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Introduzione
La passione verso la storia e la cucina, ambiti di notevole interesse che si sono posti al centro
Infatti, la storia dell’alimentazione è una storia culturale, una storia di come l’uomo abbia
definito sé stesso e il mondo che lo circonda in base al cibo, alla sua preparazione, ai complessi
rituali con forte valenza sociale e culturale, nonché religiosa, che definiscono il sistema
alimentare alla base di numerose culture. È necessario, anzitutto, dare una definizione di cucina.
Secondo il vocabolario Treccani, per cucina si intende un «ambiente […] in cui si preparano e
estremamente naturale del nutrirsi si lega ad una serie di istanze culturali e sociali molto forti
che portano alla definizione di alimentazione e anche di cucina. Secondo Massimo Montanari,
per cucina si intende «tutto ciò che, manipolando e combinando i prodotti di base, porta a
realizzare ciò che poi mangeremo»2, in un complesso sistema nel quale i ritmi naturali sono
adottati e rielaborati dall’uomo che, attraverso una serie di saperi, trasforma le materie prime in
cibo, dandogli forma, colore e sapore. Questo processo è la «fase culturale per eccellenza»3
nella quale entrano in gioco le principali conoscenze e tecniche conosciute da una data cultura
storica, sociale, geografica. Per questo motivo lo studio dell’alimentazione, della cucina e del
valore sociale che si nasconde dietro al cibo è interessante ed utile e permette di approfondire
la conoscenza di un dato popolo, della sua cultura e dei suoi valori. I complessi rituali legati al
cibo si legano in maniera inscindibile alla società che li ha prodotti e da sempre il cibo di culture
1
Aa. Vv., Treccani. Vocabolario On Line, voce cucina.
2
M. Montanari, Gusti del Medioevo. I Prodotti, la Cucina, la Tavola, p. 50.
3
Ibid.
1
lontane affascina ed attrae. Nella cultura occidentale ed europea odierna, c’è un proliferare di
donando un piccolo spaccato di vita quotidiana. In Italia, ai locali a tema asiatico, tra i quali i
ristoranti cinesi sono stati gli apripista per i successivi giapponesi, thailandesi, indiani e molti
altri, sono seguiti, negli ultimi anni, attività che propongono una cucina (o più spesso una
rielaborazione delle pratiche culinarie del posto in chiave turistica) africana o sud americana.
Si pensi ai ristoranti messicani, caraibici, o ai vari street food che propongono un’alimentazione
del nord africa. Lo stesso processo che porta alla conoscenza della cultura e dei valori di una
data società - che nel caso sopra descritto permette di rompere le barriere spaziali, avendo un
piccolo spaccato di una realtà diversa relativamente vicino a casa - può essere usato dagli storici
per rompere le barriere spazio temporali così da restituire informazioni utili a comprendere
diversi aspetti della società del passato. Lo studio delle pratiche alimentari nel tempo può,
Utili premesse
Nello studio della cucina nel passato, lo storico, deve aver ben presente alcune tappe
fondamentali nella storia alimentare, che – anche se non riguardano il tema in oggetto – è
necessario specificare per meglio farsi un’idea della cronologia che riguarda l’argomento.
