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Franz Kafka ed il socialismo libertario

di Michael Löwy
Non è senza grande soddisfazione che consegno ai miei
pochi lettori questo saggio notevole di Lowy, invitandoli
anche a procurarsi il suo studio su Kafka di maggiori
dimensioni e più riccamente articolato edito dalla casa
editrice Eleuthera. Uno delle più importanti figure della
letteratura dell'intero XX secolo è una lettura doverosa per
chi si consideri anche poco libertario. La complessa
personalità e la profonda umanità dello scrittore sono poi a
se tematiche degne di essere approfondite per meglio
apprezzare e l'opera e l'uomo Kafka. È per questo che
abbiamo ritenuto doveroso allegare una breve ma ben
mirata bibliografia in fondo al saggio.
Va da sé che non si può ridurre l'opera di Kafka ad
una dottrina politica, qualunque essa sia. Kafka non
produce dei discorsi, ma crea degli individui e delle
situazioni ed esprime nella sua opera delle opinioni,
degli atteggiamenti, un'atmosfera. Il mondo
simbolico della letteratura è irriducibile al mondo
discorsivo delle ideologie: l'opera letteraria non è un
sistema concettuale astratto, sull'esempio delle
dottrine filosofiche o politiche, ma creazione di un
universo immaginario concreto di personaggi e cose
[1]. Tuttavia, ciò non impedisce di esplorare i
passaggi, le passerelle, i legami sotterranei tra il suo
Kafka a 13 anni.
spirito antiautoritario, la sua sensibilità libertaria, le
sue simpatie per l'anarchismo da una parte ed i suoi principali scritti dall'altra.
Questi passaggi ci aprono un accesso privilegiato a ciò che potremo chiamare il
paesaggio interno dell'opera di Kafka. Le inclinazioni socialiste di Kafka si sono
manifestate molto presto: secondo il suo amico di gioventù e compagno di
liceo Hugo Bergmann, la loro amicizia si era un po' raffreddata durante il primo
anno scolastico (1900-1901), perché "il suo socialismo ed il mio sionismo
erano troppo forti" [2]. Di quale socialismo si tratta?

Tre testimonianze di contemporanei cechi


documentano la simpatia che lo scrittore
praghese aveva per i socialisti libertari cechi e la
sua partecipazione ad alcune delle loro attività.
Agli inizi degli anni 30, nel corso delle sue
ricerche in vista della redazione del romanzo
Stefan Rott (1931), Max Brod raccolse delle
informazioni da uno dei fondatori del movimento
anarchico ceco, Michal Kacha. Esse concernono la
presenza di Kafka alle riunioni del Klub Mladych
Kafka a 18 anni.
(club dei Giovani), organizzazione libertaria, antimilitarista ed anticlericale,
frequentata da molti scrittori cechi (S. Neumann, Mares, Hasek). Integrando
queste informazioni- che gli furono "confermate da altre parti"- Brod scrive nel
suo romanzo che Kafka "assisteva spesso, in silenzio, alle sedute del circolo".
Kacha lo trovava simpatico e lo chiamava "Klidas" che significa "il silenzioso" o
più esattamente seguendo il gergo ceco "colosso di silenzio", Max Brod non ha
mai posto in discussione la veridicità di questa testimonianza, che citerà di
nuovo nella sua biografia su Kafka [3].

La seconda testimonianza è quella dello scrittore


anarchico Michal Mares, che aveva fatto la conoscenza di Kafka in strada
(erano vicini di casa). Secondo Mares- il cui documento fu pubblicato da Klaus
Wagenbach nel 1958-, Kafka era venuto, su suo invito, ad una manifestazione
contro l'esecuzione di Francisco Ferrer, l'educatore libertario spagnolo,
nell'ottobre 1909. Nel corso degli anni 1910-12, avrebbe assitito a delle
conferenza anarchiche sull'amore libero, sulla Comune di Parigi, sulla pace,
contro l'esecuzione del militante parigini Liabeuf, organizzate dal Club dei
Giovani, dall'associazione "Vilem Körber" (anticlericale ed antimilitarista) e dal
Movimento anarchico ceco. Avrebbe anche, in diverse occasioni, pagato cinque
corone di cauzione per far liberare il suo amico dalla prigione. Mares insiste, in
modo analogo a Kacha, sul silenzio di Kafka: "A mia conoscenza, Kafka non
apparteneva ad nessuna di queste organizzazioni anarchiche, ma aveva per
esse le forti simpatie di un uomo sensibile ed aperto ai problemi sociali.
Tuttavia, malgrado l'interesse che egli aveva per queste riunioni (vista la sua
assiduità), non interveniva mai nelle discussioni".

Quest'interesse si sarebbe
manifestato anche nelle sue letture- le Parole di un ribelle di Kropotkin (regalo
dello stesso Mares), così come degli scritti dei fratelli Reclus, di Bakunin e di
Jean Grave- e nelle sue simpatie: "Il destino dell'anarchico Ravachol o la
tragedia di Emma Goldmann che editò Mother Earth lo toccavano
particolarmente..." [4]. Questa testimonianza era apparsa nel 1946, in una
rivista ceca, sotto una versione un po' diversa, senza attirare l'attenzione [5].
Ma è dopo la sua pubblicazione in appendice di un notevole libro di Klaus
Wagenbach sulla giovinezza di Kafka (1958)- la prima opera a mettere in luce i
legami dello scrittore con gli ambienti libertari praghesi- che provocherà una
serie di polemiche, miranti a porre in questione la sua credibilità.

Il terzo documento sono le Conversazioni con Kafka


di Gustav Janouch, apparso in prima edizione nel 1951 ed in una seconda,
considerevolmente ampliata, nel 1968. Questa testimonianza, che si riferisce a
degli scambi con lo scrittore praghese nel corso degli ultimi anni della sua vita
(a partire dal 1920), suggerisce che Kafka conservava la sua simpatia per i
libertari. Non soltanto qualifica gli anarchici cechi come uomini "molto gentili
ed allegri", così "gentili ed amichevoli che si trova obbligato a credere ad
ognuna delle loro parole", ma le idee politiche e sociali che egli esprime nel
corso di queste conversazioni rimangono fortemente segnate dalla corrente
libertaria. Ad esempio, la sua definizione del capitalismo come "un sistema di
rapporti di dipendenza" in cui "tutto è gerarchizzato, tutto è incatenato" è
tipicamente anarchica, per la sua insistenza sul carattere autoritario di questo
sistema- e non sullo sfruttamento economico come fa il marxismo. Anche il suo
atteggiamento scettico verso il movimento operaio organizzato sembra ispirato
dalla diffidenza libertaria verso i partiti e le istituzioni politiche: dietro gli operai
che sfilano "avanzano già i segretari, i burocrati, i politici professionali, tutti i
sultani moderni di cui essi preparano l'accesso al potere... La rivoluzione
sfuma, rimane soltanto allora la melma di una nuova burocrazia. Le catene
dell'umanità torturata sono in carta ministeriale" [6].

