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L'economia non era apprezzata a studiare se stessa; agli inizi del 900 era già apprezzato il
canone microeconomico, che si basava sul lazair-fare→ Con la crisi del 29 infatti non viene
fatto niente: questo non succede, quindi c’è un buco conoscitivo→ nasce la macroeconomia (una
disciplina a sé stante che studia in maniera generale le crisi economiche e l’andamento oscillante
dell’economia), grazie allo studioso Keynes; il suo messaggio era che spesso le crisi eco sono causate
dal fatto che gli attori economici spendono poco, e deve essere il settore pubblico a dover spendere,
non solo denaro pubblico, ma anche attraverso politiche monetarie (Banche centrali) intervenendo
così sull’andamento della moneta in circolazione.
La macro non è semplicemente lo studio aggregato della micro, è che il totale del sistema
eco non è la somma delle sue parti, perchè una volta messe insieme si comportano in modo
diverso perché sono un sistema non un insieme. L’economia è una scienza sociale, e la
società dipende anche da azioni morali.
CICLO ECONOMICO: distanza tra 2 picchi/punti di minimo consecutivi (di solito 7 anni)
L’alternarsi di periodi di recessione (l’economia si contrae, il PIL diminuisce) e di
espansione; tipicamente il ciclo economico è una marcatore della disoccupazione.
INFLAZIONE E DEFLAZIONE: prezzi crescono in, prezzi scendono de; sostanziale stabilità
dei prezzi quando crescono molto poco. Molto raro vedere sia i prezzi diminuire sia il PIL diminuire.
L’inflazione nel breve è collegata al ciclo economico stesso (espansiva cresce, recessiva diminuisce);
nel lungo periodo l'inflazione tende più ad essere un problema di offerta di moneta della Banca
centrale. L'inflazione è pericolosa perché fa perdere il valore del denaro: da un giorno all’altro i prezzi
dei beni aumentano da un giorno all'altro di moltissimo (in estremo le persone non usano più il denaro
e si torna al baratto); la deflazione è peggiore in quanto non si spende il denaro perché se oggi vale
100 domani varrà 200→ questa spirale deflazionistica è pericolosa perché ferma l’economia in quanto
tutti cercano di vedere e quindi i prezzi scendono ancora di più→ situazione rara. E’ più facile fare
politiche per l’inflazione che per la deflazione
INFLAZIONE E DISOCCUPAZIONE
La macroeconomia si occupa del ciclo economico perché dal ciclo economico del breve periodo
dipendono due problemi che sono cruciali: l’inflazione e la disoccupazione; per misurare l’inflazione
bisogna costruire l’indice dei prezzi→ dentro un’economia come faccio a capire quali e come usare i
prezzi? Con l’indice dei prezzi che è come se fosse una sorte di prezzo complessivo dei beni e servizi
prodotti; per costruirlo bisogna saper come cambiano i prezzi di quello che compriamo tutti i giorni
(costo del “carrello della spesa”); così facendo si calcola come cambiano i prezzi nel tempo
(faccio la spesa un mese mi costa tot, faccio la spesa 3 mesi dopo mi costa tot).
Quanto pesa ciascun bene all’interno di un paniere? Si pesano i diversi prezzi: le cose alimentari
pesano per il 16,2% del paniere, mentre invece l’istruzione pesa 1% del paniere; alcuni prodotti
entrano nel paniere in maniere indefinita, eg. auto elettriche/ food delivery→ questi sono entrati nel
2020 per la pandemia, quindi può essere che dopo escano oppure no perchè la pandemia ha
determinato dei comportamenti per cui
cambieremo le nostre abitudini. Per calcolare
il costo del “carrello della spesa” si fanno
cambiare i prezzi mantenendo fisse le
quantità; si immagina che la domanda dei
consumatori non cambi, poi si calcolano i due
indici dei prezzi al consumo→ costo del carrello/costo carrello anno base (pre-frost=
(95/95)x100=100 post-frost=175/95)x100=184.2). A questo punto si può calcolare il tasso
di inflazione, che è sempre definito come il tasso di variazione di un inidice dei prezzi al
consumo (184.2-100)/100 x100=84.2% →indice prezzi 2-indice prezzi 1/indice prezzi 1 x 100
Dagli anni 70 fino all'inizio degli anni 80 in Italia si aveva un’inflazione del 20% (quasi
iperinflazione), dovuta anche dalla scala mobile (meccanismo di indicizzazione automatica:
se abbiamo un'inflazione del 5 % le retribuzioni dei dipendenti aumentano del 5% così che il
potere d’acquisto rimanesse invariato) il problema è che le retribuzioni non aumentano
altrettanto velocemente, e quindi si perde il potere d'acquisto; come faceva l’Italia a rimanere
competitiva nonostante questi inflazione? Svalutando la lira, così facendo però in Italia si
pagano i prodotti esteri di più (il petrolio costava ogni anno il 20% in più).
Da un lato, i detrattori della scala mobile dicevano se le imprese devono aumentare sempre le
retribuzioni dobbiamo poi aumentare i prezzi e l'inflazione diventa un circolo vizioso; i sindacati
dicevano che se l’inflazione aumenta per ragioni che non dipendono la scala mobili, con la scala
mobile si tutela il potere d’acquisto dei consumatori→ la scala mobile venne abolita. L’inflazione
diminuisce grazie alle politiche deflattive (politiche “lacrime e sangue”) che servivano per entrare nel
trattato di Maastricht.
