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I MICRORGANISMI:

tra vecchie teorie e recenti acquisizioni.

Dott.ssa Valentina Mauriello – Medico Veterinario.

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Premessa.

Siamo abituati a credere che la scienza costituisca una certezza indiscutibile.

I fatti scientifici si manifestano come conseguenza di percezioni, valori e azioni umane che riflettono i tempi storici e
culturali, da cui non possono essere separati. Esistono idee e valori radicati che fanno parte della nostra cultura da
centinaia di anni e che hanno foggiato la società occidentale moderna. Se non siamo a conoscenza di queste idee e
valori non possiamo comprendere perché certe idee sono state portate avanti nella storia e altre no.

La medicina, negli ultimi secoli, seguendo la concezione riduzionistica (secondo la quale per capire un organismo
complesso è necessario scomporlo per poterne studiare le singole parti) è andata concentrandosi su frammenti del
corpo sempre più piccoli, e sullo studio delle cellule e delle molecole che lo compongono. L’obiettivo è quello di
trovare i meccanismi alla base dei problemi medici per poter interferire con essi, assimilando il corpo a una macchina e
la malattia a un cattivo funzionamento della macchina che deve essere prontamente riparato.

Questo approccio riduzionistico-meccanicistico è in parte giustificato poiché gli organismi viventi si comportano, in
parte, come macchine. Posseggono cioè delle componenti che hanno un funzionamento meccanico (ossa, muscoli,
circolazione del sangue, etc). In alcuni casi questo approccio è stato molto utile se non indispensabile, per esempio è
alla base dello sviluppo della chirurgia e di una efficace medicina di pronto soccorso.
D’altra parte contiene diverse limitazioni, poiché gli organismi viventi NON sono macchine. Nel caso dei
microrganismi, questo modo di pensare ha dato origine all’opinione che la malattia sia la conseguenza di un attacco
dall’esterno dal quale dobbiamo proteggerci. Il sistema immunitario in questa ottica diventa il nostro difensore per
eccellenza e quando funziona male i germi prendono il sopravvento. Ma è proprio così?

Per capire meglio le naturali relazioni tra germi, virus e altre forme di vita abbiamo bisogno di esaminare i principi
fondamentali che governano tutte le forme di vita sulla Terra. Il primo principio è quello della simbiosi e coesistenza
che mostra come tutte le forme viventi, in un modo o nell’altro, dipendano le une dalle altre, formando quella che è
conosciuta come la rete della vita.

Abbiamo bisogno di una nuova visione fondata sulla consapevolezza dell’interrelazione e interdipendenza di tutti i
fenomeni fisici, biologici, psicologici, sociali e culturali dove le diverse discipline possano comunicare e cooperare tra
loro. Occorre ampliare la base concettuale della medicina acquistando scientificità in accordo con sviluppi recenti della
scienza e informare il pubblico.

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UN PO’ DI STORIA: LA NASCITA DELLA MICROBIOLOGIA COSÌ
COME LA CONOSCIAMO
La microbiologia è quella scienza che studia gli organismi non visibili a occhio nudo. Il termine 'microbo' è generico e
comprende vari organismi biologici caratterizzati principalmente dalle loro piccole dimensioni: alcuni animali (metazoi),
protozoi, la maggior parte delle alghe e funghi, batteri e virus.

Lo studio del mondo microbico ha dovuto attendere l’invenzione dello strumento che ne ha consentito l’osservazione:
il microscopio che fu inventato a metà del XVII secolo.

Il primo osservatore dei microbi (che chiamò


animalcules) fu un olandese, Anton van Leeuwenhoek
(1632-1723) che per primo descrisse alcuni batteri.
Aveva pochissima esperienza scientifica poiché di
mestiere faceva il mercante di stoffe. Utilizzava le lenti
per osservare i tessuti e durante i suoi viaggi si imbatté
in alcune lenti più potenti di quelle che possedeva e si
interessò al loro perfezionamento e alla costruzione di
alcuni microscopi. Gli ingrandimenti di 300-500 volte gli
consentirono di vedere microscopiche alghe, protozoi e
alcuni batteri. Da appassionato osservatore scrisse delle
sue scoperte alla Royal Society di Londra nel 1676 e
incluse numerosi disegni.

Nella prima parte del XIX sec. la fisica e la tecnologia ottica consentirono la costruzione di microscopi composti più
raffinati, con lenti che permettevano un'osservazione più dettagliata del mondo dei microbi. Facendo riferimento ai
sistemi di classificazione di piante e animali si cercò nel tempo di caratterizzare anche le specie di microrganismi. La
cosa non fu affatto semplice poiché c’era chi riteneva che ogni microrganismo avesse caratteristiche precise,
identificabili e riconoscibili (teoria del monomorfismo = unica forma) e c’era chi invece riteneva che lo stesso
microrganismo potesse assumere sembianze diverse (teoria del pleomorfismo = diverse forme).

Ma chi associò i microrganismi alle malattie e su che basi?


Un famoso personaggio della storia della microbiologia fu il chimico francese Louis Pasteur (1822 – 1895). Alcuni
produttori di bevande alcoliche nella regione di Lilla, chiesero al professor Pasteur di occuparsi della fermentazione dei
loro prodotti (vino e birra). Egli scoprì innanzitutto che alla base di questo processo di fermentazione vi erano dei
microrganismi, i lieviti, mentre nel vino e nella birra alterati, erano presenti microrganismi diversi (batteri). Grazie a
queste osservazioni fu possibile elaborare un sistema di conservazione delle bevande efficace che eliminasse i
microrganismi indesiderati (che rappresentavano un grave problema economico per l’industria vinicola e birraia), ma
che mantenesse inalterate le caratteristiche organolettiche del prodotto. Da qui deriva il metodo conosciuto oggi come
pastorizzazione.

Il processo della fermentazione, all’epoca, era considerato talmente importante e tanto ampiamente studiato da
costituire il modello in base al quale venivano interpretati gli altri processi biologici. Persino la digestione animale e
umana era considerata analoga a una fermentazione, come anche i processi di putrefazione e distruzione dei tessuti che
si verificavano negli ascessi.

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Dai suoi studi sulla fermentazione Pasteur ipotizzò che così come alcuni microrganismi potevano determinare
alterazioni nel vino e nella birra, verosimilmente potessero essere agenti di malattia negli organismi superiori. Questo fu
il punto di partenza per la sua Teoria generale dei germi patogeni (che presentò nel 1878 all’Académie des Sciences
di Parigi) nella quale ipotizzò che il corpo fosse sterile e che specifici microbi dall’esterno invadessero l’organismo
provocando la malattia detta perciò “infettiva” (infezione dal latino dal latino inficio, "introdurre", "contaminare").
Grazie a un famoso esperimento aveva già dimostrato che questi
microrganismi erano presenti nell’aria e che tramite questa
potevano contaminare gli alimenti, quindi secondo le sue
conclusioni erano in grado di contaminare facilmente anche
l’organismo.

Nel 1888 fu fondato a Parigi l’Istituto Pasteur (diretto da Pasteur


stesso fino alla sua morte) che si occupava di sperimentare come
le malattie credute “infettive” avevano origine nel corpo
dell’animale e di come si realizzavano guarigione e immunità.

Pasteur si impegnò a studiare metodi per prevenzione tramite


l'inoculazione di specifici germi “attenuati”, portando avanti una
pratica, quella della vaccinazione, nata nel 1796 da Edward
Jenner. L’Istituto Pasteur esiste ancora oggi ed è uno dei centri
più conosciuti al mondo per la ricerca in biologia e genetica
molecolare e per gli studi sulle cosiddette “malattie infettive”.

Come fu “dimostrata” l’ipotesi di Pasteur?