Nella sua seconda edizione (1968), ritenuta


riprodurre la versione completa delle sue note, perdute nel dopoguerra e
ritrovate più tardi. Janouch riporta il seguente scambio con Kafka: "Avete
studiato la vita di Ravachol? Sì! E non soltanto quella di Ravachol, ma nache la
vita di diversi autori anarchici. Mi sono tuffato nelle biografie e le idee di
Godwin, di Proudhon, di Stirner, di Bakunin, di Kropotkin, di Tucker e di
Tolstoj; ho frequentato diversi gruppi, assitito a delle riunioni, in breve ho
investito in quest'affare molto tempo e denaro. Ho preso parte nel 1910 alle
riunioni che tenevano gli anarchici cechi in una taverna di Karolinental
chiamata "Zum Kanonenkreuz", in cui si riuniva il circolo anarchico detto
Circolo dei Giovani... Max Brod mi accompagnò molte volte a queste riunioni,
che in fondo non gli piacevano affatto, [...[ Per me, si trattava di una cosa
molto seria. Ero sulle tracce di Ravachol. Esse mi portarono in seguito ad Erich
Mühsam, ad Arthur Holitscher ed all'anarchico viennese Rudolf Grossman [7]
Cercavano tutti di realizzare la felicità degli uomini senza la Grazia. Li capivo.
Tuttavia [...] non potevo continuare a lungo a camminare al loro fianco [8].
Secondo l'opinione più diffusa dei commentatori, questa seconda versione è
meno credibile della prima, soprattutto per la sua origine misteriosa (degli
appunti perduti e ritrovati). Bisogna aggiungere, nel caso specifico che ci
interessa, un errore evidente: Max Brod, di sua propria ammissione, non
soltanto non ha mai accompagnato il suo amico alle riunioni del club anarchico,
ma ignorava tutto della sua partecipazione alle attività dei libertari praghesi.
L'ipotesi suggerita da questi documenti- l'interesse di Kafka per le idee
libertarie- è confermata da alcuni riferimenti nei suoi scritti intimi.

Ad esempio, nel suo diario troviamo questo


imperativo categorico: "Non dimenticare Kropotkin!"; e, in una lettera a Max
Brod del novembre del 1917, manifesta il suo entusiasmo per un progetto di
rivista (Foglio di lotta contro la volonta di potenza) proposto dall'anarchico
freudiano Otto Gross [9]. Senza dimenticare lo spirito libertario che sembra
ispirare alcune delle sue dichiarazioni; ad esempio, la piccola osservazione
caustica che egli fece un giorno a Max Brod, riferendosi al suo luogo di lavoro,
l'Ufficio delle assicurazioni sociali (dove degli operai vittime di incidenti
venivano a rivendicare i loro diritti): "Come sono umili questi uomini...
Vengono a sollecitarci. Invece di prendere l'edificio d'assalto e mettere tutto a
soqquadro, vengono a sollecitarci" [10].

È molto probabile che queste diverse testimonianze-


soprattutto le due ultime- contengano delle inesattezze e delle esagerazioni.
Klaus Wagenbach stesso riconosce (a proposito di Mares) che "alcuni dettagli
sono forse falsi" o per lo meno "esagerati". Allo stesso modo, secondo Max
Brod, Mares, come molti altri testimoni che hanno conosciuto Kafka, "tende ad
esagerare", soprattutto per quanto concerne l'estensione dei suoi legami di
amicizia con lo scrittore. In quanto a Janouch, se la prima versione dei suoi
ricordi dà l'impressione "di autenticità e di credibilità", perché essi "recano dei
segni distintivi dello stile con il quale Kafka parlava", la seconda gli sembra
molto meno degna di fiducia [11].
Ma una cosa è constatare le contraddizioni o le esagerazioni di questi
documenti ed un'altra è quella di respingerli in blocco, qualificando come "pura
leggenda" le informazioni sui legami tra Kafka e gli anarchici cechi. È
l'atteggiamento di alcuni specialisti, tra i quali Eduard Goldstücker, Hartmut
Binder, Ritchie Robertson ed Ernst Pawel- il primo un critico letterario
comunista ceco e gli altri tre altri tre autori di biografie di Kafka di cui non si
può negare il valore. Il loro tentativo di evincere l'episodio anarchico nella vita
di Kafka merita di essere discussa nel dettaglio, nella misura in cui essa ha
delle implicazioni politiche evidenti. Secondo E. Goldstücker- molto noto per i
suoi sforzi miranti a "riabilitare" Kafka in Cecoslovacchia nel corso degli anni
60- i ricordi di Mares riediti da Wagenbach "appartengono al regno della
finzione". Il suo argomento centrale, è che non è concepibile che dei
rivoluzionari, degli anarco-comunisti, abbiano accettato nelle loro riunioni "un
uomo che non conoscevano" e che per di più rimaneva sempre in silenzio
(secondo Kacha e Mares).

Ora, ciò che Goldstücker sembra stranamente


dimenticare, è che Kafka non era uno "sconosciuto" ma, al contrario,
personalmente conosciuto da due dei principali organizzatoti di queste riunioni:
Michal Kacha e Michal Mares (così come da altri partecipanti come Rudolf
Illowy, il suo vecchio amico di studi al liceo). Tuttavia- in modo un po'
contraddittorio con quanto detto detto in precedenza- Goldstücker finisce con
l'ammettere la partecipazione di Kafka a delle attività anarchiche, sostenendo
semplicemente che questa partecipazione non sarebbe durata alcuni anni come
affermato da Mares, ma sarebbe stata limitata alla sua presenza ad "alcune
riunioni". Ora, poiché Mares stesso non menziona concretamente che cinque
riunioni, non si vede bene perché per quale ragione Goldstücker respinge
categoricamente anche la sua testimonianza [12]. Hartmut Binder, autore di
una biografia dettagliata e molto erudita di Kafka, è quello che sviluppa in
modo più energico la tesi secondo la quale i legami tra Kafka e gli ambienti
anarchici praghesi siano una "leggenda" che appartiene "al regno
dell'immaginazione". Klaus Wagenbach è accusato di aver utilizzato delle fonti
"che erano in accordo con la sua ideologia" (Kacha, Mares et Janouch), ma che
"mancano di credibilità o sono anche delle falsificazioni deliberate" [13].