L’inflazione può essere anche negativa, e in questo caso viene chiamata deflazione.
tasso di partecipazione alla forza lavoro= forza lavoro/popolazione in età lavorativa → da una
misura della quota di lavoratori che offrono i propri servizi rispetto al totale dei lavorati che il
potrebbero offrire
tasso di disoccupazione= numero di disoccupati/forza lavoro
tasso di occupazione= numeri occupati/popolazione in età lavorativa
I lavoratori marginali sono persone che erano disoccupate e hanno smesso di cercare lavoro (perché
non trovano nulla ma sono disponibili a lavorare→ lavoratori scoraggiati→ non sono classificati
disoccupati)
forza di lavoro potenziali= lavoratori non occupati che non cercano ma sono
disponibili+lavoratori non occupati che cercano ma non sono disponibili
Cosa determina la crescita del PIL reale pc? è la produttività del lavoro, ovvero la capacità
di ogni singolo lavoratore di produrre di più per ogni singola quantità di lavoro prestato; un lavorare
in una giornata di lavoro deve produrre sempre di più→ come? grazie a:
1. tasso di occupazione del capitale fisico: se per ogni lavoratore abbiamo invece che 1,
2 telai allora si produce di più K
2. capitale umano: formazione dei lavoratori H
3. tecnologia: il modo in cui combiniamo il capitale fisico e quello umano. Molto spesso
l’avanzamento tecnologico di un settore dipende dall’utilizzo di una tecnologia altrove
già esistente T
Come si misura la crescita? Grazie alla funzione di produzione aggregata: Y/L=f(K/L, H/L, T)
L= per lavoratore→ la tecnologia non si può quantificare per lavoratore
contabilità della crescita: stima il contributo di ogni fattore nella funzione di produzione
aggregata per una crescita economica
Come si misura il ruolo della tecnologia? e io vedo che il PIL è aumentato del 1%, ma H e K
mi spiegano solo lo 0.8%, allora c’è uno 0.2% che viene attribuito generalmente alla
tecnologia e viene chiamata produttività totale dei fattori.
Se si aumenta di 1% il capitale fisico l’effetto della crescita economica sarà più grande→ teoria dei
rendimenti decrescenti del capitale fisico: se si continua ad incrementare il capitale
fisico (+ macchinari), aumenta l’effetto positivo sulla crescita economica ma questo effetto
sarà sempre più piccolo al crescere della dimensione del capitale fisico x lavoratore.
Nei paesi dove c’è più risparmio nazionale è più facile investire, perché tutti i redditi non
spesi in beni di consumo vengono risparmiati: i risparmi vengono messi in banca che è
un'istituzione che fa da intermediaria tra chi vuole risparmiare e chi vuole usare il denaro
risparmiato (tipicamente le imprese che prendono denaro-prestito per fare investimenti); il
capitale può essere anche esterno, non per forza interno. Per aumentare il capitale umano si
usa l’istruzione (corsi di formazione, mentre per far aumentare la tecnologia si sviluppa la
ricerca.
I governi sono fondamentali perché molti degli investimenti importanti sono fatti dal settore
pubblico: K= infrastrutture, H=educazione, T=ricerca/università.
Il problema dell'Italia è la bassa produttività del lavoro, che dagli anni 90 è rimasta quasi
ferma (quindi si è anche fermata la crescita del PIL pro-capite), ma non per i mancati
investimenti nel capitale fisico, ma per la carenza di tecnologia (pochissima ricerca) e poco
investimento nel capitale umano (numero di laureati basso e pochi corsi di formazione).
Le risorse naturali sono diventate meno importanti per sviluppare crescita economica, e sono
state sostituite dallo sviluppo della tecnologia; ma in questo modo la crescita è lo stesso sostenibile?
La crescita economica dipende ancora dalle materie prime e dall’impatto di esse sull’ambiente. C’è un
problema di capacità ambientale, perché il degrado ambientale non viene mai tenuto conto nel PIL: le
nuove politiche propongono l’idea che si possa continuare a crescere ma non bisogni emettere gas
serra ecc. → il mercato propone la regolazione: eg. tassa sul carbone, o scambio di diritti ad
inquinare per una certa quantità per le imprese (si paga per inquinare), e il consenso politico
che deve essere tra paesi industrializzati e non (che inquinano meno) e che deve essere
anche intergenerazionali.
MODELLO REDDITO-SPESA
Questo modello è di chiara matrice keynesiana; è un modello formato dal:
- moltiplicatore
- consumo
- investimenti
Il moltiplicatore è nato con la crisi del 29, perché non si riusciva a spiegare il crollo in borsa fosse
più piccola del PIL→ è stato creato uno strumento per spiegarlo: il moltiplicatore. Questa teoria
dice che nell’economia esistono delle reazioni a catena che rinforzano sia i circoli viziosi sia
quelli virtuosi (pat-dependance) → ipotesi di disequilibrio.
Si immaginano delle imprese edili che costruiscono delle nuove case(=investimento), così
aumenta il Reddito dei lavoratori edili: il reddito è PIL e quindi aumenta il PIL, dal quale
derivano i consumi dei lavoratori, consumi che sono i redditi dei produttori (si aumenta di
nuovo il PIL); a loro volta, i produttori consumano e si rifà il percorso.
