Sei sulla pagina 1di 29

MACROECONOMIA

L'economia non era apprezzata a studiare se stessa; agli inizi del 900 era già apprezzato il
canone microeconomico, che si basava sul lazair-fare→ Con la crisi del 29 infatti non viene
fatto niente: questo non succede, quindi c’è un buco conoscitivo→ nasce la macroeconomia (una
disciplina a sé stante che studia in maniera generale le crisi economiche e l’andamento oscillante
dell’economia), grazie allo studioso Keynes; il suo messaggio era che spesso le crisi eco sono causate
dal fatto che gli attori economici spendono poco, e deve essere il settore pubblico a dover spendere,
non solo denaro pubblico, ma anche attraverso politiche monetarie (Banche centrali) intervenendo
così sull’andamento della moneta in circolazione.

La macro non è semplicemente lo studio aggregato della micro, è che il totale del sistema
eco non è la somma delle sue parti, perchè una volta messe insieme si comportano in modo
diverso perché sono un sistema non un insieme. L’economia è una scienza sociale, e la
società dipende anche da azioni morali.

I concetti principali della macro sono:


- ciclo economico, che tiene sotto controllo
- la crescita, quella di lungo periodo
- inflazione, con la quale ci si scontra spesso per sostenere l’economia
- bilancio commerciale

CICLO ECONOMICO: distanza tra 2 picchi/punti di minimo consecutivi (di solito 7 anni)
L’alternarsi di periodi di recessione (l’economia si contrae, il PIL diminuisce) e di
espansione; tipicamente il ciclo economico è una marcatore della disoccupazione.

CRESCITA ECONOMICA: andamento del PIL pro-capite di lungo periodo (non è un


indicatore del benessere delle persone); ecco perché si stanno diffondendo misure
alternative (BES: benessere eco-sostenibile).

INFLAZIONE E DEFLAZIONE: prezzi crescono in, prezzi scendono de; sostanziale stabilità
dei prezzi quando crescono molto poco. Molto raro vedere sia i prezzi diminuire sia il PIL diminuire.
L’inflazione nel breve è collegata al ciclo economico stesso (espansiva cresce, recessiva diminuisce);
nel lungo periodo l'inflazione tende più ad essere un problema di offerta di moneta della Banca
centrale. L'inflazione è pericolosa perché fa perdere il valore del denaro: da un giorno all’altro i prezzi
dei beni aumentano da un giorno all'altro di moltissimo (in estremo le persone non usano più il denaro
e si torna al baratto); la deflazione è peggiore in quanto non si spende il denaro perché se oggi vale
100 domani varrà 200→ questa spirale deflazionistica è pericolosa perché ferma l’economia in quanto
tutti cercano di vedere e quindi i prezzi scendono ancora di più→ situazione rara. E’ più facile fare
politiche per l’inflazione che per la deflazione

La macroeconomia Keynesiana è la macroeconomia del disequilibrio (opposto di micro dove


in tutti i modelli si torna sempre ad un equilibrio)

COME SI MISURA IL PIL?


Il PIL reale prescinde dall’andamento dei prezzi; la dimensione di un’economia si misura con
il PIL. Il PIL è il valore della produzione; esiste un ufficio che lo misura (Ita è istat): è il valore
di mercato di tutti i beni e servizi finali e prodotti all’interno di un paese all’interno di un anno
(tutto ciò che non compare sul mercato non viene misurizzato nel PIL, i beni e servizi devono esere
finali nel senso che il loro valore è quello che è stato pagato dall’utilizzatore finale di quei beni e
servizi) → il PIL non include i beni intermedi ossia quei beni e servizi che vengono utilizzati
dalle imprese come input e fattori di produzione.
I beni devono essere prodotti, quindi i beni usati non entrano nel PIL perché erano già stati
contati; non rientra neanche il valore delle attività finanziarie, perché sono dei titoli di
proprietà di beni che esistono già da qualche parte (il mutuo della casa non entra perchè
entra già la casa e se entra anche il suo mutuo si dublicherebbe il valore della casa).
All’interno di un paese, ossia che tutti i beni e servizi prodotti sul territorio di un paese
entrano nel suo conteggio; all’interno di un anno perché il PIL è un concetto di flusso, ossia
un concetto che si può misurare solo nella misura in cui si individua un momento di inizio e uno di
fine (reddito). (concetti di stock sono quelli che possono essere misurati in un preciso istante→
ricchezza).

Ci sono 3 modi per calcolare il PIL:


1. somma dei valori aggiunti (valore
delle vendite-valore di acquisto dei
beni/servizi intermedi)
2. spesa→ PIL=C (spesa consumatori)
+ I (investimenti) + G (spesa
pubblica) + (X-IM/ esportazioni-
importazioni) → noi guardiamo a
economie chiude quindi questa parte di X-IM non la vedremo
3. reddito→ il PIL viene anche chiamato reddito perché il valore di ciò che viene prodotto viene
anche distribuito ai fattori produttivi (barbiere: il cliente spende 10 euro ma quei 10 sono il
reddito del barbiere→ tutte le spese sono i redditi di qualcun altro. Quando si distingue tra
reddito che va ai lavoratori, quello che va ai profitti ecc. si fa la distribuzione funzionale
del reddito.
Per fare confronti nel tempo dobbiamo scindere il fatto che il PIL cresca perché è aumentata la
dimensione della produzione, dal fatto che cresca perchè sono aumentati i prezzi: nel corso del tempo
i prezzi aumentano, quindi anche a produzione invariata il PIL tende a crescere ma perché le stesse
cose le vendo a prezzi più alti; per sapere quindi, quanto è grande, in termini di volume, quella
produzione→ bisogna neutralizzare l’effetto della crescita dei prezzi attraverso la distinzione di:
- PIL NOMINALE: si usano i prezzi di
quell’anno
- PIL REALE: per calcolare il PIL reale
si calcola il valore del PIL dei prezzi di
mercato in un anno di riferimento e poi
tutti gli altri PIL non si calcolano ai
prezzi di ogni specifico anno ma si
usano sempre i prezzi dell’anno di
riferimento→ così si blocca l’effetto
dei prezzi. In questo PIL resta fuori
l’andamento dei prezzi

variazione percentuale: grandezza anno 1- grandezza anno 2/valore anno di partenza

INFLAZIONE E DISOCCUPAZIONE
La macroeconomia si occupa del ciclo economico perché dal ciclo economico del breve periodo
dipendono due problemi che sono cruciali: l’inflazione e la disoccupazione; per misurare l’inflazione
bisogna costruire l’indice dei prezzi→ dentro un’economia come faccio a capire quali e come usare i
prezzi? Con l’indice dei prezzi che è come se fosse una sorte di prezzo complessivo dei beni e servizi
prodotti; per costruirlo bisogna saper come cambiano i prezzi di quello che compriamo tutti i giorni
(costo del “carrello della spesa”); così facendo si calcola come cambiano i prezzi nel tempo
(faccio la spesa un mese mi costa tot, faccio la spesa 3 mesi dopo mi costa tot).
Quanto pesa ciascun bene all’interno di un paniere? Si pesano i diversi prezzi: le cose alimentari
pesano per il 16,2% del paniere, mentre invece l’istruzione pesa 1% del paniere; alcuni prodotti
entrano nel paniere in maniere indefinita, eg. auto elettriche/ food delivery→ questi sono entrati nel
2020 per la pandemia, quindi può essere che dopo escano oppure no perchè la pandemia ha
determinato dei comportamenti per cui
cambieremo le nostre abitudini. Per calcolare
il costo del “carrello della spesa” si fanno
cambiare i prezzi mantenendo fisse le
quantità; si immagina che la domanda dei
consumatori non cambi, poi si calcolano i due
indici dei prezzi al consumo→ costo del carrello/costo carrello anno base (pre-frost=
(95/95)x100=100 post-frost=175/95)x100=184.2). A questo punto si può calcolare il tasso
di inflazione, che è sempre definito come il tasso di variazione di un inidice dei prezzi al
consumo (184.2-100)/100 x100=84.2% →indice prezzi 2-indice prezzi 1/indice prezzi 1 x 100

Dagli anni 70 fino all'inizio degli anni 80 in Italia si aveva un’inflazione del 20% (quasi
iperinflazione), dovuta anche dalla scala mobile (meccanismo di indicizzazione automatica:
se abbiamo un'inflazione del 5 % le retribuzioni dei dipendenti aumentano del 5% così che il
potere d’acquisto rimanesse invariato) il problema è che le retribuzioni non aumentano
altrettanto velocemente, e quindi si perde il potere d'acquisto; come faceva l’Italia a rimanere
competitiva nonostante questi inflazione? Svalutando la lira, così facendo però in Italia si
pagano i prodotti esteri di più (il petrolio costava ogni anno il 20% in più).
Da un lato, i detrattori della scala mobile dicevano se le imprese devono aumentare sempre le
retribuzioni dobbiamo poi aumentare i prezzi e l'inflazione diventa un circolo vizioso; i sindacati
dicevano che se l’inflazione aumenta per ragioni che non dipendono la scala mobili, con la scala
mobile si tutela il potere d’acquisto dei consumatori→ la scala mobile venne abolita. L’inflazione
diminuisce grazie alle politiche deflattive (politiche “lacrime e sangue”) che servivano per entrare nel
trattato di Maastricht.

L’inflazione può essere anche negativa, e in questo caso viene chiamata deflazione.

Altri indici dei prezzi sono:


- indice dei prezzi alla produzione: si mette nel carrello quello che pagano le imprese;
siamo interessati a questo perché anticipa l’indice dei prezzi dei consumatori perché
per alcune imprese è possibile ribaltare l’incremento dei prezzi pagati dall’impresa
stessa sul consumatore.
- deflatore del PIL: si mette nel carrello tutto il PIL, si calcola il rapporto tra il PIL
nominale di un anno e il PIL reale nello stesso anno x100, quando è più piccolo di
100 si ha l’inflazione, quando è più grande deflazione. PIL nominale e reale
condividono nello stesso anno le quantità, cambiano solo i prezzi di riferimento.

Soltanto se l’inflazione è negativa allora i prezzi diminuiscono; se l’inflazione passa dal 3 al


2% significa solo che l’inflazione è diminuita rispetto a prima ma c’è comunque.
Tipicamente non conta tanto il livello dei prezzi, ma il potere d’acquisto delle persone che, se
c’è inflazione, diminuisce; quando si parla di potere d’acquisto si parla di salari reali (salario
nominale/indice dei prezzi). Il reddito reale Y è il reddito/indice dei prezzi; il tasso di
interesse reale R è dato dal tasso d’interesse nominale-tasso d’inflazione.
La variazione del livello dei prezzi influenza il potere d’acquisto; più in generale, quando c’è
inflazione ci sono vincitori e sconfitto: molto spesso i contratti sono definiti in termini nominali,
quindi quando si firma un contratto lo si firma su una certa aspettativa futura d’inflazione; se
l'inflazione è superiore delle aspettative i salari reali scendono e quindi se i salari non sono indicizzati
i lavoratori perdono, ma anche il valore reale dei crediti scende e quindi i debitori e il sistema
finanziario che concedono mutui/prestiti perdono ma i debitori guadagnano (viceversa se l’inflazione
è inferiore) → l’incertezza sulla futura inflazione fa accorciare la durata dei contratti e fa concedere
meno prestiti.

Quando si parla di drenaggio fiscale? Quando l’inflazione, determinando un aumento delle


retribuzioni nominali, determina un incremento della tassazione senza che in realtà siano
aumentate retribuzione reali; ulteriori costi in una situazione di iperinflazione sono i costi
delle scuole(eccesso di transazioni perchè la moneta perde valore rapidamente- scuole
perché si va tutte le mattine a prelevare) e costi di listino: sono i costi che un’impresa
sostiene nel definire un listino prezzi (un’impresa grande sostiene dei costi per rivedere il
proprio listino, per questo si preferisce pagare un costo in più piuttosto che rivederli).

Anche smaltire l’inflazione comporta dei costi, il principale è la disoccupazione.


definizioni:
- popolazione in età lavorativa→ persone che hanno dai 15 anni in su
- occupazione→ numero persone della popolazione lavorative che sono occupate (full/part
time), anche un’ora alla settimana
- disoccupati→ persone della pop in età lavorativa che non hanno il lavoro ma sono disponibili
a lavorare e quindi fanno ricerca attiva di lavoro

forza lavoro= occupati+disoccupati→ questo dà una misura dell'offerta di lavoro (quantità di


lavoratori complessiva sulla quale l’economia può fare affidamento); quelli che non appartengono alla
forza lavoro, ma sono comunque parte della pop in età lavorativa vengono chiamati inattivi (in ita ce
ne sono un sacco, molti perchè lavorano in nero e anche perchè non ci sono politiche di
tutela soprattutto per le donne).

tasso di partecipazione alla forza lavoro= forza lavoro/popolazione in età lavorativa → da una
misura della quota di lavoratori che offrono i propri servizi rispetto al totale dei lavorati che il
potrebbero offrire
tasso di disoccupazione= numero di disoccupati/forza lavoro
tasso di occupazione= numeri occupati/popolazione in età lavorativa

I lavoratori marginali sono persone che erano disoccupate e hanno smesso di cercare lavoro (perché
non trovano nulla ma sono disponibili a lavorare→ lavoratori scoraggiati→ non sono classificati
disoccupati)
forza di lavoro potenziali= lavoratori non occupati che non cercano ma sono
disponibili+lavoratori non occupati che cercano ma non sono disponibili

lavoratori addizionali= lavoratori che passano direttamente dall’inattività alla condizione di


occupati tipicamente perchè vanno a sostituire un partente che non può lavorare nell’attività
di famiglia
sottoccupazione= fenomeno di persone occupate ma che lavorano meno ore di quelle che
vorrebbero→ ISTAT distingue due concetti:
1. sottoccupazione: part-time che vorrebbero lavorare di più
2. part-time involontario: lavoratori part-time che vorrebbero lavorare full-time
(soprattutto le donne)
In Italia esisteva una quantità complessiva di lavoratori part-time involontari e sottoccupati
più o meno del 30% del totale degli occupati; siamo il secondo paese in EU per quota di
part-time involontari (sotto all’Olanda).

le cause della disoccupazione


La disoccupazione è causata da vari fenomeni, bisogna conoscerli per poter disegnare le
politiche; quando si guarda la disoccupazione la si può pensare come composta da una
componente “naturale” (formata da una componente frizionale e da una stutturale/classica) e
una “ciclica/keynesiana”. naturale→ frizionale o strutturale/classica
La disoccupazione naturale ha una definizione teorica, però quando si hanno i dati si fa una
media delle disoccupazioni degli anni passati per intercettarla→ tende ad andare sempre più in
alto solo perchè va in alto quella ciclica→ problemi per la definizione delle politiche.

disoccupazione ciclica: dipende dal ciclo economico, quando è positivo la disoccupazione è


bassa e viceversa; è la deviazione della disoccupazione effettiva
tasso naturale di disoccupazione: tasso di disoccupazione attorno al quale fluttua la
disoccupazione effettiva; dipende soprattutto dalle istituzione del mercato del lavoro, sia per
quanto riguarda gli aspetti funzionali sia per quelli classici:
1. disoccupazione frizionale: anche nei mercati del lavoro che funzionano bene, tutti i
lavoratori spendono del tempo per cercarne un nuovo; questo tempo è chiamato
disoccupazione frizionale, non esiste nella realtà economica il cambiamento di lavoro in
tempo zero (nella realtà giuridica si). Il tempo dipende soprattutto dall'efficienza informativa
del mercato del lavoro: un mercato del lavoro che è in grado di trasmettere rapidamente le
informazioni dei posti di lavoro liberi e le informazioni sui disoccupati alle imprese è un
mercato dove la disoccupazione frizionale è molto bassa→ chiaro fattore istituzionale dietro
(centri per l’impiego)
2. disoccupazione strutturale/classica: disoccupazione che si determina perché le
persone che cercano il lavoro non lo vogliono fare al salario proposto dall’impresa;
perchè non accettano di lavorare a poco? perchè in un approccio classico
dell’economia questa cosa non dovrebbe esistere in quanto i prezzi, essendo
flessibili, si dovrebbero adattare all’offerta; perché il salario non si abbassa? potrebbe
essere l’impresa a decidere di non abbassare i salari ad un certo livello(salari
d’efficienza) perchè magari hanno bisogno di meno lavoratori perché trovano
vantaggioso assumerne di meno e pagarli di più in modo da renderli anche più
produttivi; cause istituzionali: questa disoccupazione potrebbe essere conseguenza
di politiche del governo, eg i sussidi di disoccupazione o il salario minimo; anche i
sindacati possono creare disoccupazione, e tra le variabile che determinano un
lavoratore occupato c’è il salario, i sindacati possono quindi creare una
disoccupazione più elevata chiedendo retribuzioni più elevate
Ci sono anche casi di skill mismatch: le competenze dei disoccupati sono diverse dalle
competenze necessarie nei posti di lavoro vacanti.

CRESCITA ECONOMICA DI LUNGO PERIODO


La crescita economica è misurata con il PIL reale pro-capite; negli USA la crescita economica nel
giro di un secolo del PIL pro-capite è stata del 1.8% annuo in media→ cosa vuol dire? Esiste la
regola del 70 che permette di fare questa approssimazione: 70/tasso di crescita → il
risultato è il numero di anni che quella grandezza ci mette a raddoppiare.
70/2=35 → 35 anni per raddoppiare il PIL e cresce ad un tasso annuale del 2%

Cosa determina la crescita del PIL reale pc? è la produttività del lavoro, ovvero la capacità
di ogni singolo lavoratore di produrre di più per ogni singola quantità di lavoro prestato; un lavorare
in una giornata di lavoro deve produrre sempre di più→ come? grazie a:
1. tasso di occupazione del capitale fisico: se per ogni lavoratore abbiamo invece che 1,
2 telai allora si produce di più K
2. capitale umano: formazione dei lavoratori H
3. tecnologia: il modo in cui combiniamo il capitale fisico e quello umano. Molto spesso
l’avanzamento tecnologico di un settore dipende dall’utilizzo di una tecnologia altrove
già esistente T

Come si misura la crescita? Grazie alla funzione di produzione aggregata: Y/L=f(K/L, H/L, T)
L= per lavoratore→ la tecnologia non si può quantificare per lavoratore
contabilità della crescita: stima il contributo di ogni fattore nella funzione di produzione
aggregata per una crescita economica
Come si misura il ruolo della tecnologia? e io vedo che il PIL è aumentato del 1%, ma H e K
mi spiegano solo lo 0.8%, allora c’è uno 0.2% che viene attribuito generalmente alla
tecnologia e viene chiamata produttività totale dei fattori.

