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Cucina e Alimentazione nel Medioevo

Introduzione

La passione verso la storia e la cucina, ambiti di notevole interesse che si sono posti al centro

dell’attenzione di numerosi studiosi ormai da qualche anno, è all’origine di questa ricerca.

Infatti, la storia dell’alimentazione è una storia culturale, una storia di come l’uomo abbia

definito sé stesso e il mondo che lo circonda in base al cibo, alla sua preparazione, ai complessi

rituali con forte valenza sociale e culturale, nonché religiosa, che definiscono il sistema

alimentare alla base di numerose culture. È necessario, anzitutto, dare una definizione di cucina.

Secondo il vocabolario Treccani, per cucina si intende un «ambiente […] in cui si preparano e

si cuociono i cibi» nonché «l’operazione, il modo di cucinare»1. Ma è solo questo? L’atto

estremamente naturale del nutrirsi si lega ad una serie di istanze culturali e sociali molto forti

che portano alla definizione di alimentazione e anche di cucina. Secondo Massimo Montanari,

per cucina si intende «tutto ciò che, manipolando e combinando i prodotti di base, porta a

realizzare ciò che poi mangeremo»2, in un complesso sistema nel quale i ritmi naturali sono

adottati e rielaborati dall’uomo che, attraverso una serie di saperi, trasforma le materie prime in

cibo, dandogli forma, colore e sapore. Questo processo è la «fase culturale per eccellenza»3

nella quale entrano in gioco le principali conoscenze e tecniche conosciute da una data cultura

storica, sociale, geografica. Per questo motivo lo studio dell’alimentazione, della cucina e del

valore sociale che si nasconde dietro al cibo è interessante ed utile e permette di approfondire

la conoscenza di un dato popolo, della sua cultura e dei suoi valori. I complessi rituali legati al

cibo si legano in maniera inscindibile alla società che li ha prodotti e da sempre il cibo di culture

1
Aa. Vv., Treccani. Vocabolario On Line, voce cucina.
2
M. Montanari, Gusti del Medioevo. I Prodotti, la Cucina, la Tavola, p. 50.
3
Ibid.
1
lontane affascina ed attrae. Nella cultura occidentale ed europea odierna, c’è un proliferare di

ristoranti e locali che permettono di assaggiare preparazioni di culture esotiche e lontane,

donando un piccolo spaccato di vita quotidiana. In Italia, ai locali a tema asiatico, tra i quali i

ristoranti cinesi sono stati gli apripista per i successivi giapponesi, thailandesi, indiani e molti

altri, sono seguiti, negli ultimi anni, attività che propongono una cucina (o più spesso una

rielaborazione delle pratiche culinarie del posto in chiave turistica) africana o sud americana.

Si pensi ai ristoranti messicani, caraibici, o ai vari street food che propongono un’alimentazione

del nord africa. Lo stesso processo che porta alla conoscenza della cultura e dei valori di una

data società - che nel caso sopra descritto permette di rompere le barriere spaziali, avendo un

piccolo spaccato di una realtà diversa relativamente vicino a casa - può essere usato dagli storici

per rompere le barriere spazio temporali così da restituire informazioni utili a comprendere

diversi aspetti della società del passato. Lo studio delle pratiche alimentari nel tempo può,

quindi, aiutare a ricostruire la storia sociale, religiosa, culturale ed economica.

Utili premesse

Nello studio della cucina nel passato, lo storico, deve aver ben presente alcune tappe

fondamentali nella storia alimentare, che – anche se non riguardano il tema in oggetto – è

necessario specificare per meglio farsi un’idea della cronologia che riguarda l’argomento.

Nella storia dell’alimentazione, da un punto di vista eurocentrico, si riconoscono due tappe

diacroniche molto importanti. La prima è rappresentata dalla scoperta delle Americhe, che ha

portato ad una vera e propria rivoluzione, con cambiamenti vastissimi dei prodotti alimentari. I

nuovi alimenti provenienti dalle Americhe, infatti, hanno sostituito gradualmente alcune delle

materie prime europee. Alcuni dei prodotti americani che si sono imposti maggiormente sono

il mais, che ha sostituito i cereali minori come il miglio, e le patate, che hanno sostituito rape e

navoni. La loro importanza dal punto di vista della cucina si può notare nella produzione della

2
polenta o degli gnocchi. Entrambe le pietanze erano già conosciute nel medioevo e

nell’antichità ma erano prodotte con cereali minori la prima e con acqua e farina i secondi (in

maniera simile agli spätzle consumati abitualmente nell’area centro europea). Oggigiorno, in

Italia, la polenta è tradizionalmente associata al mais e per gnocchi si intendono esclusivamente

quelli di patata. Le pietanze che per secoli sono state preparate in maniera diversa, sono

scomparse dalla nostra cultura gastronomica o ne fanno comparsa in qualità di curiosità locali

che hanno un sentore di antico, tradizionale, legato alla cucina povera.

Per comprendere quanto la rivoluzione alimentare iniziata con la scoperta delle Americhe sia

stata importante, basti pensare ai due piatti italiani più conosciuti all’estero, la pasta al

pomodoro e la pizza, contenenti, appunto, il pomodoro, un altro prodotto di origine americana

che è diventato ingrediente fondamentale di molte salse. Altre materie prime che affiancano il

pomodoro, la patata e il mais nella costruzione della nuova alimentazione europea sono i

fagioli4, i peperoni, il peperoncino, la zucca tonda, il cacao, il tacchino. Alcuni di questi prodotti

si sono rivelati piuttosto facili da coltivare e con una resa decisamente maggiore rispetto ai

corrispettivi europei che hanno sostituito. Ritornando alla patata e al mais, proprio le

caratteristiche nutrizionali e la facilità nella coltivazione hanno portato allo sviluppo, per la

prima volta in alcune aree d’Europa, delle monocolture. Questo si è rivelato fondamentale per

la storia dell’eziologia di alcune malattie, come la pellagra5, ed è stato causa di importanti

carestie, si pensi a quella che afflisse l’Irlanda tra il 1845 e il 18496.

4
In Europa, l’unico tipo di fagiolo conosciuto ed utilizzato nel medioevo è quello che viene
tradizionalmente chiamato fagiolo dall’occhio, di colore bianco avorio con una caratteristica macchia
nera, più piccolo dei tradizionali fagioli di origine americana.
5
Quest’ultima è una malattia alimentare causata da una carenza vitaminica ed era particolarmente
diffusa nelle aree rurali dell’Italia settentrionale dove si consumavano in prevalenza polente di mais o
di sorgo, cereali che non contengono la vitamina PP.
6
L’alimentazione della popolazione che viveva in Irlanda agli inizi del XIX secolo consisteva
prevalentemente in patate, che fornivano l’adeguato apporto di carboidrati e proteine. La maggioranza
delle coltivazioni era di questo tubero, che aveva sostituito i cereali, divenuti troppo costosi e quindi
difficilmente accessibili ai meno abbienti. Dagli anni venti dell’800, una serie di rigidi inverni, causò
molti danni ai raccolti e nel 1845 la diffusione di un oomicete, la peronospora della patata, fece
perdere quasi la metà del raccolto dando inizio, in una situazione già di grave disagio e indebolimento
3
L'altra tappa diacronica fondamentale è piuttosto recente. Dal dopoguerra, le innovazioni nel

campo della conservazione degli alimenti e la nuova economia mondiale hanno favorito, nel

mondo occidentale, un nuovo tipo di produzione alimentare e di consumo. Il consumismo di

massa ha rivoluzionato e sconvolto i metodi di approvvigionamento che si erano consolidati in

migliaia di anni di evoluzione. Prima del consumismo di massa ogni nucleo famigliare delle

aree rurali aveva il proprio orto e coltivava almeno una parte dei prodotti che consumava.

Inoltre, il susseguirsi delle stagioni ha influenzato l’accessibilità ai prodotti, in particolare di

origine vegetale, fin dalle origini dell’agricoltura. Gli alimenti erano stagionali e solo pochi

potevano permettersi di rompere le barriere spazio temporali procurandosi frutta e verdura non

di stagione. Servire fragole in ogni periodo dell’anno, come faceva Luigi XIV che le aveva fatte

perfezionare nelle serre reali di Versailles, equivaleva a portare in tavola un alimento esotico,

era sinonimo di lusso e ricchezza7. Oggi il consumismo di massa permette di acquistare ogni

prodotto in qualsiasi periodo dell’anno e di accedere, ad un costo relativamente modesto, ad

una quantità di calorie molto alta. Come sottolinea bene Massimo Montanari, si è passati da

una società che aveva da sempre la paura della “pancia vuota” a una che ha la paura della

“pancia piena”8. L’uomo, da quando è sulla terra, si è trovato a dover affrontare crisi alimentari

e ha cercato con ogni mezzo di sopperire a eventuali carenze inventando o adattando tecniche

di conservazioni degli alimenti. In pochi decenni, la storia alimentare, almeno per quanto

riguarda l’occidente, ha subito un ribaltamento paradossale e adesso il benessere non si misura

più nell’eccesso di cibo ma nella capacità di non farsi trascinare in questo surplus calorico.

Queste innovazioni alimentari hanno contribuito a modificare notevolmente tanto la dieta,

alimentare, ad una carestia che causò la morte di circa un milione di persone e l’emigrazione di
altrettanti irlandesi.
7
Per un approfondimento suggerisco di leggere il manuale C. Santini, Il Giardino di Versailles.
Natura, Artificio, Modello, Olschki, Firenze 2007.
8
Montanari, Gusti del Medioevo cit., p. 87.
4
quanto le conoscenze relative alla produzione e alla manipolazione delle materie prime, alle

quali è rivolte una nuova sensibilità.

Per quanto riguarda la cucina medievale, in primo luogo, è necessario sfatare alcuni falsi miti

che la circondano. Molti si immaginano la cucina nel medioevo come una cucina povera, vicina

alla tradizione casalinga dei nostri nonni, semplice, grezza, poco artificiosa. L’immagine che,

più di tutte, è ricorrente è quella di un maiale che gira su uno spiedo e di un grande pentolone

nel quale sobbollono zuppe di verdure e cereali. Per quanto possa essere vero che la cucina

povera sia rimasta relativamente simile per secoli, quella delle classi sociali elevate, borghesi e

nobili era una cucina molto elaborata, ricca di sapori e spezie. Altro grande mito che ha trovato

posto tra i libri di scuola, e dai quali solo recentemente sta sparendo, è quello delle spezie

utilizzate per coprire l’odore di marcio delle carni, perché nel medioevo si mangiavano carni

avariate. Le spezie erano un prodotto di lusso estremamente costoso e chiunque potesse

permettersi di acquistarle, senza ombra di dubbio, poteva procurarsi con facilità dei prodotti

carnei e ittici freschi. Inoltre, le leggi statutarie relative alla vendita dei pesci e delle carni sono

piuttosto precise a riguardo e puniscono severamente quei pescivendoli o quei macellai che

vendevano prodotti non freschi senza averlo adeguatamente segnalato9.

Fonti

Affrontando il tema dell’alimentazione nel medioevo, si parla prevalentemente di cucina nobile

e borghese. Infatti, citando Montanari, «il borghese, più del nobile, ha bisogno di sottolineare

la propria ricchezza e ascesa sociale»10 Tra XII e XIII secolo si sviluppa una nuova distinzione

basata sull’eleganza e la raffinatezza più che sulla forza. Un rinnovato interesse verso il cibo si

sviluppa a partire dal XIII secolo, quando fanno la loro comparsa i primi trattati di cucina. Tra

9
Comunemente, per quanto riguarda i pesci, a quelli avanzati dalla vendita del giorno precedente era
tagliata la coda, così da renderli immediatamente riconoscibili.
10
M. Montanari, La fame e l’Abbondanza. Storia dell’Alimentazione in Europa, p. 79.
5
questi i più famosi sono il Liber de coquina del XIV secolo, di produzione Siciliana, un

Anonimo toscano, il Viandier del XIV secolo, di Guillaume Tirel, detto Taillevent, cuoco dei

re di Francia, il Trattato di Maestro Chiquart degli inizi del ‘400, il Liber de arte coquinaria di

Maestro Martino de Rossi realizzato verso la metà del XV secolo.