Basandosi sulla Teoria dei Germi di Pasteur, il medico tedesco
Robert Koch (1843-1910), considerato il padre fondatore della
moderna batteriologia, sviluppò un metodo sperimentale per
dimostrare il nesso di causalità tra un particolare microrganismo
e una specifica malattia.

Nel 1876 annunciò di aver isolato il batterio responsabile


dell’antrace o carbonchio e di aver dimostrato che il
microrganismo in questione fosse responsabile della malattia.
Questa serie di esperimenti utilizzavano alcuni criteri che 30
anni prima aveva stabilito l’anatomo-patologo tedesco Friedrich
Henle (1809 – 1885). Koch fu il primo ad applicarli e ora sono
noti come postulati di Koch.

Secondo questi postulati per stabilire che un determinato


microrganismo è causa di una specifica malattia occorre seguire
questi criteri, cioè il microrganismo deve:

1) essere presente in tutti i casi di quella malattia;


2) non essere presente in altre malattie né in individui sani;
3) essere isolato in coltura pura dai tessuti colpiti
4) riprodurre quella malattia se inoculato sperimentalmente ad un ospite recettivo.

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Nel 1882 Koch isolò e identificò il bacillo che credeva causare la tubercolosi (conosciuto anche come «bacillo di Koch»
in suo onore) e nel 1883 il vibrione creduto responsabile del colera dell'uomo. Lo stesso Koch si rese conto che i
postulati da lui utilizzati avevano alcune limitazioni. Per esempio, non era vero che una volta inoculato l'agente che
riteneva causa del colera (Vibrio cholerae), era sempre possibile provocare la malattia. Una dimostrazione clamorosa
venne da un suo contemporaneo epidemiologo e igienista, Max von Pettenkofer. Nel 1892 egli, per dimostrare che il
microrganismo non era sufficiente per provocare i sintomi del colera, deglutì di fronte a un pubblico allucinato, un
millilitro di coltura fresca ottenuta dalle feci di un paziente che stava morendo di colera. E con grande disappunto dei
sostenitori di Koch non gli successe nulla. Lo stesso Koch notò inoltre che il bacillo era isolabile sia in individui
“ammalati” che in individui sani, invalidando il punto 2 dei postulati. Per superare le osservazioni che non
convalidavano i suoi postulati, Koch li modificò aggiungendo la postilla “nell’ospite suscettibile”. Quindi il
microrganismo è in grado di provocare la malattia se introdotto in un ospite, solo se questo è suscettibile. Concludendo
se ci si ammala si è suscettibili, altrimenti no oppure altrimenti detto; un organismo causa una malattia tranne quando
non la causa.

Ma non solo, studiando il bacillo che credeva causa del tifo, Koch notò (senza mai approfondire la cosa), che lo stesso
batterio poteva assumere forme diverse. Questa informazione venne semplicemente ignorata poiché, verso la fine del
XIX secolo, in tutta Europa era ormai ufficialmente accettato il concetto che i batteri fossero immutabili (monomorfismo
= unica forma).

Nel 1891 l'euforia che seguì la presentazione della tubercolina (rimedio che sviluppò Koch contro la tubercolosi e che si
dimostrò successivamente inefficace) portò alla fondazione a Berlino del Robert Koch Institute, ancora presente ai
giorni nostri, che si occupava dell’isolamento, coltivazione e caratterizzazione degli agenti ritenuti causa delle principali
“malattie infettive” dell’uomo.

Avendo come base la teoria dei germi di Pasteur e adottando gli stessi metodi di Koch, a partire dalla fine del
1800, vennero identificati alcuni batteri e ritenuti causa di diverse malattie (tifo, tetano..ecc). Le forme
patologiche furono localizzate, diagnosticate ed etichettate secondo un sistema di classificazione ben preciso.
Entro la fine del secolo molte grandi città avevano istituito commissioni sanitarie permanenti in ospedali,
trasformati da ospizi medievali, in centri di diagnostica (laboratori), di terapia e insegnamento. Questa
impostazione scientifica contribuì in modo determinante allo sviluppo del concetto di «causa» (eziologia) in
medicina fornendo una spiegazione lineare causa-effetto allo sviluppo di diverse malattie. L’attenzione dei
medici si spostò gradualmente dal paziente alla malattia e i sostenitori della teoria dei germi cominciarono a
“dare la caccia ai microbi” creduti causa di malattie (definiti perciò patogeni). Con queste basi la farmacologia
si concentrò sulla lotta ai patogeni sviluppando gli antibiotici (il primo la penicillina nel 1940).

La teoria dei germi ebbe, nel mondo occidentale, un'influenza incalcolabile. Non solo nella vita quotidiana dei cittadini
del tempo, ma anche nello sviluppo in tempi successivi di alcune aree dell’industria (apparecchi igienico-sanitari,
disinfettanti, farmaci, vaccini, etc.), della ricerca scientifica . La paura dei germi si è radicata nell’immaginario collettivo
fino ai giorni nostri. Per la maggior parte di noi se si parla di microbi e germi si parla di malattie e infezioni.

Thomas Lewis (1913 – 1993) fisico e ricercatore statunitense nel libro “The Lives of a Cell: Notes of a Biology
Watcher” (1974) scrive alcune righe che ben descrivono il modo di pensare ai microbi: “guardando la televisione, dovremmo
pensare di essere vissuti in una situazione di grave pericolo, esposti a un rischio totale, circondati da ogni lato da germi alla ricerca di esseri
umani, protetti contro l’infezione e la morte solo da una tecnologia chimica che ci consente di continuare a farne strage assicurando così la
nostra difesa. Ci viene detto di spargere disinfettanti dappertutto…Applichiamo potenti antibiotici a graffi superficiali e li copriamo con
sostanze plastiche. Le sostanze plastiche sono la nuova protezione; avvolgiamo i bicchieri di plastica in altra plastica, e sigilliamo i sedili da
toilette come segreti di stato dopo averli irradiati con luce ultravioletta. Viviamo in un mondo dove i microbi stanno sempre tentando di
attaccarci, di farci in pezzi una cellula dopo l’altra, e resistiamo in vita solo grazie alla nostra diligenza, in uno stato di continuo timore”.

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…E se ci sbagliassimo?
LA STORIA SOMMERSA E LE RECENTI SCOPERTE…QUELLO
CHE NORMALMENTE NON CONOSCIAMO.
Chissà come si sarebbe evoluta la storia della microbiologia se si fosse dato credito alle intuizioni che sono invece
rimaste sommerse poiché non rientravano nella gamma dei valori e percezioni dell’epoca. Se fossero state prese in
considerazione, probabilmente avrebbero rivoluzionato il nostro approccio alla salute ed alla malattia.

Alcune osservazioni fatte da un medico francese Antoine Bechamp (1816-1908), contemporaneo di Koch e Pasteur,
precorrevano i tempi di almeno un secolo. La maggior parte delle sue ricerche, registrate negli annali dell’Accademia
delle Scienze francese (Académie des sciences), sono state plagiate, storpiate ed erroneamente accreditate al suo
contemporaneo Pasteur.

Le ricerche di Bechamp mostravano come al loro interno le cellule fossero costituite da piccole entità viventi
capaci di comportamento intelligente ed in grado di riprodursi. Definì queste entità “microzimi” ("micro" in
riferimento alle dimensioni e "zimi" in riferimento a una classe speciale di enzimi) e descrisse come la loro
forma variasse adattandosi all’ambiente nel quale vivevano: è la teoria del pleomorfismo (= diverse forme).
Essenzialmente Bechamp osservò che i microzimi cambiavano forma diventando batteri che non erano la
causa ma, piuttosto, il risultato della malattia ed erano in grado di moltiplicarsi nel corpo senza bisogno di
acquisire germi da una fonte esterna.

