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Esercitazione 1

1. Illustrate la differenza tra divisione del lavoro verticale e divisione del lavoro orizzontale.

Adam Smith iniziò l’analisi della divisione del lavoro e nel 1776 avvenne la pubblicazione del suo libro La
Ricchezza delle Nazioni. Secondo Smith, la divisione del lavoro è un processo di specializzazione che si
sviluppa all’interno dell’economia in relazione ad un allargamento dei mercati. Questo processo si realizza
all’interno delle attività produttive, dando luogo alla divisione verticale del lavoro, oppure tra le diverse
attività produttive, creando una divisione orizzontale del lavoro.

La divisione orizzontale del lavoro (anche definita settoriale) è data dalla distinzione fra compiti diversi
poiché relativi a processi produttivi diversi. La suddivisione del lavoro è “macroeconomica” e dà origine alla
distinzione tra i vari settori produttivi.

La divisione verticale (o funzionale) è una suddivisione “microeconomica” all’interno di ciascuna unità


produttiva o impresa, quando i diversi lavoratori svolgono compiti diversi. Questo comporta la distinzione
fra compiti diversi all’interno di uno stesso processo produttivo. L’aspetto più rilevante della divisione del
lavoro è costituito dalla separazione sempre più netta fra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Ad
esempio, nelle imprese è presente la distinzione tra chi ha compiti organizzativi e di sorveglianza o chi ha
semplicemente compiti esecutivi.

2. Definite la nozione di produttività media del lavoro.

Smith studia la produttività media dei lavoratori impiegati nella produzione di merci (i lavoratori produttivi).
La produttività media è il prodotto medio per lavoratore nell’unità di tempo, ovvero quanto produce in tot.
tempo. Indicando con Y la produzione complessiva, con L il numero dei lavoratori e con π la produttività
media del lavoro, otteniamo che π è pari al rapporto fra Y e L: Y/L= π

3. Illustrate in che modo la divisione del lavoro può influire sulla crescita della produttività media del
lavoro.

La produttività per lavoratore π dipende dallo stadio raggiunto dal processo di crescente divisione del
lavoro, che a sua volta dipende dall’ampiezza dei mercati di sbocco. Secondo Smith, la divisione del lavoro
comporta un aumento della quantità di lavoro che lo stesso numero di persone riesce a svolgere. Ciò è
dovuto a tre diverse circostanze:

1) Si verifica un aumento della destrezza di ogni singolo operaio;


2) Si risparmia il tempo che di solito si perde tra una fase di lavoro e l’altra;
3) L’invenzione di un gran numero di macchine ha facilitato il lavoro e ha permesso a un solo uomo di
fare il lavoro di molti;

4. Definite la nozione di prodotto (reddito) pro-capite.

Smith identifica la ricchezza di un paese con il grado di sviluppo economico espresso dal reddito (prodotto)
pro capite. Il reddito o prodotto pro capite dipende da due fattori: la produttività media dei lavoratori
impiegati nella produzione di merci e la quota di questi lavoratori sul totale della popolazione. Il reddito
nazionale complessivo è indicato con Y, con N si definisce la popolazione, con L il numero dei lavoratori
produttivi e con π la produttività media del lavoro. Siccome la produttività media del lavoro è π= Y/L, il
reddito sarà Y=L π. Per cui il reddito nazionale è pari al numero dei lavoratori produttivi moltiplicato per la
loro produttività media. Per ottenere il prodotto pro-capite basterà dividere per N (la popolazione)
entrambi i membri, ottenendo così: Y/N=L/N x π
5. Illustrate da cosa dipende il prodotto pro capite.

Il prodotto pro capite dipende da due fattori: la produttività media dei lavoratori impiegati nella produzione
di merci, π, e la quota di questi lavoratori sul totale della popolazione Y/N. Si ottiene così la seguente
espressione: Y/N=L/N x π

6. Illustrate l’idea di Smith secondo la quale la divisione del lavoro contribuisce alla crescita della
produttività del lavoro.

Smith, nella sua opera La ricchezza delle nazioni, illustra il legame tra divisione del lavoro e produttività.
Tuttavia, secondo l’economista, la divisione del lavoro non è un risultato di un’azione volontaria dell’uomo,
ma è una conseguenza involontaria. La divisione del lavoro e l’ampliamento dei mercati si autoalimentano:
quest’ultimo porta a un’espansione della domanda di nuovi prodotti, favorendo l’emergere di nuove
attività produttive. Questo incoraggia la divisione del lavoro e le economie di scala e di specializzazione. Le
economie di sala si traducono in una riduzione dei costi per unità di prodotto, che a sua volta si traduce in
una riduzione dei prezzi, che porta a un aumento del reddito pro capite, che sostiene la domanda e
l’ampliamento dei mercati.

La divisione del lavoro comporta così un aumento della quantità di lavoro che lo stesso numero di persone
riesce a svolgere. Ciò è dovuto a tre diverse circostanze:

1) Si verifica un aumento della destrezza di ogni singolo operaio;


2) Si risparmia il tempo che di solito si perde tra una fase di lavoro e l’altra;
3) L’invenzione di un gran numero di macchine ha facilitato il lavoro e ha permesso a un solo uomo di
fare il lavoro di molti;

7. Illustrate la tesi secondo cui la divisione del lavoro è favorita dall’ampliamento dei mercati.

La divisione del lavoro è favorita da un allargamento dei mercati poiché:

1- Cresce il reddito spendibile dei consumatori (cresce il numero dei consumatori o il loro reddito pro
capite);
2- Gli Stati eliminano le barriere alla libertà del commercio;
3- Il miglioramento dei trasporti permette a ciascuna impresa di raggiungere con i suoi prodotti aree
man mano più distanti dal centro di produzione;

Soprattutto l’adozione di politiche tendenti a eliminare gli ostacoli al libero commercio e a favorire
l’allargamento dei mercati può mettere in moto una “spirale virtuosa”: l’allargamento dei mercati favorisce
una crescente divisione del lavoro, quindi un aumento della produttività che permette un aumento del
reddito pro capite, quindi un ulteriore allargamento dei mercati.

8. Illustrate in che modo l’ampliamento dei mercati contribuisce allo sviluppo della divisione del lavoro.

L’ampliamento dei mercati contribuisce allo sviluppo della divisione del lavoro perché:

1- Cresce il reddito spendibile dei consumatori (cresce il numero dei consumatori o il loro reddito pro
capite);
2- Gli Stati eliminano le barriere alla libertà del commercio;
3- Il miglioramento dei trasporti permette a ciascuna impresa di raggiungere con i suoi prodotti aree
man mano più distanti dal centro di produzione;
Soprattutto l’adozione di politiche tendenti a eliminare gli ostacoli al libero commercio e a favorire
l’allargamento dei mercati può mettere in moto una “spirale virtuosa”: l’allargamento dei mercati
favorisce una crescente divisione del lavoro, quindi un aumento della produttività che permette un
aumento del reddito pro capite, quindi un ulteriore allargamento dei mercati.

9. Illustrate la nozione di economie di scala, statiche e dinamiche.

L’ampliamento dei mercati incoraggia la divisione del lavoro e le connesse economie di scala e di
specializzazione. Le economie di scala sono quelle economie che si realizzano all’aumentare della scala di
produzione, cioè delle quantità prodotte complessivamente. Queste si traducono in riduzione dei costi per
unità di prodotto e, a sua volta, la riduzione dei costi si traduce in riduzione dei pressi (vantaggio per
l’intera economia). Infine, la riduzione dei prezzi si traduce in un aumento del reddito pro capite in termini
reali che sostiene la domanda e l’ampliamento dei mercati. Questo provoca un processo autopropulsivo.

Smith distingueva tra:

- Economie statiche: si realizzano all’aumentare della quantità produttiva, riducendo i costi


attraverso l’aumento della produttività del lavoro all’interno dell’unità produttiva a parità di
conoscenze si cui si dispone nella produzione.
- Economie dinamiche: sono generate dall’aumento di nuove conoscenze, il cui apprendimento
genera nuove competenze. In questo senso giocano un ruolo fondamentale l’istruzione e il
processo di apprendimento del “learning by doing”
Esercitazione 2
1) Illustrare i tre modi di calcolare correttamente il PIL di un’economia e fornire le corrispondenti
definizioni.

Vi sono 3 modi per calcolare il PIL:

 Pil come valore della produzione di beni e servizi finali prodotti all’interno: occorre sottrare
al valore della produzione complessiva il valore dei beni intermedi utilizzati nella
produzione, per ottenere il valore dei beni e servizi finali prodotti all’interno; da questo
punto di vista, il pil rappresenta il prodotto netto dell’economia. Per ottenere il pil calcolato
ai prezzi di mercato, è necessario sommare le imposte indirette sugli scambi alla differenza
tra valore della produzione complessivo e valore dei beni intermedi. Se sottraiamo
l’ammortamento, otteniamo il Prodotto Interno Netto ai prezzi di mercato.
 Pil come somma dei redditi interni complessivamente generati nell’economia durante un
anno (somma dei valori aggiunti): Valore della produzione – Consumi intermedi. Per
calcolare il valore aggiunto devo fare la differenza tra il valore della produzione e il valore
degli acquisti di beni intermedi; è evidente allora che il valore aggiunto di ciascun settore
consiste esattamente dei redditi (salari e profitti) generati nella produzione. Il pil
dell’economia può essere quindi calcolato come somma dei valori aggiunti dei settori in
essa presenti.
 Pil come spesa per beni e servizi finali prodotti all’interno nell’anno corrente: il pil in questo
caso non comprende beni venduti nell’anno corrente ma che sono stati prodotti in anni
precedenti, comprende invece quei prodotti che sono stati prodotti, ma non venduti,
nell’anno corrente: per questo motivo è necessario aggiungere, ai fini del calcolo del pil,
anche la variazione delle scorte (che viene inclusa per convenzione negli investimenti): il
calcolo del pil avviene come segue: Y= C+I+G+NX dove C sono i consumi delle famiglie, I
sono gli investimenti fissi più la variazione delle scorte, G sono i consumi pubblici, NX è la
differenza tra esportazioni e importazioni.

2) Illustrare il “Conto economico delle risorse e degli impieghi.

1) Dall’identità tra produzione interna di beni e servizi finali e spesa di fatto realizzata per beni e
servizi finali prodotti all’interno, si ricava un quadro contabile, il Conto economico delle risorse e
degli impieghi, che consente di descrivere in modo immediato che la spesa complessiva per
consumi, investimenti, consumi pubblici ed esportazioni viene soddisfatta dalla produzione interna
e dalle importazioni. È evidente, infatti, che poiché: Y=C+I+G+(X-IM) allora Y+IM=C+I+G+X, la parte
a sinistra di =contiene le risorse, quella di destra gli impieghi.
2) Calcolo:
a) PIL come spesa di beni e servizi finali prodotti all’interno:
Y=C+I+G+X-IM= 937.611+(301.429+9.733) +333.355+412.509-442.752= 1.551.885
b) PIL come somma dei valori aggiunti:
Valore della produzione – Consumi intermedi= 3.224.373 – 1.672.487= 1.551.886
c) Risparmio nazionale lordo: il risparmio delle famiglie è (S=Y-T-G) e il risparmio pubblico è
(S=T-G). quindi il risparmio nazionale è S=Y-T-C+T-G= S-C-G
S=Y-C-G=1.551.885-937.611-333.355=280.919
d) Risparmio Nazionale Lordo=Investimenti+ esportazioni nette?
280.919= (301.429+9.733) +412.509-442.752
280.919=280.919
e) Conto economico delle risorse e degli impieghi
RISORSE IMPIEGHI
PIL 1.551.885 CONSUMI 937.611
IMPORTAZIONI 442.752 INVESTIMENTI 311.162
(+SCORTE)
SPESA PUBBLICA 333.355
ESPORTAZIONI 412.509
TOTALE RISORSE 1.994.637 TOTALE IMPIEGHI 1.994.637
3) Una impresa di filati acquista cotone dall’estero per un valore di 100 e produce il filo di cotone
che viene venduto a un tessitore per un valore di 200;
il tessitore realizza tessuti di cotone che vengono venduti a una impresa di confezioni per un
valore di 400; con i tessuti acquistati, l'impresa di confezioni produce due abiti che vende a una
boutique per valore di 500 ciascuno; la boutique vende un abito sul mercato interno per un
valore di 750 e uno all’estero per un valore di 750.
a) Valore aggiunto impresa di filati= 200-100=100
b) Valore aggiunto tessitore= 400-200=200
c) Valore aggiunto impresa di confezioni= 1000-400=600
d) Valore aggiunto boutique= 750+750-1000=500
e) Se l’economia fosse costituita solo da queste 4 imprese:
 PIL come somma dei valori aggiunti= 100+200+100+250=1400
 PIL come spesa per beni e servizi finali =750+750-100=1400
4) La vendita di macchine per la lavorazione dei metalli prodotte in Italia e vendute negli USA sarebbe
classificata come esportazione (X).
Gli stipendi dei nuovi assunti all’ASL di Modena sarebbero contenuti nella spesa pubblica (G).
L’acquisto di una lavastoviglie prodotta in Italia dalla signora Maria Bianchi sarebbe considerato
come un consumo delle famiglie (C).
L’acquisto di 5 automobili nuove prodotte in Italia da una cooperativa di tassisti di Bologna sarebbe
considerato come un investimento delle imprese (I).
L’acquisto di petrolio dall’Arabia Saudita da parte di una raffineria italiana sarebbe considerato
come un’importazione (F).

Domande in aggiunta:

a) Calcolare il risparmio nazionale lordo: il risparmio delle famiglie è (S=Y-T-G) e il risparmio


pubblico è (S=T-G). quindi il risparmio nazionale è S=Y-T-C+T-G= S-C-G
Esercitazione 3
Domanda 1: illustrate la differenza tra una grandezza flusso e una grandezza stock. Fate alcuni esempi di
grandezze flusso e di grandezze stock.

Le grandezze flusso sono misurabili durante un certo arco temporale, solitamente si prende un anno come
riferimento. Sono grandezze flusso la produzione, il reddito, il reddito disponibile, il consumo e il risparmio.
Per grandezze stock o di fondo, si intendono grandezze definibili e misurabili non in riferimento ad un certo
intervallo temporale, ma ad una certa data. Il capitale K è una grandezza stock, ovvero i beni capitali
presenti nell’economia ad una certa data, dove lo stock è la somma degli investimenti netti realizzati fino a
quel momento.

Domanda 2: illustrate la differenza tra le nozioni di reddito, risparmio e ricchezza.

Il Reddito (Y) Nazionale interno di un’economia è la somma dei redditi generati all’interno dell’economia.
Per Reddito disponibile si intende il reddito al netto delle imposte.

Il Risparmio nazionale lordo (S) è definito come il reddito dell’anno corrente non consumato. Si ottiene
sottraendo al reddito nazionale i consumi delle famiglie (C) e i consumi pubblici (G). Il Risparmio è una
grandezza flusso ed è definito: S ≡ Y-C-G

La Ricchezza di un’economia è il risparmio netto accumulato nel tempo, ed è una grandezza stock. La
composizione della ricchezza dipende da come questa viene detenuta nel tempo e in quali forme (beni
materiali, mobili, immobili, attività finanziarie…) La ricchezza è costituita da tutti quegli strumenti reali e
finanziari per mezzo dei quali è possibile trasferire nel tempo il risparmio netto accumulato.

Domanda 3: illustrate la differenza tra Pil nominale e Pil reale. Definite il tasso di variazione del Pil reale.

Il Pil nominale, o a prezzi correnti, è il valore dei beni e servizi finali prodotti all’interno ai prezzi dell’anno
corrente. Questo è dato della somma dei prezzi per la quantità di tutti i beni e servizi finali che fanno parte
del Pil di un certo anno. Il Pil nominale può variare da anno ad anno, e la sua variazione può essere data da
un aumento dei prezzi, da un aumento delle quantità o entrambe. Perciò il Pil nominale non è indicatore
stabile della quantità di beni e servizi finali prodotti nel tempo. A questo scopo si usa il Pil reale, che è
depurato dagli effetti di variazione dei prezzi, perciò calcolato con prezzi “fermi” in riferimento un dato
anno. Il Pil reale fornisce così una misura della quantità di beni e servizi prodotti all’interno. Utilizzando i
dati del Pil reale è possibile calcolare le variazioni percentuali del Pil reale al tempo t, ottenendo in questo
modo una indicazione sulla crescita della produzione di beni e servizi finali nell’economia. Il calcolo è il
seguente: t= (Pil 1- Pil t-1/ Pil t-1) x100

Domanda 4: fornite la definizione di inflazione e di tasso di inflazione.

Per inflazione si intende l’aumento perdurante del livello generale dei prezzi. Non si tratta di inflazione
quando aumentano solo alcuni prezzi e nemmeno quando l’aumento dei prezzi è episodico.

Il tasso di inflazione è una variazione percentuale del livello dei prezzi, e misura la velocità con la quale
questi aumentano.

Domanda 5: illustrate (a) cosa consente di misurare un indice dei prezzi al consumo; (b) come viene
costruito in generale un indice dei prezzi al consumo; (c) quali tipi di indici dei prezzi al consumo sono
calcolati dall’Istat.

(a) L’indice dei prezzi al consumo fornisce un’indicazione del livello dei prezzi dei beni di consumo;
(b) L’IPC è costruito sulla base di un insieme (un paniere) di beni rappresentativi del consumo, il cui
valore è calcolato ai prezzi dell’anno corrente e viene diviso per il valore che lo stesso paniere aveva
in un certo anno base: IPC= (valore del paniere ai prezzi dell’anno corrente/ valore del paniere ai
prezzi dell’anno base) x 100
(c) L’Istat calcola tre indici dei prezzi al consumo: l’indice generale nazionale dei prezzi al consumo per
l’intera collettività (NIC), l’indice generale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati
(FOI) e l’indice generale armonizzato dei prezzi al consumo per i paesi dell’Unione Europea (IAPC).

Domanda 6: illustrate alcune delle difficoltà che si incontrano nella misurazione del Pil.

La misurazione del Pil non è affatto semplice, e si riscontrano alcune difficoltà:

- Esso cattura solamente le transazioni di mercato, cioè solo i prodotti che sono oggetto di una
transazione, ma esistono anche beni e servizi che non sono registrati nel mercato
- La misurazione generale dei servizi è complessa: mentre i beni materiali sono più facilmente
misurabili, non si può dire lo stesso dei servizi erogati
- La presenza dell’economia “sommersa”, ovvero un’area in cui vengono prestati servizi non
registrati, in nero (economia criminale)

Domanda 7: quali sono le ragioni per le quali il Pil reale pro capite è una misura imperfetta di benessere?

