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OVEDÌ 24 SETTEMBRE 2009

C'era una volta l'isola di Creta

Scena di tauromachia, spettacolo incruento e relativo


all'era precessionistica del Toro, e cioè
approssimativamente dal 4.300 al 2150 a. C., in cui la
civiltà gilanica di Creta raggiunse punti di sviluppo
elevatissimi e socialmente diffusi in senso egualitario
ma anche nel campo scientifico e tecnologico
soprattutto nelle attività architettoniche ed
urbanistiche, nella costruzione cantieristica, nelle
tecniche di navigazione e infine nella lavorazione dei
metalli.
C'era una volta l'isola di Creta

Presentando questo breve quanto interessantissimo


saggio sulla civiltà della Creta minoica, intendiamo in
realtà iniziare un lento processo di revisione della
profonda storia umana, cioè rivalorizzare sul piano
interpretativo quella parte della storia chiamata
globalmente preistoria.

Anche se in linea di principio, il termine preistoria è


inteso tra gli esponenti più progrediti della ricerca
storica, archeologica e antropologica, come privo di
connotazione negativa se non spregiativa, la grande
massa dell'opinione pubblica e persino di coloro che
possiedono rudimenti di una cultura storica che
potrebbe porli in grado di capire discorsi di
ristrutturazione radicale del sapere umano da pesanti
inquinamenti ideologici, rimane totalmente all'oscuro
dei formidabili progressi conseguiti dalla ricerca sulla
preistoria dell'ultimo mezzo secolo e le lotte intestine
all'interno dei settori accademici per l'egemonia
dell'interpretazione di questa vasta fase della storia
umana.

Siamo cioè in presenza di un vero e proprio


rovesciamento, sia a livello dei valori sia in quello
interpretativo, dell'immagine di una preistoria vista
come stadio all'interno di uno processo di progressione
dal semplice al complesso in tutti i campi da quello
dell'intero scibile umano a quello delle istituzioni
sociali alla tecnologia, alla scienza ed alla religione.

Ne emerge una scienza della preistoria totalmente


innovativa in grado addirittura di criticare l'intera
storia umana, quella cioè caratterizzata dal sorgere
dello Stato, delle classi sociali, delle guerre, della
violenza generalizzata in tutti i rapporti quotidiani, da
tutta cioè la negatività che da numerosi millenni,
almeno sei, cioè dal 4.000/4.500 a.C. sino ad oggi,
caratterizza tutta la storia umana più nota, quella
soprattutto che si avvale in modo privilegiato della
documentazione scritta.
La prospettiva evoluzionistica, caratterizzata dai
parametri del progresso in ogni campo viene così
abbattuta e rivela il suo grugno puramente ideologico
a cui tutte le forme ideologiche hanno concorso a dare
ovviamente il loro sostegno, dalla religione alle
dottrine giuridiche, economiche e filosofiche: il
passato è condannato immancabilmente a fungere da
pista di decollo di quanto è avvenuto successivamente
ed il domani è sempre migliore dello ieri. Vera e pura
mitologia a cui grandi figure di ricercatori storici e
filosofi hanno rivolto le loro critiche devastanti
calibrandole su dove andava fatto e cioè nel prendere
a parametro di giudizio e verifica le conseguenze
sociali di una determinata strutturazione sociale non
facendosi irretire da discorsi volti a celebrare
acriticamente una progressione quantitativa in un dato
settore considerato.

