in un'unica attivit coordinata. Il manzo mondiale quasi realt, e le tre Americhe stanno rapidamente trasformandosi nel pi grande pascolo e nel pi importante macello del mondo. Una fase critica nel processo di creazione di un manzo mondiale la standardizzazione del prodotto finale. Steven Sanderson, studioso di scienza della politica, elenca i fattori determinanti: Immunit dalle malattie pi contagiose, venatura di grasso della polpa con determinate caratteristiche, tagli standardizzati e cos via (7). L'industria della carne sta entrando in una nuova fase, in cui la carne sulla tavola del consumatore sar stata progettata in Europa e in Nordamerica, allevata in America Latina, nutrita con cereali importati dai maggiori paesi produttori, macellata secondo standard internazionali e consumata nelle comunit pi lontane dal suo luogo di origine (8).

L'istituzionalizzazione del manzo mondiale sta profondamente influenzando l'economia di alcune nazioni in via di sviluppo. Paesi come il Messico sono i pi colpiti da questa nuovissima forma di sfruttamento coloniale: una porzione sempre maggiore di terre viene destinata al pascolo di bestiame per il mercato statunitense. Il Messico esporta negli Stati Uniti un enorme numero di bovini vivi: questi vengono finiti a cereali nelle stalle intensive del Texas e macellati per il consumo interno (9). Nello stesso tempo, paesi come il Brasile usano una parte sempre pi estesa del proprio territorio per produrre mangimi per animali: gran parte di questi mangimi sono esportati in Europa, Russia, Giappone e Stati Uniti; il bestiame del Centroamerica e del Sudamerica per la maggior parte nutrito al pascolo. In Brasile, attualmente, il 23 per cento della terra coltivabile utilizzata per la produzione di soia, met della quale destinata all'esportazione. Le implicazioni del fenomeno sono di portata e ampiezza enormi: un ettaro di terra arabile produce, mediamente, all'anno, circa 1200 chilogrammi di mais; se la terra seminata a soia, c' meno mais a disposizione per l'alimentazione umana, e questo ne determina un aumento del prezzo; l'aumento del prezzo ricade completamente sulle spalle dei poveri. Ma il mais non l'unico esempio: i fagioli neri, tradizionalmente alimento cardine della dieta contadina brasiliana, stanno diventando pi costosi, perch gli agricoltori hanno smesso di coltivarli, preferendo dedicarsi alla pi redditizia soia per alimentazione animale (10). Il Messico sta dedicando una porzione crescente della propria produzione agricola al sorgo, cereale per alimentazione bovina e animale; venticinque anni fa, il bestiame consumava meno del 6 per cento della produzione cerealicola del paese; oggi, almeno un terzo dei cereali prodotti nel paese sono destinati all'alimentazione animale. E questo in un paese in cui milioni di persone soffrono di denutrizione cronica (11). In tutti i paesi del Centroamerica e del Sudamerica che stanno diventando dipendenti dal processo di mondializzazione del manzo, i poveri sono vittime della ricerca dell'ottimizzazione delle risorse e della massimizzazione della penetrazione del mercato. Il tentativo di creare un unico mercato mondiale dei bovini e della carne avr, probabilmente, ripercussioni sulle fortune politiche e sul futuro delle nazioni in via di sviluppo, compromettendo ulteriormente la loro attuale condizione di povert rurale marginalizzata. Afferma Sanderson: Ecco il pi significativo aspetto politico dell'internazionalizzazione della produzione bovina: la minaccia all'esistenza dei contadini in paesi con un'ampia popolazione rurale povera, dipendente da un'agricoltura di sopravvivenza (12). Il prossimo futuro di queste comunit contadine appare tetro. Bench negli ultimi anni siano diminuite, per questi paesi dell'America Latina le esportazioni di carne continuano a rappresentare l'unico biglietto d'ingresso al mercato globale. Nello stesso tempo, molti paesi del Centroamerica e del Sudamerica stanno utilizzando porzioni sempre pi ampie di territorio per coltivare soia, sorgo e altri cereali riservati all'alimentazione animale, in larga parte destinati all'esportazione. Costretti a decidere se nutrire gli uomini o gli animali, i latifondisti locali e le lite urbane di potere hanno scelto gli animali, incuranti del fatto che, in questo modo, impoveriscono ulteriormente i gi poveri "campesinos". Ma, anche cos, in alcuni paesi l'agricoltura locale sottoposta a eccessivo sfruttamento; questo genera un'ulteriore dipendenza dall'importazione di mangimi, gran parte dei quali sono prodotti dalle medesime multinazionali proprietarie delle mandrie locali, dei macelli e dei canali di marketing e distribuzione nei paesi dell'America Latina. Gi diversi anni fa, lo USDA stimava che i paesi latinoamericani soffriranno di carenza di mangimi, pur fornendo al ricco mercato americano cereali per alimentazione animale... in larga misura a causa dell'aumento della produzione bovina (13). Gi negli anni Settanta e Ottanta, questa previsione si rivelata corretta per molti paesi; e aziende come Purina e Quaker Oats si sono rapidamente mosse per riempire il vuoto lasciato dall'insufficiente produzione locale di mangimi. Con la trasformazione della foresta pluviale in pascolo e dei terreni agricoli in colture di cereali per l'alimentazione animale, i piccoli contadini si sono ritrovati spiazzati e privi di risorse, senza pi alcun mezzo per garantirsi la

sopravvivenza; l'allevamento bovino moderno un settore a fortissima intensit di capitale: se la piccola agricoltura sostiene un centinaio di persone ogni tre chilometri quadrati, l'allevamento bovino tropicale medio occupa un addetto per 2000 capi di bestiame e questo... significa una persona ogni trenta chilometri quadrati (14). Disperati e senza terra, milioni di contadini sono emigrati verso i grandi agglomerati urbani, alla ricerca del poco lavoro disponibile. Molti si sono adattati a vivere della misera sussistenza pubblica, per le strade o nelle baraccopoli delle periferie urbane. Altri hanno intrapreso la lunga migrazione verso nord lungo la PanAmerican Highway, nella speranza di trovare una vita migliore nel Nord del Messico. Negli ultimi anni, milioni di loro hanno varcato clandestinamente il Rio Grande, modificando la dinamica sociale dell'intero Sud-Ovest degli Stati Uniti. Oggi, gran parte degli allievi del sistema scolastico pubblico di Los Angeles sono ispanici. E la progressiva latinizzazione della cultura degli Stati Uniti , in parte, direttamente ascrivibile ai cambiamenti intervenuti nelle modalit di utilizzo della terra nel resto del continente americano dove il pascolo bovino e le colture intensive di cereali per alimentazione animale si sono sostituiti a un'agricoltura di sussistenza, trasformando un continente in un'unit di produzione al servizio del commercio internazionale di carne. Parte quarta. NUTRIRE LE BESTIE E AFFAMARE LA GENTE. 22. VACCHE OVUNQUE. Vacche ovunque. Pi di un miliardo di vacche che pascolano nei cinque continenti (1). Un quarto delle terre emerse usate per nutrire bovini e altro bestiame (2). La produttivit dei prati a pascolo estremamente variabile: un ettaro di prateria molto ricca pu sostentare una vacca per un anno; ce ne possono volere, per, anche venti, se la prateria marginale (3). In Australia, la popolazione bovina supera quella umana del 40 per cento. In Sudamerica, ci sono mediamente nove vacche ogni dieci persone. In Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay, la popolazione bovina uguale o superiore a quella umana (4). Negli ultimi dieci anni, la popolazione bovina mondiale aumentata del 5 per cento (5). Negli Stati Uniti ci sono circa 100 milioni di bovini: uno ogni due persone e mezzo circa. Con meno del 5 per cento della popolazione mondiale, gli Stati Uniti hanno l'otto per cento della popolazione bovina (6). Gli americani tendono a pensare agli Stati Uniti come a un paese altamente industrializzato e urbanizzato. In realt, se vero che gli uomini si concentrano in sterminate aree metropolitane sulle coste e lungo l'asse segnato dal corso del Mississippi, quasi il 29 per cento della superficie del paese a pascolo, utilizzato prevalentemente da bovini (7). Un terzo di queste terre sono di propriet pubblica, ceduti in concessione agli allevatori del West (8). In tutto il mondo, circa 200 milioni di persone sono coinvolte in attivit connesse con la produzione zootecnica (9). Nord, Centro e Sudamerica producono il 43 per cento di tutta la carne bovina del mondo (10). Gli Stati Uniti sono il maggiore produttore mondiale di carne bovina, con una quota del 22 per cento (11). La Russia produce circa il 18 per cento della carne bovina mondiale, seguita dall'Argentina e dal Brasile, ciascuno con il 5 per cento (12). Insieme, tutti i paesi dell'Europa occidentale producono il 17 per cento della carne bovina mondiale (13). Negli Stati Uniti, la carne bovina un affare colossale. Sebbene il numero degli addetti del settore dell'allevamento sia inferiore allo 0,2 per cento della forza lavoro, i bovini da carne sono un'industria da 36 miliardi di dollari, che incide per pi del 24 per cento sul totale del fatturato dell'intero settore agricolo, e per il 7 per cento sul volume d'affari dei supermercati (14). La produzione zootecnica bovina , oggi, per volume d'affari,

il quarto settore dell'industria manifatturiera. Tutti i principali stati bovini sono a ovest del Mississippi: Kansas, Colorado, Nebraska, Iowa, Texas, Missouri, Oklahoma e California (15). Negli Stati Uniti, la carne bovina regina: ogni ventiquattr'ore vengono macellate circa 100 mila vacche (16). Nell'arco della settimana, il 91 per cento delle famiglie americane acquista carne (17). I cittadini degli stati del Sud tendono a spendere per la carne bovina pi di quanto spendano quelli di tutti gli altri stati; la spesa pi bassa per consumo di carne bovina si registra nel West. Le famiglie con reddito pi elevato spendono, proporzionalmente, pi delle altre per la carne bovina (18). Attualmente, gli americani consumano il 23 per cento della carne bovina prodotta nel mondo (19). L'americano medio consuma poco meno di trenta chilogrammi di carne bovina all'anno (20). Fin dalla pi tenera et, gli americani sono abituati a ingozzarsi di carne di manzo. Le statistiche sono stupefacenti. I bambini di et inferiore ai sette anni consumano una media di 1,7 hamburger alla settimana; fra i 7 e i 13 anni, il consumo settimanale di hamburger sale a 6,2; dai 13 ai 30 anni diminuisce leggermente a 5,2, dato che la dipendenza dalle proteine bovine viene soddisfatta con tagli pi adulti, come la bistecca e l'arrosto (21). Ogni anno, nei fast-food americani vengono venduti pi di 6700 milioni di hamburger (22). Nel corso della propria vita, l'americano medio consuma una quantit di carne equivalente a sette manzi da 600 chilogrammi (23). Gli americani sono fra i maggiori consumatori di carne bovina al mondo, subito seguiti dagli australiani. Rispetto agli americani, i cittadini dell'Europa occidentale consumano la met della carne bovina; i giapponesi solo il 10 per cento (24). Questi dati, probabilmente, sono destinati a cambiare drasticamente nei prossimi decenni, dal momento che un numero sempre crescente di consumatori giapponesi entra a far parte dell'esclusivo circolo della bistecca. Fra il 1965 e il 1990, la domanda giapponese di carne bovina aumentata di tre volte e mezzo (25). Nel 1989, a Tokyo sono stati venduti pi hamburger McDonald's che a New York (26). Sebbene il prezzo della carne bovina in Giappone sia quattro volte superiore a quello americano, i funzionari governativi giapponesi che si occupano del commercio internazionale stimano un raddoppio di importazioni di carne bovina nei prossimi dieci-quindici anni (27). Il Giappone non l'unico paese asiatico a essersi aggiunto ai ranghi delle nazioni carnivore. In anni recenti, anche la Corea del Sud e Taiwan hanno visto aumentare drasticamente il consumo interno di carne bovina (28). Ci si aspetta che nei prossimi decenni altri paesi asiatici seguano il medesimo percorso. Nell'ultimo mezzo secolo, in quasi tutte le nazioni del mondo, l'incremento dei livelli di reddito andato di pari passo con l'aumento dei consumi di carne, soprattutto bovina. Le nazioni dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) rappresentano un caso esemplare: negli anni Settanta, nei venti paesi OCSE, la quota media pro capite di calorie consumate di provenienza animale passata dal 35 al 40 per cento (29). In alcuni paesi, soprattutto in Italia, Spagna, Portogallo e Giappone, l'aumento del consumo di prodotti di origine animale stato vertiginoso e quasi parallelo al rapido aumento del prodotto interno lordo (30). La correlazione fra aumento del reddito, del consumo di carne e del consumo di carne bovina molto forte anche nell'ambito dei singoli paesi. Come dimostra una dettagliata indagine condotta su cinquanta paesi, rispetto ai gruppi a basso reddito, i gruppi a reddito pi elevato derivano sistematicamente una quota maggiore di grassi, proteine e calorie dal consumo di alimenti di origine animale (31). In Giamaica, una delle nazioni pi povere del mondo, per il 25 per cento pi ricco della popolazione la carne bovina la fonte primaria di proteine, mentre la farina di frumento si colloca solo al settimo posto; per il 25 per cento pi povero della popolazione della medesima nazione, vale l'esatto contrario: la farina di frumento la principale fonte di proteine, mentre la carne si colloca al tredicesimo posto. In Madagascar, le famiglie pi ricche consumano dodici volte pi proteine animali di quelle alla base della piramide sociale (32). In molti paesi, consumare carne bovina una forma di privilegio, un segno visibile di ricchezza e di status. Fra le nazioni, l'ingresso nel circolo della bistecca rappresenta un potere accresciuto e, da un punto di vista geopolitico,

per determinare il proprio posto nel mondo, ha la stessa importanza del numero di carri armati e di navi da guerra o della crescita della produzione industriale. Durante tutta l'epoca moderna, le relazioni di potere fra nazioni e nell'ambito delle singole nazioni si sono definite intorno alla questione della carne bovina. Anzi, come abbiamo gi sottolineato, la capacit di controllare la produzione e la distribuzione di carne bovina stato un fattore determinante dell'espansione della civilt occidentale. Ovunque sia migrato, il complesso bovino stato responsabile, almeno in parte, dell'istituzionalizzazione di nuovi sistemi di dominio politico. La questione del consumo di carne, dunque, si estende ben al di l di una semplice questione di gusti, e comprende le pi complesse questioni di giustizia sociale ed equit con cui l'uomo si deve confrontare. Il consumo da parte di pochi privilegiati di bovini nutriti a cereali, nel momento in cui milioni di persone non dispongono della quantit di calorie necessaria alla sopravvivenza, una delle questioni pi critiche con cui si deve confrontare la civilt contemporanea. Comprendere il ruolo giocato dal circolo della bistecca internazionale sulla scena alimentare mondiale e sulla politica dell'alimentazione essenziale al fine di dare una risposta alla questione della sopravvivenza di milioni di persone nel nuovo secolo. 23. MALTHUS E LA CARNE. Sono passati quasi duecento anni da quando Thomas Malthus ha scritto il suo sintetico saggio sulla popolazione. Le sue terribili previsioni sul rapporto fra crescita della popolazione umana e disponibilit di terre coltivabili contribuirono a bollare l'economia come scienza triste. Malthus affermava che il potere di popolazione infinitamente maggiore del potere della terra di produrre sussistenza per l'uomo. L'economista inglese affermava che, priva di controllo, la popolazione sarebbe aumentata in progressione geometrica, mentre la terra coltivabile aumenta solo in proporzione aritmetica (1). Dunque, la pressione demografica non pu che esaurire la capacit produttiva della terra, portando all'erosione dei suoli, al depauperamento delle risorse naturali, alla fame e alle pestilenze. Malthus era convinto che il processo sarebbe stato inevitabile, e che avrebbe trovato una soluzione automatica: nel momento in cui la popolazione avesse superato la capacit della terra di produrre nutrimento, denutrizione, guerre e malattie avrebbero provveduto ad aggiustare il numero degli abitanti del pianeta, finch l'equilibrio fra bocche da sfamare e terre disponibili non fosse stato nuovamente raggiunto. Il saggio di Malthus ebbe una grande influenza sul pensiero dell'epoca, smorzando l'entusiasmo suscitato dalle previsioni dei pensatori illuministi. La sua nota di pessimismo rappresent un potente antidoto alla visione di un progresso ricco e benefico, condivisa da molti suoi colleghi; del tutto insensibile al nuovo spirito di progresso, Malthus fu irremovibile nella convinzione dei limiti intrinseci posti da una pressione demografica potenzialmente illimitata sulla quantit fissa di terra arabile disponibile, e scrisse: Questa naturale diseguaglianza dei due poteri, di popolazione e di produzione da parte della terra, e quella grande legge della nostra natura che costantemente deve mantenere in equilibrio i loro effetti, costituiscono la grande difficolt, che a me pare insormontabile, sulla via che conduce alla perfettibilit della societ... Non vedo alcuna via per la quale l'uomo possa sfuggire al peso di questa legge che pervade tutta la natura (2). Naturalmente, l'umanit sfuggita alla morsa malthusiana, almeno per un certo periodo. L'apertura alla coltivazione e al pascolo di nuove, vaste terre nel Nuovo Mondo, e le innovazioni nelle tecnologie agrarie, dapprima sotto forma di un progresso nei metodi di allevamento, quindi con l'introduzione delle macchine

agricole e, infine, con il ricorso alla chimica per migliorare il suolo, hanno rinviato la resa dei conti. Come abbiamo gi sottolineato, dopo la seconda guerra mondiale l'introduzione delle nuove monoculture, dei fertilizzanti petrolchimici e dei pesticidi ha prodotto il pi grande incremento della produzione agricola della storia del mondo. Fra il 1950 e il 1984, la produzione mondiale di cereali aumentata due volte e mezzo (3). Economisti e agronomi hanno sempre dichiarato in modo pressoch unanime che la genialit dell'uomo e l'innovazione tecnologica trionferanno sempre sulle paure e le preoccupazioni degli scettici: la loro fiducia ha subito una scossa negli anni Ottanta, quando l'incremento della popolazione umana ha cominciato a esercitare nuove pressioni su un suolo gi eccessivamente sfruttato. Fra il 1984 e il 1989, la produzione mondiale di cereali ha subito una contrazione del 7 per cento (4). In Africa, nel Vicino Oriente e in America Latina, la produzione alimentare pro capite pi bassa oggi che all'inizio degli anni Ottanta (5). I fattori ambientali che hanno contribuito alla crisi agricola di quel decennio sono molteplici e comprendono erosione del suolo, contrazione delle superfici a foresta, deterioramento del territorio, desertificazione, piogge acide, riduzione della fascia di ozono nella stratosfera, aumento dei gas serra, inquinamento dell'aria e perdita di diversit biologica (6). L'elevato costo dell'energia e la scarsit di acqua dolce non hanno fatto che accelerare il declino; oggi, i segnali dei limiti intrinseci di cui parlava Malthus sono tornati a essere evidenti. Per la prima volta, l'ottimismo dei tecnologi mostra qualche crepa e un numero crescente di giovani intellettuali ed economisti va a ingrossare le file della scuola neomalthusiana. Con una popolazione del pianeta che negli anni Novanta si stima cresciuta di un miliardo di individui, i timori riguardo alla capacit della terra di nutrire, negli anni a venire, una prole cos numerosa, si sono nuovamente rafforzati (7). Nel 1988, le riserve mondiali di cereali sono scese al punto pi basso della storia recente: si stima che siano sufficienti a coprire il fabbisogno mondiale per soli cinquantaquattro giorni (8). Gli esperti di demografia prevedono un incremento delle carestie nell'Africa sub-sahariana, in Bangladesh e in India, oltre a una riduzione dei cereali per alimentazione umana in Centro e Sudamerica, Cina e ampie aree del Sud-Est asiatico (9). A lungo termine il futuro sembra anche pi problematico. Ci si aspetta che, nei prossimi cinquant'anni, la popolazione terrestre raddoppi, passando da 5 a 10 miliardi di persone (10). Nel 1988, scienziati della National Academy of Sciences degli Stati Uniti e della American Academy of Arts and Sciences, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta, per avvertire delle terribili conseguenze che avr l'azione simultanea della pressione demografica e del crescente deterioramento dell'ambiente: L'arresto della crescita demografica dovrebbe essere, per l'uomo, di importanza secondaria solo alla prevenzione di un conflitto nucleare. Sovrappopolazione e rapida crescita demografica sono intimamente connesse con la maggior parte dei problemi che caratterizzano l'attuale situazione dell'umanit, quali il depauperamento delle risorse naturali, il deterioramento dell'ambiente (che comporta rapidi cambiamenti climatici) e l'aumento delle tensioni internazionali (11). Nonostante l'aumentato allarme riguardo al problema di un numero sempre crescente di persone che lottano per una quantit sempre pi ridotta di risorse, poca o nessuna considerazione viene attribuita a uno dei fattori che maggiormente contribuiscono alla crisi. In tutta la letteratura sulla questione della sovrappopolazione, viene riservata scarsissima attenzione alla radicale transizione registrata in questo secolo in agricoltura, dalla coltivazione di cereali prevalentemente destinati all'alimentazione umana a quella di cereali per alimentazione animale. Una nuova minaccia neomalthusiana, pi spaventosa e sinistra di tutte le precedenti, pesa sulle nostre teste: le potenti culture bovine del Nordamerica e dell'Europa hanno creato, nel secolo scorso, una scala artificiale delle proteine, collocando al primo posto la carne dei bovini ingrassati a cereali. Oggi, le popolazioni ricche dell'Europa, del Nordamerica e del Giappone si trovano al vertice della catena alimentare, e divorano la

ricchezza del pianeta. Sembra scorretto che l'lite intellettuale dei paesi industrializzati dibatta sull'argomento dell'eccesso di nascite nelle nazioni del Secondo e del Terzo mondo, ignorando completamente la sovrappopolazione di bovini e di altro bestiame, e la realt di una catena alimentare che affama i poveri per placare l'appetito di carne bovina grassa dei ricchi. La transizione dell'agricoltura mondiale dall'alimentazione umana a quella animale rappresenta una nuova forma di crudelt, le cui conseguenze potrebbero essere pi gravi e durature di ogni passato esempio di violenza perpetrata dall'uomo sull'uomo. Per comprendere l'enormit del problema, necessario esaminare la biologia della catena alimentare del mondo e il modo in cui stata manipolata e distorta per servire gli interessi di pochi. Il chimico G. Tyler Miller ricorre a una catena alimentare semplificata per spiegare come, nello schema evolutivo della natura, le leggi dell'energia operino sulle creature viventi. La catena alimentare di Miller consiste di erba, cavallette, rane, trote e uomini. A ogni anello della catena, quando la cavalletta mangia l'erba, la rana la cavalletta, la trota la rana e l'uomo la trota, c' una perdita di energia. Ogni volta che la preda viene mangiata, afferma Miller, circa l'80, 90 per cento dell'energia si disperde nell'ambiente sotto forma di calore. L'energia divorata rimane nei tessuti del predatore, solo in una quantit compresa fra il 10 e il 20 per cento, per trasferirsi al successivo anello della catena. Consideriamo, per un momento, la popolazione di ciascuna specie necessaria per mantenere viva la creatura del livello successivo: Per nutrire un uomo per un anno ci vogliono trecento trote. A loro volta, le trote consumano 90 mila rane, che devono mangiare 27 milioni di cavallette, che divorano 100 tonnellate d'erba (12). Oggi, il 70 per cento dei cereali prodotti negli Stati Uniti viene utilizzato per l'alimentazione animale (13). Sfortunatamente, fra gli animali domestici, i bovini sono i convertitori meno efficienti di energia; anzi, sono talmente avidi di energia da poter essere considerati le Cadillac degli animali d'allevamento. Per fare 1 chilogrammo di carne di un manzo all'ingrasso, ci vogliono 9 chilogrammi di mangimi; di questi, sei consistono di cereali e sottoprodotti, e tre di fibra (14). Ci significa che solo l'11 per cento del mangime finisce per produrre carne, mentre il resto viene bruciato come energia per il processo di conversione e per il mantenimento delle normali funzioni vitali, o espulso, o assorbito da parti del corpo che non si mangiano, come i peli e le ossa (15). Complessivamente, secondo David Pimentel, nel sistema dell'allevamento intensivo, le proteine somministrate ai manzi e agli altri animali consistono per circa il 42 per cento di foraggio e per il resto di cereali. I bovini hanno un'efficienza di conversione delle proteine alimentari solo del 6 per cento. Ci significa che un animale produce meno di 50 chilogrammi di proteine consumando pi di 790 chilogrammi di proteine vegetali (16). Nel momento in cui un manzo d'allevamento pronto per la macellazione, ha consumato circa 1200 chilogrammi di granaglie e pesa approssimativamente 480 chilogrammi (17). Attualmente, negli Stati Uniti, ogni anno vengono utilizzate 157 milioni di tonnellate di cereali, legumi e altre proteine vegetali adatte all'alimentazione umana per nutrire il bestiame destinato a produrre i 28 milioni di tonnellate di carne consumate dall'uomo (18). Bovini e altri animali d'allevamento divorano gran parte dei cereali prodotti nel mondo. Si deve sottolineare che questo un fenomeno recente in campo agricolo, diverso da qualsiasi altro verificatosi in passato. Ironicamente, il passaggio dal foraggio al mangime avvenuto senza che si sollevasse un vero dibattito, nonostante l'evidente impatto prodotto sulle politiche che determinano l'uso della terra e la distribuzione del cibo, superiore a quello di qualsiasi altro evento della storia moderna. Nei soli Stati Uniti, i dati sono scioccanti: l'economista Frances Moore Lapp nota come, nel 1979, al bestiame bovini, pollame e suini - siano state somministrate 145 milioni di tonnellate di cereali e soia; di queste, solo 21 milioni sono tornate a essere disponibili per l'alimentazione umana, sotto forma di carne e uova. Il resto, equivalente a circa 124 milioni di tonnellate di cereali e soia, stato sottratto al consumo umano (19). Lapp ha calcolato che, se queste 124 milioni di tonnellate di cereali e soia fossero state convertite in denaro, avrebbero avuto un valore di

circa 20 miliardi di dollari e se fossero state convertite per l'alimentazione umana avrebbero fornito l'equivalente di una ciotola di cibo per ogni essere umano del pianeta per un intero anno (20). La domanda mondiale di cereali per alimentazione animale in continua crescita, perch le multinazionali vogliono sfruttare economicamente la domanda di carne dei paesi ricchi. Due terzi dell'aumento della produzione cerealicola statunitense ed europea registrato fra il 1950 e il 1985 - gli anni del grande boom agricolo - sono stati destinati all'alimentazione animale, soprattutto di bovini (21). Nei paesi in via di sviluppo, la questione delle riforme agrarie ha unito periodicamente i piccoli agricoltori e fatto la fortuna dei politici pi demagogici e populisti; ma, sorprendentemente, se la questione della propriet e del controllo della terra stata una questione di grande interesse pubblico, quella dell'utilizzo della terra ha suscitato un interesse assai inferiore nei circoli della politica. Eppure, stata proprio la decisione di sfruttare la terra allo scopo di creare una catena alimentare artificiale - la pi iniqua della storia - a gettare nella pi nera miseria centinaia di milioni di persone sparse ai quattro angoli del globo. Lapp confronta la produttivit della terra utilizzata per alimentazione umana a quella impiegata per nutrire gli animali: Un ettaro coltivato a cereali produce cinque volte pi proteine di un ettaro destinato alla produzione di carne; i legumi (fagioli, piselli e lenticchie) ne producono dieci volte di pi, e i vegetali a foglia quindici volte di pi... un ettaro coltivato a spinaci produce ventisei volte pi proteine di un ettaro riservato alla produzione di carne (22). Le societ multinazionali che producono sementi, prodotti chimici per l'agricoltura e carne bovina, e che controllano i macelli e i canali di commercializzazione e distribuzione della carne, sono pronte a magnificare i vantaggi che derivano dal consumo di bovini finiti a cereali; la pubblicit e le campagne promozionali indirizzate ai paesi in via di sviluppo non fanno che sottolineare il collegamento fra consumo di carne bovina e prestigio nazionale. Salire la scala delle proteine diventa, cos, un simbolo di successo e assicura l'ingresso nell'lite dei produttori, al vertice della catena alimentare mondiale. Farm Journal evidenzia il pregiudizio della comunit agricola: Per i paesi in via di sviluppo, sembra che allargare e diversificare l'offerta di carne debba essere il primo passo. Cominciano tutti dagli impianti di incubazione e di produzione di uova: il modo pi semplice per produrre proteine non vegetali. Poi, rapidamente, appena lo sviluppo dell'economia lo permette, salgono la 'scala delle proteine': maiali, bovini da latte, prodotti caseari, bovini allevati al pascolo e, appena se lo possono permettere, bovini ingrassati a cereali (23). Incoraggiare le altre nazioni a salire la scala delle proteine promuove gli interessi degli agricoltori americani e delle aziende del settore agroalimentare. La maggior parte degli americani si stupirebbe nell'apprendere che due terzi dei cereali esportati dagli Stati Uniti in altri paesi sono destinati all'alimentazione animale, anzich a quella umana (24). Molte nazioni in via di sviluppo hanno salito la scala delle proteine all'apice del boom agricolo, quando la rivoluzione verde e le sue tecnologie producevano surplus di cereali. Nel 1971, la Food and Agricultural Organization (FAO) delle Nazioni Unite, ha pubblicato un rapporto che incoraggiava le nazioni in via di sviluppo con surplus cerealicoli a sviluppare il mercato dei cereali per alimentazione animale (25). Ai paesi in cui la coltura prevalente era il riso, la FAO suggeriva di passare alla coltivazione di cereali inferiori, pi facilmente consumabili dal bestiame. Il governo degli Stati Uniti ha incoraggiato ulteriormente il passaggio, attraverso programmi di aiuti all'estero, legando la concessione di aiuti alimentari alla conversione dell'agricoltura a cereali per alimentazione animale. Aziende come Ralston Purina e Cargill hanno ottenuto finanziamenti pubblici agevolati per aprire

allevamenti intensivi di pollame nei paesi in via di sviluppo: il primo passo nella salita alla scala delle proteine (26). Molte nazioni hanno seguito il suggerimento della FAO, cercando di mantenere un'elevata posizione sulla scala delle proteine, anche dopo che la produzione cerealicola ha cessato di essere in surplus. La transizione dall'alimentazione umana a quella animale continua imperterrita in molte nazioni, nonostante l'aumento della diffusione della denutrizione fra popoli sempre pi disperati (27). Le conseguenze di questa transizione sull'uomo si sono rivelate con drammatica evidenza nel 1984, in Etiopia, quando ogni giorno migliaia di persone morivano di fame. L'opinione pubblica non era consapevole del fatto che, mentre la carestia mieteva vittime, l'Etiopia dedicava gran parte della propria terra alla produzione di mangimi a base di semi di lino, cotone e ravizzone, esportati in Gran Bretagna e in altri paesi europei. Attualmente, nei paesi del Terzo mondo, milioni di ettari di terra sono utilizzati esclusivamente per produrre mangime destinato al bestiame europeo (23). Nel mondo moderno, la logica del privilegio e del potere, dell'espropriazione e dello sfruttamento ormai riguarda anche il conto delle calorie assunte quotidianamente da ogni essere umano che abita il pianeta. Le disparit sono sconcertanti. Tre quarti o pi della dieta dell'asiatico medio sono costituiti da cereali: un asiatico adulto consuma fra 130 e 180 chilogrammi di cereali all'anno. Un americano di classe media, invece, consuma pi di una tonnellata di cereali all'anno, l'80 per cento dei quali attraverso il consumo di carni bovine e di altre specie, nutrite con cereali (29). Su base quotidiana, l'asiatico medio consuma 56 grammi di proteine, solo 8 delle quali di origine animale; l'americano medio, invece, ne consuma 96, di cui 66 di provenienza animale (30). Probabilmente, nei prossimi decenni, la questione alimentazione umana contro alimentazione animale avr un ruolo pi importante nel gioco delle relazioni Nord-Sud. Non dobbiamo dimenticare che due esseri umani su tre seguono una dieta prevalentemente vegetariana (31). Con un terzo della produzione cerealicola mondiale destinata all'alimentazione animale e la popolazione mondiale in crescita al ritmo del 20 per cento ogni dieci anni, si sta preparando una crisi alimentare di proporzioni planetarie (32). Gli occidentali sono fra i maggiori consumatori di carne bovina al mondo. Siamo riusciti a salire al vertice di una scala delle proteine artificiale e artificiosa, che ci permette di consumare le ricchezze del pianeta attraverso un intermediario animale: il manzo. Eppure, i giovani dei paesi ricchi neppure si domandano in base a quale diritto ci permettiamo di farlo: consumare grandi quantit di carne di bovini nutriti a cereali sembra la cosa giusta da fare, un diritto e uno stile di vita. Il volto nascosto della cultura della bistecca - i milioni di diseredati che vagano nel disperato tentativo di procacciarsi un pasto - raramente viene rivelato e discusso. I consumatori di carne sono troppo distanti dagli aspetti pi brutali del complesso bovino, per vederli e per preoccuparsi degli effetti che le proprie preferenze alimentari hanno sulle vite degli altri e sui rapporti politici fra le nazioni. 24. SOCIOLOGIA DEL GRASSO. Conquistato l'ingresso nell'esclusivo circolo dei carnivori, i popoli cominciano ad assimilare il grasso che ogni gradino della scala delle proteine comporta. Le culture della bistecca dell'emisfero settentrionale sono grasse, spesso obese. Sovrappeso e obesit sono stati a lungo associati a benessere e potere. Fra alcune trib dell'Africa occidentale, le adolescenti delle classi privilegiate abitano in speciali capanne da ingrasso, in cui, per un periodo che dura anche fino a due anni, vengono ipernutrite in vista del matrimonio (1). Nella Roma imperiale, l'obesit era cos diffusa che il governo fu costretto a promulgare una legge per limitare le somme di denaro da spendere in cibo e il numero degli ospiti che si potevano invitare a un banchetto. Nel Medioevo, la ghiottoneria era piuttosto comune fra i nobili, che la consideravano un segno tangibile di

benessere. La chiesa, invece, disapprovava la golosit e la considerava un peccato, seppur veniale. Nell'"Inferno" di Dante, uno dei dodici gironi riservato ai golosi. Nel Rinascimento, la nuova ricchezza si esprimeva anche attraverso il corpo: gli artisti dell'epoca ritraevano spesso donne obese, drappeggiate in tessuti preziosi, in interni dagli arredi lussuosi; una modella, per aspirare a essere ritratta da Rubens, doveva pesare almeno novanta chilogrammi (2). Nelle colonie americane, i puritani imposero ai primi coloni un atteggiamento tendenzialmente ascetico, opponendosi a piaceri di qualsiasi natura (3). Ma questa radice ascetica non fu sufficiente a frenare gli appetiti delle successive generazioni di immigranti, attratti dalle ricchezze materiali di un continente generoso. L'epoca che segu la guerra civile fu caratterizzata da uno sviluppo e da una crescita senza precedenti: gli uomini si arricchivano, e celebravano la conquista della ricchezza abbandonandosi a ogni possibile eccesso. Forse, non un caso che l'era della corpulenza - come fu definita dai commentatori dell'epoca - sia stata contemporanea all'avvento della cultura della bistecca (4). Alimentarsi di carne bovina era un simbolo della bella vita, e, nei nuovi insediamenti, le "steak houses" venivano costruite con la stessa rapidit delle chiese. Gi all'inizio del ventesimo secolo, l'America aveva sorpassato l'Inghilterra nel consumo di bovini. Non c', dunque, da sorprendersi, se gli americani, a furia di ingozzarsi di carne venata di grasso di bovini finiti a cereali, siano diventati un popolo di obesi. Secondo il Center for Disease Control, negli Stati Uniti, pi di 34 milioni di individui sono grassi: nel Midwest e nel Sud il problema leggermente pi diffuso che nel Nord-Est e nel Sud-Ovest (5). Altre ricerche stimano che una quota compresa fra il 24 e il 27 per cento della popolazione degli Stati Uniti sovrappeso (6). Anche se i fattori che contribuiscono sono molti - come l'uso eccessivo di zuccheri nell'alimentazione e uno stile di vita sempre pi sedentario, per lo sviluppo delle nuove tecnologie - il consumo di grassi animali fra quelli che maggiormente concorrono alla spiegazione del fenomeno. Progressivamente, con il passare dei decenni, lungo tutto l'arco del ventesimo secolo, gli americani sono diventati pi corpulenti. Dati del Selective Service mostrano che, negli anni Cinquanta, i maschi arruolati alla leva avevano, a parit di altezza, un peso corporeo superiore a quello del personale arruolato in servizio negli anni Quaranta; i militari in servizio durante la seconda guerra mondiale erano pi pesanti di quelli che avevano combattuto la prima (7). Anche le femmine aumentano di peso. Secondo dati del governo federale, raccolti dalla University of Michigan, dal 1960 al 1980 fra le donne americane si registrato un aumento della massa corporea: in quel periodo, nella classe di et compresa fra i 25 e i 34 anni, l'incidenza dell'obesit aumentata dal 13,3 al 17,7 per cento; e fra le donne di colore della medesima classe di et, l'incidenza dell'obesit passata dal 28,8 al 31 per cento (8). Rispetto al decennio precedente, negli anni Ottanta, mediamente, a parit di et e altezza, il peso corporeo di maschi e femmine americani aumentato fra uno e quattro chili. Tendenzialmente, la popolazione di tutte le nazioni industrializzate occidentali sovrappeso. Comunque, fra un paese e l'altro esistono differenze. Un'analisi che ha messo a confronto la popolazione di Stati Uniti, Canada e Inghilterra, ha rivelato come le differenze di peso corporeo medio siano fortemente correlate con la ricchezza relativa: la popolazione degli Stati Uniti era mediamente pi grassa, seguita da quella canadese e da quella inglese, spingendo i ricercatori a concludere che la classificazione di questi tre paesi sulla base dell'incidenza generale dell'eccesso di peso corporeo corrisponde a quella del livello relativo di benessere. Rispetto alla salute pubblica, l'importante domanda che sorge se l'aumento di prosperit promosso da ogni nazione implichi nella popolazione livelli ancora pi elevati di sovrappeso e di patologie correlate (9). Mai, nella storia, gli uomini sono stati cos sovrappeso. I popoli che, nell'emisfero settentrionale, si nutrono di carne bovina finita a cereali sono

oppressi dal grasso al punto che, nel corso dell'ultimo secolo, emerso con forza un nuovo fenomeno, divenuto parte integrante della cultura occidentale: la dieta. Sebbene le diete dimagranti siano sempre state praticate, fin dall'antichit e in tutte le culture, spesso erano associate alla purificazione e legate all'ambito religioso. L'astensione dal cibo era una forma di sacrificio, una penitenza, un omaggio alla divinit. Oggi, la gente ha sostituito alla divinit la propria immagine e in omaggio a essa si nega il cibo. Gli americani spendono 5 miliardi di dollari all'anno per perdere peso (10). La maggior parte delle persone che seguono una dieta dimagrante indica l'aspetto fisico e la bellezza come fattori motivanti della rinuncia. In sondaggi d'opinione condotti a livello nazionale, il 44 per cento delle donne americane, e il 21 per cento degli uomini ha dichiarato di voler perdere peso (11). Attualmente, una donna su due a dieta per la maggior parte del tempo (12). Praticamente la dieta diventata un'ossessione collettiva: pi del 63 per cento delle studentesse liceali degli Stati Uniti - e uno stupefacente 16,2 per cento di maschi - ammette di essere a dieta. Mediamente, una ragazza americana passa undici settimane all'anno a dieta (13). Nel 1987, la rivista Ms. ha riferito che met di tutte le quattordicenni a dieta. I medici affermano che la preoccupazione di buttare gi chili per essere pi belli comincia a manifestarsi anche fra bambini di cinque anni. William Feldman, ordinario di medicina all'Universit di Ottawa, riferisce di aver visto bambine di 5 e 6 anni preoccupate per il loro peso... Una ragazzina scoppi in lacrime quando la madre le chiese di fare una nuotata. La ragazzina disse che era troppo grassa per mettersi in costume da bagno, mentre, in realt, il suo peso era quello giusto per la sua altezza (14). Questa fissazione quasi patologica per la magrezza ha fatto considerevolmente aumentare l'incidenza dei disordini alimentari, come anoressia nervosa e bulimia, fra le adolescenti di classe media ed elevata. A questi disordini alimentari stata riservata grande attenzione da parte dell'opinione pubblica, ma si deve sottolineare che la denutrizione volontaria e l'occasionale ricorso a purghe sono diventati la norma per la maggioranza delle donne americane, oltre che per un discreto numero di uomini. In un'indagine della rivista Glamour, condotta su 33 mila donne, risulta che il 50 per cento delle lettrici che hanno risposto usa pillole dietetiche 'qualche volta' o 'spesso'; che il 27 per cento usa diete liquide; il 18 per cento prende diuretici (pillole per ridurre il contenuto idrico del corpo); il 45 per cento 'digiuna'. Sorprendentemente comuni sono anche le tecniche pi drastiche, come l'eliminazione del cibo (magari dopo una scorpacciata): il 18 per cento usa lassativi; il 15 per cento ricorre al 'vomito autoindotto' (15). Antropologi, sociologi e psicologi hanno riflettuto sulle ragioni che, durante il secolo scorso, hanno determinato questo cambiamento negli standard di bellezza, dalla robustezza alla magrezza: il passaggio da abitudini prevalentemente legate all'attivit agricola a uno stile di vita determinato dal modello industriale; l'aumento dell'urbanizzazione; i veloci mezzi di trasporto e di comunicazione hanno concorso a cambiare le abitudini sedentarie della piccola citt americana. Il ventesimo secolo stato il secolo del movimento, del prevalere della funzione sulla struttura e dell'energia sulla materia. Un corpo ingombrante non un'immagine adeguata al frenetico ritmo della vita moderna. I lenti cicli stagionali dell'anno agricolo sono stati sostituiti dal rapido e lineare scorrere del tempo lungo la catena di montaggio. La mobilit ha sostituito la comunit come elemento di sicurezza sociale. Per un secolo non si fatto altro che parlare di efficienza. In architettura come nella tecnologia, la parola d'ordine stata snellire. Il grattacielo Chrysler di New York, con le sue forme "art dco", e le aerodinamiche automobili sportive crearono un'immagine completamente diversa da quella delle residenze vittoriane e dei veicoli a vapore dell'epoca precedente. Il passaggio dalle tecnologie industriali a quelle informatiche ha velocizzato la transizione dalla forza bruta alla prontezza mentale, dal corpo alla mente. Il grasso stato sempre meno associato all'opulenza, e sempre pi alla lentezza e alla pesantezza. Essere grassi ha cominciato a significare essere letargici, lenti, pigri, duri di comprendonio. In un mondo in cui il cronometro e i programmi di lavorazione, i princpi

scientifici del management e l'efficienza erano diventati il paradigma dominante, essere grassi significava essere obsoleti. Se, in passato, grasso e opulenza erano segnali di successo, le nuove generazioni erano pi propense a dire, con la duchessa di Windsor: Ricchezza e magrezza non sono mai abbastanza (16). Nel suo "Sotto l'immagine niente", Stuart Ewen ha efficacemente descritto il valore sociale della snellezza come sottoprodotto della modernit. La moda femminile cominci a riflettere la nuova sensibilit moderna negli anni Venti, con l'avvento delle maschiette (17). Gli stilisti iniziarono a vestire i corpi delle donne con abiti aderenti e di linea fluida, che suggerivano l'idea di mobilit, velocit, efficienza e movimento: i medesimi concetti che andavano imponendosi nella cultura del tempo. Quando, poi, la pubblicit ha cominciato a vantare le doti della magrezza, associandola alla bellezza e all'attrattiva sessuale, i voluttuosi standard estetici vittoriani invecchiarono rapidamente. Il cambiamento nell'altezza, nel peso e nelle misure della celebre White Rock Girl - modello di bellezza americana - ci illustra come, nel corso del secolo passato, l'immagine sia progressivamente passata dal grasso al magro. Nel 1894, l'ideale era rappresentato da una modella di un metro e sessantacinque, per sessantatr chili, novantasei di fianchi e novantatr di seno. Nel 1947, era gi scesa a cinquantasei chili, e nel 1975 era scesa a cinquantatr, nonostante la sua altezza fosse salita a un metro e settantacinque (18). Sebbene la magrezza sia lo standard a cui aspirano la maggior parte degli americani e degli europei, la realt che, in tutto il mondo, la gente benestante sempre pi grassa. I popoli dell'emisfero settentrionale sono gli eredi di seimila anni di alimentazione a base di carne, culminata negli abusi del diciannovesimo secolo: incapaci di conciliare la propria atavica bramosia di grasso con la nuova immagine snella e asciutta restano prigionieri di un eccesso consumistico, espiato con dosi massicce di purganti. Un caso unico, nella storia dell'umanit. 25. VENATURE DI MORTE. Nel 1917, le potenze alleate istituirono un blocco navale intorno ai territori occupati dalle truppe tedesche, nel Nordeuropa. A soffrire particolarmente per l'embargo fu il popolo danese: con le normali vie di rifornimento tagliate, il governo danese fu costretto a mettere in atto una severa politica di razionamento alimentare: la dieta si ridusse a patate e orzo; la carne fu quasi totalmente eliminata. Da un momento all'altro, tre milioni di danesi furono costretti a diventare vegetariani, con alcuni interessanti risultati: durante l'anno del razionamento, il tasso di mortalit scese del 34 per cento (1). L'esperimento danese fu molto significativo ed ebbe il merito di suggerire un possibile collegamento fra consumo di carne e salute. Oggi, con ottant'anni di ricerche mediche alle spalle, la comunit scientifica e la classe medica affermano che una dieta ricca di grassi animali e di colesterolo aumenta il rischio di contrarre le cosiddette malattie del benessere: patologie cardiovascolari, tumore, diabete. Il consumo di grandi quantit di acidi grassi saturi e di colesterolo contenuti nella carne bovina aumenta il livello di colesterolo nel sangue umano; il colesterolo trasportato dal sangue sotto forma di aggregati molecolari proteici noti come lipoproteine a bassa densit, o L.D.L.; l'L.D.L. deposita il colesterolo nelle cellule che compongono le pareti delle arterie e del cuore, dove si accumula in forma di placca, creando strozzature al flusso di sangue. Inoltre, l'L.D.L. stimola la creazione di piastrine ematiche che, spesso, si raggrumano, formando blocchi all'interno delle arterie (2). La carne di qualit "choice" contiene dal 15 al 19 per cento di grasso in pi, rispetto a quella di grado "select", ed responsabile di un significativo aumento di grassi saturi e di colesterolo nella dieta dei cittadini degli Stati Uniti e dei paesi europei (3). Vivere al vertice della scala delle proteine si rivelato piuttosto rischioso. Milioni di benestanti che abitano il Nord del pianeta muoiono a causa

dell'eccessivo consumo di carne bovina finita a cereali e di altre carni rosse. Di anno in anno, il pedaggio di morte che il consumo di grassi animali e di colesterolo impone, continua a crescere: secondo un rapporto del Surgeon General degli Stati Uniti, pi di 1,5 milioni dei 2,1 milioni di decessi registrati nel 1987 possono essere messi in relazione a fattori alimentari, e soprattutto al consumo di grassi saturi e colesterolo (4). Il dottor C. Everett Koop ha avvisato l'opinione pubblica che diete a elevato contenuto di grassi saturi e colesterolo hanno un ruolo fondamentale in tre fra le dieci maggiori cause di morte: infarto cardiaco, cancro e ictus (5). Americani ed europei aumentano di peso, consumando irresponsabilmente enormi quantit di carne bovina e di altri prodotti a base di grassi animali, aumentando simultaneamente la probabilit di un decesso prematuro per una o pi patologie. Il rapporto concludeva dicendo: Un'elevata assunzione di grassi associata ad... alcuni tipi di tumore e, probabilmente, al tumore alla prostata. Studi epidemiologici e clinici, oltre alla sperimentazione su animali, forniscono prove evidenti del rapporto fra assunzione di grassi saturi, livello di colesterolo nel sangue e rischio di patologie cardio-coronariche... e con i tumori del colon e della mammella (6). Le prove scientifiche che mettono in relazione l'eccesso di peso corporeo con l'incremento dell'incidenza di malattie mortali sono inconfutabili. In uno studio venticinquennale su 5000 abitanti di Framingham, Massachusetts, i ricercatori hanno scoperto che l'obesit un fattore critico per la previsione delle patologie cardiovascolari. Gli scienziati che hanno condotto lo studio sono giunti alla conclusione che se ognuno avesse il peso ottimale, si registrerebbe un calo del 25 per cento di patologie cardio-coronariche e un calo del 35 per cento di infarti del miocardio e di ictus. Uno studio analogo, condotto su 750 mila cittadini americani dalla American Cancer Society, ha individuato correlazioni analoghe fra sovrappeso, obesit e morte per patologie cardiache (7). Altri studi hanno evidenziato correlazioni dirette fra obesit e diabete. Gli individui sovrappeso hanno maggiori probabilit di quelli magri di ammalarsi di diabete e, una volta sviluppata la malattia, gli obesi hanno maggiore probabilit di morire prima delle persone di peso normale. Gli scienziati sospettano che questa maggiore incidenza sia dovuta al fatto che i tessuti adiposi sono meno sensibili all'insulina. Gli individui obesi hanno maggiori probabilit di soffrire di calcolosi: dal momento che al 90 per cento i calcoli sono composti da colesterolo, non dovrebbe stupire che la maggior parte delle donne che iniziano a soffrire di calcoli biliari dopo i 50 anni sovrappeso di almeno dieci chili (8). Molti studi recenti mettono in stretta correlazione il consumo di carni rosse con il cancro del colon, seconda causa di morte negli Stati Uniti. Degli oltre 100 mila casi di cancro del colon diagnosticati nel 1990 negli Stati Uniti, 50 mila hanno avuto esito fatale nel medesimo anno. In uno studio condotto in sei anni su 88751 donne di et compresa fra i 30 e i 59 anni - il pi grande mai condotto sul rapporto fra cancro del colon e dieta - i ricercatori hanno scoperto che le donne che consumano quotidianamente carni rosse hanno una probabilit due volte e mezzo superiore di contrarre il cancro del colon, rispetto a quelle che ne mangiano con parsimonia o le evitano completamente (9). Il dottor Walter Willett, della Brigham and Women's Hospital di Boston, a proposito dei risultati della ricerca da lui diretta, dice: Analizzando freddamente i dati, si giunge alla conclusione che la quantit ottimale di consumo di carne rossa zero (10). Nelle culture carnivore del mondo occidentale, l'incidenza del cancro del colon dieci volte superiore a quella registrata nelle culture non carnivore asiatiche e del mondo in via di sviluppo (11). Gli scienziati cominciano anche a collegare il consumo di carni rosse con il tumore mammario. Negli Stati Uniti, in media una donna su dieci sviluppa una patologia degenerativa della mammella. Fra le donne di et superiore ai 44 anni, dal 1960 a oggi, l'incidenza di tali patologie cresciuta mediamente del 2 per cento all'anno (12). I ricercatori del National Cancer Institute, sulla base dei dati rilevati attraverso centinaia di test condotti su animali, sono giunti alla

conclusione che grasso e calorie aumentano il rischio di tumori al seno. Studi recenti, condotti su donne canadesi e finlandesi, sono giunti alla medesima conclusione: la maggior parte delle donne che hanno contratto un tumore mammario, fra quelle monitorate, aveva un consumo considerevolmente superiore alla media di calorie derivate da grassi animali (13). Alcuni scienziati sono convinti che l'aumento del consumo di grassi inneschi il tumore, stimolando la secrezione di prolattina, un ormone responsabile della regolazione del metabolismo dei grassi e della lattazione (14). I ricercatori che, a Toronto, hanno condotto uno studio sul rapporto fra assunzione di grassi e incidenza del tumore del seno, affermano che una riduzione del consumo di grassi saturi al 9 per cento dell'assunzione quotidiana di calorie - oggi i grassi saturi coprono fino al 37 per cento delle calorie giornaliere dei cittadini nordamericani ridurrebbe, probabilmente, del 10 per cento il rischio di tumore mammario nelle donne in et postmenopausa (15). Se vero che la carne bovina e gli altri prodotti di derivazione animale non sono l'unica fonte di grassi nella dieta delle popolazioni dei paesi occidentali industrializzati, come gli Stati Uniti, sono, per, la principale. Forse, le prove pi convincenti sul rapporto fra assunzione di grassi animali, colesterolo e patologie umane sono state pubblicate nel 1990 da un gruppo di lavoro sinoamericano, a conclusione di un significativo studio sui comportamenti alimentari e la salute dei cittadini cinesi (16). Lo studio, che il New York Times defin Il Gran Premio dell'epidemiologia, ha monitorato le abitudini alimentari di 8000 cinesi in sessantasei comuni, ripartiti in venticinque province (17). I cinesi consumano pi calorie rispetto agli americani (20 per cento), ma gli americani sono pi grassi (25 per cento). Questo accade perch il 37 per cento delle calorie assunte dagli americani deriva da grassi, mentre per i cinesi la quota si limita al 15 per cento. Inoltre, il 70 per cento delle proteine della dieta occidentale deriva da prodotti di origine animale, e il 30 per cento da vegetali, mentre in Cina le quote di proteine animali e vegetali sono, rispettivamente, dell'11 e dell'89 per cento (18). Lo studio cinese, come molti altri condotti in Occidente in tempi recenti, ha mostrato un'elevatissima correlazione fra consumo di carne e incidenza di patologie cardiache e tumorali. I ricercatori hanno scoperto che nei comuni in cui il consumo di carne aumentato, l'incidenza delle malattie cardiovascolari aumentata drasticamente: in alcuni casi, di cinquanta volte, nonostante la quota dei grassi animali nella dieta complessiva fosse ancora contenuta entro il 15 per cento (19). Anche l'incidenza del cancro del colon aumentava all'aumentare del consumo di grassi animali. Secondo il dottor Colin Campbell della Cornell University, uno dei direttori della storica ricerca: Il disastro comincia quando la gente introduce nella propria dieta gli alimenti di origine animale (20). Dopo aver analizzato un ingente volume di dati, Campbell ha dato il proprio parere, elaborato sulla base delle sue scoperte: Di solito, la prima cosa che una nazione fa, nel corso del proprio sviluppo economico, introdurre l'allevamento del bestiame. I nostri dati dimostrano che non una mossa intelligente, e i cinesi ci stanno ascoltando: stanno cominciando a capire che un'agricoltura basata sulla produzione animale non la strada giusta... Siamo, fondamentalmente, una specie vegetariana e dovremmo mangiare una grande variet di alimenti vegetali, riducendo al minimo l'assunzione di cibi di derivazione animale (21). In termini di vite umane, il prezzo della partecipazione all'esclusivo circolo della bistecca molto alto. Recentemente, la rivista medica inglese The Lancet ha riferito dello sconcertante aumento, in Giappone, dei decessi per le cosiddette malattie del benessere: negli ultimi venticinque anni, la tendenza all'aumento di tali patologie ha seguito quella del consumo di carne bovina in quella nazione (22). Negli Stati Uniti, il costo sanitario di una dieta ricca di carne di bovini allevati a cereali ha raggiunto proporzioni devastanti: ogni anno, quasi un milione di persone muore di malattie cardiovascolari, con un costo complessivo delle cure relative superiore ai 100 miliardi di dollari (23).

