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Articolo 106 Codice di procedura civile

Intervento su istanza di parte

Dispositivo

Dispositivo dell'art. 106 Codice di procedura civile


Fonti » Codice di procedura civile » LIBRO PRIMO - Disposizioni generali » Titolo IV - Dell'esercizio dell'azione (artt. 99-111)

Ciascuna parte può chiamare (1) nel processo un terzo al quale ritiene comune la
causa (2) o dal quale pretende essere garantita (3).

Note
(1) La chiamata in causa del terzo (art.269) si attua mediante un atto di citazione, con il quale il
terzo deve essere messo a conoscenza di tutte le attività processuali svolte fino al momento
della sua chiamata. La notifica di tale atto è sufficiente per fargli assumere la qualità di parte
nel giudizio nel quale deve intervenire, determinandosi un litisconsorzio facoltativo eventuale
successivo. Pertanto, le parti originarie potranno proporre contro di lui autonome domande ed,
a sua volta, il terzo potrà proporne contro le parti.

(2) La causa si definisce comune al terzo quando il rapporto dedotto in giudizio e quello
facente capo al terzo hanno in comune almeno uno degli elementi oggettivi, e cioè quando
esiste tra di essi un vincolo di connessione oggettiva per il petitum o per la causa petendi.
Infatti, si tratterebbe di chiamare in causa quegli stessi terzi che avrebbero potuto dispiegare
intervento principale o adesivo autonomo (art.105). Ad esempio si pensi al caso in cui il
convenuto in un giudizio di rivendica contesti la titolarità attiva dell'attore e chiami in causa il
terzo pretendente, effettivo titolare del diritto di proprietà; oppure al caso del creditore che
chiami in causa anche gli altri condebitori solidali allo scopo di ottenere una sentenza che
abbia piena efficacia anche contro di loro. L'opinione prevalente in dottrina e in giurisprudenza
ritiene che la chiamata in causa del terzo possa avvenire anche quando la comunanza è
determinata da rapporti di pregiudizialità-dipendenza, che consentirebbero l'intervento adesivo
dipendente come ad es. nella causa di sfratto tra il locatore ed il conduttore, ciascuna di queste
parti potrà avere interesse a chiamare il subconduttore affinché gli sia opponibile la sentenza.

(3) La chiamata in garanzia si ha quando una delle parti chiami in causa un terzo con lo scopo
di riversare su quest'ultimo gli effetti di una eventuale soccombenza in giudizio. La garanzia
che permette tale chiamata può essere propria o impropria (art.32). La prima si ha quando il
terzo è tenuto a rispondere sulla base di un rapporto sostanziale nascente da un contratto o
dalla legge e sarà soggetto agli effetti della sentenza della causa principale e può proporre
eccezioni, mezzi istruttori, istanze ed impugnazioni relative alla causa principale (tipico è il caso
della garanzia per evizione ex art. 1485 c.c.). La seconda invece si ha quando il collegamento
tra la posizione del chiamante e del terzo chiamato non si fonda su di un rapporto giuridico

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nascente dalla legge o da un contratto, ma è di mero fatto. Tipico è l'esempio delle vendite a
catena, in cui il venditore può chiamare in causa l'originario venditore affinchè lo garantisca e
lo tenga indenne dall'eventuale condanna al pagamento delle spese in favore dell'acquirente.

