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Lo Stato minimale
Lo stato minimale è una forma di Stato che si caratterizza per la limitazione delle sue funzioni e
competenze. In particolare, lo Stato minimale si concentra sulla tutela dei diritti fondamentali dei
cittadini, senza intervenire in modo significativo nell'economia e nella società.
Le funzioni dello Stato minimale sono limitate a pochi compiti essenziali, tra cui la garanzia della
sicurezza, della giustizia e della protezione dei diritti individuali. Inoltre, lo Stato minimale ha il
compito di garantire l'eguaglianza formale dei cittadini davanti alla legge, senza perseguire
forme di eguaglianza sostanziale.
A differenza dello Stato sociale, che si prefigge di ridurre le disuguaglianze sociali attraverso
politiche di welfare e interventi pubblici nell'economia, lo Stato minimale predilige il rispetto
della libertà individuale e della proprietà privata. Secondo questa visione, l'intervento dello Stato
nell'economia può causare inefficienze e distorsioni del mercato, limitando la libertà individuale e
ostacolando lo sviluppo economico.
Tuttavia, va sottolineato che esistono diverse interpretazioni del concetto di stato minimale e che
la sua attuazione pratica può variare a seconda del contesto storico-culturale in cui viene
applicato. Ad esempio, alcuni sostenitori dello stato minimale ritengono che lo Stato debba avere
un ruolo più attivo nella regolamentazione del mercato per prevenire abusi da parte delle grandi
imprese o per garantire la concorrenza.
In generale, il concetto di stato minimale rappresenta una delle principali idee guida della teoria
politica e dell'economia liberale, ed è stato oggetto di dibattito e critica da parte di diverse
correnti di pensiero.
Le funzioni dei diritti di proprietà (funzione di garanzia del mercato) e delle deleghe di
governo societario.
In particolare, il modello renano-nipponico prevede che la proprietà delle imprese sia detenuta
da un numero limitato di azionisti, spesso rappresentati da famiglie o gruppi di interesse. Questi
azionisti hanno un forte legame con l'impresa e ne condividono gli obiettivi a lungo termine,
contribuendo alla sua gestione e sviluppo.
Il modello anglosassone si differenzia dal modello renano-nipponico per la maggiore enfasi sul
valore della proprietà azionaria e per la minore attenzione alla stabilità a lungo termine
dell'impresa stessa. Inoltre, il modello anglosassone prevede una maggiore concorrenza tra le
imprese e una minore collaborazione tra le imprese e lo Stato.
l modello di attribuzione dei diritti di proprietà in Italia e in Francia si basa sulla supervisione
delle imprese da parte delle famiglie proprietarie o dello Stato. In entrambi i paesi, molte imprese
di tutte le dimensioni sono controllate e supervisionate da famiglie che spesso sono coinvolte
direttamente nella gestione.
In Italia, il decreto legislativo 58/1988 (Testo Unico della Finanza) disciplina l'offerta al pubblico di
strumenti finanziari e la loro negoziazione sui mercati regolamentati. Il decreto stabilisce le
regole per l'emissione e la negoziazione delle azioni e degli altri strumenti finanziari emessi dalle
società quotate in borsa. Tuttavia, il mercato borsistico italiano ha una scarsa rilevanza rispetto ad
altri paesi europei come la Germania o il Regno Unito. Ciò è dovuto in parte alla presenza di
numerose piccole e medie imprese a conduzione familiare che non hanno interesse a quotarsi in
borsa.
In Francia, il sistema economico si caratterizza per la presenza di grandi gruppi industriali
controllati da poche famiglie o dallo Stato. Inoltre, esiste una forte tradizione cooperativa nel
paese. Il modello renano nipponico dell'impresa consociativa è un modello d'impresa a proprietà
ristretta che si basa sui rapporti di proprietà e fiducia come principali ingredienti del controllo
societario.