Se si aumenta di 1% il capitale fisico l’effetto della crescita economica sarà più grande→ teoria dei
rendimenti decrescenti del capitale fisico: se si continua ad incrementare il capitale
fisico (+ macchinari), aumenta l’effetto positivo sulla crescita economica ma questo effetto
sarà sempre più piccolo al crescere della dimensione del capitale fisico x lavoratore.

Nei paesi dove c’è più risparmio nazionale è più facile investire, perché tutti i redditi non
spesi in beni di consumo vengono risparmiati: i risparmi vengono messi in banca che è
un'istituzione che fa da intermediaria tra chi vuole risparmiare e chi vuole usare il denaro
risparmiato (tipicamente le imprese che prendono denaro-prestito per fare investimenti); il
capitale può essere anche esterno, non per forza interno. Per aumentare il capitale umano si
usa l’istruzione (corsi di formazione, mentre per far aumentare la tecnologia si sviluppa la
ricerca.
I governi sono fondamentali perché molti degli investimenti importanti sono fatti dal settore
pubblico: K= infrastrutture, H=educazione, T=ricerca/università.

Il problema dell'Italia è la bassa produttività del lavoro, che dagli anni 90 è rimasta quasi
ferma (quindi si è anche fermata la crescita del PIL pro-capite), ma non per i mancati
investimenti nel capitale fisico, ma per la carenza di tecnologia (pochissima ricerca) e poco
investimento nel capitale umano (numero di laureati basso e pochi corsi di formazione).
Le risorse naturali sono diventate meno importanti per sviluppare crescita economica, e sono
state sostituite dallo sviluppo della tecnologia; ma in questo modo la crescita è lo stesso sostenibile?
La crescita economica dipende ancora dalle materie prime e dall’impatto di esse sull’ambiente. C’è un
problema di capacità ambientale, perché il degrado ambientale non viene mai tenuto conto nel PIL: le
nuove politiche propongono l’idea che si possa continuare a crescere ma non bisogni emettere gas
serra ecc. → il mercato propone la regolazione: eg. tassa sul carbone, o scambio di diritti ad
inquinare per una certa quantità per le imprese (si paga per inquinare), e il consenso politico
che deve essere tra paesi industrializzati e non (che inquinano meno) e che deve essere
anche intergenerazionali.

MODELLO REDDITO-SPESA
Questo modello è di chiara matrice keynesiana; è un modello formato dal:
- moltiplicatore
- consumo
- investimenti

Il moltiplicatore è nato con la crisi del 29, perché non si riusciva a spiegare il crollo in borsa fosse
più piccola del PIL→ è stato creato uno strumento per spiegarlo: il moltiplicatore. Questa teoria
dice che nell’economia esistono delle reazioni a catena che rinforzano sia i circoli viziosi sia
quelli virtuosi (pat-dependance) → ipotesi di disequilibrio.
Si immaginano delle imprese edili che costruiscono delle nuove case(=investimento), così
aumenta il Reddito dei lavoratori edili: il reddito è PIL e quindi aumenta il PIL, dal quale
derivano i consumi dei lavoratori, consumi che sono i redditi dei produttori (si aumenta di
nuovo il PIL); a loro volta, i produttori consumano e si rifà il percorso.
Il PIL è quindi un flusso che passa di mano in mano: se questo flusso fa molti passaggi il
flusso iniziale determina un incremento del PIL complessivo molto grande.

Ipotesi: no settore pubblico, no tasse, no trasferimenti, economia chiusa, livello aggregato


dei prezzi e il livello di interesse sono fissi.
propensione marginale al consumo: per ogni euro in più che guadagno qual è la quota di
Δ consumo
quell’euro che destino al consumo MPC=
Δ reddito
propensione marginale al risparmio: quello che non viene speso dai consumatori
MPS= 1- MPC

In seguito ad una variazione di reddito dovuta ad un investimento, quale sarà la variazione


complessiva del PIL che ottengo? variazione di reddito iniziale + tutte le variazioni della catena del
1
moltiplicatore → moltiplicatore=
1−MPC
L’effetto di variazione di un investimento iniziale è più piccola rispetto a quella finale, e
viceversa se diminuisce invece di aumentare;
aumento annuale investimenti=200 MPS=0.2 MPC=1-0.2=0.8 → moltipl= 1/(1-MPC)=5 → 5 x
200=1000= variazione del PIL reale nel lungo periodo grazie alla variazione iniziale di investimenti

Questo meccanismo avviene quando c’è una qualsiasi variazione della componente
autonome della spesa aggregata, qualche fattore esogeno (spesa pubblica ecc) ha un
incremento che innesca il meccanismo del moltiplicatore; la variazione iniziale non è la
conseguenza ma la causa del moltiplicatore. Se MPS aumenta, il moltiplicatore sarà più
piccolo.

I consumi costituiscono i ⅔ del PIL. La funzione di consumo è uno strumento matematico che
mappa certe variabili su un'altra variabile: mappa il reddito sul consumo→come una variazione del
reddito si traduce in una variazione del consumo. L’ipotesi è che i consumatori spendono una parte di
ciò che hanno a disposizione: reddito disponibile, ossia quella parte di reddito disponibile ad
essere consumato (meno le tasse, più i trasferimenti)
Yd=Y+Tr-T

Il consumo di ogni individuo è definito da


c= a (quello che una famiglia spende anche senza
reddito) + MPC * yd

La funzione aggregata di consumo di tutti i singoli


individui C=A+MPD*YD

Un cambiamento del valore della casa equivale a un


cambiamento di A; se vi aspettate che tra un anno sarete licenziati la retta si sposta verso il
basso perchè risparmio di più (si abbassa MPC) e quindi cambia anche l’inclinazione(=MPC)
della retta che diventa più piatta.

propensione media al consumo: consumo totale per ogni euro di reddito ≠ da propensione
marginale al consumo

Gli investimenti hanno oscillazioni diverse ma molto pronunciate a seconda del PIL: se le
persone consumano meno, le imprese investono di meno perché producono meno. Gli
investimenti si dividono in:
- pianificati→ dipendono dal:
a. tasso di interesse: le imprese investono prendendo denaro delle banche; se
prendono un tasso d’interesse piccolo, investono di più (viceversa); perchè
non usano il loro denaro? perchè c’è tasso d’interesse anche lì per il costo-
opportunità.
Tasso interno di rendimento (TIR) e valore attuale netto (VAN) → io so che 1500 euro oggi
valgono 1500; ma quanto varranno tra un anno? No, anche se non c’è inflazione perché di quei 11500
li posso dare a prestito e tra un anno varranno 1500+ tasso d’interesse: l’indifferenza di un operatore
economica è tra 1500 oggi e 1530 tra un anno perchè c’è il tasso d’interesse in mezzo→ il modo in
cui rendo equivalente una differenza di prezzo tra un determinato tempo è tramite il tasso d’interesse.
Al contrario, 1500 tra un anno quanto valgono oggi? Bisogna scalare il tasso d’interesse. Questo serve
a ragionare sull’oggi e capire quanto vale oggi una serie di flussi futuro: se io so che un investimento
mi rende 100 tra un’anno, 200 tra un anno ecc. si posso portare tutti questi valori con scadenze
temporali differenti ad un unico tempo (l’oggi) e riuscire di conseguenza a sommarli tra di loro e
quindi sapere quando vale l’investimento oggi→ questo è il valore attuale; il valore attuale netto
è quell’investimento che pago; se è una cifra positiva allora io faccio l’investimento. A
seconda del livello del tasso d’interesse cambia il valore attuale netto: più aumenta più le
differenze tra i valori futuri diventano più grandi; se è piccolo, in futuro i miei soldi varranno
più o meno la stessa cifra. Più il tasso d’interesse è alto meno conviene fare gli investimenti.
Il tasso interno di rendimento (TIR) è quel tasso d’interesse che rende il VAN di un
investimento pari a zero; risponde alla domanda: quale dovrebbe essere il tasso d’interesse
che rende il VAN=0? questo semplifica i calcoli perchè se il tasso d’interesse è basso il
valore sarà positivo e viceversa, quindi si ha una stima.
b. andamento atteso futuro del PIL reale:
c. livello di capacità di produzione attuale: perché le imprese guardano a
questa? Perchè se l’impresa decide di produrre di più, prima di fare un
investimento guarda se può usare in modo più intensivo i macchinari che ha
già. Se si abbassa il tasso d’interesse non è detto che le imprese facciano
investimenti.
- non pianificati→ sono le scorte: non è detto che le imprese sappiano quali sono i livelli
futuri: la merce invenduta, quella in magazzino, viene chiamata scorta. Perchè le
definiamo come investimento? perchè è come se le imprese avessero messo da
parte della produzione per venderla in futuro (investimento in scorta). L’andamento
delle scorte è importante perché a seconda di come vanno le scorte si sa come va il
commercio (poche scorte=vendere di più=economia top)
Investimento= investimento np + investimento p

MODELLO RS: cambiamenti nella domanda conducono in cambiamenti nella q e mai nei p
(ipotesi ragionevole in una situazione di crisi economica); se siamo nel pieno di un boom
economico non è ragionevole.
Il tasso d’interesse è fisso nel breve periodo, e in un ciclo economico ci sono variazioni
molto piccole (durante una crisi economica è fisso e molto piccolo). Non c’è il settore
pubblico (non è mai ragionevole). Non è ragionevole pensare ad un’economia
completamente chiusa.
premesse:
1. GDP= C+ I se Yd= GDP (perchè non c’è settore pubblico)
2. C= A+MPC x Yd
3. AEp (spesa aggregata pianificata)= C + Ip
Noi siamo interessati alle situazioni di equilibrio→ q prodotta= q
domandata
funzione di consumo= C=300+0.6xYd
Ip=500
Nella tabella vengono immaginati diversi livelli di PIL per
vedere se si trova un equilibrio (equilibrio deve essere
GPD=AEp perchè quanto viene domandato è uguale a quanto
viene offerto). La condizione di equilibrio non è una regola ma
un’eccezione, ci sono solo alcuni valori che mettono in
equilibrio l’economia. Dobbiamo fare C+Ip=1500+500

0.6= pendenza curva C


Sulla curva dobbiamo trovare i punti in cui AEp=GDP, ossia il
punto in cui l’altezza di quella curva è uguale alla distanza
dall’origine→ come si trova graficamente? tracciando la
bisettrice inclinata di 45 gradi che passa per l'origine perché ha
la caratteristica di avere la coordinata orizzontale sempre
uguale a quella verticale.
Nel punto in cui si incrociano siamo sulla retta AEp=GDP
Si ottengono automaticamente gli Inp (i punti che non combaciano alla AEp, quindi o più a destra o
più a sinistra ← ).
Questo grafico così si chiama modello della croce
Keynesiano.

Se aumentano gli Ip il
punto di equilibrio cambia, ma non della quantità aumentata
di Ip (se C1=1500 e C2=2000, Ip1=500 e Ip2=1000, GDP
non sarà= a 2500 ma a 3000 perchè 2000+1000). Il nuovo
punto d'equilibrio sposta la curva verso l’alto.
Si ottiene un incremento del reddito di equilibrio che è pari all’incremento iniziale moltiplicato per il
moltiplicatore=2.5 → 400x2.5= 1000
Il reddito di equilibrio è= al moltiplicatore che moltiplica le componenti esogene della spesa;
se si vuole sapere di quanto aumenta Yd basta sapere di quanto aumenta la componente
autonoma della spesa aggregata e moltiplicare per il moltiplicatore

MODELLO DOMANDA-OFFERTA AGGREGATA


È un'evoluzione del modello rs; è un modello proposto dalla sintesi neoclassica (elementi
dell’approccio neoclassico e di quello keynesiano). La caratteristica principale che introduce
è il livello dei prezzi: una delle variabili sugli assi sarà l’indice generale dei prezzi, mentre
sull'asse verticale ci sarà sempre il GDP.
Sarà un modello grafico, dove disegneremo 3 curve:
1. domanda aggregata→ relazione tra indice generale dei prezzi e GDP e rappresenta il modo
in cui queste 2 variabili sono collegate grazie alla quantità complessivamente domandata di
beni e servizi all’interno di un’economia; disegnamo come cambia la q a seconda delle due
variabili. E’ una curva decrescente, perchè quando diminuisce il livello dei p
tendenzialmente si osserva un aumento di GDP, questo per due ragioni:
- effetto ricchezza: quando aumenta
l’indice dei prezzi vuol dire che i p
nell’economia sono aumentati; di
conseguenza il valore reale della mia
ricchezza è diminuito (con gli stessi soldi
posso comprare meno roba) e quindi A e
Yd sono diventati più piccoli→ consumo C
si riduce, quindi graficamente, se aumento il
livello dei p la domanda si riduce e quindi mi
sposto su un punto del GDP più piccolo (viceversa)
- effetto tasse d’interesse: se aumenta l’indice generale dei p, noi abbiamo
bisogno di più moneta liquidi rispetto a prima; le persone dovranno quindi
vendere titoli azionari (moneta non liquida) per avere più moneta liquida: se
tutti vendono obbligazioni (eg. BTP) in massa, il loro valore diminuisce e di
conseguenza il tasso d’interesse aumenta e quindi la domanda aggregata
scende

Tutte le volte che si ha una variazione di una variabili che non è l’indice generale dei prezzi,
bisogna capire se questa variazione comporta ad un incremento o ad una diminuzione della
domanda aggregata (eg. spesa pubblica) si ha uno spostamento della curva (aumento si va
a dx; riduzione a sx); quello che può spostare la curva è: cambiamento nelle mie aspettative
sul futuro (è come se la mia ricchezza valesse di più e quindi spendo di più), modifica della
mia ricchezza, politiche attuate dal governo. Se si ha una variazione dell’indice generale dei
prezzi si ha uno spostamento sulla curva.
2. offerta aggregata→ dice qual è la relazione tra l’indice dei p e GDP con la q che un
determinato riesce a produrre; esistono due curve di offerta a seconda del periodo (dipende
dalla flessibilità dei prezzi): nel breve si immagina è che ci siano dei p non flessibili e quindi
non si adattano alla variazione dell’indice; la curva dice quanto le imprese stanno producendo
a ogni livello dei p e questa è una funzione di quanto le imprese guadagnano→ se i profitti
(che sono la differenza tra ricavi, quindi prezzo di vendita, e i costi di produzione) aumentano
le imprese producono di più. La curva è graficamente inclinata positivamente: se aumenta
l’indice i p di vendita dei beni (il ricavo unitario delle imprese) sono aumentati; se i costi di
produzione non si adattano all’incremento dell’inflazione i profitti temporaneamente
aumentano (soprattutto se si parla si salari) e quindi incrementano la produzione→
spostamento lungo la curva
Spostamenti della curva si verificano quando le cose
che determinano variazioni nell’incentivo delle
imprese a produrre più o meno, ma che non sono una
variazione dell’indice (eg. variazione nei beni
energetici: aumenta il p del petrolio e quindi
aumentano i costi di produzione; cambiano i salari
nominali; aumenta la produttività (q prodotta in ogni
singola unità di tempo)

Nel breve periodo il GDP effettivamente osservato fluttua attorno alla q del lungo periodo
3. offerta aggregata di lungo periodo→ tutti i fattori sono variabili quindi tutti i p si adattano. Se
aumenta l’indice i sindacati adattano immediatamento il costo del lavoro, il profitto delle
imprese rimane invariato e quindi continuano a
produrre la stessa q di prima. La curva è verticale
perché per qualunque livello di p la q prodotta
rimane sempre la stessa; non ci sono costi di
produzione agganciati al livello dei prezzi. La q
prodotta è determinata principalmente da fattori
tecnologici, infatti la q prodotta del lungo si chiama
produzione potenziale, perché si immagina che
quella q se tutti i p fossero flessibili dipende dalle
caratteristiche tecnologiche di un’economia (se è
tecnologicamente avanzata allora produce tanto e viceversa)
L’output potenziale dipende da caratteristiche tecnologiche→ già viste nella crescita economica→
dice come cambia il GDP nel lungo periodo grazie ai mutamenti dei fattori che determinano la
produttività del lavoro→ variazione in positivo dell'output potenziale nel lungo periodo.

Ruolo delle banche


Le banche sono degli intermediari finanziari, quello che dovrebbero fare è raccogliere
denaro (consumatori che non consumano tutto il loro reddito) che poi viene prestato a
imprese che a loro volta fanno investimenti; nel fare questo le banche fanno la
“trasformazione delle scadenze” → i depositi dei consumatori hanno una scadenza immediata,
perché sono pienamente liquidi, contemporaneamente le banche finanziano altre attività non
pienamente liquide: così facendo emergono due problemi:
La trasformazione delle scadenze→ magari l'obbligazione che viene acquistata ha una scadenza
30ennale→ come si fa se io voglio ritirare i miei soldi? vengono fatte delle operazioni che sono la
costituzione di riserve bancarie (quota dell’intero ammontare dei depositi che la banca riceve
che conserva nelle proprie casseforti: la quota di riserva è il rapporto tra la q complessiva
di riserve e la q complessiva di depositi) i requisiti di riserva sono dei requisiti che la banca
centrale impone alle banche per fare in modo che ci sia sempre un certo ammontare di
riserve, che servono ad evitare la corsa agli sportelli.

La Banca Centrale, è un'istituzione finanziata sia da settore pubblico che da quello privato,
e ha il compito di fare da supervisore e regolatore del sistema bancario; in più svolge il ruolo
di controllare la base monetaria per controllare l’offerta di moneta (USA: Federal reserve -
EU Banca centrale Europea - UK Banca D’Inghilterra).

Domanda di moneta
Si ragiona in termini di costo-opportunità di detenere
moneta; se il tasso d’interesse è basso non lo presto.
Le due variabili sono legate da una relazione
negativa.
Come si sposta la curva? Se la domanda di moneta
varia perchè varia il tasso d’interesse allora ci si
sposta lungo la curva di domanda; ma se aumenta il
livello dei prezzi, fare la spesa costa di più e quindi ho
bisogno di più moneta→ spostamento della curva.