Le cure dei tumori del colon e del seno costano altri 20 miliardi di dollari (24). La American Heart Association, la American Cancer Society, la National Academy of Science e la American Academy of Pediatrics sono solo alcune delle associazioni scientifiche, mediche e professionali che hanno sollecitato una riduzione del consumo di grassi animali e colesterolo. Il gruppo di lavoro su dieta e malattia della National Academy of Science raccomanda agli americani di ridurre di almeno il 12 per cento l'assunzione di proteine, dando la priorit a quelle vegetali, rispetto a quelle animali: La sostituzione, nella dieta, delle proteine animali con proteine di soia riduce il livello di colesterolo nel sangue... ed provato che i vegetariani hanno livelli medi di colesterolo molto pi bassi della media della popolazione (25). La American Academy of Pediatrics va oltre, suggerendo che tutti gli individui di et superiore ai due anni limitino l'assunzione di grassi saturi a meno del 10 per cento del fabbisogno calorico. Il presidente del gruppo di lavoro, Richard Garleton della Brown University, afferma che l'adozione generalizzata di tale raccomandazione da parte dei cittadini abbasserebbe il livello medio di colesterolo nel sangue del 10 per cento, riducendo del 20 per cento circa l'incidenza delle malattie cardiocoronariche (26). Nonostante i ripetuti avvertimenti degli ultimi vent'anni, gli americani continuano imperterriti nella loro dieta ad alto contenuto proteico, ricca di carni di bovini allevati a cereali e di altri prodotti animali. L'americano medio consuma, quotidianamente, il doppio delle proteine raccomandate dalla Food and Agriculture Organization (FAO): molto pi di quanto il corpo possa assorbire (27). E dato che la maggior parte delle proteine in eccesso proviene da fonti animali, il rischio per la salute altissimo. Ci nonostante, molti americani sono convinti che una riduzione di proteine animali potrebbe, in qualche modo, compromettere la loro salute, rendendoli pi deboli e meno virili: paiono totalmente inconsapevoli che, solo sessantacinque anni fa, pi del 40 per cento delle proteine assunte dall'americano medio venivano da pane e cereali; oggi, solo il 17 per cento ha origine vegetale, mentre le proteine animali, che contavano per la met del nostro fabbisogno, ora contano per due terzi (28). Gli americani e gli europei si stanno letteralmente uccidendo di cibo, ingozzandosi di carne grassa e di prodotti derivati da animali nutriti a cereali, mettendosi in corpo quantit eccessive di colesterolo e di grassi saturi. Le sostanze grasse si accumulano nel sangue, occludendo le arterie, ammassandosi sulle pareti dei vasi sanguigni, innescando cambiamenti metabolici e ormonali, stimolando la crescita di cellule e distruggendo organi. La bella vita promessa dalla cultura della carne si trasformata in una dinamica perversa: sovrappeso e sofferenti delle malattie del benessere, americani ed europei pagano le conseguenze dei propri eccessi. 26. VACCHE CHE DIVORANO UOMINI. Mentre i ricchi muoiono a causa delle patologie del benessere i poveri del pianeta languono, privi del minimo per sopravvivere. L'ingiustizia imposta al mondo dalla catena alimentare delle proteine creata nel ventesimo secolo non ha precedenti: un miliardo di persone mangiano troppo e si purgano, oppresse dal grasso in eccesso; un altro miliardo sopravvive fra mille stenti, incapace di provvedere a quelle minime esigenze alimentari che garantirebbero la salute. Il resto dell'umanit, circa tre miliardi e mezzo di persone, oscilla precariamente fra salvezza e dannazione, con la speranza di salire di qualche gradino nella scala delle proteine, ma con un unico risultato certo: per ogni individuo che

riesce ad arrivare in cima uno sar costretto a scendere al livello pi basso, dove lo attendono inedia e denutrizione. La Banca Mondiale e la FAO hanno stimato che, all'inizio degli anni Ottanta, il numero di persone che vivevano nell'assoluta indigenza oscillava fra i 700 milioni e un miliardo (1). Contrariamente a quanto comunemente si crede, ogni anno i poveri diventano pi poveri. Alla fine degli anni Ottanta, fra le nazioni in via di sviluppo, ben quarantatr erano pi povere che all'inizio del decennio (2). L'aumento della povert comporta la diffusione della malnutrizione. In America Latina, circa una persona su otto non riesce a sopperire quotidianamente alla propria sussistenza. In Asia e nella regione del Pacifico, il 28 per cento della popolazione al limite dell'inedia e soffre costantemente i morsi della fame. Secondo la World Health Organization, nel Vicino Oriente una persona su dieci soffre di denutrizione cronica (3), un male che affligge circa 1,3 miliardi di individui al mondo (4): una statistica particolarmente significativa in un pianeta in cui un terzo dei cereali prodotti viene utilizzato come alimento per animali. Mai, nella storia dell'uomo, una parte cos consistente di popolazione - circa il 20 per cento - ha sofferto per malnutrizione. L'Era del Progresso pu dirsi tale solo per una modesta frazione di umanit. Per tutti gli altri, la modernit ha significato solo denutrizione e malattie, oltre che un crescente senso di disperazione e alienazione. E' difficile immaginare l'enormit della sofferenza: 500 milioni di affamati nel Sud-Est asiatico; 160 milioni in Africa (5). Ogni anno, nel mondo, fra 40 e 60 milioni di persone muoiono di fame, o di patologie associate alla denutrizione. Il pedaggio pi severo viene pagato dai bambini. La malnutrizione affligge quasi il 40 per cento dei bambini nati nei paesi in via di sviluppo e si stima contribuisca al 60 per cento della mortalit infantile, scrive Katrina Galway, dello Institute for Resource Development, in una relazione alla United States Agency for International Development (USAID). Ogni anno, pi di 15 milioni di bambini muoiono per malattie causate o aggravate dalla denutrizione (6). Mentre milioni di adolescenti americani combattono contro il peso in eccesso, spendendo tempo, denaro ed energie emotive allo scopo di dimagrire, i bambini di altri paesi non possono crescere, minati nel corpo da un lento deperimento e da malattie parassitiche e opportunistiche, impediti nello sviluppo cerebrale dall'insufficienza di nutrimento. Il deperimento sintomo di denutrizione acuta, risultato della combinazione di un'insufficiente assunzione di cibo con l'incidenza di malattie infettive, come la dissenteria. Dalla malnutrizione cronica e dalla prolungata esposizione a malattie infettive deriva il blocco della crescita (7). Di solito, il deperimento comincia nel momento dello svezzamento. Il latte materno contiene sostanze vitali che rafforzano il sistema immunitario del bambino e lo aiutano a non contrarre malattie infettive. Il cibo che sostituisce il latte materno, spesso non contiene il nutrimento sufficiente a proteggere e a stimolare la crescita del bambino. Di conseguenza, proprio nel momento in cui diventa pi attivo, il bambino esposto agli attacchi degli agenti ambientali. La maggior parte dei bambini denutriti del Terzo mondo soffre di dissenteria cronica, la malattia che, oggi, uccide pi bambini al mondo. Di solito, la dissenteria accompagnata da periodiche crisi di vomito: entrambe le condizioni insorgono a causa dell'ambiente malsano, che diventa terreno di coltura di malattie infettive. Dissenteria e vomito privano il bambino delle scarse sostanze che riesce ad assumere attraverso la misera dieta - che d energia insufficiente, poche calorie e ancor meno proteine - esacerbando la denutrizione. Al compimento del primo anno d'et, il bambino ha gi contratto una o pi malattie parassitarie dell'apparato intestinale. I parassiti privano il bambino delle poche proteine che riuscito a immagazzinare, precipitandolo in un processo di deperimento irreversibile che blocca la crescita delle cellule, del peso corporeo, della statura, e lo sviluppo cerebrale. Generalmente, i bambini cronicamente malnutriti sviluppano una struttura corporea pi minuta e, spesso, un cervello pi piccolo, rispetto ai bambini normalmente nutriti. Se la malnutrizione si manifesta nel primo anno di vita, il ritardo fisico e mentale irreversibile (8). Poich questi bambini sono nati da madri malnutrite, ci sono forti possibilit che alla nascita soffrano di

malformazioni congenite, ulteriormente complicate dal minore sviluppo delle cellule cerebrali dovuto al nutrimento insufficiente. Il contenuto di D.N.A. del cervello di un bambino nato da una madre malnutrita e morto per denutrizione pu arrivare appena al 40 per cento di quello rilevato in un neonato normale (9). Oggi, nel mondo, milioni di bambini si vedono negato il proprio patrimonio genetico, sono derubati della propria statura e delle proprie capacit mentali, vittime del pi crudele dei destini: quello della denutrizione. Per la maggior parte degli americani difficile pensare allo scandalo di milioni di esseri umani con teste e corpi abnormemente piccoli, intrappolati fin dall'infanzia in un corpo insufficientemente sviluppato, privati del diritto di condizionare la propria sorte e di controllare il proprio sviluppo mentale e fisico. Sono bambini che crescono con ridotte capacit intellettuali, piagati da malattie del corpo, cos cronicamente deboli da rimanere letargici e apatici per tutta la vita. Per loro, la vita una faccenda breve, sporca e brutale. Molti soffrono per la carenza di vitamina A che porta alla xeroftalmia, il disseccamento del bulbo oculare, con conseguenti lesioni permanenti e cecit. Ogni anno, pi di 250 mila bambini si procurano lesioni permanenti alla cornea e perdono parte della propria capacit visiva, rimanendo handicappati per tutta la vita. Inoltre, ogni anno, da 6 a 7 milioni di bambini soffrono di ipovitaminosi A, che mina la capacit del bambino di resistere alle infezioni, soprattutto a quelle del sistema intestinale e dell'apparato respiratorio. Milioni di altri bambini soffrono di anemia grave, una diminuzione dell'emoglobina nel sangue. Pi di un miliardo e mezzo di individui - il 30 per cento dell'attuale popolazione umana soffre di anemia ed , perci, esposta ad affaticamento cronico e a diverse malattie parassitiche (10). I bambini denutriti hanno le innumerevoli funzioni fisiologiche del corpo gravemente compromesse, il che li rende vulnerabili anche ai pi deboli fattori ambientali irritanti. Il sodio intracellulare aumenta, mentre il potassio intracellulare diminuisce. Si riduce anche il tasso di sintesi proteica. Il corpo non riesce pi ad assorbire quantitativi sufficienti di zinco, magnesio, rame, manganese, selenio e ferro. Il bambino diventa fortemente vulnerabile anche alle minime variazioni di temperatura ambientale, ed esposto a febbre e a ipotermia. Il sistema immunitario perde la propria funzionalit: anche se il bambino non avverte alcun dolore, le ferite aperte non si rimarginano, non sono gonfie o arrossate, e non c' presenza di suppurazione. Reni, fegato, cuore e altri organi, si indeboliscono e perdono la loro funzionalit. Questo il destino condiviso da milioni di bambini, soprattutto nell'emisfero australe del pianeta. La loro esistenza - fisica, mentale ed emotiva - cos diversa da quella dei figli del ricco emisfero boreale che sembra appartenere a una specie completamente differente. Di rado dedichiamo un pensiero alla loro sofferenza e, ancor pi raramente, simpatizziamo con la loro lotta per la sopravvivenza. Sono i milioni di persone sofferenti di cui solo occasionalmente cogliamo il volto, nei servizi del telegiornale. La loro esistenza stata marginalizzata, impacchettata con cura nelle statistiche delle Nazioni Unite e archiviata in un luogo convenientemente lontano dalla nostra routine e dalle nostre preoccupazioni quotidiane. Se ci capita di pensare a loro, li colleghiamo al lato oscuro del mondo, all'universo terribile della miseria e della sfortuna che speriamo di non conoscere mai. L'anomalia dei ricchi che si sforzano di dimagrire e dei poveri che muoiono di fame, di una specie umana sempre pi spaccata (una parte al vertice della scala delle proteine e l'altra al gradino pi basso) sembra, come minimo, macabra, anche per la cinica sensibilit contemporanea, votata all'interesse e allo sfrenato utilitarismo. In un mondo elettronico, con il tempo compresso fino alla quasi simultaneit e lo spazio ridotto a realt virtuale, in cui i confini geografici sono stati abbattuti per fare spazio a un mercato globale e a un centro commerciale globale, l'umanit non riuscita a eliminare la pi vergognosa di tutte le barriere: quella che separa i possidenti dai diseredati, i sazi dagli affamati. Nel nostro sofisticato mondo postmoderno fatto di comunicazioni satellitari e tecnologia informatica, scudi spaziali e ingegneria genetica, l'umanit continua a essere divisa, nemica di se stessa, nel modo pi brutale, con alcuni che negano agli altri il diritto di attingere - e di essere

sostenuti - dalla ricchezza della terra. Il moderno complesso bovino e l'artificiosa catena delle proteine sono un visibile retaggio di un passato fondato sulla violenza della caccia, sull'invasione e la sopraffazione, sulla colonizzazione e l'avidit. Le opulente abitudini dei consumatori di carne dell'emisfero settentrionale affondano le proprie radici in un passato molto remoto: nel frastuono e nella polvere sollevata dalle orde di barbari a cavallo nella loro avanzata verso ovest, dalle steppe eurasiatiche verso l'Europa, verso il Nuovo Mondo e oltre. Oggi, all'alba del terzo millennio, frastuono e polvere non sono cessati: a tenere vivo lo spirito coloniale e a preservare la profonda frattura che divide il mondo, sono le aziende multinazionali. Il manzo globale sta rapidamente diventando una realt, garante di una disparit sempre maggiore fra pochi eletti e masse di umanit diseredata. Il pedaggio pagato dall'umanit per sostenere il complesso bovino globale, con la sua artificiosa scala delle proteine, stato terribile e, da solo, basterebbe a giustificare un ripensamento circa l'opportunit della persistenza della cultura della bistecca nel secolo appena iniziato. Ma questo prezzo solo un aspetto di una minaccia ben pi grave, di cui il complesso del manzo globale almeno in parte responsabile: una minaccia ambientale che mette in discussione la possibilit stessa di sopravvivenza dell'ecosistema terrestre e della biosfera che sostengono le diverse forme di vita del pianeta. Il complesso bovino globale sta distruggendo interi ecosistemi, in una folle corsa a incrementare l'offerta di carne. L'impatto della moderna produzione e del consumo di carni bovine pu essere soppesato e valutato solo alla luce degli effetti che produce sull'ambiente terrestre. E' in questo ambito che l'eredit del complesso bovino occidentale, dopo migliaia di anni di espansione, sta dando i frutti peggiori, con intere zone del mondo distrutte da mandrie insaziabili, all'instancabile ricerca di erba e di cereali. Per questo, ora, rivolgeremo la nostra attenzione ai diversi modi in cui il moderno complesso bovino ha compromesso l'ecosistema terrestre, mettendo a repentaglio milioni di anni di evoluzione biologica, per offrire nuova carne a nuovi mercati. Parte quinta. VACCHE E CRISI AMBIENTALE GLOBALE. 27. COLONIALISMO ECOLOGICO. L'era moderna stata caratterizzata da un incessante assalto all'ecosistema terrestre. Dighe, canali, ferrovie e, pi recentemente, autostrade, hanno segnato la superficie della terra, recidendo arterie ecologiche vitali e deviando la flora e la fauna dai propri percorsi naturali. I prodotti petrolchimici hanno corrotto la natura, penetrando in piante e animali, prosciugando organi e tessuti con il catrame. L'energia bruciata dalla rivoluzione industriale ha avvelenato il cielo con esalazioni di gas - monossido di carbonio, anidride carbonica, acido solforico, clorofluorocarburi, acido nitrico, metano e altro - inquinando l'aria, impedendo al calore della terra di disperdersi ed esponendo la vita biologica terrestre a una dose eccessiva di mortiferi raggi ultravioletti. La comunit scientifica, i governi del mondo e i mezzi di comunicazione di massa hanno dedicato tempo e risorse allo studio e alla diffusione di informazioni sugli effetti di queste minacce create dall'uomo sulla biosfera, mettendo l'umanit in guardia contro le conseguenze che deriverebbero alla civilt e al pianeta, se si continuasse a ignorare l'aumento dell'entropia. Ma, in tutto questo dibattere di crisi ambientale globale, un curioso silenzio ha circondato e continua a circondare la questione dei bovini: una delle minacce ambientali pi distruttive dell'era moderna. Nelle regioni temperate del mondo, i bovini d'allevamento sono responsabili di gran parte dell'erosione dei suoli.

Il pascolo una delle principali cause del processo di desertificazione che interessa tutti i continenti. L'allevamento di bovini responsabile di gran parte della distruzione delle superstiti foreste pluviali della terra e indirettamente responsabile del rapido esaurimento dell'acqua potabile del pianeta (oggi, alcune riserve d'acqua sono al livello pi basso mai registrato dai tempi dell'ultima glaciazione). I bovini sono la fonte principale di inquinamento organico: il letame vaccino avvelena laghi, fiumi e torrenti. Mandrie bovine sempre pi imponenti esercitano una pressione senza precedenti sull'ecosistema, portando un crescente numero di specie selvatiche sull'orlo dell'estinzione. Le vacche sono un fattore non secondario nel processo di riscaldamento del pianeta, e il loro crescente numero mette a repentaglio la dinamica stessa della chimica della biosfera. Questo animale, in passato considerato sacro, oggi costituisce una sinistra minaccia: invade le terre emerse dell'Europa, delle Americhe, dell'Australia e dell'Africa, come una locusta dotata di corna e di zoccoli, pronta a divorare milioni di anni di storia dell'evoluzione. Prigionieri di ambienti artificiali urbani e suburbani, americani ed europei sono inconsapevoli della devastazione provocata dai bovini: oggi, questi antichi ungulati sono pi di un miliardo e vagano per le campagne, calpestando il suolo, impoverendo la vegetazione e depositando scorie su gran parte della biomassa del pianeta. Abbiamo gi descritto la coalizione fra uomo e bovini, grazie a cui le popolazioni amerinde sono state sottomesse e le energie delle Americhe imbrigliate; la diffusione dei bovini nelle Americhe e in altre terre ha avuto, per, anche un ulteriore effetto, oltre a quello economico. Mentre i bovini venivano usati per colonizzare il Nuovo Mondo, che si trasformava in un pascolo al servizio dei mercati europei della carne e della pelle, ebbe luogo un'altra, pi profonda colonizzazione, destinata a influenzare le generazioni future ben oltre la fine dell'epoca coloniale; il trapianto dei bovini nel Nuovo Mondo ha profondamente mutato la topografia e l'ecologia del Nord, del Centro e del Sudamerica: al seguito dei bovini, un intero complesso ecologico, fatto di erbe, cereali, legumi e vegetali del Vecchio Continente, si impiantato nel Nuovo Mondo. Le erbe e i cereali europei sono germinati in America, usurpando habitat dopo habitat, riuscendo ad alterare gran parte dell'ecologia locale. Mentre uomini e bovini colonizzavano territori e popolazioni indigeni, altrettanto violentemente i vegetali europei colonizzavano la sfera biologica del Nuovo Mondo trasformando le Americhe in un clone della Vecchia Europa. Gi nel sedicesimo secolo, Fra' Bartolom de las Casas raccont che grandi mandrie di bestiame e di altri animali europei delle Indie Occidentali mangiavano le piante locali fino alla radice nella prima met del sedicesimo secolo, e a questo segu la diffusione di felci, cardi selvatici, piantaggini, ortiche, solani, carici e cos via, che egli considerava piante castigliane e tuttavia affermava essere presenti quando erano arrivati gli spagnoli (1). Gi nel 1555, il trifoglio europeo si era diffuso in tutto il Messico, creando per le mandrie spagnole un familiare tappeto di erbe del Vecchio Mondo. Le piante europee si diffusero nel paesaggio del Nuovo Mondo, usurpando le erbe native: un evidente segnale ecologico dell'avanzata dei colonizzatori europei e del loro bestiame. Nelle valli e sulle alture del Messico e della California, la vista di piante familiari, - come l'avena selvatica, la borsa del pastore, il loglio italiano e il comune alopecuro - stup pi di un colono spagnolo o inglese. Molte piante arrivarono con le prime vacche, con i semi rimasti depositati nel loro apparato digestivo o impigliati nel pelo. I missionari spagnoli contribuirono alla diffusione dei semi, attraverso piccole colture lungo i fiumi e sulle colline: seminarono le Americhe con essenze del Vecchio Continente a nord, fino a San Francisco, e a sud, fino alle "pampas" argentine. La senape nera, per esempio, venne introdotta in California dai missionari francescani nel sedicesimo secolo. Nel 1844 l'esploratore americano John Frmont si stup nel riconoscere nella Sacramento Valley, l'"herodium cicutarium", un'infestante europea e rifer: Sta proprio cominciando a fiorire ora, e copre il terreno con le sue spade verdi. Secondo lo storico dell'ecologia Alfred Crosby, nel 1860, pi di novanta specie di infestanti europee avevano messo radici nella sola California (2). Nel suo "Imperialismo ecologico", Crosby descrive la relazione simbiotica fra

bovini e vegetazione europei, che port a una quasi completa europeizzazione dell'ecosistema del Nuovo Mondo. Sebbene esistessero pi di 10 mila diverse specie di erbe, meno di quaranta rappresentano il 99 per cento delle erbe seminate nei pascoli del mondo intiero annota Crosby (3). La maggior parte di queste erbe sono originarie dell'Europa e del Medio Oriente e sono state usate come foraggio per le mandrie domestiche fin dal primo millennio della rivoluzione agricola del neolitico. Queste erbe si sono sviluppate a stretto contatto con i bovini, in un processo di reciproco adattamento nel corso di tutta la storia della civilt occidentale. Quando i coloni europei trasportarono il bestiame nel Nuovo Mondo, si fecero accompagnare dalle loro erbe. Queste si sono rivelate molto pi resistenti delle erbe locali, pi adatte alla luce solare piena, alla terra nuda, ai ravvicinati tagli periodici e al calpestio da parte degli ungulati. Spesso, bovini inselvatichiti entravano nel nuovo ecosistema, divorando ogni cosa, lungo il proprio cammino. Nel farlo, inconsapevolmente aprivano la strada ai compagni vegetali del Vecchio Continente, che si avvantaggiavano delle scorrerie del bestiame per mettere radici nella terra nuda. Crosby spiega cos il processo: [Le piante] possedevano un certo numero di mezzi di propagazione e diffusione. Per esempio, i loro semi erano spesso dotati di uncini per aggrapparsi alla pelle degli animali di passaggio, o erano abbastanza resistenti da sopravvivere al viaggio attraverso il loro stomaco, per essere depositati pi a valle lungo il loro cammino. Quando gli animali tornavano a mangiare la stagione successiva, erano l. Quando l'allevatore andava in cerca della sua mandria, anch'essi c'erano, e in buona salute (4). Il bestiame, dunque, ha avuto un ruolo fondamentale nel mutamento dell'ecologia dell'America. Ancora prima dell'invasione umana, il bestiame ha seminato le nuove terre con le essenze del Vecchio Continente, preparando la strada alla successiva civilizzazione. I bovini e il loro complesso vegetale furono, dunque, i primi pionieri del Nuovo Mondo. In Nordamerica, la spinta verso ovest, attraverso gli Appalachi e il Midwest, fu accompagnata dall'inesorabile marcia di conquista del trifoglio bianco e dell'erba fienarola, la cosiddetta "bluegrass", entrambe di origine europea. I primi coloni arrivati nel Kentucky furono salutati dall'ondeggiare al vento delle erbe europee, giunte molti anni prima, al seguito dei commercianti, dei loro cavalli e dei loro muli (5). I coloni battezzarono questa vegetazione di origine europea "Kentucky bluegrass": l'erba del Kentucky (6). Pi tardi, anche le carovane di carriaggi dirette a ovest servirono alla diffusione delle essenze europee, fra cui la canapa, la agrostemma, l'erba colderina, l'erba di San Giovanni e la zizzania (7). Un pioniere che, nel 1818, viaggiava attraverso l'Illinois, rammentava: Laddove le piccole carovane, attraversando le praterie, si accampavano e nutrivano le loro bestie con il fieno di queste erbe perenni, rimanevano piccole oasi verdi che davano il benvenuto e incoraggiavano il successivo gruppo di coloni (8). Da queste oasi, le essenze europee si diffusero in tutto il Midwest, europeizzando gran parte delle regioni a est del Mississippi. Per un certo periodo, la flora del Vecchio Continente rimase ferma all'ingresso delle Grandi Pianure: come i cowboy e le vacche, dovette aspettare che il governo e i militari liberassero le praterie da bisonti e indiani, per proseguire la propria avanzata. Crosby sottolinea che le erbe native delle Grandi Pianure - l'erba del bisonte e l'erba grama - resistettero all'invasione perch, nel corso dei millenni, si erano adattate con successo alla convivenza con un'altra specie bovina (9). Lo sterminio del bisonte cre le condizioni ecologiche che permisero ai bovini e alle essenze vegetali dell'Europa di proseguire nell'avanzata verso ovest. Oggi, delle oltre 500 piante erbacee perenni che si trovano nel Nordamerica, 258 sono immigrate: 177 dall'Europa; il resto dall'area mediterranea e dai Nordafrica (10).

Una simile propagazione ebbe luogo in tutto il Sudamerica: i bovini europei si sparsero nelle praterie del continente, divorando la flora locale e depositando sul suolo semi europei con il loro sterco. Nel sedicesimo secolo, il Per venne invaso dal trifoglio: una variet localmente chiamata "trbol" che rappresentava un foraggio ideale, ma si diffondeva cos rapidamente che gli "indios" si trovarono a dover competere con il trifoglio per arare la terra (11). Nel suo celebre viaggio in Sudamerica a bordo del "Beagle", Charles Darwin visit le praterie argentine, dove not un brusco cambiamento, da un erbaggio rustico a un fine tappeto di verzura. Darwin scrisse: Gli abitanti mi hanno assicurato che si tratta dell'effetto del pascolo dei bovini e della relativa concimazione a opera del loro letame (12). Nel 1877, Carlos Berg rifer di 153 essenze europee che fiorivano in Patagonia. In Argentina, Cile e Uruguay, l'asparago selvatico era talmente ubiquo e folto da rendere centinaia di chilometri quadrati assolutamente impenetrabili all'uomo e ai cavalli. Darwin scrisse: Dubito che vi sia notizia di un altro caso di invasione su cos vasta scala di una pianta a danno delle aborigene (13). Il cardo gigante, una specie mediterranea, cresceva fino a un'altezza di due metri e fioriva ovunque, sopraffacendo la flora locale. Quando seccava, diventava facilmente infiammabile. Il naturalista britannico W. H. Hudson ricorda gli enormi incendi incontrollati a cui assistette da ragazzo, quando abitava in Argentina. Gi nel 1920, meno di un quarto delle essenze presenti nelle "pampas" argentine era nativo (14). Le piante del Vecchio Mondo accompagnarono il complesso bovino nei territori coloniali di tutto il mondo. Nel 1788, la marina britannica gett le ancore in acque australiane, facendo sbarcare, fra l'altro, sei vacche e due tori (15). Gi nel 1830, le mandrie bovine superavano i 371 mila capi. Una generazione pi tardi, l'Australia era popolata da milioni di bovini, per la maggior parte inselvatichiti, che vagavano liberi per il paese (16). Nel 1836, l'esploratore Thomas T. Mitchell si sorprese osservando, intorno alle sorgenti d'acqua, piste di transumanza cos larghe e calpestate da sembrare strade. Anche i bovini inselvatichiti erano sorpresi alla vista di esseri umani. Mitchell ricorda cos il primo incontro: Improvvisamente, ci trovammo circondati da una mandria di circa ottocento capi di animali selvatici, che ci guardavano. Incontrare i discendenti delle mandrie europee nelle terre inesplorate dell'Australia era un'esperienza sconcertante, ma, in qualche modo, confortante; Mitchell rammenta che la benvenuta vista del bestiame stesso delizi i nostri bramosi occhi, per non parlare poi del nostro stomaco (17). Gli inglesi importarono centinaia di specie vegetali del Vecchio Continente, seminandole in ogni possibile nicchia ecologica. Nel clima umido di Melbourne, il trifoglio bianco prosperava, spesso a discapito dell'altra vegetazione; altre erbe, come l'acetosa, erano colonizzatrici aggressive che escludevano dai pascoli la flora nativa. L'avena selvatica, graminacea comunissima in Europa, si insedi stabilmente nelle Alpi australiane; in Tasmania, la gramigna e la bistorta accompagnarono i coloni e il loro bestiame (18). In Nuova Zelanda, le graminacee del Vecchio Mondo precedettero i coloni, preparando il terreno a una totale europeizzazione del paesaggio. Il naturalista William Colenso fu sconcertato nel riconoscere in una remota regione dell'isola un esemplare di lappa: secondo quanto riferisce Crosby, la guard con stupore, proprio come Robinson Crusoe avrebbe guardato l'impronta di un piede europeo sulla sabbia (19). Alla met del diciannovesimo secolo, in Australia, 139 specie botaniche europee crescevano selvatiche. Cento anni pi tardi, l'Australia era invasa da 381 erbe immigrate. Come nelle Americhe, molte erbe native non erano in grado di sopravvivere all'intenso pascolo dei bovini europei. L'australiana avena altissima, che un tempo cresceva alta fino ai bordi della sella, venne praticamente spazzata via dalle specie europee che invadevano il continente; oggi sopravvive in sparuti agglomerati lungo le massicciate delle ferrovie, nei cimiteri e nelle oasi naturalistiche protette dall'uomo (20). Negli anni Trenta, secondo il botanico A. J. Erwart, le specie botaniche europee si insediavano nel territorio di Victoria a un tasso di due al mese. Oggi, secondo Crosby, la maggior parte delle piante infestanti presenti in un terzo dell'area meridionale dell'Australia, dove vive la maggior parte della popolazione, di origine

europea (21). Il complesso bovino europeo ha determinato notevoli trasformazioni nell'ecologia del pianeta. La costante avanzata verso ovest, cominciata migliaia di anni fa nelle steppe eurasiatiche, ha cambiato per sempre il processo di evoluzione naturale di interi continenti. Gli uomini a cavallo, i bovini e le piante del Vecchio Mondo hanno invaso gran parte delle terre emerse del pianeta, sottomettendo le popolazioni indigene, minacciando flora e fauna locali e mettendo a repentaglio la diversit biologica in diversi continenti. Gli invasori hanno europeizzato interi ecosistemi e asservito alla logica del profitto economico vaste aree di terra appartenenti all'umanit. Oggi, la crescente pressione dei bovini su ecosistemi naturali e artificiali, oltre alla crescente importanza dei cereali nella loro alimentazione, sta inducendo un nuovo cambiamento ecologico, su scala ancora superiore. Se le precedenti invasioni hanno devastato flora e fauna locali e introdotto specie aliene negli habitat del Nuovo Mondo, l'assalto a cui oggi assistiamo diretto al cuore stesso della biosfera, e minaccia la futura stabilit e sopravvivenza di intere bioregioni. I bovini rappresentano una delle minacce ambientali pi serie con cui il pianeta deve confrontarsi. Il loro ruolo nella distruzione della biosfera terrestre merita di essere analizzato e valutato se, nel corso del ventunesimo secolo, l'umanit vuole avere qualche speranza di ripristinare salute e benessere nell'ecosistema terrestre. 28. PASCOLI TROPICALI. Dal 1960, pi del 25 per cento delle foreste dell'America centrale stato abbattuto, per fare posto a pascoli per mandrie di bovini (1). Alla fine degli anni Settanta, due terzi della terra arabile del Centroamerica erano occupati da bovini e da altro bestiame, in gran parte destinato ai mercati del Nordamerica (2). Mentre i consumatori americani risparmiavano, in media, quasi un quarto di dollaro per ogni hamburger prodotto con carne importata dal Centroamerica, in quella regione il costo per l'ambiente era elevatissimo e il danno irreversibile. Ogni hamburger importato comportava l'abbattimento e la trasformazione a pascolo di sei metri quadrati di foresta. La, solo apparentemente, innocente vacca da carne afferma Joseph Tosi al centro di un ciclo di distruzione ecologica che sta annientando l'America centrale (3). Nel 1979, gli Stati Uniti importavano 110 mila tonnellate di carne bovina dai paesi centroamericani. Gi nel 1990 l'esportazione di carne bovina di questi paesi verso gli Stati Uniti era diminuita a 48 mila tonnellate all'anno. Ci nonostante, la creazione di pascoli per i bovini continua ad avere un ruolo dominante nella deforestazione dell'America centrale. La creazione di un vasto complesso bovino centro-americano ha arricchito una ristretta lite e impoverito la maggioranza dei piccoli agricoltori, diffondendo disagio sociale e dissenso politico; pi della met delle famiglie rurali del Centroamerica - 35 milioni di persone - non possiede terra, o non ne possiede a sufficienza per il proprio sostentamento, mentre l'aristocrazia terriera e le societ multinazionali continuano ad appropriarsi di ogni ettaro disponibile, trasformandolo in pascolo (4). Negli ultimi vent'anni, in Costa Rica, i latifondisti hanno abbattuto l'80 per cento della foresta tropicale, appropriandosene e trasformando met della terra arabile del paese in pascolo. Oggi, le duecento pi potenti famiglie di allevatori detengono la met delle terre produttive del paese (5), su cui allevano quasi due milioni di capi di bestiame. Sebbene negli anni Ottanta le esportazioni di carne bovina verso gli Stati Uniti siano diminuite, la produzione complessiva di carne rimasta elevata. In Guatemala, meno del 3 per cento della popolazione possiede il 70 per cento dei terreni agricoli, in gran parte destinati a pascolo per bovini (6). Nel 1990, quasi un terzo della produzione guatemalteca di carne bovina stata esportata negli Stati Uniti. In Honduras, la quantit di terra riservata al pascolo o al foraggio aumentata da poco pi del 40 per cento, nel 1952, a pi del 60, nel 1974. Fra il 1960 e il

1982, la produzione totale di carne bovina di questa piccola nazione triplicata, raggiungendo le 62 mila tonnellate l'anno (7). Nel 1990, pi del 30 per cento della carne bovina prodotta in Honduras veniva esportata negli Stati Uniti. Negli ultimi vent'anni, in Nicaragua, la produzione di carne bovina triplicata e le esportazioni sono quintuplicate (8). A met degli anni Ottanta, il Centroamerica aveva l'80 per cento in pi di capi bovini, rispetto a vent'anni prima, e produceva il 170 per cento in pi di carne bovina (9). Negli anni Settanta e Ottanta, molte societ americane hanno investito pesantemente nella produzione di carne bovina in Centroamerica; fra queste Borden, United Brands e International Food. Alcune multinazionali americane, come Cargill, Ralston Purina, W. R. Grace, Weyerhauser, Crown Zellerbach e Fort Dodge Labs, hanno fornito un forte supporto tecnologico all'industria della carne centro-americana, dal seme congelato alle attrezzature di refrigerazione, alle sementi per foraggi, ai mangimi, ai macchinari. Il processo di deforestazione, concentrazione della propriet terriera e dislocazione delle popolazioni rurali locali che ha interessato tutta l'America Latina, aveva lo scopo di trasformare un intero continente in un pascolo al servizio della dieta carnea dei ricchi latinoamericani, europei, americani e giapponesi. Dal 1987, in Messico sono stati distrutti 15 milioni di ettari di foresta, per offrire nuovi pascoli al bestiame. L'ecologista messicano Gabriel Quadri si fa portavoce del pensiero di molti conterranei, dicendo: Stiamo esportando il futuro del Messico per il vantaggio economico di pochi, potenti allevatori di bovini (10). In Colombia, dove uno studio della World Bank dimostra come il 70 per cento dei terreni agricoli sia di propriet di latifondisti, la terra in massima parte utilizzata come pascolo per il bestiame (11). Quando sono state proposte riforme agrarie, molti colombiani hanno recintato le terre inutilizzate, popolandole di bovini, per dimostrarne l'impiego produttivo (12). In nessun luogo l'allevamento di bovini ha avuto un effetto tanto profondo, su territorio e popolazione, come in Brasile. Per la prima volta, molti americani si sono resi conto dell'esistenza in Brasile di una bovino connection quando i mezzi di comunicazione hanno parlato dell'omicidio di Chico Mendes, il raccoglitore di gomma brasiliano ucciso dagli allevatori per una disputa sull'utilizzo della foresta pluviale; gli allevatori, ansiosi di fare "tabula rasa" della foresta amazzonica per creare nuovi pascoli, avevano costretto i raccoglitori di gomma ad abbandonare la foresta: la lotta fra allevatori e raccoglitori di gomma culminata nel 1987, con l'uccisione a colpi di pistola del rappresentante di questi ultimi (13). L'assassinio di Mendes rivel il crescente contrasto fra i piccoli agricoltori e gli allevatori di bestiame che volevano trasformare in pascolo l'intero bacino delle Amazzoni. Il Brasile, come molti altri paesi dell'America Latina, una terra con un enorme potenziale di ricchezza, posseduto e controllato da una ristretta oligarchia: oggi, il 4,5 per cento dei proprietari terrieri del paese detiene l'81 per cento della terra, mentre il 70 per cento delle famiglie contadine senza terra (14). Nel 1966, il governo brasiliano ha avviato un programma chiamato Operation Amazonia, pensato per convertire la pi grande foresta pluviale del mondo in terra economicamente produttiva (15). Il governo ha offerto incentivi fiscali per incoraggiare aziende nazionali ed estere a investire nella regione amazzonica. Le multinazionali non aspettavano altro per invadere l'interno del Brasile e cominciare ad abbattere foreste per creare nuovi pascoli per il bestiame. Le multinazionali americane, fra cui Swift, Armour, Dow Chemical, United Brands, W.R. Grace, Gulf & Western e International Foods, hanno cominciato a investire massicciamente in Amazzonia; altrettanto hanno fatto le multinazionali europee e giapponesi, fra cui Volkswagen e Mitsui (16). Tutte queste imprese globali si sono precipitate a trarre benefici dall'ultima possibilit rimasta di appropriarsi di vasti territori. Alle aziende stata offerta ampia assistenza da parte della World Bank, della Inter-American Development Bank e della United States Agency for International Development (USAID), entusiaste delle prospettive economiche legate alla creazione di ampie distese a pascolo nel bacino amazzonico. Fra il 1966 e il 1983, quasi 100 mila chilometri quadrati di foresta amazzonica

sono stati abbattuti in nome dello sviluppo economico (17). Il governo brasiliano ha stimato che il 38 per cento della distruzione di foresta pluviale in quel periodo sia attribuibile alla creazione di allevamenti bovini su larga scala (18). Oggi, nelle aree un tempo coperte dalla foresta amazzonica, pascolano milioni di capi di bestiame. Ma, per colmo d'ironia, la terra liberata dalla foresta e recintata non affatto adatta al pascolo: nell'ecosistema tropicale lo strato superficiale del suolo estremamente sottile e fragile, e contiene scarso nutrimento. Questo antico ecosistema sopravvive in uno stato di perenne tensione, riciclando continuamente l'energia, dalle radici alle cime, e lasciando molto poco nel terreno. Dopo solo pochi anni di pascolo - in genere, da tre a cinque - il suolo diventa sterile e gli allevatori devono abbattere un'altra sezione di foresta per spostarvi le mandrie (19). Secondo la legge brasiliana, per accampare diritti su terre demaniali nella regione delle Amazzoni la prima cosa da fare abbattere la foresta per dimostrare di volersi seriamente impegnare a svilupparla (20). Le societ multinazionali aspettano che siano i piccoli contadini a tagliare e bruciare le aree di foresta; poi, per una cifra simbolica, acquistano il diritto a utilizzare come pascolo il terreno gi libero. Gli alberi abbattuti raramente vengono commercializzati: i coloni trovano pi conveniente bruciarli sul posto (21). Gli astronauti hanno riferito di aver visto centinaia di fuochi nella regione amazzonica, durante le loro missioni spaziali (22). La perdita economica derivante dalla mancata vendita del legname, per, ben poca cosa rispetto al danno ambientale. Solo duemila anni fa, la foresta pluviale copriva quasi tredici miliardi di chilometri quadrati, pari al 12 per cento della superficie terrestre. Da allora, l'uomo ha distrutto pi della met della biomassa tropicale; gran parte della distruzione avvenuta negli ultimi due secoli di espansione coloniale europea; di quel che rimane delle foreste originarie, il 57 per cento in America Latina, per la maggior parte in Amazzonia (23). La foresta pluviale amazzonica copre circa 7 milioni di chilometri quadrati: un'area, approssimativamente equivalente a quella degli Stati Uniti, che, oltre al Brasile, attraversa otto stati. I suoi fiumi e le sue foreste si estendono dalla Bolivia a sud, al Venezuela a nord, al Per a ovest (24). La biomassa amazzonica cos densa che una scimmia, salita nella volta della foresta ai piedi delle Ande, potrebbe non toccare terra fino all'Oceano Atlantico, in un viaggio di 3500 chilometri a trenta metri d'altezza (25). Il Rio delle Amazzoni il secondo pi grande fiume del mondo, e serpeggia per pi di seimila chilometri nella foresta pluviale, alimentato da pi di 10 mila affluenti. La lunghezza complessiva dei suoi tributari equivalente al doppio della circonferenza terrestre all'equatore; la sua portata d'acqua sessanta volte superiore a quella del Nilo e quindici volte a quella del Mississippi. Un quinto dell'acqua fluviale del mondo portata dal Rio delle Amazzoni. In alcuni punti del suo percorso, il fiume largo quanto il canale della Manica (26). La foresta pluviale amazzonica, come le altre foreste pluviali tropicali, riccamente stratificata; la vegetazione cresce in una stretta gerarchia; alla base si trovano erbacee e arbusti. Liane ed epifite si avvolgono intorno ai tronchi, trasformando la foresta in un labirinto aggrovigliato, in alcuni luoghi assolutamente impenetrabile. Gli alberi creano un panorama a pi livelli: i pi bassi sono intorno ai quindici metri, i pi alti circa ai cinquanta. Chi visita la foresta pluviale amazzonica spesso rimane sorpreso dalla sua immobilit. A terra ci sono scarsi segnali di vita. La maggior parte degli insetti, degli uccelli e dei mammiferi che la abitano vivono sotto la verde cupola del fogliame e, alcune specie, trascorrono l'intera esistenza a una determinata quota. Dalla volta al suolo, il clima cambia considerevolmente: in alcuni punti, la foresta cos densa che meno del 2 per cento dell'irraggiamento solare raggiunge il suolo; il sottobosco molto pi ombreggiato, umido e freddo della volta, che spesso ha una temperatura di 8 gradi superiore a quella registrata al suolo. Questo antico ecosistema una delle nicchie ecologiche pi fragili e complesse presenti sulla terra: i rapporti fra le specie sono organizzati cos precisamente che il minimo agente esterno pu dare luogo a una reazione a catena in grado di mettere a repentaglio l'intero sistema (27).