Più recentemente, la riforma Draghi si riferisce alle politiche economiche e alle riforme
promosse dal governo guidato dall'ex Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi,
dopo essere diventato il Primo Ministro italiano nel 2021. La riforma Draghi mira a stimolare la
ripresa economica del Paese e affrontare le sfide strutturali a lungo termine.
La riforma Draghi mira anche a promuovere una maggiore coesione sociale e a ridurre le
disuguaglianze. Questo è un aspetto importante per affrontare alcune delle criticità che il
modello italiano può presentare, come la dualità del mercato del lavoro, l'elevata evasione fiscale
e la limitata competitività di alcune imprese.
Un altro aspetto che merita attenzione nel contesto italiano è la presenza di una dimensione
regionale significativa. L'Italia è caratterizzata da una notevole diversità economica tra le sue
regioni, con alcune aree più sviluppate e altre più arretrate. La riforma Draghi dovrebbe
affrontare anche questa disparità regionale, promuovendo politiche volte a stimolare la crescita
economica nelle regioni meno sviluppate.
Infine, la riforma Draghi deve anche affrontare la sfida di conciliare gli obiettivi di crescita
economica con la sostenibilità ambientale. Ciò implica promuovere la transizione verso
un'economia a basse emissioni di carbonio, incoraggiare l'adozione di tecnologie pulite e
promuovere l'efficienza energetica.
In conclusione, il modello italiano in politica economica combina elementi del modello renano e
altre influenze, con una particolare attenzione alle imprese familiari. La riforma Draghi
rappresenta un'importante iniziativa per stimolare la ripresa economica del Paese, affrontare le
sfide strutturali e promuovere la coesione sociale. Tuttavia, la sua implementazione richiederà
sforzi congiunti e la capacità di superare le sfide politiche e operative.
L’impresa pubblica
L'impresa pubblica è un'azienda che è di proprietà e gestita dallo Stato o da altre autorità
pubbliche. L'obiettivo principale dell'impresa pubblica è quello di fornire beni e servizi alla
collettività, piuttosto che generare profitti per i proprietari. Ciò significa che l'impresa pubblica
può essere utilizzata come strumento per raggiungere obiettivi specifici, come l'efficienza
allocativa, l'occupazione, lo sviluppo regionale e settoriale, nonché per una maggiore coerenza
delle scelte aziendali con gli obiettivi pubblici.
L'impresa pubblica può essere creata per diversi motivi. Ad esempio, può essere creata per
fornire servizi essenziali alla popolazione, come l'acqua potabile o l'elettricità. In questo caso, il
governo può ritenere che la fornitura di questi servizi sia troppo importante per essere lasciata al
mercato privato. In altri casi, l'impresa pubblica può essere creata per promuovere lo sviluppo
economico in una determinata regione o settore.
In generale, si ritiene che la privatizzazione possa portare a una maggiore efficienza economica e
a una riduzione del debito pubblico. Ciò è dovuto al fatto che le imprese private sono
generalmente più efficienti delle imprese pubbliche nella gestione delle attività commerciali.
Inoltre, la privatizzazione può portare a un aumento degli investimenti privati e della concorrenza
nel settore, il che può migliorare la qualità dei servizi offerti ai consumatori.
Tuttavia, ci sono anche alcune preoccupazioni riguardo alla privatizzazione. Ad esempio, alcuni
sostengono che la privatizzazione possa portare a un aumento dei prezzi per i consumatori e a
una riduzione della qualità dei servizi offerti. Inoltre, la privatizzazione può portare alla perdita di
posti di lavoro per i dipendenti dell'impresa pubblica. In ogni caso, la decisione di privatizzare o
mantenere un'impresa pubblica dipende dalle circostanze specifiche del paese e del settore in
questione.
Il movimento di privatizzazione delle imprese pubbliche in molti paesi occidentali tra gli anni
Ottanta e Novanta è stato motivato da diverse ragioni:
1. Ideologia di libero mercato: Durante quegli anni, c'era un'ampia diffusione delle idee del
libero mercato e del neoliberalismo, che sostenevano che il settore privato fosse più
efficiente nell'allocazione delle risorse rispetto al settore pubblico. Questa ideologia ha
spinto molti governi a favorire la privatizzazione come mezzo per migliorare l'efficienza
economica e ridurre il ruolo dello Stato nell'economia.