Queste osservazioni supportavano le idee del fisiologo francese Claude Bernard (1813 - 1878), che credeva,
contestando le idee del tempo, che non importava da dove venissero i germi poiché la loro presenza non
costituiva fonte di pericolo per il corpo in sé, ma piuttosto poteva diventarlo se il corpo era in uno stato
diciamo così “disturbato”. Bernard sottolineò quindi l’importanza del contesto interno del corpo nelle
dinamiche biologiche (concetto di milieu interieur dal quale poi si arriverà al concetto di omeostasi).

Evidenze a supporto del pleomorfismo continuano ad apparire. E vengono pubblicati diversi studi sulla variabilità
batterica.

Il dottor Guenther Enderlein (1872-1968) osservò microscopiche entità viventi mobili in campioni di sangue che
chiamò (protidi?) e vide che potevano unirsi con altri microrganismi e scomparire. Utilizzando un microscopio in
campo oscuro (diverso da quello utilizzato dai contemporanei), osservò che questi microrganismi potevano cambiare
aspetto in un ciclo di continue variazioni. Come parte del normale processo vitale Enderlein riteneva che questi
microrganismi vivessero insieme nel corpo in una relazione mutuamente benefica (simbiosi) e quando temperatura e
pH tissutale cambiavano si adattavano a questo cambiamento trasformandosi in quelle forme definite “patogene” e
reperibili in corso di malattia. A oggi su questi ritrovamenti indaga il medico svedese Erik Enby (1937).

Dalla sterilità del corpo alla Simbiosi..


Il primo scopritore dei batteri, il mercante Van Leuwenhoek a suo tempo fece un’osservazione che anticipava i tempi.
Egli disse: “Ho ospitato diversi gentiluomini nella mia casa entusiasti e appassionati osservatori delle piccole anguille presenti nell’aceto
[nematodi], ma alcuni di essi furono così disgustati alla vista di quello spettacolo che giurarono che non avrebbero più utilizzato l’aceto. Ma
cosa accadrebbe se in futuro qualcuno dicesse loro che ci sono più animali viventi sullo strato di sporco sopra i denti [tartaro] nella bocca
umana che esseri umani nell’intero regno?”.

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In effetti è proprio così, il corpo non è per nulla sterile. Ormai è assodato che esistono popolazioni batteriche che
colonizzano le superfici interne ed esterne del corpo in una associazione simbiontica. Ma non solo esiste una vera e
propria compenetrazione tra mondo microbico ed organismi superiori. Una dimostrazione di questo ci viene dagli studi
di una biologa statunitense Lynn Margulis (1938 – 2011).

Tutti i microbiologi sanno che la distinzione fondamentale tra le forme di vita è quella tra due tipi di cellule: con e senza
nucleo. Il nucleo è un involucro che contiene il materiale genetico della cellula (DNA). Le cellule con nucleo sono dette
eucariote e sono evolutivamente più recenti, costituiscono gli organismi viventi complessi (compresi noi esseri umani). I
batteri non hanno nucleo e il loro materiale genetico si trova libero dentro la cellula batterica che viene definita in gergo
cellula procariote.

Lynn Margulis a metà anni ’60 scoprì che non tutto il materiale genetico di una cellula eucariote si trova nel nucleo. Ma
non solo, scoprì che quasi tutti questi geni “indisciplinati” discendono dai batteri. Giunse quindi a una scoperta
sorprendente, questi geni appartengono a organismi viventi distinti, piccole cellule vive che risiedono all’interno di
cellule più grandi.

La prova più notevole dell’evoluzione tramite simbiosi è offerta dai mitocondri (le centrali elettriche che si trovano
all’interno della maggior parte delle cellule nucleate, sono componenti fondamentali di tutte le cellule animali e vegetali,
e realizzano la respirazione cellulare). I mitocondri contengono un proprio materiale genetico e si riproducono
indipendentemente e in tempi diversi rispetto al resto della cellula. Margulis ipotizzò che i mitocondri fossero in origine
batteri che fluttuavano liberamente e che in tempi remoti invasero altri microrganismi e si stabilirono definitivamente al
loro interno. Questi organismi fusi insieme si evolvettero poi in forme di vita più complesse, che respiravano ossigeno.
Vi fu dunque un meccanismo evolutivo più brusco della mutazione: un’alleanza simbiotica che divenne permanente.
“La vita non prese il sopravvento del globo con la lotta ma istituendo inter-relazioni”.

Da qui sviluppò la Teoria della Simbiogenesi secondo la quale la forza evolutiva che crea nuove forme di vita complesse,
non risiede tanto nella competizione e nella divergenza, piuttosto nella simbiosi e cooperazione di organismi
precedentemente indipendenti.

“Il riconoscimento della simbiosi come forza evolutiva importante ha implicazioni filosofiche profonde. Tutti gli organismi macroscopici sono
prove viventi che le pratiche distruttive a lungo andare falliscono. Gli aggressori alla fine distruggono sempre se stessi lasciando il posto ad
altri individui che sanno come cooperare e progredire. La vita non è solo una lotta alla competizione ma anche un trionfo di cooperazione e
creatività”. Fritjof Capra.

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CHI SONO QUESTI MICRORGANISMI? CONOSCIAMOLI
MEGLIO…
I microrganismi vengono classicamente divisi in sei gruppi principali. Occorre pensare a questa classificazione giusto
come un orientamento nel numerosissimo mondo microbico, non come a uno schema fisso, poiché, come detto
precedentemente, i microrganismi potrebbero essere in grado di cambiare forma a seconda della necessità.
Continuamente vengono effettuate nuove scoperte che portano a proposte diverse di classificazione (l’ultima per i
batteri risale al 2003). Ma non solo, mentre a livello macroscopico la distinzione tra regno animale e vegetale è chiara, a
livello microscopico le cose si complicano e le distinzioni non sono così nette (molti microrganismi che vivono nelle
acque stagnanti per esempio presentano caratteristiche comuni sia
http://www.amicidelmicroscopio.it/images/piante_2.jpgad organismi vegetali sia ad organismi animali).

Giusto a scopo didattico distiguiamo:

• Protozoi (paramecio, ameba, etc.): costituiscono un gruppo molto vario di piccoli animali (misurano, di norma,
poche decine di micron - l'unità di misura del microscopista che corrisponde ad un millesimo di millimetro), la
maggior parte dei quali sono mobili (pseudopodi, flagelli, ciglia).
• Funghi: sono esseri viventi molto vari. Generalmente non sono mobili, per ricavare energia ed elementi necessari per
la loro crescita dipendono da una fonte esterna di composti organici rappresentata da organismi morti o tessuti
viventi. I lieviti sono funghi unicellulari, mentre le muffe sono multicellulari con caratteristici filamenti (ife). Alcuni
funghi possono assumere la forma di lievito o di muffa a seconda delle condizioni ambientali.
• Alghe: gruppo molto diversificato che va da singole cellule microscopiche alle alghe marine di notevoli dimensioni.
Possono essere mobili o immobili e posseggono prevalentemente una parete cellulare, come le piante, ma a differenza
di queste, presentano un corpo poco differenziato e organi riproduttori molto semplici. A causa dell’assenza di radici
e vasi l’assorbimento dei nutrienti e gli scambi gassosi avvengono su tutta la superficie dell’alga. Sono fotosintetiche
(generano quasi la metà dell’ossigeno presente nell’atmosfera terrestre).
• Cianobatteri sono chiamati anche alghe azzurre e/o alghe verdi. In realtà non sono alghe, ma batteri acquatici
cosmopoliti generalmente fotosintetici (producono ossigeno a partire dall’energia luminosa), ma alcuni possono
vivere anche in assenza di luce utilizzando composti organici come fonte di energia.
• Batteri: Il termine batterio deriva dal greco βακτήριον, "piccolo bastone".
I batteri possono assumere poche forme fondamentali: a bastoncello (vengono chiamati bacilli), sferica (cocchi), ricurva
(vibrioni, o spirilli). I batteri più piccoli (nanobatteri) hanno un diametro di 200-500 nm (un manometro è un
milionesimo di millimetro), i più grandi hanno un diametro di 0,1-0,3 mm.