Spiegazione

Spiegazione dell'articolo 106 Codice di procedura civile


L'intervento, oltre ad essere frutto di una scelta volontaria del terzo, può anche essere
conseguenza di un'apposita istanza effettuata da una delle parti già in causa; per tale
ragione esso viene definito intervento coatto, anche se tale definizione non deve indurre
a pensare che il terzo chiamato possa in qualche modo essere obbligato ad una
partecipazione attiva al processo pendente, considerato che nessuno può essere
costretto contro la propria volontà a proporre delle domande (il terzo, dunque, può
sempre decidere di non partecipare attivamente al processo, rimanendo eventualmente
contumace).
La chiamata in causa ad istanza di parte contiene in sé la proposizione, ad opera del
chiamante, di una implicita domanda di accertamento nei confronti del terzo,
estendendo anche a lui gli effetti della sentenza pronunciata in relazione alla causa
originaria.
Di regola è il convenuto ad effettuare la chiamata in causa del terzo, mentre l’attore può
avvalersi di tale strumento quando il suo interesse sia conseguente alle difese del
convenuto; in questo caso, tuttavia, l'attore deve prima chiedere ed ottenere dal giudice
un'apposita autorizzazione.
La particolare sinteticità di questa norma ha ingenerato il timore di un uso distorto e per
fini puramente dilatori dell'istituto da essa disciplinato, e ciò soprattutto quando è il
convenuto ad avvalersene, considerato che non è possibile un preventivo controllo di
ammissibilità; si è di contro fatto osservare che, a parziale diminuzione di tale rischio,
vige per il convenuto un principio di autoresponsabilità, scaturente dal fatto che la parte
che chiama inutilmente un terzo nel processo potrebbe, poi, essere tenuto alla rifusione
delle spese.
Il terzo chiamato in causa ha gli stessi poteri che avrebbe avuto in caso di intervento
volontario.
Leggendo la norma se ne deduce che le ipotesi di intervento ad istanza di parte sono
due, ossia la comunanza di causa e la chiamata in garanzia, che adesso si
analizzeranno singolarmente.
La comunanza di causa
Una causa può considerarsi comune ad un terzo diverso dalle parti nel caso in cui
quest’ultimo sia titolare di una situazione giuridica collegata a quella oggetto della lite
pendente da connessione oggettiva, da un vincolo di pregiudizialità o, più in generale,
quando sussista un interesse alla partecipazione del terzo al processo.
Il caso più frequente di intervento ad istanza di parte riguarda quei terzi che avrebbero
potuto promuovere un intervento volontario ex art. 105 del c.p.c., ma che per diverse
ragioni non lo abbiano ancora fatto, trovandosi ad essere chiamati a partecipare al
giudizio da una delle parti; in tale prospettiva si è affermato che la chiamata in causa
del terzo può essere ricondotta ad una forma di litis denuntiatio, con la quale si mira a
portare il terzo a conoscenza della pendenza del processo, consentendogli di
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intervenire.
In contrario si è tuttavia osservato che l'intervento in causa è un istituto ben diverso
dalla litis denuntiatio, dato che solo dalla chiamata effettuata ex art. 106 (che si realizza
mediante lanotificazione di un vero e proprio atto di citazione), scaturisce la notevole
conseguenza dell'acquisizione, in capo al terzo, della qualità di parte (con la mera
denuncia della lite, invece, ci si limita ad avvisare, seppure in modo solenne e formale,
il terzo della pendenza di un processo).
Nella categoria dei soggetti che possono essere chiamati in causa ad istanza di parte
vanno ricompresi coloro che sono titolari di un diritto incompatibile (i c.d. terzi
pretendenti), ovvero coloro che avrebbero potuto dispiegare intervento volontario
principale.
Esempio classico è quello del processo in cui l'attore abbia convenuto in giudizio
soltanto uno dei coobbligati in solido; in tal caso si esclude per l'attore la possibilità di
chiamare successivamente in causa il terzo, poiché in questo modo gli si consentirebbe
ingiustificatamente di rimediare ad una omissione a cui lo stesso avrebbe potuto ovviare
prestando maggiore attenzione.
Tale possibilità, invece, deve essergli consentita nel caso in cui l'attore solo
successivamente venga a conoscenza dell'esistenza di altri coobbligati in solido (ma in
questo caso si tratta piuttosto di una di rimessione in termini); del tutto diversa è anche
l'ipotesi in cui sia il convenuto ad effettuare la chiamata in causa del terzo, profilandosi
in questo caso una chiamata in garanzia.
Un'altra ipotesi, che può dar luogo ad un intervento coatto ad istanza di parte, ricorre
nel caso del terzo che, secondo il convenuto, è considerato vero legittimato a
contraddire la domanda proposta nei suoi confronti, e che il convenuto chiami in causa
affinché prenda il suo posto nel processo e lo possa, così, liberare. Con la chiamata in
causa del vero legittimato, il convenuto è posto in condizione di contrastare con
maggiore efficacia le pretese dell'attore (si è anche sostenuto che così facendo il
convenuto instaura una controversia pregiudiziale nei riguardi sia dell'attore che del
terzo).