Ciò che più infastidisce e sconvolge gli ideologi del


presente storico è il fatto che queste culture furono in
grado di prosperare ed evolversi realmente, per
millenni, non conoscendo guerre, strutturazioni sociali,
classiste gerarchie burocratiche, apparati di
repressione polizieschi e aggressioni militari e quindi
espansionismi imperialistici a danno di altre culture.
Tutto ciò che da millenni la parte migliore dell'umanità
, consapevole del reale stato in cui si trova si augurano
che si instauri nei rapporti umani e che è solitamente
definita nella migliore delle ipotesi come utopia.
La preistoria è la sede quindi di questa utopia
concreta, storicamente esistita, una serie di culture
pacifiche, egualitarie nei rapporti tra i sessi e le più
diverse comunità umane, priva di violenza tra individui
e comunità altre, basate sul soddisfacimento di tutti i
bisogni da quelli materiali a quelli sociali e culturali,
una diffusione quindi del benessere orizzontale sotto
la benedizione della grande dea madre, l'idea guida di
decenni di millenni di evoluzione sociale e culturale e
simbolizzazione della natura, una divinità dal volto
umano, benigno, materno in cui tutte le pulsioni
positive umane erano proiettate come verifica
soprattutto della loro esistenza nei rapporti
interumani.
Abbiamo quindi molto da apprendere dalla preistoria e
nulla dalla storia se non unicamente l'esigenza di
fuoriuscirne.

Isola bastione della non-violenza sino al 1500 a. C.,


quando seguì l’emergere delle “civiltà” e del culto
della violenza
Quando si dice Creta, si pensa subito al Minotauro, a re
Minosse, al Grande Labirinto. Ma Creta ha molto più da offrirci
di questi stereotipi ingannevoli. Creta sino a 1500 anni prima
dell’era comune [a.C.], data in cui è stata invasa dai
popolazioni indoeuropee, cioè orde barbariche predatrici è
stata un modello di società organizzata sulla non-violenza,
una democrazia egualitaria che aveva sviluppato una
tecnologia avanzata (cantieristica navale, sviluppo urbano,
commercio marittimo su vasta scala, metallurgia, ecc.), per
fini pacifici. L’ultimo bastione di una cultura un tempo più
vasta e di cui rimangono immense tracce. In tutto il mondo
che il sapere ufficiale ignora nella sua portata e conseguenze
storiche.
Creta società opulenta, modello della società
egualitaria di cooperazione.
La società cretese, opulenta, ha
sviluppato una civiltà molto evoluta.
Questo si è tradotto in pratica
nell’organizzazione di città e villaggi
ben pianificati composti di imponenti
edifici, palazzi, di aree agricole, forniti
di reti di distribuzione di acqua ed
irrigazione, fognature, fontane e
collegate da vie di comunicazione di
cui molte pavimentate. In campo
culturale, troviamo una letteratura
abbondante (in 4 differenti scritture) e
produzioni artistiche che gli storici
descrivono come raffinate, celebranti
la vita, molto ispirate.
Ma questo non basta a
farne una civiltà non-
violenta. Uno dei tratti
essenziali della società
cretese è di avere, in
un’epoca così remota,
saputo sviluppare un
modello di società
egualitaria. I cretesi erano
persone benestanti, ma la
cosa più notevole era la
ripartizione piuttosto equa
delle ricchezze, poiché le
ricerche archeologiche
hanno evidenziato poca differenza nei tenori di vita.
Anche quando i poteri politici sono stati centralizzati,
ciò è stato fatto senza gerarchizzazioni né autocrazia
e il governo insediato lo fu sotto una forma
democratica ben prima che i greci non si
appropriassero della parola democrazia. Gli uomini e
le donne vi partecipavano alla pari, soprattutto per
quanto riguardava le cerimonie religiose.
Creta una società che
ha sviluppato una
notevole tecnologia
utilizzata a fini pacifici

