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Macroeconomia

Macroeconomia (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia)

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Blanchard, "Macroeconomia"
La macroeconomia studia il funzionamento generale del sistema economico, in particolare:

• Crescita di reddito e ricchezza

• Il cambiamento nel livello dei prezzi

• La sottoccupazione delle risorse

Quindi i macroeconomisti cercano di capire l funzionamento dell'economia e di proporre politiche


economiche per migliorarlo. Utilizzano diversi modelli per studiare diversi problemi. I modelli
partono da variabili esogene, iniziali per arrivare a variabili endogene.

Temi più dibattuti: infazione, persistenza della disoccupazione e politiche per ridurla, crescita
economica e sue determinanti.

Ci sono diverse scuole di pensiero che possiamo aggregare in 2 floni

1. Neoclassici, monetaristi: idea di lasciare liberi i mercati

2. Keynesiani (Blanchard): l'intervento dello Stato è importante per mantenere l'equilibrio.

capitolo 2
INTRODUZIONE ALLA MACROECONOMIA
1. La produzione aggregata
1.1. Cos'è il PIL

Il PIL, prodotto interno lordo, è la misura della produzione aggregata nella contabilità nazionale.

➢ Dal lato della produzione..

1) Il PIL è il valore di mercato dei beni fnali, nuovi, prodotti all'interno dell'economia in un dato
periodo di tempo.

Quindi sono i beni e servizi fnali prodotti all'interno dei confni nazionali (anche se la ditta è
straniera) in un dato periodo.
Es. Beni usati: no
Scorte di magazzino: sì
Beni intermedi: no

I beni scambiati nell'economia illegale? La transazione economica non viene contabilizzata e sfugge
al sistema di contabilità nazionale. Dal Settembre 2014 su indicazione Eurostat vengono
contabilizzate alcune forme di economia criminale (traffco di sostanze stupefacenti, prostituzione,
contrabbando di sigarette e alcohol). Questa contabilizzazione incide per lo 0,9% sul nuovo calcolo
del PIL 2011.

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Il PNL, prodotto nazionale lordo, sono i beni e servizi prodotti da fattori di produzione nazionali.
pertanto può essere calcolato come PIL+redditi esteri dei residenti-redditi interni dei non residenti

2) Il PIL è la somma del valore aggiunto nell'economia in un dato periodo di tempo.

Il valore aggiunto è un valore aggiunto da uno stadio produttivo alla produzione fnale, pertanto è
pari al valore del prodotto fnale meno il valore dei beni intermedi utilizzati per produrlo.

➢ Dal lato del reddito..

3) Il PIL è la somma dei redditi dell'economia in un dato periodo di tempo.

1.2. PIL nominale e PIL reale

Il PIL nominale, o a prezzi correnti, è il valore totale dei beni e servizi fnali prodotti nell'anno t
valutati al loro prezzo corrente (all'interno dei confni nazionali).

€Yt

La variazione del PIL nominale può essere dovuta sia alla variazione delle quantità prodotte di beni
e servizi, sia alla variazione dei prezzi. Ciò crea un pò di confusione in quanto non si capisce se la
variazione è dovuta alla variazione della quantità o dei prezzi.

Se il nostro obiettivo è misurare la produzione e le sue variazioni nel tempo, dobbiamo eliminare
l'effetto dell'aumento dei prezzi (infazione) dalla nostra misura del PIL. A questo scopo si utilizza il
PIL reale.

Il PIL reale, o a prezzi costanti, è il valore totale dei beni e servizi fnali prodotti nell'anno t valutati
a prezzi costanti (invece che correnti).
Defnito anche PIL a prezzi dell'anno base o aggiustato per l'infazione o in termini di beni.

Yt

Pertanto per il calcolo utilizzo i prezzi di un anno di riferimento, detto anno base.
⇨ Sommatoria dei prodotti moltiplicati per il prezzo dell'anno base.

Siccome i prezzi relativi cambiano nel tempo, l'anno base dovrebbe essere cambiato
periodicamente. Si defnisce così il PIL reale a catena in cui per il suo calcolo la base è cambiata
anno per anno (nel 2016 ai prezzi del 2015, nel 2015 ai prezzi del 2014). Questo mi aiuta ad avere
prezzi di beni aggiornati. Se mi riferisco anni a dietro potrei oggi avere prodotti che non erano
neanche in commercio o tecnologicamente molto più avanzati. Pertanto è un metodo più accurato
per misurare la crescita.

1.3. Crescita del PIL reale

Per valutare l'andamento di un'economia da un anno all'altro, gli economisti considerano il tasso di
crescita del PIL reale, chiamato semplicemente crescita del PIL.

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Yt – Yt-1
Yt-1

I periodi di crescita positiva sono chiamati espansioni (PIL>0), i periodi di crescita negativa sono
detti recessioni (PIL<0). Siamo in recessione se abbiamo una crescita negativa per almeno 2
trimestri consecutivi.

2. Il tasso di infazione
L'infazione rappresenta un aumento del livello dei prezzi. Il tasso di infazione è il tasso a cui il
livello dei prezzi aumenta nel tempo. In modo simmetrico, la defazione è una riduzione del livello
dei prezzi; corrispondente a un tasso di infazione negativo.

Il tasso di infazione si calcola: πt = Pt – Pt-1


Pt-1

Per calcolare il livello dei prezzi ( P ) affnchè sia possibile misurare l'infazione si utilizzano due indici
dei prezzi: il defatore del PIL (indice a pesi variabile) e l'indice dei prezzi al consumo (indice a pesi
fssi). Entrambi misurano il livello medio dei prezzi di uno specifco gruppo di beni rispetto ai prezzi
di un determinato anno di base.

2.1. Il defatore del PIL

Il defatore del PIL è un indice a pesi variabili (l'unico) in quanto il peso è un gruppo specifco di
beni, ovvero proprio il PIL, ed è variabile perchè di anno in anno la produzione cambia.

Pt = €Yt → PIL nominale


Yt → PIL reale

Es. DP nel 2016 con anno base 2000 PIL2016P2016


PIL2016P2000

Il defatore del PIL nell'anno base è pari a 1.

Pertanto, in sintesi, il defatore del PIL è il rapporto fra PIL nominale e PIL reale, prezzo delle
produzione aggregata in rapporto ai prezzi dell'anno base.

È defnito anche indice di Paasche o indice di prezzo ponderato all'anno corrente o indice a paniere
variabile.

È molto importante perchè conoscendo tale indice possiamo ricavare il PIL nominale: €Y t = PtYt

Vantaggi: utilizzo il paniere più aggiornato


Svantaggi: la variazione nel tempo del paniere rifette anche la variazione nel tempo dei gusti che
determina una diversa composizione del paniere e non solo quella dei prezzi. Quindi avrò sì il
paniere più aggiornato ma il paniere sarà diverso perchè potrebbero essere cambiati i gusti, o i
prezzi determinando una sostituzione all'interno del paniere, questo viene poi rifesso nella

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produzione dell'impresa. Avendo un paniere diverso non confronta gli stessi beni. Inoltre il defatore
del Pil contiene informazioni in merito al prezzo dei beni fnali prodotti nell'economia. Tuttavia, i
consumatori sono interessati al prezzo medio dei beni che consumano. Questi due prezzi medi
possono differire perché i beni prodotti nell'economia non coincidono necessariamente con i beni
acquistati dai consumatori.

A questo svantaggio si risponde con l'indice a pesi fssi.

2.2. L'indice dei prezzi al consumo

L'indice dei prezzi al consumo è un indice a pesi fssi e il peso è un paniere specifco di beni di
consumo riferito all'anno base. È defnito anche indice di Laspeyres o indice di prezzi ponderato
all'anno base.

Es. IPC nel 2016 con anno base 2000 paniere2000P2016


paniere2000P2000

Pertanto non parliamo di produzione, di PIL, ma di uno specifco paniere di beni defnito nell'anno
base e si vedrà come nel tempo ha cambiato il suo valore.

In sintesi, l'IPC misura il livello dei prezzi di un paniere tipico di consumo delle famiglie. Viene
pubblicato dall'Istat ed è usato per:

• misurare il cambiamento del costo della vita delle famiglie

• adeguare i contratti all'infazione (adeguare le retribuzioni al variare del costo della vita)

• calcolare i valori reali e confrontare i dati di anni diversi

Come viene costruito:

1. Inchieste per determinare il paniere di consumo tipico, ovvero indagine su famiglie italiane
estratte in modo casuale, è quindi sempre aggiornato

2. Raccolta dati (anche nei piccoli esercizi) e calcolo dell'indice

IPC = costo del paniere nel periodo in corso x 100


costo del paniere nel periodo base

2.3. Indici di prezzo a confronto

Quindi, in conclusione, quando parliamo di tasso di infazione ci riferiamo alla variazione di un


indice di prezzo che può essere la variazione percentuale del defatore del PIL o le variazioni di un
indice a pesi fssi (ad es. dell'IPC).

Deflatore IPC
Beni considerati Tutti Paniere di consumo
Prodotti in Italia Italia ed estero
Peso dei beni Variabili Fissi

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Defatore PIL

→ Ponderato con il paniere corrente

→ Dato che si riferisce al PIL esclude i prezzi di prodotti importati (sottovaluta infazione nel
caso di aumento dei prezzi dei beni importati)

→ Non tiene conto delle perdite di benessere per sostituzione dei beni (sottostima aumento del
costo della vita)

IPC

→ Ponderato con il paniere dell'anno base

→ Include anche i prezzi dei prodotti importati

→ Sopravaluta aumento costo della vita non considerando eventuali sostituzioni fra beni
(sovrastima aumento costo della vita)

→ Non considera aumenti di prezzi dovuti ad aumenti qualità del prodotto e introduzione
nuovi beni

Perchè l'IPC sovrastima l'infazione?

• non tiene conto degli effetti di sostituzione

• l'introduzione di nuovi beni aumenta l'utilità dei consumatori e aumenta il valore reale della
moneta ma non è considerato nel paniere di riferimento.

• non determina se la variazione del prezzo di un bene è dovuta al cambiamento di qualità del
bene stesso

È stato calcolato che l'IPC sovrastima l'infazione dell'1,1%.

Figura 1. I due indici di prezzi si muovono


insieme. Come si nota negli Usa (importatore di
petrolio) l'IPC è più elevato del defatore proprio
negli anni della crisi petrolifera.

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Figura 2. Iapc è l'indice armonizzato dei


prezzi al consumo, si riferisce a un paniere
armonizzato in quanto i paniere variano da
stato a stato a seconda delle attitudini di
consumo.
In alcuni punti il defatore è superiore all'Iapc.
Questo perchè l'area euro, importatrice netta
di beni energetici, risente in alcuni periodo
della diminuzione dei prezzi di quei beni.

Figura 3. Il tasso di infazione in Italia dal 1997-2014

Figura 3. Il defatore è superiore all'IPC


quando i prezzi dei beni importati diminuisce
(vedi 2014).

Conclusione
L'IPC e il defatore del PIL mostrano trend molto simili nel tempo, a parte evidenti eccezioni:
Quando il prezzo dei beni importati aumenta rispetto al prezzo dei beni prodotti all'interno, l'IPC
aumenta più velocemente del defatore del Pil. Questo è esattamente ciò che è accaduto durante le
crisi petrolifera del 1974 e del 1979-80 (fgura 1) e nel 2008 (fgura 2) o dopo il 2007 in Italia quando
il costo dei beni di consumo importati era maggiore del costo dei beni prodotti in Italia (fgura 3).

2.4. Altri indici di prezzo al consumo e alla produzione

Alla produzione:
Indice dei prezzi alla produzione (IPP): include i beni intermedi, esclude i servizi e rileva i prezzi ad
uno stadio che precede quello della commercializzazione al consumo. Aiuta a prevedere
l'andamento dell'IPC nel periodo successivo.

Al consumo:
Indice armonizzato dei prezzi al consumo (IAPC): riferito ai paesi dell'UE; calcolato a partire
dall'inizio del 2002 e siccome è armonizzato ai panieri dei beni consumati nell'UE viene calcolato
anche considerando prezzi che presentano riduzioni temporanee, cosa che l'IPC non fa in Italia.
Pertanto l'IPC sarà più alto dell'IAPC nei periodi ad es. dei saldi.

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Indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI): il paniere è rappresentativo
degli acquisti delle sole famiglie dei lavoratori dipendenti non agricoli (esclusi i dirigenti).

Indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività nazionale (NIC)

Lo stesso NIC si può calcolare con riferimento a diverse tipologie di beni, ed es. in base alla
frequenza di acquisto: beni ad alta frequenza di acquisto (generi alimentari, bevande alcoliche e
analcoliche, spese per l'afftto, beni durevoli per la casa, carburanti, giornali e periodici, ecc.), beni a
frequenza media di acquisto (abbigliamento, tariffe elettriche, medicinali, servizi medici, libri,
alberghi, ecc.), beni a basa frequenza di acquisto (elettrodomestici, servizi ospedalieri, acquisto di
mezzi di trasporto, articoli sportivi, servizio di trasloco, ecc.).

2.5. Come si modifca il paniere Istat

Abbiamo detto che uno dei problemi dell'IPC è che il paniere è fsso e pertanto tende a mostrarci
un costo della vita sovrastimato, e inoltre contiene beni che non sono più nel paniere di beni di
consumo. Se ad es. ci riferiamo al 2000 come anno base fniamo per avere un paniere che non è più
consumato o addirittura faremo fatica a trovare i prezzi di quei beni. Questo grafco ci mostra come
viene fatta la rilevazione: i prezzi rilevati ogni mese sono 607.000, di questi 495.500 sono rilevati sul
territorio degli uffci comunali di statistica e 111.550 centralmente dall'Istat. È possibile per ogni
categoria vedere come è variato il prezzo e anche il peso delle categorie all'interno del paniere di
consumo. Alcuni servizi poco utilizzati escono dal paniere (es. cuccette e vagone letto), entrano
invece le auto usate, i tatuaggi, lampadine led, ecc. Possiamo quindi vedere che il cambiamento
nelle abitudini di consumo delle persone si rifette sulle indagini di consumo e possono verifcarsi
delle uscite e delle entrate nel paniere.

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2.6. La variazione di crescita dei prezzi

Il tasso di infazione esprime il tasso percentuale di crescita di un indice di prezzo da un periodo


all'altro. Esistono diversi tipi di variazione:

1. Tendenziale se mi riferiscono allo stesso periodo ma dell'anno precedente

2. Congiunturale se mi riferisco al periodo immediatamente precedente.

2.7. Tasso di infazione in Italia

Alla fne degli anni 60 il tasso di infazione in Italia cominciò ad aumentare fno a raggiungere i suoi
valori più elevati (20%) nel corso degli anni 70 con il primo shock petrolifero, risentendo
dell'aumento del costo del petrolio. Quindi abbiamo avuto un livello di infazione superiore
all'obiettivo del 2% fssato dall'UE. Era anche un elemento che l'ex presidente della repubblica
Ciampi aveva bene in mente quando si accingeva a cercare di fare uno sforzo collettivo
dell'economia italiana per entrare nell'UE. Poi successivamente negli anni 80 con una politica
monetaria più restrittiva per raggiungere quell'obiettivo, l'ancoraggio del cambio della lira nel
sistema monetario europeo e un graduale riorientamento delle regole della determinazione dei
salari hanno portato a un tasso più basso.

Andamento NIC e IPCA

Il valore positivo della variazione tendenziale +0,1 può essere un segnale positivo di una ripresa,
verso quell'obiettivo del 2% imposto dall'UE. Questo perchè come sappiamo un aumento dei prezzi
segnala un aumento della domanda a parità di offerta.

Cosa ha determinato la variazione congiunturale del NIC nel settembre 2016? Bisogna andare a
vedere cos'è successo all'interno del paniere di consumo.

In crescita In calo
Abitazione, acqua, elettricità e combustibili (+0,6%) Ricreazione, spettacoli e cultura (-1,9%)
Istruzione (+0,5%) Trasporti (-1,3%)
Servizi ricettivi e di ristorazione (+0,3%) Prodotti alimentari e bevande
Abbigliamento e calzature (+0,2%) analcoliche (-0,1%)
Altri beni e servizi (+0,1%)

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Le categorie in crescita non riescono a far fronte alle categorie in calo.

Cosa ha determinato la variazione tendenziale del NIC nel settembre 2016?

In crescita In calo
Prodotti alimentari e bevande analcoliche (+0,1%) Trasporti (-0,1%)
Ricreazione, spettacoli e cultura (+0,3%) Abitazione, acqua, elettricità e
Istruzione (+1%) combustibili (-1,4%)
Mobili, articoli e servizi per la casa (+0,3%) Comunicazione (-1%)
Servizi sanitari e spese per la salute (+0,2%)
Servizi ricettivi e di ristorazione (+0,8%)
Altri beni e servizi (+0,3%)
Bevande alcoliche e tabacchi (+2%)
Abbigliamento e calzature (+0,4%)

Pertanto la motivazione fondamentale è il fatto che rispetto a prima, pur essendo comunque in calo,
vi è stato un rallentamento del calo dei prezzi dei beni energetici.

Cos'è la componente di fondo?

È il paniere di beni depurato dai prezzi di beni


energetici e materie prime (che sono i più volatili).
Non a caso andando ad analizzare le variazioni
tendenziali la componente di fondo ha
un'andamento di crescita maggiore dell'indice
generale. Siccome il calo dei prezzi dei beni
energetici e delle materie prime si sta riducendo,
quando li vado a togliere avrò un aumento del tasso
di infazione.

2.8. I costi dell'infazione

Un'infazione elevata può costituire un costo per l'economia. Se l'infazione è imprevista i costi
saranno:

→ Infuenza la distribuzione del reddito

Alcuni redditi possono essere adeguati al costo della vita, mentre i redditi non indicizzati,
non legati all'andamento del livello dei prezzi fniscono col perdere potere d'acquisto. La
distribuzione del reddito cambierà a svantaggio di quelle categorie che non sono protette
dalla variazione dell'infazione quando questa è imprevista. Si creano così disuguaglianze.

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→ Crea distorsioni (dato che, alcuni prezzi fssati per legge rimangono costanti, variano i prezzi
relativi)

Normalmente quando i prezzi aumentano signifca che è aumentata la domanda e questo


indicatore mi dovrebbe aiutare a capire se devo aumentare o diminuire la produzione.
Tuttavia con l'infazione questo indicatore è distorto: il prezzo relativo varia non perchè sta
variando la domanda.

→ Fiscal drag (se gli scaglioni non sono indicizzati si passa ad uno scaglione di reddito con
aliquota più alta per il solo effetto dell'infazione)

Normalmente le imposte si pagano a seconda dello scaglione a cui si rientra. Se i redditi


aumentassero perchè sta aumentando il livello dei prezzi fnirò per avere un reddito
nominale più elevato perchè c'è infazione non perchè corrisponde a un più elevato potere
d'acquisto. Tuttavia le aliquote degli scaglioni sono fssi, quindi fnirei per aumentare la mia
aliquota non perchè è aumentato il mio potere d'acquisto ma perchè è aumentato il mio
valore nominale. Per questo si dice che l'infazione è un'imposta.

→ Incertezza

Incertezza nelle scelte: non so quello che avverrà domani. Se il tasso dell'infazione è elevato
si determina una maggiore volatilità. Se dovessi quindi prendere delle scelte di investimenti
dovrei cercare di capire se il reddito che produrrà quell'investimento sarà indicizzato o
meno. Io determino le mie scelte di consumo in relazione a quello che avverrà.

Se l'infazione è anticipata i costi saranno:

→ Costi di listino

Adeguare i prezzi all'infazione.

→ Costo delle suole (si detiene meno moneta liquida)

Quando c'è un'elevata infazione mi dovrò recare più frequentemente in banca (come si dice
i contanti scottano) e quindi dovrò subire il costo delle suole che si consumano. È
sconsigliabile tenere contanti per non vedere il loro potere d'acquisto disgregarsi con
l'aumentare del livello dei prezzi.

3. Il tasso di disoccupazione
Il tasso di disoccupazione è un'altra variabile che rileva aspetti importanti dell'andamento di
un'economia.

Occupato: persona che ha un lavoro al momento dell'intervista.

Disoccupato: persona che non ha lavoro, ma è in cerca di occupazione (la domanda deve essere
stata presentata entro le 4 settimane prima dell'intervista).

Fuori dalla forza lavoro: persona che non ha un lavoro e NON è in cerca di occupazione.

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Lavoratori scoraggiati: in presenza di elevata disoccupazione, alcuni lavoratori senza


occupazione smettono di cercare ed escono dalla forza lavoro.

Tasso di partecipazione: rapporto tra forza lavoro e il totale della popolazione in età lavorativa.

Forza lavoro: somma degli occupati e dei disoccupati ⇨ L=N+U

Tasso di disoccupazione: rapporto tra il numero di disoccupati e la forza lavoro ⇨ u = U / L

Questo è un indicatore generale, mentre in un tasso specifco metto in evidenza un determinato


gruppo della popolazione.

3.1. Le fonti

• Fonti amministrative: elenchi dei disoccupati


È una misura poco affdabile perchè nei paesi con sussidi di disoccupazione i disoccupati
sono incentivati a registrarsi come tali e pertanto si registrerà un più elevato numero di
disoccupati rispetto ai paesi che non offrono sussidi

• Fonti statistiche: indagine alle famiglie o analisi censuaria


Si tratta di interviste a un campione di famiglie (rilevazione continua FL condotta in Italia su
un campione di oltre 250mila famiglie per un totale di circa 600mila individui in 1100
comuni italiani)

3.2. La disoccupazione in Italia, Europa, Stati Uniti

Per tutti i paesi è evidente l'impatto della


crisi fnanziaria sul tasso di
disoccupazione. Gli Stati Uniti si sono
poi ripresi prima di tutti e questo è
dovuto alle politiche economiche attuate.

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In Italia il tasso di disoccupazione


femminile è più accentuato di quello
maschile (12,6% contro 10,5%). Il tasso
di disoccupazione giovanile (<25 anni)
è 38,8%, contro il 43,2% della Spagna
e la media europea del 18,6%.

3.3. NEET

I Neet sono persone che non stanno seguendo un percorso scolastico ma che non stanno lavorando.

Ci si riferisce al totale della


popolazione 15-29 anni.

Possiamo dire che


l'incidenza è maggiore in
Italia (26% nel 2013) che in
Europa (15,9%). In
Germania 8,7%, Francia
13,8%. Solo la Grecia con
il 28,9% dei giovani NEET
presenta un'incidenza
maggiore dell'Italia.

Nell'ambito dei Neet gli


inattivi sono più presenti in
Italia che in Europa. Gli
inattivi sono quelli che non
sono nel mercato del
lavoro.

Nella crisi l'andamento dei Neet è aumentato e a partire dal 2014-2015 si è stabilizzato per poi
ridursi.