La chiamata in garanzia
E’ questa la seconda ipotesi prevista dalla norma ed in cui è consentito l'intervento
coatto ad istanza di parte.
Ipotesi tradizionali sono quelle della garanzia propria, nelle due forme della garanzia
reale e personale; deve tuttavia osservarsi che dottrina e giurisprudenza prevalenti
riconducono la disciplina della seconda parte dell'art. 106 anche al diverso caso della
garanzia impropria.
Ricorre in particolare la figura della garanzia propria nel caso in cui vi sia il diritto di un
soggetto ad essere tenuto indenne a fronte di una eventuale diminuzione patrimoniale
conseguente alla pretesa affermata da un terzo; con la chiamata in causa del garante si
intende di fatto realizzare una vera e propria strategia difensiva, volta ad ottenere la
manleva in caso di soccombenza, cercando di scaricare sul terzo le eventuali
conseguenze dannose di una sconfitta.
E’ chiaro che sul garante chiamato in causa incomberà un onere di difesa, in quanto da
una sua insufficiente difesa potrebbe derivare la soccombenza del garantito ed il
conseguente obbligo del garante di tenerlo indenne; egli assume la qualifica di parte,
ma non diviene litisconsorte del chiamante.

Secondo il chiaro disposto dell'art. 32 del c.p.c., la chiamata in garanzia propria non

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produce alcuna variazione della competenza, la quale rimane radicata in capo al


giudice investito della causa principale anche quando, sommando i valori delle
domande, si travalichino i limiti della competenza per valore.
Unica eccezione, espressamente prevista dalla legge, si ha nel caso in cui la domanda
di garanzia sia proposta avanti al giudice di pace: in tal caso, infatti, se viene superata
la competenza per valore, il giudice di pace dovrà rimettere entrambe le cause al
giudice di grado superiore.

Nel caso di chiamata in garanzia propria, si ritiene sia possibile giungere ad


estromettere il garantito; infatti, il garante comparso può, spontaneamente o su richiesta
del garantito, decidere di assumere la causa (in tal caso il giudice istruttore pronuncia
l'estromissione con un'ordinanza, la quale, essendo emessa a seguito di un preciso
accordo delle parti e considerato che verte su materia disponibile, non potrà essere
successivamente modificata o revocata, a meno che non intervenga un ulteriore
accordo in tal senso).
Quanto appena detto per la garanzia propria non può valere per la differente ipotesi
della garanzia impropria, fattispecie in qualche modo ascrivibile al genus delle
garanzie, ma che costituisce un aliud rispetto alla prima.
Infatti, le fattispecie che danno origine alla garanzia impropria sono strutturalmente del
tutto autonome dalla causa principale, tanto che ben potrebbero essere azionate in un
separato procedimento e nei confronti di un soggetto distinto.
Classico caso che può farsi è quello delle c.d. vendite a catena: si consideri l'ipotesi di
un bene viziato, che un venditore al dettaglio abbia acquistato da un grossista, per poi
giungere nelle mani del cliente finale.
Ebbene, qualora il consumatore abbia convenuto in giudizio il venditore esperendo
l'azione di riduzione o redibitoria, quest'ultimo, in quanto a sua volta titolare di un
analogo diritto ad essere garantito, a fronte dei vizi, dal proprio dante causa, può
instaurare un procedimento similare nei confronti del grossista.
E’ proprio questa ulteriore azione (che chiaramente si presenta del tutto distinta da
quella promossa dal consumatore finale e rivolta nei confronti di un soggetto diverso e
che ben potrebbe essere esperita nell'ambito di un separato giudizio), che la
giurisprudenza, sulla base di un'interpretazione piuttosto larga della lettera dell'art. 106,
seconda parte, ammette possa essere proposta già all'interno del giudizio instaurato
dall'ultimo acquirente nei riguardi del venditore al dettaglio, servendosi proprio dello
schema della chiamata in garanzia contemplato dall'art. 106.