Il PIL è quindi un flusso che passa di mano in mano: se questo flusso fa molti passaggi il
flusso iniziale determina un incremento del PIL complessivo molto grande.
Questo meccanismo avviene quando c’è una qualsiasi variazione della componente
autonome della spesa aggregata, qualche fattore esogeno (spesa pubblica ecc) ha un
incremento che innesca il meccanismo del moltiplicatore; la variazione iniziale non è la
conseguenza ma la causa del moltiplicatore. Se MPS aumenta, il moltiplicatore sarà più
piccolo.
I consumi costituiscono i ⅔ del PIL. La funzione di consumo è uno strumento matematico che
mappa certe variabili su un'altra variabile: mappa il reddito sul consumo→come una variazione del
reddito si traduce in una variazione del consumo. L’ipotesi è che i consumatori spendono una parte di
ciò che hanno a disposizione: reddito disponibile, ossia quella parte di reddito disponibile ad
essere consumato (meno le tasse, più i trasferimenti)
Yd=Y+Tr-T
propensione media al consumo: consumo totale per ogni euro di reddito ≠ da propensione
marginale al consumo
Gli investimenti hanno oscillazioni diverse ma molto pronunciate a seconda del PIL: se le
persone consumano meno, le imprese investono di meno perché producono meno. Gli
investimenti si dividono in:
- pianificati→ dipendono dal:
a. tasso di interesse: le imprese investono prendendo denaro delle banche; se
prendono un tasso d’interesse piccolo, investono di più (viceversa); perchè
non usano il loro denaro? perchè c’è tasso d’interesse anche lì per il costo-
opportunità.
Tasso interno di rendimento (TIR) e valore attuale netto (VAN) → io so che 1500 euro oggi
valgono 1500; ma quanto varranno tra un anno? No, anche se non c’è inflazione perché di quei 11500
li posso dare a prestito e tra un anno varranno 1500+ tasso d’interesse: l’indifferenza di un operatore
economica è tra 1500 oggi e 1530 tra un anno perchè c’è il tasso d’interesse in mezzo→ il modo in
cui rendo equivalente una differenza di prezzo tra un determinato tempo è tramite il tasso d’interesse.
Al contrario, 1500 tra un anno quanto valgono oggi? Bisogna scalare il tasso d’interesse. Questo serve
a ragionare sull’oggi e capire quanto vale oggi una serie di flussi futuro: se io so che un investimento
mi rende 100 tra un’anno, 200 tra un anno ecc. si posso portare tutti questi valori con scadenze
temporali differenti ad un unico tempo (l’oggi) e riuscire di conseguenza a sommarli tra di loro e
quindi sapere quando vale l’investimento oggi→ questo è il valore attuale; il valore attuale netto
è quell’investimento che pago; se è una cifra positiva allora io faccio l’investimento. A
seconda del livello del tasso d’interesse cambia il valore attuale netto: più aumenta più le
differenze tra i valori futuri diventano più grandi; se è piccolo, in futuro i miei soldi varranno
più o meno la stessa cifra. Più il tasso d’interesse è alto meno conviene fare gli investimenti.
Il tasso interno di rendimento (TIR) è quel tasso d’interesse che rende il VAN di un
investimento pari a zero; risponde alla domanda: quale dovrebbe essere il tasso d’interesse
che rende il VAN=0? questo semplifica i calcoli perchè se il tasso d’interesse è basso il
valore sarà positivo e viceversa, quindi si ha una stima.
b. andamento atteso futuro del PIL reale:
c. livello di capacità di produzione attuale: perché le imprese guardano a
questa? Perchè se l’impresa decide di produrre di più, prima di fare un
investimento guarda se può usare in modo più intensivo i macchinari che ha
già. Se si abbassa il tasso d’interesse non è detto che le imprese facciano
investimenti.
- non pianificati→ sono le scorte: non è detto che le imprese sappiano quali sono i livelli
futuri: la merce invenduta, quella in magazzino, viene chiamata scorta. Perchè le
definiamo come investimento? perchè è come se le imprese avessero messo da
parte della produzione per venderla in futuro (investimento in scorta). L’andamento
delle scorte è importante perché a seconda di come vanno le scorte si sa come va il
commercio (poche scorte=vendere di più=economia top)
Investimento= investimento np + investimento p
MODELLO RS: cambiamenti nella domanda conducono in cambiamenti nella q e mai nei p
(ipotesi ragionevole in una situazione di crisi economica); se siamo nel pieno di un boom
economico non è ragionevole.
Il tasso d’interesse è fisso nel breve periodo, e in un ciclo economico ci sono variazioni
molto piccole (durante una crisi economica è fisso e molto piccolo). Non c’è il settore
pubblico (non è mai ragionevole). Non è ragionevole pensare ad un’economia
completamente chiusa.
premesse:
1. GDP= C+ I se Yd= GDP (perchè non c’è settore pubblico)
2. C= A+MPC x Yd
3. AEp (spesa aggregata pianificata)= C + Ip
Noi siamo interessati alle situazioni di equilibrio→ q prodotta= q
domandata
funzione di consumo= C=300+0.6xYd
Ip=500
Nella tabella vengono immaginati diversi livelli di PIL per
vedere se si trova un equilibrio (equilibrio deve essere
GPD=AEp perchè quanto viene domandato è uguale a quanto
viene offerto). La condizione di equilibrio non è una regola ma
un’eccezione, ci sono solo alcuni valori che mettono in
equilibrio l’economia. Dobbiamo fare C+Ip=1500+500
Se aumentano gli Ip il
punto di equilibrio cambia, ma non della quantità aumentata
di Ip (se C1=1500 e C2=2000, Ip1=500 e Ip2=1000, GDP
non sarà= a 2500 ma a 3000 perchè 2000+1000). Il nuovo
punto d'equilibrio sposta la curva verso l’alto.
Si ottiene un incremento del reddito di equilibrio che è pari all’incremento iniziale moltiplicato per il
moltiplicatore=2.5 → 400x2.5= 1000
Il reddito di equilibrio è= al moltiplicatore che moltiplica le componenti esogene della spesa;
se si vuole sapere di quanto aumenta Yd basta sapere di quanto aumenta la componente
autonoma della spesa aggregata e moltiplicare per il moltiplicatore
Tutte le volte che si ha una variazione di una variabili che non è l’indice generale dei prezzi,
bisogna capire se questa variazione comporta ad un incremento o ad una diminuzione della
domanda aggregata (eg. spesa pubblica) si ha uno spostamento della curva (aumento si va
a dx; riduzione a sx); quello che può spostare la curva è: cambiamento nelle mie aspettative
sul futuro (è come se la mia ricchezza valesse di più e quindi spendo di più), modifica della
mia ricchezza, politiche attuate dal governo. Se si ha una variazione dell’indice generale dei
prezzi si ha uno spostamento sulla curva.
2. offerta aggregata→ dice qual è la relazione tra l’indice dei p e GDP con la q che un
determinato riesce a produrre; esistono due curve di offerta a seconda del periodo (dipende
dalla flessibilità dei prezzi): nel breve si immagina è che ci siano dei p non flessibili e quindi
non si adattano alla variazione dell’indice; la curva dice quanto le imprese stanno producendo
a ogni livello dei p e questa è una funzione di quanto le imprese guadagnano→ se i profitti
(che sono la differenza tra ricavi, quindi prezzo di vendita, e i costi di produzione) aumentano
le imprese producono di più. La curva è graficamente inclinata positivamente: se aumenta
l’indice i p di vendita dei beni (il ricavo unitario delle imprese) sono aumentati; se i costi di
produzione non si adattano all’incremento dell’inflazione i profitti temporaneamente
aumentano (soprattutto se si parla si salari) e quindi incrementano la produzione→
spostamento lungo la curva
Spostamenti della curva si verificano quando le cose
che determinano variazioni nell’incentivo delle
imprese a produrre più o meno, ma che non sono una
variazione dell’indice (eg. variazione nei beni
energetici: aumenta il p del petrolio e quindi
aumentano i costi di produzione; cambiano i salari
nominali; aumenta la produttività (q prodotta in ogni
singola unità di tempo)
Nel breve periodo il GDP effettivamente osservato fluttua attorno alla q del lungo periodo
3. offerta aggregata di lungo periodo→ tutti i fattori sono variabili quindi tutti i p si adattano. Se
aumenta l’indice i sindacati adattano immediatamento il costo del lavoro, il profitto delle
imprese rimane invariato e quindi continuano a
produrre la stessa q di prima. La curva è verticale
perché per qualunque livello di p la q prodotta
rimane sempre la stessa; non ci sono costi di
produzione agganciati al livello dei prezzi. La q
prodotta è determinata principalmente da fattori
tecnologici, infatti la q prodotta del lungo si chiama
produzione potenziale, perché si immagina che
quella q se tutti i p fossero flessibili dipende dalle
caratteristiche tecnologiche di un’economia (se è
tecnologicamente avanzata allora produce tanto e viceversa)
L’output potenziale dipende da caratteristiche tecnologiche→ già viste nella crescita economica→
dice come cambia il GDP nel lungo periodo grazie ai mutamenti dei fattori che determinano la
produttività del lavoro→ variazione in positivo dell'output potenziale nel lungo periodo.
La Banca Centrale, è un'istituzione finanziata sia da settore pubblico che da quello privato,
e ha il compito di fare da supervisore e regolatore del sistema bancario; in più svolge il ruolo
di controllare la base monetaria per controllare l’offerta di moneta (USA: Federal reserve -
EU Banca centrale Europea - UK Banca D’Inghilterra).
Domanda di moneta
Si ragiona in termini di costo-opportunità di detenere
moneta; se il tasso d’interesse è basso non lo presto.
Le due variabili sono legate da una relazione
negativa.
Come si sposta la curva? Se la domanda di moneta
varia perchè varia il tasso d’interesse allora ci si
sposta lungo la curva di domanda; ma se aumenta il
livello dei prezzi, fare la spesa costa di più e quindi ho
bisogno di più moneta→ spostamento della curva.
Offerta di moneta
L’offerta di moneta è controllata dalla banca centrale e quindi è una q fissa, non c’è una variabile che
la determina→ per questo è una retta verticale.
Punto E è il punto di equilibrio ed è un punto stabile; se la BC aumenta l’offerta E si trova ad un tasso
d’interesse più basso→ come fa? il mezzo principale sono le operazioni di mercato aperto: la
BC compra da altre banche titoli pubblici/privati così può far uscire più moneta; se invece
vuole aumentare il tasso d’interesse può fare operazioni di mercato aperto in vendita: vende
i propri titoli e riceve in cambio moneta.
POLITICHE MONETARIE
Date le implicazione degli strumenti di analisi siamo in grado di dire come devono essere
disegnate le politiche; le politiche possono essere espansive oppure restrittive:
- espansiva→ mi fa aumentare il PIL attraverso un incremento della domanda
aggregata
- restrittiva→ riduce il PIL attraverso una riduzione della domanda aggregata
Come funziona una politica monetaria? Immaginiamo che la BC aumenti l’offerta di moneta:
sul mercato si verifica una riduzione del tasso d’interesse, e quindi la domanda aggregata
aumenta perché aumentano gli investimenti, quindi aumenta il PIL, aumenta il consumo ecc,
ma aumenta anche l'inflazione. Se si vuole ridurre la domanda aggregata, si riduce l’offerta
di moneta, e si produce una deflazione.
A volte non è necessario una mossa della BC, spesso si immagina che gli agenti economici guardino
sempre cosa accadrà in futuro, quindi potrebbe non essere necessario cambiare il tasso d’interesse, ma
potrebbe essere sufficiente fare delle dichiarazioni di politica monetaria (eg. se una BC dice che a
marzo alza il tasso d’interesse, le imprese si aspettano che diventi più costoso fare investimenti e
quindi li fanno subito) → effetto annuncio.
POLITICA FISCALE
La politica fiscale è appannaggio del governo (è il governo che muove le leve di questa
politica), ed è l’uso di tasse, spesa pubblica, e di trasferimenti per spostare la domanda
aggregata.
I trasferimenti sono elargizioni in denaro che vengono date ai cittadini senza niente in
cambio (sussidi di disoccupazione, pensioni ecc.); a volte si sente parlare di assicurazione
sociale, altre volte di assistenza sociale: l’assicurazione è una prestazione dello Stato che
consegue al pagamento di determinati contributi (sussidi di disoccupazione), mentre
l’assistenza consegue al verificarsi di una condizione di necessità (in Ita non esiste ancora,
ma in altri paesi il fatto di essere poveri determina il diritto di avere diritto alla prestazione
contro la povertà).
Il gettito totale complessivo italiano è in linea con la media europea; la pressione fiscale è composta
da: imposte indirette (quelle che colpiscono i consumi, eg. IVA, sono progressive ma il rischio di
evasione è più basso), imposte dirette (quelle calcolate direttamente sul reddito e che quindi
colpiscono direttamente la capacità di pagare degli individui→ il problema è l’evasione fiscale),
contributi sociali (contributi versati per finanziare alcune assicurazioni sociali), e imposte in conto
capitale (eg. tasse sulla ricchezza).
La spesa pubblica italiana è in pari con la Germania e con la
media della UE; se il PIL diminuisce rapidamente la spesa
aumenta; la principale componente della spesa italiana sono le
prestazioni sociali (16%, soprattutto per le pensioni), poi la spesa
per i redditi da lavoro (salario dei dipendenti pubblici 10%).
Con queste leve il settore pubblico influenza la domanda aggregata, perchè: la spesa pubblica è
direttamente domanda aggregata, ma anche tasse e trasferimenti influenzano la domanda aggregata,
perchè i consumi privati passano attraverso il reddito disponibile che dipende da tasse e
trasferimenti→ quindi il governo influenza direttamente la domanda aggregata; come? Si immagina
che esista un gap recessivo, quindi il PIL è basso, il governo può decidere di spingere la
domanda aggregata verso dx e quindi di farla aumentare, così da velocizzare un ritorno
verso l’equilibrio.
Il contrario capita quando si ha un gap inflazionistico: si vuole ridurre l’inflazione
diminuendo la domanda aggregata, riducendo le leve.
Di quando si devono spostare le leve? Dipende dal moltiplicatore; spesa pubblica e tasse e
trasferimenti non hanno lo stesso effetto: se il governo aumenta la spesa pubblica, aumenta
direttamente nel primo giro del moltiplicatore il PIL; con tasse e trasferimenti invece il governo non
spende direttamente per comprare qualcosa, ma da i soldi a qualcuno a cui spetta il compito di
consumare→ manca il primo giro. L’effetto finale è quindi inferiore perché
Allora perché viene speso denaro in tasse e trasferimenti? Perchè la spesa pubblica soffre di alcuni
ritardi di implementazione→ ci sono 3 tipi di ritardi:
1. bisogna identificare il problema, quindi fare un’indagine per identificare la fonte
2. per identificare le politiche adeguate ci vuole tempo: il tempo di analisi
3. la discussione in Parlamento su quale politica implementare richiede tempo
Una volta che si ha il piano di spesa, le spese vanno eseguite perchè per far si che si innesti
il moltiplicatore i soldi devono trasformarsi in redditi, ma perché diventino redditi bisogna
portare avanti dei progetti. La spesa pubblica è quindi più efficace ma ha dei ritardi; tasse e
trasferimenti agiscono subito.