L'incidenza dei Neet è maggiore nel Mezzogiorno (31,5% dei giovani) rispetto al Nord (15,3%).
Maggiore è l'incidenza fra le donne 24,4% (uomini 20,3%). Maggiore è l'incidenza se i genitori
hanno un titolo di studio basso: 41,1% per i fgli di genitori con licenza elementare e 9,5% se
laureato

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3.4. I costi della disoccupazione

→ Perdita in termini di PIL e di reddito

Se una persona non lavora non produce. Questa perdita si può misurare con il vuoto del
PIL, gap del PIL. Contribuiscono alla perdita di PIL e di reddito gli individui che si
trasferiscono in altri paesi con la speranza di trovare più facilmente un'occupazione.

→ Effetto negativo su diverse dimensioni dello sviluppo umano e sulla felicità.

Va a vedere cosa succede all'individuo prima, durante e dopo che è disoccupato.

L'anno 0 corrisponde alla


disoccupazione. Gli vengono fatte
una serie di domande anche sulla
sua percezione del livello di
soddisfazione della vita. La caduta
non è solo nell'anno 0 ma anche
prima di diventare disoccupato
(paura di perdere il lavoro o
minore apprezzamento per il
lavoro attuale). Dopo che ho trovato un lavoro ci vuole del tempo prima che ritorni al livello
precedente e probabilmente non ci tornerà mai: si chiama effetto cicatrice.

4. La legge di Okun e la curva di Phillips


Dopo aver visto separatamente le tre principali dimensioni dell'attività economica aggregata (la
crescita della produzione, il tasso di disoccupazione e il tasso di infazione) cerchiamo ora di
metterle in relazione tra di loro

La legge di Okun
L'economista Okun osservò che un aumento del Pil porta a una diminuzione della disoccupazione.
Ciò viene confermato dal grafco che mette in relazione la variazione del tasso di disoccupazione e
la crescita della produzione per gli Stati Uniti dal 1960 al
2014.

→ La retta inclinata di -0,4 verso il basso interpreta la


nuvola di punti nella fgura e possiamo dire che, a
parte alcuni punti che sfuggono a questa regolarità
empirica, nel complesso questa relazione si produce. In
particolare ci dice che un aumento del tasso di crescita
dell'1% riduce la disoccupazione di circa lo 0,4%.

→ Inoltre la retta interseca l'asse delle ascisse nel punto in


cui la crescita della produzione è del circa 3%, pertanto per mantenere una disoccupazione
costante è richiesto un tasso di crescita di circa il 3%.

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Questa regolarità empirica si può cogliere anche nell'economia Italiana?

La retta di regressione ha pendenza negativa, come negli


Stati Uniti. Questo signifca che anche in Italia un
aumento della produzione è associato ad una diminuzione
della disoccupazione. Tuttavia la relazione è molto più
debole, non è solida come negli Stati Uniti.

→ Innanzitutto la pendenza della retta per l'Italia è


-0,07. Pertanto un aumento del tasso di crescita
dell'1% è associato ad una diminuzione della
disoccupazione di solo lo 0,07% rispetto lo 0,4%
degli Stati Uniti. Evidentemente il funzionamento
del mercato del lavoro è molto differente tra i due
paesi. Se ad esempio gli Stati Uniti a fronte di una crescita della produzione vanno ad
assumere nuovi lavoratori in Italia, durante i momenti di espansione, le imprese potrebbero
decidere di far lavorare maggiormente i loro dipendenti, invece di assumerne altri.

La curva di Phillips

Phillips mette in relazione disoccupazione e infazione e


osservò che, quando la disoccupazione è ridotta,
l'economia si trova in una fase di surriscaldamento, e
questo spinge l'infazione ad aumentare (relazione
negative). Se cerco di contenere l'infazione può scaturire
una maggiore disoccupazione.

Osservando l'economia degli Stati Uniti dal 1960 al 2014


possiamo confermare la regolarità empirica: un'elevata
disoccupazione conduce, in media, ad un calo
dell'infazione, mentre una ridotta disoccupazione porta ad
un aumento dell'infazione. Tuttavia, più che nella legge di
Okun, si osservano delle deviazioni dal trend negativo (la
motivazione la vedremo più avanti).

→ Pertanto la relazione non è così forte da permetterci


di identifcare con chiarezza il tasso di
disoccupazione al di sotto del quale l'economia
comincia a surriscaldarsi (all'incirca quando scende
sotto il 6% siccome la retta interseca l'asse
orizzontale nel punto 6).

Nell'economia italiana i dati dal 1970 al 2014 appaiano maggiormente in linea con quelli
statunitensi. La differenza principale è nella pendenza della retta che si traduce in un tasso di
disoccupazione pari a circa l'8,5% associato a un'infazione stabile.

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Senza dubbio un'economia di successo è un'economa che allo stesso tempo raggiunge un elevato
tasso di crescita della produzione, una ridotta disoccupazione e un basso tasso di infazione.
Vedremo più avanti se è possibile raggiungere simultaneamente questi tre obiettivi.

5. Breve, medio e lungo periodo


Che cosa determina il livello di produzione aggregata di un'economia? A questa domanda ci sono 3
possibili risposte, ma ognuna vale su un orizzonte temporale diverso:

1. Nel breve periodo, cioè nell'arco di qualche anno, le variazioni annuali della produzione
sono dovute soprattutto a variazioni della domanda.

2. Nel medio periodo, cioè nell'arco di un decennio, il livello di produzione è determinato da


fattori relativi all'offerta: lo stock del capitale, il livello della tecnologia, la dimensione delle
forze di lavoro.

3. Nel lungo periodo, cioè nell'arco di qualche decennio o più, le vere determinanti della
produzione sono fattori come il sistema scolastico, il tasso di risparmio e la qualità del
governo che infuenzano le determinanti di medio periodo: le capacità dei lavoratori, lo
stock del capitale e l'effcienza delle imprese.

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capitolo 3
IL MERCATO DEI BENI

Il circuito reddito-spesa vede in azione fondamentalmente due attori: gli individui e le imprese.
Nel fusso reale gli individui forniscono alle imprese i mezzi di produzione sotto forma di lavoro e
capitale e le imprese attraverso la produzione forniscono beni e servizi agli individui. Nel fusso
monetario a fronte di quei beni e servizi gli individui pagheranno qualcosa alle imprese e tale spesa
può essere effettuata perchè allo stesso tempo le imprese li avranno retribuiti dei fattori produttivi
che gli hanno fornito. Mettendo insieme i due fussi otteniamo il circuito reddito-spesa.

Importantissimo notare che REDDITO AGGREGATO = SPESA AGGREGATA

Da tale circuito possiamo comprendere l'interazione tra produzione, reddito e domanda:

Variazione della domanda di beni



Variazione della produzione

Variazione del reddito

Variazione della domanda di beni

1. La composizione del Pil


Ricordiamo che:

Pil dal lato della produzione: valore di mercato dei beni fnali, nuovi, prodotti all'interno
dell'economia in un dato periodo di tempo;

Pil dal lato del reddito: reddito totale dell'economia del paese in un dato periodo di tempo;

Pil dal lato della spesa: spesa totale in beni e servizi fnali prodotti nel paese in un dato periodo
di tempo. Dentro la spesa troviamo:

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1. Consumo (C)

Beni (beni durevoli, semidurevoli, non durevoli) e servizi acquistati dai consumatori:. È la
componente più importante del Pil: in Italia rappresenta circa il 60%!

2. Investimento (I)

Somma degli investimenti non residenziali, cioè l'acquisto di nuovi impianti o macchinari da
parte delle imprese, e dell'investimento residenziale, cioè l'acquisto di nuove case o
appartamenti da parte degli individui. Attenzione a non confonderlo con l'investimento
fnanziario.

3. Spesa pubblica (G)

Beni e servizi acquistati dalla pubblica amministrazione. Include sia la spesa per consumi, sia
quella per investimenti pubblici.

La somma di queste 3 componenti rappresenta la spesa in beni e servizi da parte dei residenti.

4. Esportazioni nette (NX)

Alla spesa in beni e servizi da parte dei residenti dobbiamo escludere le importazioni
(IM), cioè gli acquisti di beni e servizi dall'estero effettuati dai residenti, e includere le
esportazioni (X), cioè gli acquisti di beni e servizi nazionali da parte del resto del mondo.
Se esportazioni > importazioni = avanzo commerciale (NX > 0), se esportazioni <
importazioni = disavanzo commerciale (NX < 0). Siamo in pareggio se NX = 0.

La somma di queste 4 componenti rappresenta la spesa totale in beni e servizi nazionali.

5. Investimento in scorte

Differenza tra beni prodotti e beni venduti in un dato anno. Se produzione > vendite =
scorte aumentano, se produzione < vendite = scorte diminuiscono.

La somma di queste 5 componenti rappresenta il valore della produzione, il Pil.

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2. La domanda di beni
Nei modelli economici troviamo due tipi di variabili: le variabili endogene, cioè spiegate all'interno
del modello, e le variabili esogene, cioè prese come date.

Z = C + I + G + X - IM

Non compare l'investimento in scorte perchè non fa parte della domanda.

Ipotizziamo che:

→ le imprese producano uno stesso bene che può essere usato come bene di consumo dagli
individui, come bene di investimento dalle imprese e come spesa pubblica dal governo.
Abbiamo così un solo mercato;

→ le imprese forniscano qualsiasi quantità di tale bene ad un dato prezzo, P. Questa ipotesi
vale solo nel breve periodo;

→ l'economia sia chiusa, cioè che non commerci con il resto del mondo: sia le esportazioni
che le importazioni sono uguali a 0.

Z=C+I+G

Quindi la spesa in beni e servizi da parte dei residenti coincide con la spesa totale in beni e servizi nazionali.

2.1 Consumo (C)

Le decisioni di consumo dipendono prima fra tutti dal reddito disponibile (Y D). Quando il reddito
disponibile aumenta, anche il consumo aumento, quindi:

C = C(YD)(+)

Il consumo è una funzione del reddito disponibile. Tale funzione è defnita equazione di
comportamento perchè descrive alcuni aspetti del comportamento, in questo caso, dei consumatori.
La relazione lineare tra consumo e reddito disponibile è data da:

C = c0 + c1 YD

• c0 rappresenta la spesa autonoma di consumo, ovvero qualsiasi sia il reddito disponibile


l'individuo può esercitare un consumo pari a c0. È indipendente dal reddito ma è infuenzato
da alcuni fattori come il clima di fducia degli individui o il cambiamento delle preferenze di
consumo.

• c1 rappresenta la propensione marginale al consumo, ovvero ci dice quanto aumenta


il consumo quando aumenta il reddito disponibile di un euro. 0 < c1 < 1

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Il reddito disponibile è dato dal reddito meno le imposte (ipotizziamo che le imposte siano esogene,
ovvero non dipendenti dal reddito):

YD = Y - T

2.2. Investimento (I)

L'investimento, per adesso per motivi semplifcativi, è considerata una variabile esogena, e la
contrassegniamo con una barretta sopra:

I=Ī

2.3. Spesa pubblica (G)

La spesa pubblica (come anche T) la considereremo una variabile esogena per tutto il corso perchè è
una variabile scelta dalla politica fscale.

3. La produzione di equilibrio
La domanda di beni può essere espressa come:

Z=C+I+G
Z = c0 + c1 (Y - T) + Ī + G

Assumiamo che non ci siano scorte nell'economia e che l'economia sia chiusa, quindi la
condizione di equilibrio nel mercato dei beni richiede che la produzione sia uguale alla
domanda:

Y=Z

Quindi:

Y = c0 + c1 (Y - T) + Ī + G

In equilibrio, la produzione, Y, è uguale alla domanda. A sua volta, la domanda dipende dal reddito
Y, che è uguale alla produzione.
Ricordiamo che reddito = produzione = Y (sono due modi diversi per guardare al Pil).

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3.1. Il moltiplicatore

Possiamo riscrivere l'equazione come:

Y = c0 + c1Y - c1T + Ī + G

Y - c1Y = c0 + Ī + G - c1T

(1 - c1)Y = c0 + Ī + G - c1T

Y = 1/(1 - c1) (c0 + Ī + G – c1T)

• Il termine (c0 + Ī + G - c1T) rappresenta la spesa autonoma, cioè indipendente dal


reddito (variabile endogena);

• Il termine 1/(1 - c1) è chiamato moltiplicatore. Poichè 0 < c1 < 1 allora il moltiplicatore è
un numero maggiore di 1.

Descriviamo l'equilibrio con un grafco:

⇢ come sappiamo la produzione e il reddito coincidono sempre, pertanto la produzione in


funzione del reddito è rappresentata da una retta di 45°, con pendenza uguale a 1;

⇢ ora dobbiamo disegnare la domanda in funzione del reddito. La relazione è data


dall'equazione riordinata:

Z = (c0 + Ī + G - c1T) + c1Y

quindi la domanda dipende dalla spesa autonoma e dal reddito, attraverso il suo effetto sul
consumo. Quando il reddito è uguale a 0 la domanda è pari alla spesa autonoma, perchè
non dipende dal reddito. Mentre la pendenza della retta ZZ è data dalla propensione al
consumo, c1, pertanto è inclinata positivamente ma con pendenza inferiore a 1.

⇢ Possiamo dire che in equilibrio la produzione (o reddito) è uguale alla domanda.

Y=Z

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Cosa succede se varia una componente della spesa autonoma, ad es. la spesa
pubblica?

Se aumenta, aumenta la spesa autonoma, quindi l'intercetta verticale, di ΔG. In altra parole, la
curva di domanda trasla verso l'alto in misura pari a ΔG. Per il principio di domanda effettiva, un
aumento di domanda genera un aumento di offerta, ovvero di produzione.

1. Inizialmente la produzione aumenta di ΔG (punto B);

2. ma un aumento della produzione aumenta il reddito (produzione=reddito) di pari importo


(punto C) ΔY = ΔG

3. Un aumento di reddito genera un aumento del consumo, e quindi della domanda (punto D),
ma questa volta sarà dovuto a una componente endogena, il reddito: C = c0 + c1(Y + ΔG -
T) quindi la domanda varia di c1ΔG

4. Ancora una volta, un aumento di domanda genera un aumento di produzione pari a c1ΔG

5. Un aumento di produzione, aumenta il reddito che aumenta la domanda questa volta di


c12ΔG

6. ecc...

Si genera così un processo moltiplicativo tale per cui alla fne si forma un nuovo equilibrio nel punto
A' maggiore dell'equilibrio precedente. L'aumento totale della produzione è pari alla somma di tutti
gli aumenti nel processo moltiplicativo ovvero: ΔG (1 + c1 + c12 + ... + c1n) → serie geometrica

All'aumentare di n la somma continua ad aumentare, ma si avvicina a un limite, ovvero 1/(1 - c 1),


cosicchè l'aumento fnale della produzione è pari a ΔG [1/(1 - c1)].

ΔY / ΔG = 1/(1 - c1)

Il moltiplicatore è Y'G (derivata prima della funzione di produzione rispetto alla spesa pubblica).

La dimensione del moltiplicatore è collegata direttamente al valore della propensione al consumo:


quanto più alta è la propensione al consumo, tanto maggiore è il moltiplicatore. Dal punto di vista
economico il senso di questa variazione è il fatto che in ogni fase di aggiustamento avrò un maggiore
consumo e quindi complessivamente un moltiplicatore maggiore. c1 mi dice che al variare anche
esogeno del reddito nella fase iniziale il consumo, a causa della propensione al consumo, aumenterà
di più e porterà ad un aumento più consistente del reddito di equilibrio.

4. Investimento = risparmio
Un modo alternativo di considerare l'equilibrio (come faceva Keynes nella Teoria generale) è quello di
pensarlo in termini di risparmio e investimento.

Il risparmio aggregato è la somma di risparmio privato e risparmio pubblico:

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• Il risparmio privato, cioè il risparmio dei consumatori, è uguale al reddito disponibile al


netto del consumo:

S = YD – C
S=Y-T-C

• Il risparmio pubblico è uguale alle imposte meno la spesa pubblica. Se RP > 0 siamo in
avanzo di bilancio, se RP < 0 siamo in disavanzo di bilancio.

RP = T - G

Abbiamo detto che l'equazione di equilibrio nel mercato dei beni è:

Y=C+I+G
Y-T=C+I+G–T
Y-T-C=I+G–T

S=I+G-T

Ovvero:
I = S + (T - G)

Investimento = Risparmio aggregato

Questo spiega il perchè la condizione di equilibrio nel mercato dei beni è chiamata curva IS, che
sta per "Investimento = Risparmio (Saving)".

Ora possiamo descrivere l'equilibrio usando la nuova equazione.

Sapendo che l'equazione di comportamento al consumo è: C = c0 + c1 ( Y - T), cerchiamo di


scrivere l'equazione di comportamento al risparmio:

S = Y - T - c0 + c1 ( Y – T)
S = - c0 + (1 - c1) (Y - T)

c1 → propensione marginale al consumo


(1 - c1) → propensione marginale al risparmio, ci dice quanta parte di un incremento
unitario del reddito viene risparmiata. 0 < (1 - c1) < 1 quindi i consumatori non possono risparmiare
più di quanto percepiscono come reddito.

Quindi tornando all'equazione di equilibrio:

I = - c0 + (1 - c1) (Y - T) + (T – G)

che equivale a dire:

Y = 1/(1 - c1) (c0 + Ī + G - c1T)

Esattamente uguale all'equazione che abbiamo visto a pag. 19.

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Il paradosso del risparmio

Cosa succede al risparmio aggregato se i singoli consumatori decidono di risparmia di più?

In altre parole i consumatori a parità di reddito riducono c0 aumentando in tal modo il risparmio.
Diminuisce quindi la produzione Y, ovvero il reddito, e ciò diminuisce il risparmio!!

Torniamo all'equazione secondo cui investimento deve essere uguale al risparmio e ipotizziamo che
l'investimento sia una variabile esogena:

Ī = S + (T - G)

Neppure T e G cambiano. Pertanto neanche il risparmio privato S può cambiare. Anche se gli
individui vogliono risparmiare di più, dato un certo reddito, quest'ultimo si riduce in misura tale da
lasciare il risparmio invariato.

Ciò signifca che il tentativo di risparmiare di più si traduce in una riduzione del prodotto e in un
risparmio invariato. Lo stesso risultato si ottiene guardando il risparmio pubblico.

I risultati di questo modello hanno grande rilevanza nel breve periodo. Invece politiche economiche
che incoraggiano il risparmio potrebbero essere positive per l'economia nel medio e lungo periodo,
ma potrebbero condurre ad una riduzione della domanda e della produzione, e persino ad una
recessione, nel breve periodo.

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capitolo 4
I MERCATI FINANZIARI
1. La domanda di moneta
La ricchezza fnanziaria si può allocare in moneta o in titoli:

• La moneta può essere usata nelle transazioni, ma non paga interessi. Esistono due tipi di
moneta: quella circolante, cioè la moneta metallica e cartacea, e i depositi di conto corrente;

• I titoli pagano un interesse positivo, i, ma non possono essere usati per le transazioni.

Quale è preferibile? Da un lato, detenere tutta la ricchezza sotto forma di moneta è molto comodo
ma signifca anche non percepire alcun interesse sulla ricchezza. D'altra parte, detenere tutta la
ricchezza in titoli frutta interessi, ma costringe a rivolgersi all'intermediario di frequente. Quindi, è
utile detenere sia moneta che titoli. Ma in quali proporzioni? La decisione dipende da due variabili
fondamentali:

1. Il livello delle transazioni: ovvero a seconda di quanto pensiamo di spendere al mese;

2. Il tasso di interesse offerto dai titoli: l'unica ragione per detenere parte della ricchezza in
titoli è che questi pagano un interesse.

Derivazione della domanda di moneta. La domanda di moneta di un'economia nel suo


insieme, Md, dipende quindi dal livello totale delle transazioni nell'economia e dal tasso di interesse
che pagano i titoli. Il livello totale delle transazioni è diffcile da misurare, ma possiamo assumere
che sia più o meno proporzionale al reddito nominale. Possiamo quindi scrivere la relazione tra
domanda di moneta, reddito nominale e tasso di interesse come:

Md = €Y L(i)(-)

L(i) indica una funzione decrescente del tasso di interesse i. Il segno meno sotto i indica che il tasso
di interesse ha un effetto negativo sulla domanda di moneta: un aumento del tasso di interesse
riduce la domanda di moneta.
Quindi riassumendo, la domanda di moneta: - aumenta proporzionalmente al reddito nominale;
- dipende negativamente dal tasso di interesse.

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La curva Md è inclinata negativamente: minore è il tasso di interesse, maggiore sarà la quantità di


moneta che le persone vogliono detenere. Fissato un certo tasso di interesse, un aumento del reddito
nominale fa aumentare la domanda di moneta. Ovvero, un aumento del reddito nominale (variabile
esogena) sposta la domanda di moneta verso destra.

2. La determinazione del tasso di interesse (I)

2.1. Domanda di moneta, offerta di moneta e tasso di interesse di equilibrio

Supponiamo che la sola moneta presenta nell'economia assuma la forma di moneta circolante, e che
la banca centrale decida di offrire un ammontare di moneta uguale a M, cosicchè:

Ms = M

quindi la banca centrale controlla perfettamente l'offerta di moneta Ms.

L'equilibrio nei mercati fnanziari richiede che Ms = Md. Pertanto la condizione di equilibrio LM è:

M = €Y L(i)

LM ci dice il valore di i che induce gli individui a tenere una quantità di moneta pari all'offerta di
moneta, M, dato il loro reddito nominale €Y.

L'offerta di moneta è una retta verticale perchè non dipende dal tasso di interesse.

Possiamo ora considerare gli effetti di variazione del reddito nominale o dell'offerta di moneta sul
tasso di interesse di equilibrio:

• Un incremento del reddito nominale fa aumentare il livello di transazione e quindi la


domanda di moneta, la cui curva si sposta verso destra. L'equilibrio di sposta e il tasso di
interesse aumenta. Perchè? In corrispondenza del tasso di interesse iniziale, la domanda di
moneta eccede l'offerta di moneta. Per indurre gli individui a tenere una quantità inferiore
di moneta, e ristabilire l'equilibrio, è necessario che il tasso di interesse aumenti.

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↑€Y ⇨↑Md ⇨ Md > Ms

↑i ⇨↓Md ⇨ Md = Ms

• Un aumento dell'offerta di moneta sposta verso destra la curva di offerta: l'equilibrio si


sposta e il tasso di interesse diminuisce. La riduzione del tasso di interesse fa aumentare la
domanda di moneta in modo da eguagliare la nuova, maggiore, offerta di moneta.

↑M ⇨↑Ms ⇨ Md < Ms

↓i ⇨↑Md ⇨ Md = Ms

2.2. Politica monetaria e operazioni di mercato aperto

Nelle economie moderne, la banca centrale normalmente modifca l'offerta di moneta attraverso
l'acquisto e la vendita di titoli nel mercato obbligazionario. Se desidera aumentare la quantità di
moneta, compra titoli e li paga immettendo nuova moneta nel sistema (OMO+, operazione
espansiva di mercato aperto). Se, invece, vuole diminuire la quantità di moneta, vende titoli e
rimuove dalla circolazione la moneta che riceve in pagamento (OMO-, operazione restrittiva di
mercato aperto). Pertanto le attività della banca centrale sono costituite dai titoli che tiene in
portafoglio, mentre le passività sono costituite dallo stock di moneta presente nell'economia.

Prezzo e rendimento dei titoli. Nel mercato dei titoli si determina non il tasso di interesse, ma
il prezzo dei titoli. Queste due variabili sono direttamente collegate:

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• Supponiamo che i titoli nella nostra economia garantiscano il rimborso di 100€ dopo un
anno e che il loro prezzo oggi sia di €PT. Se compriamo il titolo oggi e lo teniamo per un
anno, il rendimento del titolo detenuto fno a scadenza (ovvero il tasso di interesse) sarà
uguale a:

i = €100 - €PT
€PT

Se €PT = 95€, i = 5,3%


Se €PT = 90€, i = 11,1%
ecc..

Pertanto, quanto più elevato è il prezzo del titolo, tanto minore sarà il tasso di interesse
pagato dal titolo stesso ⇨ Se quanto si ottiene dal titolo tra un anno è fsso, più lo pago oggi
e meno interesse percepisco al momento del rimborso.

• Se conosciamo il tasso di interesse, possiamo risalire al prezzo del titolo riordinando la


formula:

€PT = €100
1+i

Quindi, quanto maggiore è il tasso di interesse, tanto minore sarà il prezzo del titolo oggi
⇨ Per percepire un interesse maggiore, dato che il rimborso è fsso, devo pagare meno il
titolo oggi.

Operazioni di mercato aperto.

OMO+ → La banca centrale acquista titoli e li paga emettendo nuova moneta. Aumenta la
domanda di titoli e, di conseguenza, ne fa aumentare il prezzo. Quindi, il tasso di interesse sui titoli
scende.

OMO- → La banca centrale vende titoli e riduce l'offerta di moneta. Questo provoca un aumento
dell'offerta di titoli e, quindi, una riduzione del loro prezzo, che equivale ad un aumento del tasso di
interesse

Riassumendo:

• Il tasso di interesse è determinato dall'uguaglianza tra offerta e domanda di moneta.

• Variando l'offerta di moneta, la banca centrale può infuenzare il tasso di interesse.

• La banca centrale modifca l'offerta di moneta attraverso le operazioni di mercato aperto:


aumenta l'offerta acquistando titoli, di conseguenza aumenta il prezzo dei titoli e quindi si
riduce il tasso di interesse, diminuisce l'offerta vendendo titoli, di conseguenza diminuisce il
prezzo e quindi aumenta il tasso di interesse.

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3. La determinazione del tasso di interesse (II)

3.1. Il ruolo delle banche

Le banche rappresentano una specifca tipologia di intermediari fnanziari. Ciò che le caratterizza è
che le loro passività sono moneta.

• Le banche ricevono fondi da individui e imprese che in qualsiasi momento possono emettere
assegni o prelevare fno all'ammontare del loro saldo di conto corrente. Quindi, le passività
delle banche sono pari al valore totale dei depositi di conto corrente.

• Le banche detengono parte dei fondi ricevuti sotto forma di riserve. Si tratta di riserve di
moneta detenute in parte in contanti e in parte su un conto che le banche hanno presso la
banca centrale e dal quale possono prelevare in caso di bisogno. Quindi, le attività delle
banche sono costituite da riserve e titoli (anche dai prestiti, ma per adesso li ignoriamo).

3.2. Offerta e domanda di moneta della banca centrale

La domanda di moneta è la conseguenza di due decisioni:

1. Gli individui devono decidere quanta moneta detenere.


Come sappiamo la domanda di moneta è espressa dall'equazione: Md = €Y L(i)

2. Gli individui devono decidere quanta parte di questo ammontare detenere in forma
circolante e quanta parte in forma di depositi di conto corrente.
Assumiamo che gli individui tengano una percentuale fssa della loro moneta in forma di
circolante (c) e, di conseguenza, una percentuale fssa (1 - c) in forma di depositi di conto
corrente.

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CId = cMd
Dd = (1 - c)Md

La domanda di depositi genera una domanda di riserve da parte delle banche. Tra riserve e
depositi esiste la seguente relazione: R = θD, riserve in euro = coeffciente di riserva x depositi in
euro.
Il coeffciente di riserva è l'ammontare di riserve che le banche decidono di detenere per ogni euro
di depositi di conto corrente.

Allora la domanda di riserva da parte delle banche è data da:

Rd = θ (1 - c) Md

La domanda di moneta della banca centrale, come sappiamo è uguale a:

Hd = CId + Rd
Hd = cMd + θ (1 - c) Md = [c + θ (1 - c)] Md

infne Hd = [c + θ (1 - c)] €Y L(i)

Se c < 1 ⇨ Hd < Md = €Y L(i)

La condizione di equilibrio è che l'offerta di moneta della BC sia uguale alla domanda di moneta
della BC:

H = Hd
ovvero: H = [c + θ (1 - c)] €Y L(i)
(High power money)

Se c = 1 (gli individui tengono solo circolante) → H = €Y L(i)


Se c = 0 (gli individui tengono solo depositi) → H = θ €Y L(i)
[c + θ (1 - c)] → fattore di proporzionalità

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Un più elevato tasso d'interesse implica una minore domanda di moneta della BC poichè la
domanda per i depositi di conto corrente, e quindi la domanda di riserve da parte delle banche,
diminuisce quando i tasso d'interesse sono maggiori (con offerta fssa). Mentre se aumenta l'offerta di
moneta della BC diminuisce il tasso di interesse, se diminuisce l'offerta aumenta il tasso di interesse.

Il moltiplicatore della moneta (m)

Riordinando l'equazione si ottiene

€Y L(i) = 1 xH
[c + θ (1 – c)]

Quando ↑θ ⇨ ↓m ⇨ ↓M
➡ la moneta si riduce quando ↑θ o↑c
Quando ↑c , se θ < 1 ⇨ ↓m ⇨ ↓M

se [c + θ (1 – c)] < 1 ⇨ m > 1

se θ = 100% = 1 ⇨ m = 1

se 0 < θ < 1 e c = 0 ⇨ m = 1/θ > 1

Il processo di creazione della moneta

• BC acquista titoli per 100€ (OMO+) dal venditore 1 che riceve 100€

• Il venditore 1 (per ipotesi c = 0) deposita i 100€ in un c/c della banca A

• La banca A alimenta le riserve di 10€ R = θD = 0,10(100€) = 10€

• La banca A con i rimanenti 90€ acquista titoli dal venditore 2

• Il venditore 2 deposita i 90€ in un c/c della banca B

• La banca B alimenta le riserve di 9€

• La banca B con i rimanenti 81€ acquista titoli dal venditore 3

• ecc..

∆M = 100€ + (1 - θ) 100€ + (1 - θ)(1 - θ) 100€ + …

= 100€ [1 + (1 – θ) + (1 - θ2) + …]

= 100€ 1
[c + θ (1 – c)]

= 100€ (1/θ)

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4. La trappola della liquidità


Possiamo concludere che la BC, scegliendo opportunamente l'offerta di moneta delle BC, è sempre
in grado di scegliere il tasso di interesse desiderato. Tuttavia c'è un'eccezione: il tasso di interesse
non può scendere sotto lo zero, limite conosciuto come zero lower bound, sviluppato da Keynes.
Quando il tasso di interesse è sceso a zero, la politica monetaria non è in grado di ridurlo
ulteriormente. La politica monetaria non funziona più, e l'economia viene considerata in una
trappola della liquidità.

Quando le persone hanno abbastanza moneta per effettuare le transazioni, sono indifferenti tra
tenere il resto della loro ricchezza fnanziaria in titoli o in moneta. La ragione della loro indifferenza
è che sia i titoli che la moneta pagano lo stesso tasso di interesse, pari a zero. Così la domanda di
moneta diventa come quella rappresentata nella fgura:

• Al diminuire del tasso di interesse, gli individui vogliono tenere più moneta (e meno titoli): la
domanda di moneta aumenta.

• Quando il tasso di interesse diventa uguale a 0, vogliono detenere una quantità di moneta
pari a OB, ma sono disposti a tenere una quantità anche maggiore, poichè sono indifferenti
tra titoli e moneta (aumenta la liquidità). Quindi oltre a B, la domanda di moneta diventa
orizzontale.

5. Flussi e Stock
Un'immagine che ci rappresenta i fussi e gli stock potrebbe essere una vasca: il rubinetto (fusso)
alimenta la vasca, andando a creare un fondo (stock). L'attività fnanziaria e la moneta sono stock, il
reddito e i risparmi sono un fusso che si produce in un periodo di tempo.

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capitolo 5
IL MODELLO IS-LM

1. Il mercato dei beni e la curva IS


Nel capitolo precedente, per semplifcazione, avevamo ipotizzato che il tasso di interesse non
infuenzasse la domanda di beni. In questo capitolo introdurremo il tasso di interesse nel modello di
determinazione dell'equilibrio nel mercato dei beni.

1.1. Investimento, vendite e tasso di interesse

L'investimento, che avevamo considerato costante, è tutt'altro che costante e dipende da 2 fattori:

1. Il livello delle vendite → un'impresa che vuole aumentare le vendite e deve aumentare la
produzione dovrà investire e acquistare nuovi macchinari.

2. Il tasso di interesse → un'impresa deve decidere se acquistare un nuovo macchinario,


prendendo a prestito del denaro, o non acquistarlo. Quanto più alto è il tasso di interesse,
tanto meno conveniente sarà la prospettiva di indebitarsi per realizzare il nuovo
investimento in quanto i proftti addizionali non basteranno a coprire il pagamento degli
interessi sul prestito (mi conviene comprare titoli).

L'equazione dell'investimento sarà quindi:

I = I(Y, i)
(+, –)

L'investimento I dipende: positivamente dalla produzione Y, e negativamente dal tasso di interesse i.


Cd. teoria dell'acceleratore: un aumento delle vendite (e quindi della produzione) provoca un
aumento di I, un aumento del tasso di interesse provoca una riduzione di I.

1.2. La determinazione della produzione

La condizione di equilibrio nel mercato dei beni diventa:

Y = C(Y – T) + I(Y, i) + G → relazione IS estesa

Per un dato valore del tasso di interesse la domanda è una funzione crescente della produzione. La
produzione è invece una funzione decrescente del tasso di interesse.

1.3. La curva IS

Cosa succede alla curva ZZ quando il tasso di interesse cambia?

Un aumento del tasso di interesse riduce l'investimento e la domanda, pertanto la curva di domanda
ZZ si sposta verso il basso in ZZ'.
Tuttavia la riduzione totale della produzione in equilibrio è maggiore dell'iniziale riduzione di I.

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Questo perchè la riduzione di I fa diminuire la produzione che a sua volta riduce ulteriormente il
consumo e I attraverso l'effetto del moltiplicatore.

L'equilibrio nel mercato dei beni implica che ad


un aumento del tasso di interesse corrisponde una
riduzione del livello di produzione. Questa
relazione è rappresentata dalla curva IS
negativamente inclinata della fgura (b).

1.4. Spostamenti della curva IS

Variazioni di T e G comportano uno spostamento


della curva IS nel piano.

(politica fscale restrittiva: ↓G o↑T , oppure


agisco sulla spesa autonoma↓I o↓c0)

Per un dato tasso di interesse, ad esempio, un


aumento delle imposte provoca una riduzione del
livello di produzione (↓C, ↓Z, ↓Y) e la curva
IS si sposta verso sinistra e la curva ZZ si sposta
verso il basso. Lo stesso vale per la riduzione di G
o del grado di fducia dei consumatori, ovvero di c0.

IN CONLUSIONE:

• L'equilibrio del mercato dei beni richiede che


un aumento del tasso di interesse sia associato
a una riduzione della produzione. Questa
relazione è rappresentata dalla curva IS.

• Fissato il tasso di interesse, ogni fattore che


RIDUCE il livello di equilibrio della
produzione fa spostare la curva IS verso
SINISTRA. Fissato il tasso di interesse, ogni
fattore che AUMENTA il livello di equilibrio
della produzione fa spostare la curva IS verso
DESTRA.

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2. I mercati fnanziari e la curva LM


Nel capitolo 4 abbiamo visto che il tasso di interesse è determinato dall'eguaglianza tra offerta M
(determinata dalla BC) e domanda di moneta:

M = €Y L(i)

2.1. Moneta reale, reddito reale e tasso di interesse

È conveniente riscrivere la relazione considerando la moneta reale (moneta in termini di beni che
possono essere acquistati), reddito reale (reddito in termini dei beni che possono essere acquistati) e
tasso di interesse. Il reddito reale è uguale al reddito nominale diviso il livello dei prezzi, pertanto
dividiamo entrambi i lati per il livello dei prezzi P, otteniamo l'equazione LM:

M/P = Y L(i)
offerta reale di moneta = domanda reale di moneta

È conveniente perchè, quando ci riferiamo all'equilibrio del mercato dei beni parliamo di reddito
reale Y, che è uguale alla produzione reale.

2.2. La curva LM

Come derivare la curva LM?

L'equazione LM appena vista ci dice che, per esempio, fssata l'offerta di moneta, un aumento del
reddito porta automaticamente ad un aumento del tasso di interesse.

↑Y ⇨↑Md ⇨ Md > Ms ⇨↑i ⇨↓Md

Oggi le BC scelgono un tasso di interesse, chiamandolo ī, e aggiustano l'offerta di moneta in modo


tale da raggiungerlo. Pertanto la curva LM sarà rappresentata da una RETTA ORIZZONTALE
disegnate in corrispondenza del valore del tasso di interesse ī scelto dalla BC (obiettivo che si
raggiunge movimentando Ms)

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3. Il modello IS-LM
La curva IS deriva dall'equilibrio nel mercato dei beni. La curva LM deriva dall'equilibrio nei
mercati fnanziari. Quindi, per raggiungere equilibrio nella nostra economia, sia la IS sia la LM
devono VALERE SIMULTANEAMENTE.

Relazione IS: Y = C(Y – T) + I(Y, i) + G


Relazione LM: i = ī

Congiuntamente, queste due relazioni determinano


la produzione.

Il punto A corrisponde all'equilibrio generale, il


punto in cui si ha equilibrio sia nel mercato dei
beni sia nei mercati fnanziari.

3.1. Politica fscale

Supponiamo che il governo decida di ridurre il disavanzo di bilancio attraverso un aumento delle
imposte, mantenendo invariata la spesa pubblica.

consolidamento fscale o contrazione fscale: ↑T o↓G


espansione fscale: ↑G o↓T

In che modo si muove la curva IS e la curva LM?

Curva IS: dato un tasso di interesse, un aumento delle imposte riduce la produzione e la curva IS si
sposta verso sinistra (verso destra se si parla di espansione fscale, in quanto, ad esempio, un
aumento della spesa pubblica aumenta la produzione in quanto aumenta la domanda: Z = C+I+G)

Curva LM: poiché stiamo guardando ad un cambiamento della politica fscale, la BC non modifca
il tasso di interesse. Quindi, la curva LM rimane invariata e non subisce spostamenti.

Descriviamo gli effetti a parole:


L'incremento delle imposte provoca una riduzione
del reddito disponibile, che a sua volta induce gli
individui a consumare di meno. Il risultato,
attraverso l'effetto del moltiplicatore, corrisponde ad
una diminuzione della produzione e del reddito.
Consideriamo la composizione della produzione: La
riduzione del reddito e l'aumento delle tasse
contribuiscono entrambi ad una riduzione del
reddito disponibile e, quindi, ad una diminuzione del
consumo. La riduzione della produzione porta ad un
calo dell'investimento. Così, sia il consumo che
l'investimento si riducono.

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STUDIO DI CASO: Kennedy e la teoria dell'economia keynesiana

Nel 1964 Kennedy decise di attuare una PF+ riducendo le imposte:

↓T ⇨↑Z ⇨↑Y ΔPil T.


reale disoccupazione
↓T(imprese) ⇨↑I ⇨↑Y
1964 +5,3% 5,2%
↓T ⇨↑offerta di lavoro
1965 +6% 4,5%
Un giornalista chiese a Kennedy la ragione del taglio delle imposte, Kennedy rispose: "per stimolare
l'economia. Non ho frequentato il corso di base di economia?"

3.2. Politica monetaria

Supponiamo che la BC riduca il tasso di interesse attuando una politica di espansione monetaria.

espansione monetaria: compra titoli ⇨ ↑H ⇨ ↓i


contrazione monetaria : vende titoli ⇨ ↓H ⇨↑i

In che modo si muove la curva IS e la curva LM?

Curva IS: il cambiamento del tasso di interesse non altera la relazione tra produzione e tasso di
interesse pertanto la curva IS non si sposta.

Curva LM: al contrario la curva LM si sposta verso il basso in corrispondenza del nuovo tasso di
interesse (↑H o ↓m ⇨ ↓θ sapendo che: M = H(1/c+θ(1-c) ).
(Si sposta verso l'alto se si parla di contrazione monetaria: ↓H o ↑m ⇨ ↑θ ).

Descriviamo gli effetti a parole:


La riduzione del tasso di interesse stimola
l'investimento e, quindi, fa aumentare la domanda e
la produzione. Consideriamo la composizione della
produzione: l'aumento della produzione e la
riduzione del tasso di interesse contribuiscono
entrambe ad un aumento dell'investimento.
L'aumento del reddito conduce ad un aumento del
reddito disponibile e, in questo modo, del consumo.
Quindi, sia il consumo che l'investimento
aumentano.

↑M ⇨↓ī ⇨↑I ⇨↑Y


Y = C+I+G → I (Y, i)
(+, –)

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4. Mix di politica economica


Nella pratica la politica monetaria e politica fscale vengono utilizzate insieme. Perché? Una
ragione sta nel fatto che nè la politica fscale nè quella monetaria funzionano perfettamente (una
riduzione delle imposte potrebbe non aver successo nell'aumentare il consumo). Così, nell'evenienza
che una politica economica non funzioni come sperato, è preferibile ricorrere ad entrambe.

➢ A volte il giusto mix richiede che le due politiche vadano nella STESSA DIREZIONE.

Sì immagini, per esempio, che l'economia sia in


recessione e la produzione troppo bassa. In questo caso,
sia la politica fscale che quella monetaria possono essere
usate per aumentare la produzione: PF+, ad esempio
attraverso una riduzione delle imposte, spostando la
curva IS verso destra, e PM+, spostando la curva LM
verso il basso. Un maggior reddito e minori imposte
implicano che il consumo sia maggiore. Una maggior
produzione e un minor tasso di interesse implicano che
anche l'investimento sia maggiore.

STUDIO DI CASO. Una tale combinazione di politica fscale monetaria e tipicamente


usata per contrastare le recessioni, come fu, per esempio, il caso durante la recessione
statunitense del 2001: PM+ = a partire dall'inizio del 2001, la Fed, sospettando un
rallentamento dell'economia, cominciò a diminuire aggressivamente il federal funds rate. Il
tasso di interesse statunitense, che era pari al 6,5% a gennaio, fu ridotto fno a meno del 2%
entro la fne dell'anno; PF+ = Durante la campagna presidenziale del 2000, l'allora
candidato George Bush fece della riduzione delle imposte il cavallo di battaglia della sua
candidatura. La sua proposta era che, poiché il bilancio federale si trovava in avanzo, c'era
spazio di manovra per ridurre le aliquote d'imposta mantenendo il pareggio di bilancio.
Quando il presidente Bush cominciò il suo mandato nel 2001 e divenne chiaro che
l'economia stava rallentando, egli si ritrovò con un'ulteriore ragione per tagliare le aliquote:
una riduzione delle imposte era necessaria per sostenere la domanda e contrastare la
recessione. Dal lato delle uscite, invece, gli eventi dell'11 settembre 2001 portarono ad un
aumento della spesa pubblica, principalmente per la difesa la sicurezza nazionale. La fgura
tre mostra l'evoluzione delle entrate di (gettito fscale) e dell'uscita (spesa pubblica) nel
periodo dal 1990-I al 2002-IV, Entrambe espresse come percentuale del Pil. Si noti la
drastica riduzione dell'entrata a partire dal terzo trimestre del 2001.
Tasso di crescita statunitense Entrate e uscite del governo (in %Pil)

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➢ A volte un corretto mix consiste nell'utilizzare la politica monetaria e quella fscale in


DIREZIONI OPPOSTE.

Supponiamo, ad esempio, che il governo si ritrovi con un grande disavanzo di bilancio e


vorrebbe ridurre, senza però dare il via ad una recessione. Se il governo riduce il disavanzo
di bilancio con una PF –, aumentando T e/o riducendo G, la curva IS si sposterà a sinistra
in corrispondenza di un livello di produzione
inferiore. Dato il tasso di interesse, maggiori
imposte o minor spesa pubblica ridurranno la
domanda e, attraverso il moltiplicatore, la
produzione. Così, la riduzione del disavanzo di
bilancio condurrà ad una recessione. Tuttavia, la
recessione può essere evitata se viene utilizzata
anche una PM+. Se la BC riduce il tasso di
interesse, l'equilibrio torna in corrispondenza di un
livello di produzione uguale a quello di partenza.

STUDIO DI CASO. Questa combinazione fu adottata negli Stati Uniti nei primi anni 90.
Quando Bill Clinton fu eletto presidente nel 1992, una delle sue priorità era ridurre il
disavanzo di bilancio usando una combinazione di tagli alla spesa e aumenti delle imposte.
Tuttavia, Clinton temeva che, da sola, una tale stretta fscale riducesse la domanda e
causasse un'altra recessione. La strategia più corretta prevedeva la combinazione di una PF –
(per ridurre il disavanzo) e di una PM+ (per accertarsi che la domanda e la produzione si
mantenessero elevate). Il risultato di questa strategia fu una riduzione stabile del disavanzo di
bilancio e un aumento stabile della produzione nel resto del decennio.

5. Il modello IS-LM e la realtà


Fino adesso abbiamo immaginato che l'economia si muovesse istantaneamente da un punto di
equilibrio all'altro. Tutto ciò non è realistico poiché l'aggiustamento della produzione richiede
tempo. Per tenere conto di ciò dobbiamo reintrodurre la dinamica:

1. Ai consumatori servirà del tempo per aggiustare il loro consumo in seguito a una variazione
del reddito disponibile;

2. Alle imprese servirà del tempo per aggiustare la spesa per investimento in seguito a una
variazione delle vendite/tasso di interesse;

3. Alle imprese servirà del tempo per aggiustare la produzione in seguito a una variazione della
domanda.

Di conseguenza, in seguito a un aumento delle imposte, ci vuole del tempo prima che la spesa per
consumi risponda alla riduzione del reddito disponibile, altro tempo prima che la produzione
diminuisca in seguito alla riduzione del consumo e altro tempo ancora prima che il consumo
diminuisca in seguito alla riduzione del reddito, è così via. In seguito ad una riduzione del tasso di
interesse, ci vuole tempo prima che la spesa per investimento reagisca alla riduzione del tasso di

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interesse, altro tempo prima che la produzione aumenti in seguito all'aumento della domanda, altro
tempo ancora prima che il consumo e l'investimento aumentino in seguito alla variazione indotta
dal reddito, e così via.