Il primo problema con questo tipo di


ragionamento è il seguente: perché le tre testimonianze considerate "poco
credibili" coincidono nell'affermazione dei legami tra Kafka ed i libertari? Perché
non troviamo delle testimonianze "fittizia" sulla partecipazione ripetuta di
Kafka a delle riunioni sioniste, comuniste o socialdemocratiche? È difficile da
comprendere- tranne immaginare una cospirazione anarchica- perché vi
sarebbero unicamente delle "falsificazioni" in questa precisa direzione. Ma
esaminiamo da più vicino gli argomenti di Binder- la cui diatriba contro
Wagenbach non è priva di motivi "ideologici".

A suo parere, il semplice fatto che Brod


non abbai saputo di queste pretese attività soltanto alcuni anni dopo la morte
di Kafka, da parte di Michal Kacha, un vecchio membro di questo movimento
anarchico [...] testimonia contro la credibilità di questa informazione. Perché è
quasi inimmaginabile che Brod, che a quest'epoca intraprese due viaggi di
vacanze con Kafka e che lo incontrava quotidianamente [...], abbia potuto
ignorare l'interesse del suo migliore amico per il movimento anarchico". Ora,
se ciò è "quasi inimmaginabile" (constatiamo comunque che il "quasi" lascia un
margine al dubbio), come mai il principale interessato, cioè Max Brod stesso,
considerava quest'informazione come perfettamente attendibile, poiché l'ha
utilizzata anche nel suo romanzo Stefan Rott che nella biografia del suo amico?
La stessa cosa vale per un altro argomento di Binder: "ascoltare, in una
birreria fumosa, delle discussioni politiche di un gruppo che agiva al di fuori
della legalità... è una situazione inimmaginabile per la personalità di Kafka".
Eppure, questa situazione non aveva nulla di strano agli occhi di Max Brod, che
conosceva tuttavia qualcosa della personalità di Kafka. Comunque, nulla
nell'opera di Kafka lascia intendere che egli avesse un rispetto così
superstizioso per la legalità! [14].

Per tentare di sbarazzarsi una volta per tutte


della testimonianza di Michal Mares, Binder si riferisce con insistenza ad una
lettera di Kafka a Milena, in cui definisce Mares come "qualcuno incontrato per
strada". Sviluppa il ragionamento seguente: Kafka sottolinea espressamente
che la sua relazione con Mares è soltanto quella di un Gassenbekanntschaft
(conoscenza di strada). Questa è l'indicazione più netta che Kafka non ha mai
partecipato ad una riunione anarchica" [15]. Il meno che si possa dire è che
tra la premessa e la conclusione c'è un non sequitur evidente! Tutto ciò che si
può dedurre dalla lettera di Kafka a Milena, è che Mares ha, nella sua
testimonianza del 1946, probabilmente esagerato i legami di amicizia tra Kafka
e lui, ma non c'è alcuna contraddizione tra le loro relazioni episodiche e la
partecipazione di Kafka a delle riunioni anarchiche dove si trovavano, tra gli
altri, il giovane Mares.

Anche se la loro conoscenza si limitava a degli


incontri nella strada (la casa di Kafka era vicina al luogo di lavoro di Mares), ciò
non avrebbe impedito a Mares di passargli dei volantini e degli inviti per delle
riunioni e manifestazioni, di constatare la sua presenza in alcune delle sue
attività ed anche di omaggiarlo, all'occasione, con un esemplare del libro di
Kropotkin [16]. Mares possiede, come prova materiale dei suoi legami con
Kafka, una cartolina postale inviata dallo scrittore, datata 9 dicembre 1910.
Egli afferma- ma è un'asserzione impossibile da verificare- che aveva ricevuto
diverse lettere dal suo amico "scomparse durante le numerose perquisizioni
effettuate a casa mia durante quest'epoca". Binder prende atto dell'esistenza di
questo documento, ma partendo dal fatto che la cartolina era indirizzata a
"Joseph Mares" (e non Michal) pensa di possedere ora una nuova prova delle
"finzioni" del testimone: sarebbe del tutto inverosimile che un anno dopo aver
fatto la conoscenza di Mares e partecipato insieme a diverse serate del Klub
Mladych, Kafka "non conosca il suo nome". Ora, quest'argomento non regge,
per una ragione molto semplice: secondo gli editori tedeschi della
corrispondenza tra Kafka e Milena, il vero nome di Mares non era Michal ma...
Joseph [17].

In quanto a Janouch, se Binder respinge


come pura invenzione la versione del 1968 delle sue memorie, il riferimento
agli anarchici in quella del 1951 gli sembra "possa essere basata su un vero
ricordo". Ma si sbriga nel ridurla a poca cosa, assimilandola al paqssaggio
menzionato della lettera a Milena: la conoscenza "per strada", del poeta Michal
Mares. Ora, nella conversazione riportata da Janouch si parla di "anarchici" al
plurale, "così gentili e così amabili", il che suppone che Mares sia lungi
dall'essere il solo militante libertario incontrato da Kafka [18]. L'insieme della
discussione di Hartmut Binder a questo proposito dà la penosa sensazione di
un deliberato e sistematico tentativo- che fa di ogni erba un fascio- per
eliminare dall'immagine di Kafka la macchia nera che sarebbe- in una visione
politica conservatrice- la sua partecipazione a delle riunioni organizzate dai
libertari praghesi.

Qualche anno dopo, nella sua biografia di Kafka- opera


comunque meritevole di interesse- Ernst Pawel difende in modo evidente le
stesse tesi di Binder: si tratta "di sotterrare uno dei grandi miti" collegati alla
persona di Kafka, e cioè "la leggenda di un Kafka cospiratore in seno al gruppo
anarchico ceco del Klub Mladych". Questa leggenda sarebbe dovuta "ai fertili
ricordi dell'ex-anarchico Micha Mares che, nelle sue memorie un po' fantasiose
pubblicate nel 1946, descrive Kafka come un amico ed un compagno che
partecipava a delle riunioni e a delle manifestazioni anarchiche". "La storia di
Mares, sulla quale Gustav Janouch avrebbe in seguito anch'egli ricamato, si
ritrova in diverse biografie di Kafka, che ce lo presentano come un giovane
cospiratore e come un compagno di strada del movimento libertario ceco.
Questo racconto è quindi completamente smentito da tutto quanto sappiamo
della sua vita, dai suoi amici e dal suo carattere. Già poco credibile come
cospiratore, come avrebbe potuto ed anche voluto dissimulare il suo impegno a
degli amici intimi che egli vedeva tutti i giorni?" [19].