La differenza strutturale esistente tra le ipotesi di chiamata in garanzia propria ed


impropria comporta che, nelle ipotesi di garanzia impropria, non si reputa possibile
l'estromissione del convenuto originario, proprio perché, in ragione di quanto sopra
ricordato, si è dinnanzi a due cause distinte ed autonome, di cui solo per ragioni di
opportunità si ammette il cumulo nello stesso procedimento.

Massime

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Massime relative all'106 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 1123/2022


Allorché il convenuto chiami in causa un terzo ai fini di garanzia impropria - e tale
iniziativa non si riveli palesemente arbitraria - legittimamente il giudice di appello, in
caso di soccombenza dell'attore, pone a carico di quest'ultimo anche le spese giudiziali
sostenute dal terzo, ancorché nel secondo grado del giudizio la domanda di garanzia
non sia stata riproposta, in quanto, da un lato, la partecipazione del terzo al giudizio di
appello si giustifica sotto il profilo del litisconsorzio processuale, e, dall'altro, l'onere
della rivalsa delle spese discende non dalla soccombenza - mancando un diretto
rapporto sostanziale e processuale tra l'attore ed il terzo - bensì dalla responsabilità del
primo di avere dato luogo, con una infondata pretesa, al giudizio nel quale
legittimamente è rimasto coinvolto il terzo. (Rigetta, CORTE D'APPELLO PALERMO,
11/08/2020).
(Cassazione civile, Sez. VI-3, ordinanza n. 1123 del 14 gennaio 2022)

Cass. civ. n. 33422/2019


Il terzo chiamato in garanzia impropria, come è legittimato a svolgere le sue difese per
contrastare non solo la domanda di manleva, ma anche quella proposta dall'attore
principale, così può autonomamente impugnare le statuizioni della sentenza di primo
grado relative al rapporto principale, sia pure al solo fine di sottrarsi agli effetti riflessi
che la decisione spiega sul rapporto di garanzia.
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 33422 del 17 dicembre 2019)

Cass. civ. n. 27846/2019


In caso di intervento adesivo, l'interventore diventa parte del giudizio, in ordine alla cui
posizione si applicano gli artt. 91 e 92 c.p.c., potendo, perciò, essere anche condannato
alle spese in caso di soccombenza della parte adiuvata o vedersi riconoscere il favore
delle spese nell'ipotesi di vittoria della stessa parte adiuvata.
(Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 27846 del 30 ottobre 2019)

Cass. civ. n. 16590/2019


Il terzo chiamato in garanzia impropria può proporre appello avverso la sentenza di
primo grado che non sia stata impugnata dal chiamante, a condizione che non si limiti a
contestare le statuizioni relative alla domanda di manleva, ma censuri anche quelle
riguardanti l'esistenza, la validità e l'efficacia del rapporto principale, quale antefatto e
presupposto della garanzia azionata, ricorrendo in tal caso una situazione di
pregiudizialità-dipendenza tra cause che dà luogo a litisconsorzio processuale in fase di
impugnazione. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza dichiarativa
dell'inammissibilità dell'appello proposto da una compagnia di assicurazione chiamata in
manleva in un giudizio risarcitorio avverso la sentenza di primo grado non impugnata
dalla chiamante, ancorché il gravame avesse ad oggetto tanto le statuizioni relative al
rapporto di garanzia, quanto quelle riguardanti l'esistenza del danno lamentato dalla

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parte attrice).
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 16590 del 20 giugno 2019)

Cass. civ. n. 15659/2019


Le spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto, che sia
risultato totalmente vittorioso nella causa promossa nei suoi confronti dall'assicurato,
non possono essere poste a carico di quest'ultimo, se beneficiario dell'esonero ex art.
152 disp. att. c.p.c., operando tale disposizione rispetto alle spese del giudizio
sostenute da tutte le parti processuali, e non del solo convenuto, in ragione delle finalità
della norma, diretta a non scoraggiare la proposizione di domande giudiziali attinenti
alla materia della previdenza/assistenza. (Cassa e decide nel merito, CORTE
D'APPELLO ANCONA, 12/01/2018).
(Cassazione civile, Sez. VI-lav., ordinanza n. 15659 del 11 giugno 2019)