La fgura confronta gli effetti di un aumento del tasso di interesse nell'Eurozona e negli Stati Uniti.
La linea nera al centro dell'intervallo rappresenta la miglior stima dell'effetto della variazione del
tasso di interesse sulla variabile considerata in quel riquadro. Le due linee rosse tratteggiate e lo
spazio tra queste ultime rappresentano un intervallo di confdenza.

• Produzione: l'aumento del tasso di interesse porta a una riduzione della produzione.
Nell'Eurozona, il miglior calo della produzione è raggiunto nel secondo e nel terzo trimestre
dopo l'aumento del tasso di interesse, mentre gli Stati Uniti dopo cinque trimestri.

• Prezzi: una delle ipotesi del modello IS-LM è che il livello dei prezzi sia dato, e quindi non
cambia al variare della domanda. Questo è vero nel breve periodo, ma nel medio periodo il
livello dei prezzi comincia a diminuire.

Sia il livello dei prezzi che la produzione reagiscono in misura maggiore negli Stati Uniti, anche se
l'intensità delle risposte alla è fne la stessa.

Possiamo concludere che il modello IS-LM è compatibile con l'andamento dell'economia nella
realtà nel breve periodo.

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capitolo 6
IL MODELLO IS-LM ESTESO

1. Tasso di interesse nominale e reale


Il tasso di interesse nominale it è il tasso di interesse espresso in termini di EURO.
Il tasso di interesse reale rt è il tasso di interesse espresso in termini di BENI.

Come è possibile passare dal tasso di interesse nominale a quello reale? Dobbiamo correggere il
tasso di interesse nominale per l'infazione attesa.

Es. Secondo la defnizione di tasso di interesse a nominale, se prendiamo in prestito 1€ quest'anno


pagheremo (1+ it) il prossimo anno. Tuttavia vogliamo sapere quanto pane potremo acquistare:

1. Supponiamo di voler mangiare 1 kg di pane quest'anno, se il prezzo del pane quest'anno è P t


euro dovremmo farci prestare Pt euro.

2. Sapendo che it è il tasso di interesse nominale in un anno, se ci facciamo prestare Pt euro


dovremo ripagare (1 + it) P euro il prossimo anno.

3. Ora bisogna convertire gli euro nella quantità di pane acquistabile in un anno. Indichiamo
con Pet+1 il prezzo del pane atteso l'anno prossimo. Quello che dovremo restituire il prossimo
anno in termini di chili di pane equivale a (1 + it) Pt/Pet+1.

Mettendo insieme la parte superiore e la parte inferiore della fgura, ne deriva che il tasso di
interesse reale a un anno è dato da:

1 + rt = (1 + it) (Pt /Pet+1)

Cerchiamo di riscriverla in modo più intuitivo. L'infazione attesa tra t e t +1 è pari a:

πet+1 = (Pet+1 – Pt) / Pt

Aggiungendo 1 a entrambi i lati dell'equazione e prendendo l'inverso si ottiene: 1/(1+πet+1)=Pt/ Pet+1


Sostituiamo nell'equazione di partenza

(1 + rt) = (1 + it) / (1 + πet+1)

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(1 + x)/(1 + y) = 1 + x – y
(1 + it)/(1 + πet+1) = 1 + it – πet+1

Per it e πet+1 piccoli (meno del 20% per anno) si può approssimare a:

1 + rt ≈ 1 + it – πet+1
rt ≈ it – πet+1

Quest'ultima equazione porta con sé alcune implicazioni:

• se πet+1 = 0 ⇨ rt = i t

• se πet+1 > 0 ⇨ rt < i t

• dato it , ↑πet+1 ⇨↓rt

1.1. Zero lower bound e defazione

Sebbene la BC scelga il tasso di interesse nominale, essa si concentra sul tasso reale perché è questo
che importa agli individui e alle imprese. Per raggiungere il tasso reale desiderato, la BC deve tenere
in considerazione le aspettative sull'infazione. Se, per esempio, vuole raggiungere un tasso di
interesse pari a r, deve scegliere un tasso di interesse nominale i tale che, fssate le aspettative
sull'infazione, πe, il tasso di interesse reale, r = i – πe, sia pari al livello desiderato.

Inoltre, come abbiamo già visto, lo zero lower bound implica che il tasso nominale non può essere
negativo (altrimenti gli individui non vorranno detenere titoli). Questo implica, a sua volta, che il
tasso reale non può essere minore del negativo dell'infazione. Ad esempio, se l'infazione attesa è
pari al 2% il tasso di interesse reale minimo può essere 0% – 2% = –2%.

Fintanto che l'infazione attesa è positiva è possibile raggiungere tassi reali negativi. Ma se
l'infazione attesa diventa negativa, cioè se gli individui si aspettano defazione, allora il valore
minimo raggiungibile dal tasso reale è positivo e può persino essere un valore elevato.

2. Rischio e premio per il rischio


Chiunque presta denaro corre il rischio di non vedere rimborsato quanto dato a prestito. Per
assumersi tale rischio, coloro che comprano titoli (cioè coloro che prestano denaro) richiedono un
premio per il rischio, x.

Cosa determina il premio per il rischio?

⇢ PROBABILITÀ di FALLIMENTO del DEBITORE.

i = tasso di interesse su titolo privo di rischio


(i+x) = tasso di interesse su titolo rischioso, con probabilità p di fallimento

(1 + i) = (1 – p)(1 + i + x) + (p)(0)

rendita titolo privo di rischio = rendita titolo rischioso

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Con probabilità p il debitore fallisce e il titolo non pagherà nulla, p(0)=0. Con probabilità
(1 – p) il debitore non fallirà e il titolo pagherà (1 + i + x). Riorganizzando i termini
otteniamo l'espressione del rendimento atteso del titolo rischioso:

x = (1 + i)p / (1 – p)

A parità di i: ↑p ⇨ ↑x

⇢ GRADO di AVVERSIONE al RISCHIO dei CREDITORI

↑avversione ⇨ ↑x

La scala di valutazione della rischiosità varia AAA (praticamente prive di rischio), a BBB,
fno a C (titoli con un'elevata rischiosità). Il tasso di interesse sulle obbligazioni societarie più
rischiose (BBB) è maggiore del tasso sulle obbligazioni più sicure (AAA)

La fgura mostra i rendimenti dei titoli di Stato decennali di quattro paesi. Notiamo che:

▪ Fino al 2008 i rendimenti dei titoli di Stato di questi paesi erano allineati: questo
signifca che nessuno di questi era percepito come più ho meno rischioso degli altri.

▪ Quando è iniziata la crisi fnanziaria americana, seguita a ruota da quella europea,


alcuni paesi, come Italia e Grecia, hanno iniziato ad essere percepiti come più
rischiosi; altri (Germania e Stati Uniti), come meno rischiosi. I rendimenti dei primi
due si sono inpennati, mentre quelli degli ultimi due sono diminuiti.

3. Il ruolo degli intermediari fnanziari


Finanziamento diretto → il debitore prendo a prestito direttamente dal creditore
Finanziamento indiretto → intermediari fnanziari (istituzioni fnanziarie) ricevono fondi dai
risparmiatori o dagli investitori e puoi prestarli ad altri. Tra queste istituazioni ci sono le banche.

Analizziamo un bilancio molto semplifcato di una banca:

Attivo 100 Passivo 80


Capitale 20

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Si può quindi pensare che gli azionisti della banca abbiano investito 20 di tasca propria, che
abbiano poi preso a prestito altri 80 da vari investitori e che abbiano comprato attività per un valore
di 100. Nel capitolo 4 abbiamo ignorato il capitale, ma ora diventa importante considerarlo;
cerchiamo di capire il perchè.

La scelta della leva fnanziaria

QUOTA di CAPITALE sugli IMPIEGHI (capital ratio) = capitale / attivo

LEVA FINANZIARIA (leverage ratio) = attivo / capitale

Per la banca riportata: quota = 20%, leva = 5

Nel decidere quale leva fnanziaria adottare, la banca deve valutare due fattori:

1. Maggiore leva fnanziaria implica un più elevato tasso di proftto atteso (diminuisce il
capitale investito dagli azionisti)

2. Maggiore leva fnanziaria implica un maggior rischio di fallimento. Aumenta, infatti, il


rischio che il valore delle attività diventi minori di quello delle passività che, a sua volta,
implica un maggiore rischio di insolvenza da parte della banca (una banca è solvente se il
valore delle sue attività eccede il valore delle sue passività, ovvero, se ha abbastanza attività
per ripagare le passività esistenti). Non è infatti detto che tra le attività ci siano attività
facilmente liquidabili.

La banca deve quindi scegliere una leva fnanziaria che bilanci questi due fattori.

⇨ Tutto ciò si ricollega alla macroeconomia perché un evento avverso nel sistema fnanziario
riduce il valore attivo delle banche: alcune banche falliscono, le altre riducono i prestiti, e tale
riduzione nella concessione di prestiti avrà effetti sull'economia reale.

Liquidità

Consideriamo ora il caso in cui gli investitori abbiano dubbi sul valore dell'attivo di una banca e
credano, a torto o a ragione, che il valore dell'attivo sia diminuito.

La cosa più sicura da fare per loro e riappropriarsi dei fondi che avevano investito nella banca. La
banca deve trovare fondi suffcienti per rimborsare questi investitori ed è quindi costretta a vendere
le proprie attività (prestiti concessi). Vendere queste attività ad un'altra banca è altrettanto diffcile,
perché l'altra banca fatica a valutare il valore esatto. La banca e quindi costretta a venderle a un
prezzo di svendita, cioè a prezzi molto inferiori al valore di tali attività. Tuttavia, ciò peggiora solo
la situazione, in quanto con la diminuzione del valore dell'attivo, è possibile che la banca diventi
insolvente e vado in bancarotta.

Possiamo riassumere che minore è la liquidità delle attività (ovvero, maggiore la diffcoltà nel
venderle), maggiore è il rischio di svendita e quindi che la banca diventi insolvente e fnisca in
bancarotta. Lo stesso accade quando maggiore è la liquidità delle passività (ovvero, maggiore è la
facilità con cui gli investitori possono prelevare i loro fondi senza o con poco preavviso).

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4. Il modello IS-LM esteso


Il modello IS-LM che abbiamo introdotto nel cap.5 aveva un solo tasso di interesse, stabilito dalla
BC. Dobbiamo ora estendere il modello di partenza, prima di tutto, distinguendo tra il tasso
nominale e quello reale, e successivamente, distinguendo tra il tasso di interesse stabilito dalla BC e i
tassi a cui i debitori possono prendere a prestito che dipendono, come abbiamo visto, dal rischio
associato ai singoli debitori e dallo stato di salute degli intermediari fnanziari.

Introduciamo queste due considerazioni riscrivendo il modello IS-LM nel seguente modo:

Relazione IS: Y = C (Y – T) + I (Y, i – πe + x) + G


Relazione LM: i = ī

• L'infazione attesa, πe, rifette il fatto che le decisioni di spesa dipendono dal tasso di
interesse reale, r = i – πe, piuttosto che da quello nominale.

• Il premio per il rischio, x, rifette tutti i fattori discussi in precedenza.

Il tasso di interesse che entra nella relazione LM, i, non è più lo stesso che entra nella relazione IS,
r + x. Il tasso nella relazione LM è chiamato tasso di policy (poichè stabilito dai policy-maker),
mentre il tasso nella relazione IS è chiamato tasso sui prestiti (poichè è il tasso a cui gli individui
e le imprese possono prendere a prestito).

Ipotesi semplifcatrice: la BC stabilisce il tasso di policy reale, r. Tuttavia è il tasso reale sui prestiti, r
+ x, che determina le decisioni di spesa. Quindi possiamo riscrivere le relazioni:

Relazione IS: Y = C (Y – T) + I (Y, r + x) + G


Relazione LM: r = r → r = i – πe
r = i – πe + x

La curva IS ha pendenza negativa: un aumento del tasso di policy reale riduce la spesa e, a sua
volta, la produzione. La curva LM è semplicemente una retta orizzontale in corrispondenza del
tasso di policy.

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Shock fnanziari e politica economica. Supponiamo che x aumenti. Può accadere quando
aumenta la probabilità di fallimento del debitore, gli investitori sono diventati più avversi al rischio,
oppure, quando gli investitori hanno cominciato a dubitare della solvibilità delle banche, dando il
via ad una corsa agli sportelli e obbligando le altre banche a ridurre i prestiti concessi.

↑x quando: ↑p (probabilità fallimento debitori)


↑avversione al rischio
↓prestiti concessi

⇨ La curva IS si sposta verso sinistra: fssato il tasso di policy, r, il tasso sui prestiti, r + x, aumenta,
provocando una contrazione della domanda e una riduzione della produzione (→recessione).

Una PF+ può spostare la curva IS verso destra e aumentare la produzione, tuttavia potrebbe portare
a un disavanzo di bilancio. La soluzione migliore sembra essere una PM+ : infatti una riduzione del
tasso di policy può portare la produzione al suo livello iniziale.
⇨ in risposta ad un aumento di x, la BC deve ridurre r in modo tale da lasciare r + x, il tasso di
interesse rilevante per le decisioni di spesa, invariato.

Se x è molto alto, il tasso di policy suffciente per stimolare la crescita potrebbe essere negativo.
Questo solleva un problema: dato lo zero lower bound sul tasso di interesse nominale, il minor tasso
di interesse reale che la BC può raggiungere è dato da r = i – πe = 0 – πe = – πe, ovvero l'opposto
dell'infazione attesa. Quindi se l'infazione attesa è suffcientemente elevata allora un tasso nominale
nullo implica un tasso reale pari al suo opposto, che appare suffciente per controbilanciare
l'aumento di x. Ma, se l'infazione attesa è bassa o persino negativa, allora il minor tasso di interesse
reale che la BC può assumere potrebbe non essere suffciente a riportare l'economia alla sua
produzione di equilibrio iniziale (proprio come è accaduto durante la crisi recente → grande
aumento di x e bassa infazione, sia corrente che attesa, limitarono capacità della PM di
controbilancia l'aumento di x).

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5. Da una crisi immobiliare a una crisi fnanziaria


5.1. Prezzi immobiliari e mutui ipotecari "subprime"

Evoluzione dei prezzi immobiliari statunitensi dal 2000 in poi

Dal 2000 l'indice aumentò fno a 226 a metà del 2006, per poi cominciare a ridursi. Entro la fne del
2008 era sceso a 162. Raggiunse un minimo di 146 all'inizio del 2012 ed allora ha ricominciato a
crescere. Il rapido aumento dei prezzi dal 2000 al 2006 era giustifcato da due fattori:

• Gli anni 2000 furono un periodo di tassi di interesse sui mutui ipotecari molto
bassi, che stimolarono la domanda di abitazioni e spinsero così i prezzi verso l'alto.

• Vennero concessi numerosi mutui ipotecari "subprime", ovvero prestiti molto rischiosi,
poiché si pensava che i prezzi delle case avrebbero continuato la loro ascesa, così che il
valore del mutuo ipotecario in termini del prezzo dell'abitazione acquistata sarebbe
diminuito nel tempo. Successe invece il contrario, e i prezzi delle case cominciarono a
diminuire cogliendo gli economisti di sorpresa. Molti debitori si ritrovarono a dover ripagare
mutui ipotecari il cui valore eccedeva quello delle loro case. Così, come molti debitori
fallirono, i creditori si ritrovarono a fronteggiare gigantesche perdite.

5.2. Il ruolo degli intermediari fnanziari

L'effetto del crollo del mercato immobiliare si trasmise al sistema fnanziario attraverso una serie di
fattori:

1. Le banche erano caratterizzate da un'elevata leva fnanziaria (attivo/capitale) dovuta a


un'elevata attività a fronte di basso patrimonio netto. Inoltre tra le attività molte erano
illiquide e ciò aumentò il rischio di insolvenza della banca: come abbiamo visto, vennero
infatti accesi mutui per il valore di una casa che ora non c'è più, portando al crollo del valore
degli attivi bancari.

2. Ci fu di conseguenza una crescita della cartolarizzazione, ovvero la creazione di attività


fnanziarie sulla base di un insieme di altre attività, come per esempio un insieme di prestiti o
un insieme di mutui ipotecari. Tuttavia porta a una opacità dei bilanci bancari (e di
conseguenza perdita di fducia) e all'incapacità di valutare correttamente il grado di rischio
delle attività fnanziarie.

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3. Diffusione del fnanziamento all'ingrosso da parte delle banche che consisteva


nell'affdarsi ad altre fonti di fnanziamento, come altre banche e altri investitori, che però
non benefciavano di alcuna assicurazione sui loro investimenti, incentivando le corse agli
sportelli. Il fnanziamento all'ingrosso sembrava una buona idea poichè conferiva alle
banche maggiore fessibilità nell'ottenere i fondi necessari per concedere prestiti o comprare
attività. Ma quando questi investitori iniziavano a vedere preoccupazioni relativamente al
valore delle attività detenute dalle banche, iniziarono a prelevare i propri fondi (le banche
avevano passività liquide, molto più liquide delle loro attività).

Il risultato di questa COMBINAZIONE fu una crisi fnanziaria: quando i prezzi immobiliari


iniziarono a scendere e alcuni mutui ipotecari a diventare inesigibili, un'elevata leva fnanziaria
implicò una riduzione relativa del capitale di banche. Questo, a sua volta, li costrinse a vendere
parte delle attività di bilancio. Tuttavia, poiché era spesso diffcile stabilire il valore corretto di tali
attività, furono costretti a venderle a prezzi di svendita. A sua volta, questo portò ad una riduzione
del valore di attività simili ancora presenti nel loro bilancio, o nel bilancio di altri intermediari
fnanziari, portando ad un ulteriore riduzione del rapporto di capitale sugli impieghi e
costringendoli ad ulteriori svendite di attività e, così, ad ulteriore riduzione dei prezzi di queste. La
complessità degli strumenti fnanziari detenuti da banche rese diffcile valutare la loro solvibilità. Gli
investitori divennero riluttanti a prestar loro fondi, il fnanziamento all'ingrosso si fermò e questo
forzò ulteriori vendite di attività e riduzione dei prezzi. Persino le banche divennero riluttanti a
prestarsi fondi tra loro, e smisero anche di prestarli a chiunque altro.

5.3. Implicazioni macroeconomiche

Gli effetti della crisi fnanziaria sull'economia aggregata furono:

→ aumento dei tassi di interesse a cui le imprese e gli individui potevano prendere a prestito

→ crollo delle aspettative economiche a causa del timore di un'altra Grande Depressione

Il risultato fu un crollo del consumo.

5.4. Il contagio internazionale

Il contagio avviene attraverso tre canali:

1. Alcune banche europee erano direttamente esposte al mercato immobiliare


statunitense, poiché avevano comprato a. fnan. che avevano mutui ipotecari americani.

2. Il commercio internazionale si ridusse, sia perché la domanda si ridusse a causa del


crollo delle aspettative economiche, sia perché le banche ridussero l'offerta di credito per il
commercio internazionale.

3. L'aumento dei tassi di interesse statunitense si rifette anche sui tassi di interesse europei,
rendendo diffcile prendere a prestito anche alle imprese europee.

Il risultato fu una riduzione della produzione mondiale.

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Prezzi immobiliari in 8 economie avanzate

Contrazione del commercio internazionale

Crollo della produzione industriale mondiale

5.5. Le risposte di politica economica

L'elevato costo dei prestiti, la riduzione dei prezzi azionari e immobiliari e le peggiori aspettative
economiche portarono ad una diminuzione della domanda per i beni. In termini del modello IS-
LM, ci fu un drastico spostamento della curva IS verso sinistra. Le risposte di politica economica
furono diverse tra Stati Uniti ed Europa.

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La risposta negli Stati Uniti

Politiche fnanziarie. Le misure più urgenti furono adottate per rinforzare il sistema fnanziario:

• Per scongiurare il pericolo di corsa agli sportelli, l'ASSICURAZIONE FEDERALE sui


DEPOSITI fu AUMENTATA e inoltre il governo offrì un PROGRAMMA di GARANZIA
per il nuovo debito emesso dalle banche.

• Per diminuire il rischio di fallimento delle banche la Fed istituì una serie di PROGRAMMI
di OFFERTA di LIQUIDITÀ che resero semplice prendere a prestito dalla Fed stessa
evitando la svendita delle attività fnanziarie delle banche quando gli investitori vogliono
prelevare dalle banche i loro fondi

• Il governo introdusse un programma, chiamato TROUBLE ASSET RELIEF PROGRAM


(Tarp), con lo scopo di rimuovere complesse attività fnanziarie dai bilanci delle banche,
riducendo così l'incertezza, rassicurando gli investitori e rendendo più semplice valutare lo
stato di salute di ciascuna banca per diminuire il rischio di fallimento. Successivamente
l'obiettivo divenne quello di aumentare la capitalizzazione delle banche tramite l'acquisto da
parte del governo di azioni per fornire fondi alle banche. Aumentando la quota di capitale
sugli impieghi, e diminuendo in questo modo la leva fnanziaria, l'obiettivo di questo
programma era permettere alle banche di evitare il fallimento.

Politica monetaria. A partire dall'estate del 2007 la Fed aveva avviato una PM+
DIMINUENDO il TASSO di POLICY. Dicembre 2008, il tasso di interesse è stato abbassato fno
allo zero, e avendo raggiunto lo zero lower bound, non poteva essere ridotto ulteriormente. La Fed
adottò così quella che prende il nome di POLITICA MONETARIA NON CONVENZIONALE,
che consiste nell'acquisto di attività fnanziarie private e titoli di stato al fne di infuenzare
direttamente i tassi di interesse a cui debitori possono prendere a prestito (↓tasso sui prestiti).

Politica fscale. Successivamente il governo fece ricorso a una PF+ dando inizio nel 2009 a un
programma chiamato "AMERICAN RECOVERY and REINVESTMENT ACT" che prevedeva
una riduzione delle imposte e aumenti di spesa. Il disavanzo di bilancio statunitense passo dall'1,7%
del Pil nel 2007 ad un picco del 9% nel 2010.

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NEL MODELLO IS-LM...


La crisi fnanziaria portò ad un signifcativo spostamento della curva IS verso sinistra, da IS a IS'. Le
politiche fnanziarie e fscali controbilanciarono parte dello spostamento così che, invece che
spostarsi a IS', l'economia si spostò a IS''. La politica monetaria condusse a uno spostamento
della curva LM verso il basso, da LM a LM', così che l'equilibrio risultante fu A'. In quel momento,
lo zero lower bound sul tasso di policy nominale implicò che il tasso di policy reale non potesse
diminuire ulteriormente. Il risultato fu una diminuzione della produzione. Lo shock iniziale
all'economia statunitense fu così grande che la combinazione di politiche fnanziarie, fscali e
monetarie non fu suffciente ad evitare una signifcativa riduzione della produzione.

La risposta in Europa

Politiche fnanziarie. In Europa il REGNO UNITO fu lo stato più pronto all'adozione di


programmi di riordino dei bilanci bancari. Adottò un programma simile al Tarp e cominciò a
immettere nuovo capitale. Altri paesi, invece, tardarono ad adottare tali politiche. In ITALIA, gli
istituti bancari sono ancora paralizzati da sofferenze bancarie (detti anche crediti deteriorati)
per un valore che corrisponde circa il 2% del Pil italiano.

Politica monetaria. Anche in termini di politica monetaria, il REGNO UNITO rispose


tempestivamente rispetto gli altri paesi europei: quando il tasso di policy britannico raggiunsero lo
zero lower bound, la Banca d'Inghilterra, esattamente come la Fed, adottò politiche monetarie non
convenzionali comprando attività fnanziarie private e titoli di Stato. La BCE implementò tali
politiche nel 2015, circa due anni e mezzo dopo il raggiungimento dello zero lower bound.
Tuttavia, la BCE, a differenza della Fed, spinse AL DI SOTTO dello ZERO il tasso di interesse.
Questo signifca che ogni volta che le banche depositano riserve presso la BC, invece che ricevere
interessi, devono pagare un interesse sul deposito. L'obiettivo è quello di disincentivare le banche a
depositare riserve presso la BC e, di conseguenza, incentivare a concedere credito a imprese e
individui.

Politica fscale. Le politiche fscali furono molto ETEROGENEE a causa dei limiti dovuti alla
diversa esposizione debitoria dei paesi europei. I paesi in cui, allo scoppio della crisi, il livello del
debito pubblico era molto elevato ebbero poco spazio per aumentarlo ulteriormente e si ritrovarono
costretti ad adottare uno stimolo fscale molto limitato.

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DAL BREVE → AL MEDIO PERIODO

capitolo 7
IL MERCATO DEL LAVORO
1. Un viaggio nel mercato del lavoro
Popolazione attiva → 15-64 anni
Forze di lavoro ( L )→ occupati ( N ) + disoccupati ( U )
Inattivi → popolazione attiva – forze lavoro ( L ), nè
occupati nè in cerca di lavoro
Tasso di attività (65%) → forza lavoro ( L ) /
popolazione attiva
Tasso di occupazione (57%) → occupati / popolazione
attiva
Tasso di disoccupazione ( u ) (12,5%) → disoccupati /
popolazione attiva
Lavoratori scoraggiati → pur non essendo attivamente alla ricerca di un lavoro, lo accetterebbero
nel caso se ne presentasse l'occasione.

Ricordiamo che per essere classifcato come disoccupato bisogna: a) non avere un impiego; b) essere
alla ricerca di un impiego e la domanda deve essere stata presentata entro le 4 settimane prima
dell'intervista.

1.1. I fussi di lavoratori

Un certo tasso di disoccupazione può rifettere DUE REALTÀ completamente diverse:

1. Mercato del lavoro attivo, con frequenti interruzioni dei rapporti di lavoro e nuove
assunzioni e quindi con molti lavoratori in entra e in uscita dalla disoccupazione;

2. Mercato del lavoro dove raramente nascono nuovi rapporti di lavoro o cessano quelli
preesistenti e la disoccupazione è di lungo periodo (disoccupato da almeno 12 mesi)

Per scoprire quale realtà si nasconda dietro ad un tasso di disoccupazione è necessario disporre di
informazioni circa i fussi di lavoratori. In Italia nel 2014 i fussi medi trimestrali sono stati:

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La fgura mostra 3 importanti caratteristiche dei fussi di lavoratori:

• In media in ogni trimestre ci sono stati 21,2 milioni cambi di lavoro (movimenti interni), 606
mila lavoratori sono usciti dall'occupazione e diventati inattivi e 366 mila sono passati dallo
stato di occupati a quello di disoccupati → totale 22,2 milioni di interruzioni dei rapporti di
lavoro: come mai? 21,2 milioni di queste interruzione è rappresentata da dimissioni (lasciare
posto di lavoro per occupazione migliore) e il restante milione riguarda invece
licenziamenti che possono aver luogo per effetto di una redistribuzione dei livelli di
occupazione migliore.

• Il fusso medio trimestrale di uscita dalla disoccupazione è pari a 1,6 milioni di individui: 417
mila persone trovano un lavoro, mentre 1,2 milioni smettono di cercarne uno ed escono
dalle forze lavoro. La quota di disoccupati che abbandona la disoccupazione è pari a 1,6/3,2
= 50% ogni trimestre. Gli individui che vanno verso l'inattività sono pari a 1,2/1,6 = 75%
(CRITICITÀ). La durata media della disoccupazione è pari a 1/50% = 2 trimestri.

• Anche i fussi in entrata e uscita dalle forze di lavoro sono elevati: 1,8 milioni di lavoratori
sono usciti e circa 1,9 vi sono entrati. Da una parte ci sono coloro che terminano gli studi ed
entrano nelle forze lavoro per la prima volta e, dall'altro, i lavoratori che vanno in pensione.
Tuttavia in questi fussi sono compresi anche i lavoratori scoraggiati, fuori dalla forza
lavoro ma desiderosi di lavorare, equiparabili ai disoccupati.

2. Movimenti all'interno della disoccupazione


Movimenti nel tasso di disoccupazione negli Stati Uniti

Le fasce grigie corrispondono ai cicli


economici negativi → aumento
disoccupazione

Costi della disoccupazione

La disoccupazione produce gravi danni sia in termini economici che sociali:

• Perdita di produzione

• Perdita di reddito prodotto dalla imprese e dai lavoratori dipendenti → minor gettito fscale

• Riduzione livello di vita a causa della perdita di salari

• Danni psicologici e povertà

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• Cattiva salute e mortalità

• Perdita motivazione per lavoro futuro

• Disuguaglianze

• Indebolimento valori sociali

Reazione delle imprese

In seguito a cali della domanda le imprese possono ridurre il numero dei loro occupati:

a) RIDUCENDO le ASSUNZIONI → i lavoratori avranno meno probabilità di trovare un


nuovo lavoro

b) LICENZIANDO → i lavoratori occupati sono maggiormente esposti al rischio di perdere il


lavoro.

Altri indicatori della disoccupazione

Forze lavoro potenziali (scoraggiati): non cercano lavoro ma sono disposti a lavorare o cercano
lavoro ma non sono immediatamente disposto a lavorare.

Sottoccupati part-time: le imprese possono reagire riducendo le ore di lavoro perchè il


licenziamento ha un costo.

In Italia è maggiore la percentuale del primo gruppo.

⇨ INOLTRE tenere in considerazione che se si diventa disoccupati si è MENO coperti dal


SUSSIDIO, che è inferiore rispetto a prima della crisi.

3. La determinazione dei salari


I salari possono essere fssati in molti modi:

1. dalle contrattazioni collettive a livello aziendale, industriale o nazionale.

2. dai datori di lavoro

3. dalle contrattazioni bilaterali tra datore di lavoro e lavoratore.

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Tuttavia esistono elementi comuni ed è possibile costruire una sorta di TEORIA GENERALE della
DETERMINAZIONE dei SALARI.

→ I lavoratori percepiscono un salario effettivo MAGGIORE al loro salario di riserva,


cioè il salario che li rende indifferenti tra lavorare ed essere disoccupati.

→ I salari dipendono anche dalle condizioni prevalenti nel mercato del lavoro: quanto più
basso è il tasso di disoccupazione, tanto maggiori sono i salari.

Analizziamo il motivo di queste elementi.

3.1. Contrattazione del salario

La forza contrattuale di un lavoratore dipende da due fattori:

a) COSTO di SOSTITUZIONE (avvicendamento) per l'impresa del lavoratore in caso di


dimissioni;

b) DIFFICOLTÀ che egli incontrerebbe nel TROVARE un altro LAVORO.

Tanto maggiore è il costo di sostituzione per l'impresa e quanto più facile è per quest'ultimo trovare
un altro lavoro, tanto maggiore sarà la sua forza contrattuale, e di conseguenza maggiore sarà il
salario effettivo rispetto al salario di riserva. Due sono le conseguenze:

• La forza contrattuale di un lavoratore dipende dalla NATURA del LAVORO: sostituire un


lavoratore del McDonald's non è molto costoso perchè le competenze necessarie possono
essere apprese velocemente; al contrario, un lavoratore altamente qualifcato, piuttosto abile
nel suo lavoro può essere molto diffcile da rimpiazzare. Ciò gli conferisce una maggiore
forza contrattuale.

• La forza contrattuale di un lavoratore dipende dalle CONDIZIONI del MERCATO del


LAVORO: quando il tasso di disoccupazione è basso, l'impresa avrà diffcoltà a trovare
validi sostituiti e allo stesso tempo per i lavoratori è più facile cambiare lavoro (maggiore
forza contrattuale); al contrario, in un mercato con un alto livello di disoccupazione, trovare
validi sostituti è molto facile, e i lavoratori occupati hanno meno forza contrattuale e
potrebbero essere costretti ad accettare salari più bassi.

3.2. Salari di effcienza

La maggior parte delle imprese vuole che i propri lavoratori siano ben disposti verso il lavoro e
verso l'impresa. Sentirsi bene incentiva a lavorare bene, il che a sua volta da aumentare la
produttività. Pagare un salario elevato è quindi uno strumento per raggiungere questi obiettivi. Le
teorie che legano la produttività al salario sono chiamate TEORIE dei SALARI di EFFICIENZA.

1. Modello dello scansafatiche → esiste un'asimmetria informativa del datore di lavoro


che non sempre riesce a controllare la produttività del lavoratore. Tuttavia aumentando il
salario, aumenta il costo di licenziamento per il lavoratore che sarà pertanto indotto a
comportarsi meno da scansafatiche.

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2. Costi di avvicendamento del lavoro → se aumento il salario, il lavoratore sarà indotto


a rimanere nell'impresa e minore sarà il costo di avvicendamento.

3. Selezione avversa → se aumento il salario, i lavoratori competenti saranno più attratti in


quanto maggiori sono le loro abilità, maggiore sarà il loro salario di riserva.

⇨ Il SALARIO diventa un MECCANISMO SELETTIVO della REDDITIVITÀ dei lavoratori

Come le teorie basate sulla contrattazione, le teorie dei salari di effcienza suggeriscono che:

• I salari dipendono dalla NATURA del LAVORO: le imprese che considerano essenziale il
morale e l'impegno dei lavoratori per la qualità del lavoro, pagheranno di più delle imprese
in cui i lavoratori scolgono attività di routine.

• I salari dipendono dalle CONDIZIONI del MERCATO del LAVORO: un'impresa che
voglia evitare un aumento delle dimissioni da parte dei suoi dipendenti, dovrà aumentare i
salari man mano che il tasso di disoccupazione scende. Al contrario se aumenta la
disoccupazione, aumenta il costo di lasciare l'impresa per il lavoratore (più diffcile trovare
lavoro), diminuisce quindi il turnover (tasso di avvicendamento) e il salario effettivo.

STUDIO DI CASO: Henry Ford e i salari di effcienza

Nel 1914, Henry Ford decise di aumentare lo stipendio da 2,30 dollari per una giornata lavorativa
di 9 ore, a 5 dollari per una giornata lavorativa di 8 ore, che rappresentava circa la metà dei
proftti totali della società!! La ragione principale era la diffcoltà a mantenere i lavoratori alle sue
dipendenze: il tasso di turnover era particolarmente alto così come l'insoddisfazione tra i lavoratori. I
RISULTATI furono SORPRENDENTI...

1913 1914 1915


Tasso di turnover 370% 54% 16%
Tasso di licenziamento 62% 7% 0,1%
I tassi sono espressi come percentuale dei lavoratori totali della Ford

Nonostante gli elevati salari, anche i proftti furono più elevati nel 1914 rispetto all'anno precedente.
Ma quanto questo aumento fosse dovuto a variazioni del comportamento e quanto al crescente
successo del modello T è diffcile da stabilire. Ma Henry Ford probabilmente aveva anche altri
obiettivi, come tenere lontani i sindacati dalla sua società - cosa che riuscì a ottenere - e come fare
pubblicità a se stesso e alle sue automobili - cosa in cui riuscì ancor meglio.

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3.3. Equazione dei salari

W = P e F (u, z)
(–, +)

Il salario nominale aggregato, W, dipende da tre fattori:

1. il livello atteso dei prezzi, P e

2. il tasso di disoccupazione, u

3. altre variabili rappresentate da z

Pe

Perchè il livello dei prezzi infuenza i salari nominali? Perchè i lavoratori e le imprese sono
interessati ai SALARI REALI, non a quelli nominali:

• I lavoratori sono interessati al salario in termini di beni, W/P, o salario reale.


Se i lavoratori si aspettassero che il livello futuro dei prezzi raddoppiasse, richiederebbero un
salario nominale doppio.

• Le imprese sono interessate al salario in termini del prezzo della produzione venduta, W/P.
Se le imprese si aspettassero che il livello dei prezzi raddoppiasse, sarebbero disposte a
raddoppiare i salari nominali.

Pertanto un aumento del livello atteso dei prezzi provocherà un AUMENTO dei salari nominali in
misura proporzionale, mantenendo costante il salario reale: ↑P e ⇨↑W

Un aumento del tasso di disoccupazione RIDUCE i salari.

Se pensiamo ai salari come al risultato di una contrattazione:


↑u ⇨↓potere contrattuale ⇨↓W
Se pensiamo ai salari come risultato delle teorie dell'effcienza:
↑u ⇨↑costo di lasciare l'impresa ⇨↓turnover e ↓W senza rinunciare all'effcienza dei lavoratori

Un aumento di z provoca un AUMENTO dei salari.

Comprende:
• Sussidi di disoccupazione: la prospettiva di percepire un'indennità in caso di
disoccupazione fa aumentare i salari a parità di tasso di disoccupazione.
• Salario minimo: un aumento del salario minimo aumenta anche i salari al di sopra di
esso, producendo un aumento del salario medio W, fssato il tasso di disoccupazione.
• Protezione dei lavoratori: una maggiore protezione da parte dello Stato rende più
costoso il licenziamento dei lavoratori da parte dell'impresa, aumenta il potere contrattuale dei
lavoratori facendo aumentare il salari per un dato tasso di disoccupazione.

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4. La determinazione dei prezzi


I prezzi fssati dalle imprese dipendono dai costi. A loro volta i costi dipendono: 1) dalla
FUNZIONE di PRODUZIONE, cioè la relazione tra i fattori produttivi (input) e la quantità di
output; 2) dai PREZZI degli INPUT.

Ipotesi semplifcatrice: l'unico fattore produttivo è il lavoro, e la funzione di produzione è

Y = AN

Ulteriore semplifcazione: la produttività del lavoro (A) è costante e pari a 1. La funzione di


produzione diventa:
Y=N

Pertanto il costo marginale di produzione è uguale al costo di impiegare un lavoratore in più e,


quindi, è uguale al salario, W.
In un mercato di concorrenza perfetta P = W, ma molti mercati non sono concorrenziali e le
imprese caricano un prezzo superiore al costo marginale, ovvero fssano i prezzi in base a un
markup sul costo di produzione (nel nostro caso, sul costo del lavoro):

P = (1 + m) W

5. Il tasso naturale di disoccupazione


Quali sono gli effetti della determinazione dei prezzi e dei salari sulla disoccupazione?

5.1. L'equazione dei salari

Ipotesi semplifcatrice: i salari dipendono dai prezzi effettivi ( P ) invece che dai prezzi attesi ( P e ).

W = P F (u, z)

W/P = F (u, z)

L'equazione dei salari rappresenta la relazione tra salario reale e tasso di disoccupazione:
quanto maggiore è il tasso di disoccupazione, tanto minore sarà il salario reale. È rappresentata da
una curva decrescente chiamata WS (Wage Setting).

5.2. L'equazione dei prezzi

P = (1 + m) W
P/W = 1 + m

W/P = 1/(1 + m)

L'equazione dei prezzi ci dice che il salario reale fssato dalle imprese è una funzione delle
decisioni di prezzo: un aumento del markup fa aumentare i prezzi a parità di salari, facendo in tal
modo diminuire il salario reale. È rappresentata da una retta orizzontale PS (Price Setting). Il salario
reale derivante dalla determinazione dei prezzi è 1/(1 + m) che NON dipende dal tasso di
disoccupazione.

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5.3. Salari reali di equilibrio e disoccupazione

L'equilibrio nel mercato del lavoro richiede che il salario reale risultante dalla determinazione dei
salari sia uguale al salario reale derivante dalla determinazione dei prezzi.

F (un , z) = 1/(1 + m)

⇨ Il tasso di disoccupazione di equilibrio è chiamato tasso naturale di disoccupazione ( un ) e


corrisponde al punto di equilibrio tra PS e WS.

L'aggettivo "naturale" suggerisce che sia una costante di natura, non soggetta alle istituzioni e alla
politica economica. Tuttavia dipende sia da z sia da m.

• Aumento dei sussidi di disoccupazione (variazione di un fattore z). L'aumento dei sussidi rende meno
dolorosa la prospettiva di restare disoccupati, pertanto fa aumentare il salario reale scelto
nelle contrattazioni a parità di tasso di disoccupazione. La curva WS si sposta verso l'ALTO,
provocando un aumento del tasso naturale di disoccupazione per ristabilire l'equilibrio tra
salario reale dell'equazione dei salari (maggiore) e il salario reale dell'equazione dei prezzi
(invariato).

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• Una legislazione antitrust meno restrittiva. Ciò consente alle imprese di colludere più facilmente e
aumentare il proprio potere di mercato, tale legislazione fa aumentare il markup, provocando
una riduzione del salario reale e di conseguenza lo spostamento verso il BASSO della curva
PS. È necessaria una disoccupazione più alta per costringere i lavoratori ad accettare questo
minor salario reale e questo fa aumentare il tasso naturale di disoccupazione.

6. Il tasso naturale di occupazione


Livello naturale di occupazione = livello di occupazione in corrispondenza del quale il tasso di
disoccupazione è al suo livello naturale ( u = un )

u = U/L
U=L–N
(L – N) / L = 1 – (N/L)
L • u = 1 – (N/L) • L
Lu = L – N
N = L – Lu
N = L (1 – u)

⇨ Nn = L (1 – un)

Livello naturale di produzione = livello di produzione in corrispondenza del quale il tasso di


occupazione è al suo livello naturale

F (un , z) = 1/(1 + m)
un = 1 – (Nn/L)

sapendo che Y = N (poichè A=1)

un = 1 – (Yn/L)

⇨ F (1 – (Yn/L), z) = 1/(1 + m)

Dato L, all'aumentare dell'occupazione i salari


aumentano.

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capitolo 8
CURVA DI PHILLIPS, TASSO NATURA DI DISOCCUPAZIONE e
INFLAZIONE
1. Infazione, infazione attesa e disoccupazione
Equazione per la determinazione dei salari: W = Pe F(u, z)
Equazione per la determinazione dei prezzi: P = (1 + m)W

Nel cap. 7 avevamo ipotizzato Pe = P. Cosa accade quando rimuoviamo questa ipotesi?

P = Pe(1 + m) F(u, z)

Philipps trovò una relazione tra t. disoccupazione e salari nominali: •↑u ⇨↓W ⇩↓P
•↑Pe ⇨↑W ⇨↑P

Esprimiamo in forma esplicita (prima considerata f.implicita) la funzione F:

F(u, z) = 1 – αu + z

⇨ quanto maggiore è u tanto minore è W, quanto maggiore è z tanto maggiore è W.


α → ampiezza dell'effetto di disoccupazione sul salario.

relazione tra P, P e e u: P = Pe(1 + m) ( 1 – αu + z)

relazione tra π, πe e u: π = πe + (m + z) – αu

Effetti descritti dall'equazione:

• Un aumento dell'infazione attesa πe porta a un aumento dell'infazione effettiva π.


(parliamo di livello dei prezzi atteso perchè siamo interessati al prezzo reale) Un aumento del
livello atteso dei prezzi Pe porta a un aumento uno a uno del livello effettivo dei prezzi P: se
chi fssa i salari si aspetta un maggior livello dei prezzi, richiederà un maggior salario
nominale determinando, di conseguenza, un aumento del livello effettivo dei prezzi.

• Data l'infazione attesa πe un aumento del markup m scelto dalle imprese, o un aumento dei
fattori che infuiscono sulla determinazione dei salari z porta a un aumento dell'infazione π.
Dato il livello atteso dei prezzi Pe un aumento di m direttamente (si sposta PS verso il basso) o
di z attraverso un aumento dei salari (si sposta WS verso l'alto) provoca un aumento del
livello dei prezzi P.

• Data l'infazione attesa πe un aumento del tasso di disoccupazione u porta a una riduzione
dell'infazione π.
Dato il livello atteso dei prezzi Pe un aumento del tasso di disoccupazione u porta a un minor
salario nominale, che a sua volta determina un minor livello dei prezzi P.

Riassumendo: aumento di πe → aumento di π


aumento di m o z → aumento di π
aumento di u → riduzione di π

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È utile usare degli indici temporali per riferirci a variabili in un dato anno. Pertanto riscriviamo
l'equazione (m e z possono variare nel tempo, ma lo fanno molto lentamente, perciò le possiamo
considerare variabili esogene, fattori istituzionali sul mercato dei beni e del lavoro):

πt = πet + (m + z) – αut

2. La curva di Phillips e le sue riformulazioni


2.1. La prima formulazione

Phillips rilevò nel Regno Unito (Solow e Samuelson negli Stati Uniti) che esiste una relazione
negativa tra disoccupazione e infazione, cd. curva di Phillips: una riduzione della disoccupazione
genera infazione.

Spirale dei prezzi: con disoccupazione più bassa ⇨↑W ⇨↑P ⇨↑W ⇨↑P ulteriormente, e i
lavoratori chiedono salari ancora maggiori, e così via..
Allora: ↓ut ⇨↑Wt ⇨↑Pt ⇨↑(Pt–Pt–1)Pt–1 ⇨↑πt

Ipotizziamo che l'infazione futtui di anno in anno intorno a un certo valore che chiamiamo π, e
che l'infazione non sia persistente: πet = π. Quindi qualunque fosse l'infazione lo scorso anno,
quest'anno è uguale a π. Allora:

πt = π + (m + z) – αut

Gli unici valori che cambiano (inversamente) sono πt e αut

2.2. L'apparente trade-off e la sua scomparsa

Negli Stati Uniti negli anni 61-69 il tasso di disoccupazione è diminuito e il tasso di infazione è
costantemente aumentato → l'economia statunitense si è spostata lungo la curva di Phillips.
Sembrò proprio che, se i policy-maker fossero stati disposti ad accettare maggiore infazione,
avrebbero potuto ridurre sensibilmente la disoccupazione.