La "leggenda" è tanto più facile da smentire in quanto non corrisponde ad


alcuna delle fonti in questione: né Kacha (non menzionato da Pawel), né Mares
o Janouch- ed ancor meno Wagenbach- hanno mai preteso che Kafka fosse un
"cospiratore in seno al gruppo anarchico". Mares insiste esplicitamente sul fatto
che Kafka non era membro di alcuna organizzazione. Inoltre, non si tratta di
"cospirazione" ma di partecipazione a delle riunioni che erano, nella maggior
parte dei casi, aperte al pubblico. In quanto alla "dissimulazione degli amici
intimi", cioè Max Brod, abbiamo già mostrato l'inanità di questo argomento.
Ernst Pawel fornisce una ragione supplementare in appoggio alla sua tesi: è
"inconcepibile" che "qualcuno che aveva quasi uno status di funzionario" sia
sfuggito all'attenzione degli informatori della polizia. Ora, i fascicoli della polizia
praghese "non contengono la minima allusione a Kafka" [20]. L'osservazione è
interessante, ma l'assenza di un nome negli archivi dellal polizia non è mai
stata in sé una prova sufficiente della non partecipazione, Inoltre, è poco
probabile che la polizia disponesse del nome di tutti coloro che assitevano a
delle riunioni pubbliche organizzate dai diversi club libertari: essa si
interessava agli "agitatori", ai dirigenti di queste associazioni, piuttosto che alle
persone che vi assistevano in silenzio... Tuttavia, Pawel si distingue da Binder
per la sua disponibilità a riconoscere la validità dei fatti suggeriti da queste
testimonianze, in una versione più attenuata: "La verità è più prosaica. Kafka
conosceva effettivamente Mares [...] e senza dubbio ha potuto assistere a delle
riunioni o a delle manifestazioni pubbliche, in quanto osservatore interessato.
Le sue inclinazioni socialiste sono attestate da Bergmann e da Brod [...]. Negli
anni che seguirono, sembra anche essere stato interessato dall'anarchismo
filosofico e non violento di Kropotkin e di Alexandre Herzen" [21].

Non siamo così distanti dalle conclusioni di Wagenbach... Esaminiamo ora il


punto di vista di Ritchie Robertson, autore di un notevole saggio sulla vita e
l'opera dello scrittore ebreo praghese. A suo parere le informazioni fornite da
Kacha e Mares devono essere "trattate con scetticismo". I suoi principali
argomenti a questo proposito sono ripresi da Goldstücker e da Binder: coma
mai un gruppo che si riunisce segretamente accetterebbe al suo interno un
visitatore silenzioso "il quale, per il poco che ne sapevano, poteva essere una
spia?" Come era possibile che Brod non sapesse nulla della partecipazione del
suo amico a queste riunioni? Quale valore possiamo attribuire alla
testimonianza di Mares, considerando che non era che una
Gassenbekanntschaft di Kafka? In breve, "per tutte queste ragioni l'assitenza a
delle riunioni anarchiche sembra essere proprio una leggenda". Inutile
ritornare su queste obiezioni, di cui ho già mostrato sopra la poca consistenza.
Ciò che è del tutto nuovo ed interessante nel libro di Robertson, è il tentativo
di proporre un'interpretazione alternativa delle idee politiche di Kafka, che non
sarebbero, secondo lui, né socialiste né anarchiche, ma romantiche. Quel
romanticismo anticapitalista che non sarebbe né di sinistra né di destra [22].
Ora se l'anticapitalismo romantico è una matrice comune a certe forme di
pensiero conservatrici e rivoluzionarie- ed in questo senso supera la
tradizionale divisione tra destra e sinistra-, ciò non di meno gli stessi autori
romantici si situano chiaramente ad un polo o l'altro di questa visione del
mondo: il romanticismo reazionario o il romanticismo rivoluzionario [23].
Infatti, l'anarchismo, il socialismo libertario,
l'anarcosindacalismo sono un esempio paradigmatico di "anticapitalismo
romantico di sinistra". Di conseguenza, definire il pensiero di Kafka come
romantico. il che mi sembra del tutto pertinente- non significa affatto che non
sia "di sinistra", concretamente un socialismo romantico di tendenza libertaria.
Come presso tutti i romantici, la sua critica della civiltà moderna è intrisa di
nostalgia per il passato, rappresentato ai suoi occhi dalla cultura yiddish delle
comunità ebraiche dell'Europa dell'Est. Con un'intuizione notevole, André
Breton scriveva: "Benché sincronizzata al momento presente, [il pensiero di
Kafka] gira simbolicamente all'indietro gli aghi dell'orologio della sinagoga di
Praga" [24]. L'interesse per l'episodio anarchico nella biografia di Kafka (1909-
1912), è che esso ci offre una delle chiavi più illuminanti per l alettura
dell'opera- in particolare degli scritti a partire dall'anno 1912. Dico una delle
chiavi perché il fascino di quest'opera viene anche dal suo carattere
squisitamente polisemico, irriducibile ad ogni interpretazione univoca. L'ethos
libertario si esprime in diverse situazioni che stanno nel cuore dei suoi
principali testi letterari, ma innanzitutto dal modo radicalmente critico in cui è
rappresentato il volto ossessivo ed angosciante della non-libertà: l'autorità.
Come ha ben detto André Breton, "nessuna opera milita tanto contro
l'ammissione di un principio sovrano estraneo a colui che pensa" [25].