Questi testi testimoniano l’affermarsi di una koiné gastronomica europea che ha caratterizzato

la cucina e l’alimentazione elitaria tra XIII e XV secolo.

Cucina e Alimentazione

Cucina del contrasto.

Ai giorni nostri la cucina tende a proporre il gusto naturale delle cose. In epoca medievale era

diffusa una cucina del contrasto, basata sulla ricerca del punto zero, dell’equilibrio, tramite

l’utilizzo di gusti forti. Prevalevano, quindi, l’agrodolce e il piccante ed erano piuttosto comuni

confetture di mirtilli o marmellate di pere in accompagnamento agli arrosti. In questo modo

sembra essersi originata la mostarda cremonese.

Cucina dell’artificio.

La ricerca dei colori e della sorpresa, con l’obbiettivo di far sembrare determinate cose diverse

è caratteristica della cucina elitaria medievale. Quest’ultima si presenta come una pratica

gastronomica molto raffinata, nella quale sono comuni sculture di zucchero ed effetti

spettacolari, abbondante uso di spezie e canditi. Questo perché, in epoca medievale, la cucina è

in primo luogo ostentazione del lusso, della ricchezza. Ciò non toglie che vi fosse una

particolare attenzione e cura per evitare gli sprechi, dimostrando un profondo rispetto verso il

cibo. La regola monastica del maestro, ad esempio, raccomanda di raccogliere ogni briciola di

pane dopo i pasti per ricomporle, a fine settimana, in forma di torta. Insomma, la cucina

medievale si costruiva su un insieme specifico di gusti, in cui trovavano posto anche la passione

per la magnificenza dell’esibizione, per i colori, la sorpresa e gli effetti speciali, si pensi alle

torte con colombe dentro che propone Martino de Rossi.


6
La cucina medievale è anche caratterizzata da una certa forma di discriminazione sociale. Le

principali distinzioni che si possono cogliere tra cucina povera e cucina ricca non sono tanto

nella qualità quanto nella quantità. La dieta dei meno abbienti era basata, per lo più, sul consumo

di ortaggi, cipolle, porri e aglio. Le fonti proteiche principali erano composte da carni salate e

fermentate e prodotti conservati11. I ricchi, al contrario, consumavano prevalentemente prodotti

freschi e spezie, simbolo della ricchezza e del potere. L’uso di prodotti locali è tipico dei ceti

meno facoltosi della società bassomedievale. Infatti, il superamento del territorio realizzato

importando prodotti esotici o fuori stagione, è un obbiettivo di prestigio. La tavola del principe

è una lotta al tempo e allo spazio.

Obblighi liturgici.

La cucina medievale è anche caratterizzata da una forte distinzione tra periodi di grasso e

periodi di magro, basati sugli obblighi liturgici. Durante i periodi di magro non poteva essere

consumata la carne e i prodotti di origine animale, ad esclusione del pesce. In circa un anno

solare, i giorni di magro erano tra i 140/160, un numero incredibilmente alto, che imponeva alla

popolazione europea cristiana il divieto al consumo dell’alimento preferito di questo periodo

storico. La cucina di magro imponeva la sostituzione della carne con un surrogato considerato,

all’epoca, di minor pregio e valore nutritivo, il pesce (si pensi al biancomangiare di pesce

persico).

Gli umori e la medicina.

Altro fattore che caratterizza fortemente la cucina medievale sono le convinzioni dietetiche e

mediche del tempo che, di pari passo con la cucina, dettano le regole alimentari, sebbene

talvolta vengano superate dai gusti. Si pensava, infatti, che la carne e la frutta non andassero

11
Sembrano essere numerosi i prodotti che, nel tentativo di rispondere alle esigenze di conservazione degli
alimenti, sono nati e sono entrati a far parte della tradizione culinaria locale. Prodotti tipicamente italiani come
il formaggio grana o il prosciutto crudo, o stranieri come lo skyr, una sorta di latte fermentato di origine
islandese, sono abbondantemente consumati ancora oggi.
7
consumate nei medesimi tempi per una migliore digestione. Eppure il gusto verso un

accostamento, ancora molto apprezzato ai giorni nostri, come quello di melone e prosciutto,

fece sì che questa accoppiata si affermasse nella cultura gastronomica della penisola del XIV

secolo e perdurasse nei secoli, anche in contrasto con le teorie mediche di allora.