Hanno una struttura molto semplice che permette loro un'enorme capacità di adattamento:

- Elemento fondamentale della cellula batterica è la presenza di materiale genetico sotto forma di uno (o anche due)
cromosomi liberi nella cellula (senza nucleo). Peculiare dei batteri è l’esistenza di unità genetiche accessorie, dette
plasmidi. Sono parti di materiale genetico che contengono le informazioni necessarie a produrre enzimi per
l’utilizzazione di fonti insolite di carbonio e per la resistenza a sostanze come metalli pesanti e antibiotici.

- La cellula batterica è delimitata da una membrana fatta di proteine. Tra queste proteine alcune (quelle della catena
respiratoria) sono coinvolte nella generazione di energia, nei batteri fotosintetici la membrana assume anche attività
fotosintetica. Ad eccezione di un tipo di batteri (micoplasmi), tutti gli altri possiedono, all’esterno della membrana
cellulare, un involucro esterno chiamato parete. Nella maggior parte dei batteri questo involucro esterno è avvolto a
sua volta da uno strato mucoso amorfo (capsula) che li protegge dall’essere fagocitati e che permette loro di aderire a
cellule e materiali di varia natura.

- Alcuni batteri presentano delle appendici che emergono fuori dagli involucri della cellula (fimbrie) che servono per
aderire alle superfici solide, oppure (pili sessuali) per trasferire del materiale genetico da una cellula “donatrice” a una
“ricevente” (coniugazione batterica).

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- I batteri grazie a flagelli rotanti sono in grado di rispondere con il movimento a uno stimolo nutrizionale e spostarsi
verso la sorgente dello stimolo (chemiotassi), oppure allontanarsi da uno stimolo repellente. Il processo chiamato
chemiotassi è stato “copiato” nel corso dell’evoluzione e utilizzato, dagli animali multicellulari, per la segnalazione
chimica fra le cellule dell’organismo.

- Se le condizioni sono sfavorevoli, diversi batteri sono in grado di rendersi quiescenti in spore resistentissime alle
condizioni ambientali.

Siamo abituati a pensare ai batteri come individui singoli che vivono come cellule libere, in realtà numerose
ricerche degli ultimi decenni hanno scoperto che i batteri preferiscono vivere in comunità (dette biofilm)
composte da diverse specie che interagiscono tra loro e con l’ambiente e prendono delle decisioni collettive
sulle azioni da compiere. Questa è la modalità preferenziale con cui i batteri esistono in Natura (di nuovo le
più recenti scoperte sottolineano l’importanza della cooperazione tra organismi viventi). Quando un numero
sufficiente di batteri si trova su una superficie, una serie di segnali cellulari fa sì che si adotti un
comportamento collettivo: quando un numero sufficiente di batteri inizia a formare il biofilm, gli altri si
adeguano. Queste comunità non crescono a dismisura, ma quando la densità supera un valore di soglia (massa
critica) il sistema di segnali fa sì che per esempio alcuni microrganismi muoiano, mentre altri producono
un'appendice che permette loro di nuotare via, inibendo la formazione di nuovo biofilm. Questa rete auto-
organizzantesi di batteri è soggetta a complessi sistemi di regolazione e comunicazione a oggi ancora oggetto
di studio.

La riproduzione delle cellule batteriche.

I nuovi individui possono generarsi da un solo individuo che si divide a metà (scissione binaria). In questo modo non si
ha nessuno scambio di materiale genetico: la cellula-madre dividendosi produce cellule-figlie con lo stesso materiale
genetico (per questo viene detta riproduzione asessuata). Questo sistema di riproduzione, rispetto a quello umano, ha il
vantaggio di essere molto rapido (per esempio gli Escherichia coli del nostro intestino possono replicarsi nel nostro
intestino in 12 ore) e di far fronte alla necessità di nuovi batteri.

Essendo però lo scambio di informazioni genetiche indispensabile all’evoluzione, alla flessibilità, all’adattamento
creativo al variare delle condizioni ambientali, i batteri hanno sviluppato anche meccanismi per favorire lo scambio di
materiale genetico: coniugazione, trasformazione e trasduzione.

- La coniugazione è il trasferimento unidirezionale del materiale genetico (tutto o solo una parte) da una cellula
donatrice a una recettrice attraverso un pilo (detto pilo sessuale) che si comporta da elemento di connessione
tra le due cellule. Le cellule donatrici hanno oltre al normale materiale genetico, dei pezzi di DNA circolare
(fattore F) anch’essi trasferibili.
- La trasformazione consiste invece nell'aggiunta a una cellula batterica di alcuni frammenti di DNA (uno o più
geni) estratto da un altro ceppo batterico e che vengono incorporati nel cromosoma della cellula ricevente.
- Nella trasduzione un virus funge da trasportatore di una piccola quantità del cromosoma di una cellula batterica
a una nuova cellula ospite. Anche in questo caso la cellula ricevente può incorporare nel suo cromosoma il
segmento genetico della cellula originaria.

Gli antibiotici agiscono bloccando specifiche tappe del ciclo metabolico dei batteri, dei funghi e dei protozoi, o
alterando loro peculiari strutture (es: parete cellulare).

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• Virus
Il termine “virus” deriva dal latino “veleno”. Sono gli organismi per noi più misteriosi, oggetto di numerosi studi e di
teorie contrastanti e meritano perciò una trattazione a parte. Ripercorriamo un po’ di storia…

Dalla fine del XIX secolo, gli scienziati del tempo furono concentrati a ricercare i microrganismi causa di malattie
ritenute “infettive”. Non per tutte le malattie ci riuscirono (vaiolo, rabbia, influenza..etc). Alcuni scienziati del tempo
Loffler, Frosch (1888) e Beijerinck (1892), studiando una malattia dei bovini e della pianta del tabacco, cominciarono a
ritenere (non riuscendo a trovare altre cause) che queste malattie fossero causate da entità sub-microscopiche, capaci di
moltiplicarsi in organismi viventi, ma che non potevano essere osservate e coltivate come funghi e batteri. Queste teorie
non potevano essere supportate dalla visualizzazione e caratterizzazione dei virus poiché ai tempi non era presente una
tecnologia adeguata. Questi scienziati, utilizzando il metodo di Koch, prelevarono fluidi da organismi viventi malati e li
iniettarono in organismi sani dopo aver filtrato il materiale, che risultava quindi privo di funghi e batteri.

Gli scienziati, osservando al microscopio ottico cellule provenienti da organismi viventi malati, notarono nel citoplasma
o nel nucleo di queste cellule delle formazioni (rotondeggianti, a pera, o irregolari) che chiamarono inclusioni intracellulari
o corpi inclusi che vennero associati a infezioni virali. Tutt’oggi vengono utilizzate nella diagnosi di malattie definite
“virali” poiché si ritiene che questi vacuoli contengano le particelle virali.

Come è fatto e come viene identificato un virus?


Tutti i virus, secondo gli scienziati, sono costituiti prevalentemente, se non esclusivamente da:

- acido nucleico come RNA o DNA (materiale genetico). La differenza tra i due sta nel fatto che il DNA è il
depositario dell’informazione genetica, mentre l’RNA funge da “messaggero” di tale informazione.
L’informazione porta alla sintesi di proteine.
- Proteina che avvolge il materiale genetico all’esterno come un guscio.
- Alcuni possiedono una ulteriore membrana esterna lipidica.