Questi sistemi ecologici tropicali sono cos poco conosciuti che, secondo Peter Raven, presidente del Committee on Research Priorities in Tropical Biology del National Research Council, nel mondo, non pi di una dozzina di scienziati possiede le competenze necessarie per studiarne la dinamica (28). Eppure, in questo habitat che dimorano il 50 per cento delle specie viventi sulla terra (29). Il botanico tropicale Ghillean Prance, del New York Botanical Gardens, riusc a contare pi di 350 specie di alberi in un solo ettaro di foresta amazzonica (30). Nella foresta pluviale al confine fra Panama e Costa Rica, Edward O. Wilson di Harvard ha identificato pi di 500 specie di uccelli in un'area di 750 chilometri quadrati: quattro volte il numero delle specie che popolano l'intero Nordamerica (31). La superstite foresta pluviale panamense annovera tante specie vegetali quanto l'intero continente europeo. Secondo un rapporto stilato dalla National Academy of Science, una sezione di foresta pluviale di dieci chilometri quadrati contiene almeno 1500 specie di piante da fiore, fino a 750 specie di alberi, oltre a 125 specie di mammiferi, 400 specie di uccelli, 100 di rettili, 60 di anfibi e 150 di farfalle (32). Secondo il medesimo rapporto della National Academy of Science, gli insetti sono cos prolifici che in poco pi di sei ettari se ne trovano fino a 42 mila diverse specie (33). Ogni albero pu ospitare pi di 1700 specie di insetti. In un solo metro quadrato di foglie si possono individuare fino a 50 diverse specie di formiche. I ricercatori hanno trovato tre specie di maggiolini, sei di termiti e tre di farfalle nella pelliccia di un solo bradipo (34). Alcune specie tropicali sono cos rare da esistere solo in un tratto di catena montuosa o in un particolare segmento di foresta. Gli scienziati stimano che, nella foresta pluviale, ci possano essere almeno 15 mila specie vegetali non ancora individuate e studiate (35). La foresta pluviale dell'America Latina ospita milioni di specie: forse un quinto di tutte le forme viventi terrestri. L'impatto estetico, ambientale ed economico prodotto dall'abbattimento e dal rogo di milioni di ettari di foresta pluviale originaria, al solo scopo di fare spazio al pascolo per bestiame, al di l di ogni possibilit di valutazione. Senza la ricca diversit biologica che si riscontra nella foresta pluviale di Centro e Sudamerica - e delle altre sopravvissute foreste pluviali sparse per il mondo - le generazioni future non saranno in grado di disporre di nuovi alimenti, farmaci, prodotti, fibre e fonti energetiche. La maggior parte degli occidentali talmente indottrinata sulle meraviglie dei prodotti petrolchimici e della plastica, da non essere consapevole della propria dipendenza dalle piante - spesso da quelle della foresta pluviale - anche nella quotidianit. Quasi un quarto di tutti i farmaci e i medicamenti sono derivati da piante tropicali (36). Il 70 per cento delle piante, che secondo il National Cancer Institute hanno comprovate propriet anticancro, proviene dalla foresta pluviale tropicale. Molte procedure chirurgiche dipendono dalla corteccia di una liana che cresce nella foresta pluviale del Sudamerica: il curaro. La D-turbo turbocurarina e altri alcaloidi, utilizzati per rilassare i muscoli scheletrici durante delicati interventi chirurgici, derivano da diverse specie vegetali dei generi "Chondodendron" e "Strychnos". Gli ormoni steroidi, come il cortisone e la diosgenina, ingredienti attivi dei farmaci anticoncezionali, sono derivati da essenze tropicali di igname selvatica, provenienti dal Messico e dal Guatemala (37). Gomma naturale, lattice, resine, gomme, cere e oli estratti da piante tropicali sono utilizzati per realizzare materiali industriali e come base chimica per prodotti di consumo che spaziano dai rossetti ai deodoranti, dal cellophane ai lucidanti per mobili (38). Eppure, nonostante l'enormit della perdita potenziale, le societ multinazionali, i governi nazionali e gli allevatori locali continuano l'incessante assalto alla foresta pluviale, spianando il terreno, abbattendo alberi e bruciando quel che resta della pi ricca biomassa del mondo, incuranti di distruggere milioni di anni di evoluzione naturale. Oggi, in tutta l'America Latina, i Caterpillar sono l'arma con cui si combatte l'ingiusta battaglia contro la foresta originaria e, ogni giorno, esigono il

loro pedaggio, spingendosi sempre pi a fondo nella giungla, distruggendo tutto ci che si trovano davanti. Il frastuono dei loro potenti motori rompe il silenzio di un ecosistema ancora intatto. Frances Moore Lapp descrive la scena: Giganteschi D-9 da 35 tonnellate, con lame da una tonnellata, spianano la foresta al ritmo di due chilometri all'ora, sradicando tutto ci che incontrano (39). Il Messico e il Centroamerica, un tempo coperti da quasi 410 mila chilometri quadrati di foresta pluviale, ora ne hanno meno di 163 mila: il resto stato abbattuto e bruciato per fare posto a pascoli per bovini. Probabilmente, quel che rimasto verr abbattuto nei prossimi venticinque anni (40). Nel rapporto alle Nazioni Unite "On Our Common Future", uno studio della Bruntland Commission, si prevedeva che se la deforestazione dell'Amazzonia fosse continuata al medesimo ritmo, pi del 15 per cento delle specie vegetali terrestri sar estinto entro il 2000 (41). Ciascuno di noi , in qualche misura, responsabile della perdita della foresta pluviale primordiale. Per esempio, si stima che ogni hamburger ricavato da carni provenienti dal Centro e Sudamerica, comporti la distruzione di circa 75 chilogrammi di forme viventi: Venti o trenta diverse specie vegetali, una dozzina di specie di uccelli, mammiferi e rettili (42). Dato che il costo della deforestazione risibile, pochi allevatori si preoccupano di valutare le ripercussioni in termini di sicurezza della biosfera e tutela della biodiversit. Tanto per cominciare, lavorare il suolo di una foresta pluviale, che ha uno strato di humus cos sottile e trascurabile, uno spreco di tempo e di denaro: il costo dell'aggiunta di fertilizzanti petrolchimici e di altre forme di energia spesso eccede il valore commerciale della terra. Dunque, la via di minore resistenza tagliare, bruciare, pascolare e spostarsi, per ricominciare da capo altrove. Il geografo Susanna Hecht riferisce che il 90 per cento dei nuovi allevamenti di bestiame nel bacino amazzonico sospende l'attivit entro otto anni dall'avvio, a causa dell'impoverimento del suolo dovuto all'eccesso di pascolo. Appena il governo apre nuove strade che affondano nel cuore della foresta, gli allevatori le seguono. Pochi anni dopo, riferisce la Hecht, un viaggiatore pu percorrere per centinaia di chilometri la strada, senza incontrare altro che terre abbandonate dove cresce una vegetazione secondaria (43). Un allevatore americano che possiede pascoli in Amazzonia cos descrive l'atteggiamento colonialista degli allevatori locali della nuova generazione: Da quelle parti si pu comprare terra per l'equivalente di un paio di bottiglie di birra per ettaro. E se hai qualche centinaio di migliaia di ettari e ventimila capi di bestiame, puoi andartene da quella fogna e vivere dove preferisci: Parigi, Hawaii, Svizzera (44). La distruzione dell'Amazzonia non un caso unico. Nei quattromila anni della sua migrazione verso ovest, la cultura della bistecca stata caratterizzata dal saccheggio e dall'assoluto disprezzo per le terre vergini, le popolazioni indigene e i bisogni delle future generazioni. Se molti occidentali sono pronti a condannare il governo brasiliano per la sua politica, che incoraggia la spartizione delle terre amazzoniche e la loro conversione a fini economici, non sono altrettanto disponibili ad ammettere quanto questa vicenda sia simile a quella della colonizzazione delle Grandi Pianure. L'atteggiamento disinvolto degli allevatori brasiliani in tutto simile a quello dei pionieri dell'allevamento nelle praterie del West. Per le future generazioni, lo slogan erba gratis sar l'emblema della sorte nefasta di entrambe le Americhe. 29. LOCUSTE CON GLI ZOCCOLI. L'impatto distruttivo dei bovini si manifesta anche al di fuori delle foreste pluviali, nelle regioni del mondo pi disparate. Attualmente, i bovini sono la principale causa di desertificazione, che l'Environmental Program delle Nazioni

Unite definisce come il depauperamento di ecosistemi aridi, semiaridi e sub-aridi, a causa degli effetti delle attivit umane. Questo processo comporta una riduzione di produttivit di vegetali utili, un'alterazione della biomassa e della diversit delle forme di vita, accelerando il degrado dei suoli e mettendo a repentaglio l'occupazione da parte dell'uomo (1). La desertificazione provocata dal pascolo eccessivo del bestiame, da una coltivazione eccessivamente intensiva della terra, dalla deforestazione e da inadeguate tecniche di irrigazione. Fra le quattro cause citate, la produzione bovina la primaria. Le Nazioni Unite stimano che, oggi, il 29 per cento della massa terrestre soggetta a fenomeni di entit lieve, media o grave di desertificazione (2). Un'area di quasi 33 milioni di chilometri quadrati di terre aride e semiaride del mondo - pari a quattro volte la superficie degli Stati Uniti - oggi classificata come moderatamente desertificata, a indicare che ha perso almeno un quarto della propria capacit produttiva (3). Altri 15 milioni di chilometri quadrati sono gravemente desertificati, avendo perso almeno la met della propria produttivit naturale. Circa 850 milioni di esseri umani vivono su terre minacciate dalla desertificazione (4). Oltre 230 milioni di uomini vivono su terre cos gravemente desertificate da non essere pi in grado di offrire sostentamento, condannati, perci, a un destino di imminente denutrizione (5). Ogni anno, nel mondo, circa 600 mila ettari di terre sono perse a causa del processo di desertificazione. A queste si aggiungono pi di 20 milioni di ettari che subiscono un'erosione cos violenta da non poter pi essere utilizzate per il pascolo o le colture (6). L'espansione dei deserti creati dall'uomo sta intrappolando milioni di famiglie in una perversa spirale di miseria: incapaci di procurarsi di che vivere da una terra erosa e impoverita, milioni di persone hanno dato il via a un esodo di proporzioni bibliche, dalle campagne alle squallide periferie delle megalopoli. La desertificazione del pianeta sta incentivando la pi grande migrazione della storia dell'umanit: attualmente si stima che met della popolazione del pianeta viva in aree urbane. In termini umani, il costo di questa inarrestabile desertificazione al di l di ogni possibile calcolo: decine di milioni di esseri umani privati di tutto e gettati nel nulla di campi erosi, deserti assolati, foreste rase al suolo, alla ricerca di un porto sicuro; individui che, alla fine del loro inutile viaggio, trovano solo baraccopoli affollate e fragili ripari di cartone. L'Environmental Program delle Nazioni Unite delinea un quadro sconfortante: In tutto il Terzo mondo, il degrado della terra stato il principale fattore che ha spinto i piccoli agricoltori a migrare verso le periferie urbane e le baraccopoli delle grandi citt, producendo una popolazione disperata, esposta alle malattie e ai disastri naturali, disposta al crimine e alla rivolta civile... questo esodo esaspera i gi gravi problemi delle comunit urbane... e, nello stesso tempo, frustra gli sforzi per la riabilitazione e lo sviluppo delle aree rurali, sottraendo manodopera e sollecitando l'abbandono della terra (7). Non sorprende che le regioni pi esposte al rischio di desertificazione siano quelle concentrate sulla produzione bovina: la parte occidentale degli Stati Uniti, Centro e Sudamerica, Australia e Africa sub-sahariana. Oggi pi di un miliardo di capi di bestiame pascola calpestando manti erbosi originari o importati, e strappando alle poche sopravvissute praterie del mondo il loro sottile strato di vegetazione. Senza flora ad ancorare il suolo, ad assorbire acqua, a riciclare gli elementi nutritivi, la terra sempre pi esposta all'erosione del vento e dell'acqua. Nel corso dell'ultimo mezzo secolo, pi del 60 per cento delle pianure della terra ha subito danni a causa dell'eccesso di pascolo (8). A questo si aggiungono i milioni di ettari di terre arabili, erose dalle coltivazioni intensive, dallo sfruttamento oltre ogni limite della loro capacit produttiva, nell'intento di produrre sempre pi cereali per alimentare bovini e altro bestiame, o per nutrire una popolazione umana in continua crescita.

L'Environmental Program delle Nazioni Unite stima che la perdita annuale degli strati superficiali del suolo corrisponde complessivamente a 25 miliardi di tonnellate (9). In anni recenti, questa perdita stata responsabile del calo del 29 per cento della produttivit agricola (10). Secondo il primo ministro Robert Hawke, in Australia l'erosione del suolo il pi serio problema ambientale che la nazione deve affrontare, e riguarda quasi i due terzi delle terre arabili del continente (11). In Russia, in India e nelle Americhe, l'erosione del suolo sta compromettendo la produttivit di terre arabili e pascoli selvaggi. In Africa, l'erosione del suolo e l'avanzare dei deserti sono il problema ambientale pi grave con cui l'intero continente deve confrontarsi. Si stima che, per ogni centimetro di strato superficiale di terreno perso, il rendimento di una coltura cerealicola diminuisca di circa il 3 per cento. Secondo il Worldwatch Institute, a livello mondiale, la perdita di 25 miliardi di tonnellate di humus ha ridotto in media la produttivit delle coltivazioni cerealicole del 6 per cento, con una perdita approssimativa di 9 miliardi di tonnellate di cereali l'anno (12). In molti fra i paesi pi colpiti dall'erosione del suolo, gli agricoltori sono costretti ad arare anche le terre marginali per tenere il passo con la crescita della domanda di produzione, esponendo all'erosione sempre nuovi territori. Nelle nazioni pi ricche, l'impoverimento della base del suolo stato artificialmente compensato con il massiccio ricorso a fertilizzanti petrolchimici; in un senso assai pi reale di quanto si pensi, una percentuale crescente dei cereali attualmente coltivati nel mondo affonda le radici nel petrolio, in un disperato tentativo di aumentare i livelli di produzione per tenere il passo con la crescita della domanda di alimenti per l'uomo e per il suo bestiame. In condizioni naturali, per formare due centimetri e mezzo di strato fertile superficiale occorrono da 200 a 1000 anni (13). Con la crescita della popolazione umana e bovina che procede a tassi sempre pi forsennati, quasi ogni chilometro quadrato di terre arabili e di pascoli sfruttato oltre il limite, impoverito ed esposto al rischio di erosione, senza pensare al futuro e ai bisogni delle prossime generazioni. L'erosione del suolo e la progressiva desertificazione sono diventate un problema anche negli Stati Uniti. Duecento anni fa, la maggior parte della terra arabile degli Stati Uniti aveva pi di cinquanta centimetri di strato superficiale. Oggi, il paese ha perso almeno un terzo del proprio humus, in conseguenza dell'eccessivo pascolo, dello sfruttamento intensivo dei terreni agricoli e della deforestazione. In alcune regioni del paese, lo strato superficiale si ridotto a una quindicina di centimetri (14). Lo Iowa, un tempo considerato uno dei maggiori stati agricoli del mondo, in un solo secolo ha perso met del suo strato superficiale (15). Ogni anno, pi di 4 miliardi di tonnellate di suolo si perdono a causa dell'erosione della pioggia, e altri 3 per quella eolica (16). Il matematico Robin Hur stima che, ogni anno, fra 6 e 7 miliardi di tonnellate di massa erosa siano attribuibili direttamente al pascolo del bestiame e alla coltivazione di cereali per alimentazione animale (17). Sfortunatamente, il costo ambientale del mantenimento della cultura della bistecca, al vertice della scala delle proteine, non si consolida nel prezzo della carne. L'erosione del suolo e la desertificazione sono considerate esternalit, un costo secondario di produzione che si accumula sotto forma di un debito ambientale, che verr sopportato dalle generazioni future. David Pimentel stima che i costi diretti e indiretti dell'erosione del suolo, nei soli Stati Uniti, siano superiori ai 44 miliardi di dollari all'anno (18). Ogni americano che consuma carne d il proprio personale contributo a questi costi. Il Worldwatch Institute stima che ogni chilogrammo di bistecca proveniente da bovini di allevamento intensivo costi circa 35 chilogrammi di strato superficiale di suolo eroso (19). Parti delle Grandi Pianure e dei territori dell'Ovest si stanno rapidamente trasformando in un deserto desolato: ogni anno, milioni di ettari di terreni demaniali persi a causa della desertificazione; un ecosistema che in passato annoverava antilocapre, alci, cavalli selvaggi, asini, coyote, lupi, centinaia di specie di uccelli, pesci d'acqua dolce e altre forme di vita acquatica e di flora selvatica della prateria sta morendo, vittima del pascolo eccessivamente intenso delle mandrie e grazie ad allevatori pi preoccupati del profitto

immediato che della conservazione a lungo termine. La dimensione della perdita e la diffusione del deterioramento sono impressionanti: fiumi maestosi sono stati ridotti a rigagnoli; molti, completamente prosciugati, hanno lasciato il posto a gigantesche spianate di fango e a migliaia di chilometri di letti secchi dal fondo crostoso e crepato. Le aree alluvionali, vere e proprie oasi del West, si sono trasformate nell'equivalente ecologico delle citt fantasma. In molte zone, non cresce pi il cotone selvatico e sono scomparsi la flora e i roditori. La natura diventa ogni giorno pi debole. I bovini stanno distruggendo gran parte del West americano. Attualmente un esercito di 2-3 milioni di vacche pascola su un'area di circa 120 milioni di ettari, a cavallo fra undici stati del West. Questo territorio abbraccia circa il 40 per cento della superficie dei territori occidentali degli Stati Uniti, pari al 12 per cento della superficie totale dei 48 stati (esclusi, dunque, Alaska e Hawaii) (20). Per quanto rappresentino solo una piccola quota della produzione americana di carne, i bovini da carne allevati nel West sono la causa primaria di gran parte della distruzione ecologica dell'area occidentale degli Stati Uniti (21). Libero su terre di propriet pubblica, ogni capo riesce a consumare 400 chilogrammi di vegetazione al mese (22), spogliando il territorio di erbe e foraggi, brucando cespugli e alberelli, distruggendo perfino cactus e la corteccia degli alberi; con i suoi potenti zoccoli calpesta piante selvatiche e compatta il suolo, sottoponendolo a una pressione di quasi quattro chilogrammi per centimetro quadrato (23). Questa azione riduce la quantit d'aria fra le particelle del suolo, diminuendo la quantit d'acqua che pu essere assorbita (24). A causa di questa diminuita capacit di trattenere l'acqua generata dal disgelo primaverile, il terreno pi esposto all'erosione provocata dalle piene improvvise dei fiumi. Nel Colorado occidentale, le aree alluvionali soggette a pascolo producono fino al 76 per cento di sedimenti in pi, rispetto a quelle Vergini (25). Il continuo calpestio del terreno da parte degli zoccoli dei bovini ha un impatto meno evidente, ma altrettanto profondo, sul mondo dei microrganismi: negli strati superficiali del suolo vivono miliardi di organismi - batteri, protozoi, funghi, alghe, nematodi, insetti, vermi - che hanno un ruolo fondamentale nel mantenere la fertilit del suolo e nel rigenerarlo. Il calpestio distrugge e destabilizza questo delicato habitat, indebolendo ulteriormente la gi compromessa base del suolo delle praterie (26). La combinazione di pascolo eccessivo e calpestio del suolo ha sconvolto l'ordine biologico delle pianure, distruggendo la flora e la fauna indigene. Eliminando la copertura vegetale, i bovini hanno lasciato le altre specie animali insetti, uccelli e mammiferi - prive di alimentazione e riparo adeguati. Compattando il suolo, i bovini hanno fortemente diminuito la capacit della terra di trattenere acqua e di rigenerarsi, mettendo ulteriormente a repentaglio il gi precario ciclo vegetativo. Non pi trattenuti dalle radici delle piante o riparati dall'azione diretta dei raggi del sole, gli strati superficiali del terreno vengono erosi dal vento o trascinati via dalle acque a un ritmo allarmante. In alcune aree del West, pi della met dello strato superficiale stato eroso. Gi negli anni Cinquanta, un rapporto inedito del Bureau of Land Management sottolineava le dimensioni del problema dell'erosione: Si stima che i territori demaniali producano 320 mila "acre-feet" di sedimenti ogni anno: pi di quanti ne trasportino complessivamente il Mississippi e il Colorado. In termini di massa, la perdita annuale di sedimenti equivale a quasi 500 milioni di tonnellate di suolo. Per trasportare una massa equivalente su rotaia sarebbero necessari 244 mila 846 convogli da 50 vagoni della capacit di 40 tonnellate ciascuno (27). Oggi, secondo alcuni studi, i territori del West degli Stati Uniti producono meno della met della biomassa rispetto a cento anni fa, prima della grande invasione bovina. Le zone pi colpite dalle mandrie al pascolo sono quelle riparie: le sottili strisce di terra che costeggiano i fiumi, i torrenti, gli stagni, in cui si concentra la maggior parte della flora e della fauna selvatica delle pianure del West. In stati come il Nevada, pi dell'80 per cento delle 300

specie animali terrestri sono direttamente dipendenti dall'habitat ripario anche se queste piccole oasi non rappresentano che meno dell'1 per cento del territorio (28). Le aree riparie hanno un ruolo centrale nella regolazione e nella depurazione del flusso delle acque; sono rifugio e zona di nidificazione per la fauna selvatica, offrono protezione dal sole estivo e dal maltempo invernale. Gli allevatori si sono appropriati di gran parte delle aree riparie del West, riducendo questi habitat originari a punti di abbeveramento e pascolo per le mandrie. I bovini hanno distrutto l'originario manto vegetale, compattato il suolo e lasciato queste nicchie ecologiche nude e prive di vita. Secondo il dipartimento statale dei parchi dell'Arizona, pi del 90 per cento delle zone riparie vergini dell'Arizona e del New Mexico sono andate completamente perdute (29). Un rapporto stilato nel 1988 dal General Accounting Office (GAO) giungeva a conclusioni altrettanto fosche, stimando che, nel solo Colorado, il 90 per cento degli 8500 chilometri di habitat ripario gestito dal Bureau of Land Management, si trovava in condizioni insoddisfacenti, e che lo stesso valeva per l'80 per cento di aree analoghe in Idaho. Il rapporto del GAO concludeva che il pascolo del bestiame, gestito con eccessiva disinvoltura, una delle cause principali di degrado dell'habitat ripario nell'ambito dei territori demaniali (30). L'introduzione dei bovini eurasiatici in un sistema biologico complesso e fragile come quello americano, in cui un'infinit di relazioni e correlazioni si sono formate nel corso di un'evoluzione millenaria, ha avuto effetti disastrosi. Anche i pi piccoli cambiamenti hanno avuto conseguenze enormi. Per esempio, in corrispondenza dei guadi frequentati dalle mandrie, la pressione degli zoccoli sugli argini allenta il suolo, facendo crollare grandi zolle. In alcune aree dello Utah, in corrispondenza di tali guadi i fiumi sono larghi fino al doppio della media (31). L'allargamento del letto, con il conseguente abbassamento del livello del fiume, aumenta la temperatura superficiale dell'acqua, a causa della maggiore esposizione diretta ai raggi solari. La temperatura pi elevata, associata alla presenza di deiezioni bovine, riduce l'ossigenazione del fiume (32). L'acqua pi calda contiene meno ossigeno disciolto e influenza negativamente la vita dei pesci d'acqua dolce, soprattutto delle trote: incapace di competere con pesci in grado di tollerare acque pi calde e meno ossigenate, come carpe, tinche e scardole, la popolazione di trote si considerevolmente ridotta in tutto l'Ovest americano (33). In Montana, una zona di un fiume non soggetta a pascolo produce il 268 per cento di trote in pi rispetto ai tratti normalmente frequentati da bovini. In Nevada, il Bureau of Indian Affairs ha recintato il corso di un tributario del Summit Lake, escludendo le mandrie al pascolo, per proteggere una variet locale di trota, la trota di Clarke, minacciata di estinzione (34). Anche le specie vegetali sono vittime dell'invasione bovina dei territori occidentali. Secondo il GAO, il pascolo di bestiame la pi importante causa di estinzione o minaccia di estinzione di specie vegetali: delle cinque nuove specie inserite nell'agosto e nel settembre 1989 nell'elenco di quelle a rischio, tre erano vittime del pascolo (35). La presenza delle perenni della famiglia "Andropogon", un tempo una delle essenze prevalenti nelle pianure del West, in stati come l'Idaho si ridotta fino all'85 per cento, in conseguenza dell'eccessivo pascolo. Come gi segnalato in precedenza, molte essenze indigene sono state sostituite da specie del Vecchio Continente, arrivate con i coloni e il loro bestiame, a invadere intere nicchie ecologiche. Fra le essenze non native pi rigogliose ci sono, oltre al cardo russo, la "Salsola kali" e l'"Halogeton glomeatus". Ma l'invasore del Vecchio Mondo di maggior successo la "cheatgrass". In meno di mezzo secolo, quest'erba si diffusa nelle pianure; gi negli anni Trenta era diventata la pi visibile e abbondante. Dieci anni dopo, su pi di un milione e mezzo di ettari di terre del West, era la specie dominante; la "cheatgrass" una buona erba da foraggio, ma, una volta morta e secca, facilmente infiammabile: la probabilit che prenda fuoco 500 volte superiore a quella di qualsiasi altra erba. Dunque, quest'erba responsabile di molti incendi che divampano senza controllo nei territori occidentali, distruggendo milioni di ettari di habitat selvaggio (36).

Il pascolo ha anche diminuito la capacit del territorio di offrire sussistenza a molti uccelli indigeni, fortemente diminuiti di numero o completamente scomparsi. La quaglia di Montezuma completamente scomparsa dalle praterie del Texas; il tacchino selvatico scomparso da diverse regioni dell'Arizona; pernici, gallinelle prataiole e tetraonidi sono seriamente ridotti di numero in conseguenza dell'eccesso di pascolo nelle terre incolte pubbliche (37). Uno studio comparativo sulla nidificazione degli uccelli terricoli in territori con diversa presenza di bovini al pascolo, ha rivelato che la popolazione di uccelli molto pi prolifica in assenza di bestiame. Questo si rivelato particolarmente vero nel caso degli uccelli canterini. Ma, forse, l'effetto pi nefasto dell'eccesso di pascolo sulle terre incolte pubbliche la forte riduzione della presenza di animali selvatici: alci, antilocapre, cervi e antilopi sono quasi completamente scomparsi dai territori selvaggi del West. L'ecologo Frederick H. Wagner, dello Utah, stima che il numero di specie di grandi animali sia inferiore al 5 per cento di quello originario (38). Il "pronghorn" diminuito dai 15 milioni di esemplari di un secolo fa ai 271 mila di oggi; l'antilocapra, da pi di 2 milioni di individui a meno di 20 mila; gli alci, da 2 milioni a meno di 445 mila capi (39). Il Bureau of Land Management (B.L.M.) in parte responsabile del forte declino della presenza di grandi ungulati. Fin dalla sua fondazione, questa agenzia governativa ha favorito i bovini nell'assegnazione dei foraggi in concessione governativa. Per esempio, in Oregon, nel distretto di Burns, circa 110 mila tonnellate di foraggi sono assegnati annualmente al bestiame di allevamento, e solo 3600 agli ungulati selvatici (40). Incapaci di competere con i bovini per la poca erba, migliaia di grandi ungulati sono spinti a migrare verso terre marginali, dove li attende una lenta morte per denutrizione. Molti altri muoiono, ogni anno, intrappolati fra le maglie di recinzioni in filo spinato. Nelle terre selvagge del West, lungo tali recinzioni, si vedono spesso scheletri di grandi ungulati, simili ad agghiaccianti totem di antichi riti funerari. Anche l'utilizzo di erbicidi per eliminare alberi e cespugli stato un fattore determinante del declino dei grandi ungulati. Il B.L.M. e gli allevatori del West spesso irrorano migliaia di ettari in un'unica soluzione, per eliminare le piante erbacee e gli arbusti che per questi animali rappresentano la sussistenza. Dopo aver liberato vasti tratti di prateria, l'agenzia governativa procede alla semina in monocoltura di erbe esotiche, pi adatte al pascolo bovino. La conversione di aree selvagge in pascoli artificiali indebolisce gli habitat originari, lasciando i grandi ungulati privi di difesa, rifugio e mezzi di sostentamento. Nonostante il fatto che le terre federali debbano essere gestite per proteggere tanto gli interessi dell'allevamento quanto quelli delle specie selvatiche, in realt il Bureau of Land Management spende per la fauna selvatica un decimo di quanto riserva a programmi per l'incentivazione del pascolo bovino (41). Fin dall'inizio, l'attivit di controllo del governo federale sulle pianure occidentali stata indirizzata all'eliminazione di ogni forma di habitat selvatico. I funzionari pubblici hanno contribuito a trasformare milioni di ettari di terre demaniali in gigantesche praterie a foraggio su cui potessero pascolare mandrie di bovini. Per garantire l'egemonia dei bovini sulle pianure, il governo e gli allevatori si sono impegnati in sistematiche campagne volte all'eliminazione dal territorio di qualsiasi predatore che potenzialmente potesse rappresentare una minaccia per il loro bestiame. Nell'ultimo secolo, il Bureau of Land Management, insieme ad altre agenzie governative, ha preso di mira, in campagne successive, il puma, il coyote, l'orso, la lince, il gatto selvatico e, perfino, l'aquila, portandoli sull'orlo dell'estinzione. I predatori esercitano un controllo naturale sulla proliferazione delle specie predate e hanno una funzione regolatrice e limitante sulla fauna, volta a evitare che la popolazione di alcune specie ecceda le capacit di sostentamento offerte dal territorio. Lo sterminio di milioni di predatori, nei territori occidentali degli Stati Uniti, ha contribuito alla destabilizzazione dell'ecosistema delle pianure, rendendolo vulnerabile al processo di desertificazione. Il governo federale ha avviato il primo programma per il controllo dei predatori nel 1915, dedicando 125 mila dollari all'eliminazione di questi animali dalle

terre demaniali. Oggi, la Division of Animal Damage Control dello U.S. Department of Agriculture spende milioni di dollari ogni anno per eliminare specie di predatori, molte delle quali non rappresentano pi alcuna minaccia per il bestiame d'allevamento. La vicenda delle attivit sviluppate dal governo degli Stati Uniti, nel corso del ventesimo secolo, per controllare gli animali da preda tetra e insensata come quella legata allo sterminio del bisonte americano nel secolo precedente. Nel loro "Sacred Cows at the Public Trough", Denzel e Nancy Ferguson hanno passato in rassegna un secolo di sterminio indiscriminato e di uccisioni di massa della popolazione dei predatori delle pianure. All'inizio del secolo, i cacciatori federali usavano tagliole metalliche, trappole e fucili per eliminare decine di migliaia di animali. In quell'epoca divenne di moda il "denning", che viene ancora utilizzato dagli agenti governativi: si versa del kerosene nella tana e lo si incendia, per eliminare i cuccioli nel loro riparo. Negli anni Quaranta, il governo si affid a un nuovo strumento di sterminio: il cosiddetto acchiappa coyote, un distributore di cianuro comandato da una piccola carica esplosiva (42): i coyote e gli altri predatori vengono attratti da un'esca aromatizzata che, leccata, spruzza cianuro nella bocca dell'animale, che muore dopo una lenta agonia. Oggi, gli agenti del governo si affidano a una versione migliorata di questa trappola, la M-44, che ogni anno uccide migliaia di coyote e di altri predatori. Alla fine degli anni Quaranta, il governo aggiunse una nuova arma al micidiale arsenale per la lotta contro i predatori: un pericoloso agente chimico a base di sodio monofluoroacetato, noto con il nome commerciale di Compound 1080 (43). Questo composto chimico attacca il sistema nervoso dell'animale e provoca l'arresto cardiaco. Fra il 1961 e il 1970, nelle pianure del West, il governo federale americano stato protagonista di quella che si potrebbe tranquillamente definire un'orgia di sangue, a base di trappole, gas, veleni, fuoco e armi per eliminare tutti i predatori. Nell'arco di dieci anni, 141 mila esche avvelenate con Compound 1080 furono collocate nelle pianure a intervalli di circa dieci chilometri, in modo da creare una colossale griglia per avvelenare e sterminare i coyote. Negli stessi dieci anni, il governo ha sparso nei selvaggi territori del West pi di sette milioni di bocconi di sego avvelenato con stricnina (44). L'uccisione in massa di milioni di predatori ha avuto come conseguenza l'incontrollata proliferazione delle loro prede tradizionali: in mancanza di predatori a contenerne le popolazioni, conigli selvatici, citelli, topi canguro, ghiri e altri roditori si sono riprodotti in eccesso in determinate aree. Gli agenti del governo, anzich preoccuparsi di ripristinare un equilibrio naturale fra predatori e predati, hanno cercato di contenere l'esplosione della popolazione di roditori spargendo cereali avvelenati con mezzi aerei. Il pascolo eccessivo e la destabilizzazione ecologica provocati dai programmi governativi hanno anche portato a un'invasione massiccia di locuste, cavallette, formiche e altri insetti. Com'era prevedibile, le agenzie governative hanno reagito spargendo insetticidi in dosi massicce, indebolendo ulteriormente l'ecosistema e rendendo la terra ancora pi vulnerabile al processo di desertificazione. Nel 1989, il programma Animal Damage Control (A.D.C.), fra i dipendenti del governo federale noto come gli stermina ghiri, ha ucciso 86 mila 502 coyote, 7158 volpi, 236 orsi bruni, 1220 gatti selvatici e 80 lupi grigi (45). Nel 1990, il bilancio dell'A.D.C. raggiungeva i 29,4 milioni di dollari. Carol Grunewald, ex direttore della rivista Animal Activist Alert della Humane Society of the United States, osserva come il costo dello sterminio dei predatori, per il contribuente, sia decisamente superiore alle perdite subite dagli agricoltori o da altri a causa di animali selvatici (46). Il governo federale si anche preoccupato di radunare migliaia di cavalli e asini selvatici, affidandoli poi ad allevatori, nell'errata convinzione che un piccolo numero di animali in libert possa rappresentare una minaccia competitiva per milioni di bovini che pascolano sui terreni demaniali. Il complesso bovino dei territori occidentali degli Stati Uniti ha creato un danno incommensurabile al continente nordamericano. Eppure, la distruzione degli habitat originari e di interi ecosistemi non ha generato che insignificanti mormorii di protesta: da parte dell'opinione pubblica non c' stata n

opposizione n critica. Nella maggior parte dei casi, la lobby degli allevatori riuscita a mantenere uno stretto controllo su quello che considera il proprio dominio: milioni di ettari di terre demaniali usate, sfruttate ed esaurite a esclusivo vantaggio dell'industria della carne. Solo occasionalmente si levata qualche voce solitaria a sfidare il potere costituito. Edward Abbey, scrittore e conservazionista, ha pronunciato un profetico discorso agli allevatori riuniti nel 1985 alla University of Montana: Gran parte delle terre demaniali del West, soprattutto nel Sud-Ovest, sono, per cos dire, 'bruciate dalle vacche'. Praticamente, ovunque si vada, nel West, non si vedono che enormi mandrie di mucche... Sono una peste e una piaga. Inquinano sorgenti, torrenti e fiumi; infestano canyon, vallate, zone umide e foreste; brucano le erbe indigene, lasciandosi alle spalle solo cardi spinosi; calpestano gli arbusti e i cactus locali; diffondono erbe esotiche infestanti, come i cardi e le graminacee. Anche quando le vacche non sono fisicamente presenti, si vedono i loro escrementi, e le mosche, il fango, la polvere e la distruzione che si lasciano alle spalle; e se non si vede nulla, si sente il loro fetore. Il West degli Stati Uniti puzza di vacca (47). L'estinzione pressoch totale del bisonte, l'eliminazione dei grandi ungulati, dei predatori, della flora indigena e l'introduzione di essenze vegetali e bovini dal Vecchio Continente hanno segnato le Grandi Pianure. La recinzione, la mercificazione e la monocoltura dei territori del West possono essere considerate una delle pi ambiziose opere pubbliche: forse, in termini di dimensione e portata, ha avuto un effetto comparabile solo a quello dello U.S. Interstate Highway Act degli anni Cinquanta, che ha trasformato buona parte dell'America in una comunit suburbana culturalmente dipendente dall'automobile e dall'autostrada. Oggi, grandi porzioni di territori selvaggi del West sono in rovina, e la maggior parte di questi sono sull'orlo del collasso ecologico. In un rapporto del B.L.M., pubblicato negli anni Ottanta, "Ailing Rangeland", vengono esaminati in dettaglio i termini di questa distruzione. Secondo il B.L.M., pi di 37 milioni 868 mila 757 ettari si trovano in condizioni insoddisfacenti (48). Nel 1989, un rapporto pubblicato congiuntamente dal National Wildlife Federation e dal National Resources Defense Council, attribuiva la responsabilit del problema a pratiche di pascolo sconsiderate (49). Ancora pi specifico nelle accuse, il rapporto pubblicato in quegli anni dal President's Council on Environmental Quality, che metteva in guardia rispetto alla straordinaria estensione delle parti di territorio degli Stati Uniti esposte al rischio di desertificazione. Questo medesimo rapporto aggiungeva che il pascolo eccessivo diventato, negli Stati Uniti, il pi importante fattore di desertificazione, in termini di superficie totale compromessa (50). Secondo un rapporto redatto nel 1991 dalle Nazioni Unite, fino all'85 per cento dei territori selvaggi dell'Occidente americano - quasi 270 milioni di ettari sono degradati a causa del pascolo eccessivo e di altri problemi connessi alla presenza dei bovini; il dottor Harold Dregne, docente di geologia alla Texas Tech University e autore della ricerca per conto delle Nazioni Unite, stima che circa 175 milioni di ettari, nella parte occidentale degli Stati Uniti, soffrano di una riduzione della resa compresa fra il 25 e il 50 per cento, anche in questo caso prevalentemente a causa dell'eccesso di pascolo bovino (51). Nonostante le preoccupazioni espresse anche da agenzie governative, la comunit ambientalista e l'opinione pubblica americana sono state lente a reagire a quella che si potrebbe rivelare la premessa di una catastrofe; scrivendo sulla rivista Audubon, Philip Fradkin ha sintetizzato la portata della crisi dei territori occidentali degli Stati Uniti: una crisi che, fino a oggi, stata uno dei segreti ambientali meglio custoditi del paese. Nel corso degli anni, l'impatto di innumerevoli zoccoli e bocche ha avuto conseguenze maggiori, nell'alterazione del tipo di vegetazione e del panorama del West, di tutti i progetti di imbrigliamento delle acque, di tutte le miniere, di tutti gli impianti per la generazione di energia e di tutte le autostrade messe insieme (52).

Nel 1989, alla vigilia delle celebrazioni per il bicentenario di sei stati del West, Newsweek ha pubblicato un articolo sui territori selvaggi del West, rivelando una lunga storia di abusi ecologici e politici che hanno trasformato la regione nella zona pi sfruttata e ignorata degli Stati Uniti. Secondo Newsweek: Decenni di lassismo federale hanno relegato questi territori a uno stato quasi coloniale. Su base pro capite, cinque di questi stati sono fra i primi dieci destinatari della spesa federale. Nonostante questi ingenti investimenti voluti dal New Deal e dai governi successivi, che hanno sovvenzionato massicciamente agricoltura e irrigazione, la regione ha subto un costante declino (53). In gran parte degli stati della regione, l'occupazione in costante diminuzione: oggi, fino al 60 per cento dei laureati costretto a emigrare e i dati del censimento confermano, per i prossimi decenni, la tendenza all'esodo in massa dei giovani in et compresa fra i 17 e i 24 anni (54). Alcuni pianificatori hanno ipotizzato che il miglior modo per invertire il processo di desertificazione che ha rapidamente trasformato il West in una landa desolata sia espropriare le terre e creare gigantesche riserve per i bisonti. I professori Frank e Deborah Popper, della Rutgers University, hanno proposto la creazione di un immenso parco nazionale che comprenda parte dei dieci stati compresi fra le Montagne Rocciose e il Mississippi: questo progetto di riappropriazione pubblica del territorio includerebbe la reintroduzione del bisonte e di altri animali selvaggi in un'area pari a un quinto della superficie degli Stati Uniti (5). I sostenitori del piano ritengono che nel corso delle prossime generazioni, le pianure sono destinate a perdere praticamente tutta la propria popolazione. A quel punto, sar necessario individuare un nuovo uso a cui destinare questi territori abbandonati: un uso cos antico che precede perfino l'esperienza americana (56). 30. SOLLEVANDO NUVOLE DI POLVERE. In nessun altro luogo, il problema del pascolo eccessivo grave come in Africa, dove ogni anno milioni di ettari di terre vergini sono inghiottite da un processo di desertificazione che rappresenta ormai la pi grande minaccia all'ecologia del continente e alla sopravvivenza della sua popolazione umana. Come abbiamo notato nel capitolo 2, i bovini sono stati introdotti nel continente africano fra il 5000 e il 2300 a.C. dagli imperi mediorientali e da trib nomadi delle steppe eurasiatiche. Oggi, pi del 50 per cento della superficie dell'Africa orientale riservata al pascolo di 23 milioni di capi di bovini (1). In questa vasta regione di praterie e di savana, i complessi bovini determinano la vita economica e sociale dei popoli tribali. Per secoli, le trib nomadi e quelle che si reggevano su una piccola economia agropastorale hanno mantenuto un equilibrio efficace fra allevamento dei bovini e vincoli ecologici, ricorrendo alle antichissime pratiche della migrazione e a tecniche di allevamento che non gravassero eccessivamente sulla capacit produttiva della terra; il potere coloniale ha modificato l'equazione, inducendo forzatamente cambiamenti alle consolidate prassi tribali e portando, inevitabilmente, alla desertificazione del continente. I francesi, a lungo la potenza europea dominante nel Sahel - la regione compresa fra Senegal e Ciad - hanno organizzato i territori sotto la loro influenza in una miriade di stati-nazione del tutto arbitrari, i cui confini furono tracciati pi secondo considerazioni di carattere militare ed economico che per adattarsi alle migrazioni delle trib pastorali indigene. Tagliate fuori dai tradizionali percorsi di transumanza, le trib furono costrette a concentrare il proprio bestiame sulla limitata terra disponibile nell'ambito dei confini dei nuovi stati nazionali, innescando i processi di pascolo intensivo, erosione del suolo

e desertificazione. I francesi complicarono la situazione imponendo una tassa fissa pro capite per ogni membro delle trib nomadi. L'effetto dell'imposta fu dirompente: le culture tribali africane si fondavano su un'economia di sussistenza, vivendo di scambi e baratti; l'imposizione delle tasse costrinse i nomadi a passare a un'economia monetaria in cui, per la prima volta, il bestiame veniva venduto in cambio di denaro per corrispondere le tasse al governo. Anche altre politiche coloniali esercitarono una forte pressione sui mandriani nomadi; gli interessi commerciali francesi portarono a recintare e mercificare ampi tratti di pascoli vergini, per trasformarli in coltivazioni di cotone e arachidi, destinati all'esportazione verso il proprio mercato interno, diminuendo ulteriormente la terra disponibile per il libero pascolo. Altre potenze coloniali europee in Africa intrapresero azioni analoghe, accelerando nel continente il passaggio da un'economia di sussistenza a un'economia di mercato. Le trib nomadi si trovarono cos intrappolate fra due diversi sistemi economici, uno dipendente dal baratto, l'altro dalla moneta: non essendo pi in grado di sopravvivere con il baratto, cominciarono ad allargare le proprie mandrie, vendendo il surplus di bestiame per pagare beni di prima necessit. Al dominio coloniale europeo si accompagn la domanda di carne bovina per esportazione. Il richiamo del mercato allett molte trib, che cominciarono ad allevare bestiame, al servizio del commercio internazionale di carne; il complesso bovino, che per secoli era stato il centro culturale della vita tribale, venne indebolito dai vincoli coloniali e dalle forze del mercato. Fra gli anni Cinquanta e Sessanta, la fine del dominio coloniale europeo riusc a cambiare ben poco delle tendenze politiche ed economiche che minavano alla base la vita tribale e mettevano sotto pressione la capacit produttiva della terra. Come i predecessori colonialisti, i governi delle neo-liberate nazioni africane erano ansiosi di esercitare il controllo sulle proprie popolazioni. Lo stile di vita nomade rappresentava una minaccia per un'amministrazione ordinata dei servizi che gli stati volevano provvedere, come la sanit pubblica, l'educazione, la difesa nazionale e la tassazione. Per incoraggiare i mandriani nomadi a condurre un'esistenza pi stanziale vennero ideati nuovi metodi. Fra le nuove prassi, forse, la pi perversa fu l'introduzione in tutta l'Africa dei pozzi profondi. Le iniziative per lo sviluppo internazionale, incluse quelle della United States Agency for International Development (USAID), profusero fondi e tecnologie nella trivellazione di migliaia di pozzi. All'epoca, si riteneva che un flusso localizzato, costante e controllabile di acqua avrebbe incoraggiato i pastori a interrompere gli antichi cicli di transumanza, legati alla stagionalit delle precipitazioni, a favore di un insediamento stabile. I pastori abboccarono all'amo, e stabilirono intorno ai pozzi accampamenti semipermanenti. L'apparentemente inesauribile disponibilit di acqua a buon mercato incoraggi le trib ad aumentare la dimensione delle mandrie e, in pochi anni, i pascoli intorno ai pozzi furono completamente spogliati di vegetazione, calpestati, compattati e denudati, esauriti da un eccessivo numero di capi rispetto alla superficie disponibile. Lapp e Collins riferiscono che, nel Sahel, intorno ad alcuni pozzi, si trovavano fino a 6000 capi a pascolare, su una terra che avrebbe potuto a malapena nutrirne 600 (2). Disinteressati alle conseguenze ambientali di lungo periodo, i governi continuarono a incoraggiare la concentrazione intorno ai pozzi di popolazioni bovine sempre pi numerose, creando le condizioni per una diffusa desertificazione del continente africano. Fra il 1975 e il 1984, nella regione sudano-saheliana - una fascia di ventuno paesi che si estende da Capo Verde, sulla costa atlantica, alla Somalia, sull'oceano Indiano - la popolazione bovina aumentata del 25 per cento. In alcune aree, il numero di bovini aumentato di sei o pi volte (3). Oggi, il continente africano ospita 186 milioni di bovini: uno ogni tre persone (4). E questo in una regione in cui, per quasi due decenni, la produzione agricola non stata in grado di tenere il passo con la domanda di una crescente popolazione umana. Nelle nove nazioni dell'Africa meridionale, il numero di bovini eccede la capacit di sostentamento della terra in una misura compresa fra il 50 e il 100 per cento (5). Il crescente numero di bovini e la loro crescente concentrazione intorno a pozzi scavati dall'uomo stanno devastando l'ecologia di molte regioni africane. In Sudan, per esempio, presso i pozzi dei villaggi si trova un'area di terreni

sabbiosi di raggio compreso fra i 20 e i 40 chilometri. Con l'apertura di nuovi pozzi in aree vergini di pascolo, il processo si rinnova, creando cerchi sempre pi ampi di aree isterilite dall'eccessiva presenza di bovini. Queste zone circolari sono state battezzate aree del sacrificio: terre desolate, vittime del moderno complesso bovino (6). Oggi, mandriani e agricoltori sono in competizione per la poca terra rimasta di cui continuano a logorare la capacit rigenerativa, con pascoli o colture intensive. Il tutto, nel disperato sforzo di nutrire un numero sempre maggiore di persone, e di sopravvivere agli umori e ai capricci del mercato globale su cui non hanno alcuna possibilit di controllo. Nel tentativo di conquistare una quota crescente di mercati europei e internazionali della carne, molti paesi africani hanno compiuto una transizione completa verso un'economia di allevamento moderno, con tecnologie occidentali. In Kenya, Swaziland, Botswana e Zimbabwe, l'allevamento di bovini su scala industriale gi diventato un settore di dimensioni considerevoli. In Botswana, dove met della popolazione possiede bovini, il governo incentiva attivit di allevamento su larga scala. Per proteggere un milione e mezzo di vacche dalla concorrenza degli animali selvaggi, gli allevatori hanno teso attraverso la savana migliaia di chilometri di filo spinato; cos facendo, hanno interferito con le abitudini migratorie della fauna selvatica africana e degli altri erbivori. Recentemente, durante una stagione secca, migliaia di animali selvatici sono morti di fame e di disidratazione, alcuni dissanguati, rimanendo impigliati nel filo spinato che cercavano disperatamente di superare per raggiungere acqua e foraggio dall'altra parte (7). In alcuni paesi africani, una significativa percentuale di specie selvatiche scomparsa per sempre afferma il dottor Michael Fox, della Humane Society of the United States (8). L'eccesso di pascolo e la desertificazione sono le due cause principali di questo fenomeno. In Nordafrica, la situazione di poco migliore. Secondo il Worldwatch Institute, la popolazione umana e bovina superiore alla capacit di sostentamento della terra in Algeria, Egitto, Libia, Marocco e Tunisia. In Algeria, a nord dei Monti dell'Atlante, lo United Nations Environment Program (UNEP) riferisce che grandi insediamenti e terre coltivate sono minacciati dal progredire delle dune e dall'avanzare delle sabbie (9). In Marocco, il processo di desertificazione impone un pedaggio altrettanto salato. Il deserto del Sahara si muove inarrestabilmente verso sud, all'allarmante ritmo di 48 chilometri l'anno, coprendo regioni in passato fertili lungo un fronte di quasi 5000 chilometri (10). Secondo l'UNEP, circa 3 miliardi di ettari di terre vergini nel mondo sono interessate da fenomeni di desertificazione: pi del 25 per cento del fenomeno riguarda i ventuno paesi della regione sudano-saheliana (11). L'eccesso di pascolo e le periodiche siccit hanno creato una crisi di vaste proporzioni anche per la popolazione umana. Milioni di profughi delle aree rurali cercano di sottrarsi all'avanzata del deserto, migrando verso aree urbane gi affollate. La popolazione urbana del Sahel quadruplicata in appena vent'anni (12). In Mauritania, il 20 per cento della popolazione rurale emigrata in citt; in Burkina Faso, un sesto della popolazione del paese si trasferita in centri urbani (13). In tutto il Sahel, interi villaggi e comunit rurali si sono svuotati, e la popolazione, denutrita e impoverita, ha cercato sollievo dalla siccit e dalla desertificazione delle campagne rifugiandosi nelle citt. Nelle campagne africane, durante le grandi siccit dal 1968 al 1973 e dal 1982 al 1984, sono morte di fame 250 mila persone (14). Chi riuscito a raggiungere le citt, stato costretto a vivere in strada, sopravvivendo a malapena della carit pubblica. Nel 1974, in Niger, 200 mila persone erano completamente dipendenti dalle distribuzioni di razioni alimentari organizzate dal governo; in Mali, 250 mila (15). Le Nazioni Unite stimano che entro il 2000, Burkina Faso, Ciad, Mali, Mauritania, Niger e Senegal avranno complessivamente una popolazione urbana di 11,8 milioni di abitanti, con un incremento del 224 per cento dal 1974 (16). Il moderno complesso bovino sta distruggendo e desertificando molte regioni del continente africano, una volta rinomate per la vita selvatica, la vegetazione lussureggiante, le impenetrabili foreste e le antiche savane. Queste regioni vengono spogliate di flora e fauna da un'eccessiva attivit di pascolo (17).