Un altro problema è quello collegato al fatto che le persone beneficiano in maniera diversa a
queste politiche: eg. perché il partito repubblicano negli USA vota sempre a favore di
riduzioni di tasse? Perché beneficia soprattutto loro. Quindi l’effetto finale di spesa pubblica,
tasse e trasferimenti dipende anche da chi sono i beneficiari.
Gli stabilizzatori automatici sono sono un pezzo della spesa pubblica che si muove in modo
automatico rispetto agli andamenti del PIL, ma si muove in direzione opposta, così da stabilizzare in
maniera automatica il PIL→ ≠ politica fiscale discrezionale, politica presa per un progetto
specifico. Si chiama stabilizzatore perché smorza le oscillazioni del PIL. Un altro pezzo di
stabilizzatori automatici è dato dalle tasse: le tasse sono una quota del reddito, e quindi
bisogna riconoscere il fatto che l’aliquota di tassazione è diversa a seconda dell’entità del
reddito; quando il PIl cresce ci saranno dei redditi che prima non esistevano e alcuni che
prima esistevano che diventano più grandi: i lavoratori pagheranno più tasse.
Se noi espandiamo la spesa pubblica ad un certo punto ci scontreremo con i limiti imposti dal debito
pubblico→ bilancio dello stato: in ogni anno è dato da tasse-spesa pubblica-trasferimenti;
si ha un surplus tutte le volte che sarà positivo, e un deficit le volte che il risultato è negativo.
Le politiche fiscali espansive, tendono a far peggiorare il saldo di bilancio dello stato (se
abbiamo un deficit, quel deficit diventerà più grande, se si ha un surplus quello diventerà più
piccolo); con le politiche fiscali restrittive, la differenza tende a diventare positiva. Il bilancio
dello Stato peggiora nei periodi di crisi economica.
Stiamo parlando di deficit e non di debito, qual è la differenza? Il deficit è il bilancio di uno
stato all’interno di uno specifico anno (grandezza di flusso); il debito è la somma dei soldi
che il governo deve (grandezza di stock).
Dentro all’andamento del deficit noi contiamo sia l’andamento degli stabilizzatori automatici,
sia l’andamento delle spese discrezionali; ma quale parte è dovuta ad una parte o all’altra?
Si può costruire in modo statistico quello che si chiama saldo di bilancio dello stato
aggiustato per l’andamento del ciclo economico (deficit strutturale)→ si calcola quale
sarebbe stato il bilancio dello stato se il PIL fosse stato al suo livello di PIL potenziale
(esercizio statistico); questo è un indicatore per essere o non essere sanzionati dalla UE:
secondo la UE il deficit strutturale non deve superare una determinata soglia perché viene
calcolato in base al livello di PIL potenziale, ma se noi calcoliamo il PIL potenziale secondo
la media degli anni passati, se c’è stata una crisi sarà molto basso; di conseguenza, il gap
recessivo, il PIL, che si osserva sarà molto piccolo e quindi la UE giustificherà una spesa
pubblica molto contenuta.
L’obiettivo del fiscal compact in termini di disavanzo strutturale di bilancio delle
amministrazioni pubblico è di un massimo di 0,5% del PIL: quindi se il deficit strutturale
diventa più grande gli stati hanno meno “fiscal space” per finanziare politiche fiscali
espansive; quindi in Italia per Costituzione non si possono creare disavanzi pubblici che per
medio termine siano superiori allo 0,5% del PIL, se questo non viene fatto esistono dei
meccanismi di correzione automatica per cui avvisi/sanzioni, fino ad arrivare all’obbligo di
ridurre la spesa pubblica, alzare le tasse e anche alzare l’IVA.
È sensato che gli Stati si diano questa norma? In realtà non tanto, il problema è che con il
modo in cui viene calcolato il disavanzo il rischio è che si sottostimi il PIL in periodi di crisi e
quindi di ritenere che il ciclo economico non stia andando così male anche se va malissimo;
così facendo, si finisce per erodere anche la capacità degli stabilizzatori di contenere le
oscillazioni del ciclo economico. Nel breve periodo, l’uso della spesa pubblica (anche in
deficit), per contenere le oscillazioni è sensato; quindi perché si presta così tanta attenzione
al deficit? Il rischio è quello che vada fuori controllo, se questa politica viene fatta per anni di
fila; un altro aspetto da tenere in conto è che il rapporto tra deficit, debito e PIL di un paese,
è un rapporto in cui il denominatore non è un numero dato, ma dipenda da quanto deficit
facciamo, quindi il discorso “tanto deficit=tanto debito” è insensato soprattutto se il deficit
viene usato per aumentare il PIL. Bisogna sempre tenere conto se il PIL stia crescendo,
diminuendo o restando uguale.
critiche: Se io accumulo debito pubblico, la spesa per interessi diventerà più grande, e quindi
la spesa pubblica successiva dovrà essere destinata a ripagare gli interessi: vero, ma gli
interessi non dipendono solo dal debito pubblico.
La spesa pubblica spiazza gli investimenti privati, perché entrambi vengono di solito
finanziati da indebitamenti: vero, ma il momento in cui il governo spende a scopo anticiclico,
è il momento in cui non spendono i privati.
Se il governo aumenta la spesa pubblica, in futuro dovrà rientrare di quella spesa, e quindi
aumenterà le tasse: se questo ragionamento è vero, e gli individui sono razionali, allora
diranno “ma se io domani vengo tassato di più, non posso consumare tanto oggi, ma devo
cominciare a risparmiare”; bisogna però presupporre che tutti gli agenti economici abbiano
una capacità di calcolo razionale molto superiore a quella reale.