Un anti-autoritarismo di ispirazione
libertaria attraversa l'insieme dell'opera romanzesca di Kafka in un movimento
di "spersonalizzazione" e di reificazione crescenti: dell'autorità paternale e
personale verso l'autorità amministrativa ed anonima [26]. Ancora una volta,
non si tratta di una qualsiasi dottrina politica, ma di uno stato d'animo e di una
sensibilità critica- la cui arma principale è l'ironia, l'umorismo, quell'umorismo
nero che è, secondo André Breton "una rivolta superiore dello spirito" [27].
Quest'atteggiamento ha delle radici intime e personali nel suo rapporto con il
padre. L'autorità dispotica del pater familias è per lo scrittore l'archetipo stesso
della tiranni politica. Nella sua Lettera al padre del 1919, Kafka ricorda:
"Assumesti ai miei occhi il carattere enigmatico che hanno i tiranni il cui diritto
non si fonda sulla riflessione, ma sulla loro propria persona". Confrontato con il
trattamento brutale, ingiusto ed arbitrario degli impiegati di suo padre, si sente
solidale con le vittime: "Ciò mi rese la bottega insopportabile, mi ricordava
troppo la mia propria situazione nei tuoi confronti... È per questo che prendevo
inevitabilmente la parte del personale..." [28].
Le principali caratteristiche dell'autoritarismo negli
scritti letterari di Kafka sono: 1) L'arbitrario: le decisioni sono imposte dall'alto,
senza giustificaione- morale, razionale, umana- nessuna, spesso formulando
delle esigenze smisurate ed assurde verso la vittima; 2) l'ingiustizia: la
colpevolezza è considerata- a torto- come evidente, andante da sé senza
necessità di prova e le punizioni sono totalmente sproporzionate alla "colpa"
(inesistenza o banale). Nel suo primo scritto importante, La Condanna, del
1912, Kafka pone in scena unicamente l'autorità paterna; è anche uno dei suoi
rari scritti in cui l'eroe (Georg Bendemann) sembra sottomettersi del tutto e
senza resistenza alla condanna autoritaria: l'ordine intimato dal padre a suo
figli di gettarsi nel fiume! Comparando questo racconto con Il Processo, Milan
Kundera osserva: "La somiglianza tra le due accuse, colpevolezza ed
esecuzioni tradisce la continuità che lega l'intimo 'totalitarismo' familiare a
quello delle grandi visioni di Kafka" [29]. Nei due grandi romanzi Il Processo e
Il Castello, si tratta invece di un potere "totalitario" perfettamente anonimo e
invisibile.
America, del 1913-14, costituisce a questo
proposito un'opera intermedia: i personaggi autoritari sono a volte delle figure
paterne (il padre di Karl Rossmann e lo zio Jakob) a volte degli alti
amministratori dell'Albergo (il Capo del personale ed il Portiere in capo). Ma
anche quest'ultimi conservano un aspetto di tirannia personale, associante la
freddezza burocratica con un dispotismo individuale meschino e brutale. Il
simbolo di questo autoritarismo punitivo sorge sin dalla prima pagina del libro:
demistificante la democrazia americana, rappresentata dalla celebre statua
della Libertà all'entrata del porto di New York, Kafka sostituisce nella sua mano
la torcia con una spada... In un mondo senza giustizia, la forza nuda, il potere
arbitrario regna sovrana. La simpatia dell'eroe va alle vittime di questa società:
come l'autista del primo capitolo, esempio della "sofferenza di un povero uomo
sottomesso ai potenti", o la madre di Teresa, spinta al suicidio dalla fame e
dalla miseria. Trova degli amici e degli alleati da parte dei poveri: Teresa
stessa, lo studente, gli abitanti del quartiere popolare che rifiutano di
consegnarlo alla polizia- perché, scrive Kafka in un commento rivelatore: "gli
operai non sono dalla parte delle autorità" [30].
Dal punto di vista che qui ci interessa, la grande
svolta nell'opera di Kafka è il racconto Nella colonia penale, scritta poco dopo
America. Vi sono pochi testi nella letteratura universale che presentano
l'autorità sotto un volto così ingiusto e criminale. Non si tratta del potere di un
individuo- i Comandanti (vecchio e nuovo) non svolgono che un ruolo
secondario nel racconto- ma di quello di un meccanismo impersonale. Il quadro
del racconto è il colonialismo... francese. Gli ufficiali ed i comandanti della
colonia sono francesi, mentre gli umili soldati, gli scaricatori di porto, le vittime
che devono essere giustiziati sono degli "indigeni" che "non capiscono una sola
parola di francese". Un soldato "indigeno" è condannato a morte da degli
ufficiali la cui dottrina giuridica riassume in poche parole la quintessenza
dell'arbitrio: "La colpevolezza non deve mai eesere messa in dubbio!" La sua
esecuzione deve essere compiuta da una macchina da tortura che scrive
lentamente sul suo corpo con degli aghi che lo perforano scrivendo: "Rispetta i
tuoi superiori". Il personaggio centrale del racconto non è né il viaggiatore che
osserva gli avvenimenti con una muta ostilità, né il prigioniero, che non
reagisce affatto, né l'ufficiale che presiede l'esecuzione , né il Comandante
della colonia. È la Macchina stessa. Tutto il racconto ruota intorno a questo
sinistro apparecchio (Apparato), che sembra sempre più, nel corso della
spiegazione molto dettagliata che l'ufficiale dà al viaggiatore, essere una fine in
sé. L'Apparecchio non è là per giustiziare l'uomo, è piuttosto quest'ultimo che è
là per l'Apparecchio, per fornire un corpo sul quale esso possa scrivere il suo
capolavoro estetico, la sua iscrizione sanguinaria illustrata di "molti florilegi ed
abbellimenti". L'ufficiale stesso non è che un servo della Macchina e, alla fine si
sacrifica egli stesso a questo insaziabile Moloch [31].

A quale "Macchina del potere" concreta, a quale


"Apparato d'autorità" sacrificatore di vite umane, pensava Kafka? Nella Colonia
penale è stata scritta nell'ottobre del 1914, tre mesi dopo lo scoppio della
Grande Guerra... In Il Processo e Il Castello, ritroviamo l'autorità come
"apparato" gerarchizzato, astratto, impersonale: i burocrati, qualunque sia il
loro carattere brutale, meschino o sordido, essi non sono che gli ingranaggi di
questo meccanismo. Come ossserva con acutezza Walter Benjamin, Kafka
scrive dal punto di vista del "cittadino moderno che si sa consegnato ad un
apparato burocratico impenetrabile la cui funzione è controllata da istanze che
restano sfumate anche ai suoi organiesecutivi, a maggior ragione per coloro
che ne sono manipolati" [32].

