1984: il parlamentare Ellis acquista un’automobile presso Panhard et Lavassor. Essi erano
ancora degli artigiani (metodi di produzione limitatamente riproducibili, alti costi per unità
di prodotto, bassi volumi di produzione, possibilità di personalizzazione). Non era infatti
possibile costruire due auto identiche, in quanto i pezzi non risultavano intercambiabili a
causa delle tecnologie disponibili per realizzarli.
Possiamo distinguere due principali tipi di artigianato: quello di lusso e l’artigianato “dei
poveri” (coltellinaio, fabbro di paese, ciabattino, fornaio, macellaio). L’attuale “artigianato
industriale” ha un suo antenato in quel fenomeno che gli storici chiamano
“protoindustrializzazione”. Si tratta della disseminazione in aree rurali di attività
manifatturiere organizzate su base domestica, ma orientate verso mercati sovraregionali
attraverso l’intermediazione di mercanti. Questi mercanti-imprenditori fornivano agli
artigiani le materie prime e vendevano i loro prodotti sul mercato, gestendo dunque la
domanda”.
La rivoluzione industriale
Una delle questioni più dibattute è se il processo di industrializzazione sia stato guidato
dalla domanda oppure dall’offerta, ossia dai mutamenti delle tecnologie di produzione.
Sicuramente c’è stata una compartecipazione, ma la rivoluzione tecnologica ha avuto
sicuramente un ruolo preponderante. Si viene a creare una feconda interazione tra scienza e
tecnologia: la tecnologia è in grado di assimilare rapidamente i principi derivanti dalla
scienza, mentre quest’ultima integra le macchine nel suo ciclo di scoperta e validazione
delle teorie.
Il modo di produzione industriale consiste nella “razionalizzazione delle operazioni
necessarie alla produzione di beni attraverso l’uso di macchine alimentate da energia
artificiale e progettate per replicare operazioni specializzate”. Le innovazioni sostanziali
riguardano:
=/=
=/=
Ciò non significa tuttavia che siano mancate le crisi recessive e le fluttuazioni della
domanda, che furono però contrastate dalla manovra delle scorte. Ciò evidenzia già come
l’era della produzione non abbia certo rappresentato un’era senza marketing. Le imprese
ebbero infatti a che fare con due principali problemi nella gestione del collegamento tra
produzione e consumo:
1. Comunicare i prodotti con la duplice finalità di informare della loro esistenza e “creare”
consumatori
2. Garantire il flusso fisico dei beni facendoli pervenire dove e quando essi lo
richiedevano
1. É in particolare modo dalla prima fondamentale esigenza che prende avvio il percorso del
marketing. Dunque non è del tutto vero che l’offerta ha generato da sé la propria domanda:
la fase emergente della produzione di massa ha comunque richiesto un sacco di lavoro.
Emblematica è la campagna promozionale di Procter&Gamble per un nuovo prodotto che,
così come tanti altri, ha contribuito a modificare in profondità le abitudini della società
americana.
2. Il fatto che molte merci risultavano nuove ai consumatori richiedeva anche un’adeguata
preparazione dei negozianti. Si sviluppò in modo notevole il grossissimo specializzato ed
emersero nuove forme di vendita al dettaglio, a partire dai grandi magazzini. Il canale
grossista-dettagliante non risultò però molto efficiente in questa prima fase.
Un impegno diretto nei canali distributivi fu assunto invece da produttori di merci
deperibili, di beni confezionati semideperibili (es. sigarette o cereali) e di beni complessi
(es. macchine da cucire o da scrivere).
Alcune imprese cominciarono poi sviluppare la marca come fattore distintivo del prodotto,
spostando la figura di driver del processo d’acquisto nella figura del consumatore ed
attenuando di conseguenza l’influenza del grossista sul dettagliante e di questo sul
consumatore.
Il marketing delle origini non dovette invece preoccuparsi più di tanto della varietà
intersoggettiva delle preferenze dei consumatori, al di là di ripartizioni consolidate come
maschile e femminile per l’abbigliamento. Dominò la logica del “prendere o lasciare” (Ford
T) o più in generale del creare prodotti adatti a tutti i gusti.
Queste considerazioni generali vanno però inquadrate in un’ottica più dinamica, soprattutto
sul finire della production era, in relazione a due fenomeni:
- Alcuni produttori intuirono già da allora il vantaggio della segmentazione, creando così
le prime linee articolate in fasce di prezzo (es. General Motors, gamma completa di
automobili differenziate per qualità e prezzo. Fu una strategia anti-modello T che tuttavia
si basava sul presupposto che le differenze riguardavano solo gli attributi superficiali,
così da poter sfruttare comunque al massimo le economie di scala.