Offerta di moneta
L’offerta di moneta è controllata dalla banca centrale e quindi è una q fissa, non c’è una variabile che
la determina→ per questo è una retta verticale.
Punto E è il punto di equilibrio ed è un punto stabile; se la BC aumenta l’offerta E si trova ad un tasso
d’interesse più basso→ come fa? il mezzo principale sono le operazioni di mercato aperto: la
BC compra da altre banche titoli pubblici/privati così può far uscire più moneta; se invece
vuole aumentare il tasso d’interesse può fare operazioni di mercato aperto in vendita: vende
i propri titoli e riceve in cambio moneta.

POLITICHE MONETARIE
Date le implicazione degli strumenti di analisi siamo in grado di dire come devono essere
disegnate le politiche; le politiche possono essere espansive oppure restrittive:
- espansiva→ mi fa aumentare il PIL attraverso un incremento della domanda
aggregata
- restrittiva→ riduce il PIL attraverso una riduzione della domanda aggregata

Come funziona una politica monetaria? Immaginiamo che la BC aumenti l’offerta di moneta:
sul mercato si verifica una riduzione del tasso d’interesse, e quindi la domanda aggregata
aumenta perché aumentano gli investimenti, quindi aumenta il PIL, aumenta il consumo ecc,
ma aumenta anche l'inflazione. Se si vuole ridurre la domanda aggregata, si riduce l’offerta
di moneta, e si produce una deflazione.
A volte non è necessario una mossa della BC, spesso si immagina che gli agenti economici guardino
sempre cosa accadrà in futuro, quindi potrebbe non essere necessario cambiare il tasso d’interesse, ma
potrebbe essere sufficiente fare delle dichiarazioni di politica monetaria (eg. se una BC dice che a
marzo alza il tasso d’interesse, le imprese si aspettano che diventi più costoso fare investimenti e
quindi li fanno subito) → effetto annuncio.

Le BC si danno delle regole:


1. inflation targeting: quando la BCE mette un obiettivo per il tasso d’inflazione (2%) e
fa una politica monetaria per raggiungerlo
2. la Fed invece invece fa una cosa diversa: mette in usa una regola di Taylor dice che
per sapere il tasso d'interesse da mettere come obiettivo bisogna fare : 2.07+1.28 x
tasso d’inflazione- 1.95 x unemployment gap (distanza tra il tasso di
disoccupazione di lungo periodo e il tasso di disoccupazione corrente)
il tasso di inflazione entra nel calcolo con il segno + perché se l'inflazione è alta io aumento il
tasso (più è alta l’inflazione più viene grande il risultato e quindi più grande sarà l’obiettivo
della Fed→ se c’è tanto inflazione bisogna fare una politica monetaria restrittiva e con questo
calcolo sappiamo di quanto). Più il tasso di disoccupazione è elevato minore sarà il tasso
obiettivo→ se la disoccupazione è elevata dobbiamo fare una politica monetaria espansiva.
Ci sono 2 differenze cruciali tra questi approcci:
1. direzione verso la quale queste politiche guardano: BCE è una regola forward-
looking sul futuro tasso di inflazione; la Fed è backward-looking, i valori sono quelli
del trimestre precedente
2. la Fed mette sullo stesso piano il problema dell'inflazione e quello della
disoccupazione (bisogna bilanciare le due cose); la BCE ha solo un obiettivo di
inflazione, e non importa se per raggiungerlo venga sacrificata la disoccupazione.
3. quantitative easing: politica espansiva che serve per aumentare direttamente la quantità di
denaro nel sistema bancario scambiando asset finanziari (titoli di stato)→ operazioni di
mercato aperto per aumentare l’offerta di moneta; la sua eccezionalità è data dal suo
ammontare.

POLITICA FISCALE
La politica fiscale è appannaggio del governo (è il governo che muove le leve di questa
politica), ed è l’uso di tasse, spesa pubblica, e di trasferimenti per spostare la domanda
aggregata.
I trasferimenti sono elargizioni in denaro che vengono date ai cittadini senza niente in
cambio (sussidi di disoccupazione, pensioni ecc.); a volte si sente parlare di assicurazione
sociale, altre volte di assistenza sociale: l’assicurazione è una prestazione dello Stato che
consegue al pagamento di determinati contributi (sussidi di disoccupazione), mentre
l’assistenza consegue al verificarsi di una condizione di necessità (in Ita non esiste ancora,
ma in altri paesi il fatto di essere poveri determina il diritto di avere diritto alla prestazione
contro la povertà).
Il gettito totale complessivo italiano è in linea con la media europea; la pressione fiscale è composta
da: imposte indirette (quelle che colpiscono i consumi, eg. IVA, sono progressive ma il rischio di
evasione è più basso), imposte dirette (quelle calcolate direttamente sul reddito e che quindi
colpiscono direttamente la capacità di pagare degli individui→ il problema è l’evasione fiscale),
contributi sociali (contributi versati per finanziare alcune assicurazioni sociali), e imposte in conto
capitale (eg. tasse sulla ricchezza).
La spesa pubblica italiana è in pari con la Germania e con la
media della UE; se il PIL diminuisce rapidamente la spesa
aumenta; la principale componente della spesa italiana sono le
prestazioni sociali (16%, soprattutto per le pensioni), poi la spesa
per i redditi da lavoro (salario dei dipendenti pubblici 10%).
Con queste leve il settore pubblico influenza la domanda aggregata, perchè: la spesa pubblica è
direttamente domanda aggregata, ma anche tasse e trasferimenti influenzano la domanda aggregata,
perchè i consumi privati passano attraverso il reddito disponibile che dipende da tasse e
trasferimenti→ quindi il governo influenza direttamente la domanda aggregata; come? Si immagina
che esista un gap recessivo, quindi il PIL è basso, il governo può decidere di spingere la
domanda aggregata verso dx e quindi di farla aumentare, così da velocizzare un ritorno
verso l’equilibrio.
Il contrario capita quando si ha un gap inflazionistico: si vuole ridurre l’inflazione
diminuendo la domanda aggregata, riducendo le leve.

Di quando si devono spostare le leve? Dipende dal moltiplicatore; spesa pubblica e tasse e
trasferimenti non hanno lo stesso effetto: se il governo aumenta la spesa pubblica, aumenta
direttamente nel primo giro del moltiplicatore il PIL; con tasse e trasferimenti invece il governo non
spende direttamente per comprare qualcosa, ma da i soldi a qualcuno a cui spetta il compito di
consumare→ manca il primo giro. L’effetto finale è quindi inferiore perché

L’ammontare finale può essere calcolato ricavando il moltiplicatore di tasse e trasferimenti,


C
che vale (propensione al consumo/1-propensione al consumo); il moltiplicatore della
1−C
1
spesa pubblica vale invece → il denominatore è lo stesso, quindi per sapere quale frazione è
1−C
più grande bisogna confrontare i due numeratori (quella con il numeratore più grande sarà anche
quella più grande). Noi sappiamo che C è compreso tra 0 e 1, quindi C è sicuramente più
piccolo di 1, quindi il numeratore di tasse e trasferimenti è sicuramente più piccolo di quello
della spesa pubblica.

Allora perché viene speso denaro in tasse e trasferimenti? Perchè la spesa pubblica soffre di alcuni
ritardi di implementazione→ ci sono 3 tipi di ritardi:
1. bisogna identificare il problema, quindi fare un’indagine per identificare la fonte
2. per identificare le politiche adeguate ci vuole tempo: il tempo di analisi
3. la discussione in Parlamento su quale politica implementare richiede tempo
Una volta che si ha il piano di spesa, le spese vanno eseguite perchè per far si che si innesti
il moltiplicatore i soldi devono trasformarsi in redditi, ma perché diventino redditi bisogna
portare avanti dei progetti. La spesa pubblica è quindi più efficace ma ha dei ritardi; tasse e
trasferimenti agiscono subito.
Un altro problema è quello collegato al fatto che le persone beneficiano in maniera diversa a
queste politiche: eg. perché il partito repubblicano negli USA vota sempre a favore di
riduzioni di tasse? Perché beneficia soprattutto loro. Quindi l’effetto finale di spesa pubblica,
tasse e trasferimenti dipende anche da chi sono i beneficiari.

Gli stabilizzatori automatici sono sono un pezzo della spesa pubblica che si muove in modo
automatico rispetto agli andamenti del PIL, ma si muove in direzione opposta, così da stabilizzare in
maniera automatica il PIL→ ≠ politica fiscale discrezionale, politica presa per un progetto
specifico. Si chiama stabilizzatore perché smorza le oscillazioni del PIL. Un altro pezzo di
stabilizzatori automatici è dato dalle tasse: le tasse sono una quota del reddito, e quindi
bisogna riconoscere il fatto che l’aliquota di tassazione è diversa a seconda dell’entità del
reddito; quando il PIl cresce ci saranno dei redditi che prima non esistevano e alcuni che
prima esistevano che diventano più grandi: i lavoratori pagheranno più tasse.

