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CAPITOLO 18: MACROECONOMIA

La macroeconomia è lo studio di un’economia nel suo complesso (fa riferimento ai macroaggregati


cioè le variabili economiche aggregate); studia il comportamento del sistema economico e le forze
che influenzano (nel loro complesso) le imprese, i consumatori e i lavoratori. I temi ricorrenti
riguardano i cicli economici, ossia le fluttuazioni di breve periodo di output, occupazione e prezzi
(come la produzione di beni e servizi varia nel tempo e di come le crisi economiche possano dare
luogo a rapide discese dell’output) e la crescita economica, ossia le tendenze di lungo periodo di
output e ricchezza.
Keynes, padre fondatore della macroeconomia, apre alla politica economica la possibilità di
intervenire a beneficio delle variabili macroeconomiche (PIL – come è possibile migliorare la crescita
economica? - disoccupazione – come si può ridurre – inflazione – quali sono le cause e come si
combatte?). Keynes utilizza lo strumento della domanda aggregata nei periodi di disoccupazione (es.
durante la Grande Depressione) e afferma che tramite un incremento della spesa pubblica,
aumentando perciò la produzione di beni pubblici, è possibile attirare nuovi lavoratori, dare loro un
reddito che possono impiegare nei consumi e generare un effetto sulla domanda aggregata. Propose
infatti un ampio programma di investimenti pubblici (costruzioni di strade, ponti ecc.) che aumentò
la domanda di lavoro e di occupazione dell’economia americana, riuscendo a far ripartire il volano
dell’economia e migliorare la qualità di vita in generale, e portò ad una globalizzazione e riduzione
del ruolo dello Stato nell’economia. L’intervento pubblico, infatti, poteva essere usato come
strumento per ottenere risultati desiderabili in termini di occupazione, inflazione e crescita
economica.
Dagli anni 30 fino agli anni 70-80 abbiamo quindi la cosiddetta epoca Keynesiana (intervento dello
Stato per investimenti pubblici).
La politica macroeconomica individua l’insieme di strumenti utilizzati dallo Stato per influenzare i
risultati complessivi del sistema economico.
Fa analisi normativa ponendosi in particolare obiettivi di:
 Alto livello di crescita economica (espansione delle possibilità produttive, crescita del PIL)
 Riduzione della disoccupazione e alto livello di occupazione
 Stabilizzazione dei prezzi (controllo dell’inflazione)
Perché il Pil è obiettivo della politica macroeconomica? Perché descrive la produzione generale di
un’economia.

Produzione: la misura più completa della produzione totale di un'economia è il prodotto interno
lordo (PIL) che stima il valore di mercato di tutti i prodotti finiti e dei servizi (pasta, vino, automobili,
biglietti del treno, sanità) realizzati in un paese nel corso di un anno. Esistono due modi per misurare
il PIL: PIL nominale valutato secondo gli effettivi prezzi di mercato e PIL reale calcolato in base a
prezzi costanti o invariati (ottenuto moltiplicando per esempio il numero di auto per il loro prezzo in
un dato anno).
PIL EFFETTIVO (O REALE) – PIL POTENZIALE: Il PIL potenziale individua la massima capacità
produttiva dell’economia (quantità max producibile) quando la forza lavoro e lo stock di capitale
sono impiegati al meglio (ricordiamoci la FPP). La produzione potenziale è data sia dagli input (terra
lavoro capitale) sia dalla efficienza tecnologica. Quando il PIL effettivo è inferiore al PIL potenziale,
non sto utilizzando tutte le mie risorse produttive => disoccupazione. Una maggiore domanda di beni
o servizi rispetto all’offerta disponibile, tende a determinare un maggiore utilizzo della capacità
produttiva disponibile. Quando la domanda dei beni e servizi cresce oltre l’offerta potenziale, il
paese sfrutta al massimo la propria capacità produttiva (straordinari, turni lavoro, intensificazione
dell’utilizzo degli impianti e macchinari) ma ad un certo punto non è più in grado di produrre
ulteriormente: la scarsità dell’offerta e l’eccesso di domanda spingono i prezzi verso l’alto e si ha
inflazione (il PIL effettivo è maggiore del PIL potenziale).
Tra tutti gli indicatori macroeconomici, l'occupazione e la disoccupazione sono i più sentiti dai
cittadini. In termini macroeconomici questi sono obiettivi di alta occupazione cui si accompagna la
bassa disoccupazione. Il tasso di disoccupazione (non si utilizza il numero di disoccupati ma il tasso)
è il rapporto (in %) che c’è tra disoccupati (persone che vorrebbero lavorare ma non trovano) e forza
lavoro (occupati + disoccupati). Disoccupati/forza lavoro = %.
Il tasso di disoccupazione tende a riflettere l'andamento del ciclo economico: quando la produzione
scende, la domanda di manodopera diminuisce e il tasso di disoccupazione aumenta.

Terzo obiettivo macroeconomico e mantenere prezzi stabili. Il livello generale dei prezzi deve
rimanere invariato o crescere molto lentamente. Gli economisti rilevano la stabilità dei prezzi
osservando il tasso di inflazione che misura la variazione percentuale dei prezzi da un anno all’altro.
Si parla di deflazione quando i prezzi diminuiscono (cioè quando il tasso di inflazione è negativo) e di
iperinflazione per un aumento del livello dei prezzi estremamente rapido.

Gli strumenti di politica macroeconomica che influenzano gli obiettivi sono due:
 Politica monetaria: controllo dell’offerta di moneta che influenza i tassi di interesse
 Politica fiscale: utilizza le leve della spesa pubblica e dell’imposizione fiscale (tasse)

La POLITICA MONETARIA riguarda il costo del denaro (tassi di interesse) e la quantità di moneta in
circolazione. Agisce da incentivo/disincentivo a investimenti, risparmi e consumi. Ad esempio, in
caso di scarsità di offerte (quindi elevato utilizzo della capacità produttiva – inflazione) la Banca
Centrale Europea può agire sull’offerta di moneta e su altre condizioni finanziarie: l’ aumento di
offerta di moneta fa scendere i tassi di interesse e migliora le condizioni di credito determinando
livelli più elevati di investimento e consumo di beni durevoli. Se l’offerta di moneta diminuisce
(restrizione della massa monetaria), il denaro diventa relativamente difficile da reperire, i tassi di
interesse salgono e gli investimenti si riducono; diventa più arduo ottenere crediti e diminuisce il
consumo. Domanda e offerta di moneta agiscono come un mercato qualsiasi.

La POLITICA FISCALE o DI BILANCIO riguarda le modalità di impiego delle imposte (che agiscono da
incentivi/disincentivi di lavoro, investimenti, consumi e risparmio) e della spesa pubblica (acquisti
della PA che comprendono spese per beni e servizi e trasferimenti pubblici che aumentano i redditi
di anziani o disoccupati). Le riduzioni delle imposte o gli incrementi dei trasferimenti, esempio
sussidi, fanno crescere il reddito e determinano un maggior consumo. Le agevolazioni fiscali (bonus
etc..) come quelle sugli investimenti possono portare a una maggiore spesa in un settore particolare.

Le due politiche possono essere applicate sia contemporaneamente che in modo singolo.

RAPPORTI INTERNAZIONALI.
Nel perseguire i propri obiettivi macroeconomici (crescita, occupazione e stabilità dei prezzi) Ogni
Stato deve considerare i legami che esistono con le altre economie internazionali. I paesi sono legati
tra loro mediante scambi commerciali (esportazioni e importazioni) e mediante scambi di attività
finanziarie (movimenti di capitali, tassi di cambio).
Un sistema economico internazionale che funziona bene contribuisce alla rapida crescita economica,
Ma l'economia internazionale può causare danni al motore della crescita quando i flussi di scambio si
interrompono o il meccanismo finanziario internazionale si blocca. Occuparsi del commercio
internazionale è una priorità di tutti i Paesi. Occorre Quindi tenere conto di politiche commerciali
(dazi doganali, contingentamenti, normative che influenzano esportazioni ed importazioni) e di
gestione della finanza internazionale (tassi di cambio da considerare).

La CONTABILITA’ NAZIONALE è l’insieme delle statistiche, tenute a livello nazionale (ISTAT) che
consentono di misurare e valutare l’attività economica della nazione. Si tratta della descrizione
quantitativa e sistematica dei flussi (quantità monetarie in un dato periodo di tempo) che
intercorrono tra categorie omogenee di operatori.
Il principale indicatore è il PIL ossia il valore monetario dei prodotti e dei servizi realizzati all’interno
di una nazione in un dato anno. Il PIL è pari alla somma del valore monetario di tutti i: consumi C,
investimenti I, spesa pubblica G ed esportazioni nette X (differenza tra valore delle esportazioni e
quello delle importazioni).
PIL = C + I + G + X
Il PIL è un flusso perché tiene conto di un periodo di tempo.

Il PIL si misura con due metodi equivalenti:


 Metodo del flusso dei prodotti (o della spesa) è la sommatoria dei flussi monetari annuali
utilizzati per acquistare i prodotti finali da parte dei consumatori.
 Metodo dei redditi o dei costi è la sommatoria dei redditi percepiti dai fattori di
produzione (salari, rendite, profitti), vale a dire la sommatoria dei costi di produzione
sostenuti dalle imprese per la realizzazione di beni e servizi finali (inclusi i salari pagati ai
lavoratori, le rendite per la terra etc.). Misurando il flusso annuale di questi costi o redditi si
ottiene il PIL.
I due metodi sono assolutamente equivalenti perché il profitto (ciò che rimane dalla vendita di un
prodotto dopo aver pagato gli altri costi dei fattori) è incluso.

