Di solito le fasi del ciclo economico sono 6 e ognuna prevede un andamento diverso degli asset finanziari, che
come sappiamo si muovono in anticipo agli sviluppi futuri. Probabilmente il mercato più importante è quello
obbligazionario, perché più vicino all’economia reale. Esso tende infatti ad anticipare i massimi e minimi
dell’attività economica.
Contrazione
Il mercato obbligazionario, dopo aver raggiunto il minimo, svolta verso l’alto, viste le minori pressioni
inflazionistiche. Il mercato azionario e le materie prime sono ribassiste, evidenziando il rallentamento economico.
Recessione
In questa fase la domanda di beni e servizi diminuisce rapidamente e l’economia raggiunge il punto più basso. I
produttori non si accorgono immediatamente della diminuzione della domanda e continuano a produrre. Si crea
quindi una situazione di eccesso di offerta. I prezzi tendono a scendere. Il reddito, la produzione, i salari e
l’occupazione iniziano a diminuire. I rendimenti obbligazionari scendono. Il mercato azionario è debole. Spesso
però riesce ad anticipare la ripresa economica svoltando verso l’alto. Anche il mercato obbligazionario stabilisce
un minimo e inizia a salire. Le materie prime, che più di tutte risentono dell’andamento economico, continuano a
scendere.
Ripresa
Dopo la recessione, l’economia passa alla fase di ripresa. In questa fase l’economia inizia a recuperare terreno. La
banca centrale dà il via a politiche monetarie di allentamento e inietta liquidità nel sistema. Il sentiment di
consumatori e aziende comincia a crescere.
Le aziende e i consumatori riescono ad accedere al credito grazie ai bassi tassi d’interesse. La domanda aumenta,
guidata dai prezzi bassi e, di conseguenza anche la produzione e l’occupazione. La ripresa continua fino a quando
l’economia non torna a livelli di crescita costante. I rendimenti delle obbligazioni scendono. Il mercato azionario,
che ha già toccato il fondo, è rialzista. Le materie prime tendono a essere più deboli perché l’economia si deve
ancora riprendere del tutto.
Espansione
Questa fase va dal punto più basso del ciclo fino ad arrivare al picco. In questa fase l’occupazione, il reddito, la
produzione, i salari e i profitti delle aziende aumentano. L’accesso al credito è facile e gli investimenti sono
elevati. Questo processo continua finché le condizioni economiche sono favorevoli all’espansione.
In questa fase il mercato immobiliare, le azioni e le materie prime sono forti. Le obbligazioni, dopo aver raggiunto
il massimo, iniziano lentamente a svoltare verso il basso, scontando in anticipo quello che sarà una prossima e
inevitabile contrazione economica (dovuta principalmente all’intervento delle banche centrali che attueranno
politiche monetarie restrittive).
Picco
L’economia raggiunge il limite massimo di crescita, o picco. Gli indicatori economici arrivano ai massimi livelli.
C’è grande ottimismo sia tra i consumatori che tra le aziende. L’inflazione si è alzata e per questo le politiche
monetarie cominciano ad inasprirsi.
Dal punto di vista finanziario i rendimenti delle obbligazioni a breve termine si alzano, il mercato azionario
raggiunge il picco e comincia a flettere. Le materie prime salgono prepotentemente e lo stesso vale per il mercato
immobiliare.
Rallentamento
La fiducia comincia a scendere insieme alla spesa dei consumatori. L’inflazione continua ad aumentare. Gli
earnings delle aziende cominciano a diminuire insieme alle aspettative degli analisti sugli utili futuri. I rendimenti
delle obbligazioni raggiungono il massimo. Il mercato azionario è ribassista. Le materie prime raggiungono il
picco e svoltano verso il basso.
Il comportamento degli asset durante i cicli economici
2 ) Gli asset finanziari sono interconnessi tra loro e si muovono con l’evolversi del ciclo economico. L’asset più
importante da prendere in considerazione quando si fa intermarket analysis è il dollaro americano.
Le materie prime hanno una correlazione inversa con il dollaro. La maggior parte di esse infatti viene scambiata
proprio in dollari. Nel grafico che segue viene mostrato l’indice di Bloomberg delle commodities a confronto con
l’andamento del dollaro.
Solitamente la correlazione inversa tra materie prime e dollaro si rompe in situazioni di inflazione elevata come
quella odiera
Anche le obbligazioni hanno una correlazione inversa con le materie prime; questo perché quando le materie
prime salgono aumenta l’inflazione. Il risultato è la discesa delle obbligazioni dovuto a rendimenti obbligazionari
più alti che scontano l’aumento dell’inflazione. C’è infatti una correlazione inversa tra il prezzo delle obbligazioni
e i loro rendimenti.
Ci sono momenti in cui le correlazioni tra materie prime, obbligazioni, azioni e valute sembreranno rompersi. In
questi casi l’intermarket analysis può essere meno utile. Quando si crea disallineamento tra il mondo
obbligazionario e azionario significa che stanno nascendo delle pressioni inflazionistiche.
Se l’azionario scende e l’obbligazionario sale, le pressioni sono invece di natura deflazionistica. La deflazione
generalmente spinge il mercato azionario al ribasso. Lo scarso potenziale di crescita delle società rende
improbabile l’aumento del loro valore. Dall’altra parte, i prezzi delle obbligazioni probabilmente saliranno per
riflettere il calo dei tassi di interesse.
MODULO2 :I PRINCIPI DATI MARCOECONOMICI -LEZIONE 1: IL CONSUMER PRICE INDEX
Il consumer price index (CPI) è una misura che esamina la media ponderata dei prezzi di un paniere di beni e
servizi. Viene calcolato prendendo le variazioni di prezzo per ogni articolo nel paniere di merci predeterminato e
calcolandone la media.
Ogni articolo viene pesato in base a quanto valore ha nella società. Esso rappresenta una delle misure d’inflazione
e deflazione più utilizzate dagli economisti e dai responsabili politici.
Le variazioni del CPI vengono utilizzate per valutare le variazioni di prezzo associate al costo della vita.
Il Bureau of Labor Statistics (BLS) riporta il CPI su base mensile fin dal 1913. Vengono condotti dei sondaggi per
identificare un paniere di beni e servizi rappresentativi della spesa dei consumatori. I sondaggi si svolgono
visitando rivenditori, stabilimenti di servizi, unità di noleggio e studi medici in tutto il paese. I prezzi registrati
vengono quindi confrontati con la misura relativa ad un anno di riferimento. La differenza, espressa come
aumento o diminuzione percentuale, rappresenta il CPI. Solitamente il CPI è comunemente indicato in termini di
variazione percentuale mese su mese o anno su anno.
La misurazione si basa sulla media dell’indice per il periodo dal 1982 al 1984, fissata a 100. Una lettura del CPI
pari a 100 significa che l’inflazione è tornata al livello del 1984.
Il CPI offre al governo, alle imprese e ai cittadini un’idea delle variazioni dei prezzi nell’economia e può fungere
da guida per prendere decisioni informate sull’economia.
Il CPI può essere utilizzato anche come deflatore per altri indicatori economici, tra cui le vendite al dettaglio.
Inoltre, può essere usato per valutare il potere d’acquisto del dollaro, che diminuisce all’aumentare del livello
aggregato dei prezzi.
Le statistiche CPI riguardano professionisti, lavoratori autonomi e disoccupati, persone il cui reddito è inferiore
alla soglia di povertà federale e pensionati. Le persone non incluse nel rapporto sono le popolazioni non
metropolitane o rurali, le famiglie di contadini, le forze armate, le persone attualmente incarcerate e quelle negli
ospedali psichiatrici.
Il CPI rappresenta il costo mensile di un paniere di beni e servizi in tutto il paese. Tali beni e servizi sono
suddivisi in otto gruppi principali:
cibo e bevande;
alloggio;
abbigliamento;
trasporti;
assistenza medica;
attività ricreative;
istruzione;
comunicazione e altri beni e servizi.
Il BLS include le imposte sulle vendite e le accise nel CPI, ma esclude le tasse sul reddito e sulla previdenza
sociale. Sono esclusi anche gli investimenti (azioni, obbligazioni, ecc.), assicurazioni sulla vita, immobili, la spesa
di stranieri e altri elementi non correlati al consumo quotidiano dei consumatori.
Il BLS registra circa 80.000 articoli ogni mese chiamando o visitando negozi al dettaglio, stabilimenti di servizi
(come fornitori di servizi via cavo, compagnie aeree e agenzie di noleggio auto e camion), e studi medici in tutto il
paese al fine di ottenere le migliori prospettive per il CPI.
La formula utilizzata per calcolare il consumer price index di un singolo articolo è la seguente:
I movimenti dei prezzi di beni e servizi incidono in modo diretto sulle obbligazioni. Se i prezzi salgono, i
pagamenti fissi delle obbligazioni valgono di meno. Di conseguenza gli investitori per detenere obbligazioni
richiedono rendimenti più alti. Ciò provoca la diminuzione dei prezzi delle obbligazioni.
La volatilità dei prezzi di beni e servizi può essere negativa anche per le azioni. In un’economia in crescita è
prevedibile un’inflazione moderata e costante. Tuttavia se i prezzi delle risorse utilizzate nella produzione
aumentano rapidamente, i produttori potrebbero subire cali dei profitti. In genere, profitti delle aziende che
diminuiscono portano a rendimenti azionari più bassi.
D’altra parte, la deflazione può essere un segno negativo che indica un calo della domanda dei consumatori. In
questa situazione, i produttori sono costretti a ridurre i prezzi per vendere i loro prodotti. Le risorse e le materie
prime utilizzate nella produzione potrebbero non diminuire di un importo equivalente. Anche in questo caso, i
margini delle società si riducono e quindi anche i prezzi di quotazione delle società.
Il core CPI è la variazione dei costi di beni e servizi che non include quelli il settore alimentare ed energetico.
Questa misura dell’inflazione esclude questi articoli perché i loro prezzi sono molto più volatili.
L’inflazione core riflette la relazione tra il prezzo di beni e servizi e il livello di reddito dei consumatori. Se i
prezzi di beni e servizi aumentano nel tempo, ma il reddito dei consumatori non cambia, i consumatori avranno
meno potere d’acquisto. L’inflazione fa diminuire il valore del denaro o del reddito rispetto ai prezzi dei beni e dei
servizi di base.
Tuttavia, se il reddito dei consumatori aumenta, mentre i prezzi di beni e servizi rimangono invariati, i
consumatori avranno più potere d’acquisto.
Il core CPI è un po’ più stabile del CPI ed è quello che le banche centrali tengono più in considerazione. La
misura di inflazione preferita dalla Fed è il Personal Consumption Expenditure (PCE).
Il PCE fa parte del rapporto Personal Income and Outlays rilasciato dal Bureau of Economic Analysis (BEA).
Il PCE si divide tra beni durevoli, non durevoli e servizi. I beni durevoli sono articoli più costosi che durano più di
tre anni. Esempi di beni durevoli includono automobili, elettronica, elettrodomestici, mobili e altre
apparecchiature. I beni non durevoli hanno un’aspettativa di vita inferiore a tre anni. Questi articoli, che
generalmente costano meno, includono cose come benzina e vestiti.
Il BEA utilizza l’attuale valore in dollari dei PCE per calcolare il PCE Price Index. Questo indice mostra
l’inflazione o la deflazione dei prezzi che si verifica da un periodo all’altro. Come la maggior parte degli indici dei
prezzi il PCE Price Index deve incorporare un deflatore (il deflatore PCE) e valori reali per determinare l’importo
della variazione periodica del prezzo.
Sia il PCE Price Index che il Core PCE Price Index (esclusi cibo ed energia) mostrano quanto cambiano i prezzi
delle spese per consumi personali da un periodo all’altro, ma le scomposizioni del PCE Price Index mostrano
anche l’inflazione/deflazione del PCE per categoria.
Esistono delle differenze tra il PCE e il CPI, anche se questi due indice seguono tendenze simili. In generale, il
CPI tende a segnalare un’inflazione leggermente superiore
L’indice dei prezzi PCE è ponderato in base ai dati acquisiti tramite le indagini presso le imprese, che tendono ad
essere più affidabili rispetto alle indagini sui consumatori utilizzate dal CPI.
D’altro canto, il CPI fornisce una trasparenza più dettagliata nella sua rendicontazione mensile. In quanto tali, gli
economisti possono avere indicazioni più specifiche riguardo alle categorie che lo compongono.
Le differenze tra il PCE price index e il CPI
Le differenze tra le due misurazioni stanno anche nel metodo di calcolo. Il CPI viene rilasciato dal Bureau of
Labor Statistics e il peso dato ai diversi articoli del basket è fisso. Inoltre, il CPI copre solo le spese per beni e
servizi acquistati. Sono escluse quindi le spese non pagate direttamente, come ad esempio le cure mediche pagate
dall’assicurazione fornita dal datore di lavoro, Medicare o Medicaid. Queste spese sono incluse nel PCE.
Il PCE viene rilasciato dal Bureau of Economic Analysis ed è caratterizzato da un peso degli articoli dinamico. I
pesi possono cambiare quando le persone sostituiscono alcuni beni e servizi con altri. Se ad esempio il prezzo del
pane sale, le persone acquistano meno pane e il PCE utilizza un nuovo paniere di merci che riflette il fatto che le
persone acquistano meno pane. Cerca di tracciare ciò che viene effettivamente acquistato e di rappresentare il
modo in cui i consumatori cambiano le abitudini di acquisto al variare dei prezzi relativi. Ciò porta a variazioni di
prezzo più fluide nel PCE e livelli in genere più bassi di inflazione dichiarata.
Le diverse misure di inflazione
Per poter confrontare l’inflazione dei paesi che fanno parte dell’Unione europea è stata creata l’inflazione
armonizzata (HICP). L’Harmonized Index of Consumer Prices è la rappresentazione dei costi finali pagati dai
consumatori dell’Eurozona per gli articoli in un paniere di beni e servizi.
L’indice armonizzato dei prezzi al consumo è prodotto da ciascuno stato membro dell’Unione europea per
misurare l’inflazione e guidare la Banca centrale europea nella formulazione della politica monetaria.
L’HICP di ciascun paese misura la variazione nel tempo dei prezzi di un paniere di beni e servizi acquistati,
utilizzati o pagati dalle famiglie all’interno di quel paese. È definito “armonizzato” perché tutti i paesi dell’Unione
Europea seguono la stessa metodologia. Ciò garantisce che i dati di un paese possano essere confrontati con i dati
di un altro.
L’indice tiene traccia dei prezzi di beni come caffè, tabacco, carne, frutta, elettrodomestici, automobili, prodotti
farmaceutici, elettricità, abbigliamento e molti altri prodotti ampiamente utilizzati. I costi degli alloggi di proprietà
sono esclusi dal HICP.
L’obiettivo principale della BCE è la stabilità dei prezzi, che definisce come un tasso HICP annuo nell’area
dell’euro pari o inferiore al 2%.
La
composizione dell’inflazione armonizzata
La misurazione è rilasciata da Eurostat, che lavora in collaborazione con gli uffici nazionali di statistica dei paesi
europei. Eurostat raccoglie i dati forniti dalle agenzie nazionali di ciascuno Stato membro sulle variazioni dei
prezzi e sui modelli di consumo all’interno dell’economia. Secondo Eurostat, gli HICP comprendono l’intera
gamma della spesa per consumi finali di tutti i tipi di famiglie per fornire un quadro tempestivo e pertinente
dell’inflazione.
