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«Ma non c'era paragone con lei, Aleksej Ivanoviè,» raccontava Potapyè.

«Con
lei la
signora si comportava proprio come con un signore, ma quello là, l'ho visto io
con questi
occhi e che il Signore mi fulmini qui dove mi trovo se non è vero, quello le
rubava i soldi
dal tavolo. Lei stessa l'ha colto sul fatto due volte e s'è messa a ingiuriarlo,
gliene ha dette
di tutti i colori, babbino, e una volta addirittura l'ha tirato per i capelli, non dico
bugia,
babbino, tanto che intorno la gente s'è messa a ridere. Tutto ha perduto,
babbino, tutto
quanto aveva, tutto quello che lei le aveva cambiato. Poi l'abbiamo riportata
qui la
mammina nostra; lei ha chiesto soltanto di bere un po' d'acqua, si è fatta il
segno della
croce e si è messa a letto. Era così estenuata che si è addormentata subito.
Che il Signore le
mandi dei sogni angelici! Oh, che il diavolo si porti questo estero!» ha
esclamato Potapyè.
«Lo dicevo io che non ne sarebbe venuto fuori niente di buono. Oh, magari ce
ne
tornassimo subito a Mosca! E là a Mosca, a casa nostra, cosa ci manca? C'è il
giardino,
pieno di fiori come qui non se ne vedono neppure, si sente un profumo, i meli
stanno
maturando, c'è tanto spazio... ma che bisogno c'era che andassimo all'estero?
Oh, poveri
noi!...»

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