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Stati Uniti 48-69

1° formulazione
Curva Phillips
originaria

Dal 70 in poi la relazione tra tasso di infazione e tasso di disoccupazione venne meno
⇨ FALLIMENTO EMPIRICO della PC

Stati Uniti 70-2014

2° formulazione
Curva Phillips
modifcata

Le nuove teorie nascono solitamente da fallimenti empirici delle teorie precedenti. Perchè la PC è
fallita?

1. La crisi petrolifera degli anni 60 provocò ↑costi di produzione, ↑prezzi, ↑m,


↑infazione data la disoccupazione, cd. infazione da costi: risulta da shock di offerta.

2. Nuovo modo di formulare le aspettative sull'infazione da parte delle imprese e


lavoratori tenendo in considerazione un'infazione persistente: se l'infazione è persistente
non guardo più l'infazione di oggi π ma quella di ieri. → si modifca la natura stessa della
relazione tra disoccupazione e infazione.

⇨ ASPETTATIVE ADATTIVE: gli individui formano le loro aspettative sull'infazione futura


basandosi in parte sull'osservazione dell'infazione passata.

Supponiamo che le aspettative si formino sulla base della seguente relazione:

πet = (1 – θ) π + θ πt–1

L'infazione attesa quest'anno dipende:


• in parte da un valore costante π, con peso (1 – θ),
• e in parte dall'infazione effettiva dello scorso anno πt–1, con peso θ.

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θ descrive l'effetto del tasso di infazione del periodo precedente sul tasso di infazione atteso per il
periodo corrente.

↑θ ⇨↑peso infazione periodo precedente


su infazione attesa πet

➢ Fintanto che l'infazione è ridotta e non persistente è ragionevole che gli individui assumano
un livello costante dell'infazione → θ = 0 e πe = π → PC originaria , relazione negativa
tra tasso di infazione e tasso di disoccupazione:
ut ↑⇨ πt ↓

πt = π + (m + z) – αut

➢ Quando l'infazione diventa più persistente gli individui iniziano ad assumere che, se
l'infazione era risultata elevate nell'anno precedente, sarebbe stata tale anche nell'anno
corrente → θ = 1 e πe = πt–1 → PC modifcata , il tasso di disoccupazione non infuenza il
tasso di infazione, ma piuttosto la sua variazione. L'equazione ci dice anche quale sia la nuova
relazione rilevante, quella tra la disoccupazione e la variazione dell'infazione:
ut ↑⇨ (πt – πt–1)↓

πt = πt–1 + (m + z) – αut
πt – πt–1 = (m + z) – αut

Sono presenti particolari ASPETTATIVE ADATTIVE cd. STATICHE.

➢ Quando semplicemente θ > 0 , il tasso di infazione dipende negativamente dal tasso di


disoccupazione, e positivamente dal tasso di infazione dell'anno precedente:

πt = (1 – θ) π + θ πt–1 + (m + z) – αut

Stati Uniti 70-2014


Sono cambiate le aspettative:
• ↑θ
• infazione più persistente
• elevata infazione ieri associata a
elevata infazione oggi: θ → 1

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3. La curva di Phillips e il tasso naturale di disoccupazione


Friedman e Phelps sostenevano che, se il governo avesse tentato di sostenere un'occupazione
elevata, accettando una maggiore infazione, il trade-off tra disoccupazione e infazione alla fne
sarebbe scomparso e il tasso di disoccupazione non sarebbe sceso al di sotto di un certo livello, detto
tasso naturale di disoccupazione un: è quel tasso in corrispondenza del quale P = Pe o in
modo equivalente πt = πet (è il valore che riporta in equilibrio P e Pe) → intersezione tra PS e WS.

Imponendo la condizione πt = πet nell'equazione della curva di Phillips otteniamo:

0 = (m + z) – αun

risolvendo per un:

un = (m + z) / α

un dipende da: • m → markup


• z → fattori che infuiscono sulla determinazione dei salari
• α → quanto varia l'infazione a seguito di una variazione della disoccupazione

se ↑z ⇨↑un la WS si sposta verso l'alto

se ↑m ⇨↑un la PS si sposta verso il basso

αun = (m + z)
πt = πet + (m + z) – αut
πt = πet + αun – αut
πt = πet – α (ut – un)

se πet = πt–1 allora:

πt – πt–1 = – α (ut – un)

➢ La variazione dell'infazione dipende dalla differenza tra tasso effettivo e tasso naturale di
disoccupazione. Quando: ut < un ⇨ l'infazione aumenta πt > πt–1
ut > un ⇨ l'infazione diminuisce πt < πt–1
ut = un ⇨ non c'è variazione di infazione πt = πt–1
siamo in corrispondenza di un (disoccupazione
ciclica: scostamento ut)

➢ Il tasso naturale di disoccupazione è il tasso di disoccupazione che mantiene COSTANTE


l'infazione. Per questo il tasso naturale è anche chiamato tasso di disoccupazione non
infazionistico, o Nairu.

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4. Un riassunto e numerosi avvertimenti


La relazione tra infazione e disoccupazione varia tra paesi e negli anni.

4.1. Variazione del tasso naturale di disoccupazione tra paesi

Che cosa spiega la disoccupazione in Europa?

Quando si parla di "rigidità del mercato del lavoro" che affiggono l'Europa, che cosa
intendono gli economisti esattamente?

• Un generoso sistema di sussidi di disoccupazione → potrebbero determinare una crescita


della disoccupazione: disincentivano a cercare lavoro e possono provocare un aumento dei
salari al fne di motivare e trattenere i lavoratori.

• Un elevato livello di tutela del lavoro → provvedimenti con fne di scoraggiare il


licenziamento: aumenta costo del lavoro e riduce le assunzioni.

• Il salario minimo → aumenta tasso di disoccupazione per i lavoratori meno qualifcati.

• Regole di contrattazione → un più forte potere contrattuale detenuto dai sindacati può
tradursi in una più elevata disoccupazione necessaria per riequilibrare la domanda dei
lavoratori.

Queste caratteristiche del mercato del lavoro sono davvero in grado di spiegare la disoccupazione in
Europa? Possiamo, quindi, considerare il caso chiuso? Probabilmente NO. A tal proposito,
proviamo a riconsiderare due fatti.

Fatto 1. Il tasso di disoccupazione europeo non è sempre stato elevato: è aumentato tra il 70 - 90.
Quali possono essere le cause di tale incremento?
Interrelazioni esistenti tra politiche passive e politiche attive. Alcune caratteristiche del mercato del
lavoro possono rivelarsi vantaggiose in determinati contesti e molto costose in altri. Si consideri, per
esempio, la protezione dei lavoratori: se le regole di protezione non cambiassero, una maggiore
concorrenza tra imprese genererebbe un più alto livello di disoccupazione naturale.

Fatto 2. Molti paesi europei registrano un basso livello di disoccupazione come nel caso di
Danimarca, Irlanda e Paesi Bassi nonostante abbiano un elevato grado di protezione sociale, in
particolare per quanto riguarda i sussidi di disoccupazione e la forte infuenza esercitata dai
sindacati.

Conclusione: misure di protezione sociale particolarmente generose possono coesistere con un


ridotto livello di disoccupazione purché siano fornite in modo effciente. Per esempio, i sussidi di
disoccupazione possono essere generosi, a patto che contemporaneamente i disoccupati siano
costretti ad accettare un nuovo impiego non appena questo risulti disponibile. Alcune forme di
tutela, per esempio, pagamenti della indennità di licenziamento, comportano un basso tasso di
disoccupazione solamente se le imprese stesse non devono far fronte a lunghe e complicate
procedure di licenziamento dei propri lavoratori.

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4.2. Variazione del tasso naturale di disoccupazione nel tempo

Cambiamenti negli Stati Uniti dal 1990

Il tasso naturale di disoccupazione è diminuito passando da circa il 7-8% negli anni 80 fno a
circa il 5% in tempi recenti. Spiegazioni:

1. La globalizzazione e una maggior competizione tra le imprese statunitensi e quelle


straniere potrebbero aver ridotto il potere di monopolio delle prime e, quindi, il markup.

2. L'invecchiamento della popolazione risultato della fne del boom delle nascite del
dopoguerra. Per i lavoratori giovani è più frequente trovarsi disoccupati. Quindi, una
riduzione della percentuale di giovani lavoratori porta una diminuzione del tasso di
disoccupazione totale. ↓giovani (con u↑) ⇨↓u

3. Un aumento del tasso di incarcerazione (dovuta dalla presenza di tanti neri). Nel
1980, lo 0,3% della popolazione statunitense in età lavorativa era in prigione. Oggigiorno la
percentuale si attesta all'1%. Dato che molti degli individui incarcerati sarebbero
probabilmente disoccupati se fossero in stato di libertà, questo ha probabilmente contribuito
a ridurre il tasso di disoccupazione di circa lo 0,2%.

4. La natura stessa del mercato del lavoro è cambiata:


A) maggiore occupazione fornita dalle agenzie di lavoro interinale: permettono ai
lavoratori di cercare un'occupazione mentre ne possiedono una, diminuendo così la
disoccupazione di circa lo 0,3%.
B) aumento di lavoratori che ricevono un sussidio di disabilità, che è passato dal
2,2% della pop in età lavorativa nel 1984 al 4,3% di oggi: questi individui sarebbero stati
disoccupati se non ci fossero state modifche nei criteri di eleggibilità.

5. Un aumento della produttività delle imprese, grazie alle nuove tecnologie: si


riducono i costi e le imprese sono disposte a ridurre il prezzo a parità di markup.

Anni 60: PF+ ⇨↓u ⇨↑π Fine anni 80: ↓u ⇨↑π


PM+ 1989: u = 5,2% < un = 6%
(infazione da domanda) (infazione da domanda)

Anni 70: ↑Poil ⇨↑m ⇨ π > π–1 Inizio anni 90: 90' u = 5,1% 92' u = 7,7%
(crisi petrolifera) (infazione da costi) ↑u ⇨↓π

Anni 80: PM – ⇨↑u ⇨↓π Fine anni 90: ↓un


(riduzione infazione da domanda) • bassa disoccupazione
↓Poil ⇨↓m ⇨↓π • tasso di infazione stabile
(riduzione infazione da costi) ⇨ un è diminuito?
stime: 7,3% → 80' 5,7% → 90' 5% → 2015

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4.3. Indicizzazione e curva di Phillips

Quando il tasso di infazione diventa elevato, l'infazione tende anche a risultare più variabile. Di
conseguenza, i lavoratori e le imprese sono più riluttanti a frmare contratti di lavoro che fssano i
salari nominali per un lungo periodo di tempo (maggiore incertezza): con infazione più alta del
previsto i salari reali scenderebbero e i lavoratori perderebbero potere d'acquisto; con infazione più
bassa del previsto i salari reali aumenterebbero e le imprese potrebbero non essere in grado di
pagare i lavoratori e rischierebbero di fallire → le condizioni delle contrattazioni salariali cambiano
al variare del livello di infazione. Pertanto:

1. I salari nominali vengono fssati per periodi di tempo più brevi (1 anno o un mese)

2. Condizione imprescindibile è l'indicizzazione dei salari, meccanismo che adegua


automaticamente i salari all'infazione.

Economia con due tipi di contratti: • una proporzione λ di contratti è indicizzata: i salari nominali
si muovono nella stessa misura del livello effettivo dei prezzi, ovvero π t ;
• una proporzione (1 – λ) di contratti NON è indicizzata: i salari nominali sono fssati sulla base
dell'infazione attesa πet

πt = [ λπt + (1 – λ)πet ] – α (ut – un) con 0 < λ < 1

Sono presenti ASPETTATIVE ADATTIVE STATICHE.

Se πet = πt–1 :

πt = [ λπt + (1 – λ) πt–1 ] – α (ut – un)

Quando λ = 0, tutti i salari sono fssati sulla base dell'infazione attesa πet = πt–1 :

πt – πt–1 = – α (ut – un)

Quando λ > 0, una proporzione λ dei salari è fssata sulla base dell'infazione effettiva πt :

πt – πt–1 = [– α/(1 – λ)] (ut – un)

Allora se ↑P ⇨↑W durante il contratto ⇨ amplifca l'effetto u su π.


Infatti, l'indicizzazione dei salari aumenta l'effetto della disoccupazione sull'infazione: quanto
maggiore è λ (è in segno negativo), tanto maggiore sarà l'effetto del tasso di disoccupazione sulla
variazione dell'infazione - ossia, quanto maggiore è il coeffciente α/(1 – λ).

Quando λ = 1, cioè quando la maggior parte dei contratti di lavoro prevede l'indicizzazione
salariale, allora anche piccole variazioni della disoccupazione possono portare a variazioni molto
ampia dell'infazione. In altre parole, possono verifcarsi ampie variazioni dell'infazione associate a
variazioni quasi nulla della disoccupazione. È quello che succede in paesi dove l'infazione è molto
alta.

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4.4. Defazione e curva di Phillips

Cosa succede invece quando l'infazione è bassa, cioè quando c'è defazione?

La curva di Phillips sembra indebolirsi:


alta disoccupazione ⇨ defazione limitata

I punti corrispondenti agli anni 30 della Grande Depressione (indicati da triangoli), giacciono a
destra degli altri, pertanto dato l'elevato tasso di disoccupazione, anche il tasso di infazione è
sorprendentemente alto (ci saremmo aspettati una forte defazione)⇨ la curva di Phillips non funzionava.
Due possibili spiegazioni:

1. La grande depressione provocò un aumento non solo del tasso effettivo di disoccupazione,
ma anche del tasso naturale di disoccupazione. Questa spiegazione però NON è
CONVINCENTE. Infatti la depressione è il risultato di un forte calo della domanda
aggregata che ha causato un aumento del tasso effettivo di disoccupazione al di sopra del suo
livello naturale e non, invece, un aumento di quest'ultimo.

2. Quando un'economia è in defazione, la curva di Phillips non vale più: i lavoratori non sono
disponibili ad accettare riduzioni dei propri salari nominali. È possibile che i lavoratori siano
disposti ad accettare, anche se inconsapevolmente, riduzioni dei propri salari reali dovute a
un aumento più veloce dell'infazione rispetto all'aumento dei salari nominali. Tuttavia, sarà
più diffcile che accettino riduzioni del salario reale dovute a forti riduzioni del salario
nominale.

Distribuzione delle variazioni nei salari in Portogallo.


Quando l'infazione è bassa la variazione dei salari è prossima allo
zero.
Perchè, in questi anni di crisi, non si osserva una
riduzione dei prezzi (una defazione così ampia)
giustifcata dalla PC, ma si osserva una persistenza di
disoccupazione? Non c'è ↓salari nominali:
• minimi salariali;
• se i lavoratori possono accettare una riduzione dei
salari reali indotta da un aumento dei prezzi diffcilmente
accettano riduzioni di salari nominali;
• se diminuisce in modo eccessivo, tale che W<Wriserva
non si crea occupazione.

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capitolo 9
IL MODELLO IS-LM-PC
Mercato dei beni IS
(curva keynesiana) IS - LM
Mercato monetario LM
IS – LM - PC
Mercato del lavoro curva di Phillips
PC

1. Il modello IS-LM-PC
Comportamento della produzione nel breve periodo (cap.6):

Relazione IS: Y = C(Y – T) + I(Y, r + x) + G

Relazione LM: r = r (tasso di policy)

! Non necessariamente
l'equilibrio di breve periodo
corrisponde a quello di medio

Se la produzione effettiva supera


quella potenziale (Y > Yn) signifca
che produco di più e la
disoccupazione è inferiore:
→ salari più alti
→ infazione crescente

Relazione tra infazione e disoccupazione, (cap.8):

Curva di Phillips: πt – πe = – α (u – un)

Dato che la relazione IS è espressa in termini della produzione, il primo passo sarà riscrivere la curva
di Philips in termini della produzione, invece che della disoccupazione.

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Defnizione tasso di disoccupazione:

u = U/L = (L – N)/L = 1 – N/L

quindi:
N = L (1 – u)

Ipotesi: produzione uguale all'occupazione:

Y = N = L (1 – u)

Quando il tasso di disoccupazione è pari al suo livello naturale, anche l'occupazione sarà al suo
livello naturale Nn , così come la produzione Yn chiamato anche produzione potenziale.

Possiamo ora esprimere le deviazioni del tasso di disoccupazione dal suo livello naturale in termini
di produzione:

Output gap → Y – Yn = L [(1 – u) – (1 – un)]


= – L (u – un)

Sostituendo (u – un) all'interno della curva di Phillips otteniamo l'espressione in termini di


produzione:

πt – πe = (α/L) (Y – Yn)

Ipotesi: ASPETTATIVE ADATTIVE STATICHE → πet = πt–1 o π(–1)

πt – π(–1) = (α/L) (Y – Yn)

A parole: quando la produzione è superiore al suo livello potenziale, quando c'è quindi un output
gap positivo, l'infazione aumenta. Quando la produzione è al di sotto del suo livello potenziale,
quando c'è quindi un output gap negativo, l'infazione diminuisce.

La legge di Okun

In che modo la relazione tra produzione e disoccupazione rifette la relazione empirica tra le
due, conosciuta con il nome di legge di Okun (cap.2)?

La relazione teorica può essere scritta come:

u – u–1 ≈ – gY

La variazione della disoccupazione è approssimativamente uguale al negativo del tasso di crescita


della produzione.

La retta regressiva che meglio spiega la nuvola di punti nella


fgura è data da:

u – u–1 ≈ – β (gY – gY)

u – u–1 ≈ – 0,4 (gY – 3%)

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• La crescita della produzione annuale deve essere pari ad almeno il 3% per impedire il tasso di
disoccupazione di aumentare, ovvero deve essere uguale alla somma del tasso di crescita delle forze
lavoro e del tasso di crescita della produttività del lavoro.
• Le imprese aggiustano l'occupazione meno che proporzionalmente in risposta a deviazioni della
crescita della produzione dal tasso naturale (una crescita della produzione dell'1% porta ad un
aumento pari a solo 0,6% del tasso di occupazione). Una ragione è che alcuni lavoratori sono
necessari all'impresa, a prescindere dal livello della produzione. Un'altra ragione è che formare
nuovi dipendenti è costoso: le imprese preferiscono mantenere i lavoratori già assunti piuttosto che
aggiustare le forze di lavoro in risposta a futtuazioni della produzione. In tempi di crisi, le imprese
di fatto mantengono lavoratori non necessari, che risulteranno necessari appena le condizioni di
mercato miglioreranno (cd. labor hoarding).
• β = coeffciente di Okun, cattura l'effetto degli scostamenti della crescita della produzione
dal suo livello naturale sul tasso di disoccupazione.

2. La dinamica di aggiustamento e l'equilibrio di medio periodo


Supponiamo che l'equilibrio iniziale sia in
corrispondenza del punto A, sia nel quadro superiore
che in quello inferiore della fgura. Dopo un certo tempo
la banca centrale aumenta il tasso di policy per riportare
la produzione al suo livello potenziale ed eliminare la
pressione sull'infazione.
⇨ l'economia si muove lungo la curva IS, dal punto A al
punto A'. La produzione diminuisce e, nel riquadro
inferiore, fa spostare l'economia lungo la curva PC, da A
a A'.
La produzione è al suo livello potenziale (scompare il
gap) e, conseguentemente, non c'è alcuna pressione
sull'infazione, che rimane quindi costante: è
l'EQUILIBRIO di MEDIO PERIODO.

Il tasso di interesse rn associato a Yn è spesso chiamato


tasso di interesse naturale o tasso di interesse
neutrale o anche tasso di interesse di Wicksell.

Perché la banca non aumenta il tasso di policy immediatamente, in modo tale che l'equilibrio di
medio periodo venga raggiunto senza ritardi?
• È spesso diffcile per la banca centrale sapere quale sia esattamente il livello della produzione
potenziale, e quanto la produzione attuale sia lontana dal suo potenziale.
• Anche se la banca centrale reagisse tempestivamente ci vorrebbe comunque tempo prima che
l'economia torni a un livello naturale della produzione in quanto le imprese hanno bisogno di tempo
per aggiustare le proprie decisioni di investimento in risposta a un maggior tasso di policy, causando
una diminuzione della domanda, della produzione e del reddito, ma ci vuole tempo prima che i

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consumatori aggiustino il loro consumo in risposta alla riduzione del loro reddito, e ci vuole altresì
tempo prima che le imprese aggiusti il loro comportamento in risposta alla riduzione delle vendite
che ne consegue.

Il fatto che sia necessario tempo prima che la produzione ritorni al suo livello naturale solleva una
questione riguardo l'infazione. Durante il processo di aggiustamento la produzione è costantemente
al di sopra del suo livello potenziale, e così l'infazione aumenta costantemente. Se la banca centrale
decidesse di ridurla, dovrebbe aumentare il tasso di policy oltre rn , fno a un rientro a livelli
considerati accettabili di infazione. L'economia, partendo dal punto A, supererebbe il punto A'
raggiungendo, per esempio, il punto C. A quel punto, la banca centrale comincerebbe a diminuire il
tasso di policy fno a rn
In altre parole, se la banca centrale volesse mantenere un costante livello di infazione nel medio
periodo, l'espansione iniziale dell'economia dovrebbe essere seguita da una recessione.

2.1. Una rivisitazione del ruolo delle aspettative

Invece ci assumere che πet = πt–1 , assumiamo che gli individui si aspettino che l'infazione sia uguale
ad un certo valore costante π. L'equazione diventa:

π – π = (α/L) (Y – Yn)

Un output gap positivo produce ora un maggior tasso di infazione, invece che un tasso di infazione
crescente. Per tornare al tasso di infazione π, non è necessario che la banca centrale aumenti il tasso
di policy oltre rn , com'era invece necessario prima. In questo caso diciamo che le ASPETTATIVE
sono ANCORATE, non è necessario che la banca centrale compensi la fase di espansione con una
recessione.

2.2. Lo zero lower bound e la spirale defazionistica

Consideriamo ora il caso in cui l'economia si trova in


RECESSIONE: la produzione è al di sotto del suo livello
naturale. L'outgap è negativo e l'infazione è in diminuzione.

La banca dovrebbe diminuire il tasso di policy fno a che


la produzione aumenti fno al suo livello potenziale.
⇨ Se l'economia è in forte recessione, il tasso reale di policy
necessario potrebbe essere negativo. Tuttavia a causa della
limitazione imposta dallo zero lower bound, la banca centrale
non può portare il tasso di policy nominale sotto lo zero e, in
presenza di infazione nulla, questo implica un tasso di policy
reale pari allo 0%, in corrispondenza di un livello di
produzione pari a Y' ancora al di sotto del suo livello potenziale
e l'infazione è quindi in diminuzione. Questo dà inizio a una
spirale defazionistica, o trappola defazionistica: è ciò che
accadde durante la Grande Depressione.