Per tutti gli anni venti le imprese americane furono ossessionate dal rischio di saturazione
dei mercati e da una possibile entrata in una fase di sovrapproduzione strutturale. Ciò fu
dovuto soprattutto all’intensificarsi della concorrenza tra produttori.
Keith rappresenta questa tensione come un periodo intermedio tra orientamento alla
produzione ed orientamento al marketing: la sales era, collocabile negli Usa tra il periodo
della Grande Depressione e gli anni ’50.
Con l’orientamento alla vendita le imprese cominciano ad utilizzare il Communication mix,
prima tra tutte la pubblicità. L’investimento massiccio in pubblicità si rivelò un formidabile
supporto per la differenziazione dei prodotti. Il rilievo della pubblicità dipende anche dalla
sua versatilità (cinema, radio, televisione, quotidiani, riviste, affissioni..). In effetti è difficile
interpretare lo sviluppo dei mass media senza tenere conto del forte impulso derivante dalle
esigenze comunicative della produzione di massa.
La televisione, comparsa nel 1936 in Inghilterra e gestita dallo Stato in tutta Europa, negli
Usa seguì un modello di gestione privata, alimentato dalla pubblicità.
In questo periodo il marketing assunse un assetto più articolato a seguito di:
Si assiste poi al passaggio alle cosiddette forme di standardizzazione relativa, che incorpora
la strategia di diversificazione e consiste nella realizzazione di prodotti con la medesima
funzione d’uso, ma orientati a tipi di consumatori differenti.
La standardizzazione, sia assoluta che relativa, non ha rappresentato un’esigenza
avvertita solo dal mercato dell’offerta. Essa trova un fattore motivante nello
stesso processo di formazione delle aspettative dei consumatori. I
beni omogenei (auto, frigo…), “beni di cittadinanza”, divengono simboli di
appartenenza al ceto sociale emergente.
Il marketing management: una rivoluzione copernicana
Solo nella fase di maturità della produzione di massa viene completata la costruzione di una
moderna concezione di marketing. Con quest’ultimo passaggio, la funzione di collegamento
con il mercato assume un’identità precisa.
Negli Usa l’approccio di m. management vede i primi sforzi di sistemazione teorica nel
periodo compreso tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60. A ciò hanno contribuito vari
autori (appunti).
L’evoluzione del marketing corrisponde ad una necessità ineludibile per lo sviluppo della
grande impresa industriale che impone la realizzazione di elevati volumi produttivi
(economie di scala e di esperienza), la diversificazione delle gamme (economie di scopo) e
dei mercati geografici (economie di localizzazione e multinazionali) e la capacità di
stabilizzare l’ambiente competitivo sviluppando piani a lungo termine. Il tratto comune a
questi processi è l’elevata quantità di informazioni che esse incorporano.
Con il procedere della produzione di massa la domanda diventa più esigente e meno
standardizzabile, la competizione sempre più fitta, dinamica e complessa e la presenza di
aree di insoddisfazione della domanda rappresenta un fenomeno da monitorare. Il
consumatore non è più il destinatario di un flusso univoco, ma il punto di partenza e insieme
di arrivo di un circuito.
Dovendo garantire un efficace presidio informativo del mercato, il marketing non può più
operare come appendice subordinata della produzione, ma acquista una relativa autonomia.
Kotler sintetizza tale “rivoluzione” in questi termini: “l’impresa orientata al marketing non
deve tentare di vendere tutto ciò che produce, ma deve produrre ciò che può vendere”.
Esso assume la configurazione di un processo manageriale, un’attività pianificata con dei
contenuti normativi, che si articola in fasi distinte:
- Piano piano che il marketing diviene una funzione sempre più necessaria, si passa ad uno
stadio successivo nel quale viene reso autonomo. Marketing e vendite divengono due
funzioni separate che dovrebbero cooperare, ma che entrano invece spesso in rotta di
collisione.
- Stadio più evoluto in cui il direttore di marketing viene posto alla testa della struttura
organizzativa, assumendosi anche la responsabilità delle diverse sottofunzioni, vendite
incluse
Con il crescere della complessità che il marketing deve gestire, il principale vantaggio insito
nella sua funzione -la semplicità- perde di efficacia.