Alcune zone dell'Africa vacillano sull'orlo di un irreversibile disastro ecologico, intrappolando milioni di individui in una spirale perversa le cui conseguenze sono difficilmente valutabili. Il Sahel letteralmente spazzato via dal peso e dalla forza di milioni di locuste con gli zoccoli che, incessantemente, divorano tutto ci che trovano sul loro cammino. Il suolo eroso dal vento africano viene trasportato su altri continenti (18). Oggi, milioni di piccoli allevatori africani si trovano bloccati fra la propria cultura tradizionale, solidamente legata all'antico complesso bovino, e le leggi politiche ed economiche imposte dagli stati nazionali e dai mercati internazionali. Presi fra queste due forze, sono sempre meno in grado di sopravvivere alla pressione costante dell'assalto economico e ambientale che sta facendo del continente africano un'isola sterile. 31. PLACARE LA SETE. Oggi, perfino le riserve di acqua dolce del pianeta sono minacciate dalla combinazione di siccit, eccesso di coltivazione e pascolo. In Africa orientale, le falde acquifere sono scese a profondit tali per cui nella regione si prevedono gravi carenze gi a partire da questo decennio. Sorte analoga toccher ai cinque paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo (1). Le falde acquifere del Messico e dell'India meridionale stanno precipitando rapidamente (2). L'acqua dolce, un tempo considerata una risorsa praticamente inestinguibile, sta diventando scarsa in molte aree del pianeta (3). Fra il 1940 e il 1980, a livello mondiale, l'uso di acqua raddoppiato, in gran parte per soddisfare i bisogni di una popolazione umana in rapida crescita. Il 70 per cento di tutta l'acqua consumata destinata all'agricoltura: alla coltivazione di alimenti umani e animali (4). Oggi, il l5 per cento delle terre agricole nel mondo circa 270 milioni di ettari - viene irrigato, con un consumo complessivo annuo di quasi 4000 miliardi di metri cubi d'acqua l'anno (5). Si prevede che fra breve il fabbisogno d'acqua per irrigazioni agricole aumenti fra il 25 e il 30 per cento (6). Negli Stati Uniti, soprattutto negli stati dell'Ovest, la carenza di acqua dolce a livelli critici, con un consumo che eccede del 25 per cento la capacit di rigenerazione. Sebbene gli americani si stiano rendendo conto del problema che investe la parte occidentale del paese, sono inconsapevoli del ruolo che l'allevamento di bovini e di altro bestiame ha nell'abbassamento delle falde acquifere. Quasi met dell'acqua consumata negli Stati Uniti destinata alle coltivazioni di alimenti per bovini e altro bestiame. Per produrre un chilo di carne di bovino allevato a cereali sono necessari centinaia di litri d'acqua, che servono all'irrigazione della terra su cui vengono coltivati i foraggi. L'economista Frances Moore Lapp nota che l'acqua utilizzata per produrre cinque chilogrammi di carne bovina, equivale al consumo domestico complessivo della [mia] famiglia in un anno. Ricorre a una metafora il giornalista di Newsweek, quando scrive: Nell'acqua necessaria per dissetare un manzo di 450 chili si potrebbe fare galleggiare un incrociatore. Secondo David Pimentel, produrre un chilogrammo di proteine animali richiede quindici volte pi acqua di quella necessaria per produrre la stessa quantit di proteine vegetali (8). Oggi, gran parte dell'acqua dolce disponibile in Nordamerica viene utilizzata per la coltivazione di cereali destinati all'alimentazione animale: il risultato che le falde acquifere del Midwest e delle Grandi Pianure si stanno rapidamente esaurendo, e che la carenza sta rapidamente cambiando le modalit di utilizzo dell'acqua nei settori industriali, commerciali e domestici. E' gi accaduto che, nella zona occidentale del paese, alcune citt e quartieri residenziali abbiano subito razionamenti di acqua, con forti limitazioni all'uso domestico e industriale. Di rado, per, i consumatori sono informati del fatto che il divieto di innaffiare prati, lavare automobili e utilizzare acqua per scopi di non immediata necessit, dovuto alle enormi quantit d'acqua pompate per far crescere i cereali destinati all'alimentazione di bovini e di altro bestiame.

Quasi la met dei bovini allevati a cereali negli Stati Uniti vengono cresciuti in stati del West o del Midwest, che attingono a un'unica falda. La falda Ogallala una delle pi grandi riserve sotterranee d'acqua al mondo: si estende dal Texas al South Dakota, attraverso otto stati, coprendo un'area tre volte superiore a quella dello stato di New York. Oggi, gli agricoltori attingono dalla falda Ogallala una quantit d'acqua superiore a quella che scorre annualmente nel fiume Colorado (9). Gran parte di quest'acqua pompata dagli stati cerealicoli, per irrigare la terra su cui crescono i cereali destinati ai milioni di bovini allevati nelle praterie del West e nelle stalle d'ingrasso del Midwest. Negli ultimi quarant'anni sono stati prelevati, da questa riserva sostanzialmente non rinnovabile, circa 480 chilometri cubi d'acqua. Gli idrogeologi stimano che la falda sia gi dimezzata in Kansas, Texas e New Mexico (10). In Texas, un quarto dell'acqua presente nel sottosuolo gi stata utilizzata e, nella parte settentrionale dello stato, molti pozzi in cui sono prevalenti le coltivazioni intensive di sorgo destinato all'alimentazione bovina, si stanno esaurendo. Il livello delle falde acquifere ormai cos basso che lo U.S. Department of Agriculture prevede che in meno di quarant'anni le aree irrigue delle Grandi Pianure si debbano ridurre del 30 per cento (11). In California, dove il 42 per cento dell'acqua dolce destinata all'irrigazione di cereali per alimentazione animale e all'abbeveraggio di bovini e altro bestiame, le falde acquifere sono scese cos in profondit che si registrano fenomeni di subsidenza: circa 13 mila chilometri quadrati nella San Joaquin Valley sono sprofondati, in alcuni punti di quasi dieci metri (12). Dalle falde della San Joaquin Valley viene attinta acqua a un ritmo che supera la capacit di rigenerazione di 2000 miliardi di litri all'anno (13). Gli allevatori del West hanno a lungo goduto del privilegio di accedere alle risorse idriche locali. Nei primi tempi, essi fecero in modo di costruire i propri recinti vicino a fiumi e torrenti, per soddisfare il fabbisogno d'acqua della mandria. Il controllo sui diritti d'acqua ha contribuito a garantire agli allevatori il potere politico ed economico necessario per dettare condizioni sull'uso dei territori vergini. Oggi, numerosi torrenti e fiumi che attraversano le praterie sono ridotti a rigagnoli, o completamente disseccati, a causa dell'eccesso di pascolo, dell'erosione del suolo e della desertificazione. Sfortunatamente, le attuali normative tributarie federali incentivano agricoltori e allevatori a pompare sempre pi acqua dalla falda acquifera sotterranea. In New Mexico, Texas e Kansas, il proprietario di un terreno ha diritto di sfruttamento totale della falda acquifera sottostante, per compensare il fatto che i costi di pompaggio aumentano con l'abbassamento del livello di trivellazione per raggiungere la falda (14). Anche il costo d'acquisto degli utensili di trivellazione e di pompaggio deducibile dal reddito imponibile: negli Stati Uniti, la met del costo di realizzazione di impianti di irrigazione stato sopportato dal governo federale che, in effetti, ha sussidiato agricoltori e allevatori con fondi pubblici. Negli ultimi novant'anni, il governo federale ha sponsorizzato trentadue progetti di irrigazione in diciassette stati del West, dove il 20 per cento dei terreni agricoli sono ora irrigati grazie al contributo del governo federale (15). Lapp riferisce di uno di questi progetti, nei pressi di Pueblo, Colorado, finanziato dal governo federale con 500 milioni di dollari, finalizzato a un piano di irrigazione a favore di coltivatori di sorgo, mais ed erba medica destinati ad alimentazione animale. Il GAO calcola che il costo idrico di queste coltivazioni sia prossimo a 54 centesimi di dollaro per "acre-foot" [pari a 1233,5 metri cubici. N.d.T.], anche se l'onere per gli agricoltori di soli 7 centesimi per "acre-foot" (16). Nello Utah, gli agricoltori pagano 18 dollari per "acre-foot" per l'acqua proveniente dal Bonneville Water Project, mentre il governo federale per garantire l'acqua sostiene un onere di 306 dollari per "acre-foot" (17). Spesso, secondo analisi ufficiali del governo, il valore di mercato del mangime prodotto inferiore al costo sostenuto dalle casse federali per fornire acqua. Molti agricoltori e allevatori hanno fatto fortuna traendo il massimo beneficio dai sussidi federali ai progetti di irrigazione. Oggi, secondo Lapp, un quarto delle terre irrigate grazie a progetti sussidiati dal governo federale appartiene solo al 2 per cento dei proprietari terrieri (18). Il Congresso degli

Stati Uniti stima che nel West i sussidi federali destinati a progetti di irrigazione ammontino a 2,2 miliardi di dollari; fra 500 milioni e 1 miliardo di dollari sono destinati prevalentemente a coltivatori di fibre vegetali e di cereali per alimentazione animale. Nella sola California, pi di 6 milioni di ettari irrigati con acque interessate da sussidi federali sono controllati illegalmente da potentati industriali e familiari. Analizzando l'effetto dei sussidi all'irrigazione sull'allevamento nelle regioni occidentali degli Stati Uniti, l'economista David Fields, della Cornell University, ha dato voce alle preoccupazioni di molti: Secondo una relazione del General Accounting Office, la Rand Corporation e il Water Resources Council hanno chiarito bene quanto i sussidi all'irrigazione a favore dei produttori di bestiame siano economicamente controproducenti... le attuali pratiche di utilizzo delle acque minacciano di minare alla base l'economia di tutti gli stati della regione (19). I bovini sono anche causa di un altro problema ambientale legato alle acque: infatti, ogni anno producono quasi un miliardo di tonnellate di rifiuti organici, la maggior parte dei quali, almeno negli Stati Uniti, si riversano sul terreno e penetrano nella falda, inquinando pozzi, fiumi e laghi del paese (20). Il geografo alimentare Georg Borgstrom stima che, in America, una quantit di agenti inquinanti, doppia rispetto all'intero settore industriale, sia ascrivibile ai bovini e ad altro bestiame d'allevamento (21). Gli allevamenti intensivi sono una pericolosa fonte di inquinamento organico, responsabile di circa la met degli inquinanti organici tossici rilevati nell'acqua dolce (22). Il manzo d'allevamento medio produce ogni giorno pi di 20 chilogrammi di sterco; in un allevamento medio ci sono 10 mila capi, per un totale di 200 tonnellate di sterco al giorno (23). Per inquadrare il problema nella giusta prospettiva, le scorie organiche prodotte dall'allevamento medio sono equivalenti a quelle prodotte da un insediamento umano di 110 mila abitanti (24). L'azoto dello sterco bovino si trasforma in ammoniaca e nitrati, si sparge sul terreno e percola nella falda acquifera o nell'acqua di superficie, inquinando pozzi, fiumi e torrenti, contaminando l'acqua potabile e uccidendo la fauna ittica. Con la crescita della domanda di carne bovina fra i consumatori benestanti delle nazioni industrializzate, la disponibilit di acqua dolce pura, in tutto il mondo, potrebbe ridursi drasticamente. La carenza di acqua dolce e la contaminazione delle acque di superficie stanno gi creando non poche tensioni fra paesi che condividono corsi d'acqua, ma anche all'interno di singoli paesi, fra le diverse forze sociali che, a diverso titolo, reclamano la propria quota di risorse. 32. RISCALDARE IL PIANETA. Quattromila anni fa, i sacerdoti egizi immaginavano il cielo come una gigantesca vacca, le cui zampe poggiavano sui quattro angoli del mondo. Oggi, l'immagine della vacca che oscura il cielo tornata a essere una valida metafora. Il riscaldamento del pianeta sta diventando rapidamente il problema ambientale e umano pi grave con cui la terra ha mai dovuto confrontarsi, nel corso della sua lunga storia. Il complesso bovino mondiale contribuisce alla produzione di gas serra che migrano verso gli strati alti dell'atmosfera, bloccando la dispersione di calore terrestre. Sebbene molto sia stato scritto sull'impatto atmosferico prodotto dall'uso di combustibili fossili per trasporti, produzione industriale, infrastruttura di comunicazione, case e uffici, ben poco stato detto sull'effetto delle moderne tecniche di allevamento animale in termini di produzione di gas serra. E' un dato di fatto che il complesso dei bovini nutriti a cereali sia un fattore significativo in termini di emissione di tre dei quattro principali gas serra metano, anidride carbonica e monossido di azoto - e che nei decenni a venire sia

destinato ad acquisire un'importanza sempre crescente. Il bovino, un tempo considerato sacro simbolo di fertilit, e pi recentemente diventato emblema del capitale mobile, sta ora inquinando l'atmosfera e la superficie terrestre, e trasformando la biosfera stessa in una zona contaminata da gas letali. Uno spesso strato di gas serra esistito nell'atmosfera fin da quando si originata la vita sulla terra; i gas permettono alla radiazione solare di penetrare nell'atmosfera terrestre; la superficie della terra assorbe gran parte della radiazione solare, convertendola in energia infrarossa o in calore; il calore che sale dalla terra bombarda le molecole gassose dell'atmosfera, che cominciano a vibrare; le molecole gassose, vibrando, agiscono da riflettore e ritrasmettono alla superficie terrestre parte del calore ricevuto, creando un effetto di riscaldamento. L'effetto serra una caratteristica intrinseca dell'atmosfera terrestre, ed l'elemento che, creando una fascia temperata, rende possibile la vita nella forma in cui la conosciamo. Per un lunghissimo periodo storico lo strato di gas serra rimasto sostanzialmente costante. Nell'epoca industriale, le enormi quantit di carbone, petrolio e gas naturale impiegati per avviare e tenere in movimento la civilt delle macchine, hanno fatto aumentare rapidamente il tenore di anidride carbonica nell'aria, bloccando la dispersione del calore dagli strati alti dell'atmosfera. Nel 1750, l'atmosfera terrestre conteneva approssimativamente 288 p.p.m. (parti per milione) di anidride carbonica; oggi ne contiene 350 (1). Dalla fine della guerra civile americana a oggi, le nazioni industriali, bruciando combustibili fossili, hanno scaricato nell'atmosfera 185 miliardi di tonnellate di carbonio (2). Molti scienziati prevedono che, probabilmente, il contenuto di anidride carbonica nell'atmosfera raddoppier entro la met del secolo, provocando un aumento di temperatura superiore a quelli verificatisi in passato nel corso della storia documentata (3). L'impiego di combustibili fossili responsabile per circa due terzi degli 8,5 miliardi di tonnellate di C O2 rilasciate nell'atmosfera nel 1987 (4). Il rimanente terzo proviene dall'aumentata combustione della biomassa terrestre (5). Le piante assorbono e convertono C O2 nel processo di fotosintesi clorofilliana: quando muoiono, o quando vengono bruciate, rilasciano nell'atmosfera il carbonio accumulato - spesso nel corso di centinaia di anni (6). La quantit di carbonio contenuta nella biomassa e nell'humus del suolo delle foreste mondiali eccede quella contenuta nell'atmosfera rispettivamente di 1,3 e di 4 volte. La sola foresta amazzonica contiene, nei propri alberi, circa 75 miliardi di tonnellate di carbonio (8). Quando gli alberi vengono abbattuti e bruciati, per fare posto a pascoli per bovini, emettono massicce quantit di C O2 nell'atmosfera. Solo abbattendo e bruciando porzioni di foresta amazzonica, nel 1987, fino a oggi l'anno pi significativo, circa 1,2 miliardi di tonnellate di anidride carbonica sono state rilasciate nell'atmosfera: in quell'anno, i proprietari terrieri si sono dati da fare per sfruttare al massimo gli sgravi fiscali in scadenza, previsti dalla legislazione brasiliana (9). In quell'anno, la deforestazione del bacino pluviale amazzonico ha contribuito per il 9 per cento al complesso delle fonti di surriscaldamento del pianeta (10). Altri gas serra vengono rilasciati ogni anno nell'atmosfera a causa dei periodici roghi di stoppie e di altri residui agricoli. Oggi, gran parte della combustione della biomassa dovuta specificamente all'industria della carne bovina a livello mondiale. Ogni anno, milioni di ettari di foreste tropicali vengono bruciati, vasti appezzamenti di prati a pascolo ridotti in cenere e stoppie di intere coltivazioni di cereali per alimentazione animale vanno in fumo, rilasciando milioni di tonnellate di carbonio nell'atmosfera, solo per garantire la sopravvivenza del complesso bovino alimentato a cereali. Ma la combustione della biomassa solo un aspetto del problema. L'allevamento di bovini su scala industriale contribuisce anche in altri modi al surriscaldamento del pianeta. Il nostro settore agricolo-zootecnico altamente meccanizzato, e consuma combustibili fossili in grandissima quantit. Oggi, con il 70 per cento dei cereali prodotti negli Stati Uniti destinato

all'alimentazione animale (prevalentemente bovini), la sola energia consumata per produrre il mangime rappresenta un significativo contributo all'emissione di gas serra (11). Oggi, negli Stati Uniti, per produrre mezzo chilogrammo di carne bovina necessaria l'energia equivalente a quattro litri di benzina (12). Per il fabbisogno annuo di una famiglia media di quattro persone servono pi di 1100 litri di combustibili fossili, il cui consumo rilascia nell'atmosfera 2,5 tonnellate di anidride carbonica: tanta quanta ne emette, in media, un'automobile in sei mesi di normale esercizio (13). Inoltre, per produrre i cereali da mangime destinati ai bovini necessario il ricorso a fertilizzanti petrolchimici, che emettono ossido d'azoto, un altro gas serra. Negli ultimi quarant'anni, l'utilizzo di fertilizzanti chimici drasticamente aumentato, passando da 14 milioni di tonnellate, nel 1950, a 143 milioni, nel 1989 (14). L'ossido d'azoto rilasciato dai fertilizzanti e da altre fonti incide per il 6 per cento sul surriscaldamento del pianeta (15). Infine, i bovini emettono metano, un potente gas serra. Il metano viene emesso anche da torbiere, risaie e cave, ma l'incremento della popolazione di bovini e termiti, oltre alla combustione di foreste e pascoli, la ragione del grande incremento di emissioni di metano registrato negli ultimi decenni. L'emissione di metano responsabile del 18 per cento dell'aumento del surriscaldamento del pianeta (16). I livelli di metano nell'atmosfera sono rimasti relativamente costanti per quasi 10 mila anni, fino all'era industriale. Negli ultimi trecento anni, per, la concentrazione di metano nell'atmosfera quasi raddoppiata (17). Poich la molecola di metano in grado di assorbire venticinque volte pi calore di una molecola di C O2, scienziati come Ralph Cicerone dello United State's National Center for Atmospheric Research, prevedono che nei prossimi cinquant'anni il metano possa diventare il gas serra prevalente (18). Gli scienziati gi stimano che nell'atmosfera vengano rilasciate ogni anno 500 milioni di tonnellate di metano (19). Un miliardo e trecento milioni di bovini d'allevamento emettono approssimativamente 60 milioni di tonnellate di metano ogni anno, pari al 12 per cento del totale (20). Questi dati, per quanto impressionanti, rivelano solo una parte del problema. Le foreste tropicali abbattute e bruciate per far posto ai pascoli non emettono solo C O2, ma anche metano. La combustione di materie organiche (legname di foresta, stoppie e scorie agricole) rilascia complessivamente nell'atmosfera altre 50/100 tonnellate di metano l'anno (21). Una quantit ancora maggiore di metano viene emessa dalle termiti che si nutrono degli alberi abbattuti nelle foreste pluviali tropicali: la vegetazione produce alcaloidi e sostanze come il terpene, che contribuiscono a controllare la crescita della popolazione di termiti. Quando gli alberi vengono abbattuti, le termiti sono libere di nutrirsi senza essere uccise dalle sostanze chimiche sprigionate dai vegetali: nei tratti di foresta abbattuti, esse possono aumentare anche di dieci volte. Considerando che una termite regina depone 80 mila uova al giorno, alcuni entomologi stimano che la massa complessiva delle termiti presenti sulla terra sia equivalente a 750 chili di termiti per ogni essere umano. Si sospetta che la loro crescente popolazione contribuisca con altri milioni di tonnellate all'emissione di metano nell'atmosfera (22). La cultura bovina mondiale, che gi domina gran parte della geosfera terrestre, comincia a far avvertire la propria presenza anche nella biosfera. Il costo ambientale ed economico della conservazione di una scala delle proteine artificiale, con la carne dei bovini alimentati a cereali al vertice della catena alimentare mondiale, potrebbe essere il pi alto della storia. Oggi, milioni di americani, europei e giapponesi consumano hamburger, arrosti e bistecche in quantit incalcolabili, ignari dell'effetto che le loro abitudini alimentari hanno sulla biosfera e sulla sopravvivenza della vita nel pianeta. Ogni chilogrammo di carne bovina prodotto a spese di una foresta bruciata, di un territorio eroso, di un campo isterilito, di un fiume disseccato, del rilascio nell'atmosfera di milioni di tonnellate di anidride carbonica, monossido d'azoto e metano. Per afferrare la reale portata di questa crisi, necessario comprendere a fondo il sistema di auto-regolazione della temperatura terrestre. Cos come ogni

specie animale o vegetale, anche un pianeta pu sopravvivere entro una fascia relativamente ristretta di temperature. La temperatura media della terra non aumentata di pi di 29 gradi Celsius dall'ultima glaciazione, avvenuta 18 mila anni fa. Oggi, gli scienziati prevedono che nei prossimi cinquant'anni la temperatura sulla superficie della terra possa aumentare fra i 2,2 e i 5 gradi Celsius, se le emissioni di anidride carbonica, monossido d'azoto, metano e clorofluorocarburi dovessero continuare ai ritmi attuali, bloccando la dispersione del calore attraverso gli strati alti dell'atmosfera. Molto probabilmente, una variazione di temperatura di questa portata getterebbe l'ecosistema planetario e la civilt umana in una crisi senza precedenti. Un aumento della temperatura media compreso fra i 2,2 e i 5 gradi Celsius significa che la terra, nell'arco di una generazione, attraverserebbe un processo che, in natura, impiegherebbe intere epoche geologiche a completarsi, forzando i sistemi ecologici e sociali a adeguarsi radicalmente a uno shock evolutivo. Questo metterebbe potenzialmente a repentaglio tutte le delicate interconnessioni ecologiche ed economiche che si sono stabilite fin dall'alba della storia. Entro il 2030, citt come New York e Boston potrebbero avere un clima tropicale, come l'attuale di Miami. La fascia agricola del Midwest potrebbe essere soggetta a siccit prolungate, se non a una completa desertificazione, mettendo in forse la capacit della nazione di soddisfare la propria domanda interna di cibo, oltre che l'esportazione di generi alimentari destinati ad altre centinaia di milioni di persone nel mondo. Grandi fiumi come il Mississippi per la maggior parte dell'anno potrebbero trasformarsi in giganteschi nastri di fango secco. Uragani cinquanta volte pi potenti di quelli che si verificano oggi, si potrebbero abbattere sulle coste degli Stati Uniti, distruggendo citt portuali come Baltimora, Galveston e Norfolk. Le conseguenze del surriscaldamento, a livello planetario, saranno altrettanto gravi. Gli scienziati prevedono che entro il 2050 il livello del mare possa alzarsi fra i 90 e i 150 centimetri, per l'aumento della temperatura. Ma se questo fosse tale da sciogliere le calotte polari, l'aumento del livello del mare potrebbe anche essere maggiore. L'acqua salata invaderebbe le pianure costiere, infiltrandosi nei fiumi e nei laghi, rendendone l'acqua salmastra e riducendo ulteriormente la disponibilit di una risorsa gi alquanto scarsa come l'acqua dolce. L'innalzamento del mare cancellerebbe dalle carte geografiche numerose terre e isole: le Maldive nell'oceano Indiano, le Marshall nel Pacifico e i Caraibi sarebbero sommersi dalle acque. Come la mitica Atlantide, cesserebbero di esistere, se non nella memoria collettiva dell'umanit. Le terre sommerse creerebbero una nuova massa di profughi: milioni di persone rimaste senza rifugio e senza patria perch, forse per la prima volta nella storia, la loro terra stata inghiottita dal mare. Le nazioni costiere dovranno spendere miliardi di dollari nella costruzione di dighe, per evitare il disastro. Ma, anche in quel caso, gli scienziati prevedono che l'Egitto potrebbe perdere il 15 per cento dei terreni agricoli della zona del delta del Nilo, lasciando senza terra e casa un settimo della popolazione del paese. Una perdita di tale portata produrrebbe una contrazione del Pil egiziano nell'ordine del 14 per cento, o pi (23). La Environment Protection Agency (EPA) prevede che un innalzamento del livello del mare di un metro e mezzo porterebbe alla distruzione del 90 per cento delle restanti zone umide degli Stati Uniti (24). Paesi come l'Olanda sarebbero costretti a spendere la maggior parte del proprio capitale per costruire o rafforzare dighe, per frenare l'avanzata delle acque. Il surriscaldamento planetario muterebbe anche i caratteri delle precipitazioni atmosferiche in tutte le regioni della terra. Con il cambiamento della localizzazione e della concentrazione delle piogge, i fiumi, i laghi e i torrenti che conosciamo comincerebbero a evaporare e, in qualche caso, a disseccarsi completamente: si prevede, per esempio, che il bacino del fiume Colorado perderebbe il 40 per cento della propria portata d'acqua (25). Alcuni climatologi prevedono un declino del 40 per cento della precipitazione media in tutto il Midwest americano (26). Lo spostamento delle precipitazioni a livello mondiale costringer a una completa ricostruzione dei sistemi di controllo delle acque e di irrigazione: si stima che, nei soli Stati Uniti, il costo di tali interventi possa assommare a una cifra compresa fra i 7 e i 23 miliardi di

dollari (27). In tutto il mondo, pi del 18 per cento dei terreni agricoli sono irrigati artificialmente: il costo di questa massiccia ristrutturazione potrebbe facilmente superare i 200 miliardi di dollari (28). Il forte aumento della temperatura terrestre avr le conseguenze pi pesanti a livello degli ecosistemi regionali. Secondo il Rapporto Bellagio, uno studio condotto nel 1987 da alcuni fra i maggiori climatologi del mondo, l'effetto serra determiner, probabilmente prima della fine del primo decennio del nuovo secolo, una massiccia strage di foreste: le foreste non sono in grado di migrare alla velocit con cui si sposteranno le fasce di temperatura. Sulla rivista Science, Richard Akers scrive che ogni grado di aumento della temperatura media fa spostare di 100/150 chilometri verso nord le zone climatiche. Consideriamo l'effetto di questo spostamento su una sola regione: entro sessant'anni, il clima che oggi supporta la natura dello Yellowstone National Park si sar spostato nel Nord del Canada. Gli alberi non possono migrare alla velocit imposta dall'effetto serra (29). In ogni regione del globo, interi ecosistemi - alberi, insetti, microbi, animali - saranno vittima di questi rapidi cambiamenti climatici e moriranno. I sistemi economici, fortemente dipendenti dagli ecosistemi, avranno difficolt sempre maggiori, e in qualche caso non potranno adeguarsi ai rapidi cambiamenti climatici e alle imprevedibili fluttuazioni della piovosit e di altre variabili ambientali. Il conseguente disastro dell'economia globale di mercato avr proporzioni incalcolabili, perfino inimmaginabili. Oggi, quasi tutte le nazioni del mondo stanno prendendo decisioni rispetto al loro sviluppo futuro, sulla base della falsa prospettiva che fra cinquant'anni l'ambiente climatico che da sempre caratterizza la loro terra continui a sussistere. Al termine del World Climate Program del l985, gli scienziati di venticinque paesi industrializzati e sviluppati hanno avvertito l'opinione pubblica: Molte decisioni economiche e sociali prese oggi, rispetto a progetti a lungo termine come l'irrigazione e la produzione di energia idroelettrica, la lotta alla siccit, l'agricoltura, l'utilizzo della terra, la progettazione delle strutture, lo sviluppo delle aree costiere e la pianificazione energetica, si fondano sull'ipotesi che i dati climatici del passato costituiscano un affidabile punto di riferimento per il futuro. Questa non pi un'ipotesi valida, dato che, nel prossimo secolo, il progressivo aumento della concentrazione dei gas serra provocher un significativo aumento della temperatura del globo (30). Anche le pi banali attivit economiche, che generalmente diamo per scontate, probabilmente verranno impedite. Consideriamo, per esempio, la progettazione delle nostre infrastrutture sociali: i palazzi, le dighe, i ponti, le strade, i sistemi fognari, i canali e le macchine di oggi sono pensati e progettati con una tolleranza agli stress climatici che fra cinquanta o cent'anni non sar pi ragionevole. Jesse Ansubel, della National Academy of Engineering, esprime il sentimento di profondo sconcerto che si sta diffondendo nella comunit degli ingegneri, quando si domanda: Cosa fare, quando il passato non rappresenta pi una valida guida per il futuro? (31). Il surriscaldamento del pianeta il prezzo dell'era del progresso: rappresenta i milioni di tonnellate di energia consumata nell'era moderna. La biosfera si comportata come un gigantesco registro contabile cosmico, annotando in dettaglio tutti gli sprechi dell'era industriale. In questo registro, il complesso bovino moderno ha un posto di primo piano: per soddisfare la domanda di carne del mercato, infinite molecole di anidride carbonica, di metano e di monossido di azoto hanno dovuto migrare verso gli strati alti dell'atmosfera. E oggi, probabilmente sar la biosfera a dire l'ultima parola sull'espansione a occidente delle culture bovine, iniziata 6000 anni fa nelle steppe eurasiatiche. Il cambiamento del clima, l'accorciarsi delle stagioni agricole, il mutamento delle precipitazioni atmosferiche, l'erosione del suolo e l'avanzata del deserto potrebbero suonare la campana a morto per il complesso bovino e per un'artificiosa scala delle proteine eretta a sostegno della cultura dei bovini nutriti a cereali.

Parte sesta. LA COSCIENZA DELLE CULTURE CARNIVORE. 33. PSICOLOGIA DELLA BISTECCA. Prima dell'era moderna, i nostri antenati si rivolgevano agli di e agli spiriti per essere aiutati a procacciarsi il cibo, la sostanza della vita; per garantirsi la prosperit, si affidavano al rito, alla drammatizzazione dei miti sacri, al sacrificio animale e umano. Oggi, per perseguire il medesimo fine, ci rivolgiamo alla scienza e a nuove pi potenti tecnologie: sono questi gli strumenti che ci consentono di appropriarci della forza vitale che ci circonda, a vantaggio della nostra sopravvivenza e del nostro benessere. Verso questi istinti primordiali, gli uomini hanno sempre avuto sentimenti contrastanti. L'eroe della "Histoire Contemporaine" di Anatole France, Monsieur Bergeret, lamenta cos la cruda realt dell'esistenza umana: No, ... preferisco credere che la vita organica sia una malattia speciale del nostro brutto pianeta. Sarebbe intollerabile pensare che nell'universo infinito non si facesse altro che mangiare ed essere mangiati (1). Divorare il mondo , al medesimo tempo, piacevole e lacerante. Negare la vita a un altro essere per poter vivere un'esperienza dolorosa; eppure, consumare i frutti della conquista intimamente soddisfacente e ci rende profondamente consapevoli della nostra vitalit. Il letterato Elias Canetti disse che ciascuno re in una terra di cadaveri. Se ci fermassimo un momento e riflettessimo sul numero di creature e di risorse della terra, sulla quantit di materia di cui ci siamo appropriati e che abbiamo consumato nel corso della nostra vita, rimarremmo annichiliti dalla dimensione del massacro e della spoliazione necessari per garantirci un'esistenza agiata. Mangiare in stretto rapporto con "eros" e "thanatos", con la vita e la morte. Cechov, pieno di gioia di vivere, esclam: Che cosa lussureggiante la natura! Potrei coglierla e mangiarla ... penso che potrei divorarla tutta, comprese le steppe e i paesi stranieri. Facendo eco all'esuberanza di Cecov, Robert Browning dichiar di amare fiori e foglie al punto da desiderare di mangiarli (2). L'atto di consumare il mondo pieno dell'irrequieta tensione fra amore e abbandono, fra esuberanza della vita e spettro terrificante della morte: per questo che l'esercizio del potere sulla natura ci riempie di eccitazione e passione da una parte, ma, dall'altra, di disgusto e ripulsa. Pi di qualsiasi altra esperienza, mangiare ci mette in rapporto con il mondo naturale. L'atto, in se stesso, eccita tutti i nostri sensi: gusto, olfatto, tatto, udito e vista. Conosciamo la natura in buona parte attraverso i modi che abbiamo di consumarla. Mangiare stabilisce uno dei pi primordiali legami fra gli uomini ed per questo che, in molte culture, mangiare considerato un atto sacro, una comunione, oltre che un gesto di sopravvivenza e di rigenerazione. Mangiare, dunque, ci che connette cultura e natura, ordine sociale e ordine naturale. Anne Murcott afferma che il cibo l'ideale 'mediatore' perch, mangiando, stabiliamo - in senso letterale - una diretta identit fra noi (la cultura) e il nostro cibo (la natura) (3). Lo psicologo di origine austriaca Bruno Bettelheim riteneva che l'esperienza del mangiare condiziona, nel senso pi ampio, il nostro atteggiamento nei confronti del mondo (4). L'antropologo e filosofo francese Roland Barthes afferma che il modo in cui una cultura si appropria delle altre creature, i tipi di creature di cui si ciba, il modo in cui queste vengono preparate e servite non che una forma sofisticatamente orchestrata di comunicazione, che diffonde i valori, le credenze e i principi pragmatici che caratterizzano la cultura nella sua interezza (5). Scrive:

A cosa serve il cibo? Non solo una gamma di prodotti che possono essere utilizzati ... E' anche, nello stesso tempo, un sistema di comunicazione, un corpus di immagini, un protocollo di usi, situazioni e comportamenti (6). Le regole e i regolamenti, le compensazioni e le esenzioni che una cultura stabilisce per il nutrirsi della natura sono, al tempo stesso, moda e visione del mondo. Si detto che la storia dell'uomo intelligibile solo nel contesto della storia del cibo. E questo particolarmente evidente nelle culture carnivore. L'influenza delle moderne culture bovine stata pervasiva e ha dato forma e risposta a domande sulle differenze di genere e di classe, sull'identit nazionale, sulle politiche coloniali, perfino sulla teoria della razza. Anzi la portata psicologica del complesso bovino moderno si estesa ben oltre, condizionando perfino la nostra concezione di tempo e spazio, e i principi che costituiscono la moderna visione del mondo. 34. CARNE E GERARCHIE DI GENERE. Nonostante tutte le evidenti differenze di contesto e d'interpretazione, la maggior parte delle moderne culture bovine condivide un nucleo di valori. Il loro esame pu contribuire a chiarire in che modo possibile superare la cultura della bistecca, in questo nuovo secolo. Joseph Campbell descrive i caratteri fondamentali che distinguono le culture agricole da quelle venatorie: l'interesse delle prime rivolto alla crescita e alla rigenerazione; quello delle seconde, all'uccisione e alla morte (1). Questi due differenti approcci al nutrirsi della terra comportano due contrapposte visioni del mondo. La coltura delle piante richiede cure e nutrimento; attivit ben diverse dall'appostamento e dalla cattura. Le piante sono considerate non prede e propriet, piuttosto eredit o doni della generosit della terra. Nelle societ strettamente agricole, l'"ethos" prevalente la capacit generatrice. Il mondo vegetale, come quello animale, provvede l'uomo di cibo, abiti e riparo; ma il rapporto fra uomo e fonte del nutrimento deriva da un modello cosmologico fondato sul grande ciclo della natura: quello che Mircea Eliade chiama l'eterno ritorno. Nelle societ agricole, strettamente legate al ciclo vitale della natura, la rigenerazione - l'istinto vitale - sempre al centro della visione cosmologica. Le culture premoderne che si affidano prevalentemente alla carne per soddisfare i propri bisogni alimentari, vestimentari e di costruzione, sono pi vicine al gesto di uccidere delle culture fondate sulla coltivazione dei cereali; nelle culture carnivore, scrive Joseph Campbell, l'oggetto principale di esperienza la bestia. Uccisa e macellata, essa concede all'uomo la sua carne perch si trasformi nella sua sostanza, in denti per i suoi ornamenti, in pelle per vesti e tende, in tendini per corde, in ossa per utensili. Attraverso la morte la macellazione e le arti della cucina, della concia, del cucito, la vita animale si trasferisce interamente a quella umana (2). Lo spargimento di sangue permea queste societ. Fra natura e cultura esiste un confine labile, e questo particolarmente evidente nella preparazione del cibo. L'antropologo francese Claude Lvi-Strauss sottolinea come l'arte culinaria sia il principale mediatore fra cultura e natura. Solo la specie umana cucina il proprio cibo, creando un legame indissolubile fra civilt e mondo naturale. L'arte culinaria anche il mezzo universale attraverso cui la natura viene trasformata in cultura, e le categorie culinarie sono sempre adatte a essere utilizzate come simbolo della differenziazione. Il cibo, secondo Lvi-Strauss, pu essere suddiviso in tre categorie. I cibi si presentano, infatti, all'uomo in tre condizioni fondamentali: crudi, cotti o

putridi (3). La cottura trasforma l'alimento crudo in cibo, tenendo temporaneamente a freno il naturale processo di decomposizione. Il modo in cui viene cucinata la carne, a sua volta, fornisce un'utile interpretazione della natura di un popolo, dei suoi valori, delle sue istituzioni e della sua visione del mondo. Le culture carnivore tendono a preferire l'arrostito al bollito, perch pi vicino allo stato naturale della carne. Le societ agropastorali, che allevano e coltivano, tendono a utilizzare entrambi i metodi di cottura. Le culture vegetariane, invece, tendono a cucinare raramente la carne e a bollire gli alimenti. Lvi-Strauss spiega la differenza psicologica fra arrostire e bollire, sottolineando che nell'arrostire la carne viene esposta direttamente al fuoco e mantiene molti caratteri della carne cruda. La bollitura, invece, richiede due mediazioni: la carne viene collocata in una pentola colma d'acqua, che viene, a sua volta, posta sul fuoco. Il recipiente e l'acqua mediano fra la carne e il fuoco, creando una pi netta separazione fra cultura e natura (4). Arrostire, afferma Lvi-Strauss, crea solo un muro sottile fra civilt e mondo naturale: di solito, la carne viene bruciata all'esterno, ma lasciata rossa, quasi sanguinolenta, all'interno, rendendo l'alimento pi simile al suo stato crudo che cotto. La carne arrosto bruciata su un lato e lasciata cruda sull'altro, o cotta all'esterno, ma cruda e sanguinolenta all'interno, esprime l'ambiguit fra crudo e cotto, fra natura e cultura. Fra molte trib di indiani americani e presso altre civilt di cacciatori-raccoglitori, l'arrostire attivit deputata al maschio, mentre la bollitura affidata alla femmina. Il gesto di arrostire associato alla mascolinit, alla baldanza, alla caccia, al culto del guerriero. Bollire, afferma Lvi-Strauss, pi economico e meno dispendioso che arrostire: Il bollito comporta un metodo di conservazione integrale della carne con tutti i suoi succhi, mentre l'arrosto si accompagna alla distruzione o alla perdita dei succhi stessi. Il primo richiama, dunque, l'idea di economia, l'altro di prodigalit; uno popolare l'altro aristocratico ... Il bollito la vita, l'arrosto la morte (5). La carne arrosto sempre stata associata con il potere, il privilegio, la festa; quella bollita con la frugalit e con valori terapeutici e rigenerativi. Nell'Europa medievale, il bue o altri animali arrosto erano serviti alla mensa degli aristocratici e dei signori della guerra, mentre il bollito di carne era la norma per i contadini, i braccianti agricoli e gli uomini liberi delle citt. L'arrosto, in molte culture, riservato ai giorni di festa: il pranzo della domenica, le festivit religiose, i banchetti e i matrimoni. Il bollito pi comune, banale, non conferisce status sociale e non genera aspettative o eccitazione. L'arrosto associato con la forza, il valore, la virilit; i manuali di cucina dell'epoca edoardiana raccomandano, invece, i cibi bolliti come adeguatamente blandi per i malati (6). Non sorprende che le culture carnivore dominanti in America, Europa e Australia preferiscano l'arrosto al bollito; i signori della guerra dell'Europa medievale, i proprietari terrieri della prima epoca moderna, gli uomini della frontiera lungo l'Appalachian Trail, i cowboy delle Grandi Pianure, gli esploratori e gli scopritori di nuovi mondi ricorrevano alla cottura arrosto per mediare la relazione con la propria preda. Nessuno ha mai immaginato un cowboy davanti a un piatto di manzo bollito. Perfino oggi, nell'America postindustriale, l'immagine tipica della cultura della bistecca - la scena dei cowboy che, intorno al fuoco, arrostiscono la carne di manzo - viene replicata ogni sera, in estate, milioni di volte, nei giardinetti ben curati delle villette di periferia, quando l'uomo di casa accende la carbonella (o la bombola di metano) e posa la costata sulla griglia rovente. Di tutti i cibi, la carne bovina rossa conferisce il maggiore status. In quasi tutte le culture carnivore, la carne rossa, e particolarmente quella di manzo, si trova al vertice della piramide alimentare, seguita, nell'ordine, da pollame, pesce e altri prodotti di origine animale, come uova e formaggio (7). Carne rossa e manzo sono particolarmente apprezzati per le qualit che vengono loro attribuite: da secoli regge a ogni prova contraria la convinzione che il sangue presente nella carne rossa conferisca a chi la mangia forza, aggressivit,

passione ed energia sessuale: tutte virt apprezzate dai popoli carnivori (8). Il sangue rappresenta la forza vitale dell'animale (9). E' intriso di spirito, o manna. I cavalieri delle steppe eurasiatiche, spesso impossibilitati a fermarsi abbastanza a lungo per uccidere un animale e arrostirlo, praticavano piccole incisioni sulla pelle dell'animale e con l'ausilio di piccole cannucce, ne succhiavano il sangue per nutrirsi e rafforzarsi, soprattutto nel corso di prolungate campagne militari. Oggi, in alcune parti della Spagna meridionale, ancora comune che le donne, il giorno dopo la corrida, si rechino dal macellaio chiedendo una bistecca del toro pi coraggioso per la cena del marito, in modo da garantirgli forza e mascolinit (10). Nelle culture tradizionali, il sangue anche considerato come portatore di eredit: le linee di sangue sono da sempre considerate il modo pi semplice per definire le gerarchie sociali; come abbiamo gi notato, l'aristocrazia britannica era ossessionata dalla selezione di una razza bovina superiore e faceva ogni sforzo per mantenere linee di sangue pure nelle sue mandrie. Consumando bestie aristocratiche, i nobili inglesi si assicuravano una qualit eccelsa e pura di ci che si sarebbe trasformato nel loro sangue, mantenendoli forti e puri nello spirito. Il sangue contenuto nella carne rossa veniva anche considerato stimolante della passionalit: il sangue era associato a immagini di aggressivit e di violenza, doti particolarmente gradite in un soldato, in uno sportivo, in un amante. Ai soldati, prima della battaglia, spesso veniva offerta carne rossa; altrettanto accadeva agli atleti, prima dell'ingresso nello stadio. Da sempre si ritenuto che mangiare carne cruda eccitasse la passione sessuale. John Newton, capitano di una nave per il trasporto di schiavi, racconta di come avesse deciso di abbandonare il consumo di carne durante un viaggio, dopo essersi convertito alla religione: sperava che astenersi dal mangiare carne gli avrebbe impedito di desiderare sessualmente le schiave (11). Nel diciannovesimo secolo, gli educatori spesso raccomandavano di eliminare la carne rossa dalla dieta degli adolescenti maschi, sostituendola con un'alimentazione vegetariana, che il pi grande aiuto che possiamo dare ai giovinetti, affinch non indulgano nell'abuso di s (12). Le carni rosse, soprattutto quelle bovine, sono associate alla mascolinit e a qualit maschili, mentre le carni bianche, esangui, sono state associate alla femminilit e alle qualit femminili. Durante l'epoca vittoriana e nei primi anni del ventesimo secolo, i giornali di salute spesso suggerivano una riduzione dell'assunzione di carne [rossa] alle donne gravide e alle puerpere, mettendo invece enfasi su piatti di pesce, uova e carne bianca, pi delicati e leggeri. I piatti descritti non solo rispecchiavano la 'delicata' condizione femminile, ma evitavano di stimolare quelle qualit 'sanguigne' che sembravano inadatte a chi doveva assumere il ruolo di nutrice (13). Gli invalidi venivano trattati in modo analogo, nutriti con una classica dieta 'bassa' di pesce al vapore, pollo bollito e uova in camicia (14). La carne rossa era considerata perfino troppo forte per essere consumata da intellettuali, uomini di lettere, contabili e impiegati (15). Una gerarchia della carne esiste in quasi tutte le culture carnivore, e separa gli individui per generi. A tale proposito, le culture della bistecca differiscono fondamentalmente dalle societ tradizionali agrarie: raramente queste ultime sviluppano una gerarchia alimentare altamente stratificata. Anche se esistono, nelle culture agrarie le gerarchie di genere sono meno evidenti, diverse dalla rigida piramide alimentare cos caratteristica delle societ carnivore: nei comportamenti alimentari c' maggiore egualitarismo. In una ricerca condotta su pi di un centinaio di culture non tecnologiche, l'antropologa Peggy Sanday ha rilevato, non inaspettatamente, che le economie fondate sugli animali erano dominate dal maschio, mentre quelle fondate sui vegetali sono pi orientate verso il polo femminile. Le economie animali sono caratterizzate da divinit maschili, da patrilinearit e da gerarchie di genere che pongono il maschio al vertice della piramide sociale. Le donne hanno la quota maggiore di carico di lavoro ed eseguono quasi tutte le attivit manuali a basso valore aggiunto. Al contrario, le culture basate sulle piante sono caratterizzate dalla femminilit e dalla matrilinearit, e sono pi egalitarie sotto il profilo economico (16). Poich le donne hanno un ruolo fondamentale

nella raccolta del cibo, sono in grado di raggiungere una posizione di relativa uguaglianza con l'uomo nelle relazioni sociali. Sanday ha anche scoperto che, al contrario di quanto accade nelle culture basate sugli animali, in cui la carne sempre utilizzata anche come strumento per sottolineare differenze di genere e stabilire rango e gerarchia, nelle culture basate sulle piante le donne non sono discriminate attraverso la distribuzione del cibo (17). Ancora oggi, nel mondo moderno dell'alta tecnologia e della sensibilit postindustriale, la primordiale divisione fra piante e animali, femmina e maschio, continua a caratterizzare la societ. Gli antichi complessi bovini della civilt occidentale hanno impresso un'impronta indelebile sulla coscienza della nostra specie. Hegel scrisse: La differenza fra uomo e donna come quella fra animali e piante. L'uomo corrisponde all'animale, e la donna alla pianta, perch il suo sviluppo pi placido (18). Lo stesso sistema di gerarchia che colloca il maschio e la carne al vertice della piramide sociale, continua a collocare femmine e piante alla sua base. Nel suo "The Sexual Politics of Meat", Carol J. Adams ci rammenta quanto a fondo queste differenze di alimentazione e di genere siano entrate a far parte del patrimonio psicologico collettivo e individuale. La carne, per esempio, ha un significato che va ben oltre quello di semplice alimento. Nelle culture occidentali, la carne cos importante da essere utilizzata in senso metaforico per rappresentare l'essenza di qualcosa. Nella lingua inglese, abbiamo "meat of the matter" [il nocciolo della questione], "a meaty question" [una domanda fondamentale]. "To beef up" sta per rafforzare e migliorare (19). Nella nostra societ, invece, i vegetali rappresentano lentezza, monotonia, stupidit. In una societ fortemente dinamica, dove l'immagine del successo associata alla velocit e alla mobilit, chi conduce un'esistenza vegetativa considerato con disprezzo. Di una persona in stato di morte cerebrale si dice che diventata un vegetale. Le piante richiamano alla mente concetti di passivit, una qualit che gode di scarsissima considerazione in un contesto sociale che premia l'iniziativa e l'assunzione di rischi. Nel diciannovesimo secolo, le donne descrivevano gli uomini con termini quali bisteccone, manzo, animale; gli uomini si riferivano alle donne come fiore, rosa, bocciolo. Comparando spesso gli uomini alla carne e le donne alle piante, l'ordine sociale in grado di riprodurre un sistema in cui gerarchia alimentare e di genere si rafforzano reciprocamente. Nonostante i progressi del movimento femminista moderno, le antiche differenze e prassi che caratterizzano la cultura della bistecca continuano a rafforzare le discriminazioni alimentari e di genere. L'antropologo francese Pierre Bourdieu afferma che fra i francesi prevalgono ancora miti sul rapporto fra carne e genere: Si conf all'uomo mangiare e bere cose forti ... [L'uomo] lascia alla donna e ai bambini solo le briciole. I salumi sono roba da uomini ... mentre le "crudit", come le insalate, sono roba da donne... (20). Ci che lega uomo e carne, al vertice della catena alimentare e dell'ordine sociale sono dettagli vari e complessi. Per esempio, nelle culture carnivore, gli uomini sono convinti che mangiare carni rosse sia pi mascolino e virile che nutrirsi di carni bianche e pesce. Secondo Bourdieu: Il pesce tende a essere considerato un cibo inadatto al maschio, non solo perch leggero e non sazia a sufficienza ... ma anche perch, come la frutta, una di quelle cose 'delicate' che le mani maschili non riescono a manipolare e che fanno sembrare il maschio incapace e goffo ... Soprattutto perch il pesce deve essere mangiato in un modo che contraddice totalmente il modo maschile di mangiare, cio con controllo, a piccoli bocconi, masticando adagio, per via delle lische... L'identit maschile - quella che viene definita virilit - si esprime anche attraverso il modo di mangiare: sbocconcellare da donne; il vero maschio sbrana (21).