Ma attenzione: non esiste una perfetta integrazione verticale, cioè alcune imprese acquistano da
altre imprese fattori della produzione (es. materie prime o semilavorati). Il PIL misura il valore di beni
e servizi finali, quindi nel metodo del flusso dei prodotti o della spesa occorre escludere i beni
intermedi, ossia quei beni usati per produrre altri beni, che vengono già conteggiati nel PIL perché
inclusi nel valore dei beni e servizi finali (come la farina inclusa nel pane). Attenzione ancora: i beni
intermedi (farina) non sono beni durevoli con durata pluriennale (come un macchinario), il cui valore
resta in azienda (come capitale) e che l’azienda ha acquistato (investimento) da altre aziende alla
stregua di un bene finale.
Analogamente nel metodo dei costi o dei redditi occorre includere solo il valore aggiunto
dell’impresa, ossia la differenza tra le vendite effettuate ai consumatori e gli acquisti di materie e
servizi acquistati da altre imprese; dunque si considerano solo i costi dei fattori produttivi che non
comportano pagamenti ad altre imprese (salari, stipendi, rendite, remunerazione dei fattori
produttivi). Es. Dal costo del pane venduto tolgo quello che ho speso per la farina.

PIL = C + I + G + X = SPESA
Spesa = valore dei beni finali acquistati dalle famiglie, e gli investimenti realizzati dalle imprese, nella
spesa della PA e degli acquisti netti dall'estero.
Attenzione: G comprende la spesa sostenuta dalla PA per acquistare beni di consumo e per
effettuare investimenti, ma non comprende i trasferimenti (pagamenti senza contropartita, esempio
sussidi o pensioni).
PIL = Interessi e rendite + imposte indirette + ammortamenti + profitti = SOMMA DI REDDITI
Redditi = valore dei redditi corrisposti dalle imprese (o somma dei valori aggiunti settoriali).
PIL = somma del valore dei beni e servizi finali (metodo dei valori aggiunti) prodotti dal sistema
economico = VA totale.

PIL, PIN e PNL.


Sebbene il PIL sia il criterio di misura più usato del prodotto nazionale, si citano spesso altri due
concetti: il Prodotto Interno Netto e il Prodotto Nazionale Lordo.
Il PIL comprende gli investimenti lordi cioè gli investimenti netti più l'ammortamento (quota di morte
di un macchinario). Sottraendo l’ammortamento al PIL si ottiene il Prodotto Interno Netto.
PIN = PIL – ammortamento.
Quest'ultimo rappresenta una misura più valida della produzione di uno Stato rispetto al PIL, ma
dato che l'ammortamento è alquanto difficile da stimare mentre gli investimenti lordi si possono
valutare in modo piuttosto preciso, si utilizza il PIL.
Altra misura alternativa è il Prodotto Nazionale Lordo che è il prodotto totale ottenuto con il lavoro o
il capitale di proprietà dei residenti in un dato paese, mentre il PIL è il prodotto ottenuto con il lavoro
e il capitale situati all'interno del paese. Parte del PIL italiano, ad esempio, viene prodotta dagli
stabilimenti della Honda di proprietà di aziende giapponesi che operano in Italia; i profitti derivanti
da questi impianti sono inclusi nel PIL (criterio territoriale) ma non nel PNL dell'Italia (perché Honda
è una società giapponese). Analogamente, quando un economista italiano si reca in Giappone per
tenere una conferenza, il suo compenso viene incluso nel PIL giapponese e nel PNL italiano (il PNL in
definitiva tiene conto anche delle produzioni realizzate all’estero da residenti in Italia).

PIL REALE E PIL NOMINALE.