Nelle imprese divisionalizzate si aggiunge il problema di individuare le attività di marketing
che vanno mantenute presso la direzione generale dell’impresa, separandole dalle attività
che invece si distribuiscono tra le strutture divisionali.
Il sistema informativo di marketing: interfaccia cognitiva tra impresa e mercato
Tale interfaccia è fondamentale per ridurre i rischi connessi agli investimenti in capacità
produttiva.
Sono i concetti che fanno da sfondo ad a una corretta interpretazione dei media.
Per rintracciare le origini delle organizzazioni sociali della contemporaneità dobbiamo fare
riferimento a due grandi mutamenti che segnano la storia dell’Occidente e le imprimono
un’accelerazione determinante: l’invenzione della stampa (1) e la rivoluzione industriale
(2).
2. Tra XVIII e XIX sec. la rivoluzione industriale genera, con i suoi fenomeni di
urbanizzazione e di migrazione interna alle nazioni, quella realtà storica nuova che è la
metropoli e la folla metropolitana, entrambi portatori di una nuova linguistica. In
secondo luogo la r.i. opera un radicale intervento di ristrutturazione dello spazio e del
tempo tramite mezzi di trasporto e di comunicazione innovativi. Si ha una progressiva
familiarizzazione con le protesi di cui l’uomo si serve per manipolare il proprio
ambiente e dunque anche un’interiorizzazione del bisogno di tecnologia. Ovviamente
tutta la storia è una storia di tecnologie e tuttavia l’800 ha reso questo ciclo più
complesso, denso e rapido. Infine nella società industriale si compie un processo di
“estetizzazione della merce” nel quale i confini tra arte e merce diventano
indistinguibili, tanto che si parla anche di “industria culturale”. Uno snodo
fondamentale, da questo punto di vista, sono le Esposizioni Universale, vero e proprio
condensato dei prodotti del capitalismo industriale in cui prendono corpo le ideologie
della tv e della pubblicità contemporanea.
Possiamo dividere questo periodo in due fasi, che per certi versi si susseguono e per altri si
intrecciano:
I media audiovisivi si sono contraddistinti subito come mezzo di massa e vero e proprio
contraltare simbolico dell’esperienza urbana (soprattutto cinema). La radio e la tv invece
localizzano il consumo culturale nella sfera domestica: l’esperienza di aggregazione
metropolitana vive già qui un momento di rottura e riconversione verso nuove dimensioni di
“privatizzazione” dell’esperienza sociale. La crisi della società di massa è vicina e lo
rivelano fratture politiche di portata inaudita, concentrate al culmine della civiltà industriale
del ‘900: la Prima Guerra Mondiale, il nazismo, l’olocausto, lo stalinismo, la Seconda
Guerra Mondiale, la Bomba Atomica che portano alla ribalta alcuni fenomeni culturali come
la svolta del pensiero scientifico in un sapere instabile e relativo. A questi eventi se ne
aggiungono altri altrettanto catastrofici che emergono nella fase successiva (AIDS, degrado
ambientale, fame nel mondo, terrorismo, guerre “permanenti”)
Se ricerchiamo le tracce di una rottura che faccia da spartiacque tra la fase di massa della
cultura occidentale moderna e quella disarticolata della cultura contemporanea, possiamo
trovarla nella transizione verso l’economia postindustriale. L’economia postindustriale può
essere considerata come il fondamento dell’immaginario post-moderno in cui insistono i
nuovi media (tv a pagamento e internet), dopo il momento di passaggio che la tv generalista
aveva costituito facendo da cerniera tra la dimensione pubblica e quella privata dello spazio
domestico. L’immaginario post-moderno prevede una progressiva deviazione dal paradigma
moderno fondato sull’identità collettiva ed un avvicinamento all’ “immaginario individuale”
(già nella dimensione del consumo es. walkman, computer, videogiochi ecc).
Si tratta di un processo di destrutturazione che ha avviato dinamiche di globalizzazione
molto diverse dalle logiche dell’imperialismo culturale.
In particolare si parla di “glocal”, commistione tra “globalizzazione” e “localizzazione”, che
va ben oltre le dinamiche dello slogan “no global”. Alla fase post-industriale corrisponde
anche la crisi della metropoli che lascia lentamente posto a luoghi abitativi periferici.