Secondo la teoria degli umori, ogni alimento va cotto secondo quella che è la sua natura. Ad

esempio, per le carni secche, quindi di animali vecchi o sotto sale, era preferibile la cottura in

acqua. Secondo le conoscenze dell’epoca, basate per lo più sullo studio di medici dell’antichità

come Ippocrate o Galeno, lo stomaco era come una caldaia. Doveva, quindi, essere riscaldato e

preparato. Per questo motivo i servizi seguivano questo ordine: carni lesse, poi arrosto, poi fritte

e dolci, infatti «le teorie mediche dell’epoca concepivano lo stomaco come una sorta di forno

in cui il cibo veniva cotto o comunque trattato […]. Lo stomaco doveva essere preparato o in

qualche modo riscaldato. Questo imponeva che i piatti bolliti, di più facile digestione,

comparissero subito dopo l’inizio del banchetto, prima degli arrosti, saporiti, ma anche più

impegnativi per l’apparato digestivo, e che per ultimi venissero i preparati che erano considerati

più delicati (fritture e dolci)»12.

Ostentazione del lusso

Il banchetto si configura come il momento di massima ostentazione della ricchezza e del potere.

Ad esempio il banchetto del marchese Bonifacio di Canossa per le nozze con Beatrice di

Lorena, avvenuto nel 1037 e durato 3 mesi. Ancor più esemplare è il caso del banchetto indetto

nel Settembre del 1465 in onore di Richard Neville, che si insediava come arcivescovo di York.

Il banchetto avvenne durante un periodo piuttosto critico della guerra delle due rose ed era

importante trasmettere dei chiari messaggi sociali e di potere. Le ordinazioni ci informano che

l’ammontare delle carni è: «104 buoi, 1000 pecore, 304 vitelli, 2000 maiali, 304 porcellini da

latte, 4000 conigli, 204 capretti e 6 tori bradi. Questo equivale a quasi 10 kg di carne a persona

12
P. Freedman, Il Gusto delle Spezie nel Medioevo, Il Mulino 2009, p. 47.
8
(ipotizzando tremila presenze) [a cui sono da aggiungere] 504 cervi, daini e caprioli, insieme a

pasticci di cacciagione, caldi e freddi», 200 tarabusi (uccellini di piccola taglia), 400 cigni, 400

pappagalli, 204 gru, 2000 esemplari di pollame domestico, 4000 piccioni, 7000 capponi, 4

focene e 8 foche più una quantità non precisata di pesci e frutti di mare per i giorni di magro13.

Un banchetto come questo è un caso unico e isolato ma testimonia il gusto per l’ostentazione e

lo spreco caratteristico dell’aristocrazia basso medievale. Prendendo in considerazioni eventi

meno importanti, si ritrova la medesima attenzione per l’ostentazione, seppur in scala più

ridotta. Ce ne offre un’ottima descrizione il cronista Giovanni de Mussis, che in questi toni

descrive la città di Piacenza nel 1388: «nel cibo tutti fanno meraviglie, soprattutto nei banchetti

di nozze che per lo più seguono questo ordine: vini bianchi e rossi per cominciare, ma prima di

tutto confetti di zucchero. Come prima portata danno un cappone o due, e un grande pezzo di

carne per ciascun tagliere, cotto alla lampada con mandorle e zucchero ed altre buone spezie.

Poi danno carni arrostite in gran quantità, ossia capponi, polli, fagiani, pernici, lepri, cinghiali,

caprioli o altro, secondo la stagione dell’anno. Poi danno torte e giuncate, con confetti di

zucchero sopra. Poi frutta. Infine, dopo aver lavate le mani, prima che si levino le tavole si dà

da bere e un confetto di zucchero, e poi ancora da bere. Al posto delle torte e delle giuncate,

alcuni danno all’inizio del pranzo delle torte fatte con uova, formaggio e latte, con sopra una

buona quantità di zucchero. Per cena si danno, all’inverno, gelatine di carni selvatiche, di

cappone, gallina o vitello, o gelatine di pesci; poi arrosto di cappone e di vitello; poi frutta.