2. Necessità di risanamento fiscale: Molte imprese pubbliche in quel periodo erano gravate
da pesanti debiti e inefficienze operative, creando un onere finanziario per i bilanci
pubblici. La privatizzazione veniva vista come una via per ridurre il debito pubblico e
alleggerire il carico finanziario sul governo, permettendo allo stesso tempo di migliorare
l'efficienza delle imprese attraverso la disciplina del mercato.
3. Apertura all'integrazione economica globale: Negli anni Ottanta e Novanta, molti paesi
stavano affrontando la globalizzazione e cercavano di integrarsi meglio nell'economia
globale. La privatizzazione delle imprese pubbliche era vista come una forma di
liberalizzazione economica che favoriva gli investimenti esteri e la partecipazione al
mercato globale.
5. Attenzione alla gestione privata: Si riteneva che la gestione privata potesse portare
competenze manageriali più avanzate e un focus maggiore sulla redditività e
sull'orientamento al mercato. La privatizzazione consentiva di attirare investitori privati
con esperienza nella gestione aziendale, migliorando così la performance delle imprese.
Tuttavia, è importante notare che le privatizzazioni non sono state senza critiche e dibattiti.
Alcuni sostengono che la privatizzazione abbia comportato la perdita di controllo strategico su
settori vitali dell'economia, nonché la riduzione dell'accessibilità dei servizi pubblici per i cittadini.
In Italia, ci sono state due ondate di privatizzazioni. La prima ondata si è verificata negli anni '80,
ma non ha seguito un disegno organico. La seconda ondata è stata molto più corposa ed è
iniziata nel 1992. Questa seconda ondata ha ridotto drasticamente la consistenza del settore
pubblico italiano.
Dal 1992 al 1998, il ricavo totale delle privatizzazioni effettuate in Italia è stato pari a circa 115.000
miliardi di lire. I proventi delle privatizzazioni italiane sono stati pari a circa il 13% di quelli realizzati
a livello mondiale nello stesso periodo.
Le motivazioni delle privatizzazioni italiane non sono affatto evidenti: atti e dichiarazioni del
governo sembrano indicare la prevalenza di motivi macroeconomici e di stabilità finanziaria
(riduzione del debito pubblico, acquisizione di reputazione internazionale), ma è possibile che i
promotori delle privatizzazioni abbiano inteso privilegiare l'obiettivo microeconomico di
aumentare l'efficienza attraverso la modifica del governo societario.
In ogni caso, le privatizzazioni hanno coinvolto molte imprese pubbliche italiane in vari settori, tra
cui energia, telecomunicazioni e trasporti. Alcune delle imprese più importanti che sono state
privatizzate includono ENI, ENEL e Telecom Italia. (p.109)
La golden share è un istituto in virtù del quale lo stato pur abdicando al ruolo d’imprenditore
attraverso la cessione di quote del capitale di rischio, si riserva il potere di poter prendere certe
decisioni come se fosse azionista di maggioranza. La golden share è stata introdotta in Italia
nel 1998 con il Decreto Legislativo n. 303/1998, che ha recepito la Direttiva europea 80/723/CEE.
Questo decreto ha introdotto disposizioni specifiche per le privatizzazioni delle imprese
pubbliche e ha consentito al governo italiano di mantenere una golden share in alcune società
strategicamente rilevanti, conferendo al governo poteri speciali in determinate decisioni
aziendali. L'obiettivo era garantire che gli interessi nazionali venissero tutelati, anche dopo la
privatizzazione delle imprese pubbliche. Attraverso la golden share, il governo può esercitare un
controllo speciale su questioni chiave, come cambiamenti statutari, fusioni e acquisizioni,
nomine di membri del consiglio di amministrazione e altre decisioni strategiche.