Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
redenzione presenta nella sua assenza: è mostrando come gli uomini si facciano intimorire dalla paura menzognera (il
umana: campagnolo, Joseph) finendo per sottomettersi passivamente e rinunciando alla propria legge personale,
libertà che Kafka rappresenta come la sola via di libertà sarebbe la legge individuale, unica redenzione messianica
individuale (tutta umana) in grado di sconfiggere i rappresentanti del mondo della non libertà (guardiano, giudici del
senza paur ‘’Processo’’, funzionari del ‘’Castello’’, comandanti ‘’Nella colonia penale’’).
-Il Castello, dispotismo burocratico e servitù volontaria:
L’architettura del romanzo si struttura intorno a tre figure essenziali: il Castello, il villaggio e l’agrimensore
K.
Cominciamo dal primo, questo Castello che si rivela, visto da vicino, un insieme di casupole misere. Davanti
Castello e alla marea di interpretazioni teologiche simbolico-allegoriche (il Castello come Grazia inaccessibile, che
villaggio: completerebbe la Giustizia del ‘’Processo’’), bisogna interpretare tale struttura come semplicemente un
(sede del
potere
castello, nessun simbolo ma solo la sede del potere umano, l’autorità di fronte al popolo (villaggio). È un
burocratizzat, edificio inaccessibile, dotato di un apparato burocratico gerarchico che, composto da servizi di controllo che
insensato, si controllano a vicenda nell’insensatezza amministrativa dovuta all’assenza di errori, decide dell’esistenza
carta, il fine
delle persone. La sede del potere in cui si estende senza limiti, pian piano sommergendo tutto, la carta
ultimo);
protocollo (‘’catene di un’umanità torturata’’): un mare di carte copre la sala del municipio, una montagna
di carte si accumula nell’ufficio di Sordini, una carta (il fascicolo riguardante K.) rimbalza tra gli uffici e
finisce per perdersi. Carta che determina il fine ultimo del potere burocratizzato, e dunque della massima
compiutezza della vita in comune a cui l’uomo anela: reificare e spersonalizzane attraverso la burocrazia, i
rapporti tra gli individui (sia tra i burocrati: consumo sessuale con donne del popolo; che tra le persone
normali: Amalia e famiglia appestati dal villaggio) fino a renderli semplici oggetti senza scopo o contatto, fini
a sé stessi, come le carte che tra loro intercedono; si giunge così all’alienazione totale del sistema e
dell’individuo, nonché del sistema dall’individuo, il quale non può comprendere il potere e perciò non può
ribellarvisi. Il fine del potere è il potere stesso, e lo fa attraverso il timore, l'imposizione dell’obbedienza.
K. il rifiuto
E nella paura il popolo si mostra disumanamente obbediente: lo si vede nel servilismo della famiglia
maledetta di Amalia (la quale ha rifiutato le avances del funzionario Sortini), ma ancora di più negli altri
abitanti del villaggio, tutti sprofondati in una servitù volontaria. Un asservimento fortemente condannato
dall’agrimensore, il quale critica il rispetto delle autorità da parte del villaggio. K. si dimostra dunque come
l’eterno disturbato che, più che essere solo l’ebreo (Hannah Arendt), è la figura universale dell’outsider, di
chi non ha appartenenza (immigrato o straniero o emarginato che sia) alle istituzioni e alle strutture sociali
prestabilite. Egli però non è un outsider passivo, ma è la figura altra che critica il sistema, che pretende con
insolenza di avere dei diritti e non ha esitazioni a sfidare l’autorità. È colui che rifiuta la servitù volontaria
(non stupisce che esci si indigni nel comprendere la situazione di Amalia).
Ecco che allora possiamo collocarlo come tappa successiva (rispetto a Joseph K.) nel lento cammino
dell’eroe verso la riconquista del proprio Io sulla tirannia del potere, verso quella libertà individuale tutta
umana. K. infatti, posto davanti al Castello, si trova nella stessa situazione del campagnolo di fronte al
guardiano (‘’Dinnanzi alla Legge’’), ma, a differenza di quest’ultimo, non teme di trasgredire i divieti e
superare gli ostacoli, così nell’ultima scena entra nel corridoio dei funzionari e crea un grave scompiglio al
servizio. Altro personaggio che non si piega, spesso dimenticato dalla critica, è Amalia che, a differenza
degli altri abitanti del villaggio, ignora la paura e si dimostra capace di atti eroici contro le autorità,
incarnando il rifiuto dell’obbedienza e rendendosi esempio di quell’individualismo libertario kafkiano.
-Digressione aneddotica, il realismo di Kafka:
Kafka era realista? Lukacs si è distinto per averlo negato nel modo più categorico. Egli nel 1955, facendo un
confronto con Thomas Mann, mostra un Kafka totalmente non realista in quanto considerato avanguardia
decadente che si rifiuta di lottare per la pace, questo perché considera il Movimento per la Pace
Lukacs e (patrocinato dall’Urss) come riferimento essenziale per dare un giudizio. La critica di Luckacs è il risultato di
Fischer un abbaglio incredibile: egli non capisce che quell’assenza di contenuto, quella trascendenza rimandano
(decadenza
proprio alla struttura della realtà (più precisamente della macchina burocratica alienata); Kafka, lo afferma
contro
realismo Ernst Fischer alla conferenza di Liblice (1963), ribalta quel concetto di realtà ridotto dai dogmatici al mondo
universale) esteriore, mostrando come essa non si limiti solo a ciò che fa la gente, ma anche a ciò che la gente sogna e
sospetta, ciò che esiste in modo invisibile. Kafka fa a pezzi il canone classico della letteratura realista
cancellando silenziosamente la linea di demarcazione tra realtà e sogno, ciò che si vede e ciò che è
nascosto, allarga attraverso il proprio mezzo espressivo la conoscenza del mondo, sondando anche
l’invisibile.
-Una situazione kafkiana:
kafkiano: Kafka è diventato un aggettivo, l’epiteto ‘’kafkiano’’ è entrato nei dizionari riferendosi ad atmosfere
l'oppressione oppressive, mondi da incubo dove l’individuo è smarrito e sconcertato. È una parola che esprime
dal punto di un’enorme gamma di esperienze che fa ben comprendere la portata universale e critica della sua opera. Ciò
vista dei avviene perché le situazioni kafkiane sono viste dal punto di vista dei vinti, dalla massa degli umili che
vinti, rimane avvinghiata nei labirinti del potere senza comprenderne il funzionamento o il motivo. Il punto di
razionale
vista soggettivo permette infatti di cogliere ciò che va oltre la realtà obiettiva dei singoli fatti, va oltre la
irrazionale
(Weber Vs
visione razionale degli apparati burocratici che conoscono i procedimenti, descrivendo l’inquietudine
Kafka) dell’uomo di fronte alla trasformazione della ragione, nel suo eccesso più grande (cioè nello Stato
burocratico visto da Weber come il sistema più razionale di gestione), nel suo contrario: l’irrazionalità.
Kundera ha dato una definizione dell’aggettivo kafkiano elencandone tre caratteristiche: un mondo
Kundera, 3 labirintico al quale l’individuo non può sottrarsi e che non può comprendere, dove l’esistenza fisica è ormai
caratt. solo un riflesso del suo dossier personale (fascicolo), e dove l’accusato non sa di cosa lo si accusi
percependo infine un moto di autocolpevolizzazione.