Lavate le mani, prima che si tolgano le tavole danno da bere e confetti di zucchero, poi ancora

da bere. D’estate invece si dà, sempre per cena, gelatina di gallina e cappone, di vitello, capretto,

maiale; o gelatina di pesci. Poi arrosto di pollo, capretto, vitello; o di papero, di anatra, o di altre

carni, secondo la disponibilità del momento; infine frutta. Lavate le mani, si procede come al

solito. Il secondo giorno dopo le nozze si danno lasagne di pasta col formaggio e lo zafferano,

13
Freedman, Le Spezie cit., p. 42.
9
lo zibibbo e le spezie. Poi arrosto di vitello e frutta. Per cena ciascuno se ne torna a casa sua; la

festa è finita. In periodo di Quaresima, prima si dà da bere con confetti di zucchero; indi fichi

con mandorle pelate, poi pesci grossi con salsa al pepe; indi minestra di riso con latte di

mandorle, zucchero e spezie [biancomangiare] e anguille salate. Dopo tutto questo si portano

lucci arrosto in salsa di aceto o di senape, con vino cotto e spezie. Poi danno le noci, ed altri

frutti. E dopo il lavaggio delle mani, prima che le tavole vengano tolte, l’ultima bevuta col solito

confetto di zucchero»14.

Alimenti.

Anzitutto è da sottolineare la differenza dal sistema romano – basato su pane, vino, olio – a

quello medievale, incentrato intorno a carne, vino, lardo, sostituito poi con l’olio.

La carne maggiormente consumata è quella di maiale e pecora ed è preferita a tutti gli altri

alimenti per presunte proprietà dietetiche. In particolare viene apprezzata quella grassa, al

contrario di quanto avviene oggi. Inizialmente ai potenti si associa l’idea di grandi mangiatori

di carne di maiale e selvaggina di grossa taglia, che esprime la forza – si pensi ad animali come

cinghiale, cervo, orso – mentre, dal XIV secolo, sono i volatili selvatici ad essere considerati

migliori perché esprimono leggerezza. Si passa, quindi, da una cultura altomedievale che esalta

la forza militare e guerriera a una cultura delle corti, che esalta la raffinatezza. In questo sistema

alimentare, il pesce diventa un simbolo di rinuncia. È mangiato e consumato moltissimo nei

giorni di magro come surrogato della carne ed è la fonte proteica di base per i monaci e gli

ecclesiastici. Particolarmente apprezzata era l’anguilla, perché facilmente conservabile dato che

resiste parecchio tempo fuori dall’acqua. Molto consumati erano anche l’aringa del baltico, che

dal XII secolo iniziò ad essere commerciata per tutta Europa, e il merluzzo, che si diffuse a

partire dal ‘400 circa ed entrò a far parte di molte tradizioni gastronomiche di alcuni paesi

dell’Europa meridionale15. Erano molto apprezzate anche le lamprede, i delfini e le focene.

14
Montanari, La Fame cit., pp. 91-92.
15
Si pensi alla grande diffusione di ricette di baccalà, in Italia, o di bacalao, in Portogallo.
10
I principali elementi grassi della cucina medievale sono lardo, burro e strutto, sostituiti dall’olio

nei paesi mediterranei. Le sostanze grasse, a differenza della cucina contemporanea che ha

subito l’influsso della gastronomia francese del XVI secolo, non erano molto usate per le

salse16. Erano, invece, utilizzati per le salse aceto, agresto, succo di agrumi e vino, ispessiti da

mollica di pane, fegato, mandorle, noci, tuorlo d’uovo, utilizzati come addensanti. Uno dei più

comuni addensanti usati oggi, la farina, non sembra fosse molto utilizzata per legare le salse.

Indicativa è la ricetta di un trattato inglese, consistente in un cigno arrosto accompagnato da

una salsa fatta con le interiora del cigno stesso, zenzero, galanga e pane colorato col sangue

dell’animale.