I panieri di beni di consumo e servizi e le ponderazioni di ciascun paese vengono aggiornati annualmente per
riflettere i modelli di spesa correnti. Il peso di ciascun paese rappresenta la sua quota della spesa totale per
consumi finali delle famiglie nell’area dell’euro.
L’inflazione armonizzata europea divisa per categorie
Industria
Una delle classificazioni per i dati BLS è la categoria basata sui settori industriali. Tiene traccia delle variazioni
dei prezzi ricevuti per la produzione di ogni settore calcolando la produzione netta del settore. L’indice dei prezzi
dei prodotti BLS include circa 500 elenchi specifici del settore e oltre 4.000 indici relativi ai prodotti.
Materie prime
Ogni periodo di misurazione specifico, gruppo di prodotti o tipo di prodotto individuale inizia con un numero di
periodo di base pari a 100. Quando la produzione aumenta o diminuisce, i movimenti possono quindi essere
confrontati con il numero base di riferimento. Ad esempio, supponiamo che la produzione di palloncini abbia un
producer price index di 115 per il mese di luglio. La cifra 115 indica che produrre palloncini a luglio è costato
all’industria manifatturiera il 15% in più rispetto a giugno. L’incremento viene misurato come percentuale mese
su mese o anno su anno.
Questo indice è importante perché funziona da leading indicator per il Consumer Price Index. Se aumentano i
costi delle materie prime che servono alle aziende per produrre i loro prodotti, necessariamente parte degli
aumenti si rifletteranno sui prezzi che pagano i consumatori.
Modulo 2: I principali dati macroeconomici – Lezione 5: Il Purchasing
Managers Index
Contenuti della lezione
Il Purchasing Managers Index è un indice della direzione prevalente dell’andamento economico nei settori
manifatturiero e dei servizi. Consiste in un indice di diffusione che riassume se le condizioni di mercato, viste dai
responsabili degli acquisti sono in espansione, invariate o in contrazione.
Lo scopo del Purchasing Managers Index è fornire informazioni sulle condizioni commerciali attuali e future ai
dirigenti aziendali e agli investitori. I dati sul PMI vengono rilasciati da IHS Markit a livello globale e
dall’Institute of Supply Management negli Stati Uniti.
Il Purchasing Managers Index compilato dall’ISM tramite un sondaggio mensile inviato a dirigenti di oltre 400
aziende in 19 industrie primarie, ponderate in base al loro contributo al PIL.
L’indice si basa su cinque principali aree di indagine:
– nuovi ordini,
– livelli di inventario,
– produzione,
– consegne dei fornitori e
– occupazione.
L’ISM pesa allo stesso modo ciascuna di queste aree di indagine.
I sondaggi includono domande sulle condizioni aziendali e su eventuali cambiamenti, indipendentemente dal fatto
che si tratti di miglioramenti o deterioramento.
Il PMI è un numero compreso tra 0 e 100. Se è superiore a 50 indica un’espansione rispetto al mese precedente
mentre se è uguale a 50 indica nessun cambiamento. Una lettura inferiore a 50 rappresenta una contrazione.
Più ci si allontana da 50, maggiore è il livello di cambiamento.
Il PMI influenza le decisioni dei manager delle aziende. Essi prendono decisioni riguardo alla produzione e
all’acquisto di componenti e materie prime in base ai nuovi ordini che si aspettano nei mesi futuri.
Anche i fornitori di componenti per i produttori seguono il PMI per stimare l’importo della domanda futura per i
suoi prodotti. Il fornitore vuole anche sapere quanto inventario hanno a disposizione i suoi clienti.
Le informazioni PMI su domanda e offerta influiscono sui prezzi che i fornitori possono addebitare. Se i nuovi
ordini del produttore sono in crescita, il fornitore può aumentare i prezzi dei clienti.
Viceversa, quando i nuovi ordini sono in calo, il produttore potrebbe dover abbassare i prezzi e richiedere un costo
inferiore per le parti che acquista.
Perché il PMI è importante?
Il Non-Manufacturing PMI, detto anche Services PMI, è un indice economico basato su sondaggi mensili su oltre
400 dirigenti degli acquisti e delle forniture di aziende non manifatturiere. L’indagine viene condotta dall’Institute
for Supply Management (ISM) negli Stati Uniti e dall’IHS Markit a livello globale.
L’indice PMI è riportato come un numero: sopra 50 rappresenta una crescita o un’espansione mentre sotto 50
rappresenta una contrazione.
L’ISM Services PMI contiene un indice di diffusione che copre le seguenti industrie:
L’ISM Services PMI esce nella prima settimana di ogni mese e fornisce una visione dettagliata dell’economia
statunitense da un punto di vista non manifatturiero. I dati nell’indice non sono molto volatili. Le tendenze
possono andare avanti per mesi.
N
Il report ISM ha diversi componenti che misurano la crescita o la contrazione del business, oltre a molti altri
fattori che entrano nel processo di gestione della fornitura. Di seguito sono elencate alcune delle aree chiave
trattate nel report.
Attività economica
Il rapporto sui servizi PMI fornisce una prospettiva generale per l’attività commerciale negli Stati Uniti. Il
rapporto mostra anche i settori che hanno registrato una crescita dell’attività commerciale rispetto al mese
precedente, mostrando al contempo quali settori hanno subito una contrazione.
Nuovi ordini
I nuovi ordini includono le nuove vendite registrate per il mese e se le aziende hanno riportato aumenti o
diminuzioni della domanda per i loro servizi rispetto ai mesi precedenti. I nuovi ordini aiutano a capire quali
settori stanno riportando una domanda alta per i servizi che offrono.
Tendenze occupazionali
L’attività lavorativa nel settore dei servizi è misurata su base mensile. Il rapporto mostra se l’occupazione cresce o
si contrae ogni mese. Il rapporto fornisce anche informazioni sul livello di rigidità del mercato del lavoro, cioè se i
datori di lavoro sono stati in grado o meno di ricoprire le posizioni vacanti con candidati qualificati. Se ci sono più
posti di lavoro che candidati, l’economia è in crescita. Al contrario, se ci sono più lavoratori in cerca di lavoro
rispetto alle posizioni aperte, può indicare che la crescita economica sta rallentando e la disoccupazione potrebbe
aumentare.
Inventario
I livelli di inventario vengono monitorati ogni mese per mostrare se è stato segnalato un aumento o una
diminuzione. Ad esempio, se un’azienda non ha registrato una crescita delle vendite, i suoi livelli di inventario
potrebbero essere rimasti gli stessi a causa della mancanza di domanda.
L’andamento generale dei livelli di inventario, e se stanno aumentando o diminuendo, possono aiutare a fornire
informazioni sul livello di domanda per i servizi all’interno di settori specifici. Se la domanda è elevata, portando
a livelli di inventario più bassi, si può avere un’indicazione riguardo la salute della spesa dei consumatori
nell’economia. L’aumento dei livelli di spesa dei consumatori in genere porta a una maggiore crescita economica.
Prezzi
Il rapporto ISM Services mostra anche quali industrie di servizi hanno riportato un aumento dei prezzi pagati per
varie materie prime e merci. I prezzi pagati per servizi e beni dalle aziende sono un indicatore dell’inflazione. Se
le aziende stanno pagando prezzi più alti, è probabile che si stia verificando inflazione. L’aumento dei prezzi
potrebbe anche essere un indicatore di una carenza nell’offerta di alcuni beni.
Il monitoraggio dell’ISM Services PMI può aiutare gli investitori a comprendere meglio le condizioni economiche
negli Stati Uniti. Inoltre, alcuni settori dei servizi potrebbero registrare una crescita mentre altri si contraggono, il
che può essere utile quando si sceglie in quali settori investire. L’ISM Services PMI fornisce informazioni
significative sui fattori che influenzano la produzione totale, la crescita e l’inflazione.
Quando l’indice di attività commerciale è in aumento, gli investitori potrebbero dedurre che i mercati azionari
dovrebbero aumentare a causa dei maggiori profitti aziendali previsti. Se utilizzata insieme all’ISM
Manufacturing PMI, la copertura del settore tra i due rapporti rappresenta una parte significativa dei beni e dei
servizi prodotti nell’economia statunitense, misurata dal prodotto interno lordo
Le vendite al dettaglio sono una metrica economica che tiene traccia della domanda dei consumatori di prodotti
finiti. Questa cifra è un set di dati molto importante in quanto ha la capacità di muovere il mercato.
Le vendite al dettaglio sono soprattutto un buon indicatore del polso dell’economia e della sua direzione.
Le vendite al dettaglio negli Stati Uniti
I dati dei retail sales sono raccolti dall’US Census con il suo sondaggio mensile. In Europa il dato viene rilasciato
dall’Eurostat.
Il report, che viene rilasciato a metà di ogni mese, mostra il numero totale di vendite nel periodo di tempo
misurato, in genere il mese precedente, e la variazione percentuale rispetto all’ultima lettura. Il rapporto include
anche la variazione anno su anno delle vendite per tenere conto della stagionalità.
I dati sulle vendite sono spesso presentati in due modi: con e senza l’inclusione delle vendite di auto e gas. La
maggior parte degli economisti sceglie di analizzare le vendite al dettaglio senza includere le vendite di auto
perché queste cifre tendono a fluttuare più delle altre vendite. Lo stesso vale per le vendite delle stazioni di
servizio soggette alla volatilità dei prezzi del petrolio e del gas. I forti aumenti dei prezzi di cibo e energia possono
incidere sulle vendite totali di un determinato mese.
I retail sales catturano le vendite in negozio, nonché altre vendite fuori negozio. Le vendite riguardano sia quelle
di beni durevoli (con durata superiore a tre anni) e non durevoli (quelli con una durata inferiore a tre anni).
Le categorie coperte dalle vendite al dettaglio sono:
In quanto principale indicatore macroeconomico, dati positivi dei retail sales in genere suscitano movimenti al
rialzo sui mercati azionari. L’aumento delle vendite è una buona notizia per gli azionisti delle società di vendita al
dettaglio perché si tramutano in guadagni più elevati. Gli obbligazionisti, d’altra parte, sono piuttosto ambivalenti
nei confronti di questa metrica.
Un’economia in forte espansione fa bene a tutti, ma i dati sulle vendite al dettaglio più bassi e un’economia in
contrazione si tradurrebbero in una diminuzione dell’inflazione. Ciò potrebbe indurre gli investitori a gravitare
verso le obbligazioni, portando ad un aumento dei loro prezzi.
Perché le vendite al dettaglio sono importanti?
I retail sales sono un leading indicator dell’economia. Il rapporto sulle vendite al dettaglio è uno dei rapporti più
tempestivi perché fornisce dati che risalgono a poche settimane prima.
La spesa dei consumatori rappresenta due terzi del prodotto interno lordo degli Stati Uniti. Retail sales in aumento
indicano che la crescita è su una traiettoria al rialzo.
Agisce come un barometro economico chiave e può dare indicazioni dell’esistenza di pressioni inflazionistiche.
Il Consumer Confidence Index (CCI) è un sondaggio condotto dal Conference Board, che misura quanto i
consumatori siano ottimisti o pessimisti riguardo alla loro situazione finanziaria attuale e futura. La CCI si basa
sulla premessa che se i consumatori sono ottimisti, tenderanno a spendere di più e a stimolare l’economia.
Viceversa, se sono pessimisti, i loro modelli di spesa potrebbero portare a un rallentamento economico o
addirittura ad una recessione.
Il CCI viene rilasciato l’ultimo martedì di ogni mese ed è ampiamente considerato l’indicatore più credibile della
fiducia dei consumatori statunitensi. In sostanza, è un barometro della salute dell’economia statunitense e si basa
sulle percezioni dei consumatori sulle attuali condizioni aziendali e occupazionali e sulle loro aspettative per
l’attività, l’occupazione e il reddito per i prossimi sei mesi.
Il CCI è condotto da Nielsen, un fornitore globale di informazioni e analisi sulle abitudini di acquisto e visione dei
consumatori.
L’indice di fiducia dei consumatori si basa sull’indagine sulla fiducia dei consumatori, che ha come campione
3.000 questionari. Nel sondaggio vengono poste cinque domande, due relative alle condizioni economiche attuali
e tre relative alle aspettative future.
l’indice della situazione attuale, che comprende la valutazione da parte degli intervistati delle attuali
condizioni commerciali e occupazionali;
l’indice delle aspettative in merito alle condizioni commerciali e occupazionali e al loro reddito tra sei
mesi.
Ogni risposta può essere risolta con una delle tre risposte: positiva, negativa o neutra.
Una volta raccolti i dati, viene calcolato il valore relativo di ciascuna domanda, che viene poi confrontato con ogni
valore relativo del 1985, che è l’anno fissato come benchmark a cui è stato attribuito un valore di 100. Valori del
CCI sopra i 100 segnalano un aumento della fiducia dei consumatori.
Mentre alcuni vedono il Consumer Confidence Index come un indicatore in ritardo, l’OCSE lo considera come un
leading indicator.
Quando i consumatori sono fiduciosi riguardo alle loro prospettive occupazionali e di reddito tenderanno a
spendere di più e a risparmiare meno. La spesa dei consumatori è il motore della crescita economica. Un aumento
della fiducia dei consumatori porterà ad una crescita economica positiva. I profitti delle aziende cresceranno e ciò
si rifletterà nei loro prezzi di quotazione.
Un’altro sondaggio importante per monitorare il sentiment dei consumatori è quello condotto dalla University of
Michigan. Ogni mese, l’università conduce un minimo di 500 interviste ponendo domande riguardo alle finanze
personali, le condizioni commerciali e condizioni di acquisto. Le risposte a queste domande costituiscono la base
per la costruzione dell’indice.
Secondo l’Università del Michigan, i sondaggi si sono rivelati un indicatore accurato del futuro dell’economia
nazionale.
I sondaggi hanno dimostrato la loro capacità di anticipare con precisione le variazioni dei tassi di interesse, dei
tassi di disoccupazione, dei tassi di inflazione, della crescita del PIL, degli alloggi, della domanda di automobili e
di altre misure economiche chiave.
I risultati del CCI e del sentiment UoM possono divergere e divergono a breve termine a causa di una serie di
fattori.
Entrambi i sondaggi sono condotti mensilmente ma non simultaneamente. Un improvviso aumento dei prezzi
della benzina o un calo del mercato azionario possono influenzare i numeri.
Il sondaggio del Conference Board interroga un campione più ampio, mentre il sondaggio del Michigan ha
domande più dettagliate.
Molti di coloro che guardano entrambi i numeri affermano che il sondaggio del Conference Board tende a
raccogliere meglio gli indicatori relativi al mercato del lavoro, mentre il sondaggio del Michigan è una misura
migliore dell’impatto dei prezzi sulla fiducia dei consumatori.
L’unemployment rate rappresenta la percentuale della forza lavoro che non ha un impiego. È un lagging indicator,
nel senso che generalmente sale o scende sulla scia delle mutevoli condizioni economiche, piuttosto che
anticiparle. Quando l’economia è in cattive condizioni e i posti di lavoro scarseggiano, è prevedibile che il tasso di
disoccupazione aumenti. Quando l’economia cresce a un ritmo sano e i posti di lavoro sono relativamente
abbondanti, ci si può aspettare un calo.