Se noi espandiamo la spesa pubblica ad un certo punto ci scontreremo con i limiti imposti dal debito
pubblico→ bilancio dello stato: in ogni anno è dato da tasse-spesa pubblica-trasferimenti;
si ha un surplus tutte le volte che sarà positivo, e un deficit le volte che il risultato è negativo.
Le politiche fiscali espansive, tendono a far peggiorare il saldo di bilancio dello stato (se
abbiamo un deficit, quel deficit diventerà più grande, se si ha un surplus quello diventerà più
piccolo); con le politiche fiscali restrittive, la differenza tende a diventare positiva. Il bilancio
dello Stato peggiora nei periodi di crisi economica.
Stiamo parlando di deficit e non di debito, qual è la differenza? Il deficit è il bilancio di uno
stato all’interno di uno specifico anno (grandezza di flusso); il debito è la somma dei soldi
che il governo deve (grandezza di stock).

Dentro all’andamento del deficit noi contiamo sia l’andamento degli stabilizzatori automatici,
sia l’andamento delle spese discrezionali; ma quale parte è dovuta ad una parte o all’altra?
Si può costruire in modo statistico quello che si chiama saldo di bilancio dello stato
aggiustato per l’andamento del ciclo economico (deficit strutturale)→ si calcola quale
sarebbe stato il bilancio dello stato se il PIL fosse stato al suo livello di PIL potenziale
(esercizio statistico); questo è un indicatore per essere o non essere sanzionati dalla UE:
secondo la UE il deficit strutturale non deve superare una determinata soglia perché viene
calcolato in base al livello di PIL potenziale, ma se noi calcoliamo il PIL potenziale secondo
la media degli anni passati, se c’è stata una crisi sarà molto basso; di conseguenza, il gap
recessivo, il PIL, che si osserva sarà molto piccolo e quindi la UE giustificherà una spesa
pubblica molto contenuta.
L’obiettivo del fiscal compact in termini di disavanzo strutturale di bilancio delle
amministrazioni pubblico è di un massimo di 0,5% del PIL: quindi se il deficit strutturale
diventa più grande gli stati hanno meno “fiscal space” per finanziare politiche fiscali
espansive; quindi in Italia per Costituzione non si possono creare disavanzi pubblici che per
medio termine siano superiori allo 0,5% del PIL, se questo non viene fatto esistono dei
meccanismi di correzione automatica per cui avvisi/sanzioni, fino ad arrivare all’obbligo di
ridurre la spesa pubblica, alzare le tasse e anche alzare l’IVA.
È sensato che gli Stati si diano questa norma? In realtà non tanto, il problema è che con il
modo in cui viene calcolato il disavanzo il rischio è che si sottostimi il PIL in periodi di crisi e
quindi di ritenere che il ciclo economico non stia andando così male anche se va malissimo;
così facendo, si finisce per erodere anche la capacità degli stabilizzatori di contenere le
oscillazioni del ciclo economico. Nel breve periodo, l’uso della spesa pubblica (anche in
deficit), per contenere le oscillazioni è sensato; quindi perché si presta così tanta attenzione
al deficit? Il rischio è quello che vada fuori controllo, se questa politica viene fatta per anni di
fila; un altro aspetto da tenere in conto è che il rapporto tra deficit, debito e PIL di un paese,
è un rapporto in cui il denominatore non è un numero dato, ma dipenda da quanto deficit
facciamo, quindi il discorso “tanto deficit=tanto debito” è insensato soprattutto se il deficit
viene usato per aumentare il PIL. Bisogna sempre tenere conto se il PIL stia crescendo,
diminuendo o restando uguale.

Il debito pubblico italiano


linea rossa= andamento delle spese
linea blu= andamento entrate (gettito fiscale)
linea gialla= andamento spesa pubblica se non si pagassero
gli interessi
linea grigia= andamento di uno dei tassi di interesse sul
debito pubblico

La spesa pubblica è sempre aumentata anche il gettito fiscale, la spesa pubblica


complessiva è più alta del gettito, ma la spesa pubblica senza gli interessi non è sempre più
alta. L’Italia al momento è nella situazione di avanzo primario; il problema è che le spese per
il pagamento degli interessi la mandano in disavanzo.
L’avanzo primario la differenza tra entrate e uscite, togliendo dalle uscite le spese per
interessi; è un indicatore che ci dice come sarebbe il bilancio dello stato se il paese non
dovesse pagare interessi sul debito pubblico pregresso (indipendenti dalle politiche correnti
dei governi).

In questo grafico si ha invece lo stesso tipo di andamento ma


rispetto al PIL: la punta della linea rossa coincide con una
punta di tassi d'interesse. Ecco perché l’Italia deve fare
particolare attenzione a come si muovono i tassi d’interesse
sul debito (lo spread). Tassi d'interesse grandi per l’Italia,
vogliono dire che il debito pubblico deve pagare la spesa per
gli interessi sul debito pubblico che diventa molto grande.

Il rapporto debito/PIL italiano un bel po’ di anni fa era molto


basso, poi è cresciuto costantemente; ci sono 4 periodi:
1. monetizzazione
2. svalutazione
3. euro
4. recessione
Questi periodi indicano modi diversi in cui l’Italia ha sostenuto il proprio debito pubblico; fino
al 1981 (divorzio banca d’Italia tesoro), il governo aveva la possibilità di obbligare la banca
centrale italiana a comprare titoli di debito pubblico all’emissione. La conseguenza è che se
si chiedono soldi alla banca, la banca fa uscire soldi dai propri forzieri e questa operazione
implica una politica monetaria fortemente espansiva, in un momento in cui non serve,
creando così un aumento dei prezzi e quindi inflazione (quasi 20%). Si dice che si
monetizza il debito pubblico quando lo si paga in inflazione.
Dal 1981 alla metà anni 90 l’Italia inizia a fare svalutazioni competitive, per reggere la
competizione dei paesi stranieri, veniva svalutata la lira così che i beni italiani costassero
meno; tra i beni italiani c’era anche il debito pubblico, e quindi un investitore straniero per
comprare il debito pubblico doveva anche comprare le lire, che costavano sempre di meno
per le svalutazioni.
Dalla metà degli anni 90 nella UE inizia la strategia di convergenza per dare vita all’euro
(accordi e parametri di Maastricht 1992); non si poteva più svalutare perché non c’erano più
tassi di cambio. Vennero fatte importanti politiche per entrare nell’area euro, tant’è che a
partire dalla fine degli anni 90 il rapporto debito/PIL comincia a diminuire; tra i parametri di
Maastricht c’era il parametro di non avere un rapporto debito PIL non superiore al 60%,
l’Italia non rispecchia questo parametro ma tutti gli altri si, per questo fu accettata, dato
anche il diminuire del rapporto; entra anche perchè non si poteva tenere fuori il Belgio, che
aveva un rapporto debito/PIL superiore a quello italiano. Durante questa fase l’Italia grazie
alla garanzia fornita dal fatto che l’Italia fosse nell’area euro, i tassi d’interesse del debito
pubblico italiano crollano.
Con la crisi economica, il rapporto debito/PIL torna a salire perché il PIL si ferma ma il
debito va come prima e di conseguenza il rapporto cresce.
Il debito pubblico italiano è detenuto da:
- un terzo è in mano estera
- un terzo dalle banche
- istituzioni finanziarie
- cittadini
- un ventesimo dalla Banca d’Italia

Politica monetaria o politica fiscale?


Il principale strumento di stabilizzazione dell’economia è la politica monetaria; entrambe
sono soggette a sfasamenti temporali, ma la politica monetaria lo ha di meno, e in più
appare come una politica più oggettiva/tecnica (non necessariamente vero), nonostante
abbia comunque dei limiti: la trappola della liquidità (al di sotto di un certo livello non posso
spingere i tassi d’interesse), limite del vincolo di partecipazione delle imprese (anche se
riduco il tasso d’interesse non è detto che le imprese investono). Lo spazio per le politiche
economiche, in particolare quella fiscale non è zero, soprattutto quando le politiche
monetarie sono meno efficaci (periodi di crisi).

critiche: Se io accumulo debito pubblico, la spesa per interessi diventerà più grande, e quindi
la spesa pubblica successiva dovrà essere destinata a ripagare gli interessi: vero, ma gli
interessi non dipendono solo dal debito pubblico.
La spesa pubblica spiazza gli investimenti privati, perché entrambi vengono di solito
finanziati da indebitamenti: vero, ma il momento in cui il governo spende a scopo anticiclico,
è il momento in cui non spendono i privati.
Se il governo aumenta la spesa pubblica, in futuro dovrà rientrare di quella spesa, e quindi
aumenterà le tasse: se questo ragionamento è vero, e gli individui sono razionali, allora
diranno “ma se io domani vengo tassato di più, non posso consumare tanto oggi, ma devo
cominciare a risparmiare”; bisogna però presupporre che tutti gli agenti economici abbiano
una capacità di calcolo razionale molto superiore a quella reale.