Creta ha creato una


tecnologia di qualità
utilizzando il bronzo,
ma non l’ha utilizzata
per produrre armi. I
cretesi si sono serviti di questa tecnologia per
migliorare le loro condizioni di vita, abbellire il loro
ambiente, costruire magnifici edifici circondati da
giardini molto elaborati. Le poche armi fabbricate,
poco sofisticate, lo furono per servire sulle navi
mercantili e per difesa contro gli attacchi dei pirati in
alto mare. La costa
cretese non era
fortificata rendendola
così vulnerabile agli
attacchi dei barbari.
I progressi tecnologici,
con lo sviluppo della
specializzazione, non
hanno avuto effetto sul
funzionamento
collaborativo ed egualitario della società. I beni e le
ricchezze accumulate lo erano a beneficio ed al
servizio di tutti ed i poteri che tali progressi
conferiscono si sono tradotti con una maggiore
consapevolezza delle responsabilità di fronte alla
collettività. Questi poteri erano integrati al culto della
vita ed in nessun caso potevano servire a togliere la
vita con un qualunque atto di violenza.
Questo modo di vita pacifico ed egualitario che l’isola
di Creta aveva saputo preservare sino al 1500 prima
dell’era comune, si trovava in completa opposizione
con quanto si era sviluppato dappertutto altrove dal
4300 a. C. con l’invasione delle orde barbare, i Kurgan
[1], che saccheggiavano, violentavano, uccidevano.
Benché queste orde nomadi fossero di culture diverse,
quel che avevano in
comune era il modo di
funzionamento societario
basato sul dominio, una
struttura sociale in cui la
gerarchia e l’autoritarismo
erano la norma. Creta,
ultimo bastione di una
società non violenta,
egualitaria e
cooperativistica, a lungo
protetta dalla sua
insularità, finì con il
soccombere.
L’emergere delle
“civiltà” e del culto
della violenza
Bruscamente, con il passaggio di numerosi di questi
popoli pacifici sotto il dominio di queste orde
barbariche, la tecnologia sarà utilizzata per sviluppare
il potere di distruzione; togliere la vita diventa la
norma. I Kurgan uccidono gli uomini, si
impadroniscono delle donne che diventano loro
concubine e schiave e dei bambini ridotti anch’essi in
schiavitù. D’ora in poi le loro sepolture mortuarie si
riempiono di armi e di corpi sacrificati di donne e
bambini. Da un punto di vista morale e culturale le
società si impoveriscono, ne testimoniano i resti di
vasellame e sculture, identiche e qualitativamente
inferiori. Le donne sono sessualmente ed
economicamente asservite, violentarle e violentare le
giovani, sacrificare i loro figli, distruggere città intere,
mostrare la propria potenza e la propria ricchezza
asservendole diventa pratica corrente, con in più
l’aura della religione. È su questo terreno che si sono
sviluppate le “civiltà” antiche e le religioni
“civilizzatrici” ebraico-cristiana. Le donne sono
bandite dalle cerimonie religiose, che diventano
appannaggio esclusivo degli uomini, in quanto le leggi
religiose che governano oramai le società sono state
concepite esclusivamente dagli uomini. Le persone
non sono più trattate egualmente né in vita né in
morte, le più deboli sono sfruttate, la brutalità, le
punizioni sono correntemente praticate. L’ideologia
dominatrice e manipolatrice celebrante il potere dello
sfruttamento, la guerra, la distruzione era nato.
Cultura di violenza, istinto di morte, istinto di vita,
cultura della non violenza
Dalla prevalenza di società basate sulla cooperazione,
sulla celebrazione della vita, dove le persone
lavoravano insieme per soddisfare i propri bisogni, si
è passati a società dominatrici in cui le persone
soddisfano i loro bisogni prendendoli dagli altri, al
bisogno sotto la minaccia, attraverso atti di violenza,
seminando ovunque morte. Quel che è stato scritto
sulla storia dell’umanità, le riflessioni filosofiche, si
sono principalmente sviluppate su questo a priori del
dominio attraverso la
violenza come
elemento “naturale”
della natura umana,
questo “istinto “ di
morte.
Quindi,
costantemente,
lungo il corso dei
secoli sino ai nostri
giorni, delle donne e
degli uomini hanno
voluto reinventare il
mondo, assumendo su di sé e sotto forme differenti,
questo bisogno di creare pacificamente i legami
sociali, in relazione con un sentimento molto forte di
appartenenza ad una collettività umana, percependo
l’umano come una identità comune da preservare
attraverso la non violenza. Allora, è questo una
lontana eco di un modo di vivere scomparso o la
nostalgia di un passato tribale o ancora una di quelle
utopie avanguardiste ogni volta recuperata da una
dinamica attivata dall’interesse? E perché non
semplicemente una manifestazione persistente di un
“istinto” di vita che le capacità di autodistruzione
dell’essere umana, su scala individuale o collettiva,
non hanno sino ad oggi potuto rimuovere?
La vita, la sofferenza, la gioia, l’estetica, la qualità
della vita, le relazioni con l’ambiente naturale, sono
delle ricchezze umane non misurabili, non calcolabili,
non brevettabili, patrimonio comune dell’umanità che
i nostri antenati hanno cercato a modo loro di
preservare sperando ogni volta di superare il
presente. A noi continuare.
Note:
[1] Con il termine Kurgan, vengono indicate l’insieme delle
culture preistoriche eurasiatiche che seppellivano i morti
socialmente ritenuti importanti in tumuli funerari spesso di
grandi dimensioni, chiamati kurgan, da cui il nome traslato
poi al popolo che li costruiva. I più antichi kurgan comparvero
nel Caucaso e nella steppa ucraina per poi propagarsi
nell’Europa orientale e centro-settentrionale. La celeberrima
archeologa ucraina Marija Gimbutas, di cui Riane Eisler può
essere considerata allieva, ha associato la cultura Kurgan ai
proto-indoeuropei, il cui punto di propagazione è stato
identificato con le culture kurgan a nord del mar Nero. (N. d.
T.)
Bibliografia
Eisler, Riane (1987). The Chalice and the Blade: Our history,
our future. San Francisco: Harper Collins, (tr.it., Il calice e la
spada, Pratiche editrice, Parma, 1996, ora ristampato da
Frassinelli.
Eisler, Riane, Il piacere è sacro, tr. it., di Sacred Pleasure,
Frassinelli, 1996.
Testi pertinenti all'argomento:
Marija Gimbutas, Il linguaggio della dea, [The Language of the
Goddess, 1989], Venexia, Roma, 2008.
Marija Gimbutas, Le dee viventi, [The Living Goddess, 1999],
Medusa, Milano, 2005.
Gimbutas, Eisler, Campbell, I nomi della dea, [In all Her
Names, 1991], Ubaldini, Roma, 1992.
Pepe Rodríguez, Dio è nato donna, [Dios nació mujer, 1999],
Editori Riuniti, Roma, 2000.