Il Pil reale pro capite è il Pil reale diviso per il numero di abitanti, ed è generalmente utilizzato come indice
di benessere. Tuttavia, l’idea che la quantità di beni e servizi di cui dispone ciascun abitante è un indice
inadeguato di benessere. Le ragioni derivano dalle difficoltà che si riscontrano nella misurazione del Pil
reale, come il tener conto dei nuovi prodotti o dei miglioramenti qualitativi, oppure la presenza di
un’economia sommersa o la difficoltà di misurazione dei servizi. Inoltre, il Pil reale pro capite non è un
indicatore soddisfacente di benessere perché rappresenta un solo aspetto di un insieme di aspetti cha
vanno considerati.

Domanda 8: illustrate a quale scopo l’United Nations Development Programm ha costruito l’Indice dello
sviluppo umano.

L’United Nations Development Programm ha cercato, a partire dal 1990, di creare un indicatore
unidimensionale del grado di benessere raggiunto da una collettività. L’ UNDP pubblica annualmente un
Rapporto sullo sviluppo umano, e ha creato un Indice sviluppo umano (Isu) con lo scopo di misurare
l’insieme dei risultati raggiunti in un paese. L’Isu ha come riferimenti tre dimensioni fondamentali dello
sviluppo umano: la salute, l’istruzione e lo standard di vita dignitoso.

Domanda 9: illustrate come viene costruito l’Indice dello sviluppo umano.

L’Indice dello sviluppo umano (Isu) è costruito facendo riferimento a tre dimensioni fondamentali dello
sviluppo umano: la salute, l’istruzione e lo standard di vita dignitoso. Questi tre fattori sono combinati con
quattro indicatori: la speranza di vita alla nascita come indicatore della salute, gli anni medi di istruzione e
gli anni previsti di istruzione, come indicatori del grado di istruzione, e il reddito pro capite come indicatore
dello standard di vita dignitoso. L’Isu può essere corretto per le disuguaglianze, diventando indicatore dello
sviluppo umano effettivo, tenendo conto dell’effettiva distribuzione dei risultati tra la popolazione. L’Isu
non corretto può essere considerato come un indicatore di sviluppo umano potenziale.

Domanda 10: illustrate cosa emerge dal confronto tra le graduatorie dei paesi in base al Pil reale pro
capite, all’Isu e all’Isu corretto per le disuguaglianze.

Se si comparano i risultati raggiunti dai paesi in base al Pil reale pro capite, all’Isu e all’Isu corretto:

1- l’ordine della graduatoria cambia a seconda di quale indicatore si considera. Le differenze possono
dipendere, in parte, da condizioni specifiche dei singoli paesi.
2- Inoltre, l’Isu è in ogni caso un indice medio e si riferisce ai risultati raggiunti in media in un certo
paese in termini di longevità, istruzione e reddito pro capite. Esso non tiene conto di come i risultati
sono distribuiti all’interno del paese. Da ciò, quando l’indice viene corretto per mettere in risalto la
distribuzione dei risultati tra la popolazione, emergono numerose differenze. Ci sono paesi che
rimangono ai primi posti sia in termini di Isu che di Isu corretto, mentre altri, come gli Stati Uniti,
passano dalle prime alle ultime posizioni. Questo sottolinea un elevato grado di disuguaglianza del
paese.
3- Dal confronto emerge che l’Isu e un elevato Pil reale pro capite possono accompagnarsi a risultati
sia migliori che peggiori in termini di longevità e di istruzione. I livelli migliori dipendono da un'altra
variabile che riguarda il modo con il quale un paese decide di utilizzare il proprio prodotto interno
lordo. Dal confronto si nota come vi sono paesi che più di altri hanno perseguito l’obbiettivo di
migliorare le condizioni di vita e il grado di istruzione dei propri abitanti. Un elevato Pil pro capite
rappresenta un mezzo per realizzare un miglioramento generale della collettività.
Esercitazione 4

Domanda 1: illustrate in che modo la popolazione residente può essere suddivisa per condizione
lavorativa.

La popolazione residente ad una certa data è l’insieme delle persone iscritte all’anagrafe dei comuni, siano
esse di cittadinanza italiana o straniera. La popolazione è una grandezza stock, di fondo, poiché definibile e
misurabile ad una certa data. Questa può essere suddivisa in quattro categorie a seconda della condizione
lavorativa: gli occupati, le persone in cerca di occupazione, gli inattivi in età lavorativa e gli inattivi in età
non lavorativa. Di maggiore interesse è la divisione tra forze di lavoro e le persone in cerca d’occupazione.

Domanda 2: fornite le definizioni di: occupati, persone in cerca di occupazione e popolazione inattiva.

Si considerano occupati le persone di 15 anni e oltre che hanno regolare posto di lavoro. Le persone in
cerca di occupazione sono coloro che non sono occupati ma cercano attivamente lavoro. La popolazione
inattiva si distingue tra inattivi in età lavorativa e inattivi non in età lavorativa. Gli inattivi sono persone che
non sono né occupati, né in cerca di occupazione, sia in età lavorativa (15-64 anni), sia in età non lavorativa.

Domanda 3: fornite la definizione di forze di lavoro.

La popolazione è suddivisibile in popolazione appartenente alle forze di lavoro e quella non appartenente
alle forze di lavoro. Le forze di lavoro sono costituite dagli occupati e dalle persone in cerca d’occupazione.
Non sono forza lavoro gli inattivi. Per quantificare il numero degli appartenenti alle forze di lavoro, l’Istituto
centrale di statistica (ISTAT) effettua ogni tre mesi una Indagine sulle forze di lavoro. Questa è basata su
un’intervista a un campione di residenti in Italia e, usando tecniche statistiche, si riesce a stimare il numero
complessivo di occupati, persone in cerca d’occupazione e di inattivi.

Domanda 4: fornite la definizione di tasso di attività.

Il tasso di attività, o di partecipazione, è dato dal rapporto fra le forze di lavoro e la popolazione in età
lavorativa. Questo esprime il grado in cui la popolazione in età lavorativa partecipa all’attività produttiva, o
perché già occupata o potenzialmente perché disponibile a parteciparvi poiché attivamente alla ricerca di
un posto di lavoro. Si esprime come di seguito: tasso di inattività= (forze di lavoro 15-64/popolazione 15-
64) x 100

Un aumento del tasso di attività riflette sia un aumento dell’occupazione sia un aumento delle persone in
cerca d’occupazione, ed è il segnale della capacità del sistema economico di ridurre il numero di persone
inattive.

Domanda 5: fornite la definizione di tasso di occupazione.

Il tasso d’occupazione è definito dal rapporto fra gli occupati in età lavorativa e gli occupati in età
lavorativa: tasso di occupazione= (occupati 15-64 anni/popolazione 15-64 anni) x 100.

Un aumento del tasso d’occupazione fornisce un’indicazione importante sulla capacità di un sistema
economico di assicurare un lavoro alla popolazione in età lavorativa.

Domanda 6: fornite la definizione di tasso di disoccupazione.

Il tasso di disoccupazione è il rapporto fra i disoccupati (persone in cerca d’occupazione) e le forze di lavoro.
Tasso di disoccupazione= (persone in cerca di occupazione/forze di lavoro) x 100

Un aumento del tasso di disoccupazione riflette una mancanza di domanda di lavoro rispetto al numero
delle persone che sono disposte a lavorare.
Domanda 7: fornite la definizione di tasso di disoccupazione giovanile.

Il tasso di disoccupazione giovanile riguarda le persone di età compresa tra i 15 e i 24 anni. È definito come
il rapporto percentuale tra i disoccupati di 15-24 anni e l’insieme di occupati e disoccupati, ovvero le forze
di lavoro della stessa classe d’età:

tasso di disoccupazione giovanile= (persone in cerca d’occupazione 15-24 anni/forze di lavoro 15-24 anni) x
100

Domanda 8: fornite la definizione di tasso di inattività.

Il tasso di inattività è definito dall’Istat come il rapporto percentuale tra le persone non appartenenti alle
forze di lavoro, ovvero gli inattivi, in una determinata classe d’età (generalmente 15-64 anni) e la
corrispondente popolazione residente totale della stessa classe d’età:

tasso di inattività= (inattivi 15-64 anni/popolazione 15-64 anni) x 100

Una riduzione del tasso di inattività della popolazione in età lavorativa segnala una aumentata capacità del
sistema economico e sociale di garantire l’accesso alle forze di lavoro riducendo la quota della popolazione
che esce dalle forze di lavoro.

Domanda 9: qual è la ragione per la quale una riduzione del tasso di disoccupazione può non tradursi in
un aumento del tasso di occupazione?

Una riduzione del tasso di disoccupazione può non tradursi in un aumento del tasso di occupazione, infatti
la riduzione delle persone in cerca di un posto di lavoro si può tradurre in un aumento delle persone che
hanno smesso di cercare lavoro. In questo modo aumenta la quota degli inattivi sulla popolazione, non
quella degli occupati.

Domanda 10: illustrate le principali differenze territoriali del tasso di inattività (15-64 anni) in Italia tra il
primo e il secondo trimestre del 2020.

Gli effetti economici della pandemia tra il primo e il secondo trimestre del 2020 sono già visibili e
demarcano notevoli differenze territoriali e di genere all’interno del paese. In Italia si nota come il tasso di
inattività è significativo di differenze territoriali: il tasso di inattività in età lavorativa è particolarmente più
alto nel Mezzogiorno rispetto al Nord e al Centro, inoltre l’andamento del I e II trimestre del 2020
sottolinea come gli effetti economici della pandemia siano stati particolarmente ampi al Sud, dove il tasso
d’inattività, già molto elevato, è passato dal 46,3% al 49,0%.
Esercitazione 5

Domanda 1: illustrate quali sono le caratteristiche essenziali della moneta.

È possibile definire la moneta come mezzo di pagamento generalmente accettato. La moneta ha come
caratteristiche fondamentali il fatto che opera da intermediario nello scambio, separando l’atto di vendita
di acquisto di merci in due transazioni separate nel tempo. Inoltre la moneta risolve lo scambio, ciò significa
che dopo l’acquisto di beni e servizi sono estinti i rapporti di credito e debito tra le parti.

La moneta inoltre ha il massimo grado di liquidità, perché non necessita di essere trasformata in mezzo di
pagamento. Entrare in possesso di moneta non comporta alcun costo, questa inoltre offre la certezza di
reddito, sia nullo che positivo, mentre il suo valore reale è incerto. La moneta è l’insieme dei depositi a vista
e del circolante, in più si distingue tra moneta merce (oltre alla funzione di mezzo di pagamento, ha valore
come merce in base alle contrattazioni di mercato) e moneta segno (il valore dipende solo dalla sua
funzione).

Domanda 2: illustrate quali sono le principali funzioni della moneta.

La moneta svolge la funzione essenziale di mezzo di pagamento generalmente accettato, poiché risolve i
rapporti di scambio fra le parti coinvolte liberando ciascuno da ogni obbligo futuro nei confronti di altri. La
moneta svolge inoltre una fondamentale funzione sociale, in quanto, essendo uno strumento che la
collettività convenzionalmente adotta, consente che lo scambio possa avvenire nelle condizioni di
conoscenza incerta proprie dei rapporti di credito e di debito che si instaurano fra le parti coinvolte.
Siccome la moneta perdura nel tempo, svolge anche la funzione di riserva di valore. Essa è una forma che
mantiene la ricchezza costituita dal risparmio netto accumulato nel tempo. La moneta serve da unità di
conto in quanto è di solito utilizzata per esprimere i prezzi r stipulare i contratti. Infine la moneta funge da
misura dei pagamenti differiti, poiché è usata per effettuare pagamenti a lungo termine.

Domanda 3: quali sono gli strumenti che consideriamo moneta nella sua definizione più ristretta?

Nella definizione più ristretta, la moneta è definita come la somma dei due strumenti immediatamente
utilizzabili quali mezzi di pagamento: il circolante e i depositi a vista. Il circolante è costituito dai biglietti e
dalle monete emesse dalla Banca Centrale e detenute dall’insieme dei soggetti economici diversi dal
settore bancario. I depositi a vista sono rappresentati essenzialmente dai conti correnti che il pubblico
detiene presso gli Istituti di credito, che possono essere trasferiti in modo immediato o mediante
l’emissione di un assegno o attraverso il sistema Bancomat o le Carte di credito.

Domanda 4: illustrate perché si domanda moneta per finanziare le transazioni.

La mancata sincronizzazione tra il momento in cui le famiglie e imprese percepiscono il proprio reddito e il
momento (o i momenti) in cui si effettuano gli acquisti di beni e servizi, porta i soggetti economici a
domandare moneta per finanziare le transazioni. Questa domanda viene definita domanda di moneta per il
movente delle transazioni.

Domanda 5: illustrate da cosa dipende la domanda di moneta per finanziare le transazioni.

La domanda di moneta per finanziare le transazioni dipende dal reddito. La domanda di moneta aumenta
all’aumentare del reddito in termini monetari. Difatti, la domanda di moneta per le transazioni ( ) è
espressa in termini generici come una funzione ( ) del reddito monetario (PY), con il segno+ che indica
che tale funzione è crescente:

= ( )
+
Domanda 6: illustrate la ragione per la quale la moneta può essere utilizzata come fondo di valore.

La moneta può essere utilizzata come fondo di valore, poiché permette di accumulare e mantenere un
risparmio netto accumulato nel tempo. In quanto riserva di valore la moneta funge da attività finanziaria,
trasferendo la ricchezza nel tempo. Per capirne le ragioni, occorre considerare che non tutto il reddito
disponibile viene consumato. Ciò che non è utilizzato rappresenta il risparmio lordo. Si ottiene il risparmio
netto sottraendo a quello lordo l’ammortamento. È il risparmio netto accumulato nel tempo che
rappresenta la ricchezza, una grandezza stock e sono le famiglie e imprese a stabilire in quale modo
detenere il risparmio, corrente e accumulato, e come trasferirlo nel tempo.

Domanda 7: definite cosa intendiamo per titolo obbligazionario (obbligazione) e quali sono le sue
caratteristiche essenziali.

I titoli obbligazionari sono titoli di debito emessi dal settore pubblico e dalle imprese. Questi sono
negoziabili: possono essere comprati e venduti sul mercato finanziario e impegnano, obbligano, i soggetti
che li emettono a fornire ai loro acquirenti una serie di pagamenti, detti cedole, a scadenze stabilite e al
rimborso dell’obbligazione stessa alla data di scadenza. Il contratto d’acquisto delle obbligazioni stabilisce
la loro durata, l’ammontare, le scadenze delle cedole, il valore di rimborso e il valore nominale
dell’obbligazione, ovvero il valore con il quale questa viene collocata sul mercato. Si distinguono dalla
moneta per le seguenti caratteristiche:

- L’acquisto di obbligazioni comporta un costo di intermediazione.


- Il valore monetario dei titoli obbligazionari è soggetto alle fluttuazioni del prezzo di mercato.
- Il reddito è certo, ed è pari all’ammontare della cedola dell’obbligazione.
- I titoli obbligazionari forniscono un tasso d’interesse superiore a quello che, eventualmente,
garantisce la moneta. Il tasso d’interesse è il premio per la rinuncia alla liquidità.

Condividono con la moneta l’incertezza del valore reale.

Domanda 8: definite il tasso di interesse sui prestiti e il tasso di interesse su una obbligazione priva di
cedola.

Siccome la moneta è l’attività liquida per eccellenza, la sua rinuncia deve fornire un vantaggio: il tasso
d’interesse sui titoli obbligazionari è il premio per la rinuncia alla liquidità. Nel caso di un titolo
obbligazionario privo di cedola, ovvero senza il pagamento di interessi a date stabilite, consideriamo PB il
suo prezzo di mercato, che dopo un anno dà diritto ad un rimborso pari a RB. Il tasso d’interesse sul titolo
(iB) è pari alla differenza percentuale RB e PB.

iB = (RB - PB) /PB

Il tasso d’interesse è tanto più elevato quanto più basso è il prezzo del titolo.

Domanda 9: illustrate la relazione inversa tra tasso di interesse su una obbligazione priva di cedola e
prezzo dell’obbligazione.

Considerando PB il prezzo di mercato di un titolo obbligazionario, che dopo un anno dà diritto ad un


rimborso pari a RB, il tasso d’interesse sul titolo (iB) è pari alla differenza percentuale RB e PB.

iB = (RB - PB) /PB

Si può notare che il tasso d’interesse è tanto più elevato quanto più basso è il prezzo del titolo. Infatti, se il
tasso d’interesse si riducesse, i detentori preferirebbero acquistare le obbligazioni, portando la domanda ad
aumentare. L’aumento della domanda farebbe aumentare il prezzo delle obbligazioni, portando ad una
riduzione del tasso d’interesse, poiché RB è diviso per PB. Il tasso d’interesse non può scendere al livello inferiore
dell’acquisto di obbligazioni, poiché se ciò accadesse, non sarebbe più preferibile al prestito monetario.
Domanda 10: considerate un titolo obbligazionario senza cedola con scadenza annuale il cui valore di
rimborso (RB) sia di 20 mila euro. Supponete che l’obbligazione abbia un prezzo di mercato (PB) di 18,5
mila euro e che il tasso di interesse di mercato (i) sia pari a 0,05. Cosa accadrebbe in queste circostanze al
prezzo di mercato dell’obbligazione: rimarrebbe costante, aumenterebbe o diminuirebbe? Dovete
giustificare la vostra risposta.

PB= 18500 euro

RB= 20000 euro.

I= 0,05

Siccome iB = (RB/PB) – 1

Trovo che i B= 20000/18500 -1= 0,08

Quindi il tasso d’interesse è cresciuto da 0,05 a 0,08. Essendo il prezzo d’interesse cresciuto, il presso
dell’obbligazione si è ridotto. Difatti, se si calcola PB usando i B= 0,05 si ottiene 19047 euro

1) Deduco che PB= RB / i B +1


2) Quindi PB= 20000 / 1,05 = 19047

Il prezzo dell’obbligazione è variato di 547 euro

SPIEGAZIONE NO NUMERI:

1) IB= (RB/PB) -1 trovo il tasso d’interesse ai prezzi di mercato


2) Calcolo PB in base al risultato di IB: PB= RB/(IB+1)
3) Confronto il PB 1 con PB 2, e il IB1 con IB2
4) Deduco se il tasso d’interesse è sceso, cresciuto oppure è rimasto costante, e in base a ciò so che
PB avrà avuto un comportamento inverso

Domanda 11: illustrate le ragioni per le quali la moneta svolge un ruolo essenziale nel finanziamento del
sistema economico.

La moneta svolge un ruolo essenziale nel finanziamento economico:

- finanzia le transazioni che hanno per oggetto beni e servizi finali o intermedi, separando nel tempo
l’atto di vendita e di acquisto
- in quanto mezzo di pagamento generalmente accettato, la moneta risolve i rapporti di credito e di
debito connaturati con il processo di scambio in una economia complessa
- finanzia l’attività produttiva
- finanzia i disavanzi delle amministrazioni pubbliche

Domanda 12: quali sono le due più importanti istituzioni finanziarie che creano moneta?