Questi ragionamenti riprendono i pensieri delle due scuole economica: Keynesiana e


neoclassica.
Negli anni 70-80 hanno successo le teorie delle aspettative razionali (della macroeconomia
classica) dicono che gli individui sono soggetti economici perfettamente razionali, che usano
in modo efficiente tutte le informazioni disponibili per prendere decisioni che procurano loro il
massimo vantaggio; quindi, quando si ha una spinta della domanda aggregata dovuta ad
un'espansione della spesa pubblica, si avrà una fase di equilibrio di breve periodo dove si ha
un PIL più elevato derivante dal fatto che i prezzi dei beni salgono, ma non salgono i salari,
e quindi le imprese aumentano i loro profitti. Il problema è che poi gli individui se ne rendono
conto e quindi il vantaggio delle imprese viene meno e si torna ad un punto di equilibrio di
lungo periodo dove il PIL è quello potenziale, ma il livello dei prezzi è più elevato.
Se gli individui sono perfettamente razionali, quando lo Stato fa la politica espansiva gli
individui sanno già che aumenteranno i prezzi e che quindi devono contrattare subito salari
più elevati, e quindi non si ha la fase di aumento del PIL, ma si ha subito la fase del nuovo
equilibrio.
Negli anni 90 nasce la cosiddetta nuova macroeconomia neoKeynesiana: dimostrano
livello micro che l’ipotesi di perfetta razionalità degli individui non ha senso, nonostante ciò
non c’è mai stato un ritorno all’insegnamento Keynesiano, e quindi si consolidano le idee
della nuova macroeconomia classica, fino a quando arriva la crisi finanziaria che provoca un
crollo della domanda aggregata e quindi si riusano gli insegnamenti Keynesiani.

LE POLITICHE DELL'OCCUPAZIONE
Sono state uno degli strumenti principali degli ultimi anni; si distinguono in due:
- Attive: mirano a incrementare la probabilità che un individuo trovi lavoro (corsi di
formazione)
- Passive: puntano a tutelare il reddito di un individuo in assenza di lavoro (sussidio di
disoccupazione sei perchè ha dei corsi di formazione)

Il reddito di cittadinanza è un politica ibrida: doveva essere uno schema anti povertà, ma ha
elementi di politiche attive (ha delle caratteristiche tipiche del sussidio di disoccupazione).

Rimedi
Disoccupazione ciclica: politica espansiva che faccia aumentare il PIL
Disoccupazione frizionale: migliorare l’efficacia per i centri per l’impiego, sussidi di
disoccupazione (se condizionati ad una ricerca attiva di lavoro)
Disoccupazione naturale: skill mismatch (competenze possedute dai lavoratori disoccupati
non sono quelle richieste), politiche attive, contratti di apprendistato, orientamento
scolastico,ridurre il potere contrattuale dei sindacati, ridurre i salari minimi

Le politiche che cercano di ridurre i salari spingono la curva di offerta aggregata di breve
periodo verso destra, e quindi verso la deflazione, come ad esempio decentramento della
contrattazione collettiva, occupazione sussidiata, prepensionamenti, riduzione ELP (norme a
protezione dell’impiego).
Le riforme strutturali sono una forma di politica economica complessiva che colpisce molte
leve; nel modello Tronti viene spiegato che le riforme da fare per far crescere il PIL sono: da
un lato liberalizzare i mercati dei prodotti e dei servizi, in modo che le imprese siano messe
in maggiore competizione e quindi sono spinte ad innovare di più, che porta ad una
maggiore produttività, che permette di ridurre i prezzi; in più, una maggiore concorrenza, a
parità di condizioni, riduce i prezzi. I motori principali di questo meccanismo sono due: da un
lato deve esserci la concorrenza tra le imprese (esportazioni), dall’altro deve essere quello
dell’aumento del potere d’acquisto dei lavoratori che deve permettere un incremento della
domanda interna.
In Italia è stato attuato per legge questo meccanismo; un canale su cui si è operato molto è
stato quello delle norme e protezioni per l’impiego: sono tutte le norme che regolano il
licenziamento dei lavoratori e che lo rendono “difficile”; vengono introdotte per 3 ragioni:
1. Gli individui sono avversi al rischio, quindi preferiscono un profilo piatto a parità di
salario
2. I mercati assicurati non sono in grado di offrire copertura contro il rischio di
licenziamento; non ci sono assicurazioni disposte a tutelare a causa della
asimmetria informativa tra lavoratori e assicuratori
3. I mercati del credito sono imperfetti e i disoccupati sono soggetti a vincoli di liquidità;
si risparmia mentre si lavora e si prende a prestito quando si è disoccupati
Dove c’è un fallimento del mercato interviene il settore pubblico, attraverso sussidi di
disoccupazione, oppure fa in modo che i licenziamenti non siano così facili, e che quindi
l’instabilità del reddito sia contenuta all’interno di un certo margine. In genere, i due
provvedimenti sono sostituti, nel senso che è tipico incontrare Paesi che erogano sussidi di
disoccupazione molto elevati, ma hanno norme di protezione blande (Danimarca), oppure
viceversa (Italia fino ad un po’ di anni fa).

Che effetti hanno queste norme? Le norme introducono un costo sui licenziamenti, quindi
riducono la quantità di individui che lasciano le imprese: in questo modo, le imprese
anticipano questo vincolo e saranno più restrittive nelle assunzioni (escono meno persone
ma ne entrano anche meno); di fatti, l’effetto netto sull’occupazione è nessuno. Altre
conseguenze sono: quando ci sono norme a protezione più restrittive, le imprese sono più
incentivate a investire nella formazione dei lavoratori. Per un lavoratore queste norme
riducono le fluttuazioni del reddito, evita il rischio di essere rimpiazzato da un altro, e quindi
ha un maggiore benessere; questo significa anche un maggior turnover dei lavoratori.
Complessivamente, l’effetto è ambiguo.
In Italia, sulla disoccupazione ciclica è stato fatto poco, tranne quando c’è stata la pandemia;
la strutturale esiste a causa della bassa scolarità dei lavoratori e quindi poca formazione
(fatto solo per i giovani ma i giovani hanno poca formazione); c’è anche quella frizionale
perché i centri per l’impiego sono sottosviluppati (nonostante le varie riforme). Si è però
ridotto il costo del lavoro, e l’impatto della contrattazione collettiva, sono stati introdotti gli
sgravi fiscali e in più si sono ridotte le norme di protezione per l’impiego.
L’obiettivo di crescita che si davano le riforme strutturali non è stato conseguito: l’origine
della crescita italiana dal 95 al 2008 è stata la crescita della popolazione, non la crescita
della produttività; il tasso di crescita delle retribuzioni reali è cresciuto molto poco, e quindi
l’effetto che poteva passare da questo canale è stato molto piccolo; il deflatore del PIL
europeo è sempre cresciuto di meno delle retribuzioni: ciò significa che le retribuzioni,
mediamente nella EU, hanno guadagnato potere d’acquisto sui prezzi, mentre in Italia il
deflatore del PIL è sempre cresciuto di più delle retribuzioni, che hanno quindi perso potere
d’acquisto sui prezzi.

Tronti afferma che non è che le riforme strutturali non abbiano funzionato, ma hanno
funzionato troppo: le liberalizzazioni si sono incentrate all’interno del mercato del lavoro,ma
non c’è stata un uguale enfasi all’interno del mercato dei beni e dei servizi, quindi non c’è
stata crescita della produttività/concorrenza/canale esportazioni/canale consumi interni; in
più questo modello non contiene tutto quello che è rilevante per crescere, non è fatto sui
singoli casi ma solo in generale.

CRISI ECONOMICHE 2007-2011


USA…
L’origine della crisi, il 15 settembre 2008, la banca finanziaria Lehman Brothers Holding
annuncia la bancarotta; era un banca potentissima, tant’è che il suo fallimento ha causato
una caduta tra il 4/5 percento del PIL degli USA.
Questa era anche una banca di investimenti che faceva parte del sistema bancario ombra
(operava al di fuori dalle regole delle banche perché è un’istituzione finanziaria e non
bancaria), e quindi operava con rischi superiori al normale, acquistando prestiti erogati dalle
banche per rivederli (cartolarizzazione): un’operazione rischiosa perché prevede una
trasformazione delle scadenze estremamente pericolosa perché è estrema la trasformazione in sè →
poteva fare ciò perchè è sia una banca sia un centro di investimenti, quindi era un’istituzione molto
più vulnerabile alla corsa agli sportelli.
Lehman Brothers è stata la prima e non è stata salvata dal governo all’inizio, poi quando si è
reso conto che senza quella sarebbero fallite anche tutte le altre banche è iniziato il
salvataggio.
Tutto è iniziato con i mutui subprime: mutui al di sotto del livello di garanzia massimo
perchè erogati a persone che hanno incerte probabilità di restituire i soldi; perchè sono stati
questi mutui? Negli anni 70 il modello bancario era originate to hold; nel momento in cui una
banca presta denaro, il tasso d’interesse è il profitto della banca, per limitare il rischio di una
crisi di liquidità, le autorità impongono un tetto massimo al rapporto tra i prestiti concessi e i
risparmi depositati. Negli anni 80, emerge una volontà delle banche di aumentare la quantità
delle proprie attività a parità di garanzie: vengono inventati nuovi strumenti finanziari:
- special purpose vehicles
- mortgage backed securities: obbligazioni garantite da mutui; vengono erogati
mutui, che sono attività della banca, e li usa come garanzia per emettere altri titoli;
così facendo incassa denaro fresco con la quale eroga altri mutui: un pezzo del
rischio della banca viene apparentemente trasferito al di fuori della banca

La leva finanziaria è il rapporto tra le attività di un'istituzione finanziaria diviso il capitale


proprio (anche la differenza tra attività e debiti); è conveniente alle istituzioni finanziarie
perché se le cose vanno bene il valore del titolo aumenta (eg.) del 10%: alla fine del periodo,
l’attività che io ho comprato a 1000 ora la rivendo a 1100, ma 900 li devo restituire alle
persone che mi hanno prestato il denaro: restituisco i 900 e mi resta 200, che è il capitale
proprio (quello iniziale era di 100).