LE POLITICHE DELL'OCCUPAZIONE
Sono state uno degli strumenti principali degli ultimi anni; si distinguono in due:
- Attive: mirano a incrementare la probabilità che un individuo trovi lavoro (corsi di
formazione)
- Passive: puntano a tutelare il reddito di un individuo in assenza di lavoro (sussidio di
disoccupazione sei perchè ha dei corsi di formazione)
Il reddito di cittadinanza è un politica ibrida: doveva essere uno schema anti povertà, ma ha
elementi di politiche attive (ha delle caratteristiche tipiche del sussidio di disoccupazione).
Rimedi
Disoccupazione ciclica: politica espansiva che faccia aumentare il PIL
Disoccupazione frizionale: migliorare l’efficacia per i centri per l’impiego, sussidi di
disoccupazione (se condizionati ad una ricerca attiva di lavoro)
Disoccupazione naturale: skill mismatch (competenze possedute dai lavoratori disoccupati
non sono quelle richieste), politiche attive, contratti di apprendistato, orientamento
scolastico,ridurre il potere contrattuale dei sindacati, ridurre i salari minimi
Le politiche che cercano di ridurre i salari spingono la curva di offerta aggregata di breve
periodo verso destra, e quindi verso la deflazione, come ad esempio decentramento della
contrattazione collettiva, occupazione sussidiata, prepensionamenti, riduzione ELP (norme a
protezione dell’impiego).
Le riforme strutturali sono una forma di politica economica complessiva che colpisce molte
leve; nel modello Tronti viene spiegato che le riforme da fare per far crescere il PIL sono: da
un lato liberalizzare i mercati dei prodotti e dei servizi, in modo che le imprese siano messe
in maggiore competizione e quindi sono spinte ad innovare di più, che porta ad una
maggiore produttività, che permette di ridurre i prezzi; in più, una maggiore concorrenza, a
parità di condizioni, riduce i prezzi. I motori principali di questo meccanismo sono due: da un
lato deve esserci la concorrenza tra le imprese (esportazioni), dall’altro deve essere quello
dell’aumento del potere d’acquisto dei lavoratori che deve permettere un incremento della
domanda interna.
In Italia è stato attuato per legge questo meccanismo; un canale su cui si è operato molto è
stato quello delle norme e protezioni per l’impiego: sono tutte le norme che regolano il
licenziamento dei lavoratori e che lo rendono “difficile”; vengono introdotte per 3 ragioni:
1. Gli individui sono avversi al rischio, quindi preferiscono un profilo piatto a parità di
salario
2. I mercati assicurati non sono in grado di offrire copertura contro il rischio di
licenziamento; non ci sono assicurazioni disposte a tutelare a causa della
asimmetria informativa tra lavoratori e assicuratori
3. I mercati del credito sono imperfetti e i disoccupati sono soggetti a vincoli di liquidità;
si risparmia mentre si lavora e si prende a prestito quando si è disoccupati
Dove c’è un fallimento del mercato interviene il settore pubblico, attraverso sussidi di
disoccupazione, oppure fa in modo che i licenziamenti non siano così facili, e che quindi
l’instabilità del reddito sia contenuta all’interno di un certo margine. In genere, i due
provvedimenti sono sostituti, nel senso che è tipico incontrare Paesi che erogano sussidi di
disoccupazione molto elevati, ma hanno norme di protezione blande (Danimarca), oppure
viceversa (Italia fino ad un po’ di anni fa).
Che effetti hanno queste norme? Le norme introducono un costo sui licenziamenti, quindi
riducono la quantità di individui che lasciano le imprese: in questo modo, le imprese
anticipano questo vincolo e saranno più restrittive nelle assunzioni (escono meno persone
ma ne entrano anche meno); di fatti, l’effetto netto sull’occupazione è nessuno. Altre
conseguenze sono: quando ci sono norme a protezione più restrittive, le imprese sono più
incentivate a investire nella formazione dei lavoratori. Per un lavoratore queste norme
riducono le fluttuazioni del reddito, evita il rischio di essere rimpiazzato da un altro, e quindi
ha un maggiore benessere; questo significa anche un maggior turnover dei lavoratori.
Complessivamente, l’effetto è ambiguo.
In Italia, sulla disoccupazione ciclica è stato fatto poco, tranne quando c’è stata la pandemia;
la strutturale esiste a causa della bassa scolarità dei lavoratori e quindi poca formazione
(fatto solo per i giovani ma i giovani hanno poca formazione); c’è anche quella frizionale
perché i centri per l’impiego sono sottosviluppati (nonostante le varie riforme). Si è però
ridotto il costo del lavoro, e l’impatto della contrattazione collettiva, sono stati introdotti gli
sgravi fiscali e in più si sono ridotte le norme di protezione per l’impiego.
L’obiettivo di crescita che si davano le riforme strutturali non è stato conseguito: l’origine
della crescita italiana dal 95 al 2008 è stata la crescita della popolazione, non la crescita
della produttività; il tasso di crescita delle retribuzioni reali è cresciuto molto poco, e quindi
l’effetto che poteva passare da questo canale è stato molto piccolo; il deflatore del PIL
europeo è sempre cresciuto di meno delle retribuzioni: ciò significa che le retribuzioni,
mediamente nella EU, hanno guadagnato potere d’acquisto sui prezzi, mentre in Italia il
deflatore del PIL è sempre cresciuto di più delle retribuzioni, che hanno quindi perso potere
d’acquisto sui prezzi.