La moneta viene generata da tutte le istituzioni finanziarie capaci di creare circolante, depositi e strumenti
finanziari sostituti stretti dei depositi. Le istituzioni finanziarie sono definite Istituzioni finanziarie monetarie
e le due più importanti sono la Banca centrale e gli Istituti di credito (sistema bancario).

Domanda 13: illustrate le funzioni di una Banca centrale.

La Banca centrale svolge tre funzioni istituzionali di fondamentale importanza:

1) è istituto di emissione: è l’unico ente autorizzato a creare e immettere in circolazione moneta di


corso legale (monete e banconote);
2) decide e attua la politica monetaria, esercitando il controllo della moneta e del credito attraverso i
rapporti istituzionali che intrattiene con gli Istituti di credito, con le Amministrazioni pubbliche e
con l’estero;
3) è prestatore di ultima istanza: è l’istituzione cui le banche possono rivolgersi per richiedere i prestiti
necessari al finanziamento della propria attività sia nel brevissimo sia nel più lungo periodo;
4) è istituto di vigilanza: la Banca centrale è l’organo preposto alla tutela del risparmio attraverso i
controlli sia sulla stabilità degli intermediari finanziari facenti parte del sistema creditizio, sia sul
rispetto delle regole di funzionamento del mercato di credito e di comportamento degli operatori;

Domanda 14: illustrate le funzioni degli istituti di credito (sistema bancario).

Gli Istituti di credito sono enti, la cui attività consiste nel ricevere dal pubblico depositi o altri fondi
rimborsabili, inoltre concede crediti per conto proprio. Si può riassumere quindi, che le funzioni degli Istituti
di credito sono:

1) la raccolta di fondi a breve termine;


2) l’erogazione di prestiti per l’attività economica privata;
3) l’offerta di servizi connessi con la loro funzione di intermediazione nel sistema dei pagamenti e di
gestione delle attività reali e finanziarie;
4) il trasferimento di moneta da un operatore all’altro;
5) la gestione di attività reali e finanziarie;
6) la custodia e l’amministrazione di attività reali e finanziarie;
7) la negoziazione di titoli e valute per conto dei clienti;
8) servizi di esattoria e ricevitoria di enti pubblici;

Domanda 15: illustrate le principali ragioni per le quali le banche necessitano di moneta della Banca
centrale.

Il sistema bancario necessita di moneta della Banca centrale per le seguenti ragioni:

1) le banche, dovendo far fronte alla domanda di circolante da parte del pubblico, trattengono una
certa quota di circolante rispetto ai depositi della loro clientela. Così facendo, esse sono in grado di
rispondere alle eventuali richieste di trasformazione di depositi in circolante. Il rapporto tra il
circolante trattenuto dalle banche e i depositi dipende dalle abitudini di pagamento della clientela;
2) le banche devono regolare i pagamenti interbancari derivanti da tutta una serie di operazioni tra
banche. Nel caso in cui una banca effettui più trasferimenti verso altre banche di quelli ricevuti,
essa avrà bisogno di liquidità, quindi della moneta della Banca centrale, per regolare la differenza. A
questo scopo, le banche detengono riserve in appositi conti presso la banca centrale. Esiste anche
la possibilità di realizzare prestiti interbancari.
3) Le banche devono assolvere all’ “obbligo di riserva”, che consiste nel detenere presso la Banca
centrale una piccola frazione dell’incremento dei propri depositi in moneta della Banca centrale. Il
rapporto tra l’incremento delle riserve che le banche devono tenere presso la Banca centrale a
fronte di un aumento dei propri depositi si chiama coefficiente di riserva obbligatoria;

Domanda 16: cosa intendiamo per “operazione di mercato aperto”.

Le operazioni di mercato aperto sono operazioni effettuate dalla Banca centrale e consistono nell’acquisto
e nella vendita di attività non liquide, come le obbligazioni (attività che non possono essere
immediatamente usate senza costi come mezzi di pagamento generalmente accettati). Attraverso queste
operazioni, la Banca centrale può creare moneta acquistando queste attività non liquide e pagandole
emettendo nuova moneta della Banca centrale. Importante è che quest’ultima, acquistando le obbligazioni
dalle banche, crea liquidità per il sistema bancario.
Domanda 17: supponete che la Banca centrale acquisti obbligazioni sul mercato aperto. Illustrate gli
effetti di queste operazioni sull’offerta di moneta.

Se la Banca centrale acquista obbligazioni sul mercato aperto, l’offerta di moneta tenderà ad aumentare,
poiché per pagare le obbligazioni la Banca centrale emette nuova moneta, che andrà a creare liquidità per il
sistema bancario.

Domanda 18: illustrate in che modo il sistema bancario crea nuovi depositi attraverso le concessioni di
nuovi prestiti.

Il sistema bancario può creare moneta nella forma di nuovi depositi. Ogni volta che una banca concede un
prestito viene creato un nuovo deposito. Le banche, così facendo, finanziano l’attività di spesa creando
mezzi di pagamento. La stessa creazione dei mezzi di pagamento avviene ogni volta che il sistema bancario
concede prestiti che vengono utilizzati attraverso la creazione di nuovi depositi. Questi nuovi depositi,
essendo mezzi di pagamento generalmente accettati, consentono acquisti di beni e servizi. Importante è
sottolineare che le banche, concedendo i prestiti, non attingono dai depositi della propria clientela, poiché
nella loro attività di prestito, le banche hanno il solo vincolo di rispettare il coefficiente di riserva
obbligatoria.

La moneta si distingue in base alle seguenti cinque caratteristiche:

1) Liquidità: la liquidità esprime la facilità con la quale essa può essere scambiata sul mercato per
essere trasformata in un mezzo di pagamento generalmente accettato. La moneta ha il massimo
grado di liquidità, perché non necessita di essere trasformata in mezzo di pagamento;
2) Costo: entrare in possesso di moneta non comporta alcun costo dal momento che i redditi sono
corrisposti in moneta;
3) Certezza di valore in termini monetari: la moneta è l’unica attività finanziaria il cui valore in termini
monetari non è soggetto alle fluttuazioni del prezzo di mercato.
4) Certezza di reddito: la moneta offre la certezza di reddito, questo può essere nullo (nel caso di
depositi infruttiferi) o positivo (se essi fruttano l’interesse stabilito);
5) Certezza di valore reale: il valore reale della moneta è incerto, poiché la quantità di beni e servizi
che la moneta consente di acquistare dipende dal prezzo dei beni e servizi, il quale è soggetto a
fluttuazioni.

La moneta è:

- Perdura nel tempo


- È sicura, poiché svolge una funzione sociale
- È la somma di circolante e depositi a vista
- Si diversifica in moneta merce (oltre alla funzione di mezzo di pagamento, ha valore come merce in
base alle contrattazioni di mercato) e moneta segno (il valore dipende solo dalla sua funzione)
Esercitazione 6

Domanda 1: fornite la definizione di equilibrio macroecomico.

La teoria macroeconomica studia il sistema economico a livello aggregato, ovvero nel suo complesso. Per
cui, l’equilibrio macroeconomico richiede che la produzione aggregata sia uguale alla domanda aggregata, e
questa eguaglianza rappresenta la “condizione di equilibrio macroeconomico”. La produzione aggregata di
un sistema economico è intesa come la produzione di beni e servizi finali prodotti all’interno ed è espressa
dal Prodotto interno lordo.

Domanda 2: fornite la definizione di domanda aggregata.

La domanda aggregata è la spesa desiderata per beni e servizi finali prodotti all’interno di una certa
economia da parte dei diversi operatori economici. Indichiamo con C i consumi delle famiglie, con I gli
investimenti delle imprese, con G il consumo pubblico realizzato dalle Amministrazioni pubbliche e con X le
esportazioni dei soggetti economici non residenti.

E= C+I+G+X-IM

Domanda 3: illustrate la differenza tra spesa desiderata complessiva e domanda aggregata.

La domanda aggregata è la spesa desiderata per beni e servizi finali prodotti all’interno di una certa
economia da parte dei diversi operatori economici. Tuttavia, la domanda aggregata contiene solo i consumi
INTERNI, a differenza della spesa desiderata complessiva, ovvero la spesa per tutti i beni e servizi finali da
parte di tutti gli operatori economici. La spesa desiderata complessiva non contiene solamente quei
beni/servizi prodotti all’interno, ma comprende anche quei beni e servizi finali acquistati ma non prodotti
all’interno, ovvero le importazioni IM.

Domanda 4: fate riferimento al caso semplificato di una economia chiusa con solo famiglie e imprese.
Illustrate come l’equilibrio tra risparmio e investimenti desiderati sia un altro aspetto dell’equilibrio tra
produzione e domanda aggregata.

In una economia chiusa la domanda aggregata è indicata come E=C+I. In condizione di equilibrio, la
domanda aggregata è uguale alla produzione interna di beni e servizi finali, ovvero il PIL, che indichiamo
con Y. Per cui Y=E  Y= C+I

Tuttavia, questo l’equilibrio tra produzione e domanda aggregata può anche essere descritto come
l’equilibrio tra risparmio e investimenti desiderati. Difatti, in economia chiusa il reddito generato è anche il
reddito disponibile. QUest’ultimo può essere consumato o risparmiato. Perciò il reddito è pari alla somma
del consumo desiderato C e del risparmio desiderato S: Y= C+S

Considerando che E= C+I e Y= C+S appare chiaro che:

1) Solo quando Y=E, il risparmio risulta S=I


2) Se S=I, ci sarà sicuramente equilibrio, poiché la produzione risulterà uguale alla domanda aggregata
 Y=E

Per cui, la condizione di equilibrio tra S ed I (S=I) è un altro modo per esprimere l’equilibrio tra produzione e
domanda aggregata.

Domanda 5: rispondete alle seguenti due domande: (a) esponete cosa afferma la «legge di Say»; (b)
illustrate le argomentazioni in base alle quali J.B. Say ha formulato quella che è divenuta nota come
«legge di Say».

a) Formulata da Jean-Baptiste Say nel suo Trattato di economia politica (1803), la legge di Say afferma
che “l’offerta crea la sua propria domanda”. Questa legge è uno dei principi più diffusamente
accettati nella storia dell’economia politica, soprattutto anche da importanti economisti classici,
come Ricardo e Smith.
b) J.B. Say formula la legge dall’idea che, in economia, ogni bene che non sia prodotto per il consumo
personale viene venduto sul mercato a un valore che consente di coprire i costi e ottenere un
profitto. Il reddito monetario è speso interamente per acquistare altri beni, poiché, secondo Say,
nessuno è disposto a detenere introiti monetari derivanti dalle vendite sotto forma di moneta
inoperosa. Mentre i lavoratori spenderanno i salari in beni di consumo, i capitalisti spenderanno in
beni di investimento gran parte dei profitti. Appare chiaro che, nell’economia nel suo complesso, la
produzione o offerta crea allo stesso tempo la propria domanda. Tutti i beni prodotti troveranno
uno sbocco sul mercato, escludendo la possibilità di una sovrapproduzione di merci.

Domanda 6: illustrate le ragioni per le quali gli economisti classici – e David Ricardo in particolare –
accettavano «legge di Say».

Due importanti esponenti dell’economia classica inglese accettavano la legge di Say, ma sulla base di una
duplice argomentazione più raffinata: questi erano Adam Smith e David Ricardo.

1) La prima argomentazione era che i capitalisti erano gli unici a poter prendere una decisione di
risparmio e che tutto ciò che essi decidevano di risparmiare veniva aggiunto come capitale
utilizzato per qualche impiego produttivo. Ciò significava che tutto il risparmio sarebbe stato
investito.
2) La seconda argomentazione era che le occasioni di investimento non trovavano un limite
significativo dal lato della domanda per la produzione che ne sarebbe scaturita.

Smith sosteneva che, mentre la domanda di beni di prima necessità trova un limite nella capacità di
consumo di tali beni, la domanda di beni che soddisfano i bisogni secondari è illimitata. Smith e Ricardo
identificavano le decisioni di risparmio e di investimento, accettando così la legge di Say ed escludendo la
possibilità di una sovrapproduzione di merci.

Ricardo in particolare, riteneva che una riduzione dei salari avrebbe comportato un aumento dei profitti,
ma che questo non avrebbe generato una crisi di sovrapproduzione, dal momento che maggiori i profitti,
maggiori i risparmi e, di conseguenza, maggiori gli investimenti.

Domanda 7: illustrate per quali ragioni Marx rifiutava la «legge di Say».

Marx criticava la legge di Say secondo due ragioni:

1- l’aumento dei profitti non è accompagnato da un aumento significativo dei consumi dei capitalisti, i
quali hanno più bassa propensione al consumo rispetto ai lavoratori. L’effetto netto di una
riduzione dei salari porterebbe dunque a una caduta dei consumi per l’intera economia;
2- la caduta dei consumi (di natura permanente) avrebbe reso sovrabbondante l’attrezzatura
produttiva capace di produrre più di quanto la domanda non giustifichi, e l’incentivo ad investire
per i capitalisti si sarebbe ridotto.

Nelle argomentazioni, Marx introduce la possibilità di una crisi di sovrapproduzione, dovuta, per l’appunto,
alla dinamica dei salari rispetto agli strumenti di produttività del lavoro. Poiché la produttività è il rapporto
tra volume di produzione e quantità di lavoro impegnata, ogni aumento di produttività attribuisce al
sistema economico una maggior capacità produttiva, per effetto dei nuovi metodi di produzione.
L’aumentata capacità produttiva si trasforma in una crescita potenziale della produzione e del reddito. Ma
questa produzione potenziale non trova sufficiente domanda secondo Marx. Infatti, essendo l’arricchirsi
l’unico scopo dei capitalisti, i salari dei lavoratori cresceranno meno della produttività del lavoro, creando le
premesse per una insufficiente crescita dei consumi e una carenza di domanda aggregata.
Esercitazione 7

Domanda 1: la nozione di sovrappiù sociale ha un ruolo determinante nell’impostazione degli economisti


classici. Illustrate cosa intendevano gli economisti classici per sovrappiù sociale.

Il sovrappiù sociale è la differenza tra il prodotto sociale al netto dei mezzi di produzione da reintegrare e il
consumo necessario. Gli economisti classici per determinare il sovrappiù sociale consideravano come noti
tre elementi:

1- Il salario reale per lavoratore;


2- Le condizioni tecniche di produzione;
3- Il prodotto sociale;

In questo caso, il sovrappiù sociale è costituito da profitti e rendite, dal momento che i salari complessivi
sono stati determinati in modo indipendente sulla base di un salario reale per lavoratore.

Domanda 2: illustrate secondo quale procedimento gli economisti classici determinavano il sovrappiù
sociale.

Gli economisti classici determinavano il sovrappiù sociale considerando come noti tre elementi:

1- Il salario reale per lavoratore;


2- Le condizioni tecniche di produzione;
3- Il prodotto sociale;

Dati questi tre elementi, la teoria svolge i seguenti passaggi per determinare il sovrappiù sociale:

1) Le condizioni tecniche di produzione insieme al prodotto sociale determinano il lavoro impiegato


e i mezzi di produzione impiegati nella produzione;
2) Dato l’ammontare dei mezzi di produzione e il prodotto sociale, si determina il prodotto sociale al
netto dei mezzi di produzione che occorre reintegrare.
3) Dato il numero dei lavoratori necessari alla produzione e dato il salario reale per lavoratore, si
determina la parte del prodotto sociale che occorre destinare al consumo dei lavoratori. Questa
parte è denominata dagli economisti classici come il consumo necessario;
4) A questo punto si determina il sovrappiù sociale come la differenza tra il prodotto sociale al netto
dei mezzi di produzione da reintegrare e il consumo necessario.

Domanda 3: illustrate le ragioni per le quali gli economisti classici ritenevano che il salario reale per
lavoratore potesse essere considerato noto prima della determinazione del sovrappiù sociale.

Il salario reale per lavoratore esprime la quantità di merci che entrano a far parte del salario sulla base di
due insiemi di circostanze:

1- la quantità di beni che in un dato momento storico si ritiene necessaria al sostentamento dei
lavoratori;
2- e il potere contrattuale dei lavoratori nei confronti dei datori di lavoro;

Il livello più basso del salario reale è il salario che assicura il mero sostentamento ai lavoratori. Inoltre,
secondo gli economisti classici, il potere contrattuale dei lavoratori non era tale da giustificare l’ipotesi
di un salario reale stabilmente e generalmente al di sopra del suo livello minimo di sussistenza.
Pertanto, gli economisti classici ritenevano che il salario reale per lavoratore (o saggio reale del salario)
fosse noto prima della determinazione del sovrappiù sociale, poiché lo calcolavano al suo livello di
sussistenza, determinato dalle condizioni di sussistenza proprie del momento storico di riferimento.
Domanda 4: illustrate la nozione di prezzo naturale nell’impostazione degli economisti classici.

Gli economisti classici distinguevano tra prezzo naturale e prezzo di mercato. Il prezzo naturale è anche
detto prezzo di produzione o prezzo necessario, ed è il prezzo appena sufficiente a far sì che dalla vendita di
una unità della merce si ottenga quanto basta, una volta reintegrati i mezzi di produzione necessari a
produrla, a pagare i salari del lavoro, i profitti del capitale e la rendita della terra ai rispettivi saggi naturali
del salario, del profitto e della rendita. Il prezzo naturale può essere interpretato come “prezzo minimo”
che consente di pagare salari e profitti ai loro saggi “naturali”.

Domanda 5: illustrate la nozione di domanda effettuale nell’impostazione degli economisti classici.

Gli economisti classici definivano la domanda effettuale la domanda di coloro che sono disposti ad
acquistare la merce al suo prezzo naturale. Se si interpreta il prezzo naturale come prezzo minimo, la
domanda effettuale è la domanda più elevata associata all’ottenimento del prezzo naturale da parte del
produttore. La domanda effettuale dipende da alcuni elementi di fondo che riguardano sia le caratteristiche
del tipo di merce considerata sia una serie di circostanze storiche e sociali, come le abitudini di consumo e
di impiego delle merci, la presenza di nuovi prodotti che possono sostituire quelli esistenti.

Domanda 6: illustrate la differenza tra domanda effettuale e domanda di mercato nell’impostazione degli
economisti classici.

La domanda effettuale si distingue dalla domanda di mercato. La prima dipende da alcuni elementi di fondo
che riguardano sia le caratteristiche del tipo di merce considerata sia una serie di circostanze storiche e
sociali, come le abitudini di consumo e di impiego delle merci, la presenza di nuovi prodotti che possono
sostituire quelli esistenti. Contrariamente, la domanda di mercato risente di circostanza particolari del
mercato del mercato in un dato momento. Un esempio sono le condizioni atmosferiche, la temporanea
insufficienza di capacità produttiva in un certo settore e momento, oppure le variazioni accidentali di
domanda che si manifestano per cause temporanee.

Domanda 7: illustrate la differenza tra prezzo naturale e prezzo di mercato nell’impostazione degli
economisti classici.

Gli economisti classici distinguono due nozioni di prezzo: prezzo naturale e prezzo di mercato.

Il prezzo naturale è anche detto prezzo di produzione o prezzo necessario, e può essere interpretato come
“prezzo minimo” che consente di pagare salari e profitti ai loro saggi “naturali”. Dal prezzo naturale
dipende la domanda effettuale.

Contrariamente, la domanda di mercato risente del prezzo del mercato. Il prezzo di mercato è il prezzo che
di volta in volta si manifesta sul mercato, e può essere diverso da quello naturale.

La differenza più importante è che il prezzo naturale dipende da elementi di fondo permanenti, mentre il
prezzo di mercato è dato da circostanze temporanee e subisce le fluttuazioni del mercato.

Domanda 8: illustrate il processo attraverso il quale, secondo gli economisti classici, il prezzo di mercato
si adegua al prezzo naturale.

Gli economisti classici formulano l’esistenza di un processo di adeguamento, attraverso il quale il prezzo di
mercato si adeguerebbe al prezzo naturale. L’analisi del processo parte dalle circostanze che hanno
generato una differenza tra domanda di mercato e domanda effettuale. Se le circostanze sono temporanee,
la variazione del saggio del profitto sarà momentanea e nessun capitalista sarà disposto ad aumentare o a
diminuire la capacità di produrre quella merce in questione. Al contrario, se la variazione tra la domanda di
mercato e la domanda effettuale è permanente, allora l’ottenimento di un saggio del profitto non sarà
transitorio. Ciò porterà i capitalisti ad aumentare o a diminuire la capacità produttiva di quel settore.
L’aumento o la diminuzione della capacità produttiva adeguerà l’offerta alla domanda fino a che l’offerta
non risulterà pari alla domanda di coloro che sono disposti ad acquistare la merce al suo prezzo naturale.

In conclusione, secondo gli economisti classici il prezzo di mercato si adegua al prezzo naturale. Infatti,
qualora l’offerta di mercato risultasse maggiore o minore della domanda effettuale per cause ritenute
permanenti, il processo di adeguamento della capacità produttiva alla domanda effettuale riporterà il
prezzo di mercato verso il prezzo naturale delle merci e, allo stesso tempo, il saggio del profitto
effettivamente realizzato verso il saggio del profitto naturale.
Esercitazione 8

Domanda 1: illustrate la nozione di funzione di produzione secondo la teoria neoclassica.

La funzione di produzione esprime la relazione fra l’impiego di quantità successive di lavoro e capitale e il
massimo prodotto ottenibile dato lo stato delle conoscenze tecniche. La teoria considera date le quantità di
L e di K e assume che, all’aumentare della quantità di lavoro impiegato, lo stock capitale rimanga costante.

Domanda 2: illustrate la forma della funzione di produzione. Definite il prodotto marginale del lavoro e
illustrate l’andamento del prodotto marginale del lavoro.

La nozione di funzione di produzione è costruita dai neoclassici ponendo, innanzitutto, come Y la


produzione complessiva, come L il lavoro impiegato e come K il capitale. Si assume che lavoro e capitale
siano impiegati e combinati in modo da ottenere il massimo prodotto possibile.

La teoria neoclassica pone che la funzione di produzione sia all’inizio crescente: una volta che posto
costante lo stock di capitale, l’impiego di dosi successive di lavoro farà aumentare la quantità prodotta Y.
Tuttavia, dopo una certa quantità di lavoro L0, la teoria assume che la produzione continui ad aumentare,
ma con incrementi via via decrescenti.

Il prodotto marginale del lavoro PML – che esprime il rapporto tra l’incremento di prodotto e l’incremento
del lavoro impiegato, tenendo costante il capitale impiegato- è prima crescente, fino a L0, poi è
decrescente: da L0 in poi, il prodotto complessivo aumenta, ma gli incrementi di prodotto all’aumentare del
lavoro impiegato sono sempre più piccoli.

Domanda 3: illustrate in che modo la teoria neoclassica costruisce una funzione di domanda di lavoro al
variare del salario reale.

Seguendo le condizioni definite dalla teoria della concorrenza perfetta, si può considerare come dati il
salario reale w, il tasso d’interesse e il prezzo del prodotto. Con questi dati e utilizzando la funzione
decrescente del prodotto marginale del lavoro PML, gli economisti neoclassici ricavano la funzione di
domanda di lavoro. Dato w, l’impresa, per massimizzare il profitto, aumenta L fino a che PML > w1. Così
facendo, si instaura una relazione inversa tra la riduzione del salario reale w e l’aumento della quantità di
lavoro L. Considerando i valori del salario reale via via decrescenti, si ricava che al diminuire del salario reale
per massimizzare il profitto, l’impresa deve aumentare la quantità di lavoro impiegata fino a che il prodotto
dell’ultimo lavoratore non risulti pari al salario reale.

La domanda di lavoro LD è una funzione decrescente del salario reale:

LD = L(w)-, dove il segno – indica che è decrescente.

Domanda 4: illustrate la nozione di concorrenza perfetta secondo la teoria neoclassica. Quali sono le
differenze più importanti tra la nozione di libera concorrenza degli economisti classici e la nozione di
concorrenza perfetta della teoria neoclassica?

La teoria neoclassica definisce la concorrenza perfetta in base alle seguenti condizioni:

1) Tutte le imprese di una certa industria producono lo stesso bene: vi è omogeneità del prodotto;
2) I consumatori hanno una conoscenza perfetta del prezzo e delle caratteristiche del prodotto;
3) Ciascuna impresa produce una quantità piccola rispetto alle dimensioni del mercato: l’impresa
agisce in un mercato atomistico;
4) Le imprese non sono in grado di influenzare il prezzo di mercato né del prodotto che producono né
degli input che impiegano nella produzione: esse sono price takers;
5) Non vi sono barriere all’entrata e all’uscita;
Si discosta dalla nozione di libera concorrenza degli economisti classici, la quale era concepita come una
condizione nella quale non vi sono ostacoli significativi alla realizzazione di investimenti produttivi da parte
di un capitalista che decida di entrare in quel settore per avviare la produzione. La libera concorrenza degli
economisti classici è essenzialmente caratterizzata da condizioni di libertà di entrata nei diversi settori
produttivi, come accade nella teoria della concorrenza perfetta.

Si caratterizza come un processo in cui gli investimenti produttivi creano capacità produttiva nei settori nei
quali il saggio del profitto è ritenuto più elevato del normale e la distrugge nei settori nei quali esso è
ritenuto inferiore al normale.

Domanda 5: in che modo la teoria neoclassica costruisce la funzione di offerta di lavoro al variare del
salario reale?

Secondo la teoria neoclassica, l’offerta di lavoro è il risultato di una scelta da parte dei lavoratori fra
lavoratori e ozio. Si suppone che i lavoratori siano sempre disposti a sostituire lavoro a tempo libero
all’aumentare del salario reale. L’offerta di lavoro LS è una funzione crescente del salario reale:

LS = N(w) + dove il + indica che la funzione è crescente.

Domanda 6: illustrate in che modo la teoria neoclassica esamina l’equilibrio del mercato del lavoro.

La teoria neoclassica esamina l’equilibrio del mercato del lavoro con la funzione di domanda di lavoro LD e
la funzione di offerta di lavoro LS. L’analisi è basata sulla concorrenza perfetta, nella quale il salario reale
varia ogni volta che LD risulta maggiore o minore di LS, fino a quando si stabilisce sul mercato un salario
reale per il quale domanda e offerta di lavoro risultano uguali. Difatti, quando per w1 l’offerta di lavoro LS
eccede la domanda di lavoro LD, il salario reale tenderà a diminuire per effetto della concorrenza tra i
lavoratori disoccupati, i quali saranno disposti a lavorare per un salario reale inferiore a w1. Se invece con
un salario reale w2, la domanda di lavoro eccede l’offerta, il salario reale tenderà ad aumentare per effetto
della concorrenza tra i datori di lavoro, i quali non trovano abbastanza lavoratori al salario w2. Il salario
reale tende verso il suo valore d’equilibrio grazie alla concorrenza tra lavoratori da un lato e alla
concorrenza tra gli imprenditori dall’altro. Il salario reale di equilibrio assicura l’equilibrio di pieno impiego
del lavoro.

Domanda 7: illustrate la relazione inversa tra investimenti e tasso di interesse secondo la teoria
neoclassica.

La teoria neoclassica costruisce una relazione inversa tra la domanda di investimenti da parte dell’impresa e
il tasso d’interesse. Se il prezzo del capitale è diminuito rispetto al prezzo del lavoro, per massimizzare i
profitti, l’impresa deve aumentare il capitale impiegato. Più la quantità di capitale desiderata dalle imprese
cresce, aumenta, di conseguenza, la domanda di nuovi beni capitali. Al diminuire del tasso d’interesse,
l’impresa massimizza il profitto se aumenta l’impiego di capitale fino al punto in cui il tasso d’interesse non
risulta uguale al prodotto marginale del capitale. Si costruisce così una relazione inversa tra tasso
d’interesse e domanda di capitale.

Analoga relazione inversa si crea tra il tasso di interesse e domanda di investimenti, dal momento che la
domanda di investimenti altro non è che la domanda per il nuovo capitale richiesto per accrescere lo stock
di capitale desiderato al diminuire del tasso di interesse.

I = I ( r ) -  dove r è il tasso d’interesse, I gli investimenti e il segno meno indica una relazione inversa.
Domanda 8: illustrate in che modo la teoria neoclassica costruisce una funzione di risparmio di pieno
impego.

La teoria neoclassica costruisce la funzione di risparmio di pieno impiego considerando, innanzitutto, il


risparmio S dipendente dal reddito (S= reddito non consumato), e dal tasso di interesse.

Gli economisti fanno riferimento al reddito di pieno impiego, supponendo che il sistema economico si trovi
in corrispondenza della produzione e del reddito di pieno impiego.

Considerano la scelta dei soggetti economici dipendente dalla quantità del reddito che si desidera
risparmiare in base a due elementi:

1- Le preferenze degli individui a favore del consumo presente o a favore del risparmio;
2- Il tasso di interesse;

La teoria assume che i consumatori/risparmiatori siano sempre disposti a preferire il risparmio e ad


astenersi dal consumo nell’idea che, rinunciando al consumo di oggi, saranno in grado di utilizzare i risparmi
per un maggior consumo futuro. Quindi, dato il livello reale di pieno impiego Y*, il risparmio S* è una
funzione crescente del solo tasso d’interesse r:

S*= S(Y*, r) +  dove S* è il risparmio reale di pieno impiego e il segno + indica una funzione crescente
rispetto al tasso di interesse.

Domanda 9: illustrate in che modo la teoria neoclassica esamina il mercato dei fondi prestabili.

La teoria neoclassica esamina la teoria dei fondi prestabiliti, secondo la quale, il saggio di interesse viene
determinato sul mercato dei prestiti dalla domanda e dall’offerta dei fondi che sono resi disponibili per
essere impiegati nel finanziamento degli investimenti. L’offerta di fondi prestabiliti viene fatta dipendere
dal risparmio corrente e aumenta all’aumentare del saggio di interesse: la domanda di fondi prestabili
dipende dall’investimento e aumenta al diminuire del saggio d’interesse.

Domanda 10: illustrate in che modo la teoria neoclassica determina il tasso di interesse di equilibrio sul
mercato dei fondi prestabili.

Il mercato dei prestiti può essere analizzato in termini di una curva che descrive l’ammontare dei prestiti
concessi da coloro che acquistano obbligazioni al variare del saggio d’interesse (curva di domanda dei
prestiti DI) e di una curva che descrive l’ammontare dei prestiti concessi da coloro che acquistano
obbligazioni al variare del saggio dell’interesse (curva di offerta dei prestiti DS). La domanda di prestiti
dipende dalla domanda di investimento e aumenta al diminuire del saggio di interesse, mentre i prestiti
offerti dipendono dalla offerta di risparmio e aumentano all’aumentare del saggio d’interesse. Il saggio
dell’interesse è in equilibrio quando la domanda di prestiti e l’offerta di prestiti di pieno impiego sono
uguali.

Caso 1:

In corrispondenza del tasso d’interesse r1, DI < DS, quindi I<S  i risparmiatori saranno disposti ad
acquistare più obbligazioni rispetto a quelle emesse  il prezzo delle obbligazioni sale e di conseguenza, il
saggio d’interesse diminuisce.

Caso 2:

In r2 DI > DS  le imprese mettono sul mercato più obbligazioni di quelle che i risparmiatori saranno
disposti ad acquistare  il prezzo delle obbligazioni diminuisce  il saggio d’interesse sale.

Il saggio d’interesse r* è in equilibrio quando la domanda di investimento DI e l’offerta di risparmio DS di


pieno impiego sono uguali.
Domanda 11: illustrate per quali ragioni la teoria neoclassica ritiene che il tasso di interesse di equilibrio
dipende da forze di natura reale.

L’analisi del mercato dei prestiti porta alla conclusione che il tasso di interesse d’equilibrio dipende da forze
di natura reale: la produttività e la parsimonia. Difatti, il saggio d’interesse dipende dalla domanda di
investimento e dall’offerta di risparmi. La domanda di investimenti dipende dalla produttività marginale
decrescente del capitale, ovvero dalla produttività. L’offerta di risparmio dipende invece dall’atteggiamento
reale dei consumatori nei confronti del risparmio: dipende dalla parsimonia.

Domanda 12: illustrate brevemente le ragioni per le quali la teoria neoclassica ritiene che la moneta non
possa influenzare né il livello di produzione né il livello di occupazione.

La teoria neoclassica esclude che la moneta possa avere effetti sulla produzione e sull’occupazione di
equilibrio. Siccome V= PY/M  esprime la velocità di circolazione della moneta, da questa, gli economisti
classici ricavano la seguente relazione: MV≡ PY.

Per cui se aumenta il reddito reale PY, aumenta anche MV. La teoria neoclassica ripropone tale identità in
una equazione dove la velocità di circolazione della moneta è data, così come anche il livello del reddito
reale è dato. L’equazione stabilisce che il livello dei prezzi è proporzionale alla quantità di moneta in
circolazione, ciò comporta che se un fattore aumenta, allora aumenterà anche l’altro e viceversa, quindi
non ci sarà uno scarto rilevante. Gli economisti neoclassici basano la relazione sulle seguenti ipotesi:

a- Non vengono detenuti fondi liquidi inoperosi, tutta la moneta è spesa;


b- Sono considerate date le abitudini di pagamento e la struttura verticale della produzione;
c- Il mercato del lavoro viene considerato in equilibrio di pieno impiego;
d- I prezzi sono considerati perfettamente flessibili sia verso l’alto che verso il basso;
e- È considerata costante la velocità di circolazione della moneta;
Esercitazione 9
Domanda 1: illustrate gli effetti di un aumento degli investimenti pubblici secondo il «punto di
vista del Tesoro».
Nel 1929, il Ministero del Tesoro rifiutò il programma dell’economista Keynes. La posizione del
Tesoro divenne nota come “il punto di vista del Tesoro” e consistette nell’idea che un programma
di investimenti pubblici (come proposto da Keynes) avrebbe comportato un aumento di
occupazione per la realizzazione dii opere pubbliche.
Tuttavia, siccome gli investimenti pubblici vanno finanziati e i fondi disponibili sono dati in
corrispondenza del risparmio di pieno impiego, l’aumentata domanda di prestiti per il
finanziamento degli investimenti avrebbe comportato un aumento del tasso d’interesse, che
avrebbe fatto diminuire gli investimenti privati.
Graficamente, data la funzione di domanda di investimento decrescente rispetto al tasso di
interesse e data la funzione di risparmio in corrispondenza del reddito di piego impiego, per il
tasso d’interesse di equilibrio r*, la domanda di investimento risulta uguale al risparmio. Perciò
I(r*)= S(YFE) , dove S(YFE) è il risparmio in corrispondenza del reddito di pieno impiego (Full
Employment), che rappresenta la massima offerta possibile di prestiti.
Se agli investimenti privati si aggiungono gli investimenti pubblici IG, la funzione degli investimenti
si sposta in alto e a destra di un ammontare pari all’aumento degli investimenti pubblici stessi. La
domanda di prestiti necessari a finanziare gli investimenti complessivi (I+IG) aumenta. Tuttavia,
dato il risparmio di pieno impiego, per r* la domanda eccede l’offerta. Poiché l’offerta non può
aumentare, così come la produzione, il tasso d’interesse aumenta da r* a r**, in corrispondenza
del quale gli investimenti privati diminuiscono da I(r*) a I(r**), affinché I(r**) + IG= S(YFE).
In conclusione, è evidente che se la produzione e reddito non possono aumentare, ogni aumento
degli investimenti pubblici comporta una pari riduzione degli investimenti privati.
Domanda 2: illustrare la struttura sequenziale della teoria di Keynes e il principio della domanda
effettiva.
La sequenza nella struttura logica della teoria di Keynes può essere suddivisa in quattro step:
1- Il tasso d’interesse dipende dalla politica monetaria della Banca centrale e dalla sua
capacità di influenzare le aspettative sul tasso di interesse che essa sarà in grado di far
prevalere in futuro;
2- Il volume degli investimenti è determinato dal tasso d’interesse e dalle aspettative a lungo
termine sulla redditività attesa degli investimenti. Gli investimenti sono quindi una
componente autonoma della domanda aggregata in quanto determinanti in modo
indipendente dal reddito corrente;
3- Il livello d’equilibrio del reddito è determinato dagli investimenti dall’interazione tra
consumi e reddito.
Il principio della domanda effettiva afferma che è la domanda aggregata che determina il livello di
equilibrio della produzione e del reddito e non vi è ragione di supporre che a priori la domanda
aggregata coincida con la produzione e con il reddito di pieno impiego.
Domanda 3: illustrate la relazione tra consumi delle famiglie e reddito disponibile.
La spesa desiderata per consumi C aumenta all’aumentare del reddito disponibile corrente Yd e la
distanza tra consumo e reddito rimane pressoché costante, significando che una quota costante
del reddito disponibile viene spesa per consumi. Il consumo all’aumentare del reddito disponibile
dipende dalla propensione marginale al consumo delle famiglie c, definita come l’incremento del
consumo all’aumentare di una unità di reddito. c è un numero compreso tra zero e 1: è positiva,
ma non >1 poiché le famiglie non spendono tutto il proprio reddito. La propensione marginale al
consumo tende a non variare al variare del livello del reddito, ma cambia al variare della sua
distribuzione. Il consumo dipende sì dal reddito, ma anche dalla componente autonoma del
consumo ̅ , indipendente dal reddito corrente. Il consumo desiderato è una funzione crescente
del reddito disponibile corrente più una componente autonoma: C= ̅ + cYd
Graficamente la funzione del consumo è tracciata come una funzione lineare che non parte
dall’origine degli assi ma da un punto pari a ̅ sull’asse delle ordinate. All’aumentare del reddito
disponibile, il consumo aumenta secondo il coefficiente costante della propensione marginale al
consumo che rimane costante.
ECONOMIA CHIUSA
Considerate una economia chiusa con solo famiglie e imprese. Supponete che tale economia sia
descritta dalle seguenti relazioni:

 Esprimere la domanda aggregata in funzione del reddito.


La domanda aggregata E in economia chiusa in funzione della spesa desiderata per consumi C e
investimenti I è:

E= ̅ + cYd + ̅ dove i consumi sono una funzione crescente del reddito disponibile secondo il
coefficiente c, a cui si aggiunge la componente autonoma. Anche gli investimenti sono una
componente autonoma della domanda aggregata. Poiché il reddito disponibile in economia chiusa
equivale al reddito correttamente generato, Yd = Y

La funzione della domanda aggregata diventa: E= ̅ + cY + ̅


Raggruppando le componenti autonome, otteniamo che la funzione della domanda aggregata in
funzione del reddito è: E= cY+ ̅

Graficamente, la funzione è rappresentata da una funzione lineare la cui intercetta ̅ esprime la


propensione marginale al consumo c, che dipende dal reddito.

 Determinare il livello di equilibrio del reddito algebricamente e graficamente.

Una volta ricavata la funzione della domanda aggregata E= cY+ ̅ , per determinare il livello
d’equilibrio del reddito si nota come la domanda aggregata stessa dipende dal livello del reddito.
Per determinare algebricamente il livello di equilibrio del reddito seguiamo i seguenti passaggi:

- In equilibrio Y=E, per cui otteniamo che Y= cY + ̅ , dove c è la propensione marginale al


consumo , Y il reddito e ̅ la somma delle componenti autonome (investimenti più
consumi);
- Per determinare il reddito, portiamo cY a sinistra dell’uguale  Y- cY= ̅
- Riduciamo ai minimi termini  (1-c)Y= ̅
- Troviamo che il reddito Y è dato dalla funzione Y= (1/1-c) ̅
Graficamente si può individuare il livello d’equilibrio del reddito tracciando la bisettrice nel grafico
della domanda aggregata. La bisettrice è il luogo dei punti per i quali i valori di ascissa e ordinata
sono uguali. Lungo la bisettrice, dunque, avremo che è sempre vera la relazione Y=E. Il livello
d’equilibrio del reddito è individuato in corrispondenza del punto in cui la funzione della domanda
aggregata interseca la bisettrice. Il livello d’equilibrio del reddito è indicato con Ye. Quando Y<E, la
produzione risulta inferiore alla domanda aggregata, le scorte si ridurranno e le imprese saranno
indotte ad aumentare la produzione. Invece, quando Y>E, la produzione è maggiore della
domanda aggregata, le scorte aumenteranno e le imprese saranno indotte a ridurre la produzione.
L’adeguamento della produzione alla domanda aggregata conduce il sistema verso l’equilibrio.

 Determinare il livello di equilibrio del reddito secondo il principio della domanda


effettiva.
Secondo il principio della domanda effettiva, è la domanda aggregata che determina il livello
d’equilibrio della produzione e del reddito, questa non coincide a priori con la produzione e il
reddito di pieno impiego. Se il sistema si trova in equilibrio, ciò comporterà che la domanda
aggregata E sia uguale alla produzione/reddito Y. Perciò, data E=cY+ ̅, se E=Y in equilibrio,
otteniamo che Y= cY + ̅ , dove c è la propensione marginale al consumo , Y il reddito e ̅ la somma
delle componenti autonome (investimenti più consumi). Portando cY a sinistra dell’uguale si
ottiene Y- cY= ̅, poi ridotta ai minimi termini (1-c)Y= ̅ . Infine troviamo che il reddito d’equilibrio
Ye è dato dalla funzione Y= (1/1-c) ̅

 Identificare il valore del moltiplicatore di questa economia.


In economia chiusa con famiglie e imprese, il moltiplicatore del reddito è 1/1-c.

 Supporre che gli investimenti aumentino/diminuiscano.


 Utilizzare la teoria della determinazione del reddito di equilibrio sulla base del principio
della domanda effettiva per illustrate gli effetti dell’aumento degli investimenti sul livello
di equilibrio del reddito. Spiegare perché il livello di equilibrio del reddito aumenta di un
multiplo rispetto all’aumento degli investimenti.

La funzione della domanda aggregata è E=cY + ̅ + ,̅ in equilibrio Y=E, per cui Y sarà uguale a
Y=(1/1-c) ̅ , dove ̅ è la somma delle componenti autonome. Quindi, Le imprese determinano la
produzione Y in base alla componente autonoma di consumo ̅ , alla propensione marginale del
consumo c, e agli investimenti, intesi come componente autonoma .̅ Da ciò, appare chiaro che se
le imprese decidono di aumentare/diminuire gli investimenti, questo non avrà effetti solo sulla
domanda aggregata, ma sulla produzione a sua volta.
Aumento degli investimenti:
se le imprese aumentano di x gli investimenti, allora l’intera domanda aggregata E aumenterà di x.
Questo porta a uno spostamento dell’intera funzione della domanda aggregata verso l’alto.
Inizialmente, un aumento della domanda di investimenti verrà soddisfatto attraverso una
riduzione delle scorte, che si ridurranno di x. Di conseguenza, le imprese tenderanno ad
aumentare la produzione per accontentare la nuova domanda di investimenti. Così facendo, il
processo di adeguamento della domanda aggregata farà aumentare la produzione di x. Tuttavia,
per una maggiore produzione (e redditi), i consumi aumenteranno. Poiché i consumi sono una
componente di E, la domanda aggregata aumenterà a sua volta e questo aumento della domanda
per consumi è soddisfatto da una riduzione delle scorte. Le imprese aumenteranno ancora la
produzione. Il processo continua fino all’equilibrio, ovvero quando produzione e domanda
aggregata sono uguali: E=Y. Si noterà, che, di fronte ad un aumento iniziale x degli investimenti, Y
è aumentato complessivamente di un multiplo di x. Questo effetto è dovuto al fatto che la
produzione non è aumentata solo per effetto dell’aumento degli investimenti, ma anche per i
successivi aumenti della spesa per consumi. Questo meccanismo di creazione di produzione e di
reddito spiega gli effetti moltiplicativi di un aumento iniziale della spesa autonoma.

 Supporre che le imprese decidano una riduzione degli investimenti. Usare il principio
della domanda effettiva per illustrare gli effetti della riduzione degli investimenti sul
livello di equilibrio del reddito e sul risparmio.
 Il risparmio aumenta o diminuisce come conseguenza della riduzione degli investimenti.
Argomentate la vostra risposta

La funzione della domanda aggregata è E=cY + ̅ + ,̅ in equilibrio Y=E, per cui Y sarà uguale a
Y=(1/1-c) ̅ , dove ̅ è la somma delle componenti autonome. Quindi, le imprese determinano la
produzione Y in base alla componente autonoma di consumo ̅ , alla propensione marginale del
consumo c, e agli investimenti, intesi come componente autonoma .̅ Da ciò, appare chiaro che se
le imprese decidono di diminuire gli investimenti, questo non avrà effetti solo sulla domanda
consumato: S=Y-C.
Riduzione degli investimenti
Se le imprese riducono di x gli investimenti, allora l’intera domanda aggregata E diminuisce di x.
Questo porta a uno spostamento dell’intera funzione della domanda aggregata verso il basso.
Inizialmente, una diminuzione della domanda di investimenti porterà all’aumento delle scorte, che
aumenteranno di x. Di conseguenza, le imprese tenderanno a diminuire la produzione. Così
facendo, il processo di adeguamento della domanda aggregata farà diminuire la produzione di x.
Tuttavia, con una minor produzione (e redditi), i consumi si ridurranno. Poiché i consumi sono una
componente di E, la domanda aggregata diminuirà a sua volta e questa riduzione della domanda
per consumi porterà all’aumento delle scorte. Le imprese diminuiranno ancora la produzione. Il
processo continuerà fino all’equilibrio, ovvero quando produzione e domanda aggregata saranno
uguali: E=Y. Si noterà, che, di fronte ad una riduzione iniziale x degli investimenti, Y è diminuito
complessivamente di un multiplo di x. Questo effetto è dovuto al fatto che la produzione non si è
ridotta solo per effetto della riduzione degli investimenti, ma anche per le successive riduzioni
della spesa per consumi. Questo meccanismo di creazione di produzione e di reddito spiega gli
effetti moltiplicativi di una riduzione iniziale della spesa autonoma. In conclusione, Ye =(1/1-c) ̅
diminuisce sia perché cala E che la somma delle componenti autonome ̅, la quale moltipica (1/1-
c). Inoltre anche la funzione del risparmio diminuisce, poiché se gli investimenti calano, anche E
cala, di conseguenza calano le componenti autonome e Ye. La riduzione di Y comporta che S= Y-
Yc- ̅ si riduce a sua volta. Difatti, il risparmio è in funzione del reddito: S=S(Y,c)
 Esprimere il risparmio in funzione del reddito.
La condizione di equilibrio si può esprimere sia come eguaglianza tra produzione e domanda
aggregata, sia come eguaglianza tra risparmio S e investimenti desiderati .̅

Partendo dalla condizione di equilibrio Y=E, sappiamo che E= C+ ̅ e Y= C+S. Da ciò, risulta che
quando Y=E, allora C+S=C+ ,̅ ovvero S= .̅ Siccome il risparmio è reddito non consumato, vale la
seguente relazione: S=Y- C. Per esprimere il risparmio in funzione del reddito, bisognerà sostituire
la funzione del consumo C= cY+ ̅ nell’espressione S=Y- C:

S= Y- (cY + ̅ ), che riducendo ai minimi termini sarà: S= (1-c)Y- ̅ dando il risparmio in funzione del
reddito. Graficamente, la funzione del è crescente e ha una intercetta negativa pari a - ̅ e di una
pendenza paro a (1-c), ovvero la propensione marginale a risparmiare reddito.

 Determinare il livello di equilibrio del reddito secondo il principio della domanda


effettiva usando la condizione di equilibrio tra risparmio e investimento.
Secondo il principio della domanda effettiva, è la domanda aggregata che determina il livello
d’equilibrio della produzione e del reddito, e questa non coincide a priori con la produzione e il
reddito di pieno impiego. Se il sistema si trova in equilibrio, ciò comporterà che la domanda
aggregata E sia uguale alla produzione/reddito Y. La condizione di equilibrio si può esprimere sia
come eguaglianza tra produzione e domanda aggregata, sia come eguaglianza tra risparmio S e
investimenti desiderati .̅

Partendo dalla condizione di equilibrio Y=E, sappiamo che E= C+ ̅ e Y= C+S. Da ciò, risulta che
quando Y=E, allora C+S=C+ ,̅ ovvero S= .̅ Per cui, quando:
a- Y<E  S<I , un eccesso di domanda sulla produzione, corrisponde a un eccesso di
investimento desiderato sul risparmio desiderato. Si registra una riduzione delle scorte,
quindi la produzione tende ad aumentare, e con essa il risparmio desiderato;
b- Y>E  S>I , la produzione eccede la domanda aggregata, il risparmio desiderato sarà
maggiore dell’investimento desiderato. Quindi le scorte aumentano, Y diminuisce e si
riduce il risparmio desiderato;
c- Y=E  S=I , il sistema è in equilibrio;
Il raggiungimento dell’equilibrio implica la realizzazione dell’equilibrio fra risparmio e investimento
desiderato: il risparmio, al variare del reddito, si adegua all’investimento desiderato.

Per trovare il livello d’equilibrio del reddito usando S= ,̅ si parte dalla funzione del risparmio in
funzione del reddito: S= (1-c)Y- ̅

Siccome la condizione di equilibrio è S= ,̅ allora =̅ (1- c)Y - ̅ , dove Y è l’incognita.

Per cui isolo Y: (1- c)Y= ̅ + ,̅ dove ̅ + ̅ = ̅, per cui (1-c)Y= ̅

Otteniamo che il livello di equilibrio del reddito Ye è: Ye= (1/1-c) ̅


 Supporre che per una riduzione del grado di fiducia delle famiglie la componente
autonoma del consumo si riduca. Usare il principio della domanda effettiva per illustrare
gli effetti della riduzione della componente autonoma del consumo sul livello di
equilibrio del reddito e sul risparmio.
Secondo il principio della domanda effettiva, è la domanda aggregata che determina il livello
d’equilibrio della produzione e del reddito, e questa non coincide a priori con la produzione e il
reddito di pieno impiego. Se il sistema si trova in equilibrio, ciò comporterà che la domanda
aggregata E sia uguale alla produzione/reddito Y. La domanda aggregata E è E=
Se in una economia chiusa, con solo famiglie e imprese, avviene un calo di fiducia tale da ridurre la
componente autonoma del consumo, si producono diversi effetti. Innanzitutto, in questo caso, il
reddito prodotto e distribuito è anche il reddito disponibile. Inoltre, il risparmio nazionale coincide
con quello delle famiglie. La diminuzione della componente autonoma del consumo ( C ) sposta
verso il basso la funzione del consumo e verso l’alto la funzione del risparmio. Aumentando il
risparmio S (reddito non consumato), il sistema non è più in equilibrio, poiché si verifica un
eccesso di produzione sulla domanda aggregata e un eccesso di risparmio sugli investimenti. In
questa situazione la produzione si riduce per adeguarsi alla domanda. Y diminuisce fino a che non
ci sarà una nuova situazione di equilibrio tra produzione e domanda aggregata e tra risparmio e
investimento: Y’e=E’, S’=I. Come si nota, l’investimento, componente autonoma, non è variato, e
nella nuova situazione di equilibrio, il risparmio risulta uguale a quello della precedente situazione.
Si giunge così ad una conclusione che sembra paradossale. Le famiglie hanno deciso di aumentare
il risparmio, ma nella nuova situazione di equilibrio esso risulta immutato mentre il livello del
reddito risulta diminuito. Questo risultato si spiega mediante alcune considerazioni:
1- La decisione di ridurre il consumo riguarda tutte le famiglie e ciò comporta una riduzione di
una delle componenti della domanda aggregata. Diverso sarebbe stato se tale decisione
avesse riguardato una singola famiglia intesa come una unità di consumo.
2- La decisione di ridurre il consumo e aumentare il risparmio da parte delle famiglie non ha
effetti, almeno non effetti diretti, sull’investimento desiderato da parte delle imprese
poiché i programmi di spesa delle famiglie e delle imprese sono indipendenti fra loro.
Questo non esclude l’esistenza di effetti indiretti sui programmi di investimento delle
imprese. Se tale riduzione dei consumi fosse ritenuta permanente da parte delle imprese e
se nessuna altra componente della domanda aggregata aumentasse in modo da
compensare la caduta dei consumi, vi potrebbe essere una contrazione degli investimenti
dovuta alla minore domanda complessiva attesa dalle imprese.
Alla luce di queste due considerazioni, risulta chiaro che inizialmente la riduzione dei consumi
comporta un aumento del risparmio a parità di produzione (reddito). Il punto essenziale è che
produzione e reddito non possono rimanere immutati di fronte alla riduzione della domanda
aggregata. In conseguenza della riduzione della componente autonoma dei consumi, la
domanda aggregata si riduce per ogni livello del reddito (graficamente, l’intera funzione della
domanda aggregata si sposta verso basso). Produzione e reddito si riducono per adeguarsi alla
domanda aggregata con la conseguenza che il risparmio, aumentato a parità di reddito iniziale,
si riduce insieme al reddito. L’aumento del risparmio ha comportato uno spostamento della
funzione del risparmio verso l’alto, mentre la riduzione della produzione comporta un
movimento lungo la nuova funzione del risparmio
Questo è un errore di composizione. In generale un errore logico di composizione consiste nel
supporre che ciò che è vero per il singolo individuo lo sia anche per tutti gli individui insieme. È
un errore supporre che ciò che vale per la singola famiglia possa essere esteso all’intera
collettività, trascurando gli effetti macroeconomici derivanti dalla circostanza che tutte le
famiglie riducono il consumo per aumentare il risparmio. Sono gli effetti di questo
comportamento collettivo che finiscono per rendere vana la decisione, che pure era stata
formulata a livello individuale, di aumentare il risparmio.
Supporre ora che la propensione marginale al consumo si riduca. Usare il principio della
domanda effettiva per illustrare gli effetti della riduzione della propensione marginale al
consumo sul livello di equilibrio del reddito.
Secondo il principio della domanda effettiva, è la domanda aggregata che determina il livello
d’equilibrio della produzione e del reddito, e questa non coincide a priori con la produzione e il
reddito di pieno impiego. Se il sistema si trova in equilibrio, ciò comporterà che la domanda
aggregata E sia uguale alla produzione/reddito Y, E=Y, e il risparmio sia uguale all’investimento,
S=I.
Se in una economia chiusa, con solo famiglie e imprese, avviene un calo di fiducia tale da ridurre il
consumo in termini di una diminuzione della propensione marginale al consumo c, si produce un
aumento della propensione marginale al risparmio (1-c). Questo modifica l’inclinazione della
funzione della domanda aggregata, che diminuisce, mentre l’inclinazione della funzione del
risparmio aumenta. Il risparmio S aumenta, e il sistema non è più in equilibrio: poiché si verifica un
eccesso di produzione sulla domanda aggregata e un eccesso di risparmio sugli investimenti. In
questa situazione la produzione si riduce per adeguarsi alla domanda. Y diminuisce fino a che non
ci sarà una nuova situazione di equilibrio tra produzione e domanda aggregata e tra risparmio e
investimento: Y’e=E’, S’=I. Come si nota, l’investimento, componente autonoma, non è variato, e
nella nuova situazione di equilibrio, il risparmio risulta uguale a quello della precedente situazione.
Si giunge così ad una conclusione che sembra paradossale. Le famiglie hanno deciso di aumentare
il risparmio, ma nella nuova situazione di equilibrio esso risulta immutato mentre il livello del
reddito risulta diminuito. Questo risultato si spiega mediante alcune considerazioni:
1- La decisione di ridurre il consumo in termini di una diminuzione della propensione
marginale al consumo riguarda tutte le famiglie e ciò comporta una riduzione di una delle
componenti della domanda aggregata.
2- La decisione non ha effetti, almeno non effetti diretti, sull’investimento desiderato da
parte delle imprese poiché i programmi di spesa delle famiglie e delle imprese sono
indipendenti fra loro. Questo non esclude l’esistenza di effetti indiretti sui programmi di
investimento delle imprese. Se tale riduzione dei consumi fosse ritenuta permanente da
parte delle imprese e se nessuna altra componente della domanda aggregata aumentasse
in modo da compensare la caduta dei consumi, vi potrebbe essere una contrazione degli
investimenti dovuta alla minore domanda complessiva attesa dalle imprese.
Alla luce di queste due considerazioni, risulta chiaro che inizialmente la riduzione della
propensione marginale al consumo comporta un aumento del risparmio a parità di produzione
(reddito). Il punto essenziale è che produzione e reddito non possono rimanere immutati di
fronte alla riduzione della domanda aggregata: questi si riducono per adeguarsi alla domanda
aggregata con la conseguenza che il risparmio, aumentato a parità di reddito iniziale, si riduce
insieme al reddito. L’aumento del risparmio ha comportato uno spostamento della funzione
del risparmio verso l’alto, mentre la riduzione della produzione comporta un movimento lungo
la nuova funzione del risparmio.
Questo è un errore di composizione. In generale un errore logico di composizione consiste nel
supporre che ciò che è vero per il singolo individuo lo sia anche per tutti gli individui insieme. È
un errore supporre che ciò che vale per la singola famiglia possa essere esteso all’intera
collettività, trascurando gli effetti macroeconomici derivanti dalla circostanza che tutte le
famiglie riducono la propensione marginale al consumo per aumentare il risparmio. Sono gli
effetti di questo comportamento collettivo che finiscono per rendere vana la decisione, che
pure era stata formulata a livello individuale, di aumentare il risparmio.
Esercitazione 10

Domanda 1: considerate la moneta come attività in alternativa alle obbligazioni. Illustrate da cosa
dipende la scelta se detenere moneta o obbligazioni.

I detentori di ricchezza scelgono se detenere moneta o obbligazioni in base a quanto quest’ultime sono
sicure e in base al tasso d’interesse. Se le obbligazioni sono sicure, i detentori acquistano obbligazioni,
sapendo con certezza qual è il tasso di interesse che ottengono detenendo obbligazioni. Se il tasso di
interesse sulle obbligazioni è superiore a quello che otterrebbero detenendo moneta e se i titoli
obbligazionari che si intende acquistare sono ritenuti sicuri, i detentori di ricchezza decideranno molto
probabilmente di detenere obbligazioni. Per questo tipo di detentori di ricchezza, le obbligazioni, nei limiti
in cui sono ritenute sicure, sono sempre preferibili alla moneta.

Un problema nella scelta tra tenere moneta o acquistare obbligazioni, si pone quando chi acquista
obbligazioni prende in considerazione la possibilità di rivenderle sul mercato al prezzo di mercato che si
troverà in un momento futuro. Tuttavia, il prezzo futuro a cui le obbligazioni saranno rivendute è incerto:
non si sa con sicurezza se queste porteranno ad un guadagno, o a una perdita.

La scelta tra moneta e obbligazioni dipende dall’aspettativa futura del tasso d’interesse da parte dei
detentori di ricchezza:

- I rialzisti, o tori nel linguaggio della borsa, sono coloro che si attendono un aumento futuro del
prezzo delle obbligazioni e che preferiranno acquistare obbligazioni oggi nella previsione di
rivenderle a un prezzo superiore. Costoro hanno una bassa preferenza per la liquidità garantita
dalla moneta.
- I ribassisti, o orsi, sono coloro che si attendono una riduzione futura del prezzo delle obbligazioni,
preferiranno detenere moneta nella previsione di acquistare obbligazioni a un prezzo più basso.
Costoro hanno una elevata preferenza per la liquidità offerta dalla moneta.

Domanda 2: illustrate in che modo è possibile ricavare una relazione inversa tra domanda di moneta a
scopo speculativo e tasso di interesse.

Esiste una relazione inversa tra le variazioni del tasso d’interesse i e domanda di moneta come attività
alternativa alle obbligazioni MDA.

È possibile ricavare la relazione inversa partendo da una situazione iniziale nella quale il tasso d’interesse di
mercato è così alto che molti speculatori ritengono che questo si ridurrà in futuro. Una riduzione futura del
tasso d’interesse comporterebbe un aumento futuro del prezzo delle obbligazioni, per cui molti speculatori
preferiranno le obbligazioni alla moneta, nell’attesa di rivendere obbligazioni a un prezzo più elevato.
Alcuni speculatori invece riterranno che, nonostante sia già elevato, il tasso d’interesse possa comunque
aumentare nell’immediato futuro. Questa piccola quota di speculatori sarà disposta a vendere obbligazioni
e domandare moneta, sperando di riacquistare le obbligazioni ad un prezzo più basso.

Al diminuire del tasso d’interesse, invece, la maggior parte degli speculatori si aspetterà un aumento futuro
del tasso d’interesse e dunque una riduzione futura del prezzo delle obbligazioni, preferendo la moneta alle
obbligazioni.

In conclusione, la domanda di moneta a scopo speculativo aumenta al diminuire del tasso d’interesse, ed è
espressa dalla funzione: MDA= L2(i), dove L2 è una generica funzione decrescente che lega domanda di
moneta come attività al tasso di interesse. Infatti, al diminuire di i, MDA aumenta perché aumenta la quota
di coloro che si attendono un aumento futuro del tasso d’interesse e preferiscono detenere moneta
nell’attesa di riacquistar le obbligazioni ad un prezzo più basso. Nel caso contrario, con un i molto basso,
l’aspettativa di un suo aumento futuro sarà largamente condivisa, e la generalità degli speculatori preferirà
moneta alle obbligazioni nell’attesa di riacquistare obbligazioni a un prezzo più basso. Graficamente, per un
tasso d’interesse molto basso, la curva di MDA si appiattisce diventando parallela all’asse delle ascisse,
denotando che per quel i verrà domandata qualsiasi quantità di moneta disponibile per soddisfare il motivo
speculativo.

La domanda di moneta come attività alternativa alle obbligazioni è spiegata nella relazione in termini di
preferenza per la liquidità per il motivo speculativo.

Domanda 3: ricavate la funzione di domanda totale di moneta per un dato livello del reddito monetario.

La domanda totale di moneta MD è la somma della domanda di moneta per le transazioni (che dipende dal
reddito monetario) e dalla domanda di moneta come attività alternativa alle obbligazioni (che dipende dal
tasso d’interesse). MD dipende quindi sia dal reddito monetario PY (il prodotto fra il livello generale dei
prezzi P e il reddito reale Y) che dal tasso d’interesse i. MD aumenta all’aumentare di PY e al diminuire di i
secondo la seguente funzione: MD= [L1(PY) +] + [L2(i) -], dove L1 e L2 sono funzioni generiche.

L1 è una funzione crescente che lega la domanda di moneta al livello del reddito monetario, L2 è una
funzione decrescente che collega la domanda di moneta al tasso d’interesse.

Graficamente MD è una funzione decrescente del tasso d’interesse per un dato PY. Ad un dato PY
corrisponde una domanda di moneta per le transazioni MDT, indipendente dal tasso di interesse (è una retta
parallela all’asse delle ordinate). Mentre MDA è la domanda di moneta come attività finanziaria alternativa a
detenere obbligazioni, che aumenta al diminuire di i.

È evidente che un aumento del livello del reddito monetario sposta in alto a destra la funzione della
domanda totale di moneta. Per ogni livello del tasso di interesse, un aumento del reddito monetario da (PY)
a (PY) fa aumentare di altrettanto la domanda di moneta necessaria per finanziare le transazioni.

Domanda 4: illustrate il ruolo della politica monetaria nella determinazione del tasso di interesse di
equilibrio secondo Keynes.

La Banca Centrale è in grado di fissare un certo tasso d’interesse (ie), e di convincere il mercato finanziario
che manterrà quel tasso d’interesse anche in futuro. La Banca centrale crea successivamente tutta la
moneta che viene domandata per ie, che viene indicata come . Per ie il tasso d’equilibrio e la moneta
sono uguali. Se dal lato della domanda, il tasso d’interesse dipende in misura determinante dalle
aspettative su valore futuro, dal lato dell’offerta, è la politica della Banca centrale a svolgere un ruolo
fondamentale. La Banca centrale, infatti, fissa sia il tasso di interesse (creando tanta moneta quanta ne
viene domandata), sia fissa l’offerta di moneta, lasciando che sul mercato monetario si determini il tasso di
interesse di equilibrio tra domanda e offerta di moneta.

Secondo Keynes, il ruolo della Banca centrale è fondamentale, perché la sua azione non può essere
considera limitata né alla fissazione dell’offerta di moneta e nemmeno alla fissazione del tasso d’interesse.
Difatti, siccome il tasso di interesse dipende in larga misura dalla previsione futura del suo andamento, la
Banca centrale è in grado di influenzare il tasso di interesse solo se è in grado di influenzare, nella direzione
voluta, le aspettative sul valore futuro del tasso di interesse.

La politica monetaria della BC può avere successo solo se risulta ragionevole, praticabile e rivolta
all’interesse pubblico. In conclusione, Keynes afferma che la determinazione del tasso di interesse dipenda
in larga misura dalla capacità della Banca Centrale di influenzare le aspettative su quello che sarà in futuro il
proprio comportamento rispetto alla determinazione del tasso di interesse. Per questa ragione Keynes
parla del tasso di interesse come “un fenomeno altamente convenzionale”.
Domanda 5: illustrate la relazione inversa tra investimenti e tasso di interesse secondo Keynes.

La relazione inversa fra investimenti e tasso di interesse postulata da Keynes dipende, secondo
l’economista, dalla funzione decrescente dell’efficienza marginale del capitale. L’efficienza marginale del
capitale è il saggio di rendimento atteso sull’investimento in quel bene capitale. A sua volta, il saggio di
rendimento atteso sull’investimento nella produzione è il rapporto fra i rendimenti attesi lungo la vita
dell’investimento e il suo costo iniziale. I rendimenti attesi, infine, dipendono dalla differenza fra il prezzo a
cui ci si attende di vendere il prodotto e i costi attesi di produzione. Keynes sostiene che l’efficienza
marginale del capitale diminuisca all’aumentare dell’investimento per due ragioni:

1- Nel breve periodo Keynes suppone che nel settore che produce il bene capitale ci siano strozzature
di capacità produttiva non superabili, con la conseguenza che all’aumentare dell’investimento
l’efficienza marginale del capitale diminuisce perché aumenta il costo e il prezzo a cui il bene
capitale viene prodotto e venduto.
2- Nel lungo periodo diminuiscono i rendimenti attesi. Qui Keynes accetta l’idea di un prodotto
marginale del capitale decrescente che la teoria neoclassica pone a fondamento della funzione
degli investimenti.

Da questa funzione Keynes postula che, dato il tasso di interesse, l’investimento sarà spinto fino al punto in
cui l’efficienza marginale del capitale risulterà pari al saggio dell’interesse, con la conseguenza che al
diminuire del tasso di interesse il volume degli investimenti aumenterà.

Nella sua teoria, Keynes pone in risalto il ruolo che le aspettative hanno sulle decisioni di investimento: la
decisione di realizzare un investimento oggi è basata, per sua natura, sulla prospettiva di ottenere in futuro
un certo profitto. La modificazione delle prospettive future, riguardo agli elementi che governano i
rendimenti attesi, può a sua volta modificare il livello del tasso d’interesse, portando infine l’intera funzione
dell’efficienza marginale del capitale a subire molti spostamenti.

Ad esempio, l’aspettativa di un aumento futuro dei prezzi rispetto ai costi avrebbe un effetto positivo
sull’efficienza marginale del capitale la cui funzione si sposterebbe in alto a destra, stimolando
l’investimento per ogni livello del tasso di interesse. Con ragionamento analogo, l’aspettativa di una
diminuzione futura dei prezzi rispetto ai costi avrebbe l’effetto di spostare a sinistra in basso l’intera
funzione dell’efficienza marginale del capitale deprimendo il volume degli investimenti per ogni livello del
tasso di interesse.

Domanda 6: illustrate il ruolo delle aspettative sulla redditività attesa degli investimenti nella teoria degli
investimenti di Keynes.

Nella teoria degli investimenti, Keynes pone in risalto il ruolo che le aspettative sulla redditività attesa
hanno sulle decisioni di investimento: la decisione di realizzare un investimento oggi è basata, per sua
natura, sulla prospettiva di ottenere in futuro un certo profitto. La modificazione delle prospettive future,
riguardo agli elementi che governano i rendimenti attesi, può a sua volta modificare il livello del tasso
d’interesse, portando infine l’intera funzione dell’efficienza marginale del capitale a subire molti
spostamenti.

Ad esempio, l’aspettativa di un aumento futuro dei prezzi rispetto ai costi avrebbe un effetto positivo
sull’efficienza marginale del capitale la cui funzione si sposterebbe in alto a destra, stimolando
l’investimento per ogni livello del tasso di interesse. Con ragionamento analogo, l’aspettativa di una
diminuzione futura dei prezzi rispetto ai costi avrebbe l’effetto di spostare a sinistra in basso l’intera
funzione dell’efficienza marginale del capitale deprimendo il volume degli investimenti per ogni livello del
tasso di interesse.
Domanda 7: «Al livello di equilibrio del reddito è associato un certo livello di occupazione. Diversamente
dalla teoria neoclassica dell’equilibrio di pieno impiego, non ci sono, secondo Keynes, meccanismi
automatici capaci di condurre il sistema economico alla piena occupazione». Commentate in modo
argomentato questa affermazione.

Il livello di equilibrio della produzione e del reddito viene determinato sulla base del principio della
domanda effettiva, dalla condizione di equilibrio tra produzione e domanda aggregata. La domanda
aggregata (E) a sua volta dipende, come sappiamo, oltre che dagli investimenti, dalla domanda per beni di
consumo espressa dalla funzione del reddito per una data propensione marginale al consumo (c):

E= cY + C*+ I*

Il livello di equilibrio del reddito si determina sulla base della condizione di equilibrio tra produzione e
domanda aggregata, Y=E, dall’interazione tra spesa per consumi e livello del reddito e dalle restanti
componenti autonome della domanda. Tale interazione è espressa dall’operare del moltiplicatore del
reddito, con cui si può determinare il livello di equilibrio del reddito (Ye):

Ye= (1/1-c) A*, dove la propensione marginale al consumo (c) è positiva e inferiore all’unità e A
rappresenta la somma delle componenti autonome della domanda.

Il livello di equilibrio del reddito così determinato dipende in ultima analisi da tre variabili fondamentali:

1- dalla propensione marginale al consumo, da cui dipende la relazione tra consumo e reddito;
2- dalla funzione dell’efficienza marginale del capitale;
3- dal tasso di interesse;

Keynes considera queste tre variabili come indipendenti: esse concorrono a determinare il livello di
equilibrio del reddito, ma non ne sono a loro volta influenzate, o perlomeno non direttamente. Da ciò,
risulta che il livello di equilibrio del reddito Ye è determinato dal valore del moltiplicatore c e dalle
componenti autonome della domanda A* attraverso il processo di adeguamento della produzione alla
domanda aggregata. In questo senso, il livello di equilibrio del reddito dipende dal livello della domanda
aggregata secondo il principio della domanda effettiva.

Al livello di equilibrio del reddito è associato un certo livello di occupazione. La funzione dell’occupazione
L=l x Y, dove l è il coefficiente di occupazione che indica quante unità di lavoro sono necessarie per
produrre una unità di prodotto.

Tramite l’utilizzo del grafico del livello di equilibrio del reddito secondo il principio della domanda effettiva,
E= cY + A* e Y=E, e il grafico della funzione dell’occupazione L=l x Y, si mostra come al livello di equilibrio del
reddito, è associato un certo livello di occupazione L1.

Secondo Keynes, non vi è alcuna ragione per ritenere che tale livello di occupazione assicuri il pieno
impiego del lavoro.

Se, ad esempio, l’ammontare di lavoro disponibile a essere occupato ai salari vigenti fosse LFE, il livello di
produzione di equilibrio non sarebbe sufficiente a occupare tutti coloro disposti a lavorare ai salari vigenti.
La differenza tra LFE e L1 misura la «disoccupazione involontaria»: la disoccupazione derivante da una
insufficienza di produzione, dovuta, a sua volta, a una domanda aggregata insufficiente a generare il livello
di produzione necessario per assicurare il pieno impiego del lavoro. La differenza tra LFE e L1 viene definita
«vuoto di domanda», o output gap, a indicare l’insufficienza di domanda e di produzione, rispetto a quella
necessaria al raggiungimento del pieno impiego.
Diversamente dalla teoria neoclassica dell’equilibrio di pieno impiego, secondo Keynes non ci sono
meccanismi automatici capaci di condurre il sistema economico alla piena occupazione. Inoltre, nella teoria
di Keynes sono assenti due meccanismi equilibratori che giocano un ruolo cruciale nel sistema neoclassico:

1- l’equilibrio fra investimenti e risparmi di pieno impiego fondato sulla variazione del tasso di
interesse;
2- la capacità della flessibilità di salari monetari e prezzi di portare il sistema al pieno impiego;

Riguardo al secondo punto, Keynes non riteneva che, in presenza di disoccupazione, una caduta dei salari
monetari e dei prezzi potesse riportare il sistema economico in pieno impiego. Ciò in considerazione della
conclusione che una tale riduzione avrebbe avuto un effetto negativo sia sulla domanda per beni di
consumo (la caduta dei salari avrebbe ridotto la propensione al consumo), sia sulla domanda di beni di
investimento (in particolare per gli effetti negativi della riduzione dei prezzi sulla redditività attesa degli
investimenti). Questo effetto negativo sulla domanda aggregata avrebbe avuto un pari effetti negativo sulla
produzione e sull’occupazione.
Esercitazione 11
Domanda 1: considerate una economia chiusa con la presenza di famiglie, imprese e settore
pubblico.
Esprimete la domanda aggregata in funzione del reddito e tracciatene il grafico.
La presenza del settore pubblico in economia chiusa, assieme alle famiglie e alle imprese,
comporta due effetti, il primo sul reddito disponibile, il secondo sulla domanda aggregata:
1- La funzione del reddito disponibile è espressa tenendo conto delle due funzioni del settore
pubblico, ovvero i trasferimenti, a favore delle famiglie e imprese, e le imposte prelevate
da famiglie e imprese. Il reddito disponibile Yd è allora espresso come Yd= Y-T, dove Y è il
reddito prodotto durante l’anno, mentre T sono le imposte l netto dei trasferimenti.
Supponendo che T dipenda solo dalle imposte sul reddito (imposte dirette) avremo che
T=tY, dove 0<t<1 è l’aliquota marginale di imposta. Yd risulta così Yd= (1-t)Y. Di
conseguenza, la funzione del consumo C= C* + cYd sarà C= C*+ c(1-t)Y;
2- G* è la domanda per consumi pubblici o spesa pubblica corrente, ed è componente
autonoma di E: E= c(1-t) Y+ C*+ I*+G*.
La domanda aggregata E, in economia chiusa con famiglie, imprese e settore pubblico, è composta
dalla funzione del reddito disponibile Yd= (1-t) Y (dove t è l’aliquota marginale di imposta) e dalla
somma delle componenti autonome di C*, I* e G*, dove G* è la spesa pubblica corrente o
domanda per consumi pubblici. E sarà quindi uguale a E= c(1-t) Y + A*.
Graficamente, la domanda aggregata E:
1- aumenta all’aumentare del livello del reddito, poiché, all’aumentare di Y, aumentano i
consumi per beni e servizio prodotti all’interno. Inoltre, non tutto Y è destinato alla spesa,
poiché una parte sarà destinata al pagamento delle imposte. All’aumentare di Y, C ed E
aumentano di c(1-t)Y;
2- aumenta all’aumentare delle componenti autonome della domanda;
Per cui, il grafico della funzione della domanda aggregata E= c(1-t)Y + A* ha un’intercetta pari ad
A* e una pendenza pari a c(1-t), dove [c(1-t)] è positivo ma inferiore all’unità.
Determinate il livello di equilibrio del reddito algebricamente e graficamente.
In economia chiusa con famiglie, imprese e settore pubblico, la domanda aggregata E è:
E= c(1-t) Y + A*. Prendendo in considerazione la funzione E con la funzione del reddito disponibile
Yd= (1-t) Y, è possibile determinare il livello di equilibrio del reddito Ye. Siccome la condizione di
equilibrio fra produzione e domanda aggregata è vera quando queste due componenti sono
uguali, allora per determinare Ye basterà porre Y=E.
Algebricamente, il livello di equilibrio del reddito può essere ottenuto dalla condizione di equilibrio
fra produzione e domanda aggregata Y=E= c(1-t) Y+ A*, da cui Y-c(1-t) Y= A*. Per cui:
Ye= [1/1-c(1-t)] A*, dove A*= I*+ G*+C*
Possiamo stabilire di quanto varia il livello di equilibrio del reddito al variare di una o più delle
componenti autonome. In generale se la componente autonoma aumenta di A* , il livello di
equilibrio del reddito aumenta di: Ye= [1/1-c(1-t)] A* dove c e t sono positivi ma inferiore
all’unità.
Pertanto: [1/1-c(1-t)] > 1, dove [1/1-c(1-t)] è chiamato moltiplicatore del reddito in economia
chiusa.
Utilizzando il grafico della domanda aggregata E=c(1-t)Y + A*, si traccerà la bisettrice del
quadrante, lungo la quale vale in ogni punto Y=E. Il punto esatto dove Y=E e la funzione E=c(1-t)Y +
A* si incontreranno, sarà il punto dove la produzione corrente è esattamente sufficiente a
soddisfare tutti i programmi di spesa.

Supponete che la spesa pubblica aumenti. Utilizzate la teoria della domanda effettiva per
illustrate gli effetti dell’aumento della spesa pubblica sul livello di equilibrio del reddito.
Spiegate perché il livello di equilibrio del reddito aumenta di un multiplo rispetto all’aumento
della spesa pubblica.
Secondo la teoria della domanda effettiva è la domanda aggregata E che determina il livello di
equilibrio del reddito, dal momento che la produzione segue la domanda aggregata e tende ad
adeguarsi ad essa. Per cui, se una componente della domanda aggregata cambia, ciò porta al
modificarsi sia di E, che di Y, per cui il sistema non sarà più in equilibrio.
Tuttavia, interviene un processo di aggiustamento, che permette di stabilire una nuova condizione
d’equilibrio. Difatti, la domanda aggregata E è la spesa desiderata sia per consumi, che dipende dal
reddito, sia la spesa autonoma: E=c(1-t) Y + A*. La spesa per le componenti autonome è una
immissione di spesa indipendente dal reddito corrente, mentre i consumi aumentano
all’aumentare del reddito, autoalimentando la domanda aggregata E. L’aumento di E non farà
altro che stimolare la produzione Y. Tuttavia, l’apporto di domanda derivata dai consumi tende ad
essere via via più piccolo, perché nel circuito avvengono due dispersioni in economia chiusa: il
reddito disponibile non è tutto destinato ai consumi, una sua parte è destinata al risparmio S e
un’altra al prelievo fiscale. Le due dispersioni fanno sì che all’aumentare del reddito, i consumi
aumentino di c(1-t) Y.
Graficamente, un aumento della spesa pubblica da G* a G*’ comporta uno spostamento verso
l’alto dell’intera funzione della domanda aggregata, con la conseguenza che il sistema non si
troverà più in equilibrio. L’aumento di G* non è altro che un aumento della somma delle
componenti autonome A* deltaA=A*’-A*, che è pari alla differenza G*’-G*. Perciò, un aumento di
deltaA* porta all’aumento della domanda aggregata da E a E’. Ciò porta anche Y ad aumentare da
Y a Y’. Tuttavia, nonostante l’aumento di Y, la domanda aggregata E è ancora superiore alla
produzione. Questo accade perché, all’aumentare della produzione e del reddito, aumentano
anche i consumi, che a loro volta alimentano la domanda aggregata. Un ulteriore aumento di Y
porterà nuovamente ad un nuovo livello di equilibrio del reddito. Tuttavia, si nota come l’aumento
del livello di equilibrio del reddito deltaY=Ye’-Ye sia aumentato di un multiplo rispetto all’aumento
della spesa pubblica, e quindi risulta maggiore di deltaA*. Questo accade perché l’aumento
complessivo della produzione deltaY è pari all’aumento complessivo della domanda aggregata
deltaE=E’-E che risulta maggiore dell’aumento iniziale della componente autonoma, per un
ammontare pari all’aumento indotto dei consumi: deltaY>delta A.
Esprimete il saldo del bilancio pubblico in funzione del reddito, tracciatene il grafico e
determinate graficamente il saldo del bilancio pubblico in corrispondenza del livello di equilibrio
del reddito.
Il saldo del bilancio pubblico corrente BS è pari alla differenza tra le entrate correnti (le imposte) al
netto dei trasferimenti T e le uscite correnti, rappresentate dalla spesa pubblica corrente G. Si ha
che la funzione del saldo del bilancio pubblico è: BS=T –G = tY –G*.
Graficamente, la funzione risulta così crescente all’aumentare del livello del reddito. Ponendo BS
sull’asse delle ordinate e Y sul quello delle ascisse, la spesa pubblica G* è un’intercetta negativa
sull’asse delle ordinate della funzione BS= tY –G*.
In corrispondenza del livello di equilibrio, la produzione è uguale alla domanda aggregata: Y=E. Per
il livello di equilibrio del reddito Ye, data la spesa pubblica G* e l’aliquota di imposta t, si otterrà un
certo saldo del bilancio pubblico BS. Y= c(1-t)Y + C*, E=c(1-t)Y+A*

Supponete ora che l’aliquota di imposta si riduca. Illustrate gli effetti di tale riduzione sul
moltiplicatore del reddito, su livello del reddito e su BS. Il nuovo moltiplicatore è più grande o
più piccolo del precedente? Spiegate perché il nuovo moltiplicatore è più grande o perché è più
piccolo.
In economia chiusa con famiglie, imprese e settore pubblico, il saldo del bilancio pubblico BS è
espresso dalla funzione BS=tY –G*, dove t è l’aliquota marginale di imposta, Y il reddito, G*la
spesa pubblica corrente. Se l’aliquota di imposta si riduce, ciò avrà diversi effetti. Tuttavia, è bene
tenere presente che l’aliquota marginale d’imposta è obbligatoriamente 0<t<1. Perciò, anche se
questa si riduce, non potrà mai scendere sotto lo zero.
[1/1-c(1-t)] è il moltiplicatore del reddito in economia chiusa con famiglie, imprese e settore
pubblico. Se l’aliquota d’imposta t si riduce, il denominatore del moltiplicatore diventerà più
piccolo e, di conseguenza, il moltiplicatore del reddito 1/1-c(1-t) diventerà maggiore rispetto a
prima. Tra moltiplicatore e t c’è, infatti, una proporzionalità inversa: quando uno aumenta l’altro si
riduce e viceversa.
Questo ha effetto sul reddito Y= c(1-t) Y + C*: se il moltiplicatore è aumentato, il reddito risulterà
maggiore. In altri termini, se t si riduce, Y aumenta perché sono inversamente proporzionali.
Aumentando, Y modifica la domanda aggregata E=c(1-t) Y+A*, con la conseguenza che la funzione
della domanda aggregata sale verso l’altro per effetto di un aumento del reddito.
Dal punto di vista del saldo del bilancio pubblico BS= tY-G*, nel grafico, t determina l’inclinazione
della retta, ed è direttamente proporzionale BS. Quindi, se t si riduce, l’inclinazione della retta
stessa si riduce, e BS stesso diminuisce in BS’. Tuttavia, la riduzione di t farà sì che il moltiplicatore
del reddito 1/1-c(1-t) aumenti, portando anche il reddito Y ad aumentare. Siccome BS=tY- G*,
allora BS è direttamente proporzionale anche a Y, perciò, se Y aumenta anche il saldo del bilancio
pubblico aumenta a BS2. Nel complesso, BS2 è più basso di BS ma più alto di BS’.
Qual è il valore del moltiplicatore di questa economia?
Il valore del moltiplicatore di una economia chiusa con famiglie, imprese e settore pubblico è [1/1-
c(1-t)].
Supponete ora che la spesa pubblica aumenti. Qual è il nuovo livello di equilibrio del reddito e il
nuovo saldo del bilancio pubblico? Il saldo del bilancio pubblico peggiora in misura superiore,
inferiore o uguale all’aumento della spesa pubblica? Argomentate la risposta utilizzando la
teoria della domanda effettiva.
In economia chiusa con famiglie, imprese e settore pubblico, se la spesa pubblica aumenta, questo
porterà ad una concatenazione di effetti:
1- partendo da una situazione iniziale di equilibrio nella quale la produzione è uguale alla
domanda aggregata, per il livello di equilibrio del reddito Y1, la spesa pubblica G* e
l’aliquota d’imposta t, avremo un certo saldo del bilancio pubblico BS1;
2- Se la spesa pubblica aumenta senza che l’aliquota di imposta aumenti, ciò significa che il
governo ha l’obbiettivo di aumentare il livello di equilibrio del prodotto interno lordo;
3- G* aumenta a parità di t a G1*, dove deltaG*= G1*-G*;
4- L’aumento di G* ha un duplice effetto:
1- Dato BS1= tY- G*, se G* aumenta, allora BS1 tenderà a diminuire, poiché inversamente
proporzionale a G*: la funzione del saldo del bilancio pubblico si sposta verso il basso di
deltaG* e, a parità di reddito, il saldo del bilancio pubblico passa da BS1 a BS1’;
2- Siccome la spesa pubblica è una delle componenti autonome della domanda aggregata,
ne segue che per E1= c(1-t) Y + A*(dove A*= C*+I*+G*) se G* aumenta, allora
aumenterà la somma delle componenti autonome A*. Di conseguenza, l’intera
domanda aggregata aumenterà a E2, portando la funzione verso l’alto. Con E2 il
sistema non è più in equilibrio. Secondo il principio della domanda effettiva, il reddito
d’equilibrio Y1 si adeguerà alla nuova domanda aggregata, aumentando a sua volta a
Y2. Questo porterà ad un nuovo saldo del bilancio pubblico in corrispondenza del
nuovo livello di equilibrio Y2. Infatti, siccome BS= tY –G*, se Y1 aumenta a Y2, BS1’
aumenterà a sua volta fino a BS2, poiché direttamente proporzionale alla produzione (o
reddito).
In conclusione: l’aumento della spesa pubblica corrente G* porta sia ad una riduzione di BS1 a BS1’
di deltaG*, ma l’aumento di G* porta ad un aumento della domanda aggregata e di conseguenza
del reddito, che si sposta da Y1 a Y2, facendo crescere BS1’ a BS2. Il nuovo bilancio pubblico BS2
sarà quindi più basso di BS1, ma più alto di BS1’.
Determinate il livello di equilibrio del reddito.
In economia chiusa con famiglie, imprese e settore pubblico, il livello di equilibrio del reddito Ye è
Ye= [1/ 1-c(1-t)] A*.
Se G* aumenta ad G1*, A* aumenta a A1* E aumenta a E1, il sistema non è più in equilibrio  Y
si adegua a Y1 il nuovo livello di equilibrio Ye1 è dato dalla relazione Y1=E1
 Y1= (1-t)Y, E1= c(1-t)Y + A*  Y1=E1  Y=c(1-t)Y + A*  Y-c(1-t)Y= A*  Ye1=[1/ 1-c(1-t)] A*
Utilizzate la teoria della domanda effettiva per illustrare gli effetti dell’aumento degli
investimenti sul livello di equilibrio del reddito e sul saldo del bilancio pubblico.
Secondo il principio della domanda effettiva, la produzione si adegua alla domanda aggregata. Nel
caso di un’economia chiusa con famiglie, imprese e settore pubblico, il sistema è in equilibrio
quando Y=E. Per cui Ye= [1/ 1-c(1-t)] A* e il saldo del bilancio pubblico corrente sarà BS.
Se gli investimenti I* aumentano, questo avrà i seguenti effetti:
- Effetti sul livello di equilibrio del reddito: il livello d’equilibrio del reddito è determinato in
base alla domanda aggregata E= c(1-t)Y + A*, dove A* è la somma delle componenti
autonome C*+ G* + I*. Se I* aumenta a I1*, allora A* aumenta a A1*, facendo aumentare a
sua volta E a E1. Di conseguenza, il sistema non è più in equilibrio per Ye= [1/ 1-c(1-t)] A*.
La produzione si adeguerà alla domanda aggregata, aumentando da Y a Y1. Il nuovo livello
d’equilibrio sarà quindi: Ye1=[1/ 1-c(1-t)] deltaA*, dove deltaA*= A1*-A*
- Effetti sul saldo del bilancio pubblico: BS è dato dalla seguente funzione: BS=tY –G*. Se gli
investimenti aumentano, a loro volta aumenta anche E a E1. Per il principio della domanda
effettiva, Y si adegua ad E1, diventando Y1. Il nuovo saldo del bilancio pubblico sarà quindi
espresso da: BS1= tY1 –G*. Siccome Y1 è maggiore di Y, il nuovo saldo del bilancio pubblico
BS1 sarà maggiore dell’iniziale BS.
Esercitazione 12
Considerate una economia aperta nel breve periodo. Supponete che tale economia sia descritta
dalle seguenti relazioni: dove: C = domanda desiderata per consumi, G = spesa pubblica, I =
investimenti desiderati, X = esportazioni, NX = esportazioni nette.
Esprimete la domanda aggregata in funzione del reddito e tracciatene il grafico;
In economia aperta nel breve periodo la domanda aggregata E è la spesa desiderata per beni e
servizi finali che si rivolge alla produzione interna. Per cui, E comprende tutte le voci della spesa,
sia estera che interna. La spesa estera comprende le esportazioni X, ma esclude le importazioni
IM. La spesa estera si indica quindi con NX, ovvero le esportazioni nette (X-IM). La spesa interna,
contrariamente, è la somma dei consumi C, degli investimenti I e della spesa del settore pubblico
G.
Indicando le esportazioni nette con la funzione NX= X*- mY, e i consumi con la funzione del
consumo C=c(1-t)Y+ C*, avremo che la domanda aggregata è: E=c(1-t)Y + C*+ I*+G*+X*- mY, che
sarà uguale a E=[c(1-t)-m]Y + A*, dove A* è la somma delle componenti autonome:
A*=C*+I*+G*+X*
Il grafico della domanda aggregata nel breve periodo di un’economia aperta è differente rispetto a
quello di un’economia chiusa per due motivi:
1- La funzione della domanda aggregata aumenta sì all’aumentare del reddito, ma secondo
un coefficiente che risulta più piccolo rispetto a quello dell’economia chiusa:
[c(1-t)-m]<c(t-1). In economia aperta una parte dell’aumento della spesa è soddisfatto
dalle importazioni. Graficamente, la funzione della domanda aggregata è meno inclinata
della funzione della domanda aggregata in economia chiusa;
2- La componente autonoma della funzione della domanda aggregata contiene anche la
componente autonoma delle esportazioni nette. Graficamente ciò comporta che
l’intercetta della funzione della domanda aggregata in economia aperta è maggiore di
quella in economia chiusa;
Determinate il livello di equilibrio del reddito;
Il livello di equilibrio del reddito si determina in base al principio della domanda effettiva, secondo
cui la produzione si adegua alla domanda aggregata. In equilibrio la produzione (reddito) Y risulta
uguale alla domanda aggregata E corrispondente al livello del reddito di equilibrio Ye.
Il livello di equilibrio del reddito si può determinare graficamente tracciando la bisettrice nel
grafico della domanda aggregata. Ad un livello del reddito Y1 inferiore a quello di equilibrio
corrisponde un eccesso di domanda aggregata rispetto alla produzione. Questa condizione indurrà
un aumento della produzione e del reddito da Y1 a Y2. L'aumento del reddito farà aumentare a
sua volta il consumo che indurrà un aumento della produzione e del reddito e così via fino a al
livello di equilibrio del reddito Ye, in corrispondenza del quale la produzione è uguale alla
domanda aggregata. Tuttavia, in economia aperta, bisogna tenere in considerazione che ogni
aumento del reddito dà luogo a un aumento del consumo inferiore rispetto al caso ipotetico di
una economia chiusa per la ragione che una parte della domanda per beni di consumo viene
soddisfatta dalle importazioni.
Algebricamente, il livello di equilibrio del reddito si determina ponendo la condizione di equilibrio
Y  E:

E [c(1t) m]Y  A*  Y  [c(1 t)  m]Y  A* da cui: Y [c(1 t)  m]Y  A*


pertanto Ye= [1/1-[c(1-t)-m] ]A* dove c, t e m sono tutti termini positivi e inferiori a 1 e si assume
che c(1 t)  m.
Determinate le esportazioni nette (saldo della bilancia commerciale) in corrispondenza del
livello di equilibrio del reddito
Le esportazioni nette in economia aperta di breve periodo coincidono con il saldo della bilancia
commerciale, definito come la differenza tra le esportazioni e le importazioni di beni e servizi.
Le esportazioni e le importazioni di una economia dipendono da tre elementi principali:
1- la domanda estera che influenza le esportazioni;
2- il livello del reddito interno da cui dipendono le importazioni;
3- il rapporto tra prezzi interni e prezzi esteri, espressi in termini della stessa valuta, dei beni
commerciati sui mercati internazionali. Tale rapporto influenza sia le esportazioni sia le
importazioni;
Considerando costante il rapporto tra prezzi esteri e prezzi interni e trascurando gli effetti di
ripercussione, le esportazioni dipendono solo dalla domanda estera e sono indipendenti dal livello
del reddito interno. Per questo motivo, le esportazioni sono considerate come una componente
autonoma della domanda aggregata: X=X*
Le importazioni soddisfano parte della spesa desiderata complessiva, e la relazione tra le due
componenti è considerata lineare e può essere espressa come funzione del Pil: le importazioni
aumentano all’aumentare del reddito (Y) secondo un coefficiente costante, definito propensione
marginale all’importazione (m), positivo ma inferiore all’unità. Considerando costante il rapporto
tra prezzi esteri e prezzi interni, le importazioni dipendono solo dal reddito interno si possono
esprimere come segue: IM  mY con 0  m  1.