L'opera di Kafka è nel contempo


profondamente radicata nel suo ambiente praghese- come osserva André
Breton, "sposa tutti i fascini, i sortilegi" di Praga [33]- e perfettamente
universale. Contrariamente a ciò che si pretende spesso, i suoi due grandi
romanzi non sono una critica del vecchio Stato imperiale austro-ungarico, ma
dell'apparato statale in quanto ha di più moderno: il suo carattere anonimo,
impersonale, in quanto sistema burocratico alienato, "cosificato", autonomo,
trasformato in fine a se stesso. Un passaggio di Il Castello è particolarmente
chiarificatore di questo punto di vista: è quello- piccolo capolavoro di umorismo
nero- in cui il sindaco del villaggio descrive l'apparato ufficiale come una
macchina autonoma che sembra lavorare "per se stessa": "Si direbbe che
l'organismo amministrativo non può sopportare la tensione, l'irritazione che è
durata per anni a causa dello stesso affare, forse infima in se stessa inoltre, e
che esso pronunci da se stesso il verdetto senza ricorrere ai funzionari" [34].
Questa profonda intuizione del meccanismo burocratico come ingranaggio
cieco, in cui i rapporti tra individui diventano una cosa, un oggetto
indipendente, è uno degli apsetti più moderni, più attuali, più lucidi dell'opera
di Kafka. L'ispirazione libertaria è iscritta nel cuore dei romanzi di Kafka, che ci
parla dello Stato- sia esso sotto la forma dell'"amministrazione" o della
"giustizia"- come di un sistema di dominio impersonale che schiaccia, soffoca o
uccide gli individui. É un mondo angosciante, opaco, incomprensibile, in cui
regna la non-libertà.

Si è spesso presentato Il Processo come un'opera


profetica: l'autore avrebbe previsto, con la sua immaginazione visionaria, la
giustizia degli Stati totalitari, i processi nazisti o staliniani. Bertolt Brecht,
compagno di strada dell'URSS, osservava, in una conversazione con Walter
Benjamin a proposito di Kafka nel 1934 (prima dei processi di Mosca): "Kafka
non ha che un solo problema, quello dell'organizzazione. Ciò che lo ha
afferrato, è l'angoscia di fronte allo Stato formicaio, il modo in cui gli uomini si
alienano essi stessi attraverso le forme della loro vita comune. Ed ha previsto
certe forme di questa alienazione, come ad esempio i metodi della GPU" [35].
Senza mettere in dubbio la pertinenza di quest'omaggio alla chiaroveggenza
dello scrittore praghese, bisogna tuttavia ricordare che Kafka non descrive nei
suoi romanzi degli Stati "d'eccezione": una delle più importanti idee- la cui
parentela con l'anarchismo è evidente- suggerita dalla sua opera, è la natura
alienata e oppressiva dello Stato "normale", legale e costituzionale. Sin dalle
prime righe di Il Processo, è detta chiaramente: "K. viveva in uno Stato di
diritto (Rechtstaat), la pace regnava ovunque, tutte le leggi erano in vigore, chi
osava dunque assalirlo nella sua casa?" [36].

Come i suoi amici anarchici praghesi, sembra


considerare ogni forma di Stato, lo Stato in quanto tale, come una gerarchia
autoritaria e liberticida. Lo Stato e la sua giustizia sono anche, per la loro
natura intima, dei sistemi menzogneri. Niente illustra meglio ciò del dialogo, in
Il Processo, tra K. e l'abate a proposito dell'interpretazione della parabola sul
guardiano della legge. Per l'abate, "dubitare della dignità del guardiano,
sarebbe dubitare della Legge"- argomento classico di tutti i rappresentanti
dell'ordine. K. obietta che se si adotta questa opinione, "bisogna credere tutto
ciò che dice il guardiano", il che gli sembra impossibile: "No, dice l'abate, non
siamo obbligati di credere vero tutto quel che dice basta che si tenga il
necessario. Triste opinione, dice K., essa eleverebbe la menzogna all'altezza di
una regola del mondo" [37]. Come fa osservare molto giustamente Hannah
Arendt nel suo saggio su Kafka, il discorso dell'abate rivela "la teologia segreta
e la credenza intima dei burocrati come credenza nella necessità per sé, i
burocrati essendo in ultima analisi dei funzionari della necessità" [38].

Infine, lo Stato e i Giudici amministrano meno la gestione


della giustizia che la caccia alle vittime. In un'immagine che è comparabile a
quella della sostituzione della torcia della libertà con una spada in America,
vediamo in Il Processo un quadro del pittore Titorelli che si presume
rappresentare la dea della Giustizia trasformarsi, quando l'opera è ben
illuminata, in celebrazione della dea della Caccia. La gerarchia burocratica e
giuridica costituisce un'immensa organizzazione che secondo Joseph K., la
vittima di Il Processo, "non soltanto utilizza dei guardiano venali, degli ispettori
e dei giudici d'istruttoria stupidi... ma che mantiene anche tutta una
magistratura di alto rango con il suo indispensabile corteo di valletti, di scribi,
di gendarmi ed altri ausiliari, forse anche di carnefici, non indietreggio davanti
alla parola" [39]. In altre parole: l'autorità dello Stato uccide. Joseph K. farà
l'incontro dei carnefici nell'ultimo capitolo del libro, quando due funzionari lo
mettono a morte "come un cane". Il "cane" costituisce presso Kafka una
categoria etica- se non metafisica: è descritto così colui che si sottomette
servilmente alle autorità, qualunque esse siano. Il commerciante Block
inginocchiato ai piedi dell'avvocato è un esempio tipico: "Non era più ora un
cliente, era il cane dell'avvocato. Se quest'ultimo gli avesse ordinato di entrare
sotto il letto strisciando e di abbaiare come dal fondo di una tana, lo avrebbe
fatto con piacere". La vergogna che deve sopravvivere a Joseph K. (ultime
parole di Il Processo) è quella di essere morto "come un cane",
sottometetndosi senza resistenza ai suoi carnefici. È anche il caso del
prigioniero di Nella colonia penale, che non cerca nemmeno di fuggire e si
comporta con una sottomissione "canina" (hündisch) [40].

Il giovane Karl Rossmann, in


America, è l'esempio di qualcuno che tenta- senza mai riuscirvi- di resistere
alle "autorità". Ai suoi occhi non diventano cani che "coloro che vogliono
esserlo". Il rifiuto di sottomettersi e di strisciare come un cane appare così
come il primo passo verso il camminare eretti, verso la libertà. Ma i romanzi di
Kafka non hanno "eroi positivi", né di utopie future: ciò di cui si tratta, è di
mostrare, con ironia e lucidità, la facies ippocratica della nostra epoca. Non è
un caso se la parola "kafkiano" è entrata nel linguaggio corrente: essa designa
un aspetto della realtà sociale che la sociologia o la scienza politica tendono ad
ignorare, ma che la sensibilità libertaria di Kafka era meravigliosamente
riuscita a captare: la natura oppressiva ed assurda dell'incubo burocratico,
l'opacità, il carattere impenetrabile ed incomprensibile delle regole della
gerarchia statale, così come essi sono vissuti dal basso e dall'esterno-
contrariamente alla scienza sociale che si è limitata generalmente ad
esaminare la macchina burocratica dall'"interno" o in rapporto a quelli
"dall'alto" (lo Stato, le autorità, le istituzioni): il suo carattere "funzionale" o
"disfunzionale", "razionale" o "pre-razionale" [41].