diacroniche molto importanti. La prima è rappresentata dalla scoperta delle Americhe, che ha
portato ad una vera e propria rivoluzione, con cambiamenti vastissimi dei prodotti alimentari. I
nuovi alimenti provenienti dalle Americhe, infatti, hanno sostituito gradualmente alcune delle
materie prime europee. Alcuni dei prodotti americani che si sono imposti maggiormente sono
il mais, che ha sostituito i cereali minori come il miglio, e le patate, che hanno sostituito rape e
navoni. La loro importanza dal punto di vista della cucina si può notare nella produzione della
2
polenta o degli gnocchi. Entrambe le pietanze erano già conosciute nel medioevo e
nell’antichità ma erano prodotte con cereali minori la prima e con acqua e farina i secondi (in
maniera simile agli spätzle consumati abitualmente nell’area centro europea). Oggigiorno, in
quelli di patata. Le pietanze che per secoli sono state preparate in maniera diversa, sono
scomparse dalla nostra cultura gastronomica o ne fanno comparsa in qualità di curiosità locali
Per comprendere quanto la rivoluzione alimentare iniziata con la scoperta delle Americhe sia
stata importante, basti pensare ai due piatti italiani più conosciuti all’estero, la pasta al
che è diventato ingrediente fondamentale di molte salse. Altre materie prime che affiancano il
pomodoro, la patata e il mais nella costruzione della nuova alimentazione europea sono i
fagioli4, i peperoni, il peperoncino, la zucca tonda, il cacao, il tacchino. Alcuni di questi prodotti
si sono rivelati piuttosto facili da coltivare e con una resa decisamente maggiore rispetto ai
corrispettivi europei che hanno sostituito. Ritornando alla patata e al mais, proprio le
caratteristiche nutrizionali e la facilità nella coltivazione hanno portato allo sviluppo, per la
prima volta in alcune aree d’Europa, delle monocolture. Questo si è rivelato fondamentale per
4
In Europa, l’unico tipo di fagiolo conosciuto ed utilizzato nel medioevo è quello che viene
tradizionalmente chiamato fagiolo dall’occhio, di colore bianco avorio con una caratteristica macchia
nera, più piccolo dei tradizionali fagioli di origine americana.
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Quest’ultima è una malattia alimentare causata da una carenza vitaminica ed era particolarmente
diffusa nelle aree rurali dell’Italia settentrionale dove si consumavano in prevalenza polente di mais o
di sorgo, cereali che non contengono la vitamina PP.
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L’alimentazione della popolazione che viveva in Irlanda agli inizi del XIX secolo consisteva
prevalentemente in patate, che fornivano l’adeguato apporto di carboidrati e proteine. La maggioranza
delle coltivazioni era di questo tubero, che aveva sostituito i cereali, divenuti troppo costosi e quindi
difficilmente accessibili ai meno abbienti. Dagli anni venti dell’800, una serie di rigidi inverni, causò
molti danni ai raccolti e nel 1845 la diffusione di un oomicete, la peronospora della patata, fece
perdere quasi la metà del raccolto dando inizio, in una situazione già di grave disagio e indebolimento
3
L'altra tappa diacronica fondamentale è piuttosto recente. Dal dopoguerra, le innovazioni nel
campo della conservazione degli alimenti e la nuova economia mondiale hanno favorito, nel
migliaia di anni di evoluzione. Prima del consumismo di massa ogni nucleo famigliare delle
aree rurali aveva il proprio orto e coltivava almeno una parte dei prodotti che consumava.
origine vegetale, fin dalle origini dell’agricoltura. Gli alimenti erano stagionali e solo pochi
potevano permettersi di rompere le barriere spazio temporali procurandosi frutta e verdura non
di stagione. Servire fragole in ogni periodo dell’anno, come faceva Luigi XIV che le aveva fatte
perfezionare nelle serre reali di Versailles, equivaleva a portare in tavola un alimento esotico,
era sinonimo di lusso e ricchezza7. Oggi il consumismo di massa permette di acquistare ogni
una quantità di calorie molto alta. Come sottolinea bene Massimo Montanari, si è passati da
una società che aveva da sempre la paura della “pancia vuota” a una che ha la paura della
“pancia piena”8. L’uomo, da quando è sulla terra, si è trovato a dover affrontare crisi alimentari
e ha cercato con ogni mezzo di sopperire a eventuali carenze inventando o adattando tecniche
di conservazioni degli alimenti. In pochi decenni, la storia alimentare, almeno per quanto
più nell’eccesso di cibo ma nella capacità di non farsi trascinare in questo surplus calorico.
alimentare, ad una carestia che causò la morte di circa un milione di persone e l’emigrazione di
altrettanti irlandesi.
7
Per un approfondimento suggerisco di leggere il manuale C. Santini, Il Giardino di Versailles.
Natura, Artificio, Modello, Olschki, Firenze 2007.
8
Montanari, Gusti del Medioevo cit., p. 87.