I prezzi variano nel tempo, uno dei problemi degli economisti è proprio la variazione dei prezzi. Essi
cercano quindi di ovviare il problema eliminando la componente di aumento dei prezzi.
Il PIL nominale è il valore della produzione di beni e servizi sulla base dei prezzi correnti (cioè
effettivi del mercato in quel determinato anno). Si calcola moltiplicando la quantità di ogni bene per
il prezzo ad esso associato nell’anno corrente e si fa la sommatoria.
Il PIL reale è il valore della produzione di beni e servizi calcolato a prezzi costanti (fissi o invariati) in
un anno di riferimento. Per calcolarlo bisogna prendere in considerazione un anno di riferimento
rispetto a quello corrente (ad esempio il 2000). Si moltiplicano le quantità di beni per un insieme di
prezzi fisso o invariato.
Quindi il PIL nominale si calcola in base a prezzi variabili mentre il reale in base a prezzi fissi di un
dato anno. Dividendo il PIL nominale per il PIL reale di ottiene il deflatore del PIL che indica il livello
dei prezzi rispetto ad un anno base, depurando il valore del PIL dalle variazioni di prezzo.
PIL Nominale/PIL reale = Deflatore del PIL.
PIL reale = PIL nominale/deflatore del PIL.
Il PIL nominale cresce più velocemente di quello reale a causa dell’inflazione (gli anni precedenti i
prezzi erano inferiori, quindi il PIL reale risulta inferiore a quello nominale).
Cosa succede al PIL quando il prezzo dei beni e servizi aumenta? Il PIL nominale è aumentato (ma in
realtà il numero dei beni e servizi prodotti potrebbe essere lo stesso).
Il deflatore è una misura di aggiustamento del PIL che non prende in considerazione le oscillazioni
dei prezzi. Il calcolo del deflatore del PIL permette di sapere quanto un’economia sta crescendo
realmente, a prescindere dai prezzi. Si può definire anche come una misura di quanto i prezzi sono
aumentati in un determinato periodo di tempo. Con il calcolo del deflatore riesco a capire quanto di
quell’aumento del PIL è stato determinato dall’inflazione o da una reale crescita economica.

Partendo dal PIL è possibile calcolare il Reddito Nazionale e il Reddito Disponibile.


Il Reddito Nazionale rappresenta i redditi totali dei fattori (lavoro capitale e terra) e si ottiene
sottraendo l'ammortamento e le imposte indirette dal PIL.
RN = PIL – Ammortamento – Imposte Indirette (IVA) Fig. 18.8
Il Reddito Disponibile è il denaro che le famiglie hanno veramente a disposizione da spendere ogni
anno. SI calcola partendo dal Reddito Nazionale, si sottraggono le imposte dirette sulle famiglie e
sulle imprese e il risparmio aziendale netto. Infine si aggiungono i trasferimenti che le famiglie
ricevono dallo Stato.

LA MISURAZIONE DI ALTRI MACRO AGGREGATI


Indici dei prezzi e inflazione.
Quando si afferma che l'inflazione sta salendo in realtà significa che c’è una variazione dell'indice dei
prezzi. L'indice dei prezzi è una misura del livello medio dei prezzi rispetto ad un periodo base
(anche un mese). La misurazione più ampliamente usata è l’indice dei prezzi al consumo (IPC) che
misura il costo per l'acquisto di un paniere standard di beni in periodi diversi. Il paniere di beni
comprende i prezzi di prodotti alimentari, vestiario, abitazioni, carburanti e altri beni e servizi di uso
quotidiano. Un indice dei prezzi viene elaborato pesando ciascun prezzo a seconda dell'importanza
economica del bene in questione. Nel caso dell’IPC a ogni voce del paniere viene assegnato un peso
fisso proporzionale alla relativa importanza nel bilancio di spesa dei consumatori: i pesi di ciascuna
voce sono proporzionali alla spesa totale dei consumatori per quell'articolo.
Esempio con tre articoli. I consumatori spendono il 20% del loro budget per i generi alimentari, il 50
per la casa e il 30 per le cure mediche. Usando il 2017 come anno base si assegna al valore 100 al
prezzo di ciascun bene con la conseguenza che anche l’IPC sia 100 nell'anno base. Si calcolano poi
IPC e tasso di inflazione per il 2018. Supponiamo E nel 2018 i prezzi dei generi alimentari aumentino
del 2% salendo a 102, quelli delle case del 6% salendo a 106 e quelli delle cure mediche del 10%
salendo a 110. Si ricalcola l’IPC per il 2018 come segue:
IPC 2018 = (0.20x102)+(0.50x106)+(0.30x110) = 106.4.
Per cui se il 2017 è l'anno base in cui l’IPC è 100, nel 2018 è 106,4.
Il tasso di inflazione nel 2018 è [(106,4-100)/100] x 100 = 6.4% annuo.
Mentre l'inflazione è un aumento del livello generale dei prezzi e il tasso di inflazione è la velocità di
variazione del livello generale dei prezzi.
Tasso di inflazione per l’anno t = (livello dei prezzi anno t) - (livello dei prezzi anno t-1)/livello dei
prezzi anno t-1) * 100.

Il deflatore del pil è il rapporto fra il PIL nominale e quello reale e si può quindi considerare il prezzo
di tutte le componenti del PIL (consumi, investimenti, spesa pubblica ed esportazioni nette) anziché
di un singolo settore. Si distingue anche dall’IPC perché è un indice di peso variabile che valuta i
prezzi in base a quantità del periodo corrente.

L’Indice dei Prezzi all’Ingrosso (IPI) misura il livello dei prezzi allo stadio di produzione o di vendita
all'ingrosso. I pesi fissi usati per calcolare l’IPI sono le vendite nette del bene. Per il suo notevole
grado di precisione questo indice è quindi ampiamente usato dalle imprese.

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