La scienza sociale non ha ancora elaborato un concetto per questo "effetto


d'oppressione" del sistema burocratico reificato, che costituisce senza dubbio
uno dei fenomeni più caratteristici delle società moderne, quotidianamente
vissuto da milioni di uomini e di donne. Aspettando, questa dimensione
essenziale della realtà sociale continuerà ad essere designata in riferimento
all'opera di Kafka.

Michael Löwy

[Traduzione di Ario Libert]

BIBLIOGRAFIA di base.
Michael Löwy, Kafka, sognatore ribelle, Eleuthera, Milano, 2007.
Max Brod, Kafka, Mondadori, Milano, 1956.
Remo Cantoni, Kafka, Ubaldini, Roma, 1970.
Klaus Wagenbach, Kafka, gli anni della giovinezza (1883-1912), Einaudi,
Torino, 1979.
Michal Mares, Come ho conosciuto Kafka, in: Wagenbach, pp. 205-211.
Gilles Deleuze/ Félix Guattari, Kafka, per una letteratura minore, Feltrinelli,
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Guattari, Sessantacinque sogni di Franz Kafka, Cronopio, Napoli, 2008
Anders Günter, Kafka. Pro e contro, Gabriele Corbo Editore, Ferrara, 1989.
Camus, L'espoir et l'absurde dans l'œuvre de Franz Kafka, in: Le Mythe de
Sysife, Gallimard Paris, 1991, [Il mito di Sisifo, Bompiani].
Gustav Janouch, Conversazioni con Kafka, Guanda , Parma, 1991.
Robert Crumb/ David Zane Mairowitz, Kafka, Bollati Boringhieri, Torino, 2008.
Guido Crepax, Il Processo di Franz Kafka, Piemme, Casale Monferrato, 1999
(versione a fumetti del romanzo di Kafka).
Copertina della rivista da cui è stato tratto questo saggio

NOTE
[1] Cfr. Lucien Goldmann, Matérialisme dialectique et histoire de la littérature,
[Materialismo dialettico e storia della letteratura], Recherches dialectiques,
Paris, Gallimard, 1959, pp. 45-64.

[2] Hugo Bergmann, Erinnerungen an Franz Kafka, in Franz Kafka Exhibition


(catalogue), The Jewish National and University Library, Jérusalem, 1969, p. 8.

[3] Max Brod, Franz Kafka, pp. 135-136; [Tr. it.: Kafka, Mondadori, Milano,
1956].

[4] Michal Mares, Comment j'ai connu Franz Kafka, publicato in appendice in
Klaus Wagenbach, Franz Kafka. Années de jeunesse (1883-1912), Paris,
Mercure de France, 1967; [Tr. it. in: Kafka, gli anni della giovinezza (1883-
1912), Einaudi, Torino, 1979, pp. 205-211].
[5] Michal Mares, Setkani s Franzem Kafkou, Literarni Noviny, 15, 1946, p. 85
e seguenti. Questa versione- nella quale sarebbe Kafka stesso ad essere
liberato su cauzione- è citata nell'altro libro di Klaus Wagenbach, Franz Kafka
ins Selbstzeugnissen und Bilddokumenten, Hambourg, Rowohlt, 1964, p. 70.

[6] G. Janouch, Kafka m'a dit, Paris, Calmann-Lévy, 1952.

[7] Meglio conosciuto con il suo pseudonimo di Pierre Ramus (n.d.r.).


[8] G. Janouch, Conversations avec Kafka, Paris, Maurice Nadeau, 1978, [Tr.
it.: Conversazioni con Kafka, Guanda, Parma, 1991].

[9] Franz Kafka, Diaries et Briefe, Fischer Verlag, 1975, p. 196, [Tr. it.:
Confessioni e Diari, Mondadori, Milano, 1976; Lettere, Mondadori, Milano,
1988; Lettere a Felice, Mondadori, Milano, 1972; Lettere a Milena, Mondadori,
Milano, 1960. Vedere su Kafka et Otto Gross, G. Baioni, Kafka, Letteratura ed
Ebraismo, Torino, Einaudi, 1979, pp. 203-205.

[10] M. Brod, Kafka.

[11] Vedere K. Wagenbach, Franz Kafka. Gli anni della giovinezza e Franz
Kafka in Selbstzeugnissen (1964), p. 70, e anche Max Brod, Streitbares Leben
1884-1968, Munich-Berlin-Vienne, F. A. Herbig, 1969, p. 170, e Über Franz
Kafka, Francfort, Fischer Bücherei, p. 190.

[12] E. Goldstücker, «Über Franz Kafka aus der Prager Perspektive 1963», in
Goldstücker, Kautman, Reimann (ed.), Franz Kafka aus Prager Sicht, Prague,
1965, pp. 40-45. Goldstücker aggiunge un altro argomento: "La principale
ragione del mio scetticismo sulla leggenda di un contatto prolungato ed intimo
di Kafka con gli anarco-comunisti, è il fatto che in nessuna parte nell'opera di
Kafka ritroviamo dei segni che fosse familiarizzato con i loro pensieri". Il suo
atteggiamento verso la classe operaia non era quello del "socialismo moderno"
ma quello dei socialisti utopici "ben prima di Marx". Alcune osservazioni su
questo strano ragionamento: a) il termine "anarco-comunismo" è lungi
dall'essere adeguato nel descrivere questi club dagli orientamenti molto diversi
andanti dall'anarco-sindacalismo al pacifismo libertario; b) l'anarchismo non si
definisce attraverso un atteggiamento comune tra la classe operaia (differenti
posizioni esistono a questo proposito nella tradizione libertaria) ma attraverso
il suo rifiuto di ogni autorità e dello Stato come potere istituito; c) la dottrina
anarchica era nata prima di Marx e non è in rapporto alla sua opera che si è
costituito il socialismo libertario.

[13] H. Binder, Kafka-Handbuch, Bd 1. Der Mensch und seine Zeit, Stuttgart,


Alfred Kröner, 1979, pp. 361-362.