4
quanto le conoscenze relative alla produzione e alla manipolazione delle materie prime, alle
Per quanto riguarda la cucina medievale, in primo luogo, è necessario sfatare alcuni falsi miti
che la circondano. Molti si immaginano la cucina nel medioevo come una cucina povera, vicina
alla tradizione casalinga dei nostri nonni, semplice, grezza, poco artificiosa. L’immagine che,
più di tutte, è ricorrente è quella di un maiale che gira su uno spiedo e di un grande pentolone
nel quale sobbollono zuppe di verdure e cereali. Per quanto possa essere vero che la cucina
povera sia rimasta relativamente simile per secoli, quella delle classi sociali elevate, borghesi e
nobili era una cucina molto elaborata, ricca di sapori e spezie. Altro grande mito che ha trovato
posto tra i libri di scuola, e dai quali solo recentemente sta sparendo, è quello delle spezie
utilizzate per coprire l’odore di marcio delle carni, perché nel medioevo si mangiavano carni
permettersi di acquistarle, senza ombra di dubbio, poteva procurarsi con facilità dei prodotti
carnei e ittici freschi. Inoltre, le leggi statutarie relative alla vendita dei pesci e delle carni sono
piuttosto precise a riguardo e puniscono severamente quei pescivendoli o quei macellai che
Fonti
e borghese. Infatti, citando Montanari, «il borghese, più del nobile, ha bisogno di sottolineare
la propria ricchezza e ascesa sociale»10 Tra XII e XIII secolo si sviluppa una nuova distinzione
basata sull’eleganza e la raffinatezza più che sulla forza. Un rinnovato interesse verso il cibo si
sviluppa a partire dal XIII secolo, quando fanno la loro comparsa i primi trattati di cucina. Tra
9
Comunemente, per quanto riguarda i pesci, a quelli avanzati dalla vendita del giorno precedente era
tagliata la coda, così da renderli immediatamente riconoscibili.
10
M. Montanari, La fame e l’Abbondanza. Storia dell’Alimentazione in Europa, p. 79.
5
questi i più famosi sono il Liber de coquina del XIV secolo, di produzione Siciliana, un
Anonimo toscano, il Viandier del XIV secolo, di Guillaume Tirel, detto Taillevent, cuoco dei
re di Francia, il Trattato di Maestro Chiquart degli inizi del ‘400, il Liber de arte coquinaria di
Questi testi testimoniano l’affermarsi di una koiné gastronomica europea che ha caratterizzato
Cucina e Alimentazione
Ai giorni nostri la cucina tende a proporre il gusto naturale delle cose. In epoca medievale era
diffusa una cucina del contrasto, basata sulla ricerca del punto zero, dell’equilibrio, tramite
l’utilizzo di gusti forti. Prevalevano, quindi, l’agrodolce e il piccante ed erano piuttosto comuni
Cucina dell’artificio.
La ricerca dei colori e della sorpresa, con l’obbiettivo di far sembrare determinate cose diverse
è caratteristica della cucina elitaria medievale. Quest’ultima si presenta come una pratica
gastronomica molto raffinata, nella quale sono comuni sculture di zucchero ed effetti
spettacolari, abbondante uso di spezie e canditi. Questo perché, in epoca medievale, la cucina è
in primo luogo ostentazione del lusso, della ricchezza. Ciò non toglie che vi fosse una
particolare attenzione e cura per evitare gli sprechi, dimostrando un profondo rispetto verso il
cibo. La regola monastica del maestro, ad esempio, raccomanda di raccogliere ogni briciola di
pane dopo i pasti per ricomporle, a fine settimana, in forma di torta. Insomma, la cucina
medievale si costruiva su un insieme specifico di gusti, in cui trovavano posto anche la passione
per la magnificenza dell’esibizione, per i colori, la sorpresa e gli effetti speciali, si pensi alle
principali distinzioni che si possono cogliere tra cucina povera e cucina ricca non sono tanto
nella qualità quanto nella quantità. La dieta dei meno abbienti era basata, per lo più, sul consumo
di ortaggi, cipolle, porri e aglio. Le fonti proteiche principali erano composte da carni salate e
freschi e spezie, simbolo della ricchezza e del potere. L’uso di prodotti locali è tipico dei ceti
meno facoltosi della società bassomedievale. Infatti, il superamento del territorio realizzato
importando prodotti esotici o fuori stagione, è un obbiettivo di prestigio. La tavola del principe
Obblighi liturgici.
