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di Michael Löwy
Non è senza grande soddisfazione che consegno ai miei
pochi lettori questo saggio notevole di Lowy, invitandoli
anche a procurarsi il suo studio su Kafka di maggiori
dimensioni e più riccamente articolato edito dalla casa
editrice Eleuthera. Uno delle più importanti figure della
letteratura dell'intero XX secolo è una lettura doverosa per
chi si consideri anche poco libertario. La complessa
personalità e la profonda umanità dello scrittore sono poi a
se tematiche degne di essere approfondite per meglio
apprezzare e l'opera e l'uomo Kafka. È per questo che
abbiamo ritenuto doveroso allegare una breve ma ben
mirata bibliografia in fondo al saggio.
Va da sé che non si può ridurre l'opera di Kafka ad
una dottrina politica, qualunque essa sia. Kafka non
produce dei discorsi, ma crea degli individui e delle
situazioni ed esprime nella sua opera delle opinioni,
degli atteggiamenti, un'atmosfera. Il mondo
simbolico della letteratura è irriducibile al mondo
discorsivo delle ideologie: l'opera letteraria non è un
sistema concettuale astratto, sull'esempio delle
dottrine filosofiche o politiche, ma creazione di un
universo immaginario concreto di personaggi e cose
[1]. Tuttavia, ciò non impedisce di esplorare i
passaggi, le passerelle, i legami sotterranei tra il suo
Kafka a 13 anni.
spirito antiautoritario, la sua sensibilità libertaria, le
sue simpatie per l'anarchismo da una parte ed i suoi principali scritti dall'altra.
Questi passaggi ci aprono un accesso privilegiato a ciò che potremo chiamare il
paesaggio interno dell'opera di Kafka. Le inclinazioni socialiste di Kafka si sono
manifestate molto presto: secondo il suo amico di gioventù e compagno di
liceo Hugo Bergmann, la loro amicizia si era un po' raffreddata durante il primo
anno scolastico (1900-1901), perché "il suo socialismo ed il mio sionismo
erano troppo forti" [2]. Di quale socialismo si tratta?
Quest'interesse si sarebbe
manifestato anche nelle sue letture- le Parole di un ribelle di Kropotkin (regalo
dello stesso Mares), così come degli scritti dei fratelli Reclus, di Bakunin e di
Jean Grave- e nelle sue simpatie: "Il destino dell'anarchico Ravachol o la
tragedia di Emma Goldmann che editò Mother Earth lo toccavano
particolarmente..." [4]. Questa testimonianza era apparsa nel 1946, in una
rivista ceca, sotto una versione un po' diversa, senza attirare l'attenzione [5].
Ma è dopo la sua pubblicazione in appendice di un notevole libro di Klaus
Wagenbach sulla giovinezza di Kafka (1958)- la prima opera a mettere in luce i
legami dello scrittore con gli ambienti libertari praghesi- che provocherà una
serie di polemiche, miranti a porre in questione la sua credibilità.
Un anti-autoritarismo di ispirazione
libertaria attraversa l'insieme dell'opera romanzesca di Kafka in un movimento
di "spersonalizzazione" e di reificazione crescenti: dell'autorità paternale e
personale verso l'autorità amministrativa ed anonima [26]. Ancora una volta,
non si tratta di una qualsiasi dottrina politica, ma di uno stato d'animo e di una
sensibilità critica- la cui arma principale è l'ironia, l'umorismo, quell'umorismo
nero che è, secondo André Breton "una rivolta superiore dello spirito" [27].
Quest'atteggiamento ha delle radici intime e personali nel suo rapporto con il
padre. L'autorità dispotica del pater familias è per lo scrittore l'archetipo stesso
della tiranni politica. Nella sua Lettera al padre del 1919, Kafka ricorda:
"Assumesti ai miei occhi il carattere enigmatico che hanno i tiranni il cui diritto
non si fonda sulla riflessione, ma sulla loro propria persona". Confrontato con il
trattamento brutale, ingiusto ed arbitrario degli impiegati di suo padre, si sente
solidale con le vittime: "Ciò mi rese la bottega insopportabile, mi ricordava
troppo la mia propria situazione nei tuoi confronti... È per questo che prendevo
inevitabilmente la parte del personale..." [28].
Le principali caratteristiche dell'autoritarismo negli
scritti letterari di Kafka sono: 1) L'arbitrario: le decisioni sono imposte dall'alto,
senza giustificaione- morale, razionale, umana- nessuna, spesso formulando
delle esigenze smisurate ed assurde verso la vittima; 2) l'ingiustizia: la
colpevolezza è considerata- a torto- come evidente, andante da sé senza
necessità di prova e le punizioni sono totalmente sproporzionate alla "colpa"
(inesistenza o banale). Nel suo primo scritto importante, La Condanna, del
1912, Kafka pone in scena unicamente l'autorità paterna; è anche uno dei suoi
rari scritti in cui l'eroe (Georg Bendemann) sembra sottomettersi del tutto e
senza resistenza alla condanna autoritaria: l'ordine intimato dal padre a suo
figli di gettarsi nel fiume! Comparando questo racconto con Il Processo, Milan
Kundera osserva: "La somiglianza tra le due accuse, colpevolezza ed
esecuzioni tradisce la continuità che lega l'intimo 'totalitarismo' familiare a
quello delle grandi visioni di Kafka" [29]. Nei due grandi romanzi Il Processo e
Il Castello, si tratta invece di un potere "totalitario" perfettamente anonimo e
invisibile.
America, del 1913-14, costituisce a questo
proposito un'opera intermedia: i personaggi autoritari sono a volte delle figure
paterne (il padre di Karl Rossmann e lo zio Jakob) a volte degli alti
amministratori dell'Albergo (il Capo del personale ed il Portiere in capo). Ma
anche quest'ultimi conservano un aspetto di tirannia personale, associante la
freddezza burocratica con un dispotismo individuale meschino e brutale. Il
simbolo di questo autoritarismo punitivo sorge sin dalla prima pagina del libro:
demistificante la democrazia americana, rappresentata dalla celebre statua
della Libertà all'entrata del porto di New York, Kafka sostituisce nella sua mano
la torcia con una spada... In un mondo senza giustizia, la forza nuda, il potere
arbitrario regna sovrana. La simpatia dell'eroe va alle vittime di questa società:
come l'autista del primo capitolo, esempio della "sofferenza di un povero uomo
sottomesso ai potenti", o la madre di Teresa, spinta al suicidio dalla fame e
dalla miseria. Trova degli amici e degli alleati da parte dei poveri: Teresa
stessa, lo studente, gli abitanti del quartiere popolare che rifiutano di
consegnarlo alla polizia- perché, scrive Kafka in un commento rivelatore: "gli
operai non sono dalla parte delle autorità" [30].
Dal punto di vista che qui ci interessa, la grande
svolta nell'opera di Kafka è il racconto Nella colonia penale, scritta poco dopo
America. Vi sono pochi testi nella letteratura universale che presentano
l'autorità sotto un volto così ingiusto e criminale. Non si tratta del potere di un
individuo- i Comandanti (vecchio e nuovo) non svolgono che un ruolo
secondario nel racconto- ma di quello di un meccanismo impersonale. Il quadro
del racconto è il colonialismo... francese. Gli ufficiali ed i comandanti della
colonia sono francesi, mentre gli umili soldati, gli scaricatori di porto, le vittime
che devono essere giustiziati sono degli "indigeni" che "non capiscono una sola
parola di francese". Un soldato "indigeno" è condannato a morte da degli
ufficiali la cui dottrina giuridica riassume in poche parole la quintessenza
dell'arbitrio: "La colpevolezza non deve mai eesere messa in dubbio!" La sua
esecuzione deve essere compiuta da una macchina da tortura che scrive
lentamente sul suo corpo con degli aghi che lo perforano scrivendo: "Rispetta i
tuoi superiori". Il personaggio centrale del racconto non è né il viaggiatore che
osserva gli avvenimenti con una muta ostilità, né il prigioniero, che non
reagisce affatto, né l'ufficiale che presiede l'esecuzione , né il Comandante
della colonia. È la Macchina stessa. Tutto il racconto ruota intorno a questo
sinistro apparecchio (Apparato), che sembra sempre più, nel corso della
spiegazione molto dettagliata che l'ufficiale dà al viaggiatore, essere una fine in
sé. L'Apparecchio non è là per giustiziare l'uomo, è piuttosto quest'ultimo che è
là per l'Apparecchio, per fornire un corpo sul quale esso possa scrivere il suo
capolavoro estetico, la sua iscrizione sanguinaria illustrata di "molti florilegi ed
abbellimenti". L'ufficiale stesso non è che un servo della Macchina e, alla fine si
sacrifica egli stesso a questo insaziabile Moloch [31].