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L'infazione si trasformò in una sempre più elevata defazione, portando ad un costante aumento del
tasso di policy reale e facendo diminuire la spesa e la produzione, fno a quando non vennero
adottate altre misure di politica economica e l'economia invertì la sua rotta. La defazione e la
ridotta produzione si alimentano reciprocamente. Una minore produzione conduce a più
defazione, e più defazione conduce a un maggior tasso di interesse reale e a una minore
produzione. Invece di raggiungere l'equilibrio di medio periodo, l'economia si
allontana da esso: la produzione è in costante diminuzione e la defazione diviene sempre più
signifcativa.

Durante la crisi recente, il tasso di policy sceso a zero nelle principali economie avanzate, ha
sollevato preoccupazioni simili. Ma la defazione è rimasta limitata, e non si è verifcata alcuna
spirale defazionistica. Una delle ragioni è che le aspettative sull'infazione sono rimaste ampiamente
ancorate. Una ridotta produzione ha portato a una ridotta infazione e, in alcuni casi, a una leggera
defazione, ma mai a una sistematica e crescente defazione, come accadde invece durante la
Grande Depressione.

3. Consolidamento fscale: una rivisitazione


Supponiamo di essere in equilibrio (punto A).
Il governo, il cui bilancio è in disavanzo, decide di ridurre
attraverso un aumento delle imposte.

Y = C (Y – T) + I (r + x,y) + G

Conseguenze: il consumo diminuisce e la curva IS si sposta


verso sinistra. La produzione si riduce e con essa anche
l'investimento. È esattamente l'equilibrio di breve periodo
che avevamo analizzato nel capitolo 5, il cui
consolidamento fscale appare decisamente poco attraente:
sia il consumo che l'investimento si riducono. Ma nel medio
periodo, dato che la produzione è troppo bassa e
l'infazione sta diminuendo, la banca centrale
probabilmente interverrà riducendo il tasso di policy in
modo da riportare la produzione al livello potenziale
(PM+). Comunque la tendenza dei prezzo e diminuire (non
sono più fssi) provocherebbe in ogni caso la tendenza a
tornare in equilibrio anche senza PM+. La produzione
torna a Yn e l'infazione è nuovamente stabile. Tuttavia il tasso di policy necessario per mantenere la
produzione al suo potenziale è ora minore, r'n , Pertanto dato che la produzione è la stessa di prima,
ma il tasso di interesse minore, l'investimento è maggiore di prima del consolidamento fscale.
Questo è ciò che rende un consolidamento fscale più attraente nel medio periodo.

⇨ Sebbene un consolidamento fscale possa ridurre l'investimento nel breve periodo, lo aumenta
nel medio periodo.

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4. Effetti di un aumento del prezzo del petrolio


Desumiamo che le imprese a un aumento del prezzo delle materie prime (es. petrolio) aumentino m,
il markup di prezzo sui salari nominali in modo da mantenere invariato il proftto (un aumento del
prezzo del petrolio aumenta il costo di produzione, spingendo le imprese ad aumentare i prezzi per
mantenere invariato il proftto): la PS si sposta verso il basso e la disoccupazione deve aumentare
per fare accettare il salario ai lavoratori. Pertanto il salario reale è minore il tasso naturale di
disoccupazione è più elevato.

L'aumento del tasso naturale di disoccupazione conduce, a sua volta, ho una diminuzione del livello
naturale di occupazione, che porta a una pari diminuzione della produzione potenziale.

⇨ Un aumento del prezzo del pretorio si porta a una diminuzione della produzione potenziale: la
curva PC si sposta verso l'alto.

Se la banca centrale lasciasse il tasso di policy invariato, la


produzione continuerebbe a essere superiore alla
produzione potenziale e l'infazione aumenterebbe. Quindi,
ad un certo punto, la banca centrale aumenta il tasso di
policy per stabilizzare l'infazione (PM –) : l'economia si
sposta lungo la curva IS e lungo la curva PC'. Se la banca
centrale vuole riportare l'infazione al suo livello precedente
deve ridurre la produzione al di sotto del suo livello
potenziale per un po'. Mentre la produzione diminuisce,
l'infazione continua ad aumentare, sebbene aumenti
sempre meno fno a che non ritorna nuovamente stabile.

⇨ Durante l'aggiustamento, una minore produzione è


associata ad una più elevata infazione, combinazione
chiamata stagfazione.

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ECO. CHIUSA → ECO. APERTA

capitolo 17
APERTURA del MERCATO dei BENI e dei MERCATI FINANZIARI
Il concetto di apertura internazionale ha 3 dimensioni distinte:

1. Apertura del mercato dei beni: l'opportunità per i consumatori e le imprese di scegliere
tra beni nazionali e beni esteri. Vincoli alla scelta: dazi (tasse sui beni importati) e quote
(restrizioni sulle quantità di beni che possono essere importate).

2. Apertura dei mercati fnanziari: l'opportunità per gli investitori fnanziari di scegliere
tra titoli nazionali ed esteri.

3. Apertura dei mercati dei fattori: l'opportunità per le imprese di scegliere dove
localizzare un'attività produttiva e per i lavoratori di scegliere dove lavorare.

1. Il mercato dei beni in economia aperta


1.1. Esportazioni e importazioni

Saldo commerciale = Esportazioni – Importazioni

se E > I ⇨ avanzo commerciale


se E < I ⇨ disavanzo commerciale

Misure grado di apertura di un'economia:

• Volume degli scambi = E o I /Pil

• Proporzione di beni commerciali presenti nell'economia (= beni che competono con quelli
esteri sia sul mercato interno sia sui mercati stranieri).

La proporzione di beni commerciali è un indicatore migliore in quanto molte imprese sono esposte
alla concorrenza estera senza che questo generi un aumento delle importazioni: tenendo i prezzi
bassi per reggere la concorrenza, queste imprese riescono a mantenere la loro quota di mercato e
limitare le importazioni dall'estero.

Negli Stati Uniti i beni commerciali rappresentano il 60% della produzione.

Le differenze esportazioni/Pil tra i paesi dipende dalla geografa e dalla dimensione. Per esempio, in
Giappone è basso perchè è isolato dagli altri mercati, mentre l'Olanda, paese piccolo, non può
permettersi di produrre tutti i beni necessari a un'economia pertanto dovrà importarli.

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1.2. La scelta tra beni nazionali e beni esteri

In economia chiusa i consumatori fronteggiano una decisione: risparmiare o consumare.


In economia aperta, i consumatori fronteggiano due decisioni: risparmiare o consumare, comprare
beni nazionali o beni esteri. La variabile cruciare in questa seconda scelta è il prezzo dei beni
nazionali in termini di beni esteri, cd. tasso di cambio reale.

1.3. Tassi di cambio nominali

I tassi di cambio nominali tra due valute possono essere espressi in uno dei due seguenti modi:

a. Come il prezzo della valuta nazionale in termini di valuta estera.

b. Come il prezzo della valuta estera in termini della valuta nazionale.

Noi adottiamo la prima defnizione: il tasso di cambio nominale E è il prezzo della moneta nazione
in termini di moneta estera. Es. il tasso di cambio tra Eurozona e Regno Unito indica il prezzo di un
euro in termini di sterline.

Le variazioni del tasso di cambio nel tempo sono chiamate apprezzamenti nominali o deprezzamenti
nominali:

• un apprezzamento della moneta nazionale ↔ aumento del prezzo della moneta nazionale in
termini di moneta estera ↔ aumento del tasso di cambio ↑E = più dollari per 1€

• un deprezzamento della moneta nazionale ↔ riduzione del prezzo della moneta nazionale in
termini di moneta estera ↔ riduzione del tasso di cambio ↓E = meno dollari per 1€

% = Et – Et–1 / Et–1

Regime di cambi fssi: sistema nel quale due o più paesi mantengono un tasso di cambio costante
tra le proprie valute. In questo sistema, gli aumenti del tasso di cambio sono chiamati rivalutazioni e
le riduzioni sono chiamate svalutazioni.

1.4. Dai tassi di cambio nominale ai tassi di cambio reale

– Il prezzo dei beni dell'Eurozona in euro è P. Moltiplicandolo per il tasso di cambio nominale E
otteniamo il prezzo dei beni europei in sterline, EP.

– Il prezzo dei beni britannici in sterline è P*. Il tasso di cambio reale è:

� = EP / P*

se >1 è più competitivo il bene all'estero

Le variazioni del tasso di cambio reale sono chiamate apprezzamenti reali e deprezzamenti reali:

• apprezzamento reale ↔ aumento dei prezzi dei beni nazionali in termini di beni esteri ↔
aumento del tasso di cambio reale → più competitivo il bene estero;

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• deprezzamento reale ↔ riduzione dei prezzi dei beni nazionali in termini di beni esteri ↔
diminuzione del tasso di cambio reale → più competitivo il bene nazionale.

Dall'inizio degli anni 90, i tassi di cambio nominale e reale sono stati molto simili, e ciò è dovuto dal
fatto che l'infazione è simile nei due contesti (Eurozona e Regno Unito).

1.5. Dai tassi di cambio bilaterali ai tassi di cambio multilaterali

Il tasso di cambio multilaterale rappresenta il prezzo medio dei beni di una nazione rispetto a quello di
tutti i suoi partner commerciali.

La fgura mostra l'evoluzione del tasso di cambio multilaterale (o effettivo) dei beni dell'Eurozona
rispetto ai beni esteri, dal 1999. È possibile constatare la tendenza all'apprezzamento reale dell'euro
dal 1999, seguita poi da un rapido deprezzamento a partire dal 2008. Nel 2015 il prezzo dei beni
dell'Eurozona in termini di beni esteri è tornato a livelli simili a quelli osservati nel 1999.

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2. I mercati fnanziari in economia aperta


2.1. La bilancia dei pagamenti

Le transazioni di un paese con il resto del mondo, siano esse fussi commerciali o fnanziari, sono
riassunte in una serie di conti chiamati bilancia dei pagamenti.

La tabella rappresenta la bilancia dei pagamenti dell'UE nel 2015. Si compone di due sezioni
separate da una linea; le transazioni si dicono sopra la linea o sotto la linea.

Il conto corrente. Le transazioni sopra la linea registrano tutti i pagamenti da e verso il resto
del mondo: sono chiamate transazioni di conto corrente:
• esportazioni e importazioni di beni e servizi;
• redditi da investimento: da capitale, da lavoro.
• trasferimenti: cancellazioni del debito, trasferimenti dovuti a brevetti, a diritti d'autore e a
marchi di fabbrica, e donazioni internazionali. Trasferimenti netti ricevuti = valore netto degli aiuti
dati e ricevuti dall'estero.

La somma dei pagamenti netti da e verso il resto del mondo prende il nome di saldo di conto
corrente. Se i pagamenti sono positivi si registra un avanzo di conto corrente, se invece sono
negativi si registra un disavanzo di conto corrente.

Il conto capitale. Le transazioni sotto la linea registrano i fussi fnanziari da e verso il resto
del mondo: sono chiamate transazioni di conto capitale.
I fussi netti di capitale positivi sono chiamati avanzo di conto capitale; fussi netti di capitale
negativi sono detti disavanzo di conto capitale. Dalla loro differenza si ottiene il saldo di conto
capitale.

Le cifre relative alle transazioni sopra la linea (conto corrente) e sotto la linea (conto capitale) hanno
origine da fonti diverse. Benchè debbano fornire lo stesso risultato, di solito ciò non avviene. La
differenza tra le due è detta discrepanza statistica.

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Registrazioni

Voci + Voci –

Richiedono un pagamento da parte di stranieri a Richiedono un pagamento da parte di italiani vs


italiani → DOMANDA di € contro domanda di estero → OFFERTA di € contro domanda di
valuta estera valuta estera

comportano un affusso di fondi dall'estero comportano un defusso di fondi dall'Italia


all'Italia all'estero

Es. Impresa A in Italia vende una partita di agrumi in Svizzera ⇨ esportazioni di merci +conto
corrente

Una banca milanese incassa interessi su fnanziamenti consessi al Brasile ⇨ ↑redditi dall'estero
+conto corrente

Il signor Rossi residente in Italia acquista T-Bond (titoli di Stato americani) ⇨ ↑importazioni di
attività fnanziarie – conto capitale

2.2. La scelta tra attività fnanziarie nazionali ed estere

A prima vista sembra che ci siano due nuove decisioni da affrontare: la scelta tra moneta nazionale ed
estera e la scelta tra attività fnanziarie fruttifere nazionali ed estere. Tuttavia detenere titoli esteri è
senza dubbio più conveniente che tenere moneta estera, in quanto essi pagano un tasso di interesse
positivo. Quindi, l'unica nuova scelta che è necessario considerare è quella tra attività fnanziarie
fruttifere nazionali ed estere.

Consideriamo la scelta tra titoli annuali italiani e titoli annuali britannici.


• Decido di detenere titoli italiani. Per ogni euro investito in titoli italiani, ottengo (1 + it ) € l'anno
prossimo (it = tasso di interesse nominale a un anno).
• Decido di detenere titoli britannici. Bisogna innanzitutto comprare sterline. Per ogni euro
ottengo Et £ (Et = tasso di cambio nominale tra euro e sterlina). Sia it* il tasso di interesse nominale
a un anno sui titoli britannici (in £) nell'anno t. L'anno prossimo avrò Et(1 + it*) £. A questo punto
dovrò convertire le sterline in euro: otterrò Et(1 + it*)(1/Eet+1) € per ogni euro investito.

Affnché sia conveniente tenere titoli sia italiani sia britannici, essi devono avere lo stesso tasso di
rendimento atteso, cioè deve valere la seguente condizione di arbitraggio:

(1 + it) = Et (1 + it*) (1/Eet+1)

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2.3. Tassi di interesse e tassi di cambio

Per capire meglio che cosa comporta la condizione di parità dei tassi di interesse, riscriviamo
Et/Eet+1 come 1/[1 + (Eet+1 – Et)/Et]

(1 + it) = (1 + it*) / [1 + (Eet+1 – Et)/Et]

Se i tassi di interesse, it e it*, e il tasso di apprezzamento atteso, (Eet+1 – Et), non sono troppo elevati –
ad esempio sotto il 20% – una buona approssimazione di questa equazione è data da:

it ≈ it* – (Eet+1 – Et)/Et

L'arbitraggio fa sì che il tasso di interesse interno sia (approssimativamente) uguale al tasso di interesse estero meno il
tasso di apprezzamento atteso (variazione attesa) della moneta interna.

Ricorda: gli asterischi indicano le variabili macroeconomiche dell'economia aperta

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capitolo 18
il MERCATO dei BENI in ECONOMIA APERTA
Come uno shock nell'economia possa propagandarsi nell'economia globale?

1. La curva IS in economia aperta


"Domanda nazionale di beni" e "domanda di beni nazionali", in economia aperta, non sono la
stessa cosa:
→ La domanda nazionale di beni è la domanda di beni espressa dai residenti, domanda che può
essere rivolta a beni nazionali o esteri.
→ La domanda di beni nazionali in parte proviene dall'estero.

1.1. La domanda di beni nazionali

In un'economia aperta, la domanda di beni nazionali è data da:

Z = C + I + G + X – IM/�

C + I + G = domanda nazionale di beni, nazionali o esteri. Se l'economia fosse chiusa sarebbe


anche la domanda di beni nazionali. In economia aperta dobbiamo:

• sottrarre le importazioni in termini di beni nazionali (1/� è il prezzo dei beni esteri i termini di
beni nazionali)
• aggiungere le esportazioni, X.

1.2. Le determinanti di C, I e G

Possiamo usare la descrizione di consumo, investimento e spesa pubblica che abbiamo presentato
nei capitoli precedenti.

Domanda interna: C + I + G = C(Y – T) + I(Y, r) + G


(+) (+, –)

1.3. Le determinanti delle importazioni

Da che cosa dipende la quantità di importazioni?


Principalmente, dal livello aggregato del reddito nazionale: quanto maggiore è il reddito nazionale,
tanto più elevata sarà la domanda di tutti i beni, sia nazionali sia esteri. Le importazioni dipendono
anche dal tasso di cambio reale, il prezzo dei beni nazionali in termini di beni esteri. Un aumento
del tasso di cambio reale è associato a maggiori importazioni, poichè i beni esteri ora costano meno
in termini reali. Quindi:

IM = IM(Y, �)
+ +

→ Un aumento del reddito nazionale Y provoca un aumento delle importazioni


→ Un aumento del tasso di cambio reale � provoca un aumento delle importazioni

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1.4. Le determinanti delle esportazioni

Da che cosa dipende la quantità di esportazioni?


Esse dipendono dal reddito estero: un maggiore reddito estero è associato a una maggiore domanda
estera per tutti i beni, sia nazioni che stranieri. Le esportazioni dipendono anche dal tasso di cambio
reale: quanto maggiore è il prezzo dei beni nazionali rispetto ai beni esteri, tanto minore sarà la
domanda estera di beni nazionali.

Se indichiamo con Y* il reddito (o la produzione) del resto del mondo, possiamo scrivere:

X = X(Y*, �)
+ –

→ Un aumento del reddito estero, Y*, provoca un aumento delle esportazioni


→ Un aumento del tasso di cambio reale � provoca una riduzione delle esportazioni.

1.5. Uniamo tutte le determinanti della domanda di beni nazionali

La fgura mostra le varie componenti della domanda di beni nazionali in funzione della produzione,
mantenendo costanti tutte le altre variabili che infuenzano la domanda.

Nella fgura a la retta DD rappresenta la domanda nazionale, C + I + G, come funzione della


produzione Y (vedi capitolo 3).

Per ottenere la domanda di beni nazionali, dobbiamo innanzitutto sottrarre le importazioni → nella
fgura b la retta AA rappresenta la domanda nazionale di beni nazionali: la distanza tra la DD e la
AA è uguale al valore delle importazioni IM/�. Poiché la quantità di importazioni aumenta col
reddito, la distanza tra le due rette aumenta anch'essa al crescere del reddito. Due caratteristiche
della curva AA:
– la AA è più piatta della DD: all'aumentare del reddito, la domanda interna di beni nazionali
aumenta meno della domanda interna totale.
– la AA è inclinata positivamente: un incremento del reddito fa aumentare la domanda interna di
beni nazionali.

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Infne dobbiamo aggiungere le esportazioni → nella fgura c la retta ZZ rappresenta la domanda di


beni nazionali, e che giace sopra la AA. La distanza tra la ZZ e la AA corrisponde alle esportazioni.
Poichè queste ultime non dipendono dal reddito interno (ma da quell'esterno), la distanza tra ZZ e
AA è costante e, quindi, le due rette sono parallele. Le esportazioni sono date dalla distanza AC e le
importazioni dalla distanza AB, per cui le esportazioni nette sono rappresentate dalla distanza BC.

Nella fgura d la relazione tra esportazioni nette e produzione è rappresentata dalla retta indicata
con NX: all'aumentare della produzione nazionale, le importazioni aumentano e le esportazioni
rimangono invariate, per cui le esportazioni nette diminuiscono.

YTB (Trade Balance, bilancia commerciale) rappresenta il livello di produzione nazionale in


corrispondenza del quale le importazioni sono uguali alle esportazioni (AB = BC), per cui le
esportazioni nette sono pari a zero.
Per livelli di produzione nazionale > YTB , le importazioni sono più elevate e il paese registra un
disavanzo commerciale.
Per livelli di produzione nazionale < YTB , le importazioni sono più basse il paese registro avanzo
commerciale.

2. Produzione di equilibrio e bilancia commerciale


Il mercato dei beni è in equilibrio quando la produzione nazionale è uguale alla domanda – sia
nazionale che estera – di beni nazionali, cioè quando:

Y=Z

Y = C(Y – T) + I(Y, r) + G – IM(Y, �) + X(Y*, �)


Nella fgura si osserva che il livello di equilibrio della


produzione nazionale Y, è diverso dal livello che
pareggia la bilancia commerciale YTB.

Infatti il livello di equilibrio della produzione è dato


dalla condizione Y = Z. Il livello di produzione in
corrispondenza del quale si ha equilibrio della
bilancia commerciale è dato dalla condizione
X = IM/� ⇨ NX = X – IM/� = 0

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3. Aumenti della domanda: interna o esterna


Come cambia la produzione in seguito a variazioni della domanda in un'economia aperta?

3.1. Un aumento della domanda interna

Supponiamo che la bilancia commerciale sia in


pareggio (NX = 0), così che Y = YTB.
Cosa succede se il governo aumenta la spesa
pubblica di ΔG?

↑Y, ↑C, ↑I, ↑IM (poichè c'è un - da pareggiare


a disavanzo), X non varia

⇨↓NX = X – ↑IM/� < 0

L'incremento della produzione è chiaramente


maggiore dell'aumento della spesa pubblica, per
effetto del moltiplicatore.

Pertanto, a differenza dell'economia chiusa in cui


aumenta solo la domanda e la produzione:
• ora c'è un effetto sulla bilancia commerciale.
L'incremento di prodotto da Y a Y' genera quindi
un disavanzo commerciale pari a BC (la retta NX
non si sposta perchè la spesa pubblica non rientra
nell'equazione). Le importazioni aumentano
mentre le esportazioni rimangono invariate.
• inoltre l'effetto della spesa pubblica sulla produzione nazionale è inferiore rispetto a quello
registrato in economia chiusa → in economia aperta il moltiplicatore ha un valore inferiore.

RICORDA: quanto è minore l'inclinazione della curva di domanda, tanto inferiore è il valore del
moltiplicatore → la curva di domanda ZZ è più piatta della curva di domanda in economia chiusa
DD.

Causa dei due effetti: l'aumento della domanda interna ricade sia sui beni nazionali sia sui beni
esteri. Di conseguenza, quando la produzione aumenta, l'effetto sulla domanda di beni nazionali è
più piccolo di quello che si avrebbe in economia chiusa, e il valore del moltiplicatore è inferiore.
Inoltre, poiché parte dell'incremento della domanda è rivolto alle importazioni – e le esportazioni
sono invariate – ne risulta un disavanzo commerciale.