La cucina medievale è anche caratterizzata da una forte distinzione tra periodi di grasso e
periodi di magro, basati sugli obblighi liturgici. Durante i periodi di magro non poteva essere
consumata la carne e i prodotti di origine animale, ad esclusione del pesce. In circa un anno
solare, i giorni di magro erano tra i 140/160, un numero incredibilmente alto, che imponeva alla
storico. La cucina di magro imponeva la sostituzione della carne con un surrogato considerato,
all’epoca, di minor pregio e valore nutritivo, il pesce (si pensi al biancomangiare di pesce
persico).
Altro fattore che caratterizza fortemente la cucina medievale sono le convinzioni dietetiche e
mediche del tempo che, di pari passo con la cucina, dettano le regole alimentari, sebbene
talvolta vengano superate dai gusti. Si pensava, infatti, che la carne e la frutta non andassero
11
Sembrano essere numerosi i prodotti che, nel tentativo di rispondere alle esigenze di conservazione degli
alimenti, sono nati e sono entrati a far parte della tradizione culinaria locale. Prodotti tipicamente italiani come
il formaggio grana o il prosciutto crudo, o stranieri come lo skyr, una sorta di latte fermentato di origine
islandese, sono abbondantemente consumati ancora oggi.
7
consumate nei medesimi tempi per una migliore digestione. Eppure il gusto verso un
accostamento, ancora molto apprezzato ai giorni nostri, come quello di melone e prosciutto,
fece sì che questa accoppiata si affermasse nella cultura gastronomica della penisola del XIV
secolo e perdurasse nei secoli, anche in contrasto con le teorie mediche di allora.
Secondo la teoria degli umori, ogni alimento va cotto secondo quella che è la sua natura. Ad
esempio, per le carni secche, quindi di animali vecchi o sotto sale, era preferibile la cottura in
acqua. Secondo le conoscenze dell’epoca, basate per lo più sullo studio di medici dell’antichità
come Ippocrate o Galeno, lo stomaco era come una caldaia. Doveva, quindi, essere riscaldato e
preparato. Per questo motivo i servizi seguivano questo ordine: carni lesse, poi arrosto, poi fritte
e dolci, infatti «le teorie mediche dell’epoca concepivano lo stomaco come una sorta di forno
in cui il cibo veniva cotto o comunque trattato […]. Lo stomaco doveva essere preparato o in
qualche modo riscaldato. Questo imponeva che i piatti bolliti, di più facile digestione,
comparissero subito dopo l’inizio del banchetto, prima degli arrosti, saporiti, ma anche più
impegnativi per l’apparato digestivo, e che per ultimi venissero i preparati che erano considerati
Il banchetto si configura come il momento di massima ostentazione della ricchezza e del potere.
Ad esempio il banchetto del marchese Bonifacio di Canossa per le nozze con Beatrice di
Lorena, avvenuto nel 1037 e durato 3 mesi. Ancor più esemplare è il caso del banchetto indetto
nel Settembre del 1465 in onore di Richard Neville, che si insediava come arcivescovo di York.
Il banchetto avvenne durante un periodo piuttosto critico della guerra delle due rose ed era
importante trasmettere dei chiari messaggi sociali e di potere. Le ordinazioni ci informano che
l’ammontare delle carni è: «104 buoi, 1000 pecore, 304 vitelli, 2000 maiali, 304 porcellini da
latte, 4000 conigli, 204 capretti e 6 tori bradi. Questo equivale a quasi 10 kg di carne a persona
12
P. Freedman, Il Gusto delle Spezie nel Medioevo, Il Mulino 2009, p. 47.
8
(ipotizzando tremila presenze) [a cui sono da aggiungere] 504 cervi, daini e caprioli, insieme a
pasticci di cacciagione, caldi e freddi», 200 tarabusi (uccellini di piccola taglia), 400 cigni, 400
pappagalli, 204 gru, 2000 esemplari di pollame domestico, 4000 piccioni, 7000 capponi, 4
focene e 8 foche più una quantità non precisata di pesci e frutti di mare per i giorni di magro13.