La leva, che è una misura della rischiosità di quello che sta facendo un investitore, si riduce
(1000/100=10 → 1100/200=5,5).
Se invece l’asset perde del 5%, l’attività invece di 1000 varrà 950, di cui 900 li deve ridare e
quindi il capitale proprio si dimezza e diventa 50; la leva va a 19.950/50). Se l’asset perde
più del 10%, l’investitore la in bancarotta (quello che è successo a Lehman Brothers, ha
costruito troppi castelli di mutui ed è bastata un’oscillazione piccola perchè quello che c’è
alla base venga distrutto).
Come si ripristina la leva? Se il titolo X perde valore, la prima cosa è vedere il titolo prima che perda
tutto il suo valore; ma se è un titolo che hanno in tanti, tutti cominciano a venderlo, il suo valore
crolla→ le banche vendevano le case, i mutui, quindi le banche per ripristinare il valore di leva
vendono anche altre cose che però perdono anche esse il proprio valore.
Le banche erano in fissa con le case perchè in quel periodo c’era la bolla immobiliare,
periodo in cui i tassi d’interesse erano bassi (negli USA): ad un certo punto però la bolla scoppia, nel
2007, perché i tassi d’interesse iniziano a salire e per la gente con i mutui subprime diventa
impossibile ripagare il proprio debito→ le banche si ritrovano con tante case che non vogliono;
l’offerta supera la domanda, e non riescono a vederle e quindi il loro valore crolla; cercano di vendere
anche gli asset sani per contenere le perdite, ma anche il loro valore scende. Le principali banche di
investimento americane avevano raggiunto un livello medio di leva di 45 tra il 1991-2008; queste
banche avevano accumulato un’attività del valore pari ad oltre il 61% del PIL degli USA: proprio per
questo pensavano di essere too big too fail, ossia che il governo USA non le lasciasse fallire
perchè erano troppo importanti (invece lo fa con una e poi salvano le altre). Dal 2007 al
2012 vengono attuati gli interventi di salvataggio del governo USA ammontando a 2853
miliardi di dollari; si poteva evitare? SI, ma non si è fatto niente per cavalcare l’onda della
crescita finanziaria, anche per ragioni macroeconomiche: la disuguaglianza tra USA e EU
stava diventando sempre più evidente.

In Europa…
La bolla immobiliare si è verificata anche nell’area Euro, soprattutto in Irlanda e Spagna;
anche le banche europee avevano fatto investimenti sul mercato immobiliare, nel farlo
raggiunsero livelli di leva da far impallidire quello di Lehman Brothers. La bolla scoppia
perché le banche erano troppo esposte; nel periodo tra 2007-2012 i governi EU sono
intervenuti con 2696 miliardi di euro, e nel 2012 i prestiti non restituiti erano circa 11.5% del
PIL dell'area Euro. Anche qua il debito privato diventa pubblico: l’Italia è uno dei paesi al
centro dell’attenzione per il proprio debito pubblico; problema è che l’altro asset su cui le
banche investono erano i titoli del debito pubblico, per questo si chiama crisi del debito
sovrano.

Era il periodo iniziale dell’euro e quindi di assestamento secondo i parametri di Maastricht:


tra i vari ce n’era uno sul tasso di inflazione e uno sui titoli di debito pubblico (in pratica
bisognava copiare i tassi del paese con l’inflazione più bassa, Germania); i tassi d’interesse
diventano quindi simili: da un lato, tutti i paesi che sono riusciti ad entrare nell’euro hanno
un’economia affidabile e quindi non sono rischiosi perché c’è la Banca Centrale Europea
che li controlla tutti e che in caso li salva; c’è comunque qualche paese che ha un tasso
d’interesse più elevato degli altri, per cui hanno tutti lo stesso tasso di rischio, ma l’Italia-
Grecia-Spagna-Irlanda-Portogallo (PIIGS) continua a pagare un tasso d’interesse superiore
agli altri.
Questi 5 paesi vengono inondati di denaro da parte delle banche di Francia-Germania ecc.,
che compravano il loro debito pubblico; ad un certo punto questo meccanismo non funziona
più perchè nel 2009 la Grecia cambia governo e si scopre che il rapporto deficit/PIL non è
del 4% ma del 16%, con un debito/PIL=110%; di conseguenza le banche francesi e
tedesche temono di perdere il loro capitale e iniziano a vendere i titoli: crolla il valore dei titoli
del debito pubblico greco. Di conseguenza, le banche, per timore, cominciano a vendere
anche gli altri asset (debito pubblico dei PIIGS) perché la Banca Centrale non interviene.

Si poteva fermare il contagio? Si, perchè con 50 miliardi di euro il debito pubblico grego
sarebbe stato comprato per intero, e quindi si sarebbe fermato il contagio, ma non lo si è
fatto perché:
1. la BCE non ha il mandato per farlo (può solo garantire la stabilità dei prezzi)
2. la Germania (maggiore creditore) non vuole perchè aveva le elezioni e non sapeva
come spiegarlo

E quindi i singoli stati si devono salvare da sole:


- l’Irlanda nazionalizza tutte e tre le sue banche
- il Portogallo aveva denaro preso in prestito da stranieri
- la Spagna fa come l’Irlanda
- l’Italia fa come il Portogallo

Non è stato il debito pubblico a provocare la crisi, ma in entrambi i casi è stata la crisi
a provocare un picco del debito pubblico.

Perché la crisi diventa reale?


A causa principalmente di due canali:
1. effetto ricchezza→ in un momento di crisi, l’indebitamento porta al deleveraging, tutti
(famiglie e imprese) riducono i loro investimenti e i loro consumi: la domanda si
riduce, ma anche la produzione, quindi di ridurre il PIL e quindi questo porta ad una
aumento della disoccupazione
2. stretta creditizia→ quando le banche sis sono ritrovate scoperte, hanno ridotto anche le
linee di credito (si riduce alle famiglie il credito al consumo e alle imprese il credito
agli investimenti): quindi il consumo e gli investimenti si riducono, quindi si riduce la
domanda aggregata, si riduce il PIL e quindi si crea disoccupazione

Come se ne esce? Ci sono diverse posizione a seconda della scuola:


- deficit spending→ Keynesiani, più spesa pubblica ed eventualmente meno tasse (anche
finanziato con debito pubblico); le loro ragioni sono la crisi, che deve essere stimolata, e la
domanda aggregata: la politica monetaria rischia di non essere efficace perché i tassi
d’interesse erano già prossimi allo zero (tempo delle crisi), in più si ha un problema di
spiazzamento degli investimenti privati, e la crisi è di lungo periodo, quindi ha poco senso
preoccuparsi dei ritardi di implementazione delle politiche fiscali. Quando l’economia
crescerà, il rapporto debito/PIL si ridurrà anche se ora aumentiamo il debito; anche una
moderata inflazione aiuta a ridurre il valore reale del debito (per i suoi effetti asimmetrici)
- austerity→ neoclassici, ridurre la spesa pubblica e aumentare le tasse per richiamare il
debito pubblico che va ridotto; l’espansione della spesa pubblica viene anticipata da
famiglie/imprese (equivalenza Ricardiana), questa espansione riduce la fiducia degli
investitori quindi aumentano i tassi d’interesse e si riducono gli investimenti. E’ stata fatta
quindi la teoria delle expansionary austerity, ossia politiche di bilancio restrittive nei
periodi di recessione per stimolare la crescita

Differenza nell’applicazione di queste teorie tra USA e UE


La moneta USA è controllata dalla Federal Reserve, e quindi si può deprezzare il dollaro per
rendere più convenienti le esportazioni (UE non lo può fare perchè hanno tutti la stessa
moneta); in EU ci sono tanti paesi e quindi non tutti vogliono lo stesso tasso d’interesse,
mentre gli USA, essendo un unico paese, non hanno questo problema.

La FR persegue sia l’economia del contenimento dell’inflazione, sia quella dello stimolo
all’economia e della bassa disoccupazione; la BCE ha come unico obiettivo la bassa
inflazione.

La politica fiscale UE è appannaggio di tutti i singoli stati nazionali, e quindi ci sono politiche
fiscali scoordinate tra di loro, mentre negli USA ce ne solo una e quindi si può fare una
ridistribuzione tra i diversi stati.

In EU ci sono vincoli stringenti sul saldo di bilancio del debito pubblico, mentre negli USA
meno.

Gli USA non hanno cercato di sterilizzare gli stabilizzatori automatici, mentre EU si.

I post-crisi economici hanno raggiunto gli obiettivi che ci eravamo prefissati: la spesa pubblica si è
stabilizzata e il gettito fiscale è aumentato→ austerità

paradosso della parsimonia: tutti tentano di risparmiare di più→ ci si indebita di più

Potrebbero piacerti anche