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Il moltiplicatore nell'economia aperta

C = c0 + c1(Y – T)
I = d0 + d1Y – d2i

ipotesi: � = 1
IM = q1Y

X = x1Y*

Y = C + I + G – IM + X

Y = c0 + c1(Y – T) + d0 + d1Y – d2r + G – q1Y + x1Y*

Y = [1/1 – (c1 + d1 – q1)] (c0 – c1T + d0 – d2r + G + x1Y*

1/1 – (c1 + d1 – q1) < 1/1 – (c1 + d1)

q1 = propensione a importare

Variazione del reddito al variare di G

ΔY = [1/1 – (c1 + d1 – q1)] ΔG

Variazione di NX al variare di G

ΔNX = – q1ΔY
= [– q1 / 1 – (c1 + d1 – q1)] ΔG

Es. c1 + d1 = 0,6 Es. c1 + d1 = 0,6


q1 = 0,4 q1 = 0,1

q1/c1 + d1 = 4/6 → impatto aumento q1/c1 + d1 = 1/6


domanda su importazioni

ΔY = 1,25ΔG ΔY = 2ΔG → aumenta impatto su reddito


ΔNX = 0,5ΔG ΔNX = – 0,2ΔG

⇨ Le economie piccole hanno propensione maggiore a importare perchè q1/c1 + d1 è maggiore


rispetto ai paesi grandi.

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3.2. Un aumento della domanda estera

Supponiamo che la bilancia commerciale sia in


pareggio (NX = 0), così che Y = YTB. Ciò avviene in
corrispondenza del punto in cui la retta ZZ (domanda di
beni nazionali) e la retta DD (domanda nazionale di beni) si
intersecano.

Quali sono gli effetti di un aumento della produzione


estera Y* (non è nota la causa) sulla produzione
nazionale?

↑Y*
⇨↑X(Y*, �)
⇨↑domanda beni nazionali
⇨↑Y ⇨↑IM(Y, �) (inferiore a ↑X)
⇨↑NX

Un maggior livello di produzione estera si traduce in


una maggiore domanda estera che riguarda anche i
beni nazionali.
• Aumentano le nostre esportazioni di ΔX pertanto la
ZZ si sposta verso l'alto.
• Dato il livello di produzione nazionale,
all'aumentare delle esportazioni di ΔX la retta NX che rappresenta le esportazioni nette in funzione
della produzione si sposta anch'essa verso l'alto in misura pari a ΔX.
⇨ Un maggior livello di produzione estera genera maggiori esportazioni di beni nazionali, che a
loro volta fanno aumentare la produzione interna e la domanda nazionale di beni attraverso il
moltiplicatore.

Cosa succede alla bilancia commerciale?


⇨ La bilancia commerciale deve migliorare!! Perchè? Un aumento di Y* fa spostare la ZZ verso
l'alto ma la retta DD non si muove perchè Y* non infuenza il consumo, l'investimento o la spesa
pubblica. Domanda interna = DC, domanda di beni nazionali = DA'. In quanto la DD è
necessariamente al di sotto della ZZ', le esportazioni nette (CA') sono necessariamente positive.
Quindi, le importazioni aumentano, ma non in misura tale da compensare l'incremento delle
esportazioni, per cui la bilancia commerciale migliora.

3.3. Politica fscale: una rivisitazione

Finora abbiamo derivato due risultati.

→ Un aumento della domanda nazionale provoca un incremento della produzione nazionale,


ma anche un peggioramento del saldo commerciale.

→ Un aumento della domanda estera provoca un aumento della produzione nazionale e un


miglioramento del saldo commerciale.

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Due implicazioni:
1. Gli shock alla domanda in un paese hanno effetti anche in tutti gli altri paesi.
2. I paesi prediligono aumenti della domanda estera (che provoca un miglioramento della bilancia
commerciale) piuttosto che incrementi della domanda nazionale (che provocano un deterioramento
della bilancia commerciale). Si consideri un gruppo di paesi all'interno del quale vi siano ampi fussi
commerciali, e supponiamo che questi paesi siano tutti in recessione e che ognuno di essi abbia una
bilancia commerciale più o meno in pareggio. Ciascuno aspetterà prima di adottare misure che
stimolino la domanda interna, aspettando che sia un altro paese ad adottarle. Ma se tutti aspettano,
non accadrà nulla e la recessione persisterà.

Soluzione: coordinamento della politica economica. Se tutti i paesi coordinassero le loro


politiche macroeconomiche in modo da aumentare la domanda interna simultaneamente,
potrebbero aumentare la produzione senza generare maggiori disavanzi commerciali tra loro:
l'aumento coordinato della domanda genererebbe aumenti sia delle importazioni sia delle
esportazioni di ogni paese.
Tuttavia, il coordinamento della politica economica non è così facile da realizzare: potrebbe
richiedere ad alcuni paesi di intervenire più di alti, e non è detto che essi siano disposti a farlo.
Inoltre, i paesi hanno un forte incentivo a promettere di aderire al coordinamento, per poi
rinnegare la loro promessa allo scopo di benefciare dell'aumento della domanda estera per ottenere
un miglioramento della loro bilancia commerciale.

4. Deprezzamento, bilancia commerciale e produzione


4.1. Deprezzamento e bilancia commerciale: la condizione di Marshall-Lerner

Defnizione di esportazioni nette è NX = X – IM/�:

NX = X(Y*, �) – IM(Y, �)/�

Pertanto il deprezzamento reale (una riduzione di �) infuenza la bilancia commerciale attraverso


tre canali:

• Le esportazioni, X, aumentano. Il deprezzamento reale, che rende i beni nazionali relativamente


meno costosi all'estero, provoca un aumento della domanda estera di beni nazionali e quindi
un incremento delle esportazioni nazionali.

• Le importazioni, IM, diminuiscono. Il deprezzamento reale, che rende i beni esteri relativamente
più costosi nell'economia nazionale, provoca un aumento della domanda interna di beni
nazionali e quindi una riduzione delle importazioni.

• Il prezzo relativo dei beni esteri in termini di beni nazionali, 1/�, aumenta. Questo tende ad
aumentare il valore delle importazioni, IM/�. La stessa quantità di importazioni, infatti,
adesso costa di più.

Condizione di Marshall-Lerner: se X e IM sono suffcientemente sensibili a ΔƐ⇨↓� ⇨↑NX


La condizione è soddisfatta se X + IM > 1.

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4.2. Gli effetti di un deprezzamento reale

Il deprezzamento provoca una variazione della domanda, sia estera sia interna, a favore dei beni
nazionali che risultano relativamente meno costosi. Questo genera a sua volta un aumento della
produzione interna e un miglioramento della bilancia commerciale.

↓� ⇨↑X ⇨↓IM ⇨↑IM/� ⇨↑NX

Partiamo da un pareggio di bilancio commerciale NX = 0. Un deprezzamento reale provoca


aumento delle esportazioni e aumento del valore delle importazioni, IM/�, e per la condizione ML
aumenta il reddito.

4.3. La combinazione di politiche fscali e politiche del tasso di cambio

Supponiamo che il governo voglia ridurre il disavanzo


commerciale senza modifcare il reddito (il livello di
produzione aggregata). Cosa deve fare?

Deprezzamento → riduce defcit commerciale, ma


aumenta livello produzione
Stretta fscale → riduce disavanzo commerciale, ma
diminuisce produzione.

Risposta: combinazione di deprezzamento e


stretta fscale.

1. Deve generare un deprezzamento suffciente a


eliminare il disavanzo commerciale al livello
iniziale di produzione. Il deprezzamento deve
quindi essere tale da spostare la curva delle
esportazioni nette da NX a NX'. Il problema è
che un tale deprezzamento, con l'aumento
associato delle esportazioni nette, sposta la
curva di domanda da ZZ a ZZ' e la
produzione aumenta.

2. Per evitare questo effetto espansivo, il governo deve ridurre la spesa pubblica in modo da
riportare ZZ' in ZZ. Questa combinazione di deprezzamento e stretta fscale alla fne lascia
invariato il livello di reddito e migliora la bilancia commerciale.

Altre possibili combinazioni:

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Esempio in alto a destra: la produzione iniziale è troppo bassa e l'economia registra un disavanzo
commerciale. Un deprezzamento avrà effetti benefci sia sulla produzione sia sulla bilancia
commerciale. In base alla situazione iniziale e agli effetti relativi del deprezzamento sulla
produzione e sulla bilancia commerciale, il governo potrebbe aver bisogno di accompagnare il
deprezzamento con un aumento o una diminuzione della spesa pubblica: a questa ambiguità si
riferisce il punto di domanda nella tabella.

5. Uno sguardo alla dinamica: la curva J


Abbiamo detto che è un deprezzamento genera un aumento delle esportazioni e una riduzione delle
importazioni. Ma questi effetti non avvengono di certo in un batter d'occhio!

1. Nei primi mesi, l'effetto probabilmente si rifetterà sui prezzi: il prezzo delle importazioni
europea aumenta, mentre il prezzo delle esportazioni diminuisce.

2. La quantità di esportazioni ed importazioni si aggiusterà lentamente: ci vuole un po' di


tempo prima che i consumatori si rendono conto che i prezzi relativi sono cambiati, prima
che le imprese si rivolgono a fornitori che praticano prezzi più convenienti, e così via.

È quindi possibile che un deprezzamento causi un peggioramento iniziale della bilancia


commerciale; � diminuisce, ma nè X nè IM si aggiustano in misura signifcativa, generando così
una riduzione delle esportazioni nette, X – IM/�.

Quando gli effetti sui prezzi relativi si rafforzano, ovvero quando i beni europei diventano meno
costosi, i consumatori imprese nell'eurozona ridurranno la propria domanda di beni stranieri, e
quando invece i beni europei diventano meno costosi all'estero, i consumatori e le imprese straniere
ne aumenteranno la domanda. Le esportazioni aumentano, le importazioni diminuiscono.
Se la condizione di Marshall-Lerner alla fne è soddisfatta, la variazione delle esportazioni e delle
importazioni diventa più forte dell'effetto negativo sui prezzi, e l'effetto fnale del deprezzamento
sarà un miglioramento della bilancia commerciale.

Risposta del saldo commerciale al tasso di cambio reale:

all'inizio: (X, IM) invariate �↓⇨(X – IM/�)↓


alla fne: (X↑, IM↓, �↓) ⇨ (X – IM/�)↑

Gli economisti si riferiscono a questo processo di aggiustamento come alla curva J perché la curva
nella fgura assomiglia una J.

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La fgura sotto mostra la bilancia commerciale per l'Italia insieme all'evoluzione del tasso di cambio
reale multilaterale. Dal punto di vista della bilancia commerciale, espressa in rapporto al Pil, due
fatti sono evidenti:

1. Le variazioni del tasso di cambio reale si sono effettivamente rifesse in movimenti paralleli
del saldo della bilancia commerciale.

2. Tuttavia, si osservano ritardi nella risposta della bilancia commerciale a variazioni del tasso
di cambio reale: deprezzamento anni 90 → il miglioramento della bilancia commerciale
raggiunge il suo culmine solo un paio di anni dopo. La curva J è particolarmente evidente in
questo periodo.

6. Risparmio, investimento e saldo commerciale


Scriviamo la condizione di equilibrio nel mercato dei beni come condizione di uguaglianza tra
investimento e risparmio, pubblico e privato in un contesto di economia aperta (come in cap 3).
Partiamo dalla condizione di equilibrio:

Y = C + I + G – IM/� + X

Il risparmio privato è dato da S = Y – C – T

S = I + G – T – IM/� + X

Defnizione di esportazioni nette NX = X – IM/�

NX = S + (T – G) – I

Quindi, un avanzo commerciale corrisponde a un eccesso di risparmio sull'investimento. Un


disavanzo commerciale corrisponde invece a un eccesso di investimento sul risparmio.
(bilancio commerciale ed esportazioni nette sono sinonimi)

NX > 0 ⇨ S + T – G > I
NX < 0 ⇨ S + T – G < I

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capitolo 19
PRODUZIONE, TASSO di INTERESSE e TASSO di CAMBIO
1. L'equilibrio nel mercato dei beni
Affnchè il mercato sia in equilibrio, la produzione nazionale deve essere uguale alla domanda di
beni nazionali:

Y = C(Y – T) + I(Y, r) + G – IM(Y, �)/� + X(Y*, �)


(+) (+, –) (+ , +) (+ , –)

Y = C(Y – T) + I(Y, r) + G + NX(Y, Y*, �)


(+) (+ , –) ( – , + , –)

Prima semplifcazione: P = P* ⇨ E = �
Seconda semplifcazione: πe = 0 ⇨ r = i

Y = C(Y – T) + I(Y, i) + G + NX(Y, Y*, E)


(+) (+ , –) ( – , + , –)

L'equilibrio del mercato dei beni implica che la produzione dipenda negativamente sia dal tasso di
interesse nominale che dal tasso di cambio nominale.

2. L'equilibrio nei mercati fnanziari


2.1. La scelta tra titoli nazionali e titoli esteri

Affnché in equilibrio gli individui detengano sia i titoli nazionali che esteri, essi devono avere lo
stesso tasso di rendimento atteso; altrimenti, gli investitori sarebbero disposti a detenere gli uni o gli
altri, ma non entrambi, e questo non corrisponde ad una condizione di equilibrio.
Come abbiamo visto nel capitolo 17 deve essere soddisfatta la seguente condizione di arbitraggio –
la parità dei tassi di interesse:

(1 + it) = (1 + it*) / (Et / Eet+1)

Se Eet+1 > Et → apprezzamento atteso: acquisto titoli nazionali dato che a scadenza in cambio di
1€ riceverò più dollari.

Moltiplicando entrambi i lati per Eet+1 e riorganizzando i termini si ottiene:

Et = [(1 + it) / (1 + it*)] Eet+1

Ipotesi: tasso di cambio futuro atteso è dato

E = [(1 + it) / (1 + it*)] Ee

Questa relazione ci dice che il tasso di cambio corrente dipende dal tasso di interesse nazionale, dal
tasso di interesse estero e dal tasso di cambio atteso:

• un aumento del tasso di interesse interno provoca un aumento del tasso di cambio (perché
più persone dall'estero acquisteranno nostri titoli)

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• un aumento del tasso di interesse estero provoca una riduzione del tasso di cambio

• un aumento del tasso di cambio atteso porta a un aumento del tasso di cambio corrente.

3. Un'analisi congiunta del mercato dei beni e dei mercati fnanziari


L'equilibrio nel mercato dei beni richiede che la produzione dipenda, tra gli altri fattori, anche dal
tasso di interesse del tasso di cambio:

Y = C(Y – T) + I(Y, i) + G + NX(Y, Y*, E)

Pensiamo al tasso di interesse come al tasso di policy stabilito dalla banca centrale:

i=ῑ

La parità dei tassi di interesse fa sì che vi sia una relazione positiva fra il tasso di interesse interno e il
tasso di cambio:

E = [(1 + it) / (1 + it*)] Ee

Insieme, queste tre relazioni determinano la produzione, il tasso di interesse e il tasso di


cambio.
Semplifcazione: utilizzando la parità dei tassi di interesse eliminiamo il tasso di cambio dalla
condizione di equilibrio nel mercato dei beni.
⇨ Versione delle curve IS e LM in un contesto di economia aperta:

IS: Y = C(Y – T) + I(Y, i) + G + NX(Y, Y*, [(1 + it) / (1 + it*)] Ee)

LM: i=ῑ

Un aumento del tasso di interesse ha due effetti:

1. (già presente nel contesto di un'economia chiusa) effetto diretto sull'investimento: un


tasso di interesse più elevato provoca una riduzione dell'investimento e quindi una
diminuzione della domanda di beni nazionali e della produzione.

2. (presente soltanto nel contesto di un'economia aperta) effetto che opera attraverso il tasso di
cambio: un aumento del tasso di interesse interno genera un apprezzamento.
Quest'ultimo, che rende i beni nazionali relativamente più costoso, provoca a sua volta una
riduzione delle esportazioni nette e, quindi, una riduzione della domanda di beni nazionali e
della produzione.

Entrambi gli effetti operano nella stessa direzione: un aumento del tasso di interesse riduce la
domanda direttamente e indirettamente, attraverso il tasso di cambio.

→ La curva IS è inclinata negativamente: un aumento del tasso di interesse porta direttamente e


indirettamente (attraverso il tasso di cambio) a una riduzione della domanda e della produzione
(come economia chiusa ma la relazione è più complessa).
→ La curva LM (come economia chiusa) è una retta orizzontale in corrispondenza del tasso di
interesse ῑ stabilito dalla banca centrale.

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La produzione e il tasso di interesse di equilibrio sono dati dall'intersezione delle curve IS e LM.
Dato il tasso di interesse estero e il tasso di cambio atteso, il tasso di interesse di equilibrio determina
il tasso di cambio di equilibrio.

4. Gli effetti della politica economica in economia aperta


4.1. Gli effetti della politica monetaria in economia aperta

In economia aperta la politica monetaria opera attraverso due canali:

• il primo, come in economia chiusa, è attraverso l'effetto del tasso di interesse sulla spesa;

• il secondo è attraverso l'effetto del tasso di interesse sul tasso di cambio e, quindi, attraverso
l'effetto del tasso di cambio su esportazioni importazioni.

Entrambi gli effetti vanno nella stessa direzione. Nel caso di una contrazione monetaria, un maggior
tasso di interesse e un apprezzamento del tasso di cambio riduco entrambi la domanda e la
produzione.

4.2. Gli effetti della politica fscale in economia aperta

Supponiamo che, partendo da un bilancio in pareggio, il governo decida di aumentare la spesa


pubblica senza aumentare le tasse e di sopportare il disavanzo di bilancio che ne deriva.

Ipotesi: Y < Yn → la banca centrale mantiene il tasso di interesse invariato.

Un aumento della spesa pubblica fa aumentare la produzione a parità di tasso di interesse e quindi
sposta la curva IS verso destra. Dato che la banca centrale non modifca il tasso di policy, la curva
LM non si sposta.
⇨ Un aumento della spesa pubblica, quando la banca centrale lascia il tasso di interesse invariato,
provoca un aumento della produzione, senza alcuna variazione del tasso di cambio.

• Il consumo (a causa dell'incremento del reddito) e la spesa pubblica (per ipotesi) aumentano.

• Anche l'investimento aumenta dato che dipende sia dalla produzione che dal tasso di interesse
I = I(Y, i). La produzione aumenta, mentre il tasso di interesse rimane costante. Così,
l'investimento aumenta.

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• Cosa accade alle esportazioni nette? Ricordiamo che le esportazioni nette dipendono dalla
produzione estera, dalla produzione nazionale e dal tasso di cambio: NX = NX(Y, Y*, E).
La produzione estera è invariata, poiché abbiamo ipotizzato che il resto del mondo non
risponda all'aumento della spesa pubblica nazionale. Il tasso di cambio rimane anch'esso
invariato poiché il tasso di interesse non cambia. La produzione nazionale invece aumenta:
dato che fa aumentare le importazioni, fssato il tasso di cambio, le esportazioni nette
diminuiscono.

⇨ Il disavanzo di bilancio provoca a un peggioramento della bilancia commerciale.

Ipotesi: Y = Yn → la banca centrale reagisce aumentando il tasso di interesse.

Lasciando invariato il tasso di interesse, la produzione aumenterebbe da Yn a Y' e il tasso di cambio


non cambierebbe. Ma se la banca centrale rispondere all'aumento della spesa pubblica con un
aumento del tasso di interesse, la produzione aumenterà meno, da Yn a Y'', e il tasso di cambio si
apprezzerà, da E a E''.

• Come nel caso precedente, il consumo (a causa dell'incremento del reddito) e la spesa pubblica
(per ipotesi) aumentano.

• Ciò che accade all'investimento è ora ambiguo. I = I(Y, i): da un lato, la produzione aumenta,
inducendo un incremento dell'investimento. Tuttavia, anche il tasso di interesse aumenta,
riducendo la spesa per investimenti.

• Le esportazioni nette diminuiscono sia per effetto dell'apprezzamento sia a causa dell'aumento
della produzione: l'apprezzamento riduce le esportazioni e aumenta le importazioni, e
l'incremento della produzione fa aumentare ulteriormente le importazioni.

⇨ Il disavanzo di bilancio provoca un peggioramento della bilancia commerciale. Tuttavia, non è


chiaro se il disavanzo commerciale sia maggiore di quanto non sarebbe lasciando il tasso di policy
costante.

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5. Tassi di cambio fssi


Le banche centrali usano la politica monetaria per raggiungere determinati obiettivi in termini di
tassi di cambio.

Da un lato vi sono paesi, come gli Stati Uniti, regno unito, il Giappone il Canada, con tassi di
cambio fessibili. Essi non hanno obiettivi specifci in termini di tasso di cambio e le banche centrali
si mostrano disposte a consentire ampie futtuazioni dello stesso.

All'estremo opposto, ci sono i paesi che operano in regime di tassi di cambio fssi, mantengono
cioè una parità tra il valore nominale della valuta nazionale e quello di qualche valuta estera. Alcuni
ancorano la loro moneta al dollaro.

5.2. Politica monetaria in un sistema di cambi fssi

Con o senza cambio fsso, il tasso di cambio e il tasso di interesse nominale devono soddisfare la
parità dei tassi di interesse:

(1 + it) = (1 + it*) / (Et / Eet+1)

Supponiamo ora che il paese ancori il suo tasso di cambio a un qualche livello, diciamo E, per cui
Et = E. Allora anche Eet+1 = E, e la parità dei tassi di interesse sarà:

(1 + it) = (1 + it*) → it = it*

⇨ Con un tasso di cambio fsso, il tasso di interesse interno deve essere uguale al tasso di interesse
estero. Pertanto: in un sistema di cambi fssi, la banca centrale italiana cede la possibilità di fssare il
tasso di interesse alla BCE, rinuncia alla politica monetaria come strumento di politica
economica.

5.3. Politica fscale in un sistema di cambi fssi

Gli effetti di un aumento della spesa pubblica quando la banca centrale adotta un tasso di cambio
fsso sono identici a quelli che abbiamo visto nella fgura:

In un sistema di cambi fessibili la banca centrale potrebbe reagire all'aumento della spesa pubblica
aumentando il tasso di interesse. Questa opzione non è disponibile in un sistema di cambi fssi,
poiché il tasso di interesse nazionale deve essere uguale al tasso di interesse estero.

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Perché mai un paese dovrebbe scegliere di fssare il proprio tasso di cambio?

Contro:

⇢ Fissando il tasso di cambio, si rinuncia a uno strumento effcace nella correzione degli
squilibri commerciali e nel controllo del livello di produzione aggregata.

⇢ Ancorandosi a un dato tasso di cambio fsso, un paese rinuncia anche al controllo del suo
tasso di interesse. Inoltre, deve seguire l'andamento del tasso di interesse estero, correndo il
rischio di effetti indesiderati sulla sua attività economica.

⇢ Nonostante il paese mantenga una piena disponibilità della politica fscale, un solo
strumento di politica economica non è sempre suffciente (come abbiamo visto nel capitolo
18).

Per capire cosa spinge alcuni paesi ad ancorare il tasso di cambio dobbiamo vedere che cosa
succede non solo nel breve periodo – che è quanto abbiamo fatto in questo capitolo – ma anche nel
medio periodo, quando livello dei prezzi si può aggiustare. Dobbiamo considerare anche la natura
delle crisi del tasso di cambio.

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