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Ciò ci conduce direttamente alla seconda funzione dei «guardiani» del centro supremo, funzione che

consiste, come abbiamo detto, nell’assicurare alcune relazioni esterne, e soprattutto nel mantenere i legami
fra la Tradizione primordiale e le tradizioni secondarie e derivate. Perché ciò sia possibile è necessario che,
per ogni forma tradizionale, si abbia una o più organizzazioni costituite in base a questa stessa forma,
secondo tutte le apparenze, ma composte da uomini che abbiano coscienza di ciò che è al di là di tutte le
forme, vale a dire della dottrina unica che è la fonte e l’essenza di tutte le altre, la quale non è nient’altro che
la Tradizione primordiale. In un mondo a tradizione giudeo-cristiana una tale organizzazione doveva, in un
modo del tutto naturale, avere per simbolo il Tempio di Salomone; questo, d’altronde, avendo cessato
d’esistere materialmente ormai da lungo tempo, non poteva avere allora che un significato del tutto ideale,
essendo solo un’immagine del Centro supremo, come lo è ogni centro spirituale subordinato; la stessa
etimologia del nome Gerusalemme indica abbastanza chiaramente che essa è solo un’immagine visibile della
misteriosa Salem di Mechisedec. Se tale fu il carattere dei Templari, per ricoprire il ruolo loro assegnato, che
era relativo ad una determinata tradizione, quella dell’Occidente, essi dovevano rimanere collegati
esternamente alla forma di questa tradizione, ma, al tempo stesso, l’aver coscienza della vera unità dottrinale
li rendeva capaci di comunicare con i rappresentanti di altre tradizioni [Ciò si riferisce a quello che è stato
chiamato simbolicamente il «dono delle lingue»; su tale argomento rimandiamo al nostro articolo contenuto
nel numero speciale di Le Voile d’Isis dedicato ai Rosacroce. (Inserito come cap. XXXVII in Considerazioni
sulla Via Iniziatica)]: è questo che spiega le loro relazioni con certe organizzazioni orientali e soprattutto,
com’è naturale, con quelle che altrove svolgevano un ruolo simile al loro.
Ciò posto, si può comprendere, peraltro, come la distruzione dell’Ordine del Tempio abbia comportato per
l’Occidente la rottura delle regolari relazioni col «Centro del Mondo»; ed è proprio al XIV secolo che
occorre far risalire la deviazione che inevitabilmente doveva comportare una tale rottura, deviazione che
gradualmente è andata accentuandosi fino ai nostri giorni. Tuttavia, non è possibile affermare che ogni
legame sia stato reciso d’un sol colpo; per molto tempo ancora fu possibile, in una certa misura, mantenere
delle relazioni, ma solo in maniera nascosta, per mezzo di organizzazioni come la Fede Santa o i « Fedeli
d’Amore», o come la «Massenia del Santo Graal» e senza dubbio molte altre ancora, tutte eredi dello spirito
dell’Ordine del Tempio e per la maggior parte ad esso collegate a mezzo di una filiazione più o meno diretta.
Coloro che conservarono vivo questo spirito e che ispirarono queste organizzazioni, senza mai costituire essi
stessi alcun organismo definito, si chiamano Rosacroce; ma venne un giorno in cui gli stessi Rosacroce
dovettero lasciare l’Occidente, le cui condizioni erano divenute tali da impedire che la loro azione potesse
ancora esercitarsi, e si dice che a quel punto essi si ritirarono in Asia, riassorbiti in qualche modo nel Centro
supremo di cui erano come un’emanazione. Per il mondo occidentale non vi è più una « Terra Santa» da
custodire, poiché la via che conduce ad essa è ormai interamente smarrita; quanto tempo ancora durerà una
tale situazione? Ed è possibile sperare che, prima o poi, la comunicazione possa essere ristabilita? Sono
questi degli interrogativi ai quali non spetta a noi dare una risposta: a parte il fatto che noi non vogliamo
arrischiare alcuna predizione, la soluzione dipende solo dall’Occidente stesso, poiché solo ritornando alle
normali condizioni e ritrovando lo spirito proprio della sua tradizione, se ne ha ancora in sé la possibilità,
l’Occidente potrà vedere riaprirsi la via che conduce al «Centro del Mondo».
CAPITOLO QUARTO
IL LINGUAGGIO SEGRETO DI DANTE E DEI «FEDELI D’AMORE»
[Articolo pubblicato su Le Voile d’Isis, febbraio 1929]
I
Con il titolo: Il Linguaggio Segreto di Dante e dei «Fedeli d’Amore» [Roma, casa Ed. Optima, 1928], Luigi
Valli, a cui si debbono parecchi studi sul significato dell’opera di Dante, ha pubblicato un nuovo lavoro che è
troppo importante perché noi ci si accontenti di segnalarlo con una semplice nota bibliografica.
La tesi lì sostenuta può essere riassunta brevemente così: le diverse «donne» celebrate dai poeti si
riallacciano alla misteriosa organizzazione dei «Fedeli d’Amore», e per Dante, Guido Cavalcanti ed altri loro
contemporanei, fino a Boccaccio ed a Petrarca, non sono affatto delle donne realmente vissute su questa terra
ma, con i nomi più diversi, sono tutte una sola e medesima «Donna» simbolica, che rappresenta
l’Intelligenza trascendente (la Madonna Intelligenza di Dino Compagni) o la Saggezza Divina.
In appoggio a questa tesi l’autore presenta una documentazione formidabile ed una serie di argomentazioni
adattissime a colpire i più scettici: in particolare, egli dimostra che le poesie più {in}intelligibili, dal punto di
vista letterale, diventano perfettamente chiare se si accetta l’ipotesi dell’esistenza di un «gergo» o linguaggio
convenzionale, del quale egli è riuscito a tradurre i termini principali; e fra altri casi simili egli ricorda quello
dei Sufi persiani, i quali dissimulavano ugualmente dei significati similari sotto le apparenze di una semplice
poesia amorosa. È impossibile riassumere tutte le argomentazioni, basate su dei dati precisi e che
conferiscano al libro tutto il suo valore; a coloro che fossero interessati all’argomento possiamo solo
consigliare di riferirsi direttamente al libro.
A dire il vero, tutto questo ci era sempre apparso come un fatto evidente ed incontestabile, tuttavia ci
rendiamo conto che una tale tesi ha bisogno di essere solidalmente sostenuta. In effetti, Valli prevede che le
sue conclusioni saranno contestate da diverse categorie di avversari: innanzi tutto dalla sedicente critica
«positiva» (che egli ha il torto di qualificare come «tradizionale», quando invece essa è all’opposto dello
spirito tradizionale); poi dallo spirito di parte, sia cattolico che anticattolico, che non potrà minimamente
compiacersene; ed infine dalla critica «estetica» e dalla «retorica romantica» che, in fondo, non sono
nient’altro di diverso di quello che si potrebbe chiamare spirito «letterario». Si tratta, insomma, di un
ammasso di pregiudizi che si opporranno sempre fortemente alla ricerca del significato profondo di certe
opere; ma, in presenza di lavori come questo del Valli, le persone di buona fede e libere da ogni partito preso
potranno vedere facilmente da che parte sta la verità.
Da parte nostra dobbiamo solo sollevare delle obiezioni circa alcune interpretazioni, ma esse non intaccano
minimamente la tesi generale; del resto, l’autore non ha avuto la pretesa di offrire una soluzione definitiva a
tutte le
questioni

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