Tronti afferma che non è che le riforme strutturali non abbiano funzionato, ma hanno
funzionato troppo: le liberalizzazioni si sono incentrate all’interno del mercato del lavoro,ma
non c’è stata un uguale enfasi all’interno del mercato dei beni e dei servizi, quindi non c’è
stata crescita della produttività/concorrenza/canale esportazioni/canale consumi interni; in
più questo modello non contiene tutto quello che è rilevante per crescere, non è fatto sui
singoli casi ma solo in generale.
La leva, che è una misura della rischiosità di quello che sta facendo un investitore, si riduce
(1000/100=10 → 1100/200=5,5).
Se invece l’asset perde del 5%, l’attività invece di 1000 varrà 950, di cui 900 li deve ridare e
quindi il capitale proprio si dimezza e diventa 50; la leva va a 19.950/50). Se l’asset perde
più del 10%, l’investitore la in bancarotta (quello che è successo a Lehman Brothers, ha
costruito troppi castelli di mutui ed è bastata un’oscillazione piccola perchè quello che c’è
alla base venga distrutto).
Come si ripristina la leva? Se il titolo X perde valore, la prima cosa è vedere il titolo prima che perda
tutto il suo valore; ma se è un titolo che hanno in tanti, tutti cominciano a venderlo, il suo valore
crolla→ le banche vendevano le case, i mutui, quindi le banche per ripristinare il valore di leva
vendono anche altre cose che però perdono anche esse il proprio valore.
Le banche erano in fissa con le case perchè in quel periodo c’era la bolla immobiliare,
periodo in cui i tassi d’interesse erano bassi (negli USA): ad un certo punto però la bolla scoppia, nel
2007, perché i tassi d’interesse iniziano a salire e per la gente con i mutui subprime diventa
impossibile ripagare il proprio debito→ le banche si ritrovano con tante case che non vogliono;
l’offerta supera la domanda, e non riescono a vederle e quindi il loro valore crolla; cercano di vendere
anche gli asset sani per contenere le perdite, ma anche il loro valore scende. Le principali banche di
investimento americane avevano raggiunto un livello medio di leva di 45 tra il 1991-2008; queste
banche avevano accumulato un’attività del valore pari ad oltre il 61% del PIL degli USA: proprio per
questo pensavano di essere too big too fail, ossia che il governo USA non le lasciasse fallire
perchè erano troppo importanti (invece lo fa con una e poi salvano le altre). Dal 2007 al
2012 vengono attuati gli interventi di salvataggio del governo USA ammontando a 2853
miliardi di dollari; si poteva evitare? SI, ma non si è fatto niente per cavalcare l’onda della
crescita finanziaria, anche per ragioni macroeconomiche: la disuguaglianza tra USA e EU
stava diventando sempre più evidente.
In Europa…
La bolla immobiliare si è verificata anche nell’area Euro, soprattutto in Irlanda e Spagna;
anche le banche europee avevano fatto investimenti sul mercato immobiliare, nel farlo
raggiunsero livelli di leva da far impallidire quello di Lehman Brothers. La bolla scoppia
perché le banche erano troppo esposte; nel periodo tra 2007-2012 i governi EU sono
intervenuti con 2696 miliardi di euro, e nel 2012 i prestiti non restituiti erano circa 11.5% del
PIL dell'area Euro. Anche qua il debito privato diventa pubblico: l’Italia è uno dei paesi al
centro dell’attenzione per il proprio debito pubblico; problema è che l’altro asset su cui le
banche investono erano i titoli del debito pubblico, per questo si chiama crisi del debito
sovrano.
Si poteva fermare il contagio? Si, perchè con 50 miliardi di euro il debito pubblico grego
sarebbe stato comprato per intero, e quindi si sarebbe fermato il contagio, ma non lo si è
fatto perché:
1. la BCE non ha il mandato per farlo (può solo garantire la stabilità dei prezzi)
2. la Germania (maggiore creditore) non vuole perchè aveva le elezioni e non sapeva
come spiegarlo
Non è stato il debito pubblico a provocare la crisi, ma in entrambi i casi è stata la crisi
a provocare un picco del debito pubblico.
La FR persegue sia l’economia del contenimento dell’inflazione, sia quella dello stimolo
all’economia e della bassa disoccupazione; la BCE ha come unico obiettivo la bassa
inflazione.
La politica fiscale UE è appannaggio di tutti i singoli stati nazionali, e quindi ci sono politiche
fiscali scoordinate tra di loro, mentre negli USA ce ne solo una e quindi si può fare una
ridistribuzione tra i diversi stati.
In EU ci sono vincoli stringenti sul saldo di bilancio del debito pubblico, mentre negli USA
meno.
Gli USA non hanno cercato di sterilizzare gli stabilizzatori automatici, mentre EU si.
I post-crisi economici hanno raggiunto gli obiettivi che ci eravamo prefissati: la spesa pubblica si è
stabilizzata e il gettito fiscale è aumentato→ austerità