Bourdieu ne conclude che la carne [rossa], cibo nutriente per eccellenza, forte e fortificante, che d vigore, fa sangue e rende sani, un cibo da uomini (22). Da tempo i maschi usano la carne come strumento di controllo sociale, per condizionare le donne e far loro accettare un ruolo sociale subalterno. In Indonesia, per esempio, la carne considerata propriet del maschio. Alle feste... viene distribuita alle famiglie in base alle rispettive componenti maschili... il sistema di distribuzione rinforza il prestigio del maschio in ambito sociale (23). In nessun altro luogo la gerarchia della carne evidente quanto in Inghilterra. Nella prima indagine nazionale sui comportamenti alimentari, condotta nel 1863, i ricercatori scoprirono che, nelle aree rurali, donne e bambini si nutrono di patate e mangiano la carne con gli occhi (24). Nelle classi operaie urbane e fra i poveri, le donne riferivano di serbare la carne per i mariti, ritenendo che fosse giusto riservarla all'uomo, in modo che potesse affrontare adeguatamente il proprio ruolo di produttore di reddito; secondo l'indagine, le donne mangiavano carne in media una volta la settimana, gli uomini la consumavano quasi quotidianamente (25). Ben poco cambiato nelle abitudini alimentari dei poveri delle aree rurali e della classe operaia urbana, negli ultimi cento anni. Se la carne molto costosa o rara, quasi sempre riservata al capofamiglia. In un'indagine condotta in piccole citt dell'Inghilterra settentrionale, alla fine degli anni Settanta, su duecento donne della classe operaia, i ricercatori scoprirono che il maschio che porta a casa il pane era sempre favorito nella quantit e qualit della sua porzione di carne (26). Fra le carni, il massimo pregio era attribuito a un taglio della coscia, esteso anche alle bistecche e allo spezzatino; i piatti di carne macinata, gli stufati e i pasticci al forno occupavano una posizione intermedia, insieme a carni come il fegato e la pancetta affumicata (27). E' interessante notare come la perdita del posto di lavoro da parte del capofamiglia corrispondesse anche a una perdita di privilegio nel consumo alimentare (28). La razione di carne era spesso ridotta in proporzione alla perdita della capacit di produrre reddito, senza dubbio per questioni di risparmio, ma anche per far capire all'uomo, in maniera inequivocabile, che, insieme all'occupazione, aveva perso la posizione di privilegio in seno alla famiglia. Riconsiderando i dati raccolti, Marion Kerr e Nicola Charles sono giunti alla conclusione che la carne senza dubbio rappresenta la pi evidente manifestazione del privilegio del maschio adulto (29). Anche in paesi come gli Stati Uniti, dove la carne stata sempre disponibile e a buon mercato, la prassi prevalente ha sempre favorito i maschi nella gerarchia alimentare. Adams ha condotto una ricerca casuale sui ricettari di cucina americani e ha notato come gli autori tendano a sostenere numerose, se non la maggior parte, delle antiche discriminazioni e a rinvigorire i miti. Alle lettrici viene suggerito di includere, nel menu per la festa del pap, un arrosto di manzo perch un pasto con una robusta portata di carne preferito dai padri di famiglia. In un capitolo di un ricettario popolare, intitolato "Feminine Hospitality", si consiglia alle donne di servire verdure, insalate e zuppe quando si hanno amiche ospiti a pranzo (30). Per colmo d'ironia, ma forse comprensibilmente, mentre le nostre moderne culture tecnologiche si allontanano inesorabilmente da modalit di lavoro fisico che premiano la forza bruta e la virilit, molti uomini sembrano sempre pi che mai determinati a perpetuare il mito del maschio carnivoro. Il dietologo Jean Mayer ipotizza che la ragione possa avere a che fare con il fatto che quanto pi un uomo sta tutto il giorno seduto alla scrivania, tanto pi desidera essere rassicurato sulla propria mascolinit consumando grosse fette di carne sanguinolenta, ultimo simbolo del machismo (31). Se vi fossero ancora dubbi sul potente simbolismo che le culture occidentali

attribuiscono alla carne e al machismo, le statistiche che mettono in relazione violenze domestiche e consumo di carne sono tanto rivelatrici quanto sconfortanti; le autorit riferiscono che gli uomini usano spesso il pretesto della mancanza di carne per usare violenza contro le donne. Convinti di essere privati della propria mascolinit attraverso la negazione della carne, i mariti spesso picchiano le mogli, con rabbia a volte incontrollabile. Una moglie percossa racconta che la cosa spesso comincia con un litigio per una cosa da poco, come un sandwich al formaggio, anzich alla carne (32). Un'altra donna ha riferito, nella propria denuncia: Un mese fa mi ha gettato addosso dell'acqua bollente, lasciandomi una cicatrice sul braccio, e tutto perch gli avevo preparato per cena una torta salata, anzich carne fresca (33). L'identificazione della carne cruda con il potere, il dominio e il privilegio maschile fra i pi antichi e arcaici simboli sopravvissuti nella civilt moderna. Il fatto che la carne, e soprattutto quella bovina, sia ancora utilizzata come strumento di discriminazione sessuale, testimonia la tenacia di prassi alimentari e miti preistorici, e l'influenza del cibo e della dieta sulla politica della societ. 35. CARNE, CLASSE E NAZIONALISMO. Se il consumo di carne stato utilizzato a lungo come potente agente di condizionamento, a protezione di un ordine sociale dominato dal maschio, servito anche come segnale di appartenenza a una classe, elemento di separazione fra ricchi, benestanti, poveri e diseredati. Nell'era moderna, secondo Leslie Gofton, il consumo alimentare... uno strumento di differenziazione sociale, una materializzazione della disuguaglianza di classe (1). Certamente, l'esperienza americana testimonia il potere simbolico della carne bovina al fine di determinare confini chiari e marcati di status, successo e realizzazione. Per le ondate di immigranti europei, che nella loro terra natale non avevano che rare occasioni di mangiare carne, riservata alla tavola dell'aristocrazia e della borghesia mercantile, la bistecca fumante, il succulento spezzatino, il taglio della coscia... erano simboli di ricchezza quanto i colletti inamidati, il mantello a ruota e il cappello a cilindro (2). Nell'America del diciannovesimo secolo era comune, fra i lavoratori pi benestanti - la cosiddetta aristocrazia del lavoro - investire in bistecche una quota rilevante della ricchezza appena conquistata. In alcuni settori, gli immigranti usavano sottolineare il raggiungimento dello status di lavoratore americano concedendosi bistecca a colazione tutti i giorni. I macchinisti delle ferrovie e i lavoratori edili si cucinavano la bistecca sul piatto di una pala riscaldato alla brace della caldaia o della forgia di un fabbro (3). Molti gruppi di immigranti erano talmente ansiosi di americanizzare i propri costumi alimentari, iniziandosi alla cultura della bistecca, da rifiutarsi di prestare orecchio ai riformatori sociali dell'epoca, che li spingevano a consumare pi stufati e carni in umido, per risparmiare. Al contrario, questi erano disposti a sacrificare ogni altro bisogno alla carne, convinti che, in America, uno dei simboli del successo fosse mangiare carne arrosto o bistecca (4). Nel diciannovesimo secolo e nei primi decenni del ventesimo, la carne bovina evocava potentemente l'immagine del successo e dello status, giocando un ruolo sociale non dissimile da quello acquisito dall'automobile in anni pi recenti. L'ingresso nella cultura della bistecca era considerato da molti immigranti come un essenziale rito di passaggio alla classe media americana, il pi ambito di tutti i traguardi. Potersi permettere una dieta a base di bistecca e arrosto era una sorta di rassicurazione psicologica, la dimostrazione di essere entrati a far parte della bella vita. Un immigrato tedesco riferiva con stupore: Dove mai, nel mio paese, si poteva trovare un lavoratore che mangiasse carne tre volte al giorno?. Commentando l'incapacit del socialismo europeo di

prendere piede stabilmente in America, l'economista tedesco Werner Sombart ha attribuito la responsabilit al fatto che i lavoratori americani consumavano una quantit di carne tripla rispetto ai tedeschi, scrivendo lapidariamente: Sullo scoglio della bistecca e della torta di mele sono naufragate tutte le utopie socialiste (5). Nell'era moderna, il consumo di carne ha condizionato tanto le aspirazioni di classe quanto lo spirito nazionalista. Nel diciottesimo e nel diciannovesimo secolo, il consumo di carne fu un potente simbolo del nazionalismo: abbiamo gi parlato dell'identificazione degli inglesi con il "roast-beef"; i francesi erano egualmente attaccati alla loro "steak", che consideravano un simbolo del prestigio della Francia nel mondo. Roland Barthes ne canta le lodi: Il prestigio della bistecca... deriva dal suo essere quasi cruda, il sangue visibile. Essa naturale, densa, nello stesso tempo compatta e sottile. E' facile immaginare l'ambrosia degli antichi come una sostanza altrettanto pesante, che resiste ai denti dando a chi la mastica la piena, simultanea consapevolezza della propria forza originaria e della capacit di trasmetterla al sangue dell'uomo; il sangue la "raison d'tre" della bistecca (6). Per un francese, afferma Barthes, mangiare una bistecca una comunione, un atto patriottico che unisce l'individuo allo stato (7). [La bistecca]... una propriet francese. Come accade per il vino, non esiste vincolo dietologico che possa indurre un francese a non desiderare una bistecca. Le rare volte che si reca all'estero, ne ha nostalgia... Essendo parte della nazione, segue una scala di valori patriottici: aiuta il popolo a sollevarsi in tempo di guerra, la carne stessa del soldato francese, la propriet inalienabile che non pu passare al nemico se non per tradimento (8). Non sorprendentemente, la psicologia della bistecca ha anche avuto una funzione fondamentale nella creazione della teoria della razza, ed stata utilizzata per giustificare la politica coloniale e la sottomissione dei popoli stranieri. Molti intellettuali del diciannovesimo secolo erano convinti che la gerarchia alimentare che dai vegetali portava alla carne rossa fosse parallela alla gerarchia evolutiva che conduceva dal selvaggio, dal quasi bruto delle razze di colore, al civilizzato delle razze bianche caucasiche. George Beard, celebre e influente medico del diciannovesimo secolo, fu il primo ad avanzare l'ipotesi che le razze umane superiori fossero naturalmente predisposte a nutrirsi di alimenti ai vertici della catena alimentare, a causa della loro natura pi evoluta (9). Beard affermava che attraverso la civilizzazione, o la malattia, l'uomo diventa pi sensibile e perci deve diminuire la quantit di cereali e di frutta, che si trovano molto pi in basso di lui nella scala dell'evoluzione, aumentando invece la quantit di alimenti di origine animale, che gli sono pi prossimi nella scala evolutiva e, perci, per lui pi facilmente assimilabili (10). Beard concep un'elaborata teoria razziale, mettendo insieme preconcetti popolari sociali e biologici dell'epoca e antichi miti europei sulla superiorit delle popolazioni carnivore; ancora una volta, come nel caso delle distinzioni di sesso e di classe, l'associazione carne/superiorit, vegetali/inferiorit, fu sfruttata per creare un ulteriore confine: quello che separa le potenze coloniali bianche dai popoli indigeni neri, rossi e gialli. Perch selvaggi e semiselvaggi sono in grado di sopravvivere grazie a forme di nutrimento che, secondo la teoria dell'evoluzione, dovrebbero trovarsi molto pi in basso di loro nella scala dello sviluppo?... [Perch i selvaggi sono] poco diversi dal ceppo animale da cui sono derivati; sono pi vicini alle forme di vita di cui si cibano di quanto lo sono i pi civilizzati lavoratori intellettuali, e perci possono trarre sussistenza da forme di vita che sarebbero quasi velenose per individui come noi (11).

Come molti suoi contemporanei, Beard riteneva che la superiorit militare e commerciale britannica nel mondo fosse, almeno in parte, attribuibile ai costumi alimentari carnivori. Poich i mangiatori di carne sono per natura pi in alto nella scala evolutiva, quindi pi adatti a sopravvivere dei loro concorrenti, sono inevitabilmente destinati a trionfare nella lotta contro i popoli inferiori: Ind e cinesi mangiatori di riso, e contadini irlandesi mangia patate sono tenuti in stato di sottomissione dai meglio nutriti inglesi. Fra le varie cause che hanno contribuito alla sconfitta di Napoleone a Waterloo, una delle principali che per la prima volta si trov faccia a faccia con la nazione dei carnivori, a pi fermo anche davanti alla morte (12). Il mito della carne ha continuato a dare manforte alla teoria della razza e alla politica coloniale anche nel Novecento. Celebrando le virt del cowboy americano, lo scrittore western popolare Emerson Hough informava i suoi lettori che i mandriani e i mangiatori di carne sono stati i popoli vincenti, non le nazioni vegetariane. Il tentativo di equiparare alimentazione carnivora, superiorit evolutiva e dominio razziale trov, naturalmente, dei detrattori. Nel diciannovesimo secolo, molti intellettuali cominciarono a eccepire sul concetto stesso di uccidere gli animali a scopo alimentare, convinti che si trattasse di un indice di selvaggia brutalit e di regresso, pi che di progresso evolutivo. Ma le argomentazioni di Darwin sulla sopravvivenza del pi adatto erano talmente inoppugnabili da suggerire a molti di non esprimere una critica etica che si scontrava con l'oggettivit della scienza e con l'ordine naturale delle cose. Molti concordavano con la lamentela di Lord Chesterfield: addolorato al solo pensiero di individui civilizzati che uccidono un altro essere vivente per cibarsene, Chesterfield fu per costretto a capitolare di fronte alle teorie biologiche dell'epoca, che, molto convenientemente, vedevano agire nella natura forze straordinariamente compatibili con quelle economiche e sociali che stavano promuovendo l'espansione coloniale e la superiorit razziale: Dopo seria riflessione, mi sono convinto della sua legittimit [si riferisce al consumo alimentare di carne], derivante dall'ordine generale della natura, che ha istituito il diritto universale di sopraffazione sul pi debole quale uno dei suoi fondamentali principi (13). Erasmus Darwin espresse in modo insuperabile il pensiero della propria epoca, descrivendo la natura come un unico grande mattatoio (14). La sua descrizione della natura rispecchiava il grande, vero e proprio massacro che si stava compiendo in America, Africa e Asia, dove le potenze coloniali europee uccidevano o rendevano schiave le popolazioni indigene, saccheggiando ed espropriando le loro terre. Durante la seconda guerra mondiale, lo United States War Department garantiva a ogni G.I. americano una razione quotidiana di 130 grammi di proteine animali, corrispondente a due volte e mezzo la carne consumata da un civile (15), sulla base della convinzione, ancora diffusissima, che i combattenti carnivori avessero maggiori probabilit di prevalere nella lotta per la vita o per la morte, rispetto a chi si nutriva di cibi collocati ai gradini pi bassi della catena alimentare. Lo sforzo dell'esercito di rafforzare ogni soldato, aviere o marinaio, attraverso il consumo di carne, assunse la proporzione di una vera e propria crociata alimentare, talmente intensa ed efficace che, pi tardi, l'autore satirico sociale Russell Baker la descrisse come la follia carnivora... per cui ogni soldato americano veniva ingozzato di carne di bestiame ingrassato forzatamente (16). 36. I BOVINI E LA CULTURA DELLA FRONTIERA.

Nel 1806, l'esploratore e avventuriero Zebulon M. Pike giunse nelle Grandi Pianure del West americano. Esplorando le sterminate distese d'erba che si stendono fino ai piedi delle Montagne Rocciose e oltre, i suoi pensieri si volsero alle numerose mandrie di bovini d'allevamento che sono senza dubbio destinate a popolare con gioia queste ubertose pianure (1). Pike avvertiva che il destino dell'America si fondava, almeno in parte, su quel mare d'erba e sulle coriacee vacche "longhorn" texane. Ma si fondava anche sulla peculiare fusione di due grandi tradizioni filosofiche: la prima, risalente ai primi anni dell'era cristiana; l'altra, sbocciata dal fervore intellettuale dell'Illuminismo europeo del diciottesimo secolo. Sotto molti aspetti, il complesso bovino americano ha direttamente beneficiato dell'imprevedibile mescolanza di correnti filosofiche e, per questa ragione, pu essere compreso solo nella prospettiva pi ampia del contesto intellettuale da cui ha tratto nutrimento. Fin dall'origine, l'America stata la terra di John Winthrop e Benjamin Franklin, due figure storiche legate a tradizioni filosofiche affatto differenti. L'America di Winthrop era una landa selvaggia popolata da forze maligne, una natura matrigna da soggiogare e dominare a maggior gloria di Dio. I pellegrini e i loro discendenti sarebbero stati il popolo eletto, la cui missione era essere come una fortezza su un colle. I padri pellegrini pensavano a se stessi come alla fanteria trionfante del nuovo regno secolare di Dio, che con la forza della fede e della volont avrebbe domato la natura selvaggia e creato l'Eden: la terra promessa del latte e del miele. L'America di Franklin era la terra delle opportunit, un vasto continente di ricchezze a cui attingere per il miglioramento materiale dell'umanit. La sua America sarebbe stata una mecca secolare, un magnete per attrarre la migliore conoscenza scientifica e intelligenza meccanica dell'Illuminismo europeo. Gli americani sarebbero stati i pi grandi sperimentatori del mondo, con un intero continente a disposizione come laboratorio per sviluppare nuove invenzioni e innovazioni. Franklin preferiva l'utile al sacro, la cornucopia alla salvezza eterna: la sua America sarebbe stata popolata da gente industriosa, versata nelle arti pratiche. L'esperienza americana nasce dal confluire di queste due grandi tradizioni europee: la prima, tutta tesa al paradiso e alla redenzione eterna; la seconda, alle forze della natura e del mercato. Questa miscela irripetibile di fervore religioso e utilitarismo trov massima espressione nello spirito della frontiera. Molti dei primi pionieri che si spinsero a ovest degli Alleghenies si consideravano pi dei rifugiati che degli eletti: erano come gli israeliti nel deserto, profughi della tirannia del Vecchio Continente, pronti a sfidare le vicissitudini della natura selvaggia alla ricerca della terra promessa. L'ambiente americano era considerato, a sua volta, un mondo diabolico e caotico, che doveva essere domato, ammaestrato e imbrigliato. La conquista della frontiera americana assunse tutti i connotati di un antico dramma morale, con le forze della luce che combattevano contro un mondo satanico. Lo sterminio del bisonte americano e il genocidio delle popolazioni indigene vennero descritti in termini millenaristici, come una battaglia per la vita o per la morte contro il demonio stesso, come una guerra epocale in cui la fede cristiana, favorita dalla grazia di Dio, avrebbe inevitabilmente trionfato. Nel suo "Wilderness and the American Mind", Roderick Nash scrive: La natura selvaggia non solo prostrava i pionieri fisicamente, ma acquisiva anche un significato simbolico tetro e sinistro. I pionieri partecipavano dell'antica tradizione occidentale che vedeva nella natura selvaggia un vuoto morale, un deserto maledetto e caotico. Di conseguenza, gli uomini della frontiera sentivano fortemente come la loro battaglia contro la natura selvaggia fosse non solo una lotta per la sopravvivenza, ma anche una battaglia combattuta in nome di Dio. Civilizzare il nuovo mondo significava illuminare il buio, dare ordine al caos, trasformare i male in bene. Nell'espansione verso ovest, la natura selvaggia era l'antieroe e il pioniere, in quanto eroe, si sentiva spinto alla sua distruzione (2). Il concetto di popolo eletto che si distingue sul campo di battaglia offr

sostegno e conveniente spiegazione razionale alla conquista del continente. Le migliaia di indigeni innocenti periti, le intere specie sterminate, la terra vergine deturpata non sarebbero state che l'irrilevante conseguenza di una battaglia cosmica per garantire la salvezza eterna. Attraverso i propri gesti, molti pionieri della frontiera ritenevano di combattere le potenze infernali e di servire come soldati di Cristo. La visione di Zebulon Pike, con vacche che pascolavano bucolicamente sulle pianure del West era perfettamente adatta all'immagine millenaristica di una natura risorta e riconsacrata come un paradiso terrestre al servizio del Signore. La bovinizzazione del continente rappresenta il segno visibile, la prima testa di ponte della civilizzazione. Si rammenti la sorpresa degli esploratori spagnoli delle terre di Sud-Ovest nell'incontrare le vacche inselvatichite abbandonate dai primi colonizzatori della frontiera: i bovini, una delle prime specie addomesticate dall'uomo, simbolo della potenza europea, forma di capitale e di ricchezza presso tutti i popoli civilizzati, furono da loro considerati un segno di Dio. I bovini rappresentavano l'addomesticamento, la pastorizia, la civilt, le forze benigne del mondo; ovunque si trovasse, una vacca era considerata come un faro, un avamposto della civilt un segno dell'approssimarsi del regno celeste. In un batter di ciglia, la terra del demonio fu trasformata nel giardino terrestre di Dio. Il bisonte selvaggio fu sostituito con il manzo domestico, le erbe native della prateria sostituite con familiari essenze europee, i selvaggi indiani dai civili cowboy, cavalieri erranti del nuovo ordine cristiano. La conquista del West fu considerata da molti storici e moralisti come una vittoria per il cristianesimo. Se Winthrop offriva salvezza, Benjamin Franklin e i suoi eredi filosofici offrivano progresso, sotto forma dei principi pragmatici che avevano ispirato l'Illuminismo europeo. Rendere fruttuoso il giardino terrestre di Dio richiedeva nuove forme di zootecnia, fondate su principi utilitaristici. Per ogni atto di rivelazione, ai pionieri veniva somministrata una dose da cavallo di razionalismo utilitarista; questo rese gli americani, al tempo stesso, il popolo pi ferventemente religioso e aggressivamente pragmatico fra quelli occidentali. Una caratteristica che hanno conservato fino a oggi. I teologi europei avevano preparato il terreno all'Illuminismo ponendo l'enfasi su una visione del creato centrata sull'uomo (3). Nella teologia giudaicocristiana, l'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, e a lui Dio offre il dominio sul resto del creato. Dopo il diluvio, Dio dice a No: Il timore e il terrore di voi sia in tutte le bestie selvatiche e in tutto il bestiame e in tutti gli uccelli del cielo. Quanto striscia al suolo e tutti i pesci del mare sono messi in vostro potere (4). I pensatori illuministi erano convinti che il mondo intorno a loro fosse stato pensato da Dio in modo razionale, per servire all'umanit a fini utilitaristici. Francis Bacon, filosofo preilluminista e padre della scienza moderna, scrisse: Se guardiamo alle cause finali, l'uomo pu essere considerato il centro del mondo, e a tal punto che, se fosse fatto scomparire dal mondo, il resto sembrerebbe tutto abbandonato a se stesso, privo di fine o di scopo (5). Bacon riteneva fosse possibile utilizzare le facolt razionali umane per conquistare una conoscenza obiettiva dell'ordine creato da Dio, e sfruttare quella conoscenza per allargare i confini dell'impero umano fino alla realizzazione di tutte le cose possibili (6). Attraverso il metodo scientifico, secondo Bacon, la natura poteva essere imbrigliata, formata e modellata (7). Condividendo l'entusiasmo di Bacon, i pensatori dell'epoca illuminista rivolsero la propria attenzione e il proprio notevole intelletto al compito di svelare i molti, utili segreti della natura, nella convinzione che, una volta svelati, la Natura, la si poteva dominare, governare e utilizzare al servizio della vita dell'uomo (8). Secoli di dogmi cristiani che confermavano la posizione di privilegio dell'uomo nell'ordine creato da Dio offrivano la giustificazione teologica alla conquista razionale della natura. Secondo Bacon, sottometterla

non ha mai gravato di rimorsi nessuna coscienza (9). Lo spirito utilitarista dell'Illuminismo port a un radicale snaturamento della creazione. Ren Descartes, matematico per formazione, avanz nuove, radicali ipotesi sulla natura come macchina. Nel nuovo mondo utilitarista cartesiano, il benevolente e amoroso pastore della cristianit fu sostituito da un Dio tecnico, freddo e remoto, che aveva creato e messo in movimento un universo meccanico ordinato, prevedibile e destinato a replicare se stesso all'infinito. Descartes priv la natura della propria vitalit, riducendo tanto le creature quanto la creazione a metafore matematiche e meccaniche. Giunse perfino a descrivere gli animali come automi senz'anima, i cui movimenti erano molto poco diversi da quelli degli automi che danzavano nell'orologio di Strasburgo (10). Gli intellettuali dell'epoca vennero rapidamente conquistati dalla visione di Descartes. Scienziati ansiosi di apprendere il funzionamento meccanico delle macchine viventi della natura si dedicarono spesso a barbare sperimentazioni. [Essi] somministravano bastonate ai cani con perfetta indifferenza, e deridevano chi compativa queste creature come se provassero dolore. Dicevano che gli animali erano orologi; che le grida che emettevano quando venivano percossi erano soltanto i suoni originati da una piccola molla che era stata toccata, e che nel complesso il corpo era privo di sensibilit. Inchiodavano poveri animali per le quattro zampe a delle tavole, per vivisezionarli e osservare la circolazione del sangue, che era un grande argomento di conversazione (11). Descartes riconosce i vantaggi, dal punto di vista pratico, di descrivere la natura in termini meccanicistici: dopo tutto, il fatto che le altre creature siano, in realt, pure e semplici macchine prive di anima, assolve [gli uomini] dal sospetto di crimine quando mangiano o uccidono gli animali (12). L'utilitarismo meccanicista dell'Illuminismo ha contribuito ad alleviare il senso di colpa degli agricoltori, dei pastori, dei mercanti e dei latifondisti europei, indaffarati, in quella prima era moderna, a bonificare paludi, abbattere foreste, uccidere selvaggina, macellare bestiame e recintare terre tradizionalmente di uso collettivo. Gli illuministi divennero molto pi interessati a rendere la natura produttiva che a ripristinare uno stato di natura. Le terre selvagge erano considerate sempre meno un terreno di Satana che doveva essere redento, e sempre pi come una risorsa improduttiva che doveva essere addomesticata e messa a profitto per il benessere materiale dell'umanit. John Locke, filosofo politico dell'Illuminismo, affermava che la natura e la terra non forniscono che la materia greggia, che in se stessa quasi priva di valore (13). Egli era convinto che le creature viventi e la materia inanimata che compongono la terra non avessero valore intrinseco o utilit: i fenomeni terrestri acquisiscono valore solo nel momento in cui il lavoro dell'uomo e la tecnologia delle macchine li trasformano in materiali utili, prodotti, beni e servizi. Come molti fra i suoi contemporanei, Locke credeva nella possibilit di trasformare in toto la natura in uno sterminato deposito di ricchezza produttiva. Parafrasando Locke, Singer scrive che la negazione della natura la via della felicit (14). In Europa, il pensiero utilitarista dell'Illuminismo trascese le proprie radici teologiche, contribuendo al processo che, in meno di duecento anni, trasform la cultura di un intero continente da spirituale a secolare. Negli Stati Uniti, per, il pensiero millenaristico cristiano continu a ispirare i sentimenti delle ondate di immigranti, molte delle quali giungevano nel Nuovo Mondo fuggendo dall'oppressione religiosa e dal secolarismo europei. In America, il nuovo approccio utilitarista trov terreno fertile nello spirito degli immigranti che si accingevano a civilizzare il continente, trasformando uno sterminato territorio selvaggio in una risorsa produttiva. La combinazione di fervore evangelico cristiano e di ardore utilitarista si dimostr una delle forze pi potenti nella configurazione della frontiera americana. L'Ovest d'America era il nuovo Eden, la cornucopia che gli illuministi avevano sognato, uno scrigno di risorse intatte che gli uomini avrebbero potuto sfruttare, al fine di migliorare lo stato delle presenti e delle future generazioni. Per europei e americani, il West era la terra delle opportunit, il

reame di sogno in cui l'uomo avrebbe potuto costruire una nuova era di progresso. Le condizioni di vita nelle Grandi Pianure erano dure, ma non abbastanza da soffocare l'entusiasmo dei giovani emigranti del Sud, ansiosi di ricominciare da capo dopo la sconfitta subita nella guerra civile. N i pericoli erano sufficienti a soffocare le speranze e le aspirazioni delle ondate di immigranti europei - tedeschi, svedesi, irlandesi e scozzesi - alla ricerca di una vita migliore nel Nuovo Mondo. Esplorando i territori dell'Ovest, i primi pionieri - cowboy, allevatori, costruttori di ferrovie - furono senza dubbio impressionati dall'enorme potenziale che si trovavano di fronte sebbene fossero anche consapevoli dell'enormit dell'impegno che si stavano assumendo. Le parole dell'aristocratico francese, nonch pensatore illuminista, marchese de Condorcet, rappresentano uno slogan efficace per la nuova coscienza formatasi nella prateria. Un centinaio di anni prima, nel mezzo della Rivoluzione francese, scrisse appassionatamente di una nuova era di progresso che, come la fenice, nasceva dalle ceneri del vecchio ordine medievale: Non esiste alcun limite al perfezionamento della felicit umana... la perfettibilit dell'uomo realmente infinita... i progressi di questa perfettibilit, ormai indipendenti da ogni potere che vorrebbe bloccarne il processo evolutivo, non hanno altro limite che la durata del pianeta in cui la natura ci ha messo (15). Il West americano rappresentava una superficie di terre libere e aperte alla conquista, e le terre libere offrivano illimitate opportunit di progresso (16). Nel 1890, alla notizia della chiusura ufficiale della frontiera, lo storico Frederick Jackson Turner scrisse: Fino a oggi la storia americana stata, in larga misura, la storia della colonizzazione del Grande Ovest. L'esistenza di una superficie di terre libere e aperte alla conquista, la sua continua retrocessione e l'avanzata dei coloni verso occidente, spiegano lo sviluppo della nazione americana... Sin dal tempo in cui la flotta di Colombo entr nelle acque del Nuovo Mondo, l'America stata un'altra cosa, e gli abitanti degli Stati Uniti hanno assunto il loro particolare carattere dall'espansione incessante che non solo stata accessibile a tutti, ma addirittura inevitabile per loro (17). La tesi di Turner ne "La frontiera nella storia americana" ben descriveva la psicologia di un popolo a cavallo fra i vincoli del Vecchio Continente e le opportunit del Nuovo Mondo. Gli americani, affermava, sono gente irrequieta, ansiosa di lasciarsi alle spalle le tradizioni, alla ricerca di nuove opportunit. Turner considerava la frontiera come il punto d'incontro fra barbarie e civilt, e sosteneva che era servita come momento di purificazione per il continuo rinnovamento del popolo. Gli americani, diceva, sono a un punto di partenza sempre nuovo, su una frontiera mobile con lo sguardo fisso all'immediato futuro (18). Questa rinascita perenne, questa fluidit della vita americana, questa espansione verso l'Ovest con tutta la sua gamma di infinite possibilit, il suo contatto continuo con la semplicit della societ primitiva, alimenta e fornisce le forze che dominano il carattere degli americani (19). Meno ancorati al passato dei loro antenati europei, e ben pi preoccupati dei vantaggi immediati che avrebbero potuto ottenere appena oltre la linea dell'orizzonte, gli americani adottarono un orizzonte temporale completamente nuovo, diventando una sorta di nomadi del tempo, sempre protesi al domani. Questo orizzonte temporale, dominato dal futuro, ha avuto un ruolo fondamentale rispetto alla realt fisica del West americano: gli americani della frontiera impararono a utilizzare il tempo per trarre il massimo vantaggio dalle praterie sterminate. Per sopravvivere e prosperare in questi territori bisognava cogliere al volo tutte le occasioni, approfittare rapidamente delle situazioni e

sfruttarle a fondo; per domare un continente, donne e uomini dovevano essere inventivi, pronti e reattivi. Qui, la donna e l'uomo nuovi, liberi da tradizioni e sentimenti, insensibili ai legami e ai vincoli del passato, si dedicavano solo alle necessit pratiche del momento. Il risultato questo: alla frontiera che l'intelletto americano deve le sue caratteristiche pi spiccate. La rudezza e la forza combinate con l'acutezza e la curiosit; la disposizione mentale, pratica, inventiva, rapida a trovare espedienti; il mordente magistrale sulle cose materiali, privo di senso artistico, ma potentemente efficace per compiere grandi destini, l'energia inquieta, nervosa, l'individualismo dominante, all'opera per il bene e per il male, e al tempo stesso la gaiezza vivace e l'esuberanza che vanno di pari passo con la libert - ecco le caratteristiche della frontiera (20). I tratti caratteristici della donna e dell'uomo della frontiera riflettevano la visione illuminista del mondo, con l'enfasi che poneva sull'acquisizione materiale e il puro interesse personale; sull'autonomia, la razionalit e l'imprenditorialit, sulla mentalit scientifica, l'efficienza del mercato, la meccanizzazione e la mobilit sociale. L'emergente complesso bovino incarnava tutti questi valori oltre a molti altri; per questo divenne la forza politica e sociale dominante del West e, per un certo periodo, dell'intera nazione. I cowboy, individualisti, in grado di provvedere a se stessi, divennero eroi romantici; gli allevatori vennero lodati per la determinazione e la genialit, ma, soprattutto, per l'inventiva. L'eliminazione del mezzo di sussistenza degli indiani - il bisonte - per fare spazio ai manzi "longhorn", il collegamento dei mercati del Nord e dell'Est con i pascoli bovini del Sud e dell'Ovest attraverso la ferrovia, la mercificazione e recinzione dei territori selvaggi del West con chilometri e chilometri di filo spinato, l'invenzione di sofisticate tecnologie di refrigerazione per portare la carne bovina americana ai mercati europei, la riorganizzazione dell'agricoltura finalizzata a utilizzare il surplus di cereali per l'alimentazione animale non sono che fasi di una complessa strategia tesa a sfruttare nel modo economicamente pi razionale le risorse naturali di un immenso subcontinente. Vale la pena di ricordare che furono i macelli di Chicago i primi impianti industriali che adottarono criteri scientifici di management, applicando i principi della progettazione meccanica alla lavorazione della carne bovina. La produzione di massa, la divisione del lavoro, la specializzazione, la catena di montaggio e gli standard di efficienza sono stati messi alla prova e sottoposti a verifica nei mattatoi di Chicago decenni prima che diventassero prassi comune a tutti i settori dell'industria americana. Se per alcuni il complesso bovino era la testa di ponte della civilizzazione della frontiera e l'avanguardia del regno temporale di Cristo, per altri fu un potente strumento per lo sfruttamento delle ricchezze del continente. Sulla frontiera, la combinazione di evangelismo cristiano e utilitarismo illuminista fu cos efficace che, nei trentatr anni che separano la pace di Appomattox dallo scoppio della guerra ispanoamericana, il complesso bovino americano riusc a sottomettere, recintare e mercificare uno dei pi grandi ecosistemi del mondo, trasformandolo in una risorsa economica da sfruttare sui mercati internazionali. Negli anni Novanta dell'Ottocento, la frontiera entr a far parte della storia, ma la mitologia della frontiera continua a vivere, di quando in quando sottoposta a ritocchi e revisioni, per soddisfare i bisogni psicologici di generazioni diverse, ma sempre determinate a sostenere i valori fondanti del carattere americano. Per una nazione non abituata a limiti o vincoli di sorta, la frontiera resta il simbolo pi potente ed evocativo della nazione: quello che contribuisce a preservare la fede in un progresso materiale senza limiti e nella futura perfettibilit della razza umana. 37. L'HAMBURGER E LA CULTURA DELL'AUTOSTRADA.

Nel ventesimo secolo, l'idea della frontiera si spost dai selvaggi territori dell'Ovest agli emergenti quartieri suburbani. La fine della migrazione verso ovest segn l'inizio di una nuova migrazione, dalla citt verso la campagna. Mentre la vecchia frontiera era stata considerata da Frederick Jackson Turner il punto d'incontro fra barbarie e civilt, la nuova frontiera suburbana era considerata quello fra vita cittadina e rurale. La dialettica fra barbarie e civilt fu sostituita dall'emergente lotta fra stile di vita progressista e tradizionale. La vita suburbana divenne la nuova, decantata immagine del progresso, specchio dell'illimitato sviluppo materiale e della salvezza terrena a cui tendevano la maggior parte degli americani. E, come nel caso della frontiera del West, il complesso bovino ebbe un ruolo considerevole nella conquista della nuova frontiera suburbana. La suburbanizzazione della campagna americana fu resa possibile, in massima parte, dall'invenzione dell'automobile e dalla creazione di una cultura dell'autostrada. Le nuove forme di trasporto individuale veloce contribuirono a innescare massicci trasferimenti di popolazione dalle citt verso le campagne circostanti. Oggi, il 60 per cento dei residenti in aree metropolitane vive in suburbi (1). Il nuovo stile di vita suburbano port a un fondamentale cambiamento nei costumi di lavoro e di vita: l'irrequietezza nomade delle comunit di pionieri alla frontiera del West si tradusse in una cultura dell'autostrada, caratterizzata da grande mobilit; abitare nei suburbi significava essere sempre in movimento, avanti e indietro fra uffici cittadini e scuole suburbane, centri commerciali e case di amici in altri sobborghi. Anzi, la caratteristica di essere sempre sul piede di partenza, cos tipica degli americani, gi osservata da de Tocqueville, intimamente connessa sia allo stile di vita suburbano sia a quello dei pionieri del secolo precedente, sempre pronti a caricare i propri averi su un carro e a spostarsi pi a ovest. Ancora oggi, il 18 per cento degli americani cambia residenza ogni anno (2). La nuova frontiera suburbana modific le abitudini alimentari della nazione tanto radicalmente quanto mut la percezione spazio-temporale. Per adeguarsi alla velocit e alla mobilit della cultura dell'autostrada, lo stile di vita suburbano richiedeva comodit, efficienza, prevedibilit nella preparazione e nel consumo di cibo. L'industria della carne reag facendo dell'hamburger e delle catene di ristorazione fast-food un sinonimo dello stile di vita suburbano. La storia della conquista della frontiera suburbana attraverso l'hamburger costituisce un potente memento dell'influenza che il complesso bovino americano continua a esercitare sugli affari della nazione, anche nella nostra epoca postindustriale. L'effetto psicologico e culturale dell'hamburger stato impressionante e diffuso: come simbolo dell'America, agli occhi del resto del mondo l'hamburger ha superato perfino l'automobile, diventando la quintessenza del sogno e dello stile di vita americani. Oggi, a Stoccolma come a Tokyo, la gente si mette ordinatamente in coda sotto gli archi dorati di McDonald's e partecipa all'esperienza americana. Ogni secondo, duecento americani acquistano uno o pi hamburger presso un ristorante fast-food, generando ricavi per miliardi di dollari per le catene di ristorazione americane. Ogni americano consuma, in media, fra 12 e 15 chilogrammi di carne bovina macinata all'anno (3). Quasi il 40 per cento di tutta la carne bovina consumata nel paese macinata e prende, nella maggior parte dei casi, forma di hamburger (4). La storia dell'hamburger americano - le sue origini e il suo sviluppo rispecchia i valori e i sentimenti del secolo appena concluso. In quanto parte della cultura dell'hamburger, gli americani - e ora anche altri popoli in tutto il mondo - acquistano molto pi che centoventi grammi di carne bovina: a ogni acquisto, il consumatore si garantisce un diritto di sfruttamento sulla visione americana del mondo, dei suoi principi pratici, dei suoi sogni e dei suoi obiettivi. E' questa visione del mondo - non due semplici polpette condite infilate in un panino al sesamo - quel che ha praticamente scatenato una sommossa popolare il giorno in cui McDonald's ha aperto il suo primo punto vendita a Mosca: i russi non volevano mangiare, volevano provare lo stile di vita americano. La pratica di macinare la carne va fatta risalire alla nascita delle culture

bovine euroamericane, nelle steppe eurasiatiche. Nel Medioevo, i tartari furono i primi a nutrirsi di una forma primitiva di hamburger: quella carne cruda marinata con sale, pepe e succo di cipolla oggi nota come "steak tartar"; i mercanti tedeschi portarono la ricetta ad Amburgo, adattandola al gusto locale, dandole la forma di polpetta piatta e cucinandola alla griglia. Nel diciannovesimo secolo, gli immigrati tedeschi portarono l'hamburger in America. Secondo la leggenda, l'hamburger venne messo per la prima volta fra due fette di pane all'Esposizione Mondiale di Saint Louis, nel 1904 (6). Il panino con la polpetta si rivel molto popolare fra i visitatori della fiera, perch poteva essere cucinato rapidamente e mangiato senza fermarsi e senza bisogno di posate. In sintesi, era veloce, efficiente e comodo: caratteristiche che rapidamente si stavano affermando come il marchio di riconoscimento della vita americana nel ventesimo secolo. L'hamburger deve gran parte del proprio successo all'avvento dell'era dell'automobile: la nuova forma di trasporto e il nuovo modo di mangiare sembravano fatti l'uno per l'altro; il successo dell'uno rafforz l'altro ed entrambi riflessero la nuova visione del mondo che stava orientando ondate di immigranti verso uno stile americano, quindi veloce, di fare le cose. Per questo popolo irrequieto, appena privato della frontiera occidentale, l'automobile fu un provvidenziale surrogato. Un funzionario civico dell'epoca afferm che l'automobile sarebbe stata il tappeto magico per il trasporto dell'intera umanit (7). L'automobile rimise in moto gli americani, creando un rinnovato senso di dinamismo, il valore che pi di ogni altro aveva caratterizzato l'esperienza americana, fin dalle origini. La migrazione a ovest fu sostituita dalla cultura dell'autostrada. La prima autostrada asfaltata fu costruita fra Detroit e il Wayne Country Fair Ground nel 1909. Gi nel 1925, Henry Ford produceva 9000 automobili al giorno e il paese, ormai, era un intreccio di autostrade asfaltate (8). Due anni dopo, sui corridoi di cemento appena gettati sfrecciavano pi di 26 milioni di autovetture. La prima vera autostrada, la Bronx River Parkway era gi in uso, al servizio dei pendolari che viaggiavano fra la citt di New York e White Plains; molte altre autostrade erano gi in costruzione. Durante la seconda guerra mondiale, la produzione automobilistica e l'espansione della rete autostradale subirono una battuta d'arresto, ma ripresero nel dopoguerra con zelo missionario. Nel 1956, il presidente Dwight Eisenhower promulg l'Interstate Highway Act, una legge che disponeva modalit e risorse per la costruzione di una rete di superautostrade, per quasi 65 mila chilometri, in grado di collegare ogni regione del paese a un fitto reticolo di trasporto. Il governo federale si accollava il 90 per cento dei costi di costruzione di quello che si sarebbe rivelato il pi grande progetto di lavori pubblici della storia dell'umanit (9). Meno di trent'anni dopo, con una spesa complessiva di 350 miliardi di dollari, lo U.S. Interstate Highway System fu completato. La sua costruzione spian la strada alla cosiddetta cultura dell'autostrada, un cambiamento radicale del modo di vivere e di lavorare, che trasform il panorama culturale americano. Il sistema autostradale americano contribu a diffondere una cultura neonomadica. Oggi, l'americano medio percorre poco meno di 15 mila chilometri l'anno in automobile. Con 140 milioni di vetture attualmente in uso, gli americani possono giustamente definirsi la popolazione pi mobile della storia. Oggi, gli americani sono perennemente in movimento. Il nuovo stile di vita, rapido e mobile, richiese un adattamento non solo spaziale e temporale, ma anche di abitudini alimentari. La risposta fu l'hamburger: un prodotto alimentare che incorporava valori e caratteri della nuova forma di trasporto intorno a cui si stava modellando il nuovo stile di vita del pubblico americano. Il primo manifestarsi del nesso fra i due prodotti, apparentemente disparati, della modernit si ebbe negli anni Venti, quando White Castle apr la prima rivendita di hamburger a Wichita, in Kansas (10). Il nuovo ristorante si rivolgeva a un pubblico di pendolari urbani, con poco tempo a disposizione, e offriva hamburger cucinati sempre nello stesso modo, che potevano essere preparati e mangiati in pochi minuti: molti clienti ordinavano gli hamburger per mangiarli in automobile, direttamente dal sacchetto di carta che li conteneva, mentre guidavano.