Queste molecole sono le stesse presenti anche nelle nostre cellule. Un virus non possiede né gli enzimi deputati al
metabolismo né alla produzione di energia. Non sono quindi in grado né di produrre e immagazzinare energia, né di
provvedere alla replicazione della proprie unità costitutive.

Per questo esistono ancora dubbi se considerarli organismi viventi oppure no. Alcuni scienziati hanno persino dubbi
sulla loro esistenza. Tra questi il biologo molecolare tedesco Stefan Lanka, che parla dei virus (soprattutto per quanto
riguarda i retrovirus, di cui fa parte il virus dell’HIV) come di una frode. Analizzando le metodiche con cui vengono
identificati effettivamente qualche dubbio può venire..

Secondo gli scienziati i virus crescono solo all’interno di cellule viventi, perciò sono definiti come parassiti intracellulari
obbligati. Per isolare un virus occorre quindi separarlo estraendolo dai materiali costitutivi della cellula stessa. Effettuare
questa procedura richiede diversi passaggi per disgregare le cellule:

1) prelievo di materiale “patologico” da un soggetto malato (liquidi organici, frammenti di tessuti o organi) o da colture
cellulari “infettate” in laboratorio;
2) disgregazione delle cellule (per esempio gelandole e sgelandole più volte, triturandole a basse temperature con polvere
di quarzo o sottoponendole all’azione di ultrasuoni o di speciali omogeneizzatori).
3) Filtrazione per separare materiali contaminanti grossolani (organelli, grossi detriti cellulari, batteri) con particolari
membrane filtranti a porosità calibrata.
4) La sospensione delle cellule disgregate viene centrifugata a bassa velocità per allontanare altri contaminanti.
5) Il supernatante viene sottoposto a ultracentrifugazione per ottenere la sedimentazione delle particelle e la loro
concentrazione.
6) I testi riportano che alcuni virus vengono distrutti con questo trattamento e pertanto viene utilizzata un’altra
metodica per poterli isolare: una ultracentrifugazione su cuscinetto di saccarosio. Cioè sul fondo di una provetta viene

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messa una soluzione molto concentrata (50%) di saccarosio (che ha una densità più alta delle presunte particelle
virali) e sopra a questa si stratifica ancora del saccarosio meno concentrato (per esempio al 25%) a densità più bassa
rispetto a quella del virus. Al di sopra della colonna del liquido nella provetta viene posta la soluzione contenente i
presunti virus. La provetta viene ultracentrifugata e, nella zona di confine tra le due soluzioni zuccherine, si forma
una banda ben visibile (dove in teoria si sono depositati i virus). Dopo centrifugazione questa zona può essere
recuperata separatamente

Il liquido ottenuto con queste metodiche (che conterrebbe i virus) viene sottoposto a diverse tecniche (elettroforesi,
cromatografia, etc.) che fornirebbero informazioni su dimensioni, forma, omogeneità delle particelle virali. Ovviamente
in questi centrifugati sono presenti piccole quantità di acido nucleico (materiale genetico), proteine provenienti dalla
cellula che si è disgregata. I limiti e i tipi di contaminazione accettabili sono arbitrari e dipendono, di volta in volta, dallo
specifico esperimento che si deve eseguire.

A differenza di quello che avviene per batteri e funghi coltivabili su terreni di coltura, è possibile ottenere virus solo in
colture cellulari vive derivate da tessuti animali (di solito uova fecondate di gallina). Queste tecniche di allestimento si
svilupparono nel 1920-1930 con lo scopo di studiare il ciclo replicativo dei virus.

È stato suggerito in passato che le particelle identificate al microscopio elettronico come virus potrebbero essere peptidi
(particelle di proteine) disintegrati dalla morte cellulare o resti catabolici di citoplasma, o proteine prodotte dalle cellule
in risposta al terreno biologico non più equilibrato.

In questo modo si spiegherebbe anche il motivo per il quale possono essere “coltivati” in laboratorio solo a partire da
colture di cellule mantenute vive. Le cellule vive sono soggette a un massiccio ricambio cellulare e i virus non sarebbero
altro che i resti di cellule morenti.

Come è possibile dire che in un centrifugato ottenuto dalla disgregazione di cellule sia
presente un virus?
È possibile se si crede che quando, in determinate coltivazioni cellulari, è presente l’attività di un particolare enzima
(transcriptasi inversa, presente anche nelle stesse cellule) o si rinvengono particolari frammenti di DNA o proteine
(denominate P24 o P41) allora ci si trovi in presenza di un virus.

Come si fa a vedere un virus?


Le conoscenze sulla morfologia e la struttura dei virus si sono sviluppate solo dopo gli anni ’30, correlando tra loro
diverse informazioni ottenute mediante diffrazione con raggi X o con neutroni, la microscopia elettronica, le analisi
chimiche descritte precedentemente e le analisi computerizzate.

Nel 1935, utilizzando delle tecniche di purificazione Stanley analizzò al microscopio ottico dei paracristalli (ritenuti
particelle di un virus della pianta del tabacco) e dimostrò che erano costituiti dagli stessi componenti presenti in tutte le
cellule viventi (acidi nucleici e proteine).

Tramite la diffrazione con raggi X possono essere visualizzate solo strutture cristalline o paracristalline rendono
possibile il fenomeno della diffrazione consentendo la visualizzazione di strutture regolari che vengono identificati
come virioni.

Essendo queste strutture di dimensioni molto piccole (circa da 10 a 300 nm), solo quelle di maggiori dimensioni
possono essere visualizzate tutte con il microscopio ottico (risoluzione massima circa 200 nm), per le altre occorre
utilizzare un particolare tipo di microscopio: il microscopio elettronico.

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Nel 1931 il fisico tedesco Ernst Ruska (1906 – 1988) e il suo mentore Max Knoll costruirono il primo
microscopio elettronico e nel 1939 furono i primi a portare una fotografia di quello che ritenevano essere un
virus. Prima di allora nessuno aveva potuto dare una forma a queste entità.

Il microscopio elettronico è un tipo di microscopio che invece di sfruttare la luce, come avviene nei
microscopi ottici, sfrutta un’onda elettromagnetica a bassa lunghezza d’onda. Esistono due tipi di
microscopio, uno (Microscopio Elettronico a Scansione o SEM) che rileva le particelle emesse da un
campione, dopo essere colpito dal fascio di elettroni, e le converte in impulsi elettrici. Un altro tipo
(Microscopio Elettronico a Trasmissione o TEM) in cui il fascio di elettroni deve attraversare una sezione
sottilissima di tessuto in una condizione dove precedentemente è stato creato il vuoto per poter ottenere
l’immagine. Esistono microscopi che combinano le due tecniche. Il più utilizzato è il TEM.

In un recente studio, che coinvolge una ottantina di ricercatori e pubblicato su Nature, si è ottenuta una
immagine di un virus utilizzando una nuova macchina fotografica laser a elettroni liberi (Linac Coherent Light
Source o LCLS). Questo fascio è un miliardo di volte più luminoso dei classici raggi X e così intenso da
attraversare l’acciaio. Il virus sulla traiettoria del laser viene disintegrato e da ogni impulso velocissimo (pochi
milionesimi di un miliardesimo di secondo) si ottengono le informazioni necessarie a ricreare la sua immagine
prima che esploda. Dei centinaia di virus messi sotto i raggi X, solo due hanno prodotto abbastanza dati. E
per visualizzarne altri ci sono voluti anni di lavoro.

Se l’utilizzo del TEM prevede condizioni di vuoto e sezioni sottilissime di tessuto, e se il fascio di elettroni è
così potente da disintegrare la particella che si desidera osservare, viene da chiedersi se queste tecniche non
producano danneggiamenti e cambiamenti indesiderati alla struttura del tessuto (artefatti) che vengono poi
interpretati erroneamente come particelle virali.