I cereali più utilizzati erano segale, avena, soglio, miglio, panico. Il frumento, la cui farina

permetteva di produrre il pane bianco, era riservato per i cittadini e per chi poteva permetterselo.

I legumi, come piselli, fave, ceci, cicerchie, insieme alle verdure erano associati a una dieta

contadina e monastica, poco adatta ai potenti. Un esempio è quello di Fra’ Salimbene da Parma,

figlio di una nobile famiglia, che nella sua Cronica, racconta la sua avversione verso i cavoli.

Fattosi frate francescano, a parte la prima sera durante la quale gli venne servito un sontuoso

banchetto, mangiò cavoli per quasi tutta la sua vita. Cavoli, rape, navoni, radici, insalate erano,

quindi, simbolo di povertà, rinuncia, non per niente i frati francescani, che basano su questi

valori la propria esistenza, li consumano. Un eccezione è rappresentata dalle novità introdotte

dagli arabi come melanzane, carciofi ed erbe di vario tipo.

Secondo la cultura medievale la frutta era molto adatta alla dieta aristocratica, sebbene non

andasse consumata cruda, nel pieno rispetto delle norme mediche di allora, si credeva, infatti

che fermentasse.

16
Le salse a base grassa come la besciamella o la maionese sono un’invenzione.
11
Relativamente ai formaggi, secondo le teorie dell’epoca non facevano male, se consumati a

piccole dosi. I gusti, tuttavia, superarono i dettami dietetici. Se ne fece, infatti, un grande uso

che accompagnò il successo della pasta.

Le spezie

Per essere considerata spezia, una sostanza dev’essere, secondo la concezione che nel medioevo

vi era di spezia, aromatica, cara ed esotica. L’unica eccezione è rappresentata dallo zafferano,

prodotto anche in Italia, che per il suo altissimo costo era considerato una spezia a tutti gli

effetti. Tra le caratteristiche delle spezie, non vi era l’edibilità del prodotto e il principio stesso

di commestibilità diffuso oggi sembra che, all’epoca, non esistesse o che fosse inteso in una

concezione piuttosto ampia. Erano diffuse, infatti, spezie che oggi non sarebbero considerate in

alcun modo commestibili, come la mumia, unica spezia di origine umana che Pegolotti dice

debba essere lucida, nera e maleodorante come la pece, o la tuzia, spezia ottenuta dal

grattamento derivante dalla pulizia delle canne fumarie dei camini di Alessandria d’Egitto.

Sebbene la maggior parte delle spezie fosse di origine vegetale, alcune potevano essere di

origine animale ed erano usate per realizzare prevalentemente profumi. L’ambra grigia – oggi

chiamata anche vomito di capodoglio, consistente nell’espettorato dello spermaceto, con un

aspetto simile a quello della pietra pomice – lo zibetto – spezia ottenuta dalle giandole perianali

dell’omonimo animale, appartenente alla medesima famiglia delle genette – il muschio –

ottenuto dalle ghiandole ricoperte di pelo che un piccolo cervide tibetano produce per marcare

il territorio, questo aroma, miscelato alla canfora, era alla base di un profumo chiamato pliris –

il castroleum – del quale anche l’enciclopedista fiorentino Brunetto Latini parla nella sua opera,

riportando un curioso ed inverosimile comportamento del castoro, animale dal quale era

ottenuto.

12
I suoi testicoli sono molto caldi e utili in medicina, per cui i contadini
lo inseguono per averli. Ma la natura, che insegna a ciascuno le proprie
caratteristiche, ha rivelato loro il motivo preciso per cui gli uomini li
cacciano; perciò quando si accorge che non se ne può andare, da se
stesso si trancia la borsa dei testicoli coi denti, e la getta davanti ai
cacciatori, e così riscatta il proprio corpo con la sua parte migliore; e da
allora in avanti se viene cacciato, scopre le cosce e mostra con evidenza
che è privo di testicoli17.
Le spezie, quindi, potevano essere usate anche al di fuori dell’ambito alimentare. Mumia e tuzia,

ad esempio, erano utilizzate per lo più con fini terapeutici, mentre ambra grigia, zibetto,

castroleum e muschio venivano usati per produrre profumi. Alcune spezie, come il legno di

sandalo e il sangue di drago, detto anche sandragon18, venivano usate nelle cucine aristocratiche

come coloranti e donavano incredibili tonalità alle salse, molto apprezzate e diffuse sulle tavole

medievali. Il sangue di drago sembra che fosse uno degli ingredienti principali dell’arte

miniaturistica medievale. Era, infatti, una sostanza utilizzata come pigmento, che restituiva un

intenso colore rosso usato per dipingere i corpi e le facce di diavoli e demoni, oltre alle fiamme

infernali.