Un banchetto come questo è un caso unico e isolato ma testimonia il gusto per l’ostentazione e
meno importanti, si ritrova la medesima attenzione per l’ostentazione, seppur in scala più
ridotta. Ce ne offre un’ottima descrizione il cronista Giovanni de Mussis, che in questi toni
descrive la città di Piacenza nel 1388: «nel cibo tutti fanno meraviglie, soprattutto nei banchetti
di nozze che per lo più seguono questo ordine: vini bianchi e rossi per cominciare, ma prima di
tutto confetti di zucchero. Come prima portata danno un cappone o due, e un grande pezzo di
carne per ciascun tagliere, cotto alla lampada con mandorle e zucchero ed altre buone spezie.
Poi danno carni arrostite in gran quantità, ossia capponi, polli, fagiani, pernici, lepri, cinghiali,
caprioli o altro, secondo la stagione dell’anno. Poi danno torte e giuncate, con confetti di
zucchero sopra. Poi frutta. Infine, dopo aver lavate le mani, prima che si levino le tavole si dà
da bere e un confetto di zucchero, e poi ancora da bere. Al posto delle torte e delle giuncate,
alcuni danno all’inizio del pranzo delle torte fatte con uova, formaggio e latte, con sopra una
buona quantità di zucchero. Per cena si danno, all’inverno, gelatine di carni selvatiche, di
cappone, gallina o vitello, o gelatine di pesci; poi arrosto di cappone e di vitello; poi frutta.
Lavate le mani, prima che si tolgano le tavole danno da bere e confetti di zucchero, poi ancora
da bere. D’estate invece si dà, sempre per cena, gelatina di gallina e cappone, di vitello, capretto,
maiale; o gelatina di pesci. Poi arrosto di pollo, capretto, vitello; o di papero, di anatra, o di altre
carni, secondo la disponibilità del momento; infine frutta. Lavate le mani, si procede come al
solito. Il secondo giorno dopo le nozze si danno lasagne di pasta col formaggio e lo zafferano,
13
Freedman, Le Spezie cit., p. 42.
9
lo zibibbo e le spezie. Poi arrosto di vitello e frutta. Per cena ciascuno se ne torna a casa sua; la
festa è finita. In periodo di Quaresima, prima si dà da bere con confetti di zucchero; indi fichi
con mandorle pelate, poi pesci grossi con salsa al pepe; indi minestra di riso con latte di
mandorle, zucchero e spezie [biancomangiare] e anguille salate. Dopo tutto questo si portano
lucci arrosto in salsa di aceto o di senape, con vino cotto e spezie. Poi danno le noci, ed altri
frutti. E dopo il lavaggio delle mani, prima che le tavole vengano tolte, l’ultima bevuta col solito
confetto di zucchero»14.
Alimenti.
Anzitutto è da sottolineare la differenza dal sistema romano – basato su pane, vino, olio – a
quello medievale, incentrato intorno a carne, vino, lardo, sostituito poi con l’olio.
La carne maggiormente consumata è quella di maiale e pecora ed è preferita a tutti gli altri
alimenti per presunte proprietà dietetiche. In particolare viene apprezzata quella grassa, al
contrario di quanto avviene oggi. Inizialmente ai potenti si associa l’idea di grandi mangiatori
di carne di maiale e selvaggina di grossa taglia, che esprime la forza – si pensi ad animali come
cinghiale, cervo, orso – mentre, dal XIV secolo, sono i volatili selvatici ad essere considerati
migliori perché esprimono leggerezza. Si passa, quindi, da una cultura altomedievale che esalta
la forza militare e guerriera a una cultura delle corti, che esalta la raffinatezza. In questo sistema
giorni di magro come surrogato della carne ed è la fonte proteica di base per i monaci e gli
ecclesiastici. Particolarmente apprezzata era l’anguilla, perché facilmente conservabile dato che
resiste parecchio tempo fuori dall’acqua. Molto consumati erano anche l’aringa del baltico, che
dal XII secolo iniziò ad essere commerciata per tutta Europa, e il merluzzo, che si diffuse a
partire dal ‘400 circa ed entrò a far parte di molte tradizioni gastronomiche di alcuni paesi
14
Montanari, La Fame cit., pp. 91-92.