[14] Ibid. pp. 362 -363. L'idea che Kafka possa nascondergli certe informazioni
non avva nulla di strano per Brod, che sottolinea nella sua autobiografia: "Al
contrario di me, Kafka era di natura chiusa e non apriva a nessuno, nemmeno
a me, l'accesso della sua anima; sapevo benissimo che teneva per sé delle
cose importanti", Max Brod, Streitbares Leben, pp. 46-47.

[15] H. Binder, Kafka-Handbuch 1, p. 364. Cf. Kafka, Lettres à Milena, Paris,


Gallimard, 1988, p. 270, [Lettere a Milena, Mondadori, Milano, 1960].

[16] Secondo Binder, «se Mares gli avesse veramente dato Le parole di un
ribelle di Kropotkin, non si sarebbe trovato nel Diario di Kafka la seguente
nota: "Non dimenticare Kropotkin!" Di nuovo, si capisce difficilmente il
rapporto tra il fatto menzionato e la strana conclusione di Binder. Il solo
aspetto della testimonianza di Mares che sembra poco compatibile (e ancora)
con la lettera di Kafka a Milena, è l'episodio della cauzione che Kafka avrebbe
pagato per la sua liberazione.

[17] M. Mares, in Wagenbach, Franz Kafka. Années de jeunesse, p. 254 ; H.


Binder, Kafka Handbuch 1, pp. 363-364 ; F. Kafka, Briefe an Milena, Francfort,
S. Fischer Verlag, 1983, p. 336 (n.d.l.r.).
[18] H. Binder, op. cit., p. 365.

[19] E. Pawel, Franz Kafka ou le cauchemar de la raison, Paris, Seuil, 1988, p.


162.

[20] E. Pawel, ibid., p. 162.


[21] Ibid., pp. 162-163. In un altro capitolo del libro, Pawel si riferisce a Kafka
come ad un "anarchico metafisico molto poco dotato per la politica di partito",
definizione che mi sembra del tutto pertinente. In quanto ai ricordi di Janouch,
Pawel li considera come "plausibili" ma "soggetti a cauzione" (p. 80).

[22] R. Robertson, Kafka. Judaism, Politics and Literature, Oxford, Clarendon


Press, 1985, pp. 140-141 : "Se si effettua una ricerca sulle inclinazioni
politiche di Kafka, è infatti, un'errore pensare in termini dell'antitesi abituale
tra sinistra e destra. Il contesto più appropriato sarebbe l'ideologia che Michael
Löwy ha definito come "anticapitalismo romantico" [...]. L'anticapitalismo
romantico (per adottare il termine di Löwy, anche se "anti-industrialismo"
sarebbe più esatto) ha diverse versioni..., ma come ideologia generale
trascende l'opposizione tra sinistra e destra". Robertson si riferisce qui al mio
primo tentativo di rendere conto del "romanticismo anticapitalista", in un libro
su Lukacs, ma c'è un malinteso evidente nella sua interpretazione della mia
ipotesi.
[23] Ho tentato di analizzare il romanticismo nel mio libro Pour une sociologie
des intellectuels révolutionnaires. L'évolution politique de Lukacs 1909-1929,
Paris, PUF, 1976, [Per una sociologia degli intellettuali rivoluzionari.
L'evoluzione politica di Lukacs 1909-1929], citato da R. Robertson dalla
traduzione inglese pubblicata a Londra nel 1979) e più recentemente, con il
mio amico Robert Sayre, in Révolte et mélancolie. Le romantisme à contre-
courant de la modernité, Paris, Payot, 1992, [Rivolta e melanconia. Il
romanticismo a contro-corrente della modernità].
[24] André Breton, presentazione di Kafka nel suo Anthologie de l'humour noir,
Paris, Le Sagittaire, 1950, p. 263, [Tr. it.: Antologia dell'Humour nero, Einaudi,
Torino, 1970.

[25] André Breton, Anthologie de l'humour noir, p. 264.

[26] Per un'analisi più dettagliata dell'anarchismo e del romanticismo


nell'opera di Kafka rinvio al mio libro Rédemption et Utopie. Le judaïsme
libertaire en Europe centrale, Paris, PUF, 1988, capitolo 5 [Redenzione e
utopia. Il giudaismo libertario in Europa centrale, Bollati Boringhieri, Torino,
1992].

[27] André Breton, Paratonnerre, introduction à l'Anthologie de l'humour noir,


[Antologia dell'humour nero, Einaudi, Torino, 1970].

[28] Franz Kafka, Lettre au père, 1919, [Lettera al padre, Mondadori].

[29] Milan Kundera, Quelque part là-derrière, le Débat, n° 8, juin 1981, p. 58.

[30] Franz Kafka, Amerika, Francfort, Fischer Verlag, 1956, p. 15, 161.

[31] Franz Kafka, In der Strafkolonie, Erzählung und kleine Prosa, New York,
Schocken Books, 1946, [Nella colonia penale, Tr. it.: in Kafka, Racconti,
Mondadori, Milano, 2001, pp. 285-318].

[32] Walter Benjamin, Lettre à G. Scholem, 1938, in Correspondance, Paris,


Aubier, 1980, II, p. 248.

[33] André Breton, Anthologie de l'humour noir.

[34] Kafka, Il castello.

[35] Cfr. W. Benjamin, Essais sur Brecht, Paris, Maspero, 1969, p. 132.
[36] Kafka, Der Prozess, Francfort, Fischer Verlag, 1979, p.9.

[37] Kafka, Il processo.

38] H. Arendt, Sechs Essays, Heidelberg, Lambert Schneider, 1948, p. 133.

[39] Il processo.

[40] Il processo e Nella colonia penale.

[41] Come sottolinea con perspicacia Michel Carrouges: "Kafka Abdica il punto
di vista corporativo degli uomini di legge, queste persone istruite e ben
educate che credono di capire il perché delle cose della legge. Li considera, al
contrario, essi e la loro legge, dal punto di vista della massa dei miserabili
assoggettati che subiscono senza capire. Ma poiché rimane Kafka, egli eleva
quest'ignoranza ordinariamente ingenua all'altezza di un'ironia superiore,
straripante di sofferenza ed umorismo, di mistero e di lucidità. Smaschera
tutto quel che c'è di ignoranza umana nel sapere giuridico e di sapere umano
nell'ignoranza degli aserviti". (M. Carrouges, Dans le rire et les larmes de la
vie, Cahiers de la compagnie M. Renaud-J.-L. Barrault, Paris, Julliard, ottobre
1957, p. 19).

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Franz Kafka et le socialisme libertaire

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