Negli Stati Uniti, il tasso di disoccupazione nazionale ufficiale e più comunemente citato è l’U-3, che il Bureau of
Labor Statistics (BLS) pubblica come parte del suo rapporto mensile sulla situazione dell’occupazione. Definisce i
disoccupati come coloro che sono disposti e disponibili a lavorare e che hanno cercato attivamente lavoro nelle
ultime quattro settimane.
Secondo il BLS, sono considerati occupati coloro che svolgono un lavoro temporaneo, part-time o a tempo pieno,
così come coloro che svolgono almeno 15 ore di lavoro non retribuito per un’impresa familiare o un’azienda
agricola.
L’U-3 non è l’unico parametro disponibile per misurare la disoccupazione. Il tasso U-6 da una misurazione più
completa. E’ chiamato anche tasso di disoccupazione reale e include gruppi come i lavoratori scoraggiati, ovvero
le persone che hanno smesso di cercare un nuovo lavoro e i sottoccupati, che lavorano a tempo parziale.
Molte persone che vorrebbero lavorare ma non possono (a causa di una disabilità, per esempio), o che si sono
scoraggiate dopo aver cercato lavoro senza successo, non sono considerate disoccupate. Ciò li esclude anche dalla
forza lavoro.I critici vedono questo approccio come ingiustificato. L’U-3 è anche criticato per non fare distinzione
tra coloro che svolgono lavori temporanei, part-time e full-time, anche nei casi in cui i lavoratori part-time o
temporanei preferirebbero lavorare a tempo pieno ma non possono a causa delle condizioni del mercato del
lavoro.
L’occupazione ci dice la nostra capacità come sistema economico di produrre al massimo potenziale. Più è alto il
tasso di disoccupazione più abbiamo delle inefficienze dal punto di vista della produzione.
I non farm payrolls sono la misura del numero di lavoratori negli Stati Uniti esclusi i lavoratori agricoli e altri.
Sono misurati dal Bureau of Labor Statistics (BLS), che esamina le entità private e governative negli Stati Uniti
sui loro libri paga. Il BLS riporta mensilmente i numeri dei salari non agricoli attraverso il rapporto “Employment
Situation” seguito da vicino.
Secondo il BLS, le classificazioni dei dipendenti non agricoli rappresentano circa l’80% dei settori economici
statunitensi che contribuiscono al PIL. Sebbene questa rappresenti una maggioranza significativa della forza
lavoro statunitense, ci sono alcune esclusioni degne di nota oltre ai lavoratori agricoli.
La categoria governativa inclusa nei non farm payrolls copre i dipendenti civili. Tuttavia, esclude i dipendenti
militari e i dipendenti di funzionari nominati dal governo. Sono esclusi anche i dipendenti della CIA, della
National Security Agency e altre entità governative. Sono esclusi i lavoratori domestici e gli imprenditori privi di
personalità giuridica come le imprese individuali e i lavoratori autonomi che operano senza una costituzione di
società registrata. Anche il settore senza scopo di lucro non è incluso nelle statistiche sui salari non agricoli.
Il report “Employment Situation” è un report mensile pubblicato dal BLS il primo venerdì del mese successivo
alla raccolta dei dati. Esso deriva da due indagini: l’Household Survey e l’Establishment Survey. Ciò si traduce in
due rapporti separati compilati insieme per formare un rapporto mensile completo. L’indagine sulle famiglie
fornisce il rapporto sul tasso di disoccupazione e i dettagli sulla demografia dell’occupazione. Il segmento
Establishment Survey del rapporto è proprio il non farm payrolls.
Le componenti chiave dell’indagine sulle famiglie includono i tassi di disoccupazione per genere, razza,
istruzione, età e il tasso di partecipazione. Le componenti chiave dell’Establishment Survey sono il numero di
buste paga non agricole aggiunte nel mese di riferimento divise per settori, le ore lavorate e la retribuzione oraria
media.
Il numero dei salari non agricoli e il tasso di disoccupazione sono i dati più mainstream del rapporto Employment
Situation. Tuttavia gli economisti e i responsabili politici utilizzano tutti i dati disponibili per valutare lo stato
attuale dell’economia e prevedere i livelli futuri dell’attività economica. Le statistiche sui salari non agricoli
mostrano anche quali settori si stanno espandendo e contraendo. I settori in espansione contribuiranno di più al
dato sui non farm payroll.
Anche i salari e la crescita salariale riscontrati nell’indagine sull’establishment sono di grande importanza per gli
economisti. Storicamente, il mese migliore per la crescita salariale è maggio. Agosto è il mese peggiore, con una
media di 69.000 posti di lavoro aggiunti.
Dal non farm payroll possiamo capire quali sono i settori in una fase di espansione o contrazione. L’uscita del
dato impatta in particolare sul dollaro e di conseguenza anche sulle materie prime, le equities e le obbligazioni.
Il gross domestic product, in italiano il prodotto interno lordo, rappresenta la ricchezza prodotta da un paese in
termini di beni e servizi. Ci dice quanto un paese è capace di produrre in un determinato periodo di tempo.
Maggiore è il GDP di un paese e quindi la crescita economica, migliore è la qualità della vita di chi ci vive.
Il PIL viene calcolato su base annuale e trimestrale. Negli Stati Uniti, ad esempio, il Bureau of Economic
Analysis pubblica una stima annualizzata del PIL per ogni trimestre e anche per l’anno solare. Il calcolo del PIL di
un paese comprende tutti i consumi privati e pubblici, le spese del governo, gli investimenti, le aggiunte alle
scorte private, i costi di costruzione e la bilancia commerciale. Le esportazioni vengono sommate al valore e le
importazioni sottratte.
Il prodotto interno lordo può essere riportato in diversi modi. Il PIL nominale valuta la produzione economica
calcolando i prezzi correnti. In altre parole, non elimina l’inflazione. Ciò può gonfiare la cifra. Tutti i beni e
servizi conteggiati nel PIL nominale sono valutati ai prezzi a cui beni e servizi sono effettivamente venduti.
Viene utilizzato quando si confrontano diversi trimestri di produzione nello stesso anno. Quando si confronta il
PIL di due anni diversi, viene utilizzato la misura reale, ovvero aggiustata all’inflazione, in modo da concentrare il
confronto esclusivamente sui volumi.
Il PIL reale è calcolato utilizzando un deflatore, che è la differenza di prezzo tra l’anno in corso e l’anno base. Ad
esempio, se i prezzi sono aumentati del 5% rispetto all’anno base, il deflatore è di 1,05. Il PIL reale deriva dal
rapporto tra il PIL nominale e il deflatore.
La formula del PIL reale
Il PIL può essere determinato attraverso tre metodi principali. Tutti e tre i metodi dovrebbero produrre la stessa
cifra se calcolati correttamente. Questi tre approcci sono l’approccio alla spesa, alla produzione e al reddito.
L’approccio alla spesa calcola la spesa dei diversi gruppi che partecipano all’economia. Il PIL degli Stati Uniti
viene misurato principalmente in base a questo approccio.
La formula è la seguente:
dove:
C= spesa dei consumatori
G= spesa pubblica;
I= investimenti
NX= esportazioni nette
La spesa pubblica rappresenta la spesa per consumi e gli investimenti pubblici. I governi spendono soldi in
attrezzature, infrastrutture e buste paga. La spesa pubblica può diventare più importante rispetto ad altre
componenti del PIL di un paese quando la spesa per consumi e gli investimenti delle imprese diminuiscono
drasticamente.
Gli investimenti si riferiscono agli investimenti domestici privati o alle spese in conto capitale. Le aziende
spendono soldi per investire nelle loro attività commerciali.
L’investimento delle imprese è una componente fondamentale del PIL poiché aumenta la capacità produttiva di
un’economia e i livelli di occupazione.
I beni e i servizi che un’economia produce esportati in altri paesi, meno le importazioni acquistate dai consumatori
domestici, rappresentano le esportazioni nette di un paese.
La spesa dei consumatori è la componente più importante, rappresentando oltre i due terzi del PIL degli Stati
Uniti.
L’approccio alla produzione è essenzialmente l’opposto dell’approccio alla spesa. Invece di misurare i costi di
input che contribuiscono all’attività economica, l’approccio di produzione stima il valore totale della produzione
economica e sottrae il costo dei beni intermedi che vengono consumati nel processo (come quelli dei materiali e
dei servizi).
In Italia, l’ISTAT utilizza il metodo della produzione.
L’approccio al reddito
L’approccio del reddito rappresenta una sorta di via di mezzo tra gli altri due approcci al calcolo del PIL. Esso
calcola il reddito guadagnato da tutti i fattori di produzione in un’economia, inclusi i salari, la rendita guadagnata
dalla terra, il rendimento del capitale sotto forma di interessi e i profitti aziendali.
L’approccio al reddito tiene conto di alcune rettifiche per quelle voci che non sono considerate pagamenti
effettuati a fattori di produzione. Per uno, ci sono alcune tasse, come le tasse sulle vendite e le tasse sulla
proprietà, che sono classificate come tasse indirette sulle attività. Inoltre, al reddito nazionale si aggiunge
l’ammortamento, una riserva che le imprese mettono da parte per tenere conto della sostituzione di attrezzature
che tendono a logorarsi con l’uso.
Tutto questo insieme costituisce il reddito di una nazione.
L’impatto sul mercato dell’uscita del GDP è generalmente limitato, poiché è retrospettivo. Infatti trascorre un
notevole lasso di tempo tra la fine del trimestre e il rilascio dei dati sul GDP.
Tuttavia, può avere un impatto sui mercati se i numeri effettivi differiscono notevolmente dalle aspettative.
Poiché il GDP fornisce un’indicazione diretta della salute e della crescita dell’economia, le imprese possono
utilizzarlo come guida per la loro strategia aziendale.
Gli enti governativi, come la Fed, utilizzano il tasso di crescita e altre statistiche sul GDP come parte del loro
processo decisionale per determinare quale tipo di politiche monetarie attuare.
Un mercato azionario in fase rialzista tende ad avere un impatto positivo sul GDP. Questo perché le condizioni
finanziarie e la fiducia dei consumatori sono positive quando il mercato sale.
I consumatori spendono di più e le aziende hanno più entrate che usano per assumere ed investire.
Il GDP, a sua volta, può dare una spinta alla crescita del mercato azionario.
I dati macroeconomici si possono distinguere in due grandi categorie: hard data e soft data.
Hard data
Gli hard data sono dati affidabili tratti da statistiche ufficiali che sono comparabili. Questo tipo di dati sono
direttamente misurabili e affidabili. Sono dati in ritardo e vengono rilasciati dalle agenzie statistiche governative.
Nella categoria hard data troviamo ad esempio il GDP, il CPI, il PPI, la produzione industriale e il tasso di
disoccupazione. Sono dei lagging indicator perchè devono essere raccolti, elaborati e infine rilasciati. Si
riferiscono in genere al mese o al trimestre precedente.
Soft data
I soft data vengono fuori da sondaggi e indagini condotti da aziende private. Sono dati in tempo reale che ci danno
il polso della situazione su quello che sta accadendo attualmente.
Mentre i dati hard sono dati incontrovertibili che vengono fuori da misurazioni e formule matematiche, i soft data
esprimono invece le opinioni dei partecipanti ai sondaggi. Questo non vuol dire che siano inaffidabili.
Tra i soft data più importanti ci sono il PMI, il business e il consumer confidence.
Il concetto alla base della curva di Phillips afferma che la variazione della disoccupazione ha un effetto
prevedibile sull’inflazione dei prezzi. La relazione inversa tra disoccupazione e inflazione è rappresentata come
una curva concava e inclinata verso il basso, con l’inflazione sull’asse Y e la disoccupazione sull’asse X. Quando
la disoccupazione diminuisce, aumenta l’inflazione e viceversa.
La domanda di lavoro aumenta, il tasso di disoccupazione diminuisce di conseguenza e le aziende aumentano i
salari per attrarre lavoratori. Aumentando il costo del lavoro, le aziende trasferiscono parte di questi costi ai
consumatori sotto forma di prezzi più alti per i beni e servizi che producono.
La convinzione negli anni ’60 era che qualsiasi stimolo fiscale avrebbe aumentato la domanda aggregata. Di
conseguenza, la domanda di lavoro sarebbe aumentata e le aziende avrebbero aumentato i salari per attrarre
lavoratori. L’aumento del costo del lavoro delle aziende le avrebbe portate a trasferire tali costi ai consumatori
sotto forma di prezzi più alti.
La stagflazione si verifica quando un’economia sperimenta una crescita economica stagnante, un’elevata
disoccupazione e un’inflazione alta. Questo scenario, ovviamente, contraddice direttamente la teoria alla base
della curva di Philips. Gli Stati Uniti non hanno mai sperimentato la stagflazione fino agli anni ’70, quando
l’aumento della disoccupazione non ha coinciso con il calo dell’inflazione.
Il fenomeno della stagflazione e la rottura della curva di Phillips hanno portato gli economisti ad approfondire il
ruolo delle aspettative nel rapporto tra disoccupazione e inflazione. Poiché i lavoratori e i consumatori possono
adattare le loro aspettative sui tassi di inflazione futuri in base ai tassi di inflazione e disoccupazione attuali, la
relazione inversa tra inflazione e disoccupazione potrebbe reggere solo nel breve periodo.
Quando la banca centrale aumenta l’inflazione per spingere la disoccupazione al ribasso, può causare uno
spostamento iniziale lungo la curva di Phillips di breve periodo. Le aspettative di lavoratori e consumatori
sull’inflazione si adattano al nuovo ambiente. Quindi, nel lungo periodo, la stessa curva di Phillips può spostarsi
verso l’esterno. Ciò è particolarmente pensato per il tasso naturale di disoccupazione o NAIRU (Non Accelerating
Inflation Rate of Unemployment), che rappresenta essenzialmente il tasso normale di disoccupazione frizionale
nell’economia.
Il NAIRU
Se le aspettative si adattano alle variazioni dei tassi di inflazione, la curva di Phillips di lungo periodo assomiglia a
una linea verticale al NAIRU. La politica monetaria semplicemente alza o abbassa il tasso di inflazione dopo che
le aspettative del mercato si sono aggiustate.
In un periodo di stagflazione, lavoratori e consumatori possono anche iniziare ad aspettarsi un aumento dei tassi di
inflazione non appena si rendono conto che la banca centrale ha intenzione di intraprendere una politica monetaria
espansiva. Ciò può causare uno spostamento verso l’esterno della curva di Phillips di breve periodo anche prima
che la politica monetaria espansiva sia stata attuata. In questo modo, anche nel breve periodo, la politica ha scarso
effetto sulla riduzione della disoccupazione e la curva di Phillips di breve periodo diventa un linea verticale al
NAIRU.
La curva di Phillips a lungo termine
La legge di Okun è una relazione osservata empiricamente tra la disoccupazione e la perdita di produzione di un
paese. Quando gli economisti studiano l’economia, tendono a concentrarsi su due fattori: produzione e posti di
lavoro. Poiché esiste una relazione tra questi due elementi, molti economisti studiano la relazione tra la
produzione (o più specificamente, il prodotto interno lordo) e i livelli di disoccupazione.