Nel 1925, Howard Johnson apr nel New England il suo primo ristorante in stile georgiano, per offrire albergo a viaggiatori frettolosi (11). Nello stesso periodo, si diffusero anche i piccoli "diners", molti dei quali erano rimorchi trasformati. Gi negli anni Trenta, aziende come P. J. Tierney & Sons cominciarono a costruire "diners" moderni, progettati in modo da somigliare a carrozze ristorante di treno. Con nomi come Fenway Flyer e Rocket Diner, questi ristoranti dall'aspetto mobile, cominciarono a comparire a ogni angolo di strada, soprattutto lungo la costa atlantica e nel New England. Con le loro sagome affusolate, la facilit di accesso e la rapidit del servizio, si accaparrarono gran parte del mercato dei viaggiatori autostradali (12). Nei primi decenni del secolo, non esisteva quasi settore industriale che non desiderasse imitare il settore automobilistico, fluidificando l'attivit in modo da creare celermente servizi e prodotti omogenei, prevedibili ed economici, come le automobili che Henry Ford sfornava dai suoi stabilimenti di Detroit. Fu uno dei principali concorrenti di Henry Ford, Charles Mott, fondatore della General Motors, ad affermare che sarebbe difficile individuare anche una sola attivit umana... che non possa funzionare meglio e pi efficacemente al servizio dell'umanit grazie... all'automobile (13). Certamente, il settore della ristorazione era gi avanti sulla strada che avrebbe trasformato l'atto del mangiare in qualcosa di molto simile ai processi di una catena di montaggio. La "cafeteria", sorta di mensa automatica, fu inventata a Chicago all'inizio del secolo, e gi allo scoppio della seconda guerra mondiale era parte del panorama urbano delle citt americane: i clienti spingevano il proprio vassoio lungo un binario metallico e si servivano da soli di piatti gi pronti, come avviene in moltissimi altri processi automatizzati. Joseph V. Horn e F. Hardart introdussero il primo "automat", ristorante automatico, a Philadelphia, nel 1902. Quando, nel 1932, Franklin Delano Roosevelt assunse la presidenza, migliaia di americani affamati, in citt come New York, soddisfacevano il palato con un pasto rapido, aprendo gli sportelli di piccole caselle di vetro (14). Un servizio veloce richiede cibi preparabili velocemente. L'hamburger si dimostr la scelta ideale per l'era dell'automobile: non solo era economico e facile da preparare, ma anche facilmente manipolabile. Poteva essere prodotto in serie, reso omogeneo: soprattutto, le polpette di hamburger erano facilmente gestibili. L'hamburger decoll dopo la seconda guerra mondiale. Gi alla met degli anni Cinquanta era diventato una mania collettiva, ed eclissava la torta di mele come simbolo alimentare dell'America moderna; ma la sua definitiva consacrazione fu negli anni Cinquanta, quando milioni di americani si trasferirono nei suburbi, acquistando villette dotate di barbecue. Nella prima met del secolo l'hamburger aveva guadagnato popolarit molto lentamente; fu solo quando gli americani, negli anni Cinquanta, cominciarono a cucinare sul barbecue nel giardino di casa, durante i weekend, che divenne una componente fondamentale della dieta nazionale. Fu sulle griglie roventi delle villette di periferia che la carne bovina vinse la lunga guerra contro la sua pi grande rivale: la carne di maiale. Per pi di duecento anni, i produttori di carne bovina e suina avevano combattuto per conquistare le papille gustative degli americani. Nel New England, la carne bovina era sempre stata la preferita, mentre nel Sud-Est il maiale regnava sovrano. Nella fascia centrale della costa atlantica e nel Midwest, manzo e maiale erano alla pari, mentre nel Sud-Ovest era il manzo a dominare il mercato e il gusto. La griglia all'aperto contribu a dare un vantaggio competitivo alla carne bovina e a portare alla ribalta l'umile hamburger. Le polpette di carne suina non potevano essere cotte facilmente sulle griglie dei barbecue: si sbriciolavano e, cadendo a pezzi sulle braci, diventavano immangiabili. Inoltre, secondo l'antropologo Marvin Harris, dovevano esser cotte molto pi a lungo di quelle di carne bovina, per evitare il rischio della trichinosi (15). Harris sottolinea che lo USDA non controlla la carne suina per la trichinosi, perch la procedura sarebbe troppo costosa e richiederebbe troppo tempo, dato che consiste nell'analizzare al microscopio ogni singolo taglio di carne. Dato che la carne suina non controllata, afferma Harris, circa il 4 per cento degli americani ha la "Trichinella", un verme parassita dei muscoli, e confondono gli accessi di trichinosi per moderati attacchi influenzali (16).

Negli anni Trenta, per avvertire dei potenziali pericoli connessi al consumo di carne suina, lo USDA, il Surgeon General degli Stati Uniti e la American Medical Association lanciarono un'ambiziosa campagna tesa a educare le casalinghe a una prolungata cottura cautelativa della carne suina, che doveva diventare da rosa a grigia, anche al centro. Secondo Harris, questi suggerimenti cancellarono di fatto il maiale alla griglia dalle tavole degli americani, dal momento che, quando da rosa diventa grigia, la carne suina anche irrimediabilmente coriacea (17). Le costolette di maiale erano una possibile alternativa, dal momento che la preliminare marinatura permetteva una cottura prolungata senza che la carne si indurisse eccessivamente, ma, come sottolinea Harris, le costolette sono complicate da gestire, sporcano, non hanno molta carne e non possono essere consumate in un panino. Sotto ogni profilo, le polpette di carne bovina si rivelavano pi comode. L'hamburger trionf anche per un'altra ragione: l'influenza dei produttori di carne bovina a Washington. La storia dell'ascesa dell'hamburger ha a che fare tanto con la comodit e il gusto, quanto con le leggi dello stato e le forze del mercato. Harris spiega come, nel dopoguerra, un oscuro regolamento federale, adottato nel 1946, abbia garantito all'hamburger un dominio incontrastato sul mercato. Lo USDA Code definisce l'hamburger come una polpetta di carne macinata che non contiene altra carne o grasso che carne o grasso bovini. Se un hamburger contiene anche solo una briciola di carne o grasso suini non pu essere chiamato hamburger (18). Altrettanto importante il fatto che il governo permetta che un hamburger contenga fino al 30 per cento di grasso, per cui gli stabilimenti di lavorazione delle carni possono mescolare carne e grasso provenienti da animali completamente diversi (19). Queste disposizioni hanno assicurato all'industria della carne bovina il controllo del mercato della carne nella seconda met del ventesimo secolo. Secondo Harris, la carne bovina pi economica quella dei manzi ingrassati a cereali. Dato che la carne delle bestie allevate al pascolo non ha striature di grasso, se viene macinata e confezionata in hamburger, durante la cottura alla griglia si sbriciola, proprio come la carne di maiale. Per garantire la solidit dell'hamburger, la carne deve essere mescolata con grasso: qualunque grasso, animale o vegetale; ma dato che lo USDA impone di utilizzare esclusivamente grassi bovini, l'industria della carne bovina stata in grado di monopolizzare il mercato. L'effetto di questa regolamentazione stato enorme: secondo Harris, se si permettesse di produrre hamburger di carne suina e grasso bovino, o di carne bovina e grasso suino, o se si impedisse di produrre hamburger con carne e grasso di animali diversi, in pochi giorni l'intera industria della carne bovina crollerebbe. Monopolizzando gli ingredienti ed essendo in grado di mescolare carni e grassi provenienti da animali diversi, l'industria della carne bovina ha creato uno standard internazionale di polpetta, economico e accessibile a tutti, ottenendo il vantaggio competitivo necessario per superare la naturale superiorit del suino nella conversione dei cereali in carne (20). Per creare l'hamburger americano, le aziende che lavorano le carni importano a basso prezzo bestiame allevato al pascolo in Centroamerica, Australia, Nuova Zelanda e in altri paesi, e macinano le sue carni, mescolandole agli scarti grassi del bestiame finito a cereali negli Stati Uniti. In realt, gran parte della carne che compone un hamburger americano d'importazione (21). Negli ultimi trent'anni, l'hamburger salito alla ribalta della scena nazionale anche a spese delle popolazioni indigene di altri paesi, soprattutto centroamericani, la cui terra stata espropriata, confiscata, recintata e accaparrata da allevatori al servizio del mercato americano. Nel suo "Beyond the Myths of Culture", Eric Ross sintetizza l'intima connessione che esiste fra hamburger americano e sfruttamento di altre terre e altri popoli: L'aumento del consumo di carne bovina nell'epoca postbellica , in gran parte, il risultato della grande disponibilit di hamburger... gli hamburger di manzo avevano un maggior potenziale di espansione del mercato, dal momento che i produttori potevano sfruttare la prateria dell'America Latina per calmierare i prezzi proprio quando suini e bovini degli allevamenti nazionali, nutriti a cereali, cominciavano a diventare pi costosi... Cos, il pi drastico aumento

del consumo di carne, negli Stati Uniti, dopo gli anni Sessanta, ha coinciso con... la rapida crescita delle importazioni di carne negli Stati Uniti, cominciate nei primi anni Sessanta... In America, il consumo di carne bovina continua a fondarsi sulla disponibilit di praterie - oggi come parte di un processo di sottosviluppo capitalistico internazionale, in cui le terre arabili vengono convertite a pascolo e sottratte alla produzione locale di sussistenza (22). L'intero processo, secondo Ross, ricorda in maniera stupefacente l'espropriazione delle praterie irlandesi da parte della nobilt inglese, nel diciottesimo e diciannovesimo secolo: Chiaramente, ci che ne consegue una replica della paradigmatica relazione coloniale fra Inghilterra e Irlanda, in cui i fittavoli irlandesi furono costretti a un consumo marginale... mentre producevano carne bovina per l'esportazione in Inghilterra (23). Pratico ed economico, l'hamburger ha contribuito a promuovere un nuovo regime alimentare: quello del fast-food. Dopo la seconda guerra mondiale, lo stile di vita americano cambiato radicalmente: un numero crescente di donne entrava nella forza lavoro, assumendo impieghi nel comparto dei servizi e mansioni impiegatizie; avendo meno tempo a disposizione per cucinare, nelle loro case suburbane, le famiglie cominciarono a consumare cibi pronti: i "T.V. dinners" surgelati fecero la loro comparsa negli anni Cinquanta; nello stesso periodo comparvero merendine confezionate e patatine in sacchetto; gli hamburger surgelati divennero un onnipresente elemento dei pasti serali, cucinabili all'ultimo momento, quando gli adulti di casa, entrambi lavoratori, tornavano, stanchi da una lunga giornata in ufficio o in fabbrica, ed esauriti dal traffico dell'ora di punta. Con entrambi i genitori impegnati nel lavoro, uscire a cena divenne abituale e quotidiano, mentre in passato era un evento speciale, riservato a occasioni eccezionali o al divertimento del fine settimana. Fra il 1948 e il 1985, la quota della spesa alimentare dedicata a pasti fuori casa passata dal 24 al 43 per cento (24). Gran parte di quell'incremento fin nelle casse dell'industria della ristorazione fast-food. Oggi, uscire a cena con la famiglia sinonimo di mangiare un hamburger in uno degli ubiqui fast-food affiliati a una catena nazionale. Fra il 1948 e il 1982, l'industria del fast-food cresciuta dall'8 al 30 per cento, nella quota di spesa per alimentazione fuori casa (25). Oggi, nel paese, ci sono pi di 583 mila punti di ristorazione, che servono, ogni giorno, 100 milioni di americani. Pi del 42 per cento della popolazione degli Stati Uniti mangia fuori casa almeno una volta al giorno (26). In un periodo di dodici mesi, l'industria americana della ristorazione serve pi di 78 miliardi di pasti, ed responsabile della vendita del 40 per cento di tutta la carne consumata nel paese; il suo fatturato complessivo superiore ai 207 miliardi di dollari e d occupazione a 8 milioni di persone: per questo, in termini occupazionali, il settore pi importante dell'economia americana (27). Se si potesse attribuire il successo dell'hamburger e del settore del fast-food a una sola persona, l'onore spetterebbe senza alcun dubbio a Ray Kroc, infaticabile fondatore della catena di ristorazione McDonald's. Nell'epoca postbellica, Kroc rivoluzion le abitudini alimentari degli americani. Oggi, la sua catena di ristorazione ha 11 mila punti vendita in cinquantadue paesi del mondo, offre lavoro a pi di 600 mila persone e ha un fatturato consolidato superiore ai 17 miliardi di dollari (28). Pi della met della popolazione americana vive a meno di tre minuti d'automobile dal McDonald's pi vicino. Oggi, la catena controlla pi del 10 per cento della spesa per alimentazione non domestica (29). McDonald's acquista pi dell'1 per cento di tutta la carne scambiata all'ingrosso negli Stati Uniti: ogni mese, decine di migliaia di capi devono essere ingrassati, macellati, macinati e confezionati in polpette per fornire milioni di hamburger agli affamati clienti McDonald's (30). Kroc stato abile nel trasformare le abitudini alimentari degli americani quanto Henry Ford lo stato nel cambiarne le abitudini di viaggio. Ci

riuscito, sfruttando i principi operativi e i valori che avevano messo il paese su quattro ruote. Prima di ogni altro, Kroc si rese conto dell'enorme potenziale costituito dal reticolo autostradale della nazione: la cultura dell'autostrada aveva diffuso un nuovo stile di vita, con i suoi quartieri suburbani, i suoi centri commerciali, i suoi centri direzionali sparsi lungo il percorso delle autostrade. Kroc era ben determinato a fare della cultura dell'auto, dei suburbi e dell'hamburger un'unica cosa, e si dedic a questo compito con zelo missionario. Nei primi anni Sessanta, Kroc cominci a scandagliare il paese sul suo aereo aziendale, osservando dall'alto, con un binocolo, gli incroci autostradali, le aree di sviluppo residenziale, i centri commerciali: i punti nevralgici della crescente cultura dell'autostrada. Al pari di un generale che disponga bandierine su una mappa per dislocare le proprie truppe, Kroc colloc ristoranti McDonald's in ogni punto strategico, mcdonaldizzando il panorama americano in meno di una generazione (31). Il suo fervore imprenditoriale rasentava il fanatismo messianico, come lui stesso era disposto a riconoscere. Una volta, disse di s: Parlo di fede in McDonald's in senso propriamente religioso. E, senza offesa per la Santissima Trinit, per il Corano o per la Torah, questo esattamente ci che penso. Ho spesso affermato di credere in Dio, nella famiglia e in McDonald's. Ma quando sono in ufficio, l'ordine inverso (32). E' interessante notare che i campanili delle chiese hanno giocato un ruolo fondamentale nella strategia di localizzazione McDonald's. Kroc colloc molti ristoranti nei pressi delle chiese suburbane, convinto che l'immagine pura e salubre del suo ristorante e quella della vicina chiesa si sarebbero illuminate reciprocamente. Non sorprendentemente, Kroc fu tra i primi a individuare come potenziale target le famiglie dei fedeli (33). Secondo alcuni commentatori, perfino i due archi dorati del marchio McDonald's, richiamano la tradizionale immagine pittorica delle porte del paradiso. Kroc sognava di creare un'immagine di riparo, di luogo in cui il gregge affamato avrebbe potuto trovare rifugio, lontano dal chiasso e dal frastuono del mondo, imprevedibile e caotico; i pellegrini si sarebbero potuti rifocillare, sapendo che tutto sarebbe stato ordinato, prevedibile e, soprattutto, efficiente, in ossequio al catechismo secolare della cultura dell'autostrada. Kroc offriva un nuovo genere di pace spirituale, nutrita di alta tecnologia e performance meccanica. Sostitu il lavoro ben fatto con l'efficienza, la salvezza eterna con la pausa quotidiana da McDonald's. Il suo richiamo alla nuova fede trov ascolto in tutti i sobborghi urbani del paese: nel 1991, milioni di persone si erano gi convertite al rito McDonald's; oggi, ogni mese, un numero superiore di persone di quello riscontrato nelle chiese e nelle sinagoghe del paese frequenta i ristoranti McDonald's (34). Ma, se lo zelo missionario di Kroc leggendario, stato il suo stile organizzativo a rendere l'hamburger e i fast-food parti integranti della vita americana, come simboli del nuovo stile di vita mobile dell'America della fine del ventesimo secolo. Kroc integr con successo gli standard dell'ingegneria alla preparazione e alla commercializzazione degli hamburger, cos come i macellatori avevano fatto un secolo prima, nel proprio settore. Controlli di qualit, prevedibilit del risultato, standard di analisi quantificabili, efficienza e utilit divennero il "modus operandi" di McDonald's, e di schiere di catene di ristorazione che, nel dopoguerra, presero a imitarlo in ogni angolo del paese. Omogeneit e velocit erano i fattori critici della formula McDonald's per il successo; per raggiungere questi obiettivi, Kroc si affid ai medesimi principi di management scientifico che l'esperto di efficienza Frederick Taylor aveva adottato in altri settori, a partire dall'inizio del secolo. Da McDonald's, ogni processo ripartito in semplici segmenti, con precise istruzioni scritte per i dipendenti, in massima parte privi di esperienza e d'istruzione, su come eseguire le mansioni assegnate. Nulla lasciato all'iniziativa personale o all'immaginazione: la bibbia McDonald's, un manuale operativo di 385 pagine, prescrive ogni singola procedura con un dettaglio esasperante (35). Il

management non tollera alcuna deviazione dalla regola prescritta. Il processo McDonald's comincia con la standardizzazione e l'omogeneizzazione delle polpette di carne. La polpetta di hamburger base, formata a macchina, pesa 45,36 grammi e ha un diametro di 9,68 centimetri; non contiene polmone, cuore, cereali o soia. Con ogni chilogrammo di carne si preparano ventidue hamburger, che hanno un contenuto di grasso non superiore al 19 per cento. Tutto calcolato nel minimo dettaglio, incluso il diametro del panino (8,89 centimetri) e la quantit di cipolla che deve contenere (7 grammi). Inoltre, il panino deve avere un contenuto di zuccheri superiore alla norma, per brunirsi pi velocemente (36). Kroc non lasciava niente al caso. Nelle sue memorie ricorda spesso l'attenzione e la cura dedicate anche ai pi trascurabili dettagli, come la carta oleata utilizzata per tenere separato un hamburger dall'altro prima della cottura, o la procedura per impilare le polpette. La carta deve essere abbastanza oleata da evitare che la polpetta rimanga attaccata quando la si posa sulla griglia. Ma non deve essere troppo rigida, per evitare che la polpetta scivoli e non resti impilata. C' una scienza anche nell'impilare le polpette: se la pila troppo alta, quelle in fondo si deformano e si seccano. Abbiamo individuato l'altezza ottimale della pila e, sulla base di questa, abbiamo determinato l'altezza del contenitore richiesto ai fornitori di carne (37). Da McDonald's, come in tutte le altre catene di fast-tood in franchising che l'hanno imitato, il cuoco non c' pi: il suo ruolo assunto da macchine ad alta tecnologia, automatizzate, che istruiscono un addetto, privo di formazione e qualifica, su cosa fare esattamente e quando farlo. Le griglie McDonald's sono perfino dotate di una luce che lampeggia per segnalare all'addetto il momento in cui girare la polpetta (38). Kroc era rimasto colpito da ci che il giovane Henry Ford era riuscito a ottenere con il suo Modello T. Ricordava che Ford aveva detto: Non importa di che colore la vogliono, purch sia nero. Kroc applic il medesimo principio al suo hamburger: ognuno esattamente identico all'altro; al cliente non permesso guarnire l'hamburger sulla base del proprio gusto personale, per evitare di rallentare la linea di produzione, ridurre l'efficienza e aumentare i costi. Su questo punto, Kroc era inequivocabile: Nel momento in cui si comincia a personalizzare, ci si confronta su base individuale: il costo del prodotto identico, ma il lavoro triplica. Non possiamo permettercelo (39). Kroc calcolava che bastassero cinquanta secondi per servire un hamburger McDonald's, con "milk shake" e patate fritte (40). Alla fine degli anni Settanta sfornava dalla sua catena di montaggio miliardi di hamburger l'anno, e aveva gi preso posto accanto a Henry Ford, fra i grandi innovatori dei processi produttivi del ventesimo secolo. Se i colossi della macellazione furono i primi a utilizzare la catena di montaggio per macellare bovini e preparare i tagli di carne, Kroc riusc a razionalizzare la parte restante del processo, applicando tecniche di progettazione industriale alla preparazione del prodotto finale. Theodore Levitt, docente alla Harvard Business School, descrive cos il risultato conseguito da Kroc: Un punto vendita McDonald's una macchina per produrre un prodotto altamente sofisticato. Grazie a un'incessante attenzione al "total design" e alla pianificazione delle strutture, tutto integrato in questa macchina, nella tecnologia del sistema. L'unica possibilit, per l'inserviente dietro il banco, comportarsi esattamente come previsto dai progettisti. McDonald's un caso esemplare di applicazione d'intelligenza produttiva e tecnologica a problemi che, in ultima istanza, devono essere considerati di marketing (41). Oggi, il processo del mangiare stato ridotto al nucleo di assunti illuministi che governano gran parte della societ contemporanea. Come nel passato,

l'industria della carne bovina ha giocato un ruolo di primo piano nel dare forma e contorno all'attuale cultura. Oggi, anche l'ultimo consumatore sottoposto, nelle proprie abitudini alimentari, ai principi dell'organizzazione razionale, alla scienza della meccanizzazione, ai controlli qualit, agli standard misurabili, alla prevedibilit del prodotto, a un uso efficiente e utilitaristico del tempo. Lo stesso criterio tecnologico utilizzato per gestire i manzi negli allevamenti industriali e nelle linee di produzione dei mattatoi, stato efficacemente utilizzato anche per gestire la performance dei lavoratori addetti alla macellazione, e per riorientare le abitudini alimentari del consumatore verso i banchi dei ristoranti fast-food; ogni elemento del moderno complesso bovino - il bestiame, i lavoratori, i consumatori - si trasformato in un'unit di produzione e di consumo nell'ambito di una gabbia di riferimento utilitarista, orientata al profitto. Ci nonostante, l'esperienza americana al centro delle attese e delle aspirazioni di milioni di persone in tutto il mondo, alla ricerca di una vita migliore; molti continuano a considerare l'appartenenza all'esclusivo club della carne un segno di successo sociale, di appartenenza alla ristretta schiera dei ricchi e felici. Per questa ragione, in tutte le citt del pianeta, fanno la coda davanti a McDonald's, con le ultime riserve sul contratto faustiano che stanno sottoscrivendo messe a tacere dallo spirito pragmatico della nostra epoca. Den Fujita, capo delle attivit McDonald's in Giappone, ha mirabilmente sintetizzato la potenza della nuova icona bovina, esclamando: Se mangeremo hamburger per mille anni, diventeremo biondi. E quando saremo diventati biondi, potremo conquistare il mondo (42). 38. LA DECOSTRUZIONE DELLA CARNE MODERNA. La vacca un animale fra i pi placidi. Per temperamento, appare pacifica e soddisfatta. Ha una visione del mondo sfocata, dato che le manca la macula lutea, un'area gialla della retina che aiuta a mettere a fuoco gli oggetti. In compenso, ha olfatto e gusto sviluppatissimi, sensibili al minimo cambiamento. Bruca in uno stato di quasi sonnambulismo, come se fosse introversa e preoccupata. Sembra vivere in un mondo parallelo, un luogo lontano dall'agitazione e dal dinamismo che altri animali manifestano. Il toro irradia forza. La sua massa si concentra nella parte anteriore del corpo: ha un collo poderoso e quarti posteriori snelli al punto da sembrare incapaci di reggere una mole cos imponente (1). Il suo atteggiamento determinato, attento; il suo corpo sembra sempre pronto a lanciarsi alla carica. Il toro territoriale. Il suo occhio intenso, il suo sguardo pericoloso; tutto il suo essere, nel complesso, si mostra integro e dignitoso. La carne moderna testimone dell'ethos utilitarista; all'atto della nascita, lo spirito dell'animale spietatamente represso e soppresso: i bovini vengono castrati, privati delle corna, imbottiti di ormoni e antibiotici, irrorati di insetticida, allineati su un piano di cemento e ingozzati di cereali, segatura, morchia e liquami, finch raggiungono il peso ideale; poi vengono trasportati in camion a mattatoi automatizzati dove vengono uccisi, smembrati, tagliati a pezzi, mescolati, confezionati e proposti in prodotti e sottoprodotti utili che nulla hanno pi a che vedere con le creature viventi da cui derivano. I bambini dell'era industriale hanno ben pochi rapporti con gli animali di cui si nutrono tre o pi volte la settimana: hanno una cos scarsa consapevolezza che spesso rimangono sconcertati nel vedere una carcassa di manzo appesa nella cella frigorifera di una macelleria; sono cresciuti nella convinzione che la carne sia una cosa, una materia prodotta attraverso gli stessi processi da cui scaturiscono giocattoli, abiti e altri prodotti del genere. L'utilitarismo estremo dell'era moderna si fuso con i processi di produzione razionali, trasformando i bovini in una materia manipolabile il cui valore misurato esclusivamente in termini di mercato. Per organizzazione e obiettivi,

il moderno complesso bovino riflette la mentalit dell'era moderna: come la natura nel suo complesso, il bovino stato spogliato del proprio valore intrinseco e ridotto dapprima a risorsa, quindi a merce, ulteriormente trasformata in una gamma di prodotti commerciali destinati a essere consumati e dispersi nell'ambiente in vari stadi di decadimento entropico. Nella moderna produzione bovina, da un manzo di 450 chilogrammi si ricava, dopo lo smembramento nel macello, una carcassa di circa 280 chilogrammi; dalla carcassa si ricavano circa 245 chilogrammi di prodotti per la vendita al dettaglio (2). I principali tagli di carne bovina sono: filetto, controfiletto, costata, lombata, muscolo, lombo, girello, controgirello, fesa, noce, sottonoce, scamone, spalla, giovarro, fianchetto, gamba, guancia, coda. La carne fatta di muscolo magro, grasso e tessuti connettivi, ossa e pelle. Inoltre, ci sono vasi sanguigni e linfatici, ghiandole e tessuti nervosi (3). Il grasso si trova sotto la pelle e fra i muscoli. I muscoli sono composti da cellule di forma tubolare; le cellule del muscolo sono legate da un reticolo di tessuto connettivo che si concentra alle estremit del muscolo, costituendo i tendini che legano il muscolo allo scheletro. Il muscolo magro contiene circa il 75 per cento di acqua; il resto, approssimativamente, composto di proteine (20 per cento), di grassi (3 per cento), di minerali, glicogeno e altre sostanze organiche (1 per cento). Le ossa bovine contengono fra il 30 e il 40 per cento di acqua, fra il 15 e il 20 per cento di grassi, fra il 15 e il 20 per cento di proteine; il resto composto da minerali (4). Dopo la morte dell'animale, il glicogeno nei tessuti muscolari produce un conservante, l'acido lattico. Se l'animale spaventato o subisce maltrattamenti fisici prima dell'abbattimento, probabilmente d fondo alle proprie riserve di glicogeno; gli animali eccitati, spaventati o surriscaldati, non si dissanguano completamente e la loro carne morta rimane rosata o infiammata, rendendo la carcassa poco attraente (5). Per rendere pi morbida la carne si ricorre alle tecniche pi varie: sono diffusi i trattamenti chimici, la frollatura naturale in ambiente a temperatura controllata e la stimolazione meccanica. In anni recenti, l'industria della carne bovina si orientata prevalentemente su prodotti formati, fabbricati e ristrutturati (6). Le nuove tecnologie di produzione permettono di destrutturare la carne e rimodellarla in versioni simulate dei tagli di maggiore qualit; spesso le finte bistecche sono indistinguibili, per tessuto e gusto, da quelle vere, e permettono di rispettare standard qualitativi uniformi in tutto il processo di produzione e di confezionamento. I prodotti di carne formata o modellata si ottengono applicando forza meccanica o energia a pezzi di carne cruda, fresca o marinata, usando metodi come la miscelazione meccanica, la centrifugazione, la battitura, lo scuotimento o il massaggio, in modo che la carne diventi soffice e malleabile e produca sulla propria superficie un essudato cremoso e vischioso. Inoltre... i prodotti formati garantiscono una superiore omogeneit di colore, tessuto e distribuzione del grasso (7). In uno dei capitoli precedenti, abbiamo descritto il processo di confezionamento sotto vuoto della carne, che diventato lo standard nell'industria della lavorazione delle carni bovine. Riducendo l'animale in tagli monoporzione, i macellatori sono in grado di riciclare il grasso in eccesso, le ossa e altre parti di scarto della carcassa, e utilizzarle per la produzione di sottoprodotti; la carne confezionata permette ai dettaglianti di risparmiare lo spazio nelle celle frigorifere e lo stipendio di un macellaio esperto. Solo il 54 per cento di un manzo macellato viene effettivamente utilizzato come carne per consumo umano o animale; pi del 40 per cento dell'animale - grasso, ossa, interiora, pelle - viene convertito dai trasformatori in una grande variet di sostanze, materiali e prodotti utilizzati per la preparazione di altri alimenti, di prodotti per la casa, di farmaci e di prodotti industriali (8). Il collagene, contenuto nei tessuti connettivi, viene utilizzato come collante e involucro per salsicce. Gli adesivi a base di collagene si usano per carte da parati, colle, bendaggi, e limette per unghie. La gelatina si usa nella preparazione di gelati, caramelle, yogurt, maionese e altri alimenti, oltre che

per le pellicole fotografiche e i dischi in vinile. I grassi e gli acidi grassi bovini si usano per il lucido da scarpe, i pastelli, la cera per pavimenti, l'oleomargarina, i cosmetici, i deodoranti, i detergenti, i saponi, i profumi, gli insetticidi, il linoleum, gli isolanti e il freon. Da zoccoli e corna si ricavano pettini, tasti per pianoforte e finto avorio; dalla pelle, oggetti di pelletteria, rivestimenti, scarpe e borse; dal pelo, pennelli. L'insulina estratta dal pancreas viene usata per curare il diabete; il glucagone, sempre estratto dal pancreas, per l'ipoglicemia; la tripsina e la chimotripsina per il trattamento di ferite e ustioni; la pancreatina come digestivo. Il plasma del sangue bovino usato per curare emofilia e anemia; la trombina un emocoagulante. Il midollo osseo alla base di cure farmacologiche per le patologie ematiche, e le cartilagini vengono usate in chirurgia plastica. Dagli intestini si ricavano fili per sutura chirurgica. L'A.C.T.H. estratto dalla ghiandola ipofisaria allevia artrite e allergie. Sottoprodotti bovini sono utilizzati come leganti per asfalti, oli da taglio e lubrificanti industriali. Si dice che della vacca si utilizzi tutto, eccetto il muggito (9). Naturalmente, i bovini sono sfruttati da tempo immemorabile: da sempre, l'uomo ha contato sui bovini e su altri animali per avere cibo, abiti, riparo, trazione, combustibile e altri beni di prima necessit. La differenza principale fra le antiche culture e l'attuale societ la sostituzione del rapporto personale con l'animale con un rapporto mediato dalla tecnologia. Nelle culture antiche, fra uomo e animale c'era una relazione intima: gli uomini vivevano a stretto contatto con gli animali, domestici o selvatici, e, dato che il mondo umano e quello animale erano cos contigui, gli individui si identificavano con la preda, spesso al punto da assumerne gli attributi o da proiettare la propria immagine su di essa. Gli animali erano parte del mondo umano e dell'ordine sociale. Nelle culture venatorie, gli uomini e i loro animali domestici convivevano, condividendo completamente la vita quotidiana. Fin dall'antichit, l'uomo ha capito che gli altri animali non erano molto differenti da lui. Con l'uomo, l'animale condivideva caratteri fisici e comportamentali; come lui pensava e agiva, dimostrava affetto e amore, tutelava il proprio interesse, proteggeva i cuccioli e provvedeva al loro futuro. Queste analogie erano sufficienti a rendere l'uccisione e il consumo degli animali da parte dell'uomo una faccenda delicata. Per risolvere le contraddizioni legate all'uccisione e al consumo di creature senzienti, le culture carnivore premoderne svilupparono una grande variet di atti rituali, per compensare l'atto di appropriazione della vita di un'altra creatura. In alcune culture, il cacciatore invocava il perdono dell'animale per averlo ucciso, chiedendogli di non cercare vendetta dall'aldil. Alcune trib di cacciatori raccoglievano le ossa della preda, dopo averla mangiata, e le ricomponevano nella forma originaria a cui davano sepoltura, per mostrare rispetto e gratitudine nei confronti della creatura di cui si erano nutriti (10). Come abbiamo notato in precedenza, nelle prime grandi civilt mediorientali e mediterranee, i sacerdoti di palazzo facevano anche da macellai: i loro templi erano, al tempo stesso, luoghi di culto ed elaborati mattatoi (11). Bovini e altro bestiame venivano trasportati al tempio, dove venivano macellati nel corso di cerimonie rituali: alcune parti dell'animale venivano offerte in sacrificio agli di e il resto era distribuito alle persone di rango che componevano la gerarchia del palazzo. Walter Burkert, nel suo "Homo Necans. Antropologia del sacrificio cruento nella Grecia antica", descrive i sacrifici dell'antica Grecia. Per prima cosa, il sacerdote si purificava con un bagno e indossava abiti cerimoniali puliti. In genere, prima del sacrificio, i sacerdoti si astenevano dall'attivit sessuale per un periodo adeguato. L'animale, di solito una vacca, veniva lavato e spazzolato, adornato di ornamenti e condotto all'altare in processione. Ai piedi dell'altare consacrato, la bestia veniva irrorata con acqua benedetta, in modo da fargli scrollare la testa. Lo scuotimento veniva interpretato come un volontario cenno di assenso, un 's' all'azione sacrificale. Allora, il sacerdote gli spingeva a fondo un coltello nel collo. Mentre il sangue dell'animale scorreva sull'altare, le donne presenti rimarcavano il clima emotivo emettendo urla alte e acute (12) La carcassa

veniva poi fatta a pezzi. Il cuore, ancora pulsante, veniva lasciato sull'altare, mentre il resto del corpo si faceva arrostire su una fiamma vivace e distribuito fra i partecipanti alla cerimonia; le ossa e pochi, simbolici pezzi di carne venivano bruciati, come offerta agli di (13). L'emblematico sacrificio contribuiva ad alleviare il senso di colpa dei partecipanti, trasformando il gesto dell'uccisione in un atto di offerta; garantendosi il consenso dell'animale, i partecipanti si scaricavano la responsabilit del delitto, diventando semplici complici ed esecutori di un atto sacro, voluto dagli di, a cui l'animale partecipava volontariamente. Secondo un antico testo babilonese, il gran sacerdote si chinava sull'orecchio dell'animale morente e sussurrava: Questo gesto stato compiuto dagli di; non sono stato io a compierlo (14). L'ebraismo e la tarda cristianit si liberarono degli aspetti sacrificali della macellazione animale. All'uomo non era pi richiesta l'espiazione per aver tolto la vita a un'altra creatura, o l'esecuzione di elaborati sacrifici agli di: altri espedienti furono trovati per giustificare il consumo di carne animale. Facendo l'uomo a immagine e somiglianza di Dio e rendendolo padrone dell'universo creato, i teologi giudaico-cristiani offrirono la giustificazione razionale all'uccisione dell'animale a scopo alimentare; pi tardi, i pensatori illuministi offrirono anche una giustificazione biologica, ipotizzando che la natura esistesse solo in funzione del soddisfacimento dei bisogni utilitaristici umani; i fanatici darwiniani aggiunsero che l'unico scopo dell'evoluzione era promuovere la sopravvivenza del pi adatto nella lotta competitiva della natura. E, dato che l'uomo era il pi evoluto fra tutti gli esseri viventi, appropriandosi della carne di altre creature e metabolizzandola nella massima misura possibile, non avrebbe fatto altro che rispettare il proprio ruolo nell'evoluzione. Le elaborate giustificazioni religiose e biologiche create nel corso dei secoli non sono state sufficienti a placare il conflitto negli uomini e nelle donne occidentali, che continuano a compatire le bestie di cui si nutrono, e a provare sentimenti contraddittori. Le culture premoderne, con l'enfasi che ponevano sul sacrificio, sull'espiazione e sul debito di gratitudine, sembrano aver mediato con maggiore successo le tensioni intrinseche al rapporto uomo-animale. Al contrario, la razionalizzazione antropocentrica della teologia giudaicocristiana e lo spirito utilitarista dell'Illuminismo, bench intellettualmente pi sofisticati, erano troppo astratti per sedare le reazioni intense e viscerali di chi ha sparso il sangue di un'altra creatura. Per liberarsi la coscienza, l'uomo moderno ha eretto una serie di barriere che lo separino, per quanto possibile, dall'animale di cui si nutre. Sottraendosi a una relazione intima con la preda, l'uomo riuscito a sopprimere il profondo legame emotivo che, insieme alla paura, al disgusto, alla vergogna e al pentimento, accompagna l'uccisione di un'altra creatura. Abbiamo gi alluso al modo in cui i pensatori illuministi hanno oggettivato la natura, trasformandola in risorsa e merce, attribuendole connotati meccanici, pur di giustificarne l'indiscriminata manipolazione tecnologica e lo sfruttamento economico; le culture carnivore hanno ulteriormente separato gli uomini dagli animali di cui si nutrono, trasferendo la responsabilit dell'uccisione, nascondendo l'atto della macellazione, camuffando il processo di smembramento e celando l'aspetto animale del cibo nelle preparazioni alimentari. Il trasferimento di responsabilit non un fatto nuovo. Nell'Atene classica, i grandi sacerdoti, dopo l'uccisione rituale del toro, fuggivano dall'altare, fingendo il panico. Al termine del sacrificio, si teneva un processo, in cui il coltello sacrificale veniva dichiarato colpevole di aver commesso l'atto e condannato alla distruzione (15). In et tardomedievale e nella prima et moderna, la colpa veniva attribuita al macellaio: se i sacerdoti erano rispettati e l'atto dell'uccisione era considerato un sacrificio, i macellai erano guardati con disprezzo e riprovazione, e l'atto dell'uccisione era considerato assassinio. In un dizionario del 1657, gli attributi indicati come confacenti al macellaio erano: Sudicio, sanguinario, carnefice, inesorabile, spietato, crudele, rozzo, truce, insensibile, duro... brutale (16). I macellai erano considerati cos crudeli e insensibili che non potevano far parte di una giuria nei casi di

delitti capitali, a causa della loro tendenza alla crudelt (17). Nel 1716, John Gay, ai pedoni che camminavano per le vie di Londra, raccomandava di evitare l'immondo banco del rozzo beccaio, / Le cui mani son tinte d'empie macchie di sangue, / E sta sempre tra i primi nel codazzo del boia (18). Spogliata di sacralit, l'uccisione dei bovini e degli altri animali viene considerata con ripugnanza da un numero crescente di persone, in Europa e nelle Americhe. Il reverendo S. Barnett, un ministro di culto londinese, richiese alle autorit di nascondere i macelli alla vista del pubblico, affermando che il solo vederli brutalizza un ampio strato di popolazione e degrada i fanciulli (19). Lo preoccupava particolarmente l'odore di morte che si levava dai mattatoi e dai rifiuti scaricati nelle fogne che scorrevano a cielo aperto, al centro delle strade. Lo storico francese Alain Corbin ne descrive le condizioni: Negli angusti cortiletti dei beccai il tanfo del fumo, delle immondizie fresche, dei resti organici, si unisce ai gas nauseabondi che sfuggono dagli intestini; peggio ancora, il sangue ruscella all'aperto, si rovescia per le strade, lacca i selciati di una vernice brunastra, si decompone negli interstizi... I vapori maleodoranti che impregnano la strada e le botteghe sono tra i pi funesti e repellenti: 'Predispongono i corpi tutti alla putredine'. Assai spesso, gli odori soffocanti sprigionati dalla fusione di sego, conferiscono l'ultimo tocco a questa accozzaglia di effluvi nauseabondi (20). Oggi, bovini e altro bestiame sono tenuti separati, sottratti alla vista del pubblico, fino al momento in cui compaiono sotto forma di tagli e porzioni, al banco dei supermercati. Gli allevatori hanno rinchiuso il patrimonio zootecnico della nazione in aree rurali recintate ed escluse alla vista del pubblico, come i complessi industriali. Le stalle sono talmente automatizzate che il contatto fra inservienti e animali minimo: perfino il dosaggio giornaliero del cibo spesso gestito e regolato da un computer. A questo grado di distacco afferma James Serpell l'animale diventa un numero, un'unit di produzione, astratto rispetto alla sua esistenza, in vista della massimizzazione della resa (21). I macelli del paese, un tempo collocati nel cuore di grandi citt del Midwest, come Cincinnati o Chicago, ora si trovano alla periferia di piccoli centri della medesima regione, dove l'attivit all'interno delle mura del mattatoio ha poco o nessun effetto sulla comunit umana, insediata al di l dei cancelli. Oggi, la descrizione della natura occulta dei mattatoi fatta da Upton Sinclair all'inizio del secolo, pi appropriata di allora. Ne "La giungla", il giovane operaio Jurgis descrive le sensazioni provate al suo primo ingresso nel mattatoio: Faceva pensare a un qualche orrendo crimine commesso nella segreta d'un castello medievale, di nascosto, al riparo da occhi indiscreti, celato alla vista e cancellato dal ricordo (22). Oltre che attraverso la separazione e il trasferimento della responsabilit, l'uomo moderno ha tentato di ridurre l'uccisione dell'animale a processo razionale, analogo a quello della produzione meccanizzata, attraverso una rappresentazione edulcorata del processo di macellazione bovina. In un recente numero della rivista britannica Meat Trades Journal, uno dei redattori proponeva di sostituire i termini macellaio e macello rispettivamente con operatore di impianti per la produzione di carne e fabbrica di carne, per adeguare il linguaggio alla sensibilit del pubblico, sempre pi animalista (23). Oggi, lo United States Department of Agriculture descrive i bovini come unit animali consumatrici di cereali, dimostrando con chiarezza che il pensiero meccanicista e utilitarista dell'Illuminismo continua ad avere una notevole influenza sul linguaggio contemporaneo (24). L'industria della lavorazione delle carni e il pubblico dei consumatori sarebbero certamente disturbati se la carne bovina venisse commercializzata con l'etichetta animale macellato o porzione di animale morto, leggermente cremata. Perfino termini come manzo, vitello, maiale, capriolo e montone sono eufemismi che contribuiscono a creare un'immagine del cibo scevra da ogni rapporto con l'animale da cui proviene (25). Pochi si sentirebbero a proprio agio nell'ordinare un pezzo di mucca, un agnellino, un porcello, o una pecora, scegliendo nel menu del ristorante. La cultura moderna ha preso le distanze dagli animali di cui si nutre anche in

un altro importante modo: la preparazione della carne per il consumo. Nei grandi saloni dei castelli medievali, grandi quarti di bue e interi maiali venivano arrostiti sullo spiedo, davanti agli occhi degli ospiti. Il giorno di Pasqua, spesso si arrostiva un agnello intero. Nelle case medievali, era prassi corrente mettere in tavola un intero animale o un pezzo molto grosso. Agli uccelli arrostiti venivano rimesse le piume, in modo che, al momento di essere serviti, sembrassero vivi, insieme a conigli interi e quarti di vitello. A partire dalla prima era moderna, gran parte della preparazione degli alimenti venne nascosta allo sguardo del pubblico e relegata dietro le quinte, in cucina e nel retrocucina. Le nuove societ urbanizzate, soprattutto in Francia e in Germania, cominciarono a sentire un progressivo disagio alla vista di interi animali sulla tavola: servire un animale intero equivaleva a rammentare con troppa energia l'uccisione e la morte, oltre alla linea sottile che separa l'uomo dalle sue prede; solo le bestie sbranano i propri simili. I nuovi standard gastronomici cominciarono a enfatizzare il camuffamento. Sempre pi spesso lo scalco lavorava lontano dalla tavola, in cucina, insieme ai cuochi. Ad animali, selvaggina e pesci veniva tolta la testa, e la carne veniva tagliata in piccole porzioni, sfilettata lontano dallo sguardo dei commensali, e servita in modo da eliminare ogni possibilit di identificazione con l'animale che stava per essere mangiato. Nel 1826, il critico inglese William Hazlitt scrisse: Gli animali di cui si fa uso come cibo devono essere cos piccoli da essere impercettibili, o... non devono mantenere una forma che ci faccia avvertire un senso di riprovazione per la nostra ghiottoneria e crudelt. Non sopporto di vedere un coniglio arrostito o una lepre portata in tavola nella forma che aveva da viva (26). L'ubiquo hamburger rappresenta l'ultimo stadio del moderno processo di decostruzione della carne: il bovino stato disassemblato in una materia indistinguibile, reso manipolabile e modellabile in un processo di produzione altamente meccanizzato. Il manzo stato costretto al di fuori del suo stato naturale, compresso e modellato da quello stesso metodo scientifico che Bacone adott per primo, allo scopo di decostruire e modellare la natura. La vacca stata smembrata, disarticolata, ricostruita, pressata in unit rotonde, ordinate, facilmente confezionabili, che possono essere congelate, trasportate, impilate, grigliate e consumate con il minimo della fatica. Il processo mediante il quale i bovini vengono allevati, ingrassati, macellati e confezionati, altamente razionalizzato, utilitarista e vantaggioso: un processo interamente automatizzato, in cui l'uomo non coinvolto che marginalmente. 39. I BOVINI E IL MALE OCCULTO. Il moderno complesso bovino pervasivo. Le sue attivit hanno contribuito in misura rilevante al deterioramento dell'ambiente del pianeta. Ma l'impatto dei bovini sul consorzio umano non stato ancora affrontato: il silenzio che circonda il complesso bovino e la carne moderni ancora pi sconcertante, alla luce dell'effetto che produce sulla creazione di una delle pi inique modalit di produzione e distribuzione del cibo che la storia abbia mai conosciuto. Nel ventesimo secolo, il complesso bovino moderno ha aperto la strada a una campagna mondiale senza precedenti volta a trasferire la produzione cerealicola mondiale dall'alimentazione umana a quella animale, negando a milioni di persone la propria sacrosanta quota di ricchezza mondiale. Nel capitolo 9 abbiamo appreso che un terzo della produzione mondiale di cereali viene utilizzato per alimentare bovini e altro bestiame, mentre pi di un miliardo di esseri umani soffre di malnutrizione. Oggi, europei, americani e giapponesi si trovano al vertice di una catena alimentare artificiale, che li costringe a ingozzarsi di carne bovina venata di grasso. In termini umani, il pedaggio imposto dal complesso bovino mondiale impressionante. Nei paesi in via di sviluppo, milioni di persone sono state

allontanate dalla loro terra per lasciare posto a pascoli; la maggior parte di esse sono emigrate in squallide periferie urbane, dove sopravvivono a stento. Cronicamente affamate, sono vittime di una grande variet di malattie legate alla malnutrizione. In molti paesi del Terzo mondo, un bambino su dieci non arriva al primo compleanno. Per molti di quelli che sopravvivono, la vita non che un lento scivolare verso la morte, per mano di disastri ambientali e malattie parassitiche che minano il loro gi indebolito sistema immunitario. I ricchi consumatori del Primo mondo si godono i piaceri di una dieta carnea, ma patiscono le conseguenze degli eccessi che la posizione dominante nell'artificiosa scala delle proteine comporta: con il corpo intasato di colesterolo, vene e arterie occluse dai grassi animali, sono vittime delle malattie del benessere, degli attacchi cardiaci, dei tumori del colon e della mammella, del diabete. Il moderno complesso bovino rappresenta una nuova specie di forza malvagia che agisce nel mondo. In una civilt che ancora misura il male in termini individuali, il male istituzionale, nato dal distacco razionale e perseguito freddamente con metodi calcolati di espropriazione tecnologica, deve ancora trovare una posizione sulla scala morale. La riprovazione morale continua a essere legata ad atti d'individuale malvagit; se un membro della societ commette un atto di violenza, priva il suo prossimo della vita, della propriet o della libert, l'individuo e il suo gesto sono universalmente condannati. Il male manifesto, visibile, diretto e passibile di giudizio. Il mondo moderno riconosce il male individuale che cagiona un danno diretto ad altri individui. Non sa ancora riconoscere una nuova e ben pi pericolosa forma di male, che ha premesse tecnologiche, imperativi istituzionali e obiettivi economici. La societ contemporanea continua a tutelarsi dal male individuale e diretto, ma ancora non riuscita a integrare nella propria griglia morale di riferimento il senso di giusta indignazione e di riprovazione morale nei confronti della violenza istituzionalmente certificata. Sebbene sia vero che alcuni, limitati esempi di violenza istituzionale sono isolati e puniti, i crimini, in generale, hanno natura individuale e diretta: un funzionario, aziendale o pubblico, viene condannato per malversazione, discriminazione o negligenza di qualche genere. Ma cosa accade di un altro genere di malvagit: quella implicita all'origine, nelle premesse medesime su cui si fondano le istituzioni? La chiesa accenna, con molta timidezza, all'idea di combattere le potenze e i principati terreni, ma anche qui riconosce solo un concetto tradizionale di moralit, ispirato ai Dieci Comandamenti. Cosa dire, invece, del male che scaturisce da metodi razionali di confronto, obiettivit scientifica, riduzionismo meccanicista, utilitarismo ed efficienza economica? Il male inflitto al mondo moderno dal complesso bovino ha questa natura: avidit, inquinamento e sfruttamento hanno accompagnato il complesso bovino durante tutta la millenaria migrazione verso ovest. La nuova dimensione del male intimamente connessa con il complesso bovino moderno, che ha acquisito i caratteri di un male occulto, e discende direttamente dai principi illuministi su cui si fonda gran parte della moderna visione del mondo. Questo male occulto viene inflitto a distanza; un male camuffato da strati sovrapposti di veli tecnologici e istituzionali; un male cos lontano, nel tempo e nel luogo, da chi lo commette e da chi lo subisce, da non lasciar sospettare o avvertire alcuna relazione causale. E' un male che non pu essere avvertito, data la sua natura impersonale. Lasciare intendere che un individuo sta facendo il male coltivando cereali destinati all'alimentazione animale o consumando un hamburger, pu sembrare strano, perfino perverso, a molti. Anche se i fatti fossero espliciti e incontrovertibili, e il percorso del male fosse tracciato nei suoi pi minuti dettagli, improbabile che molti, nella societ, avvertirebbero il medesimo senso di riprovazione morale che provano di fronte a un male diretto e individuale, come una rapina, uno stupro, la deliberata tortura del cane dei vicini. E' probabile che i proprietari dei negozi in cui si vende carne di bovini nutriti a cereali non avvertano mai, personalmente, la disperazione delle vittime della povert, di quei milioni di famiglie allontanate dalla propria terra per fare spazio a coltivazioni di prodotti destinati esclusivamente all'esportazione. E che i ragazzi che divorano "cheeseburgers" in un fast-food

non siano consapevoli di quanta superficie di foresta pluviale sia stata abbattuta e bruciata per mettere a loro disposizione quel pasto. E che il consumatore che acquista una bistecca al supermercato non si senta responsabile del dolore e della brutalit patiti dagli animali nei moderni allevamenti ad alta tecnologia. In una civilt completamente imbevuta di principi illuministi, come la meccanizzazione e l'efficienza economica, la sola idea che questi medesimi principi siano, potenzialmente, causa del male censurata. La maggior parte delle relazioni che regolano le societ moderne sono mediate dalla razionalit, dal distacco obiettivo, dalla ricerca dell'efficienza, da considerazioni utilitariste e interventi tecnologici. Il moderno complesso bovino, come abbiamo appreso attraverso le pagine di questo libro, stato fra le prime forze istituzionali a mettere in pratica le idee dell'Illuminismo, a integrare gli standard ingegneristici della moderna visione del mondo in ogni aspetto della propria attivit. Nell'era moderna, queste idee e questi standard sono stati utilizzati efficacemente per tagliare gli intimi legami fra uomo e natura. I principi fondamentali dell'Illuminismo hanno spogliato la natura della propria vitalit e derubato le altre creature della propria essenza originale e del proprio valore intrinseco. Nel mondo moderno, freddo e calcolatore, abbiamo scambiato la salvezza eterna con l'interesse materiale personale, il rinnovamento con la convenienza, la capacit generativa con le quote di produzione. Abbiamo appiattito la ricchezza organica dell'esistenza, trasformando il mondo che ci circonda in astratte equazioni algebriche, statistiche e standard di performance economica. Il male occulto viene perpetuato da istituzioni e individui mossi da principi organizzativi razionali, che a far loro da guida per scelte e decisioni hanno solo forze di mercato e obiettivi utilitaristici. In un mondo di questo genere, ci sono ben poche occasioni per onorare la creazione, essere in sintonia con le altre creature, gestire l'ambiente e proteggere i diritti delle future generazioni. L'effetto sull'uomo e sull'ambiente del modo moderno di pensare e di strutturare le relazioni stato quasi catastrofico: ha indebolito gli ecosistemi e minato alla base la stabilit e la sostenibilit delle comunit umane. La grande sfida che dobbiamo affrontare rappresentata dal lato oscuro della moderna visione del mondo: dobbiamo reagire al male occulto che sta trasformando la natura e la vita in risorse economiche che possono essere mediate, manipolate e ricostruite tecnologicamente per adeguarle ai ristretti obiettivi dell'utilitarismo e dell'efficienza economica. 40. OLTRE LA CARNE. Risvegliare nel consesso umano la coscienza del saccheggio dei bovini e la consapevolezza del male occulto un compito ingrato. Nel nome del progresso e del profitto, il moderno complesso bovino ha distrutto ecosistemi naturali e trasformato parte del pianeta in una desolata terra semidesertica inadatta a essere abitata da uomini, animali e vegetali. Nel nome della razionalit e dell'obiettivit, il moderno complesso bovino ha ridotto la natura, e perfino il lavoro umano, a una risorsa economica, manipolabile e scambiabile in un libero mercato. Nel nome dell'efficienza, il moderno complesso bovino ha trasformato vacche, lavoratori di impianti di macellazione e consumatori, in dati di produzione e di consumo, utensili e target, privi di qualsiasi valore intrinseco o spirituale, involucri vuoti mossi in sincronia per tenere il ritmo degli allevamenti tecnologici, delle linee di lavorazione e delle casse dei fast-food. La mitologia della carne stata utilizzata continuamente per affermare il dominio maschile, sottolineare le divisioni di classe, promuovere gli interessi del nazionalismo e del colonialismo, perpetuare la disuguaglianza sociale e lo sfruttamento economico su scala mondiale. La storia della lunga relazione dell'umanit con i bovini la storia della

relazione dell'uomo con la propria capacit generativa. Il toro e la vacca, antiche icone della nostra virilit e fertilit, sono stati dissacrati e snaturati, spogliati della loro vitalit e trasformati in macchine per produrre. Sono stati sottratti a se stessi, decostruiti in pura materia manipolabile, ridotti a cose. In un mondo fondato sull'utilit, sulla convenienza, con solo il mercato a dare senso e significato, la vacca continua a essere lo specchio ideale dell'evoluzione della nostra coscienza: la cruda visione di come il mondo che abbiamo costruito ci abbia trasformati. Abbiamo sostituito meccanismi a organismi, utilitarismo a spiritualit, standard di mercato a valori civili, trasformandoci da esseri in risorse. Il complesso bovino stato fra le pi importanti palestre dell'economia moderna. Oggi i bovini vengono al mondo con l'inseminazione artificiale, il trasferimento di embrioni e tecniche di clonazione. Allevati con l'occhio all'efficienza economica pi che all'adattamento della specie, sono alimentati forzatamente, imbottiti di farmaci, monitorati da macchine, costretti e controllati, segregati e manipolati per soddisfare le caratteristiche imposte dalla moderna zootecnia: dalla nascita alla macellazione sono trattati come prodotti industriali. Contengono pi grasso, pesano di pi, maturano pi rapidamente delle bestie allo stato selvatico, ma sono molto meno sani, spesso non sono in grado di riprodursi autonomamente e sono infestati da malattie parassitiche e opportuniste; per sopravvivere necessitano di complessi apparati tecnologici e supporti farmacologici. La loro maggiore produttivit comporta una diminuzione della capacit generativa. Finch la produttivit industriale rester l'unico parametro con cui misurare il nostro rapporto con i bovini e con altre specie animali e vegetali, non potremo sviluppare un'etica economica pienamente compatibile con le regole e i ritmi che governano la sostenibilit. In natura, la capacit generativa, non la produttivit, misura della sostenibilit. La capacit generativa una forza che afferma la vita: la sua essenza organica; la sua teleologia rigenerativa. La produzione industriale , spesso, una forza di morte: la sua essenza la manipolazione della materia; la sua teleologia consumista. Il mutamento della nostra relazione con i bovini - dalla venerazione della capacit generativa al controllo della produttivit rispecchia il mutamento della coscienza della civilt occidentale, nella lotta per definire se stessa e il proprio rapporto con l'ordine naturale e lo schema cosmico. Nel primo stadio del nostro rapporto con i bovini, i nostri antenati veneravano una forza generatrice da cui gli animali erano posseduti e su cui avevano poco o nessun controllo: la loro relazione con essi era, al tempo stesso, intima e sacra, basata sulla paura e sulla dipendenza. I nostri antenati rendevano omaggio ai bovini per compiacere gli di, per garantirsi la benedizione di un'esistenza feconda e ricca; i loro riti erano pensati per manipolare le forze cosmiche a loro vantaggio, in modo da prosperare; mangiavano carne per assimilare lo spirito divino, per partecipare al grande ciclo dell'eterna rinascita. Nella seconda fase di questo rapporto, ci siamo sostituiti agli di e abbiamo trasformato i bovini in una risorsa produttiva manipolabile. Abbiamo conquistato il controllo sui bovini e, per estensione, sulla forza generatrice della natura, rendendoli entrambi dipendenti dai nostri scopi razionali. Abbiamo annullato la nostra dipendenza dalla natura, ma, nel farlo abbiamo perso il senso del sacro e della comunione intima con il resto del creato. Abbiamo consumato carne per ottenere il potere sulla natura e sugli altri esseri umani. Oggi, siamo al principio della terza fase della saga uomo-bovino. Scegliendo di non mangiare carni bovine, manifestiamo la volont di fondare una nuova alleanza con queste creature: una relazione che trascenda gli imperativi del mercato e la dissolutezza del consumo. Liberare i bovini dal dolore e dall'umiliazione che patiscono nei moderni allevamenti industriali e nei macelli un atto umano di enorme importanza pratica e simbolica: liberare queste creature da un processo che le vede castrate, private delle corna, bloccate nelle funzioni riproduttive, sottoposte a dosi massicce di ormoni e di antibiotici, irrorate d'insetticidi e sottoposte a una morte brutale in un macello automatizzato, sarebbe un atto di contrizione e di riconoscimento del danno che noi moderni abbiamo inflitto all'intero creato, nell'affannosa ricerca di un potere assoluto sulle forze

della natura. Andare oltre la carne significa trasformare radicalmente il nostro modo di pensare su quello che l'atteggiamento pi giusto nei confronti della natura. Nel nuovo mondo che si va formando, l'attivit umana legata tanto alla forza generativa intrinseca della natura quanto agli artificiosi dettati del mercato. Iniziamo ad apprezzare le fonti del nostro sostentamento, la creazione ispirata da Dio che merita di essere nutrita e richiede di essere tutelata. La natura non pi un nemico da sottomettere e domare, ma una comunit primordiale di cui facciamo parte. Le altre creature non sono oggetti o vittime, ma compagni partecipi di quella grande comunit della vita che costituisce la natura e la biosfera. Eliminando la carne dalla dieta umana, la nostra specie pu compiere un significativo passo in avanti verso una nuova consapevolezza, che contempli uno spirito di comunione con i bovini e, per estensione, con le altre creature viventi con cui condividiamo il pianeta. NOTE. Introduzione. 1. - Le cifre relative alla popolazione bovina sono tratte da: Food and Agriculture Organization of the United Nations, "Production, 1989 Yearbook", vol. 43, Roma, FAO, 1990, tav. 89. 2. - Pieter Buringh, Availability of Agricultural Land for Crop and Livestock Production, in David Pimentel e Carl Hall (a cura di), "Food and Natural Resources", San Diego, Academic Press, 1989, p. 71. Pimentel stima che una conversione dell'attuale sistema di allevamento americano a foraggio e cereali in un sistema integralmente a foraggio libererebbe negli Stati Uniti cereali in misura di 130 milioni di tonnellate per il consumo umano: abbastanza per nutrire 400 milioni di persone. David Pimentel, "Il futuro sostenibile. Sistemi ecologlci, risorse naturali e agricoltura alternativa", trad. it. Firenze, Olimpia, 1993, p. 30. Oggi, nel mondo, circa un terzo degli 1,7 miliardi di tonnellate di produzione cerealicola sono destinati all'alimentazione animale; questo, usando i rapporti di conversione di Pimentel, farebbe s che un sistema di allevamento bovino esclusivamente a foraggio libererebbe cereali a sufficienza per nutrire pi di un miliardo di persone. U.S. Department of Agriculture, Economic Research Service, "World Agricultural Supply and Demand Estimates", WASDE-256, 11 luglio 1991, tav. 256-6. World Bank, "Poverty and Hunger", Washington, D.C., World Bank, 1986, p. 24. 3. - USDA, Economic Research Service, cit., tav. 256-6. World Bank, "Poverty and Hunger", cit., p. 24. Cap. 1 - Dal sacrificio alla macellazione. 1. - Jack Randolph Conrad, "The Horn and the Sword", Westport, Conn., Greenwood Press, 1973, p. 76. 2. - Ibid., p.p. 72-74. 3. - Yi-fu Tuan, "Dominance and Affection: The Making of Pets", New Haven, Yale University Press, 1984, p. 71. 4. - Conrad, cit., p.p. 78-79. 5. - Ibid., p. 80. 6. - Orville Schell, "Modern Meat", New York, Random House, 1984, p. 267. 7. - Ibid. 3. - Citato in ibid., p. 270. 9. - "Cattle Feeding Concentrates in Fewer, Larger Lots", in Farmline, giugno 1990. 10. - Jim Mason e Peter Singer, "Animal Factories", New York, Harmony Books, 1990, p. 67. 11. - Ibid., p. 51. 12. - Jeannine Kenney e Dick Fallert, "Livestock Hormones in the United States", in National Food Review, luglio-settembre 1989, p.p. 22-23.

13. - Fred Kuchler e altri, "Regulating Food Safety: The Case of Animal Growth Hormones", in National Food Review, luglio-settembre 1989, p. 26. 14. - Mason e Singer, cit., p. 70; F.D.A. Veterinarian, Antibiotics in Animal Feeds Risk Assessment, maggio-giugno 1989. 15. - Mason e Singer, "Animal Factories", cit., p.p. 83-84; National Research Council, Board on Agriculture, "Alternative Agriculture", Washington, D.C., National Academic Press, 1989, p. 49. 16. - National Research Council, cit., p. 44. 17. - National Research Council, Board on Agriculture, "Regulating Pesticides in Food", Washington, D.C., National Academic Press, 1987, p. 78, tavv. 3-20. 18. - Ibid., p. 78, tavv. da 3-20 a 3-22. 19. - Mason e Singer, cit., p. 51. 20. - Schell, cit., p. 127. 21. - Ibid, p. 129. 22. - Ibid. 23. - Ibid., p. 152. 24. - Ibid., p. 155. 25. - Jimmy M. Skaggs, "Prime Cut", College Station, Texas A&M University Press, 1986, p.191. 26. - Citato in ibid. Cap. 2 - Di e dee. 1. - J. J. Barloy, "Man and Animals", London, Gordon & Cremonesi, 1974, p. 50. 2. - Ibid.; Jack Randolph Conrad, "The Horn and the Sword", Westport, Conn., Greenwood Press, 1973, p. 20. 3. - Erich Isaac, "On the Domestication of Cattle", in Science, 137, 20 luglio 1962, p.p. 196-198. 4. - Citato in A. H. Sayce, Bull (semitic), in "Encyclopedia of Religion and Ethics", New York, Charles Scribner's Sons, 1911. 5. - Conrad, cit., p. 91. 6. - Citato in Theophile Meek, "Hebrew Origins", New York, Harper & Brothers, 1950, p. 140. 7. - Conrad, cit., p. 131 8. - Ibid., p. 146. 9. - Citato in Steven Lonsdale, "Animals and the Origins of Dance", London, Thames & Hudson, 1982, p. 81. 10. - Conrad, cit., p. 149. 11. - Ibid., p.p. 150-151. 12. - Citato in Pennethorne Hughes, "Witchcraft", London, Longmans, Green, 1952,p.91. Cap. 3 - Cowboy del Neoltico. 1. - Marija Gimbutas, "The First Wave of Eurasian Steppe Pastoralists into Copper Age Europe", in Journal of Indo-European Studies, 5, inverno 1977, p. 281. 2. - Manja Gimbutas, "Old Europe, 7000-3300 B.C.: The Earliest European Civilization Before the Infiltration of the Indo-European Peoples", in Journal of Indo-European Studies, 1, pnmavera 1973, p. 12. 3. - Ibid., p. 277. 4. - Ward H. Goodenough, The Evolution of Pastoralism and Indo-European Origins, in George Cardona e altri (a cura di), "Indo-European and IndoEuropeans", Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1970, p. 258. 5. - Gimbutas, "First Wave...", cit., p. 277. 6. - Goodenough, cit., p. 260. 7. - Reay Tannahill, "Storia del cibo", trad. it. Milano, Rizzoli, 1987 p.p. 127-128. 8. - Gimbutas, "First Wave...", cit., p.p. 280-281. 9. - Reay Tannahill, cit., p. 127. 10. - Ibid., p. 121. 11. - Eric Partridge, "Origins: A Short Etymological Dictionary of Modern

English", New York, Greenwich House, 1983, p. 84. 12. - Wilfred Funk, "Word Origins and Their Romantic Stories", New York, Crown 1979. 13. - James J. Parson, "The Scourge of Cows", in Whole Earth Review, primavera 1988, p. 41. 14. - Robert B. Hinman e altri, "The Story of Meat", Chicago, Shift & Company 1939, p. 5. 15. - Steven Lonsdale, "Animals and the Origins of Dance", London, Thames & Hudson, 1982, p. 80. Cap. 4 - Doni e capitale. 1. - Bruce Lincoln, "Priests, Warriors, and Cattle", Berkeley, University of California Press, 1981, p. 168. 2. - Ibid., p. 169. 3. - Ibid., p.p. 96-97. 4. - Ibid., p. 101. 5. - Ibid., p. 170. Cap. 5 - La vacca sacra. 1. - Reay Tannahill, "Storia del cibo", trad. it. Milano, Rizzoli, 1987, p.p. 128-129. 2. - Jack Randolph Conrad, "The Horn and the Sword", Westport, Conn., Greenwood Press, 1973, p. 52. 3. - Marvin Harris, "Cannibali e Re. Le origini delle due culture", trad. it. Milano, Feltrinelli, 1996, p.p. 156-157. 4. - Ibid., p. 160. 5. - Marvin Harris, "The Sacred Cow and the Abominable Pig", New York, Touchstone/Simon & Schuster, 1987, p. 52. 6. - Ibid., p.p. 53-54. 7. - Citato in ibid., p. 55. 8. - Ibid. 9. - Harris, "Cannibali e Re", cit., p. 158. 10. - Quincy Wright, "A Study of War", Chicago, University of Chicago Press, ] 942. 11. - John Reader, "Human Ecology: How Land Shapes Society", in New Scientist, 8 settembre 1988, p. 53. 12. - Marvin Harris, "Cows, Pigs, Wars and Witches", New York, Vintage/Random House, 1974, p.p. 6-7. 13. - J. J. Barloy, "Man and Animals", London, Gordon & Cremonesi, 1974, p. 58. 14. - Harris, "The Sacred Cow", cit., p. 49. 15. - Conrad, cit., p. 65. 16. - Harris, "Cows", cit., p.p. 7, 6217. - Harris, "The Sacred Cow", cit., p. 49. 18. - Harris, "Cows", cit., p. 49. 19. - Conrad, cit., p. 65. 20. - Barloy, cit., p 59. 21. - Harris, "The Sacred Cow", cit., p. 50. 22. - Harris, "Cows", cit., p.p. 8-9. 23. - Reader, cit., p.p 53-54. 24. - Harris, "Cows", cit., p.p. 13-14. 25. - Reader, cit., p. 53. 26. - Harris, "Cows", cit., p.l9. 27. - Harris, "The Sacred Cow", cit., p. 56. 28. - Ibid., p. 48. 29. - Citato in Barloy, cit., p. 57. 30. - Citato in Harris, "The Sacred Cow", cit., p. 65. Cap. 6 - Toreri e machismo. 1. - Jack Randolph Conrad, "The Horn and the Sword", Westport, Conn., Greenwood

Press, 1973, p.p. 161-163. 2. - Ibid., p. 183. 3. - Pauline S. Powers, "Obesity: the Regulation of Weight", Baltimore, Md., William & Wilkins, 1980, p. 206. 4. - Carson I. A. Ritchie, "Food in Civilization: How History Has Been Affected By Human Tastes", New York, Beaufort Books, 1981, p.p. 68-85. 5. - Ibid., p.p. 78-79. 6. - Fernand Braudel, "Civilt materiale, economia e capitalismo (XV-XVIII sec.)", trad. it. Torino, Einaudi, 1982, vol. 1, "Le strutture del quotidiano", p. 171. 7. - Ritchie, cit., p. 79. 8. - Braudel, cit., p. 168. 9. - Eric B. Ross, An Overview of Trends in Dietary Variation from Hunter Gatherer to Modern Capitalist Societies, in Marvin Harris ed Eric B. Ross, "Food and Evolution", Philadelphia, Temple University Press, 1987, p. 28. 10. - Citato in Ritchie, cit., p. 80. 11. - Ibid , p. 84. 12. - Food and Agriculture Organization of the United Nations, "Production, 1989 Yearbook", vol. 43, Roma, FAO, 1990, tav. 89. 13. - David Dary, "Cowboy Culture", New York, Knopf, 1981, p. 4. Cap. 7 - La bovinizzazione delle Americhe. 1. - Denzel Ferguson e Nancy Ferguson, "Sacred Cows at the Public Trough", Bend, Ore., Maverick Publications, 1983, p. 11. 2. - David Dary, "Cowboy Culture", New York, Knopf, 1981, p. 4. 3. - Charles Hackett (a cura di), "Historical Documents relating to New Mexico, Nueva Vizcaya, and Approaches Thereto, to 1773", Washington D.C., Carnegie Institution, 1923. 4. - Dary, cit., p. 6. 5. - Citato in ibid., p. 8. 6. - Ibid., p. 9. 7. - Ibid., p. 10. 8. - Ibid., p.p. 13-14. 9. - Ibid., p. 15. 10. - Ibid., p. 25. 11. - Ibid., p.p. 37-40. 12. - Herbert E. Bolton, "The Padre on Horseback", San Francisco Sonora Press, 1932, p. 64. 13. - Richard W. Slatta, "Cowboys of the Americas", New Haven, Yale University Press, 1990, p. 22. 14. - Citato in Herbert E. Bolton, "Fray Juan Crespi: Missionary Explorer on the Pacific Coast, 1769-1774", Berkeley, University of California, 1927, p.p 264265. 15. - Slatta, cit., p. 23. 16. - Nora E. Ramirez, The Vaquero and Ranching in the Southwestern United States, 1600-1970, dissertazione di dottorato, Indiana Universlty, 1979, p.p. 16, 22. 17. - Slatta, cit., p. 10. 18. - Ibid., p. 13. 19. - Carson I. A. Ritchie, "Food in Civilization. How History Has Been Affected By Human Tastes", New York, Beaufort Books, 1981, p. 16. 20. - John Super e Thomas Wright, "Food, Politics, and Society in Latin America", Lincoln, University of Nebraska Press, 1985, p. 5. 21. - Citato in Ritchie, cit., p. 185. 22. - Citato in Fernand Braudel, "Civilt materiale, economia e capitalismo (XV XVIII sec.)", trad. it. Torino, Einaudi, 1982, vol. 1, "Le strutture del quotidiano", p. 177. 23. - Ritchie, cit., p.. 187. 24. - Slatta, cit., p.p. 104-105. 25. - Ibid., p. 105. 26. - Ibid., p.p. l05-106.

27. - Ibid., p. 106. Cap. 8 - I "beefeaters" britannici. 1. - C. Anne Wilson, "Food and Drink in Britain", London, Constable, 1973. p. 69. 2. - Ibid., p.p. 69-70. 3. - Citato in Keith Thomas, "L'uomo e la natura. Dallo sfruttamento all'estetica dell'ambiente (1500-1800)", trad. it. Torino, Einaudi, 1994, p. 21. 4. - Citato in Fernand Braudel, "Civilt materiale, economia e capitalismo (XVXVIII sec.)", trad. it. Torino, Einaudi, 1982, vol. 1, "Le strutture del quotidiano", p. 83. 5. - Citato in Jack Goody, "Cooking, Cuisine, and Class", Cambridge, UK, Cambridge University Press, 1982, p. 135. 6. - Citato in ibid., p. 141. 7. - Ibid., p.p. 141-142. 8. - Citato in Leslie Gofton, The Rules of the Table: Sociological Factors Influencing Food Choice, in C. Ritson e altri (a cura di), "The Food Consumer", New York, Wiley, 1986, p. 139. 9. - Keith Thomas, cit., p. 18. 10. - Citato in ibid. 11. - Citato in Wilson, cit., p. 98. Cap. 9 - Che mangino patate. 1. - Eric B. Ross, An Overview of Trends in Dietary Variation from Hunter Gatherer to Modern Capitalist Societies, in Marvin Harris ed Eric B. Ross, "Food and Evolution", Philadelphia, Temple University Press, 1987, p. 29. 2. - Citato in ibid., p. 30. 3. - Citato in ibid. 4. - Ibid., p.p. 31-32. 5. - U.S. Department of Agriculture, Economic Research Service, "World Agricultural Supply and Demand Estimates", WASDE-256, Washington, D.C., USDA, 11 luglio 1991 tavv. 256-23 -19, -16, -6, -7. 6. - World Bank, "Poverty and Hunger", Washington, D.C., World Bank, 1986, p. 24. Cap. 10 - Vacche grasse e ricchi inglesi. 1. - Harriet Ritvo, "The Animal Estate", Cambridge, Mass., Harvard University Press, 1987, p.p. 45-50. 2. - Ibid. p. 49. 3. - James Dickson, "On the Application of the Points by Which Livestock Are Judged", in Quarterly Review of Agriculture, 6 (1835-36), p. 269. 4. - Ritvo, cit., p.p. 59-60. 5. - Ibid., p.p. 60-62. 6. - Citato in ibid., p. 79. 7. - Ibid., p. 80. 8. - Ibid., p. 73. 9. - Ibid., p. 67. Cap. 11 - Raccordi ferroviari e attraversamenti per il bestiame. 1. - Citato in Elizabeth Atwood Lawrence, "Rodeo", Knoxville, University of Tennessee Press, 1982, p. 51. 2. - Citato in ibid. p. 51. 3. - Walter Prescott Webb, "The Great Plains", Boston, Ginn, 1931, p. 208. 4. - Ibid. p. 210. 5. - J. Frank Dobie, "The Longhorns", New York, Grosset & Dunlap, 1941, p.p. 1112, 27-28. 6. - Webb cit., p.p. 211-212. 7. - Citato in Daniel J. Boorstin, "The Americans. The Democratic Experience",

New York, Vintage/Random House, 1974, p.p. 6-7. 8. - Citato in Webb cit., p. 214. 9. - Boorstin, cit., p. 8. 10. - Ibid., p. 29. 11. - Richard W. Slatta, "Cowboys of the Americas", New Haven, Yale University Press, 1932, p. 19. 12. - Citato in Webb, cit., p. 220. 13. - Jimmy M. Skags, "Prime Cut", College Station, Texas A&M University Press 1986, p. 54. 14. - Wilbur S. Shepperson, "The Maverick and the Cowboy", in Nevada Historical Society Quarterly, 30, estate 1987, p. 149. 15. - Skaggs, cit., p. 56 Cap. 12 - La grande svolta bovina. 1. - Maurice Frink e altri, "When Grass Was King", Boulder, University of Colorado Press, 1956, p. 22. 2. - Edward E. Dale, "Cow Country", Norman, University of Oklahoma Press 1943, p.p. 8-9. 3. - Frink e altri, cit., p. 22. 4. - Daniel J. Boorstin, "The Americans: The Democratic Experience", New York, Vintage/Random House, 1974, p. 6. 5. - Citato in Mark H. Brown e W. R. Felton, "Before Barbed Wire", New York, Henry Holt, 1956, p. 98. 6. - Walter Prescott Webb, "The Great Plains", Boston, Ginn, 1931, p. 44. 7. - W. Hornaday, The Extermination of the American Bison with a Sketch of Its Discovery and Life History, "Annual Report, Smithsonian Institution", Part III, Washington, D.C.; U.S. Government Pnnting Office, 1889, p.p. 367-548. 8. - Ibid. 9. - Eric B. Ross, "Beyond the Myths of Culture", New York, Academic Press, 1980, p. 199. 10. - Colonel Richard Irving Dodge, "The Hunting Ground of the Great West", London, Chatto & Windus, 1877. 11. - Citato in Wayne Gard, "The Great Buffalo Hunt", New York Knopf, 1959, p. 218; Tom McHugh, "The Time of the Buffalo", New York, Knopf, 1972, p.p. 275-276. 12. - McHUgh, cit., p.p. 253-254. 13. - Ibid., p. 258. 14. - Citato in ibid., p. 259. 15. - Citato in ibid., p. 263. 16. - Colonel Richard Irving Dodge, cit. 17. - Citato in McHugh, cit., p.p. 210, 249. 18. - Citato in Wayne Gard, cit., p. 210. 19. - William F Cody, "The Life of Hon. William F Cody: An Autobiography", Lincoln, University of Nebraska Press, 1978, p. 173. 20. - Citato in McHugh, cit., p.p. 250-251. 21. - Ibid., p. 283. 22. - Ross, cit., p. 199. 23. - Citato in McHugh, cit., p. 285. 24. - Gard, cit., p. 298. 25. - McHugh, cit., p. 279. 26. - Gard, cit., p. 296. 27. - McHugh, cit., p. 279 28. - Citato in Gard, cit., p.p. 305-306. 29. - Ibid., p.p. 296, 298-299. 30. - McHugh, cit., p. 285. 31. - Ibid., p.p. 286-287. 32. - Ibid., p. 288. Cap. 13 - Cowboy e indiani. 1. - Edward E. Dale, "Cow Country", Norman, University of Oklahoma Press, 1943,p.p.5-7.

2. - Citato in Herman J. Viola, "After Columbus: The Smithsonian Chronicle of the North American Indian", New York, Orion, 1990, p.p. 153-154. 3. - Citato in ibid. 4. - Michael P. Malone (a cura di), "Historians and the American West", Lincoln, University of Nebraska Press, 1983, p. 183. 5. - Dale, cit., p.p. 157-158. 6. - Maurice Frink e altri, "When Grass Was King", Boulder, University of Colorado Press, 1956, p. 13. 7. - Dale, cit., p. 82. 8. - Ibid., p. 14. 9. - Frink e altri, cit., p. 23. 10. - Dale, cit., p.p. 157-158. 11. - Ibid., p. 157. 12. - Ibid., p. 159. 13. - Ibid., p. 166. 14. - Citato in ibid., p. 171. 15. - Ibid., p.p. 184-185. 16. - George Wuerthner, "The Price Is Wrong", in Sierra, settembre/ottobre 1990, p.38. Cap. 14 - L'erba oro. 1. - Citato in Denzel Ferguson e Nancy Ferguson, "Sacred Cows at the Public Trough", Bend, Ore. Maverick Publications, 1983, p. 4. 2. - Citato in Daniel J. Boorstin, "The Americans: The Democratic Experience", New York, Vintage/Random House, 1974, p.p. 8-9. 3. - Maurice Frink e altri, "When Grass Was King", Boulder, University of Colorado Press 1956, p. 137. 4. - Eric B. Ross, "Beyond the Myths of Culture", New York, Academic Press, 1980, 5. - Edward E. Dale, "Cow Country", Norman, University of Oklahoma Press, 1943, p.p. 91-92. 6. - Citato in Frink e altri, cit., p. 140. 7. - Dale, cit., p. 89. 8. - Clay, citato in Frink e altri, cit., p. 135; Marshall W. Fishwick, "The Cowboy: America's Contribution to the World's Mythology", in Western Folklore, aprile 1952, p. 80. 9. - Frink e altri, cit., p. 141. 10. - Ibid., p. 144. 11. - Ibid., p.p. 144-159. 12. - Ibid, p. 265. 13. - Dale, cit., p. 101. 14. - Citato in Richard W. Slatta, "Cowboys of the Americas", New Haven, Yale University Press, 1990, p. 109. 15. - Frink e altri, cit., p. 227. 16. - Citato in ibid. 17. - Citato in ibid., p.p. 198-199. 18. - Citato in ibid., p. 200. 19. - Citato in ibid., p.p. 231, 232. Cap. 15 - La politica del corned beef. 1. - Eric B. Ross, "Beyond the Myths of Culture", New York, Academic Press, 1980, p. 194. 2. - Ibid. 3. - Walter Prescott Webb, "The Great Plains", Boston, Ginn, 1931, p. 231. 4. - Ross, cit., p. 199. 5. - Edward E. Dale, "Cow Country", Norman, University of Oklahoma Press, 1943, p. 93. 6. - Citato in ibid. 7. - Ibid., p. 94. 8. - Maurice Frink e altri, "When Grass Was King", Boulder, University of

Colorado Press, 1956, p. 235; Eric B. Ross, An Overview of Trends in Dietary Variation from Hunter Gatherer to Modern Capitalist Societies, in Marvin Harris ed Eric B. Ross, "Food and Evolution", Philadelphia, Temple UniYersity Press, 1987, p. 38. 9. - Frink e altri, cit., p. 235. 10. - Ross, Overview, cit., p.p. 36-37. 11. - Frink e altri, cit., p. 259. 12 Ross, "Beyond the Myths", cit., p. 204. 13. - Ibid. 14. - Elmer L. Cooper, "Agriscience, Fundamentals and Applications", Albany, Delmar Publishers, Inc., 1990, p. 434; Wayne Swanson e George Schultz, "Prime Rip", Englewood Cliffs, N.J., Prentice-Hall, 1982, p. 19. 15. - Swanson e Schultz, cit., p.p. 19-20. 16. - Ross, "Beyond the Myths", cit., p. 205. 17. - Jimmy M. Skaggs, "Prime Cut", College Station, Texas A&M University Press, 1986, p.p. 178-179. 18. - Ross, "Beyond the Myths", cit., p. 207. 19. - Citato in Ibid. 20. - Ibid. 21. - "Cattle Feeding Concentrates in Fewer, Larger Lots", in Farmline, giugno 1990, p. 2. 22. - Skaggs, cit., p. 181. 23. - Rue Jensen e Donald R. Mackey, "Diseases in Feedlot Cattle", Philadelphia, Lea and Febiger, 1965, p.p. 49-55. 24. - U.S. Department of Agriculture, Economic Research Service, "World Agricultural Supply and Demand Estimates", WASDE-256, Washington, D.C., USDA, 11 luglio 1991, tav. 256-16. 25. - Ibid., tavv. 256-16 -6. 26. - Lester R. Brown e altri, "State of the World 1990. Rapporto sul nostro pianeta del Worldwatch Institute", Edizione italiana a cura di Gianfranco Bologna, trad. it. Milano, Isedi, 1990, p.p. 9-10. 27. - Si veda la nota 2 all'introduzione. Cap. 16 - Filo spinato e appropriazione delle terre. 1. - Walter Prescott Webb, "The Great Plains", New York, Ginn, 1931, p.p. 229230. 2. - David Dary, "Cowboy Culture", New York, Knopf, 1981, p. 312. 3. - Ibid., p. 308. 4. - Maurice Frink e altri, "When Grass Was King", Boulder, University of Colorado Press, 1956, p.p. 57-58. 5. - Citato in Dary, cit., p. 319. 6. - Webb, cit., p. 238. 7. - Dary, cit., p. 320. 8. - Jimmy M. Skaggs, "Prime Cut", College Station, Texas A&M University Press, 1986, p. 62; Denzel Ferguson e Nancy Ferguson, "Sacred Cows at the Public Trough", Bend, Ore., Maverick Publications, 1983, p.p. 24-25. 9. - Citato in Dary, cit., p. 321. 10. - Ibid., p. 324. 11. - Citato in Frink e altri, cit., p. 228. 12. - Citato in ibid., p.p. 230-231. 13. - Citato in Skaggs, cit., p. 62. 14. - Citato in ibid., p. 63. 15. - Citato in ibid., p. 79. 16. - Ferguson e Ferguson, cit., p. 36. 17. - Citato in Frink e altri, cit., p. 232. 18. - Ferguson e Ferguson, cit., p. 36; i dati sul pascolo in terreni demaniali da Free Our Public Land, P.O. Box 5764, Tucson, Arizona, 85703. 19. - Keith Schneider, "Come What May, Congress Stays True to the Critters", in New York Times, 6 maggio 1990, sec. 4, 4. 20. - George Wuerthner, "The Price Is Wrong", in Sierra, settembre/ottobre 1990, p.38. 21. - Jon R. Luoma, "Discouraging Words", in Audubon, 88, settembre 1986, p.

98. 22. 23. 24. 25. 26.

Ferguson e Ferguson, cit., p. 41. Ibid. Wuerthner, cit., p. 38. Ibid. Luoma, cit., p. 98.

Cap. 17 - Il cartello della carne. 1. - Jimmy M. Skaggs, "Prime Cut", College Station, Texas A&M University Press, 1976, p. 90. 2. - Ibid., p.p. 91-94. 3. - Ibid., p.p. 96-99. 4. - U.S. Federal Trade Commission, "Report on the Meat Packing Industry", 6 voll., Washington, D.C., U.S. Government Printing Office, 1919, p.p. 46-47. 5. - Citato in Skaggs, cit., p.p. 100-101. 6. - Citato in ibid. 7. - Ibid., p. 105. 8. - Ibid., p.p. 102-103. 9. - Eric B. Ross, "Beyond the Myths of Culture", New York, Academic Press, 1980, p. 208. 10. - Ibid., p. 209. Cap. 18 - La catena di smontaggio. 1. - James R. Barrett, "Work and Community in the Jungle: Chicago's Packinghouse Workers", Urbana, University of Illinois Press. 1987, p. 56. 2. - Siegfried Giedion, "Mechanization Takes Command", New York, W.W. Norton, 1969, p. 212. 3. - Upton Sinclair, "La giungla", a cura di Mario Maffi, trad. it. Milano, Mondadori, 1983, p. 58. 4. - Citato in Carol J. Adams, "The Sexual Politics of Meat", New York, Continuum, 1990, p. 52. 5. - Barrett, cit., p. 24. 6. - Henry Ford (in collaborazione con Samuel Crowther), "La mia vita e la mia opera", Introduzione e postfazione di Peppino Ortoleva, trad. it. Milano, La Salamandra, 1980, p. 93. 7. - Giedion, cit., p. 246. 8. - Jimmy M. Skaggs, "Prime Cut", College Station, Texas A&M University Press, 1986, p. 110. 9. - John R. Commons (a cura di), Labor Conditions in Slaughtering and Meat Packing, in "Trade Unionism and Labor Problems", Boston, Ginn & Co., 1905, p. 224. 10. - Paul Aldrich (a cura di), "The Packers' Encyclopedia", Chicago, National Provisioner, 1922, p. 20, citato in James R. Grossman, A Dream Deferred: Black Migration to Chicago, 1916-1921, dissertazione di dottorato, University of California, Berkeley, 1982, p. 254. 11. - "National Provisioner" 39,17 ottobre 1908 e 5 dicembre 1908. 12. - Sinclair, cit., p. 66. 13. - Skaggs, cit., p. 112. 14. - Ibid., p. 115. 15. - Ibid., p.p. 116-118. 16. - Ibid., p. 160; Barrett, cit., p.p. 256-259. 17. - Citato in Barrett, cit., p. 118. 18. - Ibid, p. 263. Cap. 19 - Carne moderna. 1. - Jimmy M. Skaggs, "Prime Cut", College Station, Texas A&M University Press, 1986, p.9. 2. - Citato in ibid., p.p. 190-191 3. - A.V. Krebs, "Heading Toward the Last Roundup: The Big Three's Prime Cut",

Des Moines, Prairie Fire Rural Action, giugno 1990, p. 48. 4. - Ibid., p.p. 48, 53-54. 5. - Citato in ibid., p. 60. 6. - Ibid., p. 51. 7. - Peggy Hillman, Speeches, in Lewis G. Anderson, "Solidarity: An Injury to One is an Injury to All". General Report of the 1986 National Packinghouse Strategy and Policy Conference, United Food and Commercial Workers International Union, AFL-CIO, Section 2, p.p. 18-28. 8. - Krebs, cit., p. 61; Bruce Ingersoll, "Worker Injuries Highest in Meat Packing", in Los Angeles Times, 18 ottobre 1978; Christopher Drew, "Meatpackers Pay the Price", in Chicago Tribune, 23 ottobre 1988, sec. 1. 9. - Government Accountability Project, Comments on Proposed Rule on Streamlined Inspection System to Linda Carey, 15 maggio 1989, USDA Docket no. 83-008P, p. 27. 10. - Citato in Ingersoll, cit. 11. - Robert D. Hersey, "Meatpackers Fined a Record Amount on Plant Injuries", in New York Times, 29 ottobre 1988; Krebs, cit., p. 62. 12. - Hillman, cit., p.p. 18-28. 13. - Skaggs, cit., p. 194. 14. - Citato in Jonathan Kwitny, "Vicious Cycles: The Mafia in the Marketplace", New York, W.W. Norton, 1979, p.p. 252-253. 15. - Citato in ibid. 16. - Skaggs cit., p. 195. 17. - Citato in Frances Moore Lapp, "Diet for a Small Planet", New York, Ballantine, 1982, p. 44. 15. - Skaggs, cit., p. 198. 19. - Bartell Nyberg, "ConAgra Exercising Option to Buy SIPCO", in Denver Post, 25 luglio 1989. 20. - "Concentration in Meat Packing", CRA Newsletter (Center for Rural Affairs), agosto 1987. 21. - Bruce Marion, Restructuring of Meat Packing Industries: Implications for Farmers and Consumers, presentato alle audizioni dello House Agricultural Committee of the Iowa State Legislature, Des Moines, Iowa, 7 dicembre 1988; Dale Kasler, "I.B.P. Keeps Tight Grip on Market", in Des Moines Register, 24 settembre 1988. Cap. 20 - La giungla automatizzata. 1. - Upton Sunclair, "La giungla", a cura di Mario Maffi, trad. it. Milano, Mondadori, 1983, p.p. 172-173. 2. - Citato in Jimmy M. Skaggs, "Prime Cut", College Station, Texas A&M University Press, 1986, p. 124. 3. - Ibid., p. 209. 4. - Ibid., p.p. 209-210. 5. - Citato nel commento di Carol Foreman a Linda Carey, 15 maggio 1989, US Department of Agriculture, Food Safety and Inspection Service, Public Docket n. 83-008P, p. 53, Federal Register 48262, 30 novembre 1988, Public Comments on Food Safety and Inspection Service Proposed Rule on Streamlined Inspection System for Meat Safety, p. 5. 6. - Government Accountability Project, Fact Sheet on Streamlined Inspection System, 16 agosto 1989, p. 1. 7. - Commento di Bill Detlefsen a Linda Carey, 13 aprile 1989, USDA Docket no. 83-008P. 8. - Commento di Stephen Cockerham a Linda Carey, 13 gennaio 1989, USDA Docket no. 83-008P. 9. - Governement Accountability Project, Comments on Proposed Rule on Streamlined Inspection System to Linda Carev, 15 maggio 1989, USDA Docket no. 83-008P, p. 14. 10. - Governement Accountability Project, Summary of 1990 Whistleblowing Disclosures on USDA's Proposed Streamlined Inspection System, Washington, D.C., G.A.P., 1990, p. 5. 11. - Commento di Gregory Harstick a Linda Carev, 13 gennaio 1989, USDA Docket

no. 83-008P, p. 2. 12. - Commento, Foreman a Carey, cit., p. 4. 13. - Ibid. 14. - Governrnent Accountability Project a Carey cit., p. 3. 15. - Ibid., p. 4. 16. - Commento di Jim Dekker a Linda Carey, 13 gennaio 1989, USDA Docket no. 83008P. 17. - Government Accountability Project, Summary, cit. , p.p. 6, 15. 18. - Government Accountability Project a Carey, cit., p. 3. 19. - Commento, Foreman a Carey, cit., p. 12. 20. - Commento, Dekker a Carey. 21. - Government Accountability Project a Carey, cit., p. 22. 22. - Government Accountability Project, Summary, cit., p. 7. 23. - Ibid., p. 8. 24. - Commento di Dora Fries a Linda Carey, 13 gennaio 1989, USDA Docket, n. 83008P. 25. - Government Accountability Project, Summary, cit., p. 1. 26. - Ibid., p. 2. 27. - Ibid. 28. - Ibid. 29. - Ibid. 30. - Ibid. 31. - Ibid., p.3. 32. - Commento, Foreman a Carey, cit., p. 3. 33. - Ibid. 34. - Government Accountability Project, Summary, cit., p. 3. 35. - Commento, Foreman a Carey, cit., p. 4. 36. - Government Accountability Project a Carey, cit., p. 10. 37 Commento, Harstick a Carey, cit., p. 2. 38. - Commento, Foreman a Carey, cit., p. 19. 39 Government Accountability Project a Carey, cit., p. 1l. 40. - Ibid. 41. - Ibid., p. 10. 42. - Commento, Cockerham a Carey, cit., p. 9; Commento di Michael Anderson a Linda Carey, 30 gennaio 1989, USDA Docket no. 83-008P, p. 5. 43. - Commento, Anderson a Carey, cit., p. 5. 44. - Government Accountability Project, Summary, cit., p. 4. 45. - Ibid. 46. - Government Accountability Project, commento di John Krusinski a Linda Carey, 2 maggio 1989, USDA Docket no. 83-008P, p. 2. 47. - Ibid., p. 3. 48. - Ibid., p. 2. 49. - Ibid., p. 1. 50. - Stephanie Pain, "Mad Cows and Ministers Lose T'heir Head", in New Scientist, 11 agosto 1968, p. 27; Sheila Rule, "Fatal illness in Cows Leads to British Inquiry", in New York Times, 20 maggio 1990; Joe Vansickle, "Mad Cow Disease Baffles British", in Beef, agosto 1990. 51. - Foundation on Economic Trends, Jeremy Rifkin, Petition to USDA, Center for Disease Control, and NIH on Bovine lmmunodeficiency Virus, 3 agosto 1987; James Wyngaarden, B (NIH) e Bert Hawkins (USDA), Lettera a Jeremy Rifkin, Foundation on Economic Trends, Washington D.C., 23 settembre 1987. Foundation on Economic Trends, Petition to Dr. Bernardine Healy, NIH, Edward Madigan USDA, e James Glosser, APHIS, USDA on BIV, BLV and Retroviruses of American Cattle, Washington D.C.: Foundation on Economic Trends, 31 maggio 1991; risposta del Dr. Bernardine Healy, NIH, 18 luglio 1991. 52. - Ibid. 53. - Risposta alla Freedom of Information Request del 18 marzo 1991 alla Foundation on Economic Trends, Van der Maaten, M.J. e C.A. Whetstone, Bovine Lentivirus, USDA Agricultural Research Service, Ames, Iowa; Keith Schneider, "AIDS-Like Cow Virus Found at Unexpectedly High Rate", in New York Times, 1 giugno 1991.

