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…i trasgressori cadono...
Osea, 14, 9
1. Un’eresia?
Ne L’origine dei dogmi cristiani, il rabbino Elia Benamozegh interpreta la parola del
Vangelo e la dogmatica cattolica dal punto di vista dell’ebraismo tradizionale e,
soprattutto, della tradizione cabbalistica. Nella sua profonda conoscenza della
Qabbalah, il rabbino livornese rinviene infatti risposte convinte in merito agli
enigmi sollevati dall’insegnamento di Gesù e dalla stessa fede cristiana, offrendo,
con puntuali rimandi all’albero sephirotico, una sorta di “traduzione” cabbalistica
del linguaggio evangelico. Nella proclamazione messianica di Gesù, Benamozegh
non riconosce però un’espressione regolare dell’ebraismo tradizionale, bensì una
deviazione eretica che, fin dall’inizio, ha instradato il cristianesimo verso l’idolatria e
il politeismo.
Come vedremo, proprio nell’intento di mostrare gli aspetti ereticali della Buona
Novella, Benamozegh finisce spesso per leggere con superficialità la parola di Gesù,
irrispettosa a suo dire dei perenni equilibri delle gerarchie sephirotiche e seme di
quella confusione che, degenerata nella dogmatica trinitaria, ha decretato il
definitivo distacco del cristianesimo dalla sua matrice semitica.
Che i dogmi cristiani abbiano eccessivamente semplificato e, per così
dire, congelato la viva parola evangelica è cosa evidente: in questo, non si può che
essere d’accordo con Benamozegh 1; ma ne L’origine dei dogmi cristiani si commette
troppo spesso l’errore di estendere al Vangelo le aporie e le contraddizioni proprie
dei dogmi ecclesiastici. Non andrebbe infatti mai dimenticato che, a differenza di
molta teologia occidentale, i testi di Matteo, Marco, Luca e Giovanni non parlano mai
in termini dogmatici e che i nessi tra Vangelo e dogmatica sono molto meno chiari di
L’eresia del Vangelo secondo Elia Benamozegh
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L’eresia del Vangelo secondo Elia Benamozegh
eccezione dell’osservanza della Legge dopo che la sua abolizione prevalse nella
Chiesa” 4.
Ebbene, proprio sulla via di queste argomentazioni, Benamozegh sembra
dimenticare che la missione del Figlio dell’Uomo non è quella di demolire la Legge né
tantomeno quello di riformarla. Purtroppo, proprio la convinzione che Gesù fosse
un fariseo induce il rabbino toscano a sottovalutare la reale natura del messaggio
evangelico, in merito alla Torah, in particolare. Benamozegh intende infatti avanzare
l’idea che alcuni ambienti farisaici conoscessero già gli aspetti interiori e segreti della
Legge per come Gesù li espone. Questa, in linea generale, è certamente una
possibilità. Nonostante ciò, nei Vangeli Gesù appare chiaramente come l’inviato
destinato a portare sul piano provvidenziale una più profonda e inter iore visione
della Torah a vantaggio di tutti coloro altrimenti destinati alla perdizione. Sotto
questa luce, non possono che assumere maggiore profondità le parole rivolte ai
dottori della legge: “Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare lo avete
impedito” 5.
Gesù, infatti, non entra in conflitto con i farisei perché abbia studiato alla loro
stessa scuola, ma perché loro non intendono riconoscere la missione messianica e
provvidenziale di cui egli è investito e di come essa coinvolga la stessa Legge, più e
più in profondità di quanto lo stesso Benamozegh voglia ammettere.
Basterà leggere il seguente passo del Vangelo di Giovanni per rendersene
pienamente conto: “Gli dissero allora i farisei: ‘Tu di te stesso testimoni; la tua
testimonianza non è vera’. Rispose Gesù e disse loro: ‘Anche se io testimonio di me
stesso, vera è la mia testimonianza, perché so da dove sono venuto e dove vado, ma
voi non sapete da dove vengo o dove vado. Voi secondo la carne giudicate; io non
giudico nessuno. E se giudico poi io il giudizio quello mio è veritiero, poiché solo
non sono, ma io e il Padre che mi ha inviato. E poi nella Legge quella vostra è
scritto che la testimonianza di due uomini è vera: orbene, io sono testimone di me
stesso, e testimonia di me il Padre, che mi ha inviato’” 6.
Ora, se con Benamozegh s’intendesse considerare Gesù un intellettuale fariseo
che, in virtù della sua formazione, intende combattere i suoi correligionari sul
campo delle loro stesse leggi, per puro zelo o solo perché si appassiona di minuzie
rabbiniche, allora diatribe come quella appena citata risulterebbero del tutto
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L’eresia del Vangelo secondo Elia Benamozegh
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L’eresia del Vangelo secondo Elia Benamozegh
alta espressione nella società essena. Bisogna dunque meravigliarsi se Gesù non
rinchiude la sua chiesa in un chiostro, quando lo stesso essenismo gli aveva
insegnato che il Messia doveva abbracciare il mondo intero in uno sguardo
d’amore?
Cosa resta dunque? Lo spirito monacale, ora noi affermiamo che tale spirito si
trova nel cristianesimo come nell’essenismo, che se è vero che il suo Regno non è di
questo mondo e quindi estraneo a ogni società umana quaggiù, non può vedere che
negli uomini che individui, monadi, legati tutt’al più da un legame spirituale e
agitantisi nel vuoto alla ricerca dell’altro mondo, di quella società celeste che Gesù
nelle sue speranze messianiche poneva al termine della sua esistenza personale, ma
che la logica dei fatti ha rinviato alla consumazione dei secoli” 7.
Invero, l’incomprensione del messaggio evangelico e apocalittico di Benamozegh
qui raggiunge il suo acme.
La società celeste ovvero la comunità sovrastorica dei santi e dei credenti
costituisce certamente uno dei grandi misteri trasmessi dai Vangeli, ma essa non
dipende in alcun modo dalla logica dei fatti. Per accorgersene, basti pensare al
Paradiso di Dante Alighieri che proprio della società celeste ha offerto una radiosa
immagine. La stessa escatologia dei Vangeli su questo punto è molto ricca, a tratti
enigmatica, ma non rischia certo di perdersi in una sterile agitazione nel vuoto.
A questo riguardo, è il caso di leggere le seguenti parole contenute nel Vangelo di
Giovanni: “Questa è infatti la volontà del Padre mio, che ognuno che vede il Figlio
e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno 8”.
Si noti come l’ultimo giorno può essere tanto l’ultimo giorno di un essere umano in
terra, quanto l’ultimo giorno inteso come l’avvento apocalittico. Si potrebbe a
questo riguardo parlare di una piccola Apocalisse individuale precedente la grande e
definitiva Apocalisse. Si noti inoltre come la profezia apocalittica rappresenti una
coerente estensione dell’escatologia evangelica; se ne ha conferma leggendo visioni
come la seguente: “E diede il mare i morti quelli in esso e la morte e l’Ade diedero i
morti quelli in esso e furono giudicati ciascuno secondo le loro opere. E la morte e
l’Ade furono gettati nella palude di fuoco. Questa è la seconda morte, la palude di
fuoco. E se qualcuno non fu trovato scritto nel libro della vita, fu gettato nella
palude di fuoco 9”.
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L’eresia del Vangelo secondo Elia Benamozegh
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L’eresia del Vangelo secondo Elia Benamozegh
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L’eresia del Vangelo secondo Elia Benamozegh
dunque intessuta non per mezzo della fatica, bensì preservando con pazienza e
costanza lo stato di grazia.
Cionondimeno, non è difficile presagire il bersaglio di Benamozegh. La
svalutazione del mondo è innegabilmente insita nella rivelazione cristica e, su questo
punto, il rabbino livornese condivide le stesse perplessità di molte generazioni di
ebrei, più o meno ortodossi, i quali nelle parole evangeliche hanno sempre intuito e
temuto una minaccia all’istituto matrimoniale e al legame con la loro patria,
ovviamente Israele. Eppure, neanche tali perplessità sono esenti da pregiudizi. Nelle
parole di Gesù sono infatti contemplati diversi gradi di santità e il matrimonio è
pienamente difeso nella sua dignità in diversi passi neotestamentari. Più difficile è
invece la questione legata ad Israele su cui si ritornerà alla fine di questo intervento.
2. Un’incursione provvidenziale
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L’eresia del Vangelo secondo Elia Benamozegh
ora glorifica me, tu, Padre, presso te stesso, con la gloria che avevo prima che il
cosmo fosse, presso di te20”.
Si tratta d’altronde di un aspetto misterico nient’affatto estraneo alla Qabbalah
ebraica, come Benamozegh sa bene. L’Adamo Spirituale, o Adam Elyon, non è
semplicemente il primo uomo, ma la prima luce scaturita dal Pensiero Divino, la quale
precede ogni altra emanazione, creazione, formazione o azione; pertanto , non
semplicemente un Eone, come Benamozegh lascia intendere 21.
Quanto alle altre genealogie, è difficile stabilire perché il rabbino livornese non
abbia voluto fare alcun cenno significativo all’angelologia cristiana. La tradizione
neotestamentaria non ha infatti mai esautorato gli intelletti celesti e, anzi, tanto nei
Vangeli quanto nell’Apocalisse, essi vengono presentati come gli esecutori più
diretti delle volontà divine e non possono certamente essere annoverati tra
quelle infinite emanazioni di cui il Nuovo Testamento si sarebbe dimenticato 22.
3. Un’eresia cabbalistica?
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L’eresia del Vangelo secondo Elia Benamozegh
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L’eresia del Vangelo secondo Elia Benamozegh
hanno disprezzato gli inviati del Signore e li hanno metodicamente sterminati lungo
i secoli. Non accorgersi di questo significa lasciare la parola dei Vangeli nel vago e
non volere invece accorgersi che gli atti d’accusa che essa formula sono molto più
attuali e validi di quanto sembri.
Eppure, tali elementi di prima importanza non richiamano l’attenzione del
Rabbino livornese per il quale il Figlio dell’Uomo ha solo inteso fondare un’idolatria
attorno alla sua persona, risultando blasfemo di fronte alla corte riunita per
giudicarlo 27. Non si tratta d’altronde di una lettura di parte, ma di comprendere che,
nelle Scritture, l’operato di Israele non viene sempre approvato come Benamozegh
dà spesso ad intendere nelle sue opere.
Ma ecco quanto Benamozegh ha da dire a proposito dell’eresia proferita da Gesù:
“(…) l’interrogatorio di Gesù, lo studio comparativo delle domande del Gran
Sacerdote, le risposte di Gesù, le repliche, le azioni che ne conseguono,
costituiscono una preziosa testimonianza a favore della suprema identità delle
dottrine tra l’imputato e il suo giudice, sull’esistenza di un figlio di Dio, e anche di
un Cristo Figlio di Dio, tranne per quella parte della dichiarazione di Gesù, che
costituisce la bestemmia che gli viene rimproverata, e che costituisce da sola il titolo
del suo crimine, ossia che lui, Gesù, il figlio di Giuseppe e Maria è quel Cristo Figlio
di Dio, quel Yesod, che si era abituati a considerare come un eone del tutto divino,
allo stesso modo di Ḥesed, carità che ha il nome di Abramo, di Tiferet, che ha il
nome di Giacobbe, di Neṣah che ha il nome di Mosé e così via. 28”
Va innanzitutto precisato che Gesù non parla mai di sé come del figlio di Giuseppe
e Maria nel corso del processo narrato dai Vangeli.
Questa è un’aggiunta del tutto indebita e ingiustificata di Benamozegh.
Ciò che il sommo sacerdote non comprende riguarda proprio questo punto: la
conferma del Maestro del Vangelo è infatti molto più enigmatica di quanto possa
sembrare. In Matteo si legge: “Tu [l’] hai detto. Ma29 io vi dico: da ora vedrete il
figlio dell’uomo seduto a destra della potenza e veniente sulle nubi del cielo 30”.
Ovvero Gesù sposta nuovamente l’attenzione sul Figlio dell’Uomo, centro
indispensabile dell’insegnamento evangelico. Egli intende dire al Sommo
sacerdote: Tu limiti il Figlio di Dio alla persona che vedi di fronte a te e di questo mi accusi, ma
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L’eresia del Vangelo secondo Elia Benamozegh
il Figlio dell’Uomo non è solo capace di incarnarsi, tanto che lo vedrai venire alla destra della
potenza e sulle nubi del cielo e cioè al di sopra della manifestazione cosmica.
Ecco, in cosa si concentra tutto il frainteso tra l’ebraismo tradizionale e la parola
di Gesù.
Quanto Gesù dice al Sommo Sacerdote non si discosta in fin dei conti da quanto
Gesù ha già insegnato lungo le strade di Israele prima di giungere di fronte al
Sinedrio. Non bisogna infatti dimenticare che il Figlio dell’Uomo nelle parole del
Vangelo ha sempre una natura spirituale, si potrebbe dire anche trasversale, rispetto
alle contingenze, poiché è proprio in virtù di tale natura che egli può richiamare le
anime degli uomini al Padre, qualsiasi sia lo stato dell’essere in cui esse si trovano.
Ciò lo apprendiamo da passi come il seguente “Il credente in me, non crede in me,
ma in colui che mi ha inviato e il vedente me vede chi mi ha inviato 31” e
ancora “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono in mezzo a loro 32”
ovvero frasi che ci parlano sia dell’assoluta obbedienza del Cristo di fronte al Padre,
come anche della sua perenne missione di salvezza.
Limitare dunque l’origine divina di Gesù e del Figlio dell’Uomo alla presenza
fisica di Gesù significa non avere affatto compreso le sue parole e ciò che egli viene
ad annunciare.
In realtà, Benamozegh non può accettare un tale modo di vedere le cose per ché
egli non riconosce in fin dei conti altro Messia che il Messia collettivo noto
come Israele. Per la stessa ragione, egli liquida come eresia le parole pronunciate da
Gesù e limita l’idea del Figlio dell’Uomo alla persona di Gesù, perché sa che ciò lo
abilita a classificare il suo insegnamento come mera idolatria.
A sostegno di questa sua convinzione, egli afferma che, nei Vangeli: “(…) i passi
della Bibbia che apparentemente concernono solo il popolo di Israele sono tolti dal
loro significato naturale e vengono applicati al Verbo, tra questi ad esempio Osea
11, 1: ‘Israele era un fanciullo che amavo, e dall’Egitto ho chiamato mio figlio’
quell’ex Aegypto vocavi filium meum che ha dato tanto filo da torcere agli
esegeti33”.
Per una ragione poco chiara, Benamozegh limita la sua citazione di Osea a soli
due versi, ma vale la pena di leggere la rimanente parte dello stesso passo, che così
recita:
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L’eresia del Vangelo secondo Elia Benamozegh
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L’eresia del Vangelo secondo Elia Benamozegh
NOTE
1
Cfr. E. Benamozegh, L’origine dei dogmi cristiani, Marietti, Genova, 2002, p.127.
2
Sotto questo riguardo, vi sarebbero in realtà distinzioni di capitale importanza da fare.
Basti dire che lo stesso cattolicesimo medievale, massimo grado del dogmatismo religioso,
mostra differenze decisive tra autori di grande rilievo: è ad esempio il caso di due autorità
come Tommaso d’Aquino e Gioacchino da Fiore i quali maturarono idee molto diverse
sulla Trinità e sulle ragioni ultime dell’avvento messianico. Cfr. G. Da Fiore Il Salterio a dieci
corde e E. Benamozegh Op. Cit. p. 91.
3
E. Benamozegh Op. Cit. p. 30.
4
Ibidem p. 42.
5
Lc 11, 52
6
Gv 8, 13-18.
7
E. Benamozegh Op. Cit. pp. 54-55.
8
Gv 6, 40.
9
Ap 20, 13-15.
10
Lc 12, 33.
11
E. Benamozegh Op. Cit. p. 93.
12
Cfr. Ibidem Op. Cit. p. 83 e Lc 8, 10.
13
Mt 7, 21.
14
Lc 12, 27.
15
2Tes 2, 9.
16
Mt 6, 19.
17
E. Benamozegh Op. Cit. p.91.
18
E. Benamozegh Op. Cit. p. 182.
19
E. Benamozegh Op. Cit. p. 120.
20
Gv 17, 4. Cfr. Gv 12, 28. Cfr. E. Benamozegh Op. Cit. p. 230.
21
Cfr. E. Benamozegh Op. Cit. VIII cap. La gnosi eretica.
22
Considerato che, quanto alla Qabbalah, si parli spesso di quattro mondi e non di cinque,
come sarebbe corretto, sarebbe interessante leggere in questa luce le parole di Gesù: “La
pietra che respinsero i costruttori, questa è diventata testata d’angolo” (Mt. 21, 42; Sal. 118,
22).
23
E. Benamozegh Op. Cit. pp. 134-137.
15
L’eresia del Vangelo secondo Elia Benamozegh
24
Cfr. Ibidem Cap. VI.
25
Σοφία τοῡ Θεοῡ, nel testo originale.
26
Lc 11, 47-52.
27
E. Benamozegh Op. Cit. p. 88 e Cap. VI.
28
Ibidem pp. 211-212.
29
πλὴν in greco può significare ma, se o salvo che.
30
Mt 26, 64.
31
Gv 12, 44-45.
32
Mt 18, 20. A questo proposito è di estrema importanza anche quando Gesù dice a
proposito dello Spiritus Paraclitus. Si veda Gv 14, 15-18.
33
E. Benamozegh Op. Cit. p. 240. La traduzione letterale del passo di Osea dice: “Quando
Israele [era] un bambino, allora lo amai e chiamai mio figlio fuori da Mizraim”.
34
Osea, 11, 2.
35
Osea 11, 7.
36
Cfr. Gv. 17, 1-19.
16