La legge di Okun esamina la relazione statistica tra PIL e disoccupazione. In qualità di economista keynesiano,
Arthur Okun ha sostenuto l’utilizzo della politica fiscale per controllare l’inflazione e stimolare l’occupazione. Ha
proposto per la prima volta il rapporto tra disoccupazione e PIL di un paese negli anni ’60. In generale, i risultati
di Okun hanno dimostrato che quando la disoccupazione diminuisce, la produzione di un paese tende ad
aumentare.
Cosa ci dice la legge di Okun?
Nella dichiarazione originale di Okun, un’economia subisce un aumento di 1 punto percentuale della
disoccupazione per ogni 3 punti percentuali di diminuzione del PIL dal suo trend di crescita di lungo periodo. Allo
stesso modo, un aumento di 3 punti percentuali del PIL è associato a una diminuzione di 1 punto percentuale della
disoccupazione.
La legge di Okun potrebbe essere caratterizzata come una “regola pratica” perché si basa sull’osservazione
empirica dei dati. Tuttavia essa rappresenta una approssimazione perché ci sono altri fattori oltre all’occupazione
che influiscono sulla produzione. Questo spiega anche perché non c’è una relazione uno-a-uno tra le variazioni
della produzione e della disoccupazione. A volte il GDP aumenta ma la disoccupazione rimane invariata o
addirittura peggiora.
Sebbene gli economisti sostengano ampiamente la legge di Okun, essa non è considerata del tutto accurata.
Ulteriori studi sul rapporto tra disoccupazione e produzione includono un insieme più ampio di variabili
necessarie per analizzare gli effetti del mercato del lavoro sul PIL. Queste variabili includono il livello del
mercato del lavoro totale, le ore lavorate dai lavoratori occupati e i livelli di produttività. Sotto ulteriori analisi, gli
economisti hanno riscontrato che la variazione della produzione per ogni variazione dell’1% della disoccupazione
varia con una volatilità maggiore di quella stabilita dalla legge di Okun.
Modulo 3: Le relazioni tra variabili economiche – Lezione 3: La
regola di Taylor
Contenuti della lezione
1. Modulo 3: Le relazioni tra variabili economiche – Lezione 3: La regola di Taylor
0. Come funziona la regola di Taylor?
1. L’equazione di Taylor
2. I limiti della regola di Taylor
La regola di Taylor è un modello che descrive la relazione tra gli obiettivi operativi della Federal Reserve e i tassi
di inflazione e di crescita del prodotto interno lordo. E’ stata interpretata sia come un modo per prevedere le
mosse della Fed, sia come una regola fissa per guidare la politica monetaria in risposta ai cambiamenti delle
condizioni economiche.
La regola consiste in una formula che mette in relazione l’obiettivo operativo della Fed per i tassi d’interesse con
la deviazione dei tassi di inflazione effettivi da quelli desiderati e lo scostamento della crescita del PIL reale
effettiva da quella desiderata.
In economia, la regola di Taylor è essenzialmente un modello di previsione utilizzato per determinare quali
dovrebbero essere i tassi di interesse al fine di spostare l’economia verso prezzi stabili e piena occupazione. La
regola di Taylor raccomanda che la Fed aumenti i tassi quando l’inflazione è alta o quando l’occupazione supera i
livelli di piena occupazione. Al contrario, quando i livelli di inflazione e occupazione sono bassi, la regola di
Taylor implica che i tassi di interesse dovrebbero essere ridotti.
L’equazione di Taylor
Questa equazione implica che la Fed adeguerà il suo obiettivo di tasso sui fondi federali di una media equamente
ponderata del divario tra l’inflazione effettiva e il tasso di inflazione desiderato (pari al 2%) e il divario tra il PIL
reale osservato e un ipotetico target di PIL a un tasso di crescita lineare costante (calcolato da Taylor al 2,2% dal
1984 al 1992 circa).
Ciò significa che la Fed aumenterà il tasso sui fed funds quando l’inflazione sale al di sopra del 2% o la crescita
del PIL reale supera il 2,2%. Viceversa, abbasserà il tasso target quando uno di questi valori scende al di sotto dei
rispettivi obiettivi. Spesso vengono apportate variazioni a questa formula in base a ciò che le banche centrali
ritengono siano i fattori più importanti da includere.
La regola Taylor presenta diversi inconvenienti. Il più grave è che non può spiegare shock o svolte improvvise
nell’economia, come un crollo del mercato azionario o immobiliare. Nella sua ricerca e nella formulazione
originale della regola, Taylor lo ha riconosciuto e ha sottolineato che una rigida adesione a una regola politica non
sarebbe sempre appropriata di fronte a tali shock. Un altro difetto della regola di Taylor è che può fornire consigli
ambigui se l’inflazione e la crescita del PIL si muovono in direzioni opposte.
Durante i periodi di crescita economica stagnante e inflazione elevata, come la stagflazione, la regola di Taylor
fornisce poche indicazioni ai responsabili politici, poiché i termini dell’equazione tendono a cancellarsi a vicenda.
Sebbene diversi problemi siano ancora irrisolti, molte banche centrali trovano la regola di Taylor una pratica
favorevole e alcune ricerche indicano che l’uso di regole simili può migliorare la performance economica.
La deflazione si definisce come un calo generale dei prezzi di beni e servizi tipicamente associato a una
contrazione dell’offerta di moneta nell’economia. Durante la deflazione il potere d’acquisto della valuta aumenta
nel tempo.
La deflazione fa diminuire i costi nominali di capitale, lavoro, beni e servizi, sebbene i loro prezzi relativi possano
rimanere invariati. La deflazione è stata per decenni una preoccupazione popolare tra gli economisti.
A prima vista, la deflazione avvantaggia i consumatori perché possono acquistare più beni e servizi con lo stesso
reddito nominale. Tuttavia, non tutti traggono vantaggio da prezzi più bassi e gli economisti sono spesso
preoccupati per gli effetti della deflazione, soprattutto sul settore finanziario.
La deflazione può danneggiare i debitori, che possono essere obbligati a pagare i propri debiti con denaro che vale
più del denaro preso in prestito, così come qualsiasi partecipante ai mercati finanziari che investe o specula sulla
prospettiva di un aumento dei prezzi.
Per definizione, la deflazione monetaria può essere causata da una diminuzione dell’offerta di moneta o di
strumenti finanziari rimborsabili in moneta. Nei tempi moderni, l’offerta di moneta è maggiormente influenzata
dalle banche centrali.
Quando l’offerta di moneta e di credito diminuiscono senza una corrispondente diminuzione della produzione
economica, i prezzi di tutti i beni tendono a diminuire. I periodi deflazionistici si verificano più comunemente
dopo lunghi periodi di espansione monetaria artificiale.
L’inizio degli anni ’30 è stata l’ultima volta che si è verificata una deflazione significativa e prolungata negli Stati
Uniti. La principale causa di questo periodo deflazionistico è stato appunto il calo dell’offerta di moneta a seguito
di catastrofici fallimenti bancari.
La
deflazione degli anni ’30
Il calo dei prezzi può essere causato da un calo della domanda aggregata e una maggiore produttività. Un calo
della domanda aggregata si traduce in genere in prezzi più bassi. La diminuzione può essere provocata dalla
riduzione della spesa pubblica, il desiderio dei consumatori di aumentare i risparmi e l’inasprimento delle
politiche monetarie.
La deflazione può verificarsi anche quando la produzione cresce più velocemente dell’offerta di denaro. Ciò si
verifica soprattutto quando la tecnologia fa avanzare la produttività di un economia. Le aziende operano in modo
più efficiente man mano che la tecnologia avanza. Questi miglioramenti operativi portano a minori costi di
produzione e risparmi sui costi trasferiti ai consumatori sotto forma di prezzi più bassi.
La diminuzione dei prezzi dovuta all’aumento della produttività è diversa in settori specifici. Si consideri, ad
esempio, come l’aumento della produttività influisca sul settore tecnologico. Negli ultimi decenni, i miglioramenti
tecnologici hanno portato a riduzioni significative del costo medio per gigabyte di dati. Nel 1980, il costo medio
di un gigabyte di dati era di $ 437.500; entro il 2010, il costo medio era di tre centesimi. Questa riduzione ha
causato un calo significativo anche dei prezzi dei manufatti che utilizzano questa tecnologia.
La deflazione rende meno conveniente per governi, imprese e consumatori utilizzare il finanziamento del debito.
Tuttavia, la deflazione accresce il potere economico del finanziamento azionario basato sul risparmio.
Le società che accumulano grandi riserve di liquidità o che hanno un debito relativamente basso sono più attraenti
in caso di deflazione. È vero il contrario per le imprese altamente indebitate con poche disponibilità di liquidità.
La deflazione aumenta il premio di rischio necessario sui titoli.
Quali sono le performance degli asset in deflazione?
In ordine di esposizione, l’asset allocation da tenere durante regimi di deflazione comprende il fixed income,
azionario, valutario e materie prime. Le obbligazioni di lungo termine tendono a performare bene, scontando ritmi
di crescita inferiori. Il dollaro e l’oro sono neutrali/rialzisti mentre le materie prime sono neutrali/ribassiste.
I settori del mercato azionario che performano meglio in deflazione sono le consumer staples, le utilities e
l’healthcare e il real estate. I peggiori settori sono invece l’energy, i financial, i material, le industrial e le tech.
Per quanto riguarda i fattori, quelli che portano le migliori performance sono le low beta, le dividend stocks, le
quality, le difensive e le secular growth. Le aziende ad alto beta, le momentum, le small cap e le aziende cicliche
hanno le performance peggiori.
Le
performance medie di obbligazioni e azioni durante i regimi di deflazione
Modulo 4: Il ruolo della moneta e i regimi monetari – Lezione 2: La
stagflazione
Contenuti della lezione
1. Modulo 4: Il ruolo della moneta e i regimi monetari – Lezione 2: La stagflazione
0. Come nasce la stagflazione?
1. Le cause
2. Come si combatte la stagflazione?
3. Come performano gli asset durante la stagflazione?
La stagflazione è uno scenario economico in cui la crescita economica è stagnante, la disoccupazione è
relativamente alta e l’inflazione è un aumento.
Le cause
Gli economisti hanno formulato diverse teorie per spiegare il fenomeno della stagflazione. Una di queste afferma
che la stagflazione è causata dall’aumento del prezzo del petrolio che agisce riducendo la capacità produttiva di
un’economia.
Nell’ottobre 1973, l’OPEC ha emesso un embargo contro i paesi occidentali. Ciò ha causato un drammatico
aumento del prezzo del petrolio, aumentando i costi delle merci e la disoccupazione. Poiché i costi di trasporto
sono aumentati, la produzione di prodotti e il loro arrivo sugli scaffali sono diventati più costosi e i prezzi sono
aumentati anche quando le persone sono state licenziate.
Un’altra teoria è che la stagflazione sia il risultato di una politica economica scadente come ad esempio la severa
regolamentazione dei mercati delle merci e del lavoro. Altre teorie indicano fattori monetari. Nixon rimosse il
Gold Standard ponendo fine alla maggior parte dei vincoli all’espansione monetaria.
Una crescita economica lenta porterebbe probabilmente a un aumento della disoccupazione, ma non dovrebbe
comportare un aumento dei prezzi. Questo è il motivo per cui questo fenomeno è considerato negativo: un
aumento del livello di disoccupazione si traduce in una diminuzione del potere di spesa dei consumatori. Se
l’inflazione è alta, il potere d’acquisto dei consumatori diminuisce.
Non esiste una cura definitiva per la stagflazione. Gli economisti sostengono che la produttività debba essere
aumentata al punto da portare a una crescita più elevata senza un ulteriore aumento dei prezzi. Ciò consentirebbe
quindi l’inasprimento della politica monetaria per frenare la componente inflazionistica. In poche parole, la chiave
per prevenire la stagflazione è essere estremamente proattivi. Un periodo protratto di stagflazione è addirittura
peggiore di una recessione.
In ordine di esposizione, l’asset allocation in questi regimi dovrebbe comprendere azionario, fixed income,
valutario e materie prime. Le valute dei mercati consolidati sono neutrali rialziste mentre il dollaro tende ad essere
neutrale/ribassista. L’oro è un chiaro vincitore in questi periodi.
Le performance delle classi di attività in vari regimi economici
Le materie prime sono forti. I settori del mercato azionario che performano bene in regimi di stagflazione sono le
utilities, l’energy, le consumer staples e l’healthcare. I settori peggiori sono i communication services, l’industrials
e le consumer discretionary.
Per quanto riguarda i fattori, le performance migliori provengono dalle azioni low volatility, le dividend stock e le
quality e le value stock.
Le performance dei settori e dei temi durante regimi di stagflazione e di inflazione elevata
La reflazione è un insieme di politiche fiscali e monetarie progettate per espandere la produzione, stimolare la
spesa e frenare gli effetti della deflazione. Si verifica dopo un periodo di incertezza economica o di recessione. Il
termine può essere utilizzato anche per descrivere la prima fase della ripresa economica dopo un periodo di
contrazione.
Questo periodo è caratterizzato dalla riaccelerazione della prosperità economica che mira a ridurre l’eventuale
eccesso di capacità nel mercato del lavoro.
Il termine fu coniato per la prima volta dall’economista neoclassico americano Irving Fisher, in seguito al crollo
del mercato azionario del 1929.
Le politiche reflazionistiche
Esempi di reflazione
Sulla scia della Grande Recessione, l’economia statunitense è rimasta debole e la Federal Reserve ha lottato per
creare inflazione, anche dopo aver utilizzato diversi strumenti di politica monetaria reflazionistica, come tassi di
interesse più bassi e aumento dell’offerta di moneta. Tuttavia, l’emanazione del Troubled Asset Recovery Plan
(TARP) e dell’American Recovery and Reinvestment Act nel 2009, nonché il taglio delle tasse Trump nel 2017,
hanno portato a una ripresa dalla Grande Recessione.
L’economia statunitense è cresciuta del 2,3% dal 2009 al 2019.
I maggiori vincitori della reflazione tendono ad essere le azioni di materie prime, banche e le value stocks.
Per far riprende l’economia dalla recessione del covid, il governo statunitense ha messo in atto il piano di stimoli
fiscali più grande del dopoguerra. Questo piano, insieme alle politiche di quantitative easing hanno fatto entrare
l’economia in un processo che è durato per oltre un anno.
È importante non confondere la reflazione con l’inflazione. In primo luogo, la reflazione non è per niente
negativa. È un periodo di aumento dei prezzi in cui un’economia si sforza di raggiungere la piena occupazione e la
crescita.
L’inflazione, d’altra parte, è spesso considerata negativa in quanto è caratterizzata da prezzi in aumento durante
un periodo di piena capacità. Inoltre, i prezzi aumentano gradualmente durante un periodo di reflazione e
velocemente durante un periodo di inflazione. In sostanza, la reflazione può essere descritta come inflazione
controllata.
In ordine di esposizione, l’asset allocation in reflazione deve comprendere l’azionario, il valutario, le materie
prime e le obbligazioni. Il fixed income non performa bene in reflazione perché i rendimenti obbligazionari
tendono ad aumentare. Tuttavia i Treasury Inflation Protected Securities (TIPS), insieme agli high yield bond e ai
prestiti a leva, performano bene.
Il dollaro tende ad essere ribassista mentre le valute dei mercati emergenti sono più forti. Le materie prime,
soprattutto quelle industriali, sono rialziste mentre l’oro è neutrale/ribassista.
Per quanto riguarda invece i settori, i consumer discretionary, l’energy, le industrials e financials portano le
performance maggiori. I settori peggiori sono invece le consumer staples, utilities, communication services e
healthcare.
I migliori fattori sono le secular growth, le momentum stocks, le small cap, le aziende cicliche e quelle ad alto
beta. Viceversa le aziende low beta e le difensive non performano bene.
Le aziende cicliche tendono a sovraperformare quelle difensive durante i periodi reflazionistici
Il cambiamento nell’offerta di moneta è considerato un fattore chiave nel guidare i cicli economici. Un aumento
dell’offerta di moneta in genere diminuisce i tassi d’interesse favorendo gli investimenti e la spesa dei
consumatori. Tutto ciò aumenta la produzione delle aziende, la domanda di lavoro e di conseguenza diminuisce
il tasso di disoccupazione. Se l’offerta di moneta o il suo tasso di crescita diminuiscono può verificarsi il
contrario. L’offerta di moneta si misura attraverso gli aggregati monetari.
L’offerta di moneta è la quantità totale di moneta nell’economia in un dato momento. La quantità di moneta non è
importante solo perché è direttamente collegata all’attività economica ma anche perché le banche centrali la
utilizzano come base della loro politica monetaria. Negli Stati Uniti, l’offerta di moneta è misurata attraverso vari
aggregati monetari tra cui M0, M1 e M2. I vari aggregati monetari differiscono tra di loro in base alla facilità con
cui possono essere convertiti in moneta e alla certezza del loro prezzo futuro.
La base monetaria
La base monetaria (M0) è una componente dell’offerta di moneta di una nazione. Si riferisce a fondi altamente
liquidi tra cui le banconote, le monete e i depositi bancari correnti. Quando la Federal Reserve crea nuovi fondi
per l’acquisto di obbligazioni dalle banche commerciali, le banche vedono aumentare le loro riserve. L’aumento
delle riserve fa espandere la base monetaria. Talvolta viene chiamata denaro ad alta potenza, poiché può essere
moltiplicata attraverso il processo di riserva frazionaria. Però, finché il denaro rimane sotto forma di base
monetaria e non circola nell’economia, esso non crea inflazione.
L’aggregato M1 e M2
M1 contiene M0, i depositi correnti e i traveler’s checks. L’aggregato M2 comprende M1 e altre attività a liquidità
elevata e valore certo in ogni momento futuro, ma la cui conversione in M1 può essere soggetta a qualche
restrizione. Comprendono i depositi di risparmio e le quote dei mercati monetari.
Una valuta è forte quando le politiche economiche attuate all’interno del paese riescono a determinare una crescita
economica sana e una bassa aspettativa di volatilità. Gli investitori tendono a detenere una valuta di un paese
quando hanno fiducia sul suo sistema economico. Viceversa, quando la fiducia degli investitori nei confronti
dell’economia di un paese è bassa, iniziano a vendere gli asset di quel paese. Il risultato è il deprezzamento della
valuta e la diminuzione del tasso di cambio.
Uno dei fattori che determinano i tassi di cambio è l’inflazione. Tipicamente bassi tassi d’inflazione rafforzano il
valore di una valuta, in quanto il suo potere d’acquisto aumenta rispetto alle altre. A volte però la bassa inflazione
si può tradurre in tassi di cambio più bassi.
Tassi d’interesse, inflazione e tassi di cambio sono variabili che si influenzano a vicenda. Le banche centrali,
manipolando i tassi d’interesse, influenzano l’inflazione e il valore delle valute. Tassi d’interesse più alti
attraggono capitali esteri, provocando l’aumento del tasso di cambio. L’impatto di tassi d’interesse più alti viene
mitigato se l’inflazione di un paese è molto più alta che in altri.
La bilancia commerciale
La bilancia commerciale tra un paese e i suoi partner commerciali è un altro fattore importante che influenza i
tassi di cambio. Quando il paese è in deficit, ovvero spende di più per il commercio estero di quanto stia
guadagnando, prende in prestito capitali da fonti estere per compensare il disavanzo. In altre parole, il paese
richiede più valuta estera di quella che riceve attraverso la vendita delle esportazioni. Allo stesso tempo fornisce
una quantità maggiore della propria valuta agli altri paesi per le importazioni.
L’eccesso di domanda di valuta estera abbassa il tasso di cambio del paese fino a quando i beni e i servizi
domestici non sono abbastanza economici per gli stranieri. Se il prezzo delle esportazioni di un paese aumenta di
un tasso maggiore di quello delle sue importazioni significa che la domanda per i beni e servizi che produce è
maggiore. Ciò si traduce in una maggiore domanda per la valuta e quindi nel suo apprezzamento. Invece, se il
prezzo delle esportazioni aumenta di un tasso inferiore a quello delle sue importazioni, il valore della valuta
diminuirà rispetto a quelle dei suoi partner commerciali.
Politiche monetarie di allentamento, come il quantitative easing, portano al deprezzamento della valuta, favorendo
il mercato azionario e le esportazioni.
Anche la domanda e l’offerta di Titoli di Stato di un paese determinano la valutazione e la svalutazione della
valuta. L’aumento della domanda di obbligazioni aumenta il valore della valuta in cui sono denominati.
Il carry trade
Il carry trade è un fenomeno che esercita sempre più influenza sui tassi di cambio. Consiste nel prendere in
prestito soldi in un paese con tassi d’interesse bassi e investirli su asset di altri paesi con un rendimento maggiore.
Quando questo avviene la valuta diminuisce.
La bilancia commerciale
La bilancia commerciale tra un paese e i suoi partner commerciali è un altro fattore importante che influenza i
tassi di cambio. Quando il paese è in deficit, ovvero spende di più per il commercio estero di quanto stia
guadagnando, prende in prestito capitali da fonti estere per compensare il disavanzo. In altre parole, il paese
richiede più valuta estera di quella che riceve attraverso la vendita delle esportazioni. Allo stesso tempo fornisce
una quantità maggiore della propria valuta agli altri paesi per le importazioni.
L’eccesso di domanda di valuta estera abbassa il tasso di cambio del paese fino a quando i beni e i servizi
domestici non sono abbastanza economici per gli stranieri. Se il prezzo delle esportazioni di un paese aumenta di
un tasso maggiore di quello delle sue importazioni significa che la domanda per i beni e servizi che produce è
maggiore. Ciò si traduce in una maggiore domanda per la valuta e quindi nel suo apprezzamento. Invece, se il
prezzo delle esportazioni aumenta di un tasso inferiore a quello delle sue importazioni, il valore della valuta
diminuirà rispetto a quelle dei suoi partner commerciali.
Politiche monetarie di allentamento, come il quantitative easing, portano al deprezzamento della valuta, favorendo
il mercato azionario e le esportazioni.
Anche la domanda e l’offerta di Titoli di Stato di un paese determinano la valutazione e la svalutazione della
valuta. L’aumento della domanda di obbligazioni aumenta il valore della valuta in cui sono denominati.
Il carry trade
Il carry trade è un fenomeno che esercita sempre più influenza sui tassi di cambio. Consiste nel prendere in
prestito soldi in un paese con tassi d’interesse bassi e investirli su asset di altri paesi con un rendimento maggiore.
Quando questo avviene la valuta diminuisce.
La bilancia commerciale è la differenza tra il valore delle esportazioni e delle importazioni di un paese. E’ la
componente più importante della bilancia dei pagamenti. Se la differenza tra esportazioni e importazioni è positiva
il paese si trova in surplus e la valuta del paese tende a rinforzarsi. Se il bilancio è negativo si ha il cosiddetto
trade deficit e la valuta si indebolisce.
Gli economisti usano la bilancia commerciale per misurare la forza dell’economia di un paese.
Ci sono paesi in cui è quasi certo che si verificherà un deficit commerciale. Un surplus o un disavanzo
commerciale non è sempre un indicatore valido della salute di un’economia e deve essere considerato nel contesto
del ciclo economico e di altri indicatori economici. Ad esempio, in una recessione, i paesi preferiscono esportare
di più per creare posti di lavoro. In tempi di espansione economica, i paesi preferiscono importare di più per
promuovere la concorrenza sui prezzi, che limita l’inflazione.
Una bilancia dei pagamenti è una dichiarazione di tutte le transazioni effettuate tra entità in un paese e nel resto
del mondo in un arco di tempo specifico, ad esempio un trimestre o un anno.
La relazione tra bilancia dei pagamenti e tassi di cambio in un sistema di cambio a tasso variabile sarà guidata
dall’offerta e dalla domanda di valuta del paese e da tutte le transazioni che avranno luogo con altri paesi.
Il dollaro è l’asset più importante nel sistema economico-finanziario. Esso infatti è la valuta di riserva globale in
quanto gli Stati Uniti detengono ancora la fiducia degli investitori esteri nella loro capacità di pagare i propri
obblighi finanziari. Il suo andamento impatta molti asset. Spesso il dollaro agisce da “safe haven” per gli
investitori in momenti di incertezza. In questo post andremo ad analizzare l’importanza del dollaro americano e le
sue correlazioni.
Quando il dollaro è in rialzo le azioni dei paesi sviluppati e dei mercati emergenti tendono a registrare
performance scadenti. Viceversa, quando il dollaro è in ribasso tendono a registrare performance ammirevoli.
Negli anni di debolezza del dollaro, le azioni estere sono aumentate nell’85% delle volte e i mercati emergenti il
65%.
D’altra parte, in anni di forza del dollaro, le azioni estere sono aumentate solo nel 62% delle volte e i mercati
emergenti nel 50%.
I mercati emergenti accusano la forza del dollaro soprattutto perché detengono la maggior parte del loro debito in
dollari americani. Anche l’oro risente negativamente dell’apprezzamento del dollaro americano. Il metallo giallo
ha inoltre una correlazione inversa con i tassi reali e beneficia di un mercato azionario debole.
Normalmente, esiste una relazione inversa tra il valore del dollaro e i prezzi delle materie prime. Il dollaro è infatti
il meccanismo di determinazione dei prezzi di riferimento per la maggior parte delle materie prime. Un’altra
ragione dell’influenza del dollaro è che le materie prime sono asset globali che vengono scambiate in tutto il
mondo.
Quando il valore del dollaro scende, gli acquirenti stranieri hanno più potere d’acquisto, perché è richiesta una
quantità inferiore delle loro valute per acquistare ogni dollaro. L’economia classica insegna che la domanda in
genere aumenta quando i prezzi scendono. Ci sono momenti in cui la correlazione inversa tra dollaro e materie
prime si rompe. E’ quindi possibile che i prezzi delle materie prime e il dollaro si muovano occasionalmente nella
stessa direzione.
La relazione tra la forza del dollaro e il mercato obbligazionario è importante da comprendere per gli investitori.
Si tratta principalmente di una relazione macroeconomica, sebbene i fattori trainanti della domanda e dell’offerta
non siano sempre evidenti. Solitamente, rendimenti dei Treasury in aumento attraggono investitori esteri
aumentando la domanda di obbligazioni. Di conseguenza aumenta anche la domanda di dollari e quindi la valuta
si apprezza.
Le obbligazioni sono lo strumento principale con cui governi e aziende si finanziano. Garantiscono all’acquirente
il rimborso del capitale al termine del periodo prestabilito più degli interessi.
Gli investitori comprano obbligazioni per avere un flusso di pagamenti costanti attraverso gli interessi (coupon)
che vengono pagati dal governo o dall’azienda che le ha emesse. Più lunga è la scadenza
dell’obbligazione maggiore sarà il rendimento che gli investitori vogliono ottenere per fermare i loro soldi per più
tempo. Gli interessi vengono pagati durante la vita del titolo e possono avere diverse periodicità. Le più frequenti
sono su base trimestrale, semestrale e annuale.
Quando le aziende o altre entità hanno bisogno di raccogliere fondi per finanziare nuovi progetti o rifinanziare i
loro debiti, possono emettere obbligazioni. L’emittente include i termini del prestito, i pagamenti degli interessi
che verranno effettuati e il momento in cui i fondi prestati dovranno essere rimborsati.
Il prezzo iniziale della maggior parte delle obbligazioni è generalmente fissato. Invece, il prezzo di mercato
effettivo di un’obbligazione dipende dalla qualità creditizia dell’emittente, dal periodo di tempo fino alla scadenza
e dalla direzione dei tassi d’interesse di riferimento. Il valore nominale dell’obbligazione è quello che verrà
restituito al mutuatario una volta che l’obbligazione sarà maturata.
La maggior parte delle obbligazioni può essere venduta dall’obbligazionista iniziale ad altri investitori dopo che
sono state emesse. In altre parole, l’investitore non è obbligato a detenere un’obbligazione fino alla sua data di
scadenza.
Tipi di obbligazioni
le obbligazioni societarie emesse appunto dalle società come alternativa ai prestiti bancari (i mercati
obbligazionari offrono condizioni più favorevoli e tassi di interesse più bassi);
le obbligazioni municipali emesse da stati e comuni;
Titoli di Stato come quelli emessi dal Tesoro degli Stati Uniti;
le obbligazioni emesse da organizzazioni affiliate al governo come Fannie Mae o Freddie Mac.
Quando si investe in obbligazioni ci assumiamo il rischio di credito e il rischio sui tassi d’interesse. Il rischio di
credito è la possibilità di una perdita derivante dal mancato rimborso del prestito. Maggiore è il rischio di default
dell’emittente, maggiore è il rendimento dell’obbligazione. Questo perché l’investitore ha bisogno di essere
compensato a fronte del rischio che si prende.
Il rischio sui tassi d’interesse si riferisce alle potenziali perdite derivanti dalla variazione dei tassi. Se i tassi
d’interesse aumentano, il valore dell’obbligazione diminuisce.
Yield to maturity
Un metodo per capire quanto vale un’obbligazione è il cosiddetto “yield to maturity”. Lo YTM dà il tasso di
rendimento effettivo dell’obbligazione qualora la si detenga fino a scadenza. Esso è considerato un rendimento
obbligazionario a lungo termine ma è espresso come tasso annuo. In altre parole, è il tasso di rendimento totale
che sarà stato guadagnato da un’obbligazione quando avrà effettuato tutti i pagamenti degli interessi e rimborsato
il capitale originario.
Calcolare lo yield to maturity può essere un processo complicato e presuppone che tutti gli interessi siano
reinvestiti allo stesso tasso di rendimento dell’obbligazione. Secondo il calcolo, il prezzo del bond è dato dalla
somma del valore attuale di ogni flusso di cassa calcolato usando il fattore di sconto ovvero il rendimento YTM.
Il nemico principale delle obbligazioni è l’inflazione. Esiste infatti una correlazione inversa tra di loro. L’aumento
dell’inflazione induce un rialzo dei tassi d’interesse che impatta negativamente sul prezzo delle obbligazioni.
Quando l’inflazione va oltre il target del 2% delle banche centrali, le attese per un rialzo dei tassi di interesse si
rafforzano. Oltre a ridurre i prezzi delle obbligazioni, l’inflazione erode il potere d’acquisto degli investitori che
ricevono i coupon.
In circostanze normali, i tassi sono più alti per il debito a lungo termine e la curva dei rendimenti è ripida. Questo
perché il rischio derivante dal mantenere il denaro vincolato per più tempo è maggiore. Una curva dei rendimenti
ripida è quindi associata a prospettive di crescita economica positive.
Quando ci troviamo in presenza di una curva ripida vuol dire che stiamo per raggiungere un picco di mercato. Il
settore finanziario tende ad avere buone performance quando la curva dei rendimenti è ripida. Questo perché le
banche riescono ad aumentare le loro marginalità finanziandosi a tassi più bassi e prestando soldi a tassi più alti.
La curva dei rendimenti è invertita quando i tassi d’interesse a breve termine superano i tassi a lungo termine. Tale
curva corrisponde a periodi di recessione economica.
In periodi di incertezza, gli investitori tendono ad acquistare obbligazioni a più lunga scadenza piuttosto che
quelle a breve. Questo perché hanno meno fiducia sull’economia nel breve termine.
Storicamente l’inversione della curva ha anticipato l’arrivo di una recessione. Per monitorare la forma della curva
dei rendimenti vengono usati diversi spread. Lo spread più seguito è quello tra i rendimenti delle obbligazioni a 10
anni e a 2 anni. Quando questo spread diventa negativo significa che la curva si è invertita. Viene molto utilizzato
anche lo spread tra le obbligazioni a 10 anni e i T-Bills a 3 mesi.
Una curva dei rendimenti piatta è definita da rendimenti simili su tutte le scadenze.
Solitamente si verifica alla fine di un periodo di forte crescita economica che sta portando all’inflazione e ai timori
di un rallentamento economico. Appare anche in momenti in cui ci si aspetta che la banca centrale aumenti i tassi
d’interesse.
L’appiattimento della curva suggerisce che il mercato non vede grandi opportunità di crescita futura, ed è disposto
a impegnare denaro nelle obbligazioni a lungo termine per tassi uguali o simili a quelli disponibili sul breve
termine.
In questi periodi di forte incertezza le value stock e i settori non ciclici tendono a performare bene.
La curva dei rendimenti ci dice quello che il mercato pensa riguardo alle prospettive di crescita e inflazione. Essa
è inoltre in grado di anticipare l’economia e i suoi regimi. La curva dei rendimenti non è importante solo per i suoi
“poteri predittivi”, ma anche per l’impatto che ha sull’offerta di moneta. Essa influenza la capacità di individui e
imprese di ottenere prestiti bancari.
Le banche prendono in prestito il denaro a tassi a breve termine e prestano a tassi più alti. Se il mercato non
richiede tassi più elevati a causa delle preoccupazioni sulla crescita futura, le banche sono costrette a prestare
denaro a tassi inferiori. Il risultato è che i margini delle banche diventano compressi. Più “piatta” è la curva, meno
incentivi hanno le banche a concedere prestiti. Se le banche non vedono opportunità di guadagno, smettono di
assumersi i rischi e di concedere prestiti.
La Fed manipola direttamente solo i tassi d’interesse a breve termine, ovvero l’inizio della curva. La banca
centrale ha tre strumenti politici, ma il principale è il tasso sui fondi federali. Il resto della curva è determinato
dalla domanda e dall’offerta sul mercato.
Quando la Fed aumenta i tassi d’interesse, fornisce più titoli a breve termine nelle operazioni di mercato aperto.
L’aumento dell’offerta di titoli a breve termine limita il denaro in circolazione poiché i mutuatari danno denaro
alla Fed. A sua volta, questa diminuzione dell’offerta di moneta aumenta il tasso d’interesse a breve termine
perché c’è meno denaro in circolazione.
Aumentando l’offerta di titoli a breve termine, la Fed spinge verso l’alto la parte iniziale della curva. I rendimenti
a breve termine aumentano più velocemente di quelli a lungo termine. Spesso il risultato finale dell’aumento dei
tassi della Fed è l’appiattimento della curva dei rendimenti.
Il credit spread è la differenza di rendimento tra un’obbligazione del Tesoro statunitense e un altro titolo di debito
della stessa scadenza ma di qualità creditizia diversa. Lo spread è misurato in punti base: uno spread del’1%
equivale a 100 punti base. I credit spreads consentono un confronto tra un’obbligazione aziendale e un’alternativa
priva di rischio come i titoli di Stato.
Il debito emesso dagli Stati Uniti è utilizzato come punto di riferimento nel settore finanziario. Questo perché è
supportato dalla piena fiducia del governo USA. Le obbligazioni statunitensi sono infatti considerate la cosa più
vicina ad un investimento privo di rischio poiché la probabilità di insolvenza degli Stati Uniti è quasi inesistente.
Le obbligazioni societarie, anche quelle di società più stabili e con rating elevato, sono considerate forme di
investimento più rischiose. Gli investitori infatti, per detenere questi asset, richiedono una ricompensa maggiore
sotto forma di un rendimento più alto.
I credit spreads variano da un titolo all’altro in base all’affidabilità dell’emittente dell’obbligazione. Più l’azienda
è affidabile dal punto di vista finanziario, minore è la sua possibilità di insolvenza. Un’obbligazione di qualità
inferiore, avendo maggiori possibilità di insolvenza dell’emittente, deve offrire tassi più elevati per attirare gli
investitori.
Le fluttuazioni dei credit spreads sono dovute a cambiamenti nelle condizioni economiche (inflazione), nella
liquidità e nella domanda di investimenti. Sono dinamici e riflettono le condizioni di mercato in tempo reale.
Di fronte a condizioni economiche incerte o peggiorative, gli investitori tendono ad acquistare Treasury
statunitensi. Allo stesso tempo, tendono a scaricare le obbligazioni societarie. Questa dinamica fa sì che i prezzi
dei titoli di stato aumentino e i rendimenti scendano. Viceversa i prezzi delle obbligazioni societarie scendono e i
loro rendimenti aumentano.
L’aumento dei credit spread riflette la preoccupazione degli investitori e il crescere dell’avversione al rischio.
Questo è il motivo per cui gli spread creditizi sono spesso un buon barometro della salute economica.
I credit spreads sono importanti perché spesso fungono da leading indicator per i cicli di mercato in quanto gli
investitori obbligazionari si concentrano su elementi più olistici delle società rispetto agli investitori azionari.
Laddove gli investitori azionari si concentrano solo sulle parti di una società che generano flussi di cassa, gli
investitori di fixed income esaminano tutte le sfaccettature e soprattutto i livelli di indebitamento e la capacità
delle società di rimborsare questi debiti.
Pertanto, gli investitori obbligazionari sono più propensi a suonare l’allarme nel caso in cui i segnali dovessero
diventare negativi. Ciò si riflette in un ampliamento degli spread creditizi, con gli investitori che richiedono un
rendimento più elevato per l’assunzione del rischio di credito.
I credit rating
Il credit rating è una valutazione del merito creditizio di un particolare debito, individuo, società o governo
sovrano. La valutazione del credito per aziende e governi viene eseguita dalle agenzie di credit rating come S&P
Global, Moody’s e Fitch Ratings. Le agenzie di rating del credito in genere assegnano voti in lettere.
Le classifiche di ratings sono leggermente diverse tra le tre agenzie. S&P Global, ad esempio, ha una scala di
rating del credito che va da AAA (eccellente) a C e D. Uno strumento di debito con un rating inferiore a BB è
considerato un’obbligazione speculativa o “spazzatura”, il che significa che è più probabile che vada in default.
La globalizzazione ha fatto sì che le principali economie siano diventate molto più correlate tra loro rispetto al
passato. La correlazione tra i mercati azionari dei paesi sviluppati infatti è aumentata considerevolmente,
soprattutto negli ultimi vent’anni. Ciò rende la diversificazione dei portafogli molto più difficile.
Le correlazioni tra i mercati azionari europei
L’esposizione sul mercato azionario dei paesi emergenti può presentare alcuni vantaggi. Nonostante la
globalizzazione e le ulteriori correlazioni che tendono a derivare dal predominio degli investimenti passivi, ci
sono ancora vantaggi di diversificazione che si possono ottenere investendo sui mercati emergenti. Mentre la
correlazione tra i mercati sviluppati è parecchio alta, quella tra i mercati emergenti, nonostante sia aumentata negli
ultimi decenni, rimane ancora ad un valore medio/basso.
La correlazione tra i mercati azionari sviluppati e quella tra i paesi emergenti a confronto
Tendenzialmente, in periodi di alta volatilità e instabilità la correlazione tra i mercati globali si alza. Dal grafico
possiamo notare che la correlazione tra i mercati globali e quella tra mercati emergenti tende ad avere degli spike
al rialzo proprio in corrispondenza di eventi di tensione geopolitica o di crisi finanziarie. Tuttavia, dopo il picco
iniziale, la correlazione si abbassa.
Le correlazioni tra i mercati azionari globali tende ad alzarsi durante periodi di crisi
Il prezzo di un’azione è la sintesi di quello che il mercato si aspetta sui redditi dell’azienda considerando i tassi
d’interesse attuali e futuri. Il prezzo di un’azione è determinato da domanda e offerta. La domanda per un’azione è
guidata da quattro fattori principali: profitti, condizioni economiche, aspettative ed emozioni. I prezzi delle azioni
di solito aumentano quando tutti e quattro i fattori sono positivi e scendono quando sono negativi. La volatilità dei
prezzi delle azioni dipende dal cambiamento di questi fattori.
Le società quotate in borsa in genere riportano gli utili circa tre settimane dopo la fine di ogni trimestre. Gli
investitori puniscono le azioni delle società che non riescono a soddisfare le proprie proiezioni o le stime di
consenso degli analisti. La reazione al ribasso può spesso essere dura.
I mercati possono tagliare i prezzi delle azioni della metà o più quando le aziende non sono all’altezza delle
aspettative, anche di pochi punti percentuali. Il prezzo di un’azione aumenta generalmente quando la società
soddisfa o supera le stime sugli earnings. Gli investitori sono spesso disposti a pagare un premio per le società che
possono dimostrare una crescita degli utili e un flusso di cassa superiori alla media.
Le condizioni economiche
I fattori economici che guidano i prezzi delle azioni includono i tassi d’interesse, la disoccupazione e le
fluttuazioni valutarie. Generalmente, le aziende investono di più quando i tassi d’interesse sono bassi. Questo
porta a un aumento dell’occupazione e dell’offerta di lavoro. I salari più alti fanno aumentare i consumi e di
conseguenza crescono anche gli utili delle aziende. Quest’ultime tendono a produrre di più per venire incontro alla
domanda.
Tassi più alti significano costi di finanziamento più elevati per individui e imprese, che sono costretti a ridurre le
spese non essenziali. Le imprese riducono il personale e altre spese operative. L’aumento della disoccupazione
porta a un ulteriore calo delle entrate e dei profitti per le aziende e i prezzi delle azioni ne risentono.
Tassi d’interesse più alti portano a rendimenti attesi più bassi
I mercati azionari tendono a guardare avanti di sei mesi o più. Ecco perché I prezzi delle azioni riflettono le
aspettative su tutto, dai ricavi e i profitti ai risultati elettorali.
Le aziende di solito forniscono alcune indicazioni sulle loro aspettative per i prossimi trimestri. Gli analisti
utilizzano queste informazioni per pubblicare una guida sugli utili previsti.
I prezzi delle azioni tengono conto anche delle aspettative sulle economie globali, perché molte aziende fanno
affidamento sui mercati esteri per guidare la crescita dei ricavi.
L’emotività
Anche le emozioni umane, come la paura e l’avidità, influenzano i prezzi delle azioni. Una voce infondata su un
rallentamento delle entrate potrebbe portare a una forte svendita delle azioni di una società, proprio come la
speculazione su un allentamento monetario può portare a un rally euforico.
Queste forti oscillazioni dei prezzi di solito non hanno nulla a che fare con i fondamentali di singoli titoli o
addirittura di interi settori. Gli investitori esperti ignorano questi periodici capricci del mercato perché sanno che i
fondamentali aziendali sottostanti determinano le tendenze dei prezzi a lungo termine.
Modulo 7: Il mercato azionario – Lezione 3: Il credit rating delle
aziende
Contenuti della lezione
1. Modulo 7: Il mercato azionario – Lezione 3: Il credit rating delle aziende
0. Breve storia dei credit rating
1. L’importanza dei credit rating
2. I fattori che influenzano i credit rating
3. Altri parametri
Le agenzie di ratings valutano attraverso parametri di bilancio oggettivi e valutazioni soggettive la facilità con cui
un’azienda o un paese riesce ad accedere al credito a un costo sostenibile. I credit rating ci danno il livello di
rischio a cui ci esponiamo investendo in quella azienda.
Un rating che va dalla tripla A alla tripla B indica che l’azienda è a basso rischio di default (investment grade).
Ciò vuol dire che ha un’adeguata capacità di far fronte agli impegni di restituzione del debito anche in condizioni
economiche avverse. Il debito emesso da un’azienda con un rating inferiore a BB è considerato un’obbligazione
speculativa o “spazzatura”, il che significa che ha una probabilità maggiore di andare in default.
Le lettere
associate ai vari credit rating delle diverse agenzie
I credit rating si basano sullo studio di parametri da parte delle agenzie di rating che devono avere una visione
equilibrata e obiettiva della situazione finanziaria e della capacità dell’emittente di rimborsare il debito.
Moody’s emise rating di credito pubblicamente disponibili per le obbligazioni nel 1909 e altre agenzie seguirono
il suo esempio nei decenni successivi. I credit rating però non ebbero un profondo effetto sul mercato fino al 1936.
In quell’anno fu approvata una nuova regola che vietava alle banche di investire in obbligazioni speculative con
un rating basso. L’obiettivo era evitare il rischio di insolvenza, che poteva portare a perdite finanziarie. Ben
presto, fare affidamento sui rating del credito divenne la norma.
Un rating del credito determina non solo se ad un mutuatario verrà approvato un prestito, ma anche il tasso
d’interesse che dovrà pagare. Le aziende dipendono dai prestiti per molte delle loro attività e non riuscire ad
ottenerli può avere un effetto negativo su di esse.
Il rating di credito di un mutuatario dovrebbe svolgere un ruolo nel determinare a quali istituti di credito richiedere
un prestito. Infatti, il prestatore giusto per aziende con un rating alto probabilmente sarà diverso da quello per
aziende con un rating scarso.
I rating del credito non sono mai statici ma cambiano continuamente in base ai dati più recenti. Anche lo storico di
un’azienda gioca un ruolo nella qualità del credit rating. A parità di credit rating, un’entità con una storia
creditizia breve non è considerata positivamente come un’altra entità con una storia creditizia più lunga.
Le agenzie di rating (S&P Global, Fitch e Moody’s) prendono in considerazione diversi fattori quando assegnano
un rating di credito a un’organizzazione. In primo luogo, un’agenzia considera la storia creditizia passata.
Eventuali mancati pagamenti o inadempienze sui prestiti influiscono negativamente sul rating.
L’agenzia esamina anche il potenziale economico futuro dell’entità. Se il futuro economico appare roseo, il rating
del credito tende a essere più alto, ma se il mutuatario non ha prospettive positive, il rating del credito scenderà.