Questi prodotti aromatici ed esotici venivano usati in quantità incredibili, come simbolo di

spreco e ostentazione, come dimostra l’incredibile quantità di spezie che furono acquistate in

occasione del matrimonio di Giorgio il Ricco, duca di Baviera, avvenuto nel 1476. Durante il

banchetto che seguì il lieto evento, sembra che siano stati usati: «174 kg di pepe, 129 di zenzero,

93 di zafferano, 92 di cannella, 47 di chiodi di garofano e solo 38 di noce moscata»19.

17
Brunetto Latini, Trésor, a cura di P. G. Beltrami, P. Squillacioti, P. Torri, S. Vatteroni, traduzione dal francese
antico a cura di P. Squillacioti, Einaudi, Torino 2007, p. 298 [«Ses coillons sont mout chauz et profitables en
medicine, por ce l’ensivent les paisanz por avoir ses coillons. Mes nature, qui a touz enseigne ses proprietez, lor
fait a savoir la propre achoison por quoi les homes le chacent; car la ou il aparçoivent que il ne s’en puent aler,
eaus meesmes tranchent ses coilles a ses denz, et les giete devant veneors, et ensi raembre son cors por cele
partie qui meillor est; et de lors en avant se l’en le chachast, il descovre ses cuises et mostre bien que il soit
escoilliez», Brunetto Latini, Trésor, p. 299].
18
Il sangue di drago è una sostanza ottenuta dalla linfa di alcune piante del genere dracaena. Per approfondire
relativamente al sangue di drago, si consiglia la lettura di M. Pastoureau, Il colore, in G. Castelnuovo e G. Sergi
(a cura di), Arti e storia nel Medioevo, vol. II, Del costruire: Tecniche, Artisti, Artigiani, Committenti, Einaudi,
Torino 2003, pp. 417-426.
19
Freedman, Le Spezie cit., p.16
13
L’uso abbondante di questi prodotti era giustificato anche per via delle convinzioni relative ai

processi digestivi, interpretati in maniera purgativa. L’esagerato nello speziare le pietanze

portava, infatti, ad espellere subito quanto mangiato. Questo processo digestivo molto rapido

era considerato positivo secondo le teorie mediche medievali, convinte che quanto più il cibo

restasse a ristagnare nel corpo umano, tanto più portasse a malattie e problemi digestivi.

Esistevano anche prodotti aromatici locali, come le erbe, ma, per via del loro basso costo, erano

considerate solamente sostituti generici delle spezie. Il valore economico di quest’ultime le

rendevano uno strumento valido per ottenere, attrarre, confermare uno status sociale elevato,

per questo motivo il loro consumo era ostentato pubblicamente, erano «oggetti del desiderio»,

al pari delle «vesti di seta, l’equipaggiamento per la caccia o i titoli e il lignaggio»20.

20
Freedman, Le Spezie cit., p. 17
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Fonti:

Brunetto Latini, Trésor, a cura di P. G. Beltrami, P. Squillacioti, P. Torri, S. Vatteroni, Einaudi,

Torino 2007;

Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia,Vol. I, Laterza, Bari 1966.

Bibliografia essenziale:

P. Freedman, Il gusto delle spezie nel medioevo, Il Mulino 2009;

M. Montanari, La fame e l’abbondanza. Storia dell’alimentazione in Europa, Laterza 2006

(1993);

M. Montanari, Gusti del medioevo. I prodotti, la cucina, la tavola, Laterza 2014;

M. Pastoureau, Bestiari nel medioevo, Einaudi, Torino 2012 (2011);

C. Santini, Il Giardino di versailles. Natura, artificio, modello, Olschki, Firenze 2007.

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