Quindi, le esportazioni nette in funzione del livello del reddito sono definite come segue: NX  X 
IM  X mY dove: 0  m  1 e X sono le esportazioni considerate come una componente autonoma
della domanda (indipendente, cioè, dal livello del reddito). Le esportazioni nette diminuiscono
all’aumentare del livello del reddito. Infatti all’aumentare di Y, le importazioni aumentano secondo
un coefficiente (m) che è considerato costante. Graficamente la funzione delle esportazioni nette
ha una intercetta positiva pari a X e una pendenza negativa pari alla propensione marginale
all’importazione (m).
Le esportazioni nette NX= X*-mY dipendono dal livello del reddito Y. è possibile determinare la
relazione fra reddito di equilibrio e saldo della bilancia commerciale. In corrispondenza del livello
di equilibrio del reddito Ye, le esportazioni nette risultano pari a zero, poiché in equilibrio le
esportazioni sono uguali alle importazioni.
Determinate il saldo del bilancio pubblico (risparmio pubblico) in corrispondenza del livello di
equilibrio del reddito;
BS= tY –G*, in corrispondenza di Ye= [1/1-[c(1-t)-m] ]A*.
Aumento spesa pubblica:
Utilizzate la teoria della domanda effettiva nel breve periodo per illustrate gli effetti
dell’aumento della spesa pubblica sul livello del reddito, sul saldo della bilancia commerciale e
sul saldo del bilancio pubblico.
Nel breve periodo in economia aperta, l’aumento della spesa pubblica crea diversi effetti:
- sul reddito: in situazione iniziale di equilibrio, la bilancia commerciale è in pareggio. Se la
spesa pubblica G* aumenta, aumenterà anche la domanda aggregata E, poiché G* è una delle
componenti autonome di E. Ciò comporta uno spostamento dell’intera funzione della
domanda aggregata verso sinistra in alto (la componente autonoma aumenta da A* a A'* per
effetto dell’aumento di G). In corrispondenza del livello iniziale del reddito (Ye), dopo
l’aumento della spesa pubblica si registra un eccesso di domanda aggregata che induce un
aumento della produzione e del reddito. Nel nuovo livello di equilibrio Ye', si nota che sia
produzione che reddito sono aumentati di un multiplo rispetto dell’aumento iniziale della
spesa pubblica. Questo avviene per effetto degli aumenti di spesa per consumo indotti sia
dall’aumento iniziale della produzione e del reddito sia da quelli successivamente attivati
dall’aumento della spesa per consumi. Si può indicare con deltaG l’aumento iniziale di spesa
pubblica, il reddito aumenta di: deltaY=[1/[c(t-1)-m]] deltaG;
- sul saldo della bilancia commerciale: il saldo della bilancia commerciale, definito come la
differenza tra le esportazioni e le importazioni di beni e servizi, equivale alle esportazioni
nette. Un aumento di deltaY, generato dall’aumento di deltaG, comporta a sua volta un
aumento delle importazioni IM che, a parità di X, comporta un peggioramento delle
esportazioni nette NX, grazie alla funzione: NX=X*-IM. Da ciò avviene un peggioramento del
saldo della bilancia commerciale, ovvero, si registra un disavanzo della bilancia commerciale.
- sul saldo del bilancio pubblico: il saldo del bilancio pubblico BS in funzione del reddito è: BS=
tY-G*. L’aumento di G* ha un duplice effetto:
 Dato BS1= tY- G*, se G* aumenta, allora BS1 tenderà a diminuire, poiché inversamente
proporzionale a G*: la funzione del saldo del bilancio pubblico si sposta verso il basso di
deltaG* e, a parità di reddito, il saldo del bilancio pubblico passa da BS1 a BS1’;
 Siccome la spesa pubblica è una delle componenti autonome della domanda aggregata,
ne segue che per E1 [c(1t) m]Y  A* (dove A*= C*+I*+G*+X*) se G* aumenta, allora
aumenterà la somma delle componenti autonome A*. Di conseguenza, l’intera
domanda aggregata aumenterà a E2, portando la funzione verso l’alto. Con E2 il
sistema non è più in equilibrio. Secondo il principio della domanda effettiva, il reddito
d’equilibrio Y1 si adeguerà alla nuova domanda aggregata, aumentando a sua volta a
Y2. Questo porterà ad un nuovo saldo del bilancio pubblico in corrispondenza del
nuovo livello di equilibrio Y2. Infatti, siccome BS= tY –G*, se Y1 aumenta a Y2, BS1’
aumenterà a sua volta fino a BS2, poiché direttamente proporzionale alla produzione (o
reddito). In conclusione: l’aumento della spesa pubblica corrente G* porta sia ad una
riduzione di BS1 a BS1’ di deltaG*, ma l’aumento di G* porta ad un aumento della
domanda aggregata e di conseguenza del reddito, che si sposta da Y1 a Y2, facendo
crescere BS1’ a BS2. Il nuovo bilancio pubblico BS2 sarà quindi più basso di BS1, ma più
alto di BS1’.
Riduzione spesa pubblica:
Utilizzate la teoria della domanda effettiva per illustrate gli effetti di una riduzione della spesa
pubblica sul livello di equilibrio del reddito, sul saldo del bilancio pubblico e sul saldo della
bilancia commerciale.
Nel breve periodo in economia aperta, l’aumento della spesa pubblica crea diversi effetti:
- sul livello di equilibrio del reddito: in situazione iniziale di equilibrio, la bilancia commerciale
è in pareggio. Se la spesa pubblica G* si riduce, si ridurrà anche la domanda aggregata E,
poiché G* è una delle componenti autonome di E. Ciò comporta uno spostamento dell’intera
funzione della domanda aggregata verso il basso (la componente autonoma diminuisce da A*
a A'* per effetto della riduzione di G). In corrispondenza del livello iniziale del reddito Ye,
dopo la riduzione della spesa pubblica, si registra un eccesso di produzione e di reddito
rispetto alla domanda aggregata. Nel nuovo livello di equilibrio Ye', si nota che sia produzione
che reddito si sono ridotti di un multiplo rispetto alla riduzione iniziale della spesa pubblica.
Questo avviene per effetto delle riduzioni di spesa per consumo indotte sia dalla riduzione
iniziale della produzione e del reddito sia da quelli successivamente attivati dalla diminuzione
della spesa per consumi. Si può indicare con deltaG la riduzione iniziale di spesa pubblica, il
reddito diminuisce di: deltaY=[1/[c(t-1)-m]] deltaG;
- sul saldo della bilancia commerciale: in situazione iniziale di equilibrio, la bilancia
commerciale è in pareggio. Il saldo della bilancia commerciale, definito come la differenza tra
le esportazioni e le importazioni di beni e servizi, equivale alle esportazioni nette. Una
riduzione di deltaY, generato dalla diminuzione di deltaG, comporta a sua volta una riduzione
delle importazioni IM. Diminuendo IM, a parità di X, comporta un miglioramento delle
esportazioni nette NX, grazie alla funzione: NX=X*-IM. Da ciò avviene un miglioramento del
saldo della bilancia commerciale, ovvero, si registra un avanzo della bilancia commerciale.
- sul saldo del bilancio pubblico: il saldo del bilancio pubblico BS in funzione del reddito è: BS=
tY-G*. La riduzione di G* ha un duplice effetto:
1) Dato BS1= tY- G*, se G* si riduce, allora BS1 tenderà ad aumentare, poiché
inversamente proporzionale a G*: la funzione del saldo del bilancio pubblico si
sposta verso l’alto di deltaG* e, a parità di reddito, il saldo del bilancio pubblico
passa da BS1 a BS1’;
2) Siccome la spesa pubblica è una delle componenti autonome della domanda
aggregata, ne segue che per E1 [c(1t) m]Y  A* (dove A*= C*+I*+G*+X*) se G*
diminuisce, allora la somma delle componenti autonome A* si ridurrà. Di
conseguenza, l’intera domanda aggregata diminuirà a E2, portando la funzione verso
il basso. Con E2 il sistema non è più in equilibrio. Secondo il principio della domanda
effettiva, il reddito d’equilibrio Y1 si adeguerà alla nuova domanda aggregata,
riducendosi a sua volta a Y2. Questo porterà ad un nuovo saldo del bilancio pubblico
in corrispondenza del nuovo livello di equilibrio Y2. Infatti, siccome BS= tY –G*, se Y1
si riduce a Y2, BS1’ diminuirà a sua volta fino a BS2, poiché direttamente
proporzionale alla produzione (o reddito). In conclusione: la riduzione della spesa
pubblica corrente G* porta sia ad un aumento di BS1 a BS1’ di deltaG*, ma la
diminuzione di G* porta ad una riduzione della domanda aggregata e di conseguenza
del reddito, che si sposta da Y1 a Y2, facendo diminuire BS1’ a BS2. Il nuovo bilancio
pubblico BS2 sarà quindi più alto di BS1, ma più basso di BS1’.
Aumento investimenti:
Considerate una economia aperta nel breve periodo. Esaminate gli effetti di un aumento degli
investimenti sul saldo della bilancia commerciale di tale economia.
Un aumento degli investimenti in una economia aperta nel breve periodo avrà effetti sul saldo
della bilancia commerciale:
Partendo da una situazione iniziale di equilibrio, la bilancia commerciale è in pareggio. Il saldo
della bilancia commerciale, definito come la differenza tra le esportazioni e le importazioni di beni
e servizi, equivale alle esportazioni nette. Un aumento degli investimenti da I1* ad I2* è definito
da deltaI=I2*-I1*. L’aumento degli investimenti avrà un effetto positivo sulla domanda aggregata
E1 [c(1t) m]Y  A*, portando ad un aumento delle componenti autonome (A*= C*+I*+G*+X*).
La crescita della domanda aggregata da E1 ad E2 fa sì che il sistema non sia più in equilibrio. La
produzione Y per il principio della domanda effettiva, si adeguerà ad E, in questo caso
aumentando. Infine, dato il saldo della bilancia commerciale: NX= X* -IM, dove IM=mY, l’aumento
di deltaY, comporta a sua volta un aumento delle importazioni IM. Aumentando IM, a parità di X,
comporta un peggioramento delle esportazioni nette NX, e quindi un peggioramento del saldo
della bilancia commerciale, ovvero, si registra un disavanzo della bilancia commerciale.
Riduzione investimenti:

 Utilizzate la teoria della domanda effettiva nel breve periodo per illustrate gli effetti della
riduzione degli investimenti sul livello del reddito, sul saldo della bilancia commerciale e
sul saldo del bilancio pubblico.
Una riduzione degli investimenti in una economia aperta nel breve periodo avrà effetti sia sul
livello del reddito, sia sul saldo della bilancia commerciale che sul saldo del bilancio pubblico:
- sul livello di equilibrio del reddito: in situazione iniziale di equilibrio, Y=E. Una riduzione delle
importazioni da I1* ad I2* è definito da deltaI=I2*-I1*. La diminuzione degli investimenti
avrà un effetto negativo sulla domanda aggregata E1 [c(1t) m]Y  A*, portando ad una
riduzione delle componenti autonome (A*= C*+I*+G*+X*). La diminuzione della domanda
aggregata da E1 ad E2 fa sì che il sistema non sia più in equilibrio. La produzione Y1 per il
principio della domanda effettiva, si adeguerà ad E2, in questo caso riducendosi fino a
raggiungere un nuovo livello di equilibrio del reddito Ye2, che sarà un multiplo della riduzione
iniziale di I.
- sul saldo della bilancia commerciale: partendo da una situazione iniziale di equilibrio, la
bilancia commerciale è in pareggio. Il saldo della bilancia commerciale, definito come la
differenza tra le esportazioni e le importazioni di beni e servizi, perciò, equivale alle
esportazioni nette: NX=X*-IM. Una riduzione degli investimenti di deltaI ha fatto sì che la
domanda aggregata E1 si riducesse ad E1, così come la produzione Y1 a Y2. La riduzione di Y
comporta a sua volta una riduzione delle importazioni IM, poiché IM=mY. Diminuendo IM, a
parità di X, comporta un miglioramento delle esportazioni nette NX, grazie alla funzione:
NX=X*-IM. Da ciò avviene un miglioramento del saldo della bilancia commerciale, ovvero, si
registra un avanzo della bilancia commerciale;
- sul saldo del bilancio pubblico: il saldo del bilancio pubblico BS in funzione del reddito è: BS=
tY-G*. La riduzione degli investimenti porta ad una riduzione delle componenti autonome
della domanda aggregata, e di conseguenza a una riduzione della domanda aggregata stessa
da E1 e E2. Con E2 il sistema non è più in equilibrio. Secondo il principio della domanda
effettiva, il reddito d’equilibrio Y1 si adeguerà alla nuova domanda aggregata, riducendosi a
sua volta a Y2. Questo porterà ad un nuovo saldo del bilancio pubblico in corrispondenza del
nuovo livello di equilibrio Y2. Infatti, siccome BS= tY –G*, se Y1 si riduce a Y2, BS1 diminuirà a
sua volta fino a BS2, poiché direttamente proporzionale alla produzione (o reddito);
Aumento esportazioni:
Utilizzate la teoria della domanda effettiva nel breve periodo per illustrate gli effetti
dell’aumento delle esportazioni sul livello del reddito e sul saldo della bilancia commerciale.
In economia aperta nel breve periodo, un aumento delle esportazioni ha i seguenti effetti:
- effetti sul livello del reddito: un aumento delle esportazioni è dovuto a un aumento della
domanda mondiale. Se X* aumenta, allora la domanda aggregata aumenta a sua volta,
poiché X* è una delle componenti autonome di E. Ciò comporterà anche un aumento della
produzione Y, che si adeguerà nuovamente alla domanda aggregata. Così facendo, un
aumento iniziale delle esportazioni fa aumentare di un multiplo il livello di equilibrio del
reddito. Graficamente, la funzione della domanda aggregata si sposta a sinistra in alto e il
reddito di equilibrio passa da Ye a Ye‘.
- effetti sul saldo della bilancia commerciale: partendo da una situazione iniziale di equilibrio,
la bilancia commerciale è in pareggio. Il saldo della bilancia commerciale, definito come la
differenza tra le esportazioni e le importazioni di beni e servizi, perciò, equivale alle
esportazioni nette: NX=X*-IM. Un aumento delle esportazioni ha un duplice effetto sulle
esportazioni nette:
1) Il primo effetto di un aumento di X è diretto e deriva dall’aumento delle esportazioni
sul saldo commerciale poiché NX è direttamente proporzionale ad X*. A parità di
reddito, le esportazioni nette aumentano di quanto aumentano le esportazioni.
Graficamente si passerebbe dal punto A al punto B;
2) Il secondo effetto è indiretto e deriva dall’aumento delle importazioni indotte
dall’aumento del reddito di equilibrio in conseguenza dell’aumento iniziale delle
esportazioni. Graficamente ciò comporta un movimento lungo la nuova funzione delle
esportazioni nette dal punto B al punto C.
In conclusione, un aumento delle esportazioni comporta un miglioramento del saldo della bilancia
commerciale di una entità inferiore all’aumento delle esportazioni. Ciò avviene per effetto
dell’aumento delle importazioni derivante dall’aumento di reddito generato dall’aumento delle
esportazioni stesse.
Riduzione domanda mondiale:
Utilizzate la teoria della domanda effettiva per illustrate gli effetti di una riduzione della
domanda mondiale sul livello di equilibrio del reddito, sul saldo del bilancio pubblico e sul saldo
della bilancia commerciale.
In economia aperta nel breve periodo, una riduzione della domanda mondiale equivale ad una
riduzione delle esportazioni X*, portando ai seguenti effetti:
- effetti sul livello del reddito: se X* si riduce, allora la domanda aggregata si ridurrà a sua
volta, poiché X* è una delle componenti autonome di E. Ciò comporterà anche una riduzione
della produzione Y, che si adeguerà nuovamente alla domanda aggregata. Così facendo, la
diminuzione iniziale delle esportazioni fa diminuire di un multiplo il livello di equilibrio del
reddito.
- effetti sul saldo della bilancia commerciale: partendo da una situazione iniziale di equilibrio,
la bilancia commerciale è in pareggio. Il saldo della bilancia commerciale, definito come la
differenza tra le esportazioni e le importazioni di beni e servizi, perciò, equivale alle
esportazioni nette: NX=X*-IM. Una riduzione delle esportazioni ha un duplice effetto sulle
esportazioni nette:
1- Il primo effetto di una riduzione di X è diretto e deriva dalla riduzione delle
esportazioni sul saldo commerciale poiché NX è direttamente proporzionale ad X*.
A parità di reddito, le esportazioni nette diminuiscono di quanto si riducono le
esportazioni. Graficamente si passerebbe dal punto A al punto B;
2- Il secondo effetto è indiretto e deriva dalla riduzione delle importazioni indotte
dalla riduzione del reddito di equilibrio in conseguenza della diminuzione iniziale
delle esportazioni. Graficamente ciò comporta un movimento lungo la nuova
funzione delle esportazioni nette dal punto B al punto C. Una riduzione di IM
porterà però ad un aumento delle esportazioni nette NX, comportando un
miglioramento del saldo della bilancia commerciale di una entità inferiore alla
riduzione delle esportazioni. Ciò avviene per effetto della riduzione delle
importazioni derivante dalla diminuzione di reddito generato dalla riduzione delle
esportazioni stesse.
- effetti sul saldo del bilancio pubblico: la riduzione della domanda mondiale, porta ad una
diminuzione delle esportazioni, e di conseguenza, ad un calo della domanda aggregata e della
produzione. Il sistema tenderà a raggiungere un nuovo livello di equilibrio del reddito YE. Il
saldo del bilancio pubblico BS in funzione del reddito è: BS= tY-G*, quindi poiché BS è
direttamente proporzionale a Y, se questa cala, calerà anche BS.

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