Michael Löwy
BIBLIOGRAFIA di base.
Michael Löwy, Kafka, sognatore ribelle, Eleuthera, Milano, 2007.
Max Brod, Kafka, Mondadori, Milano, 1956.
Remo Cantoni, Kafka, Ubaldini, Roma, 1970.
Klaus Wagenbach, Kafka, gli anni della giovinezza (1883-1912), Einaudi,
Torino, 1979.
Michal Mares, Come ho conosciuto Kafka, in: Wagenbach, pp. 205-211.
Gilles Deleuze/ Félix Guattari, Kafka, per una letteratura minore, Feltrinelli,
Milano, 1975.
Guattari, Sessantacinque sogni di Franz Kafka, Cronopio, Napoli, 2008
Anders Günter, Kafka. Pro e contro, Gabriele Corbo Editore, Ferrara, 1989.
Camus, L'espoir et l'absurde dans l'œuvre de Franz Kafka, in: Le Mythe de
Sysife, Gallimard Paris, 1991, [Il mito di Sisifo, Bompiani].
Gustav Janouch, Conversazioni con Kafka, Guanda , Parma, 1991.
Robert Crumb/ David Zane Mairowitz, Kafka, Bollati Boringhieri, Torino, 2008.
Guido Crepax, Il Processo di Franz Kafka, Piemme, Casale Monferrato, 1999
(versione a fumetti del romanzo di Kafka).
Copertina della rivista da cui è stato tratto questo saggio
NOTE
[1] Cfr. Lucien Goldmann, Matérialisme dialectique et histoire de la littérature,
[Materialismo dialettico e storia della letteratura], Recherches dialectiques,
Paris, Gallimard, 1959, pp. 45-64.
[3] Max Brod, Franz Kafka, pp. 135-136; [Tr. it.: Kafka, Mondadori, Milano,
1956].
[4] Michal Mares, Comment j'ai connu Franz Kafka, publicato in appendice in
Klaus Wagenbach, Franz Kafka. Années de jeunesse (1883-1912), Paris,
Mercure de France, 1967; [Tr. it. in: Kafka, gli anni della giovinezza (1883-
1912), Einaudi, Torino, 1979, pp. 205-211].
[5] Michal Mares, Setkani s Franzem Kafkou, Literarni Noviny, 15, 1946, p. 85
e seguenti. Questa versione- nella quale sarebbe Kafka stesso ad essere
liberato su cauzione- è citata nell'altro libro di Klaus Wagenbach, Franz Kafka
ins Selbstzeugnissen und Bilddokumenten, Hambourg, Rowohlt, 1964, p. 70.
[9] Franz Kafka, Diaries et Briefe, Fischer Verlag, 1975, p. 196, [Tr. it.:
Confessioni e Diari, Mondadori, Milano, 1976; Lettere, Mondadori, Milano,
1988; Lettere a Felice, Mondadori, Milano, 1972; Lettere a Milena, Mondadori,
Milano, 1960. Vedere su Kafka et Otto Gross, G. Baioni, Kafka, Letteratura ed
Ebraismo, Torino, Einaudi, 1979, pp. 203-205.
[11] Vedere K. Wagenbach, Franz Kafka. Gli anni della giovinezza e Franz
Kafka in Selbstzeugnissen (1964), p. 70, e anche Max Brod, Streitbares Leben
1884-1968, Munich-Berlin-Vienne, F. A. Herbig, 1969, p. 170, e Über Franz
Kafka, Francfort, Fischer Bücherei, p. 190.