[Traduzione di Ario Libert]

Post originale datato: 3 Novembre 2004.


Il était une fois l'ile de Crete

Linkografia (a cura del traduttore)


Un valido contributo può essere letto nella seguente voce di
ANARCHOPEDIA:
Società gilaniche

Per un inquadramento globale della storia della Creta gilanica,


si può consultare questo interessante link in cui illustrazioni e
fotografie aiutano nella compressione della tematica: Storia di
Creta
Per notizie essenziali sulla ricercatrice Riane Eisler i cui studi
sono riassunti nella traduzione di questo articolo:

Vita e opere di Riane Eisler


Per notizie essenziali sulla ricercatrice Marija Gimbutas di cui
Riane Eisler è la più importante divulgatrice e prosecutrice la
sintetica voce in Wikipedia: Marija Gimbutas

Per una buona impostazione del concetto di gilania uno scritto


di Riane Eisler: Gilania, androcrazia e scelte per il nostro
futuro
Un importante saggio del 1995 di Riane Eisler è consultabile a
questo link: Gilania, androcrazia
Un interessante saggio sulle ricadute concettuali del rapporto
società egualitaria ed ambiente al seguente link: Un antico
futuro. Il bioregionalismo e le sue radici nella civiltà neolitica
dell'Antica Europa(7000-3500 a. C.)
Un documentario, Signs out of Time, in sette parti su You
Tube sulle teorie e ricerche di Marija Gimbutas:
Signs Out of Time

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