I fattori principali per calcolare il punteggio di credito sono:
Altri parametri
Per la valutazione vengono prese in considerazione parametri oggettivi come il reddito generato per far fronte ai
debiti. L’interest coverage ratio è un parametro importante nel valutare lo stato finanziario di un’azienda.
Rappresenta la divisione tra l’EBIT e la spesa annuale per gli interessi. Questo valore non deve andare sotto a 1.
Anche l’indice di capitalizzazione è molto utilizzato. Esso rappresenta il rapporto tra i debiti a lungo termine e il
totale degli asset.
Le agenzie di rating usano anche parametri soggettivi per le valutazioni del rating soggettive.
Modulo 8: Il mercato delle commodities – Lezione 2: Perché le
commodities muovono i mercati?
Contenuti della lezione
1. Modulo 8: Il mercato delle commodities – Lezione 2: Perché le commodities muovono i mercati?
0. Materie prime e inflazione
1. L’impatto delle materie prime sul settore immobiliare
2. L’industria automobilistica
3. I negozi al dettaglio
4. Trasformazione dei prodotti alimentari
Il movimento nei mercati delle materie prime influisce sull’andamento dei prezzi in altri mercati
come obbligazioni e azioni. Tuttavia, l’effetto che questi due mercati hanno sulle materie prime è molto più
piccolo.
Le materie prime sono ampiamente utilizzate per scopi di consumo e sono necessarie per la produzione di beni e
servizi. Pertanto, l’aumento del loro prezzo ha conseguenze sull’economia e i mercati.
Si ritiene che il prezzo delle materie prime agisca da leading indicator dell’inflazione. Questo perché riesce a
rispondere rapidamente a shock economici diffusi. L’impatto sull’inflazione dell’aumento del loro prezzo non è
però immediato.
In passato, gli aumenti dei prezzi del petrolio sono stati alla base di un forte aumento dei prezzi di beni e servizi.
La ragione di ciò sta nel fatto che il petrolio è un importante input nell’economia e viene utilizzato in attività
critiche come il riscaldamento di case e il rifornimento di automobili. Se il costo del petrolio aumenta, anche il
costo della produzione di plastica, materiali sintetici o prodotti chimici aumenterà e sarà trasferito ai consumatori.
La relazione tra materie prime e inflazione non sempre regge. Ad esempio, un aumento della domanda totale di
beni e servizi finali può coincidere con un aumento della domanda di manufatti rispetto ai prodotti agricoli.
Sebbene ciò possa portare a un aumento dei prezzi complessivi, i prezzi delle materie prime agricole potrebbero
diminuire.
Il settore immobiliare rappresenta una fetta importante dell’economia di qualsiasi nazione. Pertanto, un
rallentamento in questo settore è destinato ad avere effetti a catena.
Nel settore immobiliare si utilizzano molte materie prime come input. Le più usate sono il legname, il ferro,
l’acciaio e altri metalli. L’aumento dei prezzi di queste materie prime ha un effetto immediato sui prezzi degli
immobili. A sua volta, l’aumento dei prezzi delle case fa sì che le vendite diminuiscano, causando un calo nella
creazione di credito.
Il calo del mercato immobiliare influenzerà anche il prezzo delle materie prime poiché ci sarà meno domanda.
L’industria automobilistica
Il settore automobilistico costituisce una parte importante dell’industria manifatturiera. Proprio come il settore
immobiliare, anche il settore automobilistico utilizza una grande quantità di materie prime come input per la
produzione.
Le materie prime più utilizzate nell’industria automobilistica sono i metalli. Pertanto, se le società minerarie non
sono in grado di estrarre abbastanza metalli, i prezzi aumenteranno. L’industria automobilistica non avrà altra
alternativa che trasferire questo aumento di prezzo al consumatore.
Il prezzo del legname e lo Shiller Home Price Index
I negozi al dettaglio
I prezzi delle materie prime, soprattutto del petrolio e del cotone, hanno un impatto significativo anche sulla
performance del settore del commercio al dettaglio.
La maggior parte dei prodotti presenti nei negozi al dettaglio sono realizzati o confezionati in plastica, che è un
sottoprodotto del petrolio. Quindi, se i prezzi del petrolio aumentano, aumenta anche il prezzo della plastica. I
retailer possono decidere di assorbire gli aumenti dei prezzi oppure trasferirli al consumatore.
Il cotone è utilizzato soprattutto nell’abbigliamento. Le fluttuazioni dei prezzi hanno un impatto sul costo dei beni
venduti dai rivenditori di abbigliamento. L’industria del cotone impiega oltre 250 milioni di persone in tutto il
mondo e rappresenta il 7% dell’occupazione nei paesi in via di sviluppo.
Un gran numero di materie prime quotate sul mercato sono legate al cibo. Il grano è il terzo raccolto più grande
negli Stati Uniti, dopo il cotone e la soia. Esso viene lavorato per produrre una serie di prodotti fondamentali, dal
pane alla birra, dalla farina al mangime per il bestiame. Chiaramente il mercato del grano ha un grande impatto
sull’economia globale. Se i prezzi del grano sono in aumento, ciò aumenta, ad esempio, il costo per nutrire il
bestiame e di conseguenza anche il costo della carne.
Anche il mais in una forma o nell’altra viene utilizzato da quasi tutti gli individui. È l’ingrediente base di cereali,
materiali da costruzione, soda, alcool e persino pneumatici. Il prezzo del mais è anche influenzato dalla domanda
e dalla produzione di etanolo, che è un combustibile a base di mais sempre più popolare. I produttori alimentari, i
rivenditori e i consumatori saranno influenzati dalle fluttuazioni dei prezzi del mais.
I prezzi del cibo tendono a guidare il Consumer Price Index
Per far sì che la crescita economica e la produzione di un paese possano andare verso l’alto dobbiamo accedere
alle materie prime. Le commodities sono beni fungibili ovvero quei beni sostituibili in relazione al bisogno che
soddisfano. Sono facilmente stoccabili e conservabili. Il denaro ad esempio è una commodity.
Le hard commodities sono le materie prime estratte dalla terra, come il petrolio, l’oro, il rame e lo zinco. Le soft
commodities sono materie prime come caffè, cacao, zucchero, mais, grano, soia, frutta e bestiame. Il termine
generalmente si riferisce a prodotti che vengono coltivati, piuttosto che estratti.
Trading di commodities
La vendita e l’acquisto di materie prime vengono solitamente effettuati tramite contratti futures su borse che
standardizzano la quantità e la qualità minima della merce negoziata. Ad esempio, il Chicago Board of Trade
(CBOT) stabilisce che un contratto di frumento è di 5.000 staia e indica quali tipi di frumento possono essere
utilizzati per soddisfare il contratto.
Due tipi di trader scambiano futures su materie prime. I primi sono acquirenti e produttori di materie prime che
utilizzano contratti future su materie prime per gli scopi di copertura. Questi trader effettuano o prendono in
consegna la merce effettiva alla scadenza del contratto futures.
Ad esempio, il coltivatore di grano che pianta un raccolto può proteggersi dal rischio di perdere denaro se il
prezzo del grano scende prima che il prodotto sia pronto alla vendita. L’agricoltore può vendere contratti future
sul grano quando il raccolto viene piantato e garantirsi un prezzo predeterminato per il grano al momento del
raccolto.
Gli speculatori
Il secondo tipo di commerciante di materie prime è lo speculatore. Si tratta di trader che operano nei mercati delle
materie prime al solo scopo di trarre profitto dai movimenti volatili dei prezzi. Questi trader non hanno mai
intenzione di effettuare o prendere in consegna la merce effettiva alla scadenza del future.
I mercati dei futures sono molto liquidi e hanno un alto grado di volatilità, il che li rende mercati molto allettanti
per i trader intraday. Molti dei futures su indici sono utilizzati da intermediari e gestori di portafoglio per
compensare il rischio. Inoltre, alcune materie prime possono essere utilizzate in modo efficace per diversificare un
portafoglio di investimento.
I mercati delle materie prime sono molto volatili. Il loro prezzo può essere imprevedibile anche per i trader più
esperti. Tuttavia, di norma, i loro movimenti di prezzo sono una funzione della domanda e dell’offerta. Quando il
mercato mostra un’offerta inferiore, i prezzi tendono a salire. Al contrario, forniture più elevate generalmente si
traducono in prezzi più bassi. I principali fattori che influenzano il prezzo delle materie prime sono sei e li
vedremo di seguito.
I prezzi delle materie prime sono per lo più inelastici perché se la domanda aumenta improvvisamente, la
produzione globale non può rispondere immediatamente. Ad esempio, le miniere non possono aumentare
improvvisamente i livelli di produzione e i consumatori non possono sempre sostituire un metallo con un altro
quando i prezzi aumentano o diminuiscono.
Le condizioni meteorologiche
Le condizioni meteorologiche e i disastri naturali sono tra i principali fattori che influenzano il prezzo delle
materie prime. Un esempio di ciò è stato nel 2010, quando si è verificato un terremoto di magnitudo 8,8 in Cile
che ha causato la sospensione della produzione di quattro grandi miniere, colpendo circa il 20% della capacità del
paese.
I vincoli di trasporto della merce o lo stoccaggio possono essere richiesti lungo la catena di approvvigionamento.
I livelli di scorte di alto livello possono essere determinati esaminando le scorte di magazzino di borsa come
LME, COMEX e SHFE. In una certa misura, possono essere utilizzati anche i dati satellitari e di spedizione AIS
per ottenere ulteriori informazioni sul trasporto e lo stoccaggio di merci in tutto il mondo.
La geopolitica
Poiché le materie prime vengono estratte in aree specifiche in tutto il mondo, le questioni politiche in quelle
regioni possono influenzare il prezzo di quella merce.
L’attacco iraniano all’Arabia Saudita nel settembre 2019 ha costretto alla chiusura degli impianti, tagliando la
produzione di petrolio del Paese da 9,8 a circa 4,1 milioni di barili di petrolio al giorno, perdendo circa il 5% della
produzione mondiale. I prezzi del petrolio salirono del 20%.
La sindacalizzazione può influire sulla produzione di materie prime. La lotta dei sindacati contro lo sfruttamento
del lavoro tramite scioperi sta diventando sempre più forte. L’effetto degli scioperi e delle relative sospensioni
della produzione possono avere un impatto significativo sul prezzo delle materie prime.
Anche l’imposizione di tasse o dazi sulle importazioni o sulle esportazioni da parte di un governo spesso si
aggiunge alla volatilità.
I movimenti valutari
Le materie prime sono generalmente quotate in dollari. Se il dollaro americano subisce un forte aumento rispetto a
un paniere di valute principali, potrebbe verificarsi un calo dei prezzi delle materie prime. Naturalmente, i mercati
non funzionano sempre in modo binario. Spesso accade che la correlazione inversa tra materie prime e dollaro non
venga rispettata.
La crescita economica
La prosperità economica di un paese determina il potere d’acquisto della sua popolazione. L’effetto è più evidente
se il paese in questione è uno dei principali paesi produttori o importatori di tale merce. Questo, a sua volta, ha
paralizzato l’economia e causato l’iperinflazione.
La ricchezza interna dei paesi emergenti ha portato ad una domanda sempre maggiore di materie prime.
Precedentemente, la maggior parte della produzione dei paesi produttori era destinata all’estero. Oggi, questi paesi
tendono a consumare di più di quanto facessero prima. Devono perciò destinare una parte maggiore della loro
produzione all’economia domestica.
Altri fattori
Anche i tassi d’interesse influiscono sulle materie prime. Tassi d’interesse alti diminuiscono la domanda e la
produzione. Il grafico seguente mostra la relazione tra tassi di interesse e le materie prime.
Quando i tassi d’interesse aumentano, i prezzi delle materie prime diminuiscono e viceversa. Tassi d’interesse
elevati diminuiscono la domanda e di conseguenza anche i prezzi delle materie prime.
La finanziarizzazione ha portato ad un aumento della domanda a fini speculativi. Infatti, le commodities negli
ultimi decenni sono diventate una vera e propria asset class.
L’interesse speculativo per le commodities è notevolmente aumentato negli ultimi decenni
Le banche centrali nascono per salvaguardare il sistema economico-finanziario evitando i fallimenti degli istituti
di credito e le corse agli sportelli. Le banche centrali hanno mandati leggermente diversi a seconda del paese. Si
possono comunque ricondurre a tre obiettivi principali: stabilità dei prezzi, piena occupazione e prosperità
economica.
La Banca Centrale Europea è concentrata sull’obiettivo dell’inflazione e la stabilità dei prezzi. Per la Federal
Reserve è invece più importante la piena occupazione. Le politiche che attuano per raggiungere questi obiettivi
non hanno un impatto immediato sull’economia. Le politiche monetarie tradizionali, dette anche convenzionali,
includono l’adeguamento dei tassi di interesse, le operazioni di mercato aperto e la definizione di requisiti di
riserva bancaria.
Le operazioni di mercato aperto (OMO) svolgono un ruolo importante nella guida dei tassi di interesse e nella
gestione della liquidità nei mercati. Consistono nell’acquistare e vendere titoli di Stato e altri titoli sul mercato
aperto al fine di regolare l’offerta di denaro e le riserve presenti nel sistema bancario.
La Federal Reserve conduce operazioni di mercato aperto per raggiungere l’obiettivo del tasso sui fondi federali
desiderato acquistando o vendendo titoli di Stato da o alle banche commerciali.
Nel tentativo di mantenere l’economia statunitense in equilibrio, la Fed fissa un target sul tasso dei fondi federali.
Esso rappresenta l’interesse che gli istituti di credito si addebitano a vicenda per i prestiti overnight. Questo flusso
di somme di denaro consente alle banche di mantenere le loro riserve ad un livello sufficiente per soddisfare le
richieste dei clienti.
Fondamentalmente, le operazioni di mercato aperto sono gli strumenti che la Fed utilizza per raggiungere il target
sui fondi federali acquistando e vendendo titoli nel mercato aperto. La banca centrale è in grado di aumentare
l’offerta di moneta e abbassare il tasso di interesse di mercato acquistando titoli con moneta di nuova creazione.
Allo stesso modo, la banca centrale può vendere titoli dal proprio bilancio e togliere denaro dalla circolazione,
esercitando pressioni al rialzo sui tassi di interesse.
Esistono due tipi di open market operations. Le operazioni di mercato aperto permanenti (POMO) sono quelle che
utilizzano costantemente il mercato aperto per acquistare e vendere titoli al fine di regolare l’offerta di moneta. Al
contrario, le operazioni temporanee di mercato aperto vengono utilizzate per aggiungere o drenare le riserve nel
sistema bancario a breve termine, affrontando esigenze di natura transitoria. A differenza dei POMO, che
comportano acquisti o vendite a titolo definitivo, queste operazioni sono accordi di riacquisto (repo) o accordi di
riacquisto inverso (reverse repo o RRP).
Le operazioni di mercato aperto servono alle banche centrali per implementare una politica espansiva o restrittiva.
Se l’obiettivo è l’implementazione di una politica espansiva, la banca centrale acquista titoli di Stato per
aumentare la liquidità nel sistema bancario. Ciò incoraggia le banche a concedere prestiti stimolando l’economia.