[12] E. Goldstücker, «Über Franz Kafka aus der Prager Perspektive 1963», in
Goldstücker, Kautman, Reimann (ed.), Franz Kafka aus Prager Sicht, Prague,
1965, pp. 40-45. Goldstücker aggiunge un altro argomento: "La principale
ragione del mio scetticismo sulla leggenda di un contatto prolungato ed intimo
di Kafka con gli anarco-comunisti, è il fatto che in nessuna parte nell'opera di
Kafka ritroviamo dei segni che fosse familiarizzato con i loro pensieri". Il suo
atteggiamento verso la classe operaia non era quello del "socialismo moderno"
ma quello dei socialisti utopici "ben prima di Marx". Alcune osservazioni su
questo strano ragionamento: a) il termine "anarco-comunismo" è lungi
dall'essere adeguato nel descrivere questi club dagli orientamenti molto diversi
andanti dall'anarco-sindacalismo al pacifismo libertario; b) l'anarchismo non si
definisce attraverso un atteggiamento comune tra la classe operaia (differenti
posizioni esistono a questo proposito nella tradizione libertaria) ma attraverso
il suo rifiuto di ogni autorità e dello Stato come potere istituito; c) la dottrina
anarchica era nata prima di Marx e non è in rapporto alla sua opera che si è
costituito il socialismo libertario.
[14] Ibid. pp. 362 -363. L'idea che Kafka possa nascondergli certe informazioni
non avva nulla di strano per Brod, che sottolinea nella sua autobiografia: "Al
contrario di me, Kafka era di natura chiusa e non apriva a nessuno, nemmeno
a me, l'accesso della sua anima; sapevo benissimo che teneva per sé delle
cose importanti", Max Brod, Streitbares Leben, pp. 46-47.
[16] Secondo Binder, «se Mares gli avesse veramente dato Le parole di un
ribelle di Kropotkin, non si sarebbe trovato nel Diario di Kafka la seguente
nota: "Non dimenticare Kropotkin!" Di nuovo, si capisce difficilmente il
rapporto tra il fatto menzionato e la strana conclusione di Binder. Il solo
aspetto della testimonianza di Mares che sembra poco compatibile (e ancora)
con la lettera di Kafka a Milena, è l'episodio della cauzione che Kafka avrebbe
pagato per la sua liberazione.
[29] Milan Kundera, Quelque part là-derrière, le Débat, n° 8, juin 1981, p. 58.
[30] Franz Kafka, Amerika, Francfort, Fischer Verlag, 1956, p. 15, 161.
[31] Franz Kafka, In der Strafkolonie, Erzählung und kleine Prosa, New York,
Schocken Books, 1946, [Nella colonia penale, Tr. it.: in Kafka, Racconti,
Mondadori, Milano, 2001, pp. 285-318].
[35] Cfr. W. Benjamin, Essais sur Brecht, Paris, Maspero, 1969, p. 132.
[36] Kafka, Der Prozess, Francfort, Fischer Verlag, 1979, p.9.
[39] Il processo.
[41] Come sottolinea con perspicacia Michel Carrouges: "Kafka Abdica il punto
di vista corporativo degli uomini di legge, queste persone istruite e ben
educate che credono di capire il perché delle cose della legge. Li considera, al
contrario, essi e la loro legge, dal punto di vista della massa dei miserabili
assoggettati che subiscono senza capire. Ma poiché rimane Kafka, egli eleva
quest'ignoranza ordinariamente ingenua all'altezza di un'ironia superiore,
straripante di sofferenza ed umorismo, di mistero e di lucidità. Smaschera
tutto quel che c'è di ignoranza umana nel sapere giuridico e di sapere umano
nell'ignoranza degli aserviti". (M. Carrouges, Dans le rire et les larmes de la
vie, Cahiers de la compagnie M. Renaud-J.-L. Barrault, Paris, Julliard, ottobre
1957, p. 19).