Parallelamente si è realizzato uno slittamento lessicale da termini come “società industriale”
e “società dello spettacolo” (ancora molto legati al contesto della produzione) verso il
termine “società dell’informazione”, sospeso tra le due dimensioni dei mass media e dei
personal media. Questo termine mette in evidenza una prospettiva post-industriale in cui le
aggregazioni sociali tendono ad orientarsi più in base alla condivisione di codici culturali
che alle vecchie stratificazioni di classe.
In questo quadro la divisione tra tempo di lavoro e tempo libero (che i mass media
riempivano) entra in cortocircuito, approssimandosi sempre di più verso un unico tempo
sociale: a seconda dell’interpretazione ideologica o solo tempo libero o solo tempo di
lavoro.
Questa realtà in divenire, nel rovesciamento di interessi e valori che presuppone, viene
spesso definita “post-moderna”, proprio per marcare una possibile alterità rispetto alla
modernità. Alcuni, centrandosi principalmente sui cambiamenti tecnologici, parlano di post-
umano.
1958 -> Iniziano gli esperimenti della rete Arpanet, che poi diventerà Internet
1972 -> Nixon si dimette dopo lo scadalo Watergate (operazioni di spionaggio compiute
contro il partito democratico)
1973 -> Fine guerra del Vietnam grazie anche alla mobilitazione dei media e dell’opinione
pubblica statunitense
1976 -> Steve Jobs costruisce l’Apple, primo computer da scrivania con schermo e tastiera
1984 -> Dopo aver rilevato Italia 1, Berlusconi acquista Rai4 = duopolio sistema televisivo
italiano
Il prezzo rappresenta la sintesi economicamente rilevabile del valore che si è costruito con
le politiche di prodotto/servizio, distribuzione e comunicazione.
Nei manuali di marketing alcune volte viene spiegata come ultima leva, altre volte
successivamente al prodotto.
Nel primo caso si parte dal presupposto che le politiche di marketing generano una serie di
costi che costituiscono un punto di riferimento fondamentale per la definizione del prezzo
(insieme a valore percepito dal cliente e confronto con la concorrenza).
Nel secondo caso, si considera il prezzo l’espressione economicamente tangibile e
monetaria del sacrificio che il cliente deve sopportare per acquisire e utilizzare i valori insiti
nei beni che acquista e di conseguenza il prezzo dovrebbe essere la diretta conseguenza
delle politiche di marketing adottate per il prodotto. Tale prospettiva non sminuisce il valore
delle altre leve di marketing ma le pone in relativa subordinazione.
Valore
Il valore viene qui inteso nelle sue tre componenti fondamentali: valore costruito, valore
percepito e valore trasferito.
Ogni costruzione di valore non ha infatti senso se il mercato non la conosce, non la
comprende e non l’apprezza. Il valore percepito è fondamentale perché costituisce il punto
di riferimento della volontà del cliente di sopportare un sacrificio economico. Valore
costruito (e dunque la sua onerosità in termini di costi) e percepito (disponibilità a pagare un
determinato prezzo) rappresentano due punti di riferimento delle politiche di prezzo, ossia
rispettivamente la soglia minima e la soglia massima.
Il concetto di valore trasferito si colloca tra il minimo e il massimo ed è la rappresentazione
economica degli sforzi di reciproco adattamento.
Nel processo di formulazione del prezzo confluiscono altre due dimensioni fondamentali: la
concorrenza (1) e gli obiettivi di marketing dell’impresa (2).
3. Quanto detto precedentemente non vale quando l’impresa abbia deciso di intraprendere
una strategia basata sulla leadership dei costi (strategie low cost). Vediamo quindi
come gli obiettivi di marketing che l’azienda si è posta incidano sulle strategie di costo.
Il valore per il cliente
La percezione del valore è di per sé instabile poiché è soggetta all’interazione con variabili
esterne ed interne. E’ in generale un elemento soggettivo, relativo, dinamico e
multidimensionale, in quanto composto da un insieme molto ampio ed eterogeneo di fattori
che vengono sintetizzati con le parole “benefici” e “costi”. Si tratta ovviamente di
misurazioni soggette ad incertezza perché basate su valutazioni spesso soggettive dei
manager.
V=BxP/CxO
Dove:
• B = benefici
• P = performance
• C = costi
• O = onerosità in relazione ai vari componenti di costo (in primis il prezzo)
Ai fini della definizione del prezzo si tratta di tradurre in termini economici le percezioni dei
benefici e dei costi. Successivamente si individuano le caratteristiche tecniche e funzionali
che generano i benefici e i costi e si quantificano in termini economici e monetari.
Il limite maggiore è la natura composita ed articolata del valore per il cliente (elementi
tangibili, ma anche fattori intangibili, simbolici, di status, di natura imitativa).
Al prezzo si devono poi aggiungere costi di manutenzione, sostituzione e gestione (non per i
beni deperibili).
Se il prodotto non copre tutti i costi, esso è ovviamente in perdita. Il problema della
misurazione dei costi è relativamente più facile -anche se non elementare-, perché si basa su
dati misurabili interni all’impresa. Il calcolo risulta facile solo in caso di imprese
monoprodotto che operano in un solo mercato, in tutti gli altri casi vi sono numerosi costi
comuni, spesso di difficile attribuzione.
Sono principalmente due i problemi importanti nell’orientare le decisioni di prezzo ai costi:
- Imputazione analitica dei costi comuni: comporta un notevole sforzo analitico per
individuare la suddivisione matematica dei costi
- Imputazione uniforme dei costi comuni: suppone che si diversifichino in modo
uniforme tra i prodotti in relazione, per esempio, ai costi diretti
Nonostante tutte queste limitazioni, l’orientamento ai costi è il più utilizzato dalle imprese.
Breakeven analysis
L’analisi dei costi permette anche di suddividerli in costi fissi e variabili. Così facendo si
possono calcolare per ogni prodotto i margini di contribuzione (differenza tra prezzo di
vendita e costo variabile) che rappresentano un riferimento fondamentale per le politiche di
prezzo.
MC = P - CV
La B. Analysis è utile come strumento di verifica del quantitativo di vendite necessario per
un determinato prezzo, ma soprattutto come criterio di definizione del prezzo minimo. Il
rapporto tra un certo prezzo e il quantitativo di vendite necessario per raggiungere il
breakeven dato quel prezzo configura un’area di convenienza.ù
Tra le forme del mercato, quella che consente maggiori riflessioni riguardo al prezzo è
l’oligopolio. Esso può essere statico o dinamico.
Oligopolio statico: è raro che il prezzo venga utilizzato come strumento concorrenziale, ciò
in virtù del fatto che, in assenza di vere e proprie caratteristiche distintive, qualsiasi
manovra di prezzo può essere facilmente imitata.
Se un’impresa decidesse di ridurre i prezzi e gli altri la seguissero si otterrebbero quote di
mercato invariate, ma un generale abbassamento dei profitti, a vantaggio del consumatore.
L’unica condizione perché un’azienda possa diminuire i prezzi in una condizione del genere
è che si trovi in una miglior condizione di costo.
Se decidesse invece di aumentarli, non verrebbe imitata dalla concorrenza e perderebbe
quota di mercato. L’unica possibilità positiva potrebbe essere di raggiungere accordi (il più
delle volte taciti), a scapito del consumatore.
Oligopolio dinamico: qui il prezzo può essere considerato un’importante leva competitiva,
soprattutto quando accompagnato da differenziazione dell’offerta (es. mercati di nicchia). Si
vengono infatti a definire condizioni di premium price che derivano di solito dalla notorietà
delle marche e servizi annessi. Il cliente acquista non solo il prodotto, ma anche la garanzia
della propria soddisfazione, ossia un rischio minore. Il premium price è dunque in buona
misura il compenso per essersi costruiti la fiducia del cliente.
1. Condotta cooperativa: è la tipica situazione dei settori oligopolistici nei quali prevale
un orientamento di non price competition, poiché la concorrenza di prezzo genererebbe
una situazione negativa per tutte le imprese.
- Lancio di un nuovo prodotto: molto spesso la conoscenza del mercato, dei costi ecc
sono piuttosto limitate. In questo caso l’analisi di valore per il cliente rappresenta un
ottimo punto di partenza. Da tale analisi l’impresa può indirizzare il proprio prodotto
verso un prezzo di scrematura o di penetrazione.
-> Prezzo di penetrazione: sviluppo della quota di mercato a scapito di margini di profitto
unitario (più contenuti)
- Politiche di discriminazione dei prezzi: si verificano nel caso in cui l’impresa applichi
a prodotti sostanzialmente uguali prezzi diversi, in virtù di:
Vi è poi il target pricing, derivante dal target costing. Le pratiche di t.p. sono tipiche del
B2B dove il cliente ha un forte potere contrattuale e può chiedere ai fornitori di ridurre
progressivamente i prezzi in virtù della capacità di ridurre i costi agendo su economie di
scala. Rappresenta sia una testimonianza di potere contrattuale che di condivisione di
obiettivi comuni.