15
Si pensi alla grande diffusione di ricette di baccalà, in Italia, o di bacalao, in Portogallo.
10
I principali elementi grassi della cucina medievale sono lardo, burro e strutto, sostituiti dall’olio
nei paesi mediterranei. Le sostanze grasse, a differenza della cucina contemporanea che ha
subito l’influsso della gastronomia francese del XVI secolo, non erano molto usate per le
salse16. Erano, invece, utilizzati per le salse aceto, agresto, succo di agrumi e vino, ispessiti da
mollica di pane, fegato, mandorle, noci, tuorlo d’uovo, utilizzati come addensanti. Uno dei più
comuni addensanti usati oggi, la farina, non sembra fosse molto utilizzata per legare le salse.
una salsa fatta con le interiora del cigno stesso, zenzero, galanga e pane colorato col sangue
dell’animale.
I cereali più utilizzati erano segale, avena, soglio, miglio, panico. Il frumento, la cui farina
permetteva di produrre il pane bianco, era riservato per i cittadini e per chi poteva permetterselo.
I legumi, come piselli, fave, ceci, cicerchie, insieme alle verdure erano associati a una dieta
contadina e monastica, poco adatta ai potenti. Un esempio è quello di Fra’ Salimbene da Parma,
figlio di una nobile famiglia, che nella sua Cronica, racconta la sua avversione verso i cavoli.
Fattosi frate francescano, a parte la prima sera durante la quale gli venne servito un sontuoso
banchetto, mangiò cavoli per quasi tutta la sua vita. Cavoli, rape, navoni, radici, insalate erano,
quindi, simbolo di povertà, rinuncia, non per niente i frati francescani, che basano su questi
Secondo la cultura medievale la frutta era molto adatta alla dieta aristocratica, sebbene non
andasse consumata cruda, nel pieno rispetto delle norme mediche di allora, si credeva, infatti
che fermentasse.
16
Le salse a base grassa come la besciamella o la maionese sono un’invenzione.
11
Relativamente ai formaggi, secondo le teorie dell’epoca non facevano male, se consumati a
piccole dosi. I gusti, tuttavia, superarono i dettami dietetici. Se ne fece, infatti, un grande uso
Le spezie
Per essere considerata spezia, una sostanza dev’essere, secondo la concezione che nel medioevo
vi era di spezia, aromatica, cara ed esotica. L’unica eccezione è rappresentata dallo zafferano,
prodotto anche in Italia, che per il suo altissimo costo era considerato una spezia a tutti gli
effetti. Tra le caratteristiche delle spezie, non vi era l’edibilità del prodotto e il principio stesso
di commestibilità diffuso oggi sembra che, all’epoca, non esistesse o che fosse inteso in una
concezione piuttosto ampia. Erano diffuse, infatti, spezie che oggi non sarebbero considerate in
alcun modo commestibili, come la mumia, unica spezia di origine umana che Pegolotti dice
debba essere lucida, nera e maleodorante come la pece, o la tuzia, spezia ottenuta dal
grattamento derivante dalla pulizia delle canne fumarie dei camini di Alessandria d’Egitto.
Sebbene la maggior parte delle spezie fosse di origine vegetale, alcune potevano essere di
origine animale ed erano usate per realizzare prevalentemente profumi. L’ambra grigia – oggi
aspetto simile a quello della pietra pomice – lo zibetto – spezia ottenuta dalle giandole perianali
ottenuto dalle ghiandole ricoperte di pelo che un piccolo cervide tibetano produce per marcare
il territorio, questo aroma, miscelato alla canfora, era alla base di un profumo chiamato pliris –
il castroleum – del quale anche l’enciclopedista fiorentino Brunetto Latini parla nella sua opera,
riportando un curioso ed inverosimile comportamento del castoro, animale dal quale era
ottenuto.