Cap. 21 - Il manzo mondiale. 1. - Eric B. Ross, An Overvieu of Trends in Dietary Variation from Hunter Gatherer to Modern Capitalist Societies, in Marvin Harris ed Eric B. Ross, "Food and Evolution", Philadelphia, Temple University Press, 1987, p. 33. 2. - Citato in ibid. 3. - Arnold Strickton, The Euro-American Ranching Complex, in Anthony Leeds e Andrew P. Vayda, "Man, Culture, and Animals", Washington D.C., American Association for the Advancement of Science, 1965, p. 235. 4. - Ross, cit., p.p. 33-34. 5. - Office of Technology Assessment, Technologies to Sustain Tropical Forest Resources, U.S. Congress, OTA-F-214, marzo 1984, Forest Resources, p.p. 96-97. 6. - Steven E. Sanderson, The Emergence of the World Steer..., in Tullis F. Lamond e W. Ladd Hollist (a cura di), "Food, State, and International Political Economy", Lincoln, University of Nebraska, 1986, p. 124. 7. - Ibid. 8. - Ibid., p. 147. 9. - Citato in Sanderson, cit., p. 135; conversazione telefonica con Linda Bailey, Economic Research Service, USDA, Washington D.C.; i dati sul commercio di carne sono tratti da USDA, Foreign Agriculture Service, riassunti da Scott Lewis, "The Hamburger Connection Revisited: The Status of Tropical Deforestation and Conservation in Central America and Southern Mexico", San Francisco, Rainforest Action Network, 1991. 10. - Associacao Promotora de Estudios da Economica, A Economica Brasileira e Suas Perspectivas, Apecao XXIX, 1990, Rio de Janeiro, APEC, 1990, p. 5; FAO of the United Nations, "Trade, Commerce, Commercio, 1989 Yearbook", Roma, FAO, 1990, vol. 43, p. 29; Fernando Homen de Melo, Unbalanced Technological Change and Income Disparity in Semi-Open Economy: The Case of Brazil, in Lamond e Hollist, cit., p.p. 262-275. 11. - David Barkin e Billie R. Dewalt, Sorghum, the Internationalization of Capital and the Mexican Food Crisis, saggio presentato all'American Anthropological Association Meeting, Denver, 16 novembre 1984, p. 16. I dati di superficie del territorio sono tratti da Scott Lewis, "The Hamburger Connection Revisited...", cit.; i dati sui cereali sono tratti da Barkin e Dewalt, cit., p. 16; Steven Sanderson, "The Transformation of Mexican Agriculture", Princeton, Princeton University Press, 1986. 12. - Sanderson, cit., p. 134. 13. - Ibid., p. 139. 14. - Catherine Caulfield, "A Reporter at Large: The Rain Forest", in New Yorker, 14 gennaio 1985, p. 80. Cap. 22 - Vacche ovunque. 1. - Food and Agricultural Organization of the United Nations, "Production, 1989 Yearbook", vol. 43, Roma, FAO, 1990, tav. 89. 2. - Paul Ehrlich e Anne Ehrlich, "The Population Explosion", New York, Simon & Schuster, 1990, p. 35. 3. - David Pimentel e Carl Hall (a cura di), "Food and Natural Resources", San Diego, Academic Press, 1989, p. 80. 4. - World Resources Institute e altri, "World Resources 1990-1991", New York, Oxford University Press, 1990, tav. 18.3, p.p. 282-283. 5. - Ibid. 6. - Ibid.; U.S. Department of Commerce, Bureau of the Census, "Statistical Abstract of the United States 1990", tav. 1162. 7. - M.E. Ensminger, "Animal Science", Danville, Il., Interstate Publishers, 1991, p. 22. 8. - Lynn Jacob, "Amazing Graze: How Livestock Industry Is Ruining the American West", in Desertification Control Bulletin, n. 17, Nairobi, Kenya: United Nations Environmental Program, 1988; Free Our Public Lands, P.O. Box 5784, Tucson, Ariz. 85703, "Public Land Ranching Statistics 1990". 9. - World Resources Institute e International Institute for Environment and Development, "World Resources, 1988-89", New York, Basic Books, 1988, p. 78;

Edward C. Wolf, Maintaining Rageland, in Lester Brown e altri, "The State of the World 1986", New York, W.W. Norton, 1986, p. 64. 10. - FAO, "Production", cit., tav. 92. 11. - Ibid. 12. - Ibid. 13. - Ibid. 14. - I dati sulla vendita di carne bovina sono tratti da Bureau of the Census, "Statistical Abstract 1990", cit., tav. 1123.I dati sulle vendite dei supermercati sono tratti da C. Davis Coats, "Old Macdonald's Factory Farm", New York, Continuum, 1989, p. 69. 15. - "Cattle Feeding Concentrates in Fewer, Larger Lots", in Farmline, giugno 1990, p. 2. 16. - FAO, "Production", cit., tav. 92. 17. - Marvin Harris, "The Sacred Cow and the Abominable Pig", New York, Touchstone/Simon & Schuster, 1987, p. 109. 18. - Jim Riley, "Where Are Beef's Potential Markets", in Beef, luglio 1989, p. 30. 19. - FAO, "Production", cit., tav. 92; Bureau of the Census, "Statistical Abstract", cit., tav. 1161. 20. - Judith Jones Putmam, "Food Consumption", in National Food Review, 20 novembre 1990. 21. - Max Boas e Steve Chain, "Big Mac-McDonald's", New York, Dutton, 1976, p. 118. 22. - Marvin Harris, "The Revolutionary Hamburger", in Psychology Today, ottobre 1983, p. 6. 23. - Sulla base di una media di 30 chilogrammi l'anno, e di 298 chilogrammi di carne macellata per ogni manzo da 500 chilogrammi. Ensminger, cit., p. 468, tav. 19-6. 24. - Norman Myers, "The Primary Source", New York, W.W. Norton, 1983, p. 135; Bureau of the Census, "Statistical Abstract", cit., tav. 1451. 25. - Choices, quarto trimestre 1989, p. 26. 26. - Joe Vansickle, "A Tripling by Century's End", in Beef, agosto 1990. 27. - Jay Richter, "Washington Reports", in Beef, luglio 1989, p. 15. 28. - Frances Moore Lapp, "Diet for a Small Planet", New York, Ballantine Books, 1982, p. 90; Vansickle, cit., p. 30; David Blandford, The Food People Eat, in C. Ritson e altri, "The Food Consumer", New York, Wiley, 1986, p. 29. 29. - Blandford, cit., p.p. 28-29. 30. - Ibid. 31. - Harris, "Sacred Cow", cit., p. 25. 32. - Ibid. Cap. 23 - Malthus e la carne. 1. - Thomas R. Malthus, "Saggio sul principio di popolazione" (1798), trad. it. Torino Einaudi, 1977, p. 13. 2. - Ibid., p. 14. 3. - Lester R. Brown e altri, "State of the World 1990. Rapporto sul nostro pianeta del Worldwatch Institute", edizione italiana a cura di Gianfranco Bologna, trad. it. Milano, Isedi, 1990, p.p. 3-4. 4. - Ibid., p. 4. 5. - Ibid., World Resources Institute e altri, "World Resources 1990-1991", New York, Oxford University Press, 1990, p. 86. 6. - Brown e altri, "State of the World 1990", cit., p. 10. 7. - Ibid. p. 5. 8. - Lester R. Brown e altri, "State of the World 1989", Washington D.C., Worldwatch Institute; New York, W.W. Norton, 1989, p. 55. 9. - Paul Ehrlich e Anne Ehrlich, "The Population Explosion", New York, Simon & Schuster, 1990, p.p. 66-87; Brown e altri, "State of the World 1989", cit., p.p. 43-46. 10. - World Resources Institute e altri, "World Resources 1990-1991", New York, Oxford University Press, 1990, p. 254, tav 16-1; Ehrlich e Ehrlich, cit., p. 14. 11. - Ehrlich e Ehrlich, cit., p. 18; dichiarazione rilasciata il 3 settembre

1988 alla Pugwash Conference on Global Problems and Common security, a Dagomys, presso Soci, URSS. 12. - G. Tyler Miller, "Energetics, Kinetics and Life", Belmont, Calif., Wadsworth, 1971, p. 291. 13. - U.S. Department of Agriculture, Economic Research Service, "World Agricultural Supply and Demand Estimates", WASDE-256, Washington D.C., USDA, 11 luglio 1991, tav. 256-6, -7, -16, -19, -23. 14. - M.E. Ensminger, "Animal Science", Danville, Ill., Interstate Publishers, 1991. p. 23. 15. - Ibid., fig. 1-25, p. 20. 16. - David Pimentel e Marcia Pimentel, "Food, Energy, and Society", New York, Wiley, 1979, p. 58. 17. - Ensminger, cit., p. 23: Ipotizzando un periodo di ingrasso di 140 giorni e un guadagno di peso di 203 chilogrammi, il peso totale commerciale (475 chilogrammi) rappresenterebbe 2,31 chilogrammi di cereali per ogni chilogrammo di aumento di peso.... 18. - USDA, Economic Research Service, WASDE-256, cit.; David Pimentel e altri, "Energy and Land Constraints in Food Protein Production", in Science 190 (1975), p. 756. 19. - Frances Moore Lapp, "Diet for a Small Planet", New York, Ballantine Books, 1982, p. 69. 20. - Ibid., p. 71. 21. - World Commission on Environment and Development, "Our Common Future: The Bruntland Commission Report", Oxford, Oxford University Press, 1987, p. 12. 22. - Citato in Doyle, "Altered Harvest", New York, Viking Penguin, 1985, p. 287. 23. - "Climbing the Protein Ladder", in Farm Journal, dicembre 1978, p. 52. 24. - USDA, Economic Research Service, WASDE-256, cit., tav. 256-6, -16. 25. - Frances Moore Lapp e Joseph Collins, "Food First Beyond The Myth of Scarcity", New York, Ballantine Books, 1982, p. 166. 26. - Lapp, cit., p. 92. 27. - Marvin Harris, "The Sacred Cow and the Abominable Pig", New York, Touchstone/Simon & Schuster, 1987, p. 24. 28. - A. Moyes, "Common Ground", Boston, Oxfam, 1985. 29. - Paul Ehrlich e altri, "Ecoscience. Population, Resources, Environment", San Francisco, W.H. Freeman, 1977, p. 315; Ensminger, cit., p.p. 20, 22. 30. - Pimentel e altri, "Energy Land Constraints", cit., p. 754. 31. - David Pimentel e Carl Hall (a cura di), "Food and Natural Resources", San Diego, Academic Press, 1989, p. 38; Dovle, cit., p. 288. 32. - Lester R. Brown e altri, "State o,f the World 1990", cit., tav. 1-1, p. 5. Cap. 24 - Sociologia del grasso. 1. - P.J. Brown e M. Konner, An Anthropological Perspective on Obesity, in Richard J. Wurtrnan e Judith Wurtman (a cura di), "Human Obesity, Annals of the New York Academy of Science", 499 (1987), p. 40. 2. - Pauline S. Powers, "Obesity: The Regulation of Weight", Baltimore, William & Wilkins, 1980, p.p. 205, 207. 3. - Ibid., p. 206. 4. - Ibid., p. 207. 5. - Alan L. Otten, "People Patterns", in Wall Street Journal, 14 luglio 1989, B1. 6. - George A. Bray, Overweight Is risking Fate... , in Wurtman e Wurtman (a cura di), cit., p. 18. 7. - Ibid. 8. - Warren E. Leary, "Young Women Are getting Fatter, Study Finds", in New York rlmes 23 febbraio 1989. 9. - Wayne J. Millar e Thomas Stephens, "The Prevalence of Overweight and Obesity in Britain, Canada and United States", in American Journal of Public Health (77)1, gennaio 1987, p.p. 40-41. 10. - Brown e Konner cit., p. 39. 11. - Esther D. Rothblum, "Women and Weight: Fad and Fiction", in Journal of

Psychology 124, gennaio 1990, p. 9. 12. - Rita Freedman, "Beauty Bound", Lexington, Mass., Lexington Books, 1985, p.p. 146-147. 13. - Rothblum, cit. p.p. 12-13. 14. - MS., febbraio 1987, citato in Stuart Ewen, "Sotto l'immagine niente. La politica dello stile nella societ contemporanea", trad. it. Milano, Franco Angeli, 1993, p.p. 213-214. 15. - Ewen, cit., p. 214; Glamour, febbraio 1984. 16. - Citato in Freedman, cit., p. 150. 17. - Ewen, cit., p. 206. 18. - Freedman, cit., p.p. 149-150. Cap. 25 - Venature di morte. 1. - M. Hindhede, "The effect of Food Restriction during War on Mortality in Copenhagen", in Journal of American Medical Association, 7 febbraio 1920, p. 381. 2. - Gail Vines, "Diet, Drugs and heart Disease", in New Scientist, 25 febbraio 1989, p. 44. 3. - Conversazione telefonica con Barbara Anderson, USDA, Beltsville, Md., in cui la Anderson confermava che la carne bovina di categoria "choice" ha dal 15 al 19 per cento di grasso in pi rispetto alla qualit "select". 4. - Walter H. Corson (a cura di), "The Global Ecology Handbook", Boston, Beacon Press, 1990, p. 72; Steve Connor, "This Week", in New Scientist, 4 agosto 1988, p. 28; i tassi di mortalit da malattia sono tratti da U.S. Department of Commerce, Bureau of the Census, "Statistical Abstract of the United States 1990", tav. 115. 5. - Connor, ibid.; Corson, cit., p. 72. 6. - U.S. Public Health Service Office of the Surgeon General, "The Surgeon General's Report on Nutrition and Health", New York, Warner, 1989. 7. - George A. Bray, Overweight Is Risking Fate... , in Richard J. Wurtman e Judith Wurtman (a cura di), "Human Obesity, Annals of the New York Academy of Science" 499 (1987), p. 21. 8. - Pauline S. Powers, "Obesity: The Regulation of Weight", Baltimore, William & Wilkins, 1980, p. 39. 9. - Gina Kolata, "Animal Fat Is Tied to Colon Cancer", in New York Times, 13 dicembre 1990. 10. - Citato in ibid. 11. - Walter C. Willet e altri, "Relationship of Meat, Fat, and Fiber Intake to the Risk of Colon cancer in Prospective Studies Among Women", in New England Journal of Medicine, (1990), p. 1664. 12. - J. Raloff, "Breast Cancer Rise: Due to Dietary Fat?", in Science News, 21 aprile 1990, p. 245. 13. - Ibid., p. 302; Howe e altri, "A Cohort Study of Fat Intake and Risk of Breast Cancer", in Journal of National Cancer Institute, 6 marzo 1991. 14. - Michael Fox e Nancy Wiswall, "The Hidden Costs of Beef", Washington D.C., Humane Society of the United States, 1989, p. 20. 15. - Raloff, cit., p. 245. 16. - Jane E. Brody, "Huge Study of Diet Indicts Fat and Meat", in New York Times, 8 maggio 1990, C1. 17. - Ibid. 18. - Nanci Hellmich, "In Healthful Living, East Beats West", in USA Today, 6 giugno 1990. 19. - Anne Simon Moffat, "China: A Living Lab for Epidemology", in Science, 218, maggio 1990, p. 554. 20. - Ibid., p. 553. 21. - Brody, cit., C14. 22. - Drew Disliver, "Beefing up Sales; Meat Industry Targets Japan", News Digest, Vegetarian Times, febbraio 1988. 23. - American Heart Association, "1991 Heart and Stroke Facts", Dallas, American Heart Association, 1991, p.p. 1, 4. 24. - National Cancer Institute, "NCI Fact Book" (U.S. Public Health Service,

1989); Fox e Wiswall, cit., p. 27; i dati sulla spesa per il trattamento e la cura del cancro sono ottenuti aggiungendo il 5 per cento l'anno a partire dagli 84 miliardi di dollari rilevati nel 1987. 25. - Citato in Dorothy Mayes, "3 Ounces Per Day", in Beef, aprile 1989, p. 34. 26. - Citato in K.A. Fackelman, "Health Groups Find Consensus on Fat in Diet", in Science News, 137, 3 marzo 1990, p. 132. 27. - Corson, cit., p. 72. David Pimentel stima un consumo quotidiano pro capite di proteine, negli Stati Uniti, di 102 grammi, dei quali 70 di origine animale e 32 di origine vegetale; v. D. Pimentel, Waste in Agriculture and Food Sectors: Environmental and Social Costs, Bozza commissionata dal Gross National Waste Product Forum, Arlington, Virginia, 1989, p. 12. "The Surgeon General's Report on Nutrition and Health" stima che nel 1985 gli americani abbiano assunto una quantit di proteine decisamente superiore a quella ottimale. 28. - Frances Moore Lapp, "Diet for a Small Planet", New York, Ballantine Books, 1982, p.p. 121-122. Cap. 26 - Vacche che divorano uomini. 1. - Lester R. Brown e altri, "State of the World 1990. Rapporto sul nostro pianeta del Worldwatch Institute", Edizione italiana a cura di Gianfranco Bologna, trad. it. Milano, Isedi, 1990, p. 225. 2. - Ibid., p. 228. 3. - Frances Moore Lapp e Joseph Collins, "World Hunger: Twelve Myths", New York, Grove Press, 1986, p. 4. 4. - Susan Okie, "Health Crisis Confronts 1.3 Billion", in Washington Post, 25 settembre 1989, A1. 5. - IIbid. 6. - Lapp e Collins, cit., p. 3, Walter H. Corson (a cura di), "The Global Ecology Handbook", Boston, Beacon Press, 1990, p. 70; Katrina Galway e altri, "Child Survival: Risks and the Road to Health", Columbia, Md., Institute for Resources Development, 1987, p. 31. 7. - Christiane Viedma, "A Health and Nutrition Atlas", in World Health, maggio 1988, p. 11. 8. - Saul Balagura, "Hunger: a Biopsychological Analysis", New York, Basic Books, 1973, p. 155. 9. - Ibid., p. 158. 10. - Viedma, cit. Cap. 27 - Colonialismo ecologico. 1. - Alfred. W. Crosby, "Imperialismo ecologico. L'espansione biologica dell'Europa, 900-1900", trad. it. Roma-Bari, Laterza, 1988, p. 138. 2. - Ibid., p.p. 140-141. 3. - Ibid., p. 263. 4. - Ibid., p. 264. 5. - Ibid., p. 144. 6. - Ibid., p. 144. 7. - Ibid., p. 144. 8. - Citato in Robert Schery, "Migration of a Plant", in Natural History, 74, dicembre 1965, p.p. 41-49. 9. - Crosby, cit., p. 145. 10. - Ibid., p. 150. 11. - Ibid., p. 141. 12. - Charles Darwin, "Voyage of the Beagle", Garden City, NY, Doubleday, 1962, p. 119. 13. - Crosby, cit., p. 146. 14. - Ibid., p. 146. 15. - Ibid., p. 165. 16. - Ibid., p. 166 17. - Citato in ibid., p.p. 166-167. 18. - Ibid., p. 148.

19. - Citato in ibid., p. 264. 20. - Ibid., p. 149. 21 Ibid., p. 149. Cap. 28 - Pascoli tropicali. 1. - Catherine Caulfield, "A Reporter at Large: The Rain Forest", in New Yorker, 14 gennaio 1985, p. 79. 2. - James Parson, "Forest to Pasture: Development or Destruction?", in Revista de Biologia Tropical, 24, Supplemento 1, 1976, p. 124. 3. - Citato in James Parson, "The Scourge of Cows", in Whole Earth Review, primavera 1988, p. 47; Sandra Kaiser, "Costa Rica: From Banana to Hamburger Republic", in Not Man Apart, maggio 1985. 4. - Norman Meyers, "The Primary Source", New York, W.W. Norton, 1983, p. 133; dati sulle importazioni di carni bovine da USDA, Foreign Agriculture Service, riassunti in Scott Lewis, "The Hamburger Connection revisited: the Status of Tropical deforestation and Conservation in Central America and Southern Mexico", San Francisco, Rainforest Action Network, 1991; colloquio con Scott Lewis. 5. - Caulfield, cit., p. 79; Meyers, cit., p. 134. 6. - Meyers, cit., p. 133; dati sulle esportazioni e la produzione di carni bovine da USDA, Foreign Agriculture Service, riassunti in Lewis, cit. 7. - Billie R. DeWalt, "The Cattle are Eating the Forest", in Bulletin of the Atomic Scientist, gennaio 1983; dati sulle esportazioni e la produzione di carni bovine da USDA, Foreign Agriculture Service, riassunti in Lewis, cit. 8. - Meyers, cit., p. 133; dati sulle esportazioni e la produzione di carni boville da USDA, Foreign Agriculture Service, riassunti in Lewis, cit. 9. - DeWalt, cit., p. 19. 10. - Citato in Tom Barry, "Roots of Rebellion", Boston, South End Press, 1978, p. 84; citato in Stephen Downer, "Cattle Ranchers Kill Mexican Rain Forest", in Daily Telegraph, 20 febbraio 1989. 11. - Parsons, "The Scourge...", cit., p. 45. 12. - Frances Moore Lapp e Joseph Collins, "Food First Beyond Tfle Myth of Scarcity", New York, Ballantine Books, 1982, p. 42; Lovell S. Jarvis, Livestock Development in Latin America, Washington, D.C., World Bank, 1986, p. 157. 13. - Andrew Revkin, "La stagione del fuoco. L'assassinio di Chico Mendes", trad. it. Milano, Mondadori, 1991. 14. - Caulfield, cit., p. 49. 15. - Julie Denslow e Christine Padoch, "People of the Tropical Rain Forest", Berkeley, University of California Press, 1988, p. 51. 16. - Meyers, cit., p. 138. 17. - Caulfield, cit., p. 49. 18. - Parsons, "The Scourge...", cit., p. 44. 19. - Jeremy Rifkin, "Biosphere Politics: A New Consciousness for a New Century", New York, Crown, 1991, p. 51. 20. - Denslow e Padoch, cit., p. 169. 21. - Meyers, cit., p. 137. 22. - Rifkin, cit., p. 51. 23. - Caulfield, cit., p. 42. 24. - Eugene Linden, "Playing with Fire", in Time, 18 settembre 1989, p. 77. 25. - Ibid. 26. - Meyers, cit., p 47. 27. - Caulfield, cit., p. 52. 28. - Ibid., p. 71. 29. - Ibid., p.51. 30. - Meyers, cit., p. 54. 31. - Ibid. 32. - Ibid. 33. - Ibid. 34. - Ibid., p. 62. 35. - Ibid., p. 63. 36. - Ibid., p. 7. 37. - Caulfield, cit., p.p. 59-61.

38. - Meyers, cit., p. 8. 39. - Lapp e Collins, cit., p. 48. 40. - James D. Nations, "Tropical Rainforest, Endangered Environment", New York, Franklin Watts, 1988, p. 98. 41. - World Commission on Environment and Development, "On Our Common Future", The Bruntland Commission Report, Oxford, Oxford University Press, 1987, p. 151. 42. - Denslow e Padoch, cit., p. 169. 43. - Citato in Parsons, "The Scourge", cit., p. 45. 44. - Citato in Lapp e Collins, cit., p. 53. Cap. 29 - Locuste con gli zoccoli. 1. - Citato in David Pimentel e Carl W. Hall (a cura di), "Food and Natural Resources", San Diego, Academic Press, 1989, p.p. 100-101. 2. - World Commission on Environment and Development, "Our Common Future", The Bruntland Commission Report, Oxford, Oxford University Press, 1987, p. 127. 3. - Paul Ehrlich e Anne Ehrlich, "The Population Explosion", New York, Simon & Schuster, 1990, p. 127. 4. - Walter H. Corson (a cura di), "The Global Ecology Handbook", Boston, Beacon Press, 1990, p. 77. 5. - Ehrlich e Ehrlich, cit., p. 127. 6. - Corson (a cura di), cit., p. 77. 7. - Citato in Jodi L. Jacobson, "Environmental Refugee: A Yardstick of Habitability", in Worldwatch Paper, n. 86, Washington D.C., Worldwatch Institute, 1988, p.p. 228-229. 8. - Robert Repetto, "Renewable Resources and Population Growth: Past Experiences and Future Prospects", in Population and Environment, (estate 1989), p.p. 228-229. 9. - Corson (a cura di), cit., p. 76. 10. - Seifulaziz Milas, "Desert Spread and Population Boom", United Nations Environment Program, Desertification Control Bulletin (dicembre 1984), p. 1l. 11. - Lester R. Brown e altri, "State of the Worid 1990. Rapporto sul nostro pianeta del Worldwatch Institute", Edizione italiana a cura di Gianfranco Bologna, trad. it. Milano, Isedi, 1990, p.p. 100-101. 12. - Ibid., p. 102. 13. - Sandra Postel, "Water: Rethinking Management in an Age of Scarcity", in Worldwatch Paper, n. 62, Washington D.C., Worldwatch Institute, 1984, p. 11. 14. - Michael Fox e Nanci Wiswall, "The Hidden Cost of Beef", Washington D.C., Humane Society of the United States, 1989, p. 29; Frances Moore Lapp, "Diet for a Small Planet", New York, Ballantine Books, 1982, p. 80. 15. - David Pimentel, Waste in Agriculture and Food Sectors: Environmental and Social Costs, bozza commissionata dal Gross National Waste Product Forum, Arlington, Virginia, 1989, p. 5. 16. - Lapp, cit., p. 80. 17. - Ibid. 18. - Pimentel, Waste in Agriculture, cit., p. 6. 19. - Alan B. Durning, "Cost of Beef for Health and Habitat", in Los Angeles Times, 21 settembre 1986, V3. 20. - Basato sulla media di consumo di foraggio per capo di bestiame; Lynn Jacob, "Amazing Graze: How Livestock Industry Is Ruining the American West", in Desertification Control Bulletin, n. 17, Nairobi, Kenya, United Nations Environmental Program, 1988; John Lancaster, "Public Land, Private Profit", in Washington Post, 17 febbraio 1991, p. A1, A8, A9. 21. - Jon R. Luoma, Discouraging Words, "Audubon", 88, settembre 1986, p. 104; Lancaster, cit., p.p. A1, A8, A9. 22. - Lancaster, cit., p.p. A1, A8, A9. 23. - Fow e Wiswall, cit., p. 29; Jacobs, cit., p. 15. 24. - Denzel Ferguson e Nancy Ferguson, "Sacred Cows at the Public Trough", Bend, Ore., Maverick Publications, 1983, p. 11. 25. - Ferguson e Ferguson, cit., p. 61. 26. - Ibid. 27. - Citato in ibid., p. 64.

28. - Luoma, cit., p. 92. 29. - George Wuerthner, "The Price Is Wrong", in Sierra, settembre-ottobre 1990, p. 40. 30. - Citato in ibid. 31. - Ferguson e Ferguson, cit., p.p. 74-75. 32. - Philip L. Fradkin, "The Eating of the West", in Audubon, 81 (gennaio 1979), p. 102; Ferguson e Ferguson, cit., p. 75. 33. - Ferguson e Ferguson, cit., p.p. 75-77. 34. - Ibid., p. 77. 35. - Wuerthner, cit., p. 41. 36. - Ferguson e Ferguson, cit., p. 94. 37. - Ibid., p.p. 101-102. 38. - Wuerthner, cit., p.p. 41-42. 39. - Ferguson e Ferguson, cit., p. 116. 40. - Wuerthner, cit., p.p. 41-42. 41. - Ferguson e Ferguson, cit., p. 117. 42. - Ibid., p.p. 135, 136. 43. - Ibid., p. 136. 44. - Ibid., p. 136. 45. - Keith Schneider, "Mediating the Federal War of the Jungle", in New York Times, 9 luglio 1991, p. 4E. 46. - Carol Grunewald (a cura di), "Animal Activist Alert", 8-3, Washington D.C., Humane Society of the United States, 1990, p. 3. 47. - Edward Abbey, "One Life at a Time Please", New York, Henry Holt, 1988, p.p. 13-14. 48. - Johanna Wald e David Alberswerth, "Our Ailing Public Rangelands Conditions Report - 1989", Washington D.C., National Wildlife Federation, 1989, p.p. 3-4. 49. - Wuerthner, cit., p. 39; Myra Klockenbrink, "The New Range War Has the Desert As Foe", in New York Times, 20 agosto 1991, p. G4. 50. - Luoma, cit., p. 92. 51. - Klockenbrink, cit., p. G4. 52. - Citato in Wuerthner, cit., p. 39. 53. - John McCormick e Bill Turque, "America's Outback", in Newsweek, 9 ottobre 1989, p. 78. 54. - Ibid., p. 78. 55. - Ibid., p. 80. 56. - Ibid. Cap. 30 - Sollevando nuvole di polvere. 1. - Klaus Meyn, "Beef Production in East Africa", Munich, Welktforum-Verlag, 1970, p.p. 173-174. 2. - Frances Moore Lapp e Joseph Collins, "Food First: Beyond The Myth of Scarcity", New York, Ballantine Books, 1982, p. 46. 3. - Seifulaziz Milas, "Desert Spread and Population Boom", United Nations Environment Program, in Desertification Control Bulletin (dicembre 1984), p. 11. 4. - Food and Agriculture Organization of the United Nations, "Production, 1989 Yearbook", vol. 43, Roma, FAO, 1990, tav. 89; World Resources Institute e altri, "World Resources 1990-1991", New York, Oxford University Press, 1990, tav. 18.3, p.p. 282-283. 5. - Lester R. Brown e altri, "State of the World 1990. Rapporto sul nostro pianeta del Worldwatch Institute", Edizione italiana a cura di Gianfranco Bologna, trad. it., Milano, Isedi, 1990, p. 8. 6. - David Pimentel e Carl Hall (a cura di), "Food and Natural Resources", San Diego, Academic Press, 1989, p. 455. 7. - Environmental Investigation Agency, "The Death Trap Buffalo Fence", Washington, D.C., Environmental Investigation Agency, marzo 1991. 8. - Michael Fox e Nancy Wiswall, "The Hidden Cost of Beef", Washington D.C., Humane Society of the United States, 1989, p. 8. 9. - Citato in Jodi L. Jacobson, "Environmental Refugee: A Yardstick of Habitability", in Worldwatch Paper, n. 86, Washington D.C., Worldwatch

Institute, 1988, p. 14. 10. - Michael H. Glantz (a cura di), "Desertification", Boulder, Co., Westview Press, 1977, p.p.165-166. 11. - Milas, cit., p. 11. 12. - Jacobson, cit., p. 11. 13. - Ibid. 14. - Ibid. 15. - Ibid. 16. - Ibid., p. 12. 17. - Ibid. 18. - Robert Mann, "Development and the Sahel Disaster: The Case of Gambia", in Ecologist, marzo-giugno 1987; si veda anche Brown e altri, cit., p. 10. Cap. 31- Placare la sete. 1. - Lester R. Brown e altri, "State of the World 1990. Rapporto sul nostro pianeta del Worldwatch Institute", Edizione italiana a cura di Gianfranco Bologna, trad. it. Milano, Isedi, 1990, p. 81. 2. - Sandra Postel, "Water: Rethinking Management in an Age of Scarcity", in Worldwatch Paper, n. 62, Washington D.C., Worldwatch Institute, 1984, p. 5. 3. - David Pimentel e Carl Hall (a cura di), "Food and Natural Resources", San Diego, Academic Press, 1989, p. 41. 4. - Walter H. Corson (a cura di), "The Global Ecology Handbook", Boston, Beacon Press, 1990, p. 79; Postel, cit., p. 13. 5. - Corson (a cura di), cit., p. 77. 6. - Postel, cit., p. 13. 7. - Pimentel e Hall, cit., p. 41. 8. - Frances Moore Lapp, "Diet for a Small Planet", New York, Ballantine Books, 1982, p.p. 76-77. 9. - Ibid., p. 78. 10. - Postel, cit., p. 20. 11. - Lapp, cit., p. 78. 12. - General Accounting Office, "Groundwater Overdrafting Must Be Controlled", Report to the Congress of the United States by the Comptroller General, CED8096, 12 settembre 1980, p. 3. 13. - Paul Ehrlich e Anne Ehrlich, "The Population Explosion", New York, Simon & Schuster, 1990, p. 29. 14. - Lapp, cit., p 79. 15. - Ibid., p. 85. 16. - General Accounting Office, "Federal Charges for Irrigation Projects Reviewed Do Not Cover Costs", Report to the Congress of the United States by the Comptroller General, PAD-81-07, 3 marzo 1981, p. 26. 17. - David Pimentel, Waste in Agriculture and Food Sectors: Environmental and Social Costs, Bozza commissionata dal Gross National Waste Product Forum, Arlington, Virginia, 1989, p.p. 9-10. 18. - Lapp, cit., p. 86; Brown e altri, cit., p.p. 16-17. 19. - Citato in John Robins, "Diet for a New America", Walpole, NH, Stillpoint, 1987, p.368. 20. - M.E. Ensminger, "Animal Science", Danville, Ill., Interstate Publishers, 1991, p. 187, tav. 5-10. 21. - Pimentel, cit., p.p. 12-13; Lapp, cit., p. 84. 22. - Alan B. Durning, "Cost of Beef for Health and Habitat", in Los Angeles Times, 21 settembre 1986, p. 3. 23. - Ensminger, cit., p. 187, tav 5-9. 24. - Basato sulle analisi di John Sweeten, Texas A&M per la National Cattlemen Association, 1990. Cap. 32 - Riscaldare il pianeta. 1. - Irving Mintzer, "A Matter of degrees: The Potential for Controlling the Greenhouse Effect", in World Resources Institute Research, report n. 5, Washington D.C., World Resources Institute, 1987, p. i; World Resources

Institute e altri, "World Resources 1990-1991", tav. 24.3, p. 350. 2. - A.M. Solomon, The Global Cycle of Carbon; R.M. Rotty e C.D. Masters, Carbon Dioxide from Fossil Fuel Combustion: Trends, Resources and Technological Implications; R.A. Houghton, Carbon Dioxide Exchange Between Atmosphere and Terrestrial Ecosystems, citati in John R. Trabalka, Atmospheric Carbon Dioxide and the Global Carbon Cycle, Washington D.C., U.S. Government Printing Office, 1985. 3. - V.R. Ramanathan, "Trace Gas Trends and Their Potential Role in Climate Change", in Journal of Geophysical Research, 90 (1985), p.p. 5547-5566. 4. - World Resources Institute e altri, cit., p. 346, tav. 24.1, p. 109. 5. - Ibid. 6. - Paul Ehrlich e Anne Ehrlich, "The Population Explosion", New York, Simon & Schuster, 1990, P. 115. 7. - Robert Bushbacher, "Tropical Deforestation and Pasture Development", in Bio-Science 36, gennaio 1986, p. 25. 8. - Eugene Linden, "Playing with Fire", in Time, 18 settembre 1989, p. 78. 9. - World Resources Institute e altri, cit., p.p. 38, 102, 346, tav. 24.1. Basato su una serie storica stimata. La nuova serie LANDSAT non si estende a periodi precedenti il 1987 - conversazione telefonica con Eric Rodenburg, WRI (misure in tonnellate di carbone equivalenti). 10. - Ibid., p. 348, tav. 24.2, p. 15, tav. 2.2. 11. - David Pimentel, Waste in Agriculture and Food Sectors: Enviromnental and Social Costs, Bozza commissionata dal Gross National Waste Product Forum, Arlington, Virginia, 1989, p.p. 9-10; Pimentel giunge alla conclusione che sostituendo all'attuale sistema di alimentazione a cereali un sistema di alimentazione a foraggio si potrebbe ridurre il consumo di energia di circa il 60 per cento. 12. - Alan B. Durning, "Cost of Beef for Health and Habitat", in Los Angeles Times, 21 settembre 1986, p. 3. 13. - Basato su un consumo medio pro capite di 30 chilogrammi l'anno di carne bovina. Il confronto con le emissioni di C O2 delle automobili tratto da Andrew Kimbrell, On the Road, in Jeremy Rifkin (a cura di), "The Green Lifestyle Handbook", New York, Owl Books, 1990. 14. - Lester R. Brown e altri, "State of the World 1990. Rapporto sul nostro pianeta del Worldwatch Institute", Edizione italiana a cura di Gianfranco Bologna, trad. it. Milano, Isedi, 1990, p. 113. 15. - Fred Pearce, "Methane: The Hidden Greenhouse Gas", in New Scientist, 6 maggio 1990, p. 38. 16. - Ibid. 17. - Ibid., p. 37. 18. - Ibid. 19. - Ibid. 20. - I dati sulle emissioni di metano del bestiame sono tratti da World Resources Institute e altri, cit., p. 346, tav. 24.1; la percentuale di emissioni attribuibili ai bovini sul complesso del bestiame d'allevamento stimata da Michael Gibbs e Kathleen Hogan, "Methane", in EPA Journal, marzoaprile 1990. 21. - Pearce, cit., p. 38; le stime sulla biomassa e sulle risorse delle termih sono tratte da World Resources Institute e altri, cit., p. 354. 22. - Ibid. 23. - Andrew Revkin, "Endless Summer", in Discover, 9, ottobre 1988, p. 50. 24. - Ibid. 25. - James Hansen, NASA Goddard Institute for Space Studies, citato in Revkin, cit., p. 20. 26. - Revkin, cit., p.p. 18-19. 27. - W.R. Rangley, Irrigation and Drainage in the World, discorso presentato alla International Conference on Food and Water, Texas A&M University, College Station, Texas, 26-30 maggio 1985. 28. - Ibid. 29. - Richard Akers, "Report Urges Greenhouse Action Now", in Science, luglio 1988, p. 23. 30. - Citato in Jill Jaeger, Developing Policies for Responding to Climate

Change (The Bellagio Report) Stockholm, Svezia: Beijer Institute's World Climate Programme - Impact Studies, aprile 1988, p.p. 1-2. 31. - Cit. in Anthony Ramirez, "A Warming World", in Fortune, 4 giugno 1988, p. 104. Cap. 33 - Psicologia della bistecca. 1. - Citato in Theodor Wiesengrund Adorno, "Minima moralia. Meditazioni della vita offesa", trad. it. Torino, Einaudi, 1979, aforisma n. 48: PerAnatole France, p. 83. 2. - Yi-fu Tuan, "Dominance and affection: The Making of Pets", New Haven, Yale University Press, 1984, p. 9. 3. - Anne Murcott, You Are What You Eat: Anthropological Factors Influencing Food Choice, in C. Ritson e altri (a cura di), "The Food Consumer", New York, Wiley, 1986, p. 110. 4. - Citato in Pauline S. Powers, "Obesity: the Regulation of Weight", Baltimore, Md., William & Wilhns, 1980, p. 224. 5. - Roland Barthes, Towards a Psychosociology of Contemporary Food, in Robert Forster e Orest Ranum (a cura di), "Food and Drink in History"; Baltimore, Johns Hopkins University Press, 1979, p. 168; Leslie Gofton, The Rules ot the Table: Sociological Factors Influencing Food Choice, in C. Ritson e altri (a cura di), cit., p.p. 145-146. 6. - Barthes, cit., p. 167. Cap. 34 - Carne e gerarchie di genere. 1. - Carol J. Adams, "The Sexual Politics of Meat", New York, Continuum, 1990, p. 189; Joseph Campbell, "Le maschere di dio. Introduzione alle mitologie primitive", trad. it. Milano, Bompiani, 1962, p.p. 133,135-36,188. 2. - Campbell, cit., p. 136. 3. - Claude Lvi-Strauss, "Le origini delle buone maniere a tavola", trad. it. Milano, Il Saggiatore, 1999, p. 428. 4. - Ibid., p.p. 439-440. 5. - Ibid., p.p. 434-436. 6. - Citato in Anne Murcott, You Are What You Eat: Anthropological Factors Influencing Food Choice, in C. Ritson e altri (a cura di), "The Food Consumer", New York, Wiley, 1986, p. 109. 7. - Julia Twigg, Vegetarianism and the Meaning of Meat, in Anne Murcott (a cura di), "The Sociology of Food and Eating", Croft, Aldershot, I.,-K, Gower, 19i3, p.p. 21-22; Julia Twigg, "Food for Thought: Puirity and vegetarianism", in Religion, 9, primavera 1979, p. 17; Murcott, You Are What You Eat, cit., p. 111. 8. - Twigg, Vegetarianism, cit., p. 22. 9. - Ibid., p. 23. 10. - Murcott, You Are What You Eat, cit., p.p. 111-112. 11. - Twigg, Vegetarianism, cit., p. 24. 12. - Murcott, You Are What You Eat, cit., p.p. 111-112. 13. - Twigg, Vegetarianism, cit., p. 24. 14. - Ibid., p. 25. 15. - Ibid. 16. - Adams, cit., p 35. 17. - Ibid. 18. - Libera interpretazione di Nancy Tuana del paragrafo 166 dei "Lineamenti di filosofia del diritto" di Hegel. 19. - Adams, cit., p. 36. 20. - Joanne Finkelstein, "Andare a pranzo fuori. Sociologia delle buone maniere", trad. it. Bologna, Il Mulino, 1992, p. 71. 21. - Pierre Bordieu citato in Finkelstein, cit. 22. - Ibid. 23. - Frederick J. Simoons, "Eat Not This Flesh: Food Avoidances in the Old World", Madison University of Wisconsin Press, 1961-67, p. 12. 24. - Laura Oren, "The Welfare of Women in Laboring Families: England, 1860-

1970", in Feminist Studies, (inverno-primavera 1973), p. 110, citando B.S. Rowntree e May Kendali, "How the Labourer Live: A Study of the Rural Labor Problem", London, UK, Thomas Nelson & Sons, 1913. 25. - Adams, cit., p. 29. 26. - Ibid., p. 28. 27. - Marion Kerr e Nicola Charles, "Servers and Providers: The Distribution of Food Within the Family", in Sociological Review, 34-1 (febbraio 1986), p. 140. 28. - Ibid., p. 155. 29. - Ibid. 30. - Adams, cit., p. 23. 31. - Citato in "Red Meat: American Man's Last Symbol of Machismo", in National Observer, 10 luglio 1976, p. 13. 32. - R. Emerson Dobash e Russell Dobash, "Violence Against Wives: A Case Against the Patriarchy", New York, The Free Press, 1979, p. 100. 33. - Erin Pizzey, "Scream Quietly or the Neighbors Will Hear", Hammondsworth, UK, Penguin, 1974, p. 35. Cap. 35 - Carne, classe e nazionalismo. 1. - Leslie Gofton, The Rules of the Table: Sociological Factors Infiuencing Food Choice, in C. Ritson e altri (a cura di), "The Food Consumer", New York, Wiley, 1986, p. 141. 2. - Carson I.A. Ritchie, "Food in Civilization: How History Has Been Affected By Human Tastes", New York, Beaufort Books, 1981, p. 184. 3. - Ibid. 4. - Kathryn Grover (a cura di), "Dining in America, 1850-1900", Amherst, University of Massachusetts Press, 1987, p. 172. 5. - Citato in Richard J. Hooker, "Food and Drink in America", Indianapolis, Bobbs-Merrill, Inc., 1981, p.p. 313-314. 6. - Roland Barthes, "Miti d'oggi", trad. it. Torino, Einaudi, 1994. 7. - Ibid., p.p. 62-63. 8. - Ibid., p. 63. 9. - Citato in Carol J. Adams, "The Sexual Politics of Meat", New York, Continuum, 1990, p. 30. 10. - Da George M. Beard, M.D., "Sexual Neurasthenia", citato in ibid. 11. - Ibid. 12. - Ibid., p. 31. 13. - Citato in Keith Thomas, "L'uomo e la natura. Dallo sfruttamento all'estetica dell'ambiente (1500-1800)", trad. it. Torino, Einaudi, 1994, p. 375. 14. - Citato in ibid. 15. - Adams, cit., p. 32. 16. - Russell Baker, "Red Meat Decadence", in NewYork Times, 3 aprile 1973, p. 43. Cap. 36 - I bovini e la cultura della frontiera. 1. - Citato in Roderick Nash, "Wilderness and the American Mind", New Haven, Yale University Press, 1982, p. 32. 2. - Ibid., p.p. 24-25. 3. - James Serpell, "In the Company of Animals", New York, Basil Blackwell, 1988, p. 122. 4. - Dal Libro della Genesi, citato in ibid. 5. - Citato in Keith Thomas, "L'uomo e la natura. Dallo sfruttamento all'estetica dell'ambiente (1500-1800)", trad. it. Torino, Einaudi, 1994, p. 10. 6. - Citato in John Herman Randall, "The Making of the Modern Mind", Cambridge, Mass., Houghton Mifflin, 1940, p. 224. 7. - Francesco Bacone, "Nuovo organo, o veri indizi nell'interpretazione della natura" [1620], in "Opere filosofiche", a cura di E. De Mas, Bari, Later:za, 1965, vol. 1. 8. - Citato in Thomas, cit., p. 19. 9. - Ibid., p. 21.

10. - Serpell, cit., p. 124. 11. - Peter Singer, "Liberazione animale. Il libro che ha ispirato il movimento mondiale per la liberazione degli animali", a cura di Paola Cavalieri, trad. it. Milano, Mondadori, 1991, p. 210. 12. - Citato in ibid., p. 210. 13. - John Locke, "Due trattati sul governo", a cura di Luigi Pareyson, trad. it. Torino, Utet, 1982, p. 269. 14. - Citato in Leo Strauss, "Diritto naturale e storia", trad. it. Venezia, Neri Pozza 1957, p. 245. 15. - Marie-Jean-Antoine-Nicolas Caritat, marchese di Condorcet, "Quadro storico dei progressi dello spirito umano", trad. it. Milano, Rizzoli, 1989, p. 29. 16. - Frederick Jackson Turner, "La frontiera nella storia americana", trad. it. Bologna, Il Mulino, 1959, p. 227. 17. - Ibid., p.p. 5, 31. 18. - Ibid., p. 6. 19. - Ibid. 20. - Ibid., p.p. 30-31. Cap. 37 - L'hamburger e la cultura dell'autostrada. 1. - Curt Suplee, "Slave of the Lawn", in Washington Post Magazine, 30 aprile 1989, p. 20. 2. - Bureau of the Census, "Statistical Abstract 1990", tav. 25. 3. - Mark Edelman, From Costa Rican Pasture to North American Hamburger, in Marvin Harris ed Eric B. Ross (a cura di), "Food and Evolution", Phiiadelphia, Temple University Press, 1987, p. 3. 4. - Rose Dosti, "Whatever Happened to the Hamburger", in Los Angeles Times, 14 settembre 1989, p. 8BB. 5. - Max Boas e Steve Chain, "Big Mac-McDonald's", New York, Dutton, 1976, p. 194; Richard J. Hooker, "Food and Drink in America", Indianapolis, Bobbs Merrill, Inc., 1981, p. 329. 6. - Boas e Chain cit., p. 47; Marvin Harris, "The Sacred Cow and the Abominable Pig", New York, Touchstone/Simon & Schuster, 1987, p. 121; Hooker, cit, p. 329. 7. - Kenneth T. Jackson, "Crabgrass Frontier", New York, Oxford University Press, 1985, p.p. 170-171. 8. - Ibid., p.p. 161-162. 9. - Ibid., p. 249. 10. - Harris, "Sacred Cows", cit., p. 122. 11. - Hooker, cit, p. 327. 12. - Ibid, p. 328. 13. - Kenneth T. Jackson, cit., p. 162. 14. - Hooker, cit., p. 325 15. - Harris, "Sacred Cows", cit., p. 120. 16. - Ibid. 17. - Ibid., p. 121. 18. - Ibid., p. 124 19. - Ibid. 20. - Ibid., p.p. 125-126. 21. - Ibid., p. 126. 22. - Eric B. Ross, "Beyond the Myths of Culture", New York, Academic Press, 1980, p.p. 213-215. 23. - Ibid. p.p. 214-215. 24. - Alden C. Manchester, Food marketing Industry, USDA Marketing, "U.S. Agriculture 1988 Yearbook of Agriculture", Washington D.C., U.S. Government Printing Office, 1988, p. 7. 25. - Ibid. p. 8. 26. - Steven D. Mayer, W.S. Foodservice Industry, in ibid., p. 86. 27. - Ibid. 28. - Debi Sue Edmund, "The Secret Behind the Big Mac? It's Simple!", in Management Review 79 (maggio 1990), p.p. 32-33. 29. - Joanne Finkelstein, "Andare a pranzo fuori. Sociologia delle buone maniere", trad. it. Bologna, Il Mulino, 1992, p. 69.

30. - Boas e Chain, cit., p. 36. 31. - Conrad Kottak, Rituals at McDonald's, in Marshall W. Fishwick (a cura di), "Ronald Revisited. The World of Ronald McDonald", Bowling Green, Ohio, Bouling Green University Popular Press, 1983, p. 55. 32. - Citato in Margaret King, Empires of Popular Culture, in Fishwick (a cura di), cit. p. 118. 33. - Kottak in Fishwick (a cura di), cit., p. 55. 34. - Michael Steele, What Can We Learn..., in Fishwick (a cura di), cit., p. 127. 35. - Boas e Chain, cit., p. 53. 36. - Ibid., p. 26. 37. - Ray Kroc, "Grinding It Out: The Making of McDonald's", Chicago, Regnery, 1977, p. 96. 38. - Boas e Chain, cit., p. 48. 39. - Citato in ibid., p.p. 50-51. 40. - Ibid., p. 26. 41. - Citato in Sam Riley, You Are What You Speak, in Fishwick (a cura di), cit., p. 41. 42. - Citato in Boas e Chain, cit., p. 177. Cap. 38 - La decostruzione della carne moderna. 1. - Wolfgang Schad, "Man and Mammals", Garden City, NY, Waldorf Press, 1977, p.97. 2. - Rochard L. Kohls e Joseph N. Uhl, "Marketing of Agricultural Products", New York, Macmillan, 1990, p. 391. 3. - Douglas M. Considine e Glenn D. Considine (a cura di), "Foods and Food Production Encyclopedia", New York, Van Nostrand Reinhold, 1982. p. 1170. 4. - Ibid. 5. - P. Thornas Ziegler, "The Meat We Eaf", Danville, Ill., Interstate Publishers 1966, p. 10; Travers Moncure Evans e David Greene, "The Meat Book", New York Charles Scribner's Sons, p. 107. 6. - Considine e Considine (a cura di), cit., p. 1164. 7. - Ibid., p. 1165. 8. - Ibid., p. 1199. 9. - Elmer L. Cooper, "Agriscience, Fundamentals and Applications", Albany, Delmar Publishers, Inc., 1990, fig. 30-36, p. 401. 10. - James Serpell, "In the Company of Animals", New York, Basil Blackwell, 1988, p.p.144-145. 11. - Ibid., p.p. 166-167. 12. - Walter Burkert, "Homo Necans. Antropologia del sacrificio cruento nella Grecia antica", trad. it. Torino, Boringhieri, 1981, p. 24. 13. - Ibid. 14. - Serpell, cit., p. 168. 15. - Ibid., p.p. 163-164. 16. - Keith Thomas, "L'uomo e la natura. Dallo sfruttamento all'estetica dell'ambiente (1500-1800)", trad. it. Torino, Einaudi, 1994, p. 371; Serpell, cit., p. 165. 17. - Thomas, cit., p. 372; Serpell, cit., p. 165. 18. - Citato in Thomas, cit., p. 371, Serpell, cit., p. 165. 19. - Citato in Ronald Pearshall, "The Worm in the Bud. The World of Victorian Sexuality", Toronto, Macmillan, 1969, p. 313. 20. - Alain Corbin, "Storia sociale degli odori. XVIII e XIX secolo", trad. it. Milano, Mondadori, 1983, p.p. 41-42. 21. - Serpell, cit., p. 155. 22. - La citazione dell'episodio della visita al macello tratta da Upton Sinclair, "La giungla", a cura di Mario Maffi, trad. it. Milano, Mondadori, 1983, p. 62. 23. - Carol J. Adams, "The Sexual Politics of Meat", New York, Continuum, 1990, p. 67; Serpell, cit., p. 159. 24. - "Doublespeak Awards Don't Mince Words", in Dallas Morning News, 20 novembre 1988, p. 4A.

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umano e professionale di Carol per i diritti degli animali stato la mia principale fonte d'ispirazione: pi di ogni altra cosa, la sua profonda conoscenza e la sua sensibilit verso le questioni legate alla cultura della carne e dell'allevamento hanno contribuito a dare forma al mio pensiero. Le sono grato per l'aiuto che ha saputo darmi.

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