Allo stesso tempo, i tassi d’interesse scendono e i consumatori e le aziende sono più propensi a prendere in
prestito denaro.
Se l’obiettivo è quello di attuare una politica restrittiva, la banca centrale vende titoli di Stato per prelevare denaro
dal sistema. Questo fa sì che i tassi di interesse aumentino. Di conseguenza, i consumatori tendono a spendere di
meno, le imprese riducono i loro investimenti e l’economia rallenta.
le main refinancing operations (MRO) consistono in operazioni temporanee che forniscono liquidità con
frequenza e durata di una settimana;
le long-term refinancing operations sono delle MRO che forniscono liquidità per una durata maggiore;
le operazioni di fine tuning sono volte ad attenuare gli effetti sui tassi di interesse causati da fluttuazioni
inattese di liquidità;
le operazioni strutturali possono essere temporanee o definitive e l’emissione di certificati di debito.
Le politiche monetarie non convenzionali sono delle manovre che non sono in linea con le misure tradizionali
usate dalle banche centrali. Sono emerse durante la crisi finanziaria del 2008, quando il mezzo principale della
politica monetaria tradizionale, ovvero l’adeguamento dei tassi di interesse, non è stato più sufficiente. Le
politiche monetarie non convenzionali includono il quantitative easing, la forward guidance e gli aggiustamenti
delle garanzie e i tassi d’interesse negativi.
Sono diventate ormai l’unica vera arma a disposizione delle banche centrali a sostegno dell’economia e dei
mercati finanziari. Questo tipo di politiche dovrebbero essere di natura temporanea. Tuttavia sembrano essere
sempre più necessarie per sostenere l’economia.
Durante la crisi finanziaria del 2008, le economie globali stavano cercando di far uscire i propri paesi dalla
recessione attuando politiche monetarie espansive. Tuttavia, poiché la recessione è stata molto grave, le politiche
monetarie standard non sono state sufficienti. Ad esempio, i tassi d’interesse sono stati ridotti a zero o vicino allo
zero per combattere la crisi. Questo, tuttavia, non è stato molto d’aiuto.
La Fed ha messo in atto varie politiche aggressive. Allo stesso modo, la Banca centrale europea ha implementato
tassi d’interesse negativi e ha condotto importanti acquisti di asset al fine di evitare gli effetti della recessione
economica globale.
Il quantitative easing
Il quantitative easing consiste nell’acquisto di titoli come le obbligazioni pubbliche e private. La banca centrale
acquista questi titoli con soldi digitali di nuova creazione. Ciò fa scendere i rendimenti e crea nuova liquidità per
le banche commerciali. Il QE abbassa i tassi di interesse aumentando l’offerta di moneta. Le istituzioni finanziarie
vengono quindi inondate di liquida in modo da incoraggiarli a concedere prestiti. Nessun nuovo denaro viene
stampato durante questo periodo.
In risposta alla recessione del covid, le maggiori banche centrali hanno lanciato programmi di quantitative easing
molto aggressivi, gonfiando i loro bilanci a livelli record.
Forward Guidance
La forward guidance è il processo mediante il quale una banca centrale comunica al pubblico le proprie intenzioni
per la futura politica monetaria. Questo avviso consente sia ai privati che alle imprese di prendere decisioni di
spesa e di investimento a lungo termine, portando così stabilità e fiducia ai mercati. Di conseguenza, la forward
guidance ha un impatto sulle attuali condizioni economiche.
Durante la crisi finanziaria, le banche centrali hanno anche ampliato la gamma degli asset che potevano essere
detenuti come garanzia contro le linee di prestito. In genere, le attività detenute come garanzia devono essere le
più liquide (titoli di Stato). Tuttavia, in tempi difficili, anche gli asset illiquidi possono essere detenuti come
garanzia.
Molti paesi hanno adottato tassi di interesse negativi durante la crisi finanziaria. In questa politica, le banche
centrali applicano alle banche commerciali un tasso di interesse sui loro depositi. L’obiettivo è invogliare le
banche commerciali a spendere e prestare le loro riserve di cassa piuttosto che immagazzinarle. La conservazione
delle riserve di cassa perderà valore a causa del tasso di interesse negativo.
Modulo 9: Le banche centrali – Lezione 3: Il quantitative easing
Contenuti della lezione
1. Modulo 9: Le banche centrali – Lezione 3: Il quantitative easing
0. Come funziona il quantitative easing?
1. Il QE è efficace?
2. Le conseguenze del quantitative easing
3. Esempi di quantitative easing
4. L’effetto del QE sui prezzi degli asset
Il Quantitative Easing (QE) è una forma di politica monetaria non convenzionale in cui una banca centrale
acquista titoli a più lungo termine al fine di aumentare l’offerta di moneta stimolando l’economia. Lo scopo del
quantitative easing è quello di abbassare i tassi di interesse diminuendo l’offerta di obbligazioni sul mercato.
Quando i tassi di interesse a breve termine sono pari o prossimi allo zero, le normali operazioni di mercato aperto
di una banca centrale non sono più efficaci. A quel punto, la banca centrale può procedere con il quantitative
easing.
Per eseguire il quantitative easing, le banche centrali aumentano l’offerta di moneta acquistando titoli di Stato e
altri titoli. Aumentando l’offerta di moneta si abbassano i tassi di interesse e consumatori e aziende possono
accedere al credito più facilmente. Il QE può essere implementato in combinazione con la politica fiscale. Poiché
la banca centrale utilizza le banche commerciali come intermediari piuttosto che mettere denaro contante
direttamente nelle mani di individui e imprese, il quantitative easing non può essere considerato come un modo
per stampare denaro.
Il QE è efficace?
Le banche centrali non possono costringere le banche commerciali a concedere nuovi prestiti. Quest’ultime infatti
prendono decisioni in base al rischio/rendimento delle loro attività. Allo stesso modo, le banche centrali non
possono nemmeno obbligare consumatori e imprese a chiedere prestiti. Se l’aumento dell’offerta di moneta creata
dal quantitative easing non circola nell’economia ma rimane nel sistema bancario, il quantitative easing potrebbe
non essere efficace. Esso però è molto utile per facilitare la spesa in disavanzo del governo.
Un’altra conseguenza potenzialmente negativa del quantitative easing è che può svalutare la valuta nazionale. Una
valuta più debole può aiutare da una parte i produttori nazionali perché i beni esportati sono più economici nel
mercato globale. Dall’altra parte, un calo della valuta rende le importazioni più costose. Ciò può aumentare i costi
di produzione e i prezzi al consumo.
I programmi di quantitative easing hanno l’effetto di aumentare il bilancio della Fed. Esso infatti fa gonfiare la
parte attiva del bilancio delle banche centrali che lo implementano.
Anche le passività della banca centrale aumentano con il QE, principalmente perché aumentano le riserve delle
banche commerciali. L’obiettivo del programma è che le banche commerciali abbiano un buffer di riserve contro
le quali possono prestare e stimolare l’economia. Spesso però decidono di tenere quei soldi sottoforma di riserve
in eccesso.
A partire dal 2001, la Bank of Japan ha avviato un aggressivo programma di QE per stimolare l’economia. La BoJ
è arrivata ad acquistare non solo titoli di Stato giapponesi ma anche titoli di debito privati e ETF azionari.
Tuttavia, il QE non è riuscito a raggiungere i suoi obiettivi. Tra il 1995 e il 2007, il prodotto interno lordo
giapponese è sceso da circa 5,45 trilioni di dollari a 4,52 trilioni di dollari in termini nominali.
Anche la Banca nazionale svizzera ha adottato una strategia di quantitative easing dopo la crisi finanziaria del
2008. Alla fine del programma, la banca centrale possedeva una quantità di asset che superava il PIL dell’intero
paese.
Oggi il QE è diventato lo strumento preferito delle banche centrali di paesi sviluppati ed emergenti per stimolare
l’economia durante le crisi (come durante la bolla dei subprime e la recessione del covid) e le decelerazioni della
crescita.
La quantità di asset in percentuale del GDP
Alcuni critici sostengono che il QE possa gonfiare il prezzo di asset che solo una piccola parte della popolazione
(la fascia più ricca) detiene. Ciò contribuirebbe a esacerbare la disuguaglianza di reddito.
Secondo i sostenitori di questa teoria, le banche centrali, mantenendo tassi d’interesse bassi in maniera artificiale,
incoraggiano l’attività speculativa arrivando a causare bolle finanziarie ed euforia sui mercati.
La yield curve control (YCC) implica l’obiettivo di un determinato tasso di interesse a lungo termine da parte di
una banca centrale. Per fissare i rendimenti serve l’acquisto o la vendita di tutte le obbligazioni necessarie per
raggiungere l’obiettivo fissato.
Questo approccio è drammaticamente diverso dal modo tipico della Federal Reserve di gestire la crescita
economica e l’inflazione degli Stati Uniti. Tipicamente, la Fed fissa un tasso di interesse chiave a breve termine, il
tasso sui fondi federali.
I sostenitori del controllo della curva dei rendimenti sostengono che mantenere bassi i tassi a lungo termine può
diventare un’alternativa politica sempre più efficace per stimolare l’economia. Inoltre, questo approccio potrebbe
aiutare a prevenire una recessione o ridurre l’impatto di una recessione.
Richard Clarida e Lael Brainard, attuali membri del Consiglio dei governatori della Fed, nonché gli ex presidenti
della Fed Ben Bernanke e Janet Yellen hanno affermato che la Fed dovrebbe prendere in considerazione l’utilizzo
del controllo della curva dei rendimenti. Anche Jerome Powell, l’attuale presidente della Fed, ha affermato di
essere potenzialmente aperto a questa opzione politica.
La yield curve control differisce dal QE in quanto quest’ultimo consiste in una serie di acquisti limitati con
cadenza mensile che ha lo scopo di stimolare l’economia e abbassare i rendimenti. Con il controllo della curva dei
rendimenti si ottiene praticamente lo stesso risultato ma lo si fa in maniera più diretta.
Durante la seconda guerra mondiale, per finanziare lo sforzo bellico il governo degli Stati Uniti ha dovuto
prendere in prestito ingenti somme di denaro. Tuttavia, ciò ha minacciato di far salire i tassi di interesse, rendendo
il servizio di tale debito sempre più gravoso. Per evitare che i tassi d’interesse salissero, aumentando il costo del
debito per il governo, dal 1942 al 1947 circa la Fed applicò la yield curve control.
Più di recente, alla fine del 2016 la Bank of Japan (BoJ) è passata da una politica di QE a una di YCC, in cui ha
cercato di fissare il rendimento dei titoli di Stato giapponesi a 10 anni allo 0% nel tentativo di stimolare
l’economia giapponese.
Attualmente la Bank of Japan sta ancora intraprendendo questa politica. Ogni volta che i rendimenti a 10 anni
salgono al di sopra dello 0%, la BoJ acquista obbligazioni per riportare il rendimento al ribasso.
Il tapering si riferisce a politiche che modificano le tradizionali attività delle banche centrali. Gli sforzi di tapering
sono principalmente rivolti ai tassi d’interesse e al controllo delle percezioni degli investitori sulla direzione futura
dei tassi d’interesse. Il tapering è la riduzione del tasso al quale una banca centrale accumula nuovi asset nel
proprio bilancio.
Cosa comporta il tapering?
Gli sforzi di riduzione possono includere la modifica del tasso di sconto o dei requisiti di riserva. Il tapering può
comportare anche il rallentamento degli acquisti di asset che, in teoria, porta all’inversione delle politiche di
quantitative easing (QE) attuate da una banca centrale.
Il tapering viene istituito dopo che il quantitative easing ha ottenuto l’effetto desiderato di stimolare e stabilizzare
l’economia. Il tapering può essere istituito solo dopo che è già stato attuato un qualche tipo di programma di
stimolo economico. Quando l’economia si riprende da una contrazione arriva il momento in cui le banche centrali
devono invertire le loro politiche di stimolo.
Comunicare apertamente con gli investitori in merito alla direzione della politica della banca centrale e alle
attività future aiuta a definire le aspettative del mercato. Questo è il motivo per cui le banche centrali in genere
adottano una riduzione graduale, piuttosto che interrompere bruscamente le politiche monetarie espansive.
Le banche centrali contribuiscono ad alleviare qualsiasi incertezza del mercato delineando il percorso di
attuazione del tapering. Le eventuali riduzioni di acquisto di asset tramite il QE vengono preventivamente
comunicate, consentendo al mercato di iniziare a scontare le modifiche prima dell’effettiva realizzazione
dell’attività.
I mercati finanziari possono reagire in modi estremi alla possibilità che lo stimolo della banca centrale possa
rallentare.
Generalmente, gli annunci di un’imminente tapering delle banche centrali sono stati generalmente accolti con forti
aumenti dei rendimenti e cali dei mercati azionari. Ciò crea un potente incentivo per i responsabili delle politiche
monetarie a ritardare o invertire i piani per liquidare i propri bilanci.
Esempi di tapering
L’esempio più recente di tapering da parte della Fed ha fatto seguito al programma di QE implementato in
reazione alla crisi del covid del 2020.
Un altro esempio fu quello che seguì la crisi finanziaria del 2007-2008. Il tapering è venuto alla ribalta nel giugno
2013 quando l’ex presidente della Fed, Ben Bernanke, ha annunciato che la Fed avrebbe ridotto la quantità di
asset da acquistare ogni mese fintanto che le condizioni economiche, come inflazione e disoccupazione, fossero
state favorevoli. In questo caso, il tapering si riferiva alla riduzione, non all’eliminazione, degli acquisti di asset.
Il Taper Tantrum
Nel periodo successivo alla crisi finanziaria del 2008, la Fed aveva triplicato le dimensioni del suo bilancio da
circa $ 1 trilione a circa $ 3 trilioni. Gli investitori erano giunti a dipendere dal continuo supporto della Fed per i
prezzi degli asset attraverso i suoi acquisti.
L’annuncio del tapering ha rappresentato un enorme shock per le aspettative degli investitori obbligazionari che
hanno risposto immediatamente alla prospettiva di un futuro calo dei prezzi vendendo obbligazioni.
La reazione del decennale americano all’annuncio del tapering nel 2013
Molti esperti credevano che il mercato azionario potesse ritracciare in modo profondo. Invece, il Dow Jones
Industrial Average (DJIA) ha registrato solo cali temporanei a metà del 2013. Il ritracciamento dell’S&P è stato
abbastanza nella media (5.6%).
Il quantitative tightening è un tipo di politica monetaria restrittiva intrapresa da una banca centrale al fine di
rallentare la crescita economica. Essa mira quindi a diminuire la domanda in un’economia che sembra accelerare
troppo rapidamente e a rallentare l’inflazione. In questo contesto, la banca centrale inasprisce la politica monetaria
aumentando i tassi d’interesse a breve termine. La Fed può anche vendere asset attraverso operazioni di mercato
aperto riducendo il suo bilancio.
Il tapering invece, si riferisce all’inversione di un aspetto, come l’acquisto di asset da parte della banca centrale, di
una politica monetaria accomodante. La riduzione graduale degli acquisti di attività da parte della Fed può
verificarsi contemporaneamente a un programma di politica monetaria espansiva. Sebbene sia il tapering che il
tightening siano destinati ad avere effetti simili sui mercati, non sempre si verificano contemporaneamente.