12
I suoi testicoli sono molto caldi e utili in medicina, per cui i contadini
lo inseguono per averli. Ma la natura, che insegna a ciascuno le proprie
caratteristiche, ha rivelato loro il motivo preciso per cui gli uomini li
cacciano; perciò quando si accorge che non se ne può andare, da se
stesso si trancia la borsa dei testicoli coi denti, e la getta davanti ai
cacciatori, e così riscatta il proprio corpo con la sua parte migliore; e da
allora in avanti se viene cacciato, scopre le cosce e mostra con evidenza
che è privo di testicoli17.
Le spezie, quindi, potevano essere usate anche al di fuori dell’ambito alimentare. Mumia e tuzia,
ad esempio, erano utilizzate per lo più con fini terapeutici, mentre ambra grigia, zibetto,
castroleum e muschio venivano usati per produrre profumi. Alcune spezie, come il legno di
sandalo e il sangue di drago, detto anche sandragon18, venivano usate nelle cucine aristocratiche
come coloranti e donavano incredibili tonalità alle salse, molto apprezzate e diffuse sulle tavole
medievali. Il sangue di drago sembra che fosse uno degli ingredienti principali dell’arte
miniaturistica medievale. Era, infatti, una sostanza utilizzata come pigmento, che restituiva un
intenso colore rosso usato per dipingere i corpi e le facce di diavoli e demoni, oltre alle fiamme
infernali.
Questi prodotti aromatici ed esotici venivano usati in quantità incredibili, come simbolo di
spreco e ostentazione, come dimostra l’incredibile quantità di spezie che furono acquistate in
occasione del matrimonio di Giorgio il Ricco, duca di Baviera, avvenuto nel 1476. Durante il
banchetto che seguì il lieto evento, sembra che siano stati usati: «174 kg di pepe, 129 di zenzero,
17
Brunetto Latini, Trésor, a cura di P. G. Beltrami, P. Squillacioti, P. Torri, S. Vatteroni, traduzione dal francese
antico a cura di P. Squillacioti, Einaudi, Torino 2007, p. 298 [«Ses coillons sont mout chauz et profitables en
medicine, por ce l’ensivent les paisanz por avoir ses coillons. Mes nature, qui a touz enseigne ses proprietez, lor
fait a savoir la propre achoison por quoi les homes le chacent; car la ou il aparçoivent que il ne s’en puent aler,
eaus meesmes tranchent ses coilles a ses denz, et les giete devant veneors, et ensi raembre son cors por cele
partie qui meillor est; et de lors en avant se l’en le chachast, il descovre ses cuises et mostre bien que il soit
escoilliez», Brunetto Latini, Trésor, p. 299].
18
Il sangue di drago è una sostanza ottenuta dalla linfa di alcune piante del genere dracaena. Per approfondire
relativamente al sangue di drago, si consiglia la lettura di M. Pastoureau, Il colore, in G. Castelnuovo e G. Sergi
(a cura di), Arti e storia nel Medioevo, vol. II, Del costruire: Tecniche, Artisti, Artigiani, Committenti, Einaudi,
Torino 2003, pp. 417-426.
19
Freedman, Le Spezie cit., p.16
13
L’uso abbondante di questi prodotti era giustificato anche per via delle convinzioni relative ai
portava, infatti, ad espellere subito quanto mangiato. Questo processo digestivo molto rapido
era considerato positivo secondo le teorie mediche medievali, convinte che quanto più il cibo
restasse a ristagnare nel corpo umano, tanto più portasse a malattie e problemi digestivi.
Esistevano anche prodotti aromatici locali, come le erbe, ma, per via del loro basso costo, erano
rendevano uno strumento valido per ottenere, attrarre, confermare uno status sociale elevato,
per questo motivo il loro consumo era ostentato pubblicamente, erano «oggetti del desiderio»,
20
Freedman, Le Spezie cit., p. 17
14
Fonti:
Torino 2007;
Bibliografia essenziale:
(1993);
15