Come fanno a studiare le interazioni virus-cellula?


I virus sembrano avere dei meccanismi affascinanti. Sarebbero in grado di introdurre il loro materiale genetico
all’interno di una cellula. Qui questo materiale genetico viene tradotto dalla cellula in un pool di macromolecole in
grado di sintetizzare i costituenti del virus. Le particelle virali vengono quindi costruite per assemblaggio di queste parti
costitutive e fuoriuscirebbero dalla cellula distruggendola. A volte invece il materiale genetico del virus verrebbe
integrato completamente in quello della cellula ospite.

Se questo fosse vero quello che viene identificato come virus e causa di malattia, potrebbe invece essere coinvolto nel
trasporto di materiale genetico tra cellule (tra cellule dell’organismo, tra cellule batteriche), quindi allo scambio di
informazioni (una specie di messaggero).

Nessuno però ha potuto osservare dal vivo questi passaggi. Dal libro microbiologia << I virus intesi come virioni
completi “scompaiono” e sembrano “dissolversi” nelle cellule che hanno “infettato”, ma “ricompaiono”
improvvisamente dopo qualche ora moltiplicati per un fattore 100 o 150 e non c’è un ulteriore incremento dopo questa
rapida amplificazione>>.

Per lo studio delle interazioni virus-cellula è necessario utilizzare sezioni ultrasottili di pellets di cellule ottenute da
colture cellulari o su campioni ottenuti da frammenti di tessuti e organi definiti “patologici”.

- è necessario fissare il preparato con fissativi (gluteraldeide e tetrossido di ormio, acetato di uranile o citrato di
piombo)
- si effettua una disidratazione con soluzioni alcoliche a concentrazione crescente (dal 50, al 60, al 100%)
- si include il campione in apposite resine (EPON) in modo da poter infine eseguire delle ultrasezioni (di
spessore inferiore ai 50nm).
- Le sezioni effettuate vanno ulteriormente colorate con acetato di uranile o citrato di piombo.

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Queste condizioni chiaramente impediscono l’uso di materia vivente (che muore durante le preparazioni). Durante lo
studio e l’interpretazione di sezioni di tessuti, quello che si osserva al microscopio è il risultato finale di una serie di
processi che non hanno molto a che vedere con il tessuto vivente. L’immagine che si osserva rappresenta una notevole
distorsione rispetto all’immagine osservabile nel tessuto vivente e non è più la scena inizialmente presente sul vetrino.

Come sapere quindi se quello che si guarda è realtà oppure artefatto?

DOVE SI TROVANO I MICRORGANISMI, CHI SONO E COSA


FANNO?
Distribuzione dei Microrganismi.
I microrganismi sopra descritti (eccetto i virus) sono presenti virtualmente ovunque: nel suolo, nell’acqua, nell’aria, nei
cibi. La loro enorme varietà ne consente la sopravvivenza nelle condizioni più impensabili, possiamo infatti ritrovarli in
habitat estremi ed inospitali dove nessuna altra specie vivente è in grado di sopravvivere (per esempio a temperature
superiori a 100°C, inferiori a -10 °C come nei ghiacciai, in ambienti estremamente acidi o alcalini, in ambienti ad
elevatissima salinità).

La categoria più rappresentata è quella dei batteri che costituiscono i 3/4 della massa vivente presente sulla Terra.
Svolgono un ruolo fondamentale nel ciclo della materia e si adattano rapidamente ai cambiamenti ambientali. Sono
presenti in maggiore abbondanza dove trovano nutrimento, umidità, temperatura adatte al loro accrescimento e alla
loro moltiplicazione. Queste sono le stesse condizioni in cui vivono piante e animali con cui i batteri si sono co-evoluti
in relazioni simbiotiche scoperte solo negli ultimi decenni.

Senza microrganismi ogni forma di vita presente sulla Terra non solo finirebbe, ma non si sarebbe mai originata.

La nascita del pianeta Terra risale a circa 5 miliardi di anni fa. Per i primi 2 miliardi di anni il mondo vivente fu
composto interamente da microrganismi. Nel corso del primo miliardo di anni dell’evoluzione, i batteri – le forme più
elementari di vita – ricoprirono il pianeta di una trama intricata di processi metabolici e cominciarono a regolare la
temperatura e la composizione chimica dell’atmosfera, così che essa divenne adatta all’evoluzione di forme di vita
superiori.

I vegetali, gli animali e gli esseri umani sono ospiti recenti della terra, essendo emersi dal macrocosmo meno di un
miliardo di anni fa. Ancora oggi gli organismi viventi visibili (esseri umani compresi) funzionano esclusivamente grazie
a elaborati rapporti che hanno sviluppato con la trama di vita batterica. Nel corso della lunga storia evolutiva della vita,
oltre il 99% di tutte le specie esistite si sono estinte, ma la trama planetaria di batteri è sopravvissuta continuando la
regolare le condizioni per la vita sulla Terra così come fa da oltre tre miliardi di anni. L’ambiente stesso è forgiato da
una rete di sistemi viventi capaci di adattamento e creatività. L’adattamento è reciproco, cioè ambiente e organismi
co-evolvono in un gioco sottile di competizione, cooperazione, creazione e adattamento reciproco. Tutta la vita è
inserita in una trama auto-organizzantesi di batteri. Una miriade di batteri che vivono nel suolo, nelle rocce e negli
oceani, all’interno dei vegetali, degli animali, degli esseri umani regolano la vita sulla terra senza sosta.

“Viene loro spesso dato il nome dei sintomi che a volte causano. [...]. Questi organismi non solo sono i nostri progenitori
ancestrali, ma sono anche la base del nostro sistema di supporto vitale.” Lynn Margulis dalla prefazione di A New
Bacteriology (1980).

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Funzioni ambientali principali:
 Sono in grado di decomporre ogni materiale organico morto in metabolici semplici, che possono essere
utilizzati dalle piante e da altri organismi fotosintetici. Come decompositori. Questo processo di riciclo
consente alla Terra con la sua limitata fonte di elementi nutritizi, di mantenere la continuità della vita.
 Alcuni batteri e cianobatteri contribuiscono alla fertilità del suolo trasformando l’N atmosferico (=80%
dell’atmosfera terrestre) in composti più facilmente utilizzabili come l’ammoniaca che viene poi trasformata in
sostanza organica (proteine e acidi nucleici) dalle piante (fissazione dell’azoto – Rhizobium dal peculiare
rapporto simbiotico con le leguminose). Le connessioni fisiche e fisiologiche tra i noduli radicolari (che
contengono milioni di cellule batteriche) e il sistema vascolare delle radici permettono lo scambio di materiali:
la pianta mediante i suoi carboidrati, fornisce la sorgente di C e l’energia ai batteri, i quali d’altro canto loro
apportano composti azotati attraverso la fissazione dell’N.
 Da tempo vengono sfruttati dall’industria (esiste infatti la microbiologia industriale):
- Per produrre cibi (es: formaggi, pane, bevande alcoliche, etc.) grazie all’azione dei lieviti.
- Per produzione di parte dell’energia (trasformazione di detriti organici e letame in metano) e per la demolizione
di rifiuti inquinanti prodotti dall’industria chimica e farmaceutica.
- Per ottenere supplementi, stabilizzanti alimentari, solventi, additivi e farmaci.

Funzioni fisiologiche negli organismi viventi.


I microbi colonizzano naturalmente le superfici esterne e interne dell’organismo umano e animale con le quali nel corso
dell’evoluzione si è instaurata una simbiosi inscindibile.

Gli animali erbivori per esempio (come i ruminanti o il cavallo) non sarebbero capaci di digerire da soli la cellulosa,
l’amido e la pectina che costituiscono la base della loro dieta vegetale, senza i microrganismi cellulo-digestori che
vivono nel loro apparato digerente.

Nel 2007 un gruppo di ricercatori statunitensi pubblica sulla rivista scientifica internazionale Nature un articolo dal titolo
“The Human Microbiome Project” il cui scopo è quello di studiare le componenti microbiche presenti nell’uomo e il loro
ruolo fisiologico. Noi esseri umani solo nel nostro intestino ospitiamo 100 trilioni di batteri (pesano in tutto circa un
chilo) di diverse centinaia di specie con capacità biochimiche peculiari a noi utilissime. Grazie a loro possiamo per
esempio utilizzare alcuni tipi di carboidrati (zuccheri) che gli enzimi umani non sono in grado di digerire (e che ci
forniscono il 10% delle calorie giornaliere) e producono per noi le vitamine B2, B12 e l’acido folico. Ma dire che li
ospitiamo come se fossero delle entità da noi separate non corrisponde alla realtà. Non siamo organismi singoli, ma
siamo superorganismi fatti da tanti piccoli organismi che lavorano assieme in cooperazione. È come se fossimo un
ecosistema. E proprio come gli ecosistemi di foreste, praterie e barriere coralline, il nostro microbioma è diverso da
paese a paese e da persona a persona riflettendo le differenze ambientali in cui siamo immersi.

Quale ruolo giocano questi microrganismi nel corpo (umano o animale) in corso di
malattia?
Mentre diverse ricerche supportano le funzioni fisiologiche dei microrganismi che colonizzano , ben poco si sa di quegli
organismi che intervengono in corso di processi “patologici”.

Il medico tedesco Ryke Geerd Hamer (1935) negli anni ’80, tramite osservazioni empiriche effettuate sui suoi pazienti,
esaminò la correlazione esistente tra specifiche parti di organi derivate dallo stesso foglietto embrionale in una fase
specifica di attivazione e la funzione di determinati microrganismi. Secondo queste osservazioni il microrganismo in sé
non è causa di malattia, ma coadiuva il processo di riparazione a livello tessutale. Tutti i microbi lavorano in modo
sensato e sono biologicamente correlati con l’organismo ospite. Queste osservazioni non sono considerate da Hamer
ipotesi o teorie bensì scoperte empiriche, riproducibili, che possono essere verificate.

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Il dottor Hamer, suddivide i microbi in base al tipo di tessuto sul quale agiscono:

- Funghi e micobatteri agiscono su tessuti del corpo più antichi a livello filogenetico (filogenesi = storia dello
sviluppo evolutivo della specie), cioè quelli che derivano, nel corso della formazione dell’embrione (=
ontogenesi), dal foglietto embrionale chiamato Endoderma (mucosa del tratto gastrointestinale, respiratorio,
parenchima di fegato, pancreas, ghiandole endocrine, etc) e in parte dal Mesoderma.
- I batteri corrispondono ai tessuti che originano dal foglietto embrionale Mesoderma (dal quale derivano organi
più “antichi” in senso filogenetico come ghiandola mammaria o lo strato profondo della cute o derma, etc. e
organi più “recenti” come ossa, muscoli, linfonodi, etc).
- I virus agiscono sui tessuti filogeneticamente più recenti, derivanti dal foglietto embrionale Ectoderma
(epidermide, dotti ghiandolari, etc.).

Tutti questi microbi “lavorano”, con meccanismi peculiari, esclusivamente in una fase di vagotonia del tessuto (fase di
riparazione), mentre in uno stato di normotonia possono trovarsi nel tessuto inattivi (sono i cosiddetti germi
“apatogeni” o “non virulenti”). Presentano tra loro alcune differenze:

- Funghi, micobatteri seguono il funzionamento dei tessuti a loro correlati che, in una fase di attivazione
(simpaticotonica), aumentano di funzione e/o presentano una vera e propria proliferazione cellulare. In questa
fase anche i microrganismi correlati si replicano (rimanendo inattivi) con lo stesso ritmo e alla stessa velocità
del tessuto. Nella successiva fase di ripristino delle funzioni tessutali e/o della normale architettura del tessuto
(vagotonica) i microrganismi concorrono a demolire il tessuto che era cresciuto nella fase precedente e che in
questa fase va incontro a necrosi. La formazione di pus che ne consegue viene definita come necrosi caseosa.
Coltivare in laboratorio i micobatteri su terreno agar risulta complicato poiché mancano le condizioni ideali
presenti invece “in vivo” nei tessuti arcaici in fase vagotonica. Fughi e micobatteri sono quindi “ripulitori”, cioè
caseificano i tessuti di loro pertinenza che sono andati incontro a un processo di proliferazione cellulare. È una
sorta di “chirurgia naturale” che provvede a eliminare il tessuto che non è più di nessuna utilità.
- I batteri pertinenti a organi di derivazione Mesodermica più recente (ossa, muscoli, etc.) possono concorrere
alla demolizione, che per questi tessuti avviene in fase simpaticotonica, e alla successiva “ricostituzione” che
avviene in fase vagotonica. È in questa seconda fase che avviene la moltiplicazione batterica in associazione alla
riparazione del tessuto con eccedenza (cioè alla fine del processo rimane del tessuto in più rispetto a quanto era
presente in origine, es: callo). Sono come “operai che sgomberano e ricostruiscono” coadiuvando la riparazione
delle ferite (es: frattura).
- I virus lavorano su tessuti di derivazione Ectodermica, nei quali nel corso della fase vagotonica, si replicano e
contribuiscono alla ricostituzione delle ulcere a livello epiteliale. Le proteine di origine virale agiscono come
catalizzatori allo scopo di ottimizzare il processo di riparazione (decorso più breve e intenso). I virus lavorano
come “ricostruttori”. Sono di difficilissima coltivazione in laboratorio, per ottenerne la replicazione si rende
necessario l’utilizzo delle cosiddette “colture vive” (solitamente uova di gallina fecondate).

Tutti questi microbi lavorano con meccanismi peculiari e, con pochissime eccezioni, restano entro i limiti del foglietto
embrionale al quale sono correlati. Il ritrovamento di microrganismi in corso di processi patologici ha portato nel corso
della storia gli scienziati a pensare che questi ne fossero la causa (basandosi sulla Teoria dei germi di Pasteur), mentre
più semplicemente si ritrovano nel tessuto, in una particolare fase dove esplicano la loro funzione.

Se a livello del tessuto non sono presenti microbi specializzati, cosa che ai giorni nostri avviene maggiormente rispetto
ad un tempo, la fase di riparazione tessutale avviene comunque, ma non in modo biologicamente ottimale (per esempio
per i tessuti di origine endodermica, che non vanno incontro a necrosi caseosa per la mancanza di micobatteri, si
verifica un incapsulamento che permane come una cicatrice e non viene demolito).

I microbi quindi sono una componente necessaria, irrinunciabile per il funzionamento del nostro organismo. A oggi
questi risultati e scoperte, validi logicamente ed empiricamente oltre che riproducibili, hanno necessità di essere

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sottoposti a uno studio sistematico di verifica per poter stabilire un dialogo con la comunità scientifica e ampliare la
base concettuale con cui si pensa ai microbi.

Cosa succede se incontriamo microbi “esotici”?


Come è stato detto, il nostro microbioma è diverso da paese a paese e da persona a persona. Normalmente si crede che
le persone autoctone residenti in paesi lontani (come per esempio i Paesi Tropicali) siano contaminate da microbi
patogeni alle quali sono resistenti, e che se un turista (per esempio Europeo) incontra uno di questi microbi (che
precedentemente il suo organismo non aveva mai incontrato) si ammala di una malattia infettiva. Integrando le più
recenti scoperte scientifiche sappiamo che i microbi riflettono le condizioni ambientali in cui siamo immersi. Diversi
ambienti avranno caratteristiche diverse, con animali, piante, persone, microbi diversi. Spostandoci in luoghi diversi e
molto lontani da quelli in cui siamo cresciuti e abbiamo vissuto è possibile incontrare microbi “esotici” (cioè microbi
che non fanno parte del nostro microbioma). Se ciò avvenisse in maniera biologica, ovvero sia se viaggiassimo a piedi, il
lungo tempo necessario per il viaggio consentirebbe un progressivo vantaggioso adattamento del nostro organismo
all’ambiente (fattori climatici, alimentari, microbici, etc). Il nostro organismo non è preparato per spostamenti di
migliaia di chilometri in poche ore, così come avviene se viaggiamo in aereo per esempio. Ci ritroviamo così
improvvisamente immersi in un contesto ambientale che per il nostro corpo risulta completamente sconosciuto, e al
quale esso può rispondere con i sintomi più diversi (tipico è il caso della dissenteria da viaggio o diarrea del viaggiatore)
agendo in maniera assolutamente sensata di fronte a stimoli imprevisti.

La Medicina ha contribuito al declino delle malattie infettive…o no?


Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si ebbe un netto calo di casi malattie considerate infettive.
Il fatto che questo cambiamento vistoso abbia avuto luogo simultaneamente all’avvento della medicina
“moderna” ha condotto alla convinzione diffusa, condivisa anche dai medici, che sia stato determinato dalle
conquiste della scienza in ambito medico. Alcuni studi della storia dei tipi di malattie hanno dimostrato che il
contributo dell’intervento medico al declino delle malattie “infettive” è stato molto minore di quanto si creda
in generale. Un medico irlandese, Thomas McKeown (1912—1988), autorità nel campo della sanità pubblica
in Inghilterra (professore alla University of Birmingham) ha compiuto uno degli studi più dettagliati della
storia delle malattie credute “infettive”. Nella sua opera spiega come il clamoroso declino di mortalità
(iniziato in realtà dal Settecento in poi) sia dovuto principalmente a tre effetti:
- miglioramento dell’alimentazione (i cambiamenti in agricoltura garantirono una migliore disponibilità di cibo);
- miglioramento dell’igiene, quindi dell’ambiente di vita quotidiano umano e introduzione di nuove misure
sanitarie (depurazione delle acque, eliminazione delle acque di scolo..etc);
- calo significativo dei tassi di natalità che assicurò un miglioramento delle generali condizioni di vita (minor
affollamento, minori rifiuti organici..etc).

Tra questi non risulta l’intervento medico che fu meno importante dei fattori precedentemente elencati. Le principali
malattie, credute infettive, avevano raggiunto il loro culmine e avevano cominciato a declinare già molto tempo prima
dell’introduzione dei primi antibiotici e delle prime tecniche di immunizzazione. E non fu solo McKeown ad accorgersi
che la tecnologia medica da sola è incapace di determinare mutamenti significativi nei tipi di malattie più comuni. Il
medico statunitense Robert J.Haggerty (1925) nel 1979 confermò con vari esperimenti che le tecnologie mediche
moderne utilizzate non ebbero successo nel migliorare la salute di varie popolazioni negli Stati Uniti e si rivelano a
lungo andare antieconomiche.

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CONCLUDENDO.
Nell’intera storia della scienza occidentale lo sviluppo della biologia è andato di pari passo con quello della medicina. È
naturale quindi che la visione meccanicistica della vita, una volta affermatasi in biologia, abbia influito
sull’atteggiamento medico portando l’attenzione dal paziente alla malattia. La prospettiva della scienza biomedica si è
spostata nel tempo dallo studio di organi corporei e delle loro funzioni a quello delle cellule e, infine, allo studio delle
molecole perdendo di vista l’interdipendenza tra corpo e mente. D’altra parte ha conseguito conoscenze affascinanti sui
meccanismi più nascosti del corpo e ha sviluppato tecnologie fino a un grado impressionante di complessità e di
raffinatezza, estremamente utili in condizioni di emergenza (Medicina di Pronto Soccorso). A oggi diviene sempre più
inquietante l’interrogativo del perché nonostante tutta questa tecnologia esista ancora la malattia e perché la medicina
non sia riuscita a sconfiggerla.
Ampliando la comunicazione tra le discipline mediche e ponendo l’attenzione sulle connessioni e relazioni tra
emozione, attivazioni cerebrali e processi organici in ottica evolutiva è possibile avere una visione d’insieme in linea con
la bio-logica (logica della vita) che ha consentito alla nostra e alle altre specie viventi di essere ancora qui ai giorni nostri.

BIBIOGRAFIA.

- La rete della vita. Fritjof Capra. BUR edizioni.


- Il punto di svolta. Fritjof Capra. Feltrinelli edizioni.
- Microbiologia e Immunologia veterinaria. Giorgio Poli e Alessandra Cocilovo, 2002. UTET edizioni.
- Follie e inganni della medicina. Petr Skrabanek, James McCormick, 1995. Tascabili Marsilio.
- Variations within a Bacterial Species: I Morphologic Variations. H. R. Rosen. Mycologia Vol. 20, No. 5 (Sep. -
Oct., 1928), pp. 251-275. Published by: Mycological Society of America. Article Stable URL:
http://www.jstor.org/stable/3753847
- Bakterien Cyclogenic (The Life Cycle of Bacteria). Guenther Enderlein, 1925. Verlag de Gruyter & Co Berlin.
- Microbic Dissociation: The Instability of Bacterial Species with Special Reference to Active Dissociation
and Transmissible Autolysis. Philip Hadley. The Journal of Infectious Diseases
Vol. 40, No. 1 (Jan., 1927), pp. 1-312. Published by: Oxford University Press. Article Stable URL:
http://www.jstor.org/stable/30083414
- The Human Microbiome Project. Peter J. Turnbaugh, Ruth E. Ley, Micah Hamady, Claire M. Fraser-Liggett, Rob
Knight & Jeffrey I. Gordon, 18 October 2007. Nature 449, 804-810
- Signals, Regulatory Networks, and Materials That Build and Break Bacterial Biofilms. Ece Karatan and
Paula Watnick Microbiol. Mol. Biol. Rev. June 2009 vol. 73 no. 2 310-347
- Microbial Biofilms: from Ecology to Molecular Genetics. Mary Ellen Davey and George A. O'toole* Microbiol.
Mol. Biol. Rev. December 2000 vol. 64 no. 4 847-867
- Public Health, Nutrition, and the Decline of Mortality: The McKeown Thesis Revisited. Bernard Harris.
http://shm.oxfordjournals.org/content/17/3/379.abstract
- The McKeown thesis. Bill Bynum. The Lancet, volume 371, Issue 9613, Pages 644 - 645, 23 February 2008.
http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736%2808%2960292-5/fulltext
- Medical evidence related to English population changes in the eighteenth century. McKeown and Brown
(1955). Popul Stud 1955; 9: 119-141. PubMed
- McKeown. The role of medicine: dream, mirage or nemesis. Oxford: Blackwell, 1979.
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- Modern Uses of Electron Microscopy for Detection of Viruses. Cynthia S. Goldsmith and Sara E. Miller Clin
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- Come si fotografa un virus. Tiziana Moriconi (2011) - http://daily.wired.it/news/scienza/prima-foto-virus.html.
- The challenge offered by X-ray lasers. Hajdu J. Nature. Volume: 417 Issue: 6884 Pages: 15-15 Published:
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- Basic Histology. Junqueira, Luis C. and Jose Carneiro, 1980. Lange Medical Publications.
- Testamento per una Nuova Medicina Germanica. La “Germanica”. Le 5 leggi biologiche della natura.
Principi fondamentali di tutta la medicina. Programmi speciali con senso biologico della natura. Dr. Ryke
Geerd Hamer. Amici di Dirk, Edicioned de la Nueva Medicina S.L.

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