Cass. civ. n. 24574/2018


Nel caso in cui il convenuto chiami in giudizio un terzo, esperendo nei suoi confronti
una domanda di garanzia impropria, deve escludersi in appello l'inscindibilità delle
cause ai fini dell'integrazione del contraddittorio nelle fasi di impugnazione allorché il
chiamato non abbia contestato la fondatezza della domanda proposta contro il proprio
chiamante e l'attore (appellante) non abbia presentato domande verso il chiamato.
(Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 17/02/2014).
(Cassazione civile, Sez. II, ordinanza n. 24574 del 5 ottobre 2018)

Cass. civ. n. 11742/2018


Ove il convenuto, chiamando in causa un terzo, domandi nei suoi confronti non solo
l'estensione dell'accertamento del rapporto principale, ma anche l'accertamento
dell'esistenza del rapporto di garanzia (chiamata in garanzia oggettivo-soggettiva), il
valore della causa, ai fini della liquidazione delle spese a carico del soccombente, deve
essere determinato secondo il valore dell'oggetto del contendere tra le parti principali,
atteso che in tale ipotesi unico diventa l'accertamento richiesto al giudice nei confronti di
tutte le parti e, per effetto di tale estensione oggettiva e soggettiva, si viene a creare un
litisconsorzio necessario. (Rigetta, CORTE D'APPELLO TORINO, 16/11/2015).
(Cassazione civile, Sez. III, ordinanza n. 11742 del 15 maggio 2018)

Cass. civ. n. 4722/2018


In materia di procedimento civile, con la chiamata in causa del terzo quale unico
responsabile si realizza un'ipotesi di dipendenza di cause, in quanto la decisione della
controversia fra l'attore ed il convenuto, essendo alternativa rispetto a quella fra l'attore
ed il terzo, si estende necessariamente a quest'ultima, sicché i diversi rapporti
processuali diventano inscindibili, legati da un nesso di litisconsorzio necessario
processuale ( per dipendenza di cause o litisconsorzio alternativo ) che, permanendo la
contestazione in ordine all'individuazione dell'obbligato, non può essere sciolto neppure
in sede d'impugnazione. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza definitiva

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rilevando che la Corte di Appello, dopo avere estromesso con sentenza non definitiva la
parte individuata dall'attore come l'unica passivamente legittimata, aveva proseguito il
giudizio in assenza di quest'ultima, benchè la sentenza non definitiva fosse stata
cassata). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 24/09/2012).
(Cassazione civile, Sez. I, ordinanza n. 4722 del 28 febbraio 2018)

Cass. civ. n. 4195/2018


Le spese processuali sostenute dal terzo chiamato in causa dal convenuto, che sia
risultato totalmente vittorioso nella causa intentatagli dall'attore, sono legittimamente
poste, in base al criterio della soccombenza, a carico del chiamante, la cui domanda di
garanzia o di manleva sia stata giudicata infondata. (Nella fattispecie, la Corte ha
chiarito che la domanda di manleva, spiegata dal convenuto con la chiamata in causa di
un terzo, non necessariamente deve essere valutata "manifestamente infondata" o
"palesemente arbitraria" ai fini della condanna del chiamante al rimborso delle spese
processuali sostenute dal chiamato). (Rigetta, CORTE D'APPELLO NAPOLI,
16/11/2011).
(Cassazione civile, Sez. I, ordinanza n. 4195 del 21 febbraio 2018)

Cass. civ. n. 24294/2016


Nell'ipotesi in cui la parte convenuta in un giudizio di risarcimento dei danni, nel dedurre
il difetto della propria legittimazione passiva, chiami in causa un terzo, l'atto di chiamata,
al di là della formula adottata, va inteso come chiamata del terzo responsabile e non già
come chiamata in garanzia "impropria", in quanto, da un lato, tale condotta è
logicamente e giuridicamente incompatibile con la qualificazione dell'evocazione del
terzo come chiamata in garanzia (la quale, di per sé, non può non presupporre la non
contestazione della legittimazione passiva) e, dall'altro, va privilegiata l'effettiva volontà
del chiