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Carlo Petrini: facciamo chiarezza sul concetto di

sovranità alimentare
24/10/2022

Nelle ultime ore si fa un gran parlare di sovranità alimentare,


da quando i due termini sono stati affiancati nel nuovo
dicastero alla parola “agricoltura”. La cosa non mi può far
che piacere perché la sovranità alimentare è alla base del
lavoro di Slow Food da ormai trent’anni.

Per questo vorrei fare un po’ di chiarezza rispetto alla sua genesi
e al significato profondo; si tratta di un concetto importante,
essenziale per il futuro dell’umanità e che non deve essere
confuso né con sovranismo e neppure con autarchia.
Innanzitutto è un’espressione che nasce ed evolve dall’esperienza e analisi critica di
gruppi di contadini alla luce degli effetti provocati dai cambiamenti nelle politiche
agricole durante l’ultimo ventennio del secolo scorso. Correva l’anno 1986 e il gotha
della politica internazionale riunito a Ginevra decise, durante una seduta plenaria
dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, di includere la produzione primaria
all’interno dell’Accordo Generale sulle Tariffe Doganali e sul Commercio.
Da quel momento in poi anche le scelte in merito alla produzione e al commercio del
cibo, l’ambiente, l’accesso alla terra e la cultura legata alla vita nei campi, sarebbero
state assoggettate alle regole neoliberiste del mercato internazionale. Come
controrisposta, a livello mondiale iniziarono a costituirsi movimenti di base del mondo
contadino con l’obiettivo di difendere il vero valore del cibo non come bene da
commerciare, ma come diritto umano da garantire e tutelare. Nato in seno alla società
civile, questo concetto entra poi a far parte del vocabolario istituzionale internazionale
nel 1996 quando alcune organizzazioni internazionali riunite alla Fao a Roma ne
conferiscono una definizione esaustiva.

Il principio di autodeterminazione dei popoli


Il principio cardine è l’autodeterminazione dei popoli nella scelta delle proprie politiche
agricole affinché siano in sintonia con il tessuto ecologico, economico e sociale e
garantiscano l’accesso a un cibo sano, nutriente e culturalmente appropriato. Negli anni
il concetto di sovranità alimentare è stato testimoniato da milioni di contadini in tutti i
continenti. L’organizzazione Via Campesina ne ha fatto la bandiera della sua lotta. La
nostra stessa rete di Terra Madre, che si è riunita a Torino appena un mese fa, ne è
espressione vivente: in difesa della biodiversità e della dignità dei popoli. Lo stato
dell’Ecuador la sancisce all’interno della costituzione (Art. 281) come un’obbligazione
dello Stato, e le Nazioni Unite la identificano come una precondizione necessaria per il
raggiungimento dell’obiettivo strategico “Fame zero” dell’Agenda 2030.

Che cosa vuol dire sostenere la sovranità alimentare?


Sostenere la sovranità alimentare significa schierarsi contro pratiche inique e dannose
portate avanti dall’agroindustria (monocoltura, uso pesante della chimica di sintesi, cibi
ultraprocessati), così come anche da una buona parte della grande distribuzione
organizzata; ponendo invece al centro il diritto al cibo sano e nutriente per tutti, insieme
ai diritti umani fondamentali, e la salute del pianeta. Vuol dire riconoscere il ruolo chiave
dei piccoli produttori di ogni tipo, contadini e agricoltori a conduzione familiare, con
donne (principali custodi della sovranità alimentare delle famiglie nel mondo) e giovani
(da cui dipenderà l’alimentazione del futuro), in primo piano. È anche rivendicare
l’importanza di pratiche agroecologiche, con una maggiore facilità di accesso a terra,
acqua e semi; contro la monocoltura e le pratiche di tipo estrattivista. Così come
affermare l’importanza di rafforzare i sistemi alimentari radicati nel territorio rispetto alle
catene di approvvigionamento globali che si sono dimostrate in tutta la loro
vulnerabilità, prima con il Covid-19 e poi con il conflitto in Ucraina.

Se applicata correttamente la sovranità alimentare crea una tensione positiva tra


dimensione locale e globale e permette ai popoli di essere davvero liberi nella scelta di
cosa produrre e consumare, mettendo al centro il benessere delle persone e del
pianeta.

Aggiungo: è così importante e trasversale che non dovrebbe essere privilegio


del ministero delle politiche agricole.

Dovrebbe fare parte, ad esempio del ministero dell’ambiente che gestisce le


risorse naturali difendendo biodiversità e ecosistemi. Del ministero per le politiche
sociali perché oggi la fame non è sinonimo di indisponibilità di cibo, ma mancanza
di risorse per accedervi. Così come da quello della salute perché la cattiva
alimentazione è causa crescente di gravi malattie quali diabete, problemi cardio-
vascolari, obesità e tumori.

La sovranità alimentare quindi non vuole essere né un concetto nostalgico e passatista


(il caffé di cicoria non tornerà a essere l’unico disponibile), e nemmeno una chiusura
rispetto al mondo esterno (continueremo a mangiare banane e ananas). In questa fase
è fondamentale capire i veri significati delle parole, altrimenti sarà ben difficile prendere
in castagna coloro che scientemente potranno farne un uso diverso.
Carlo Petrini,
su La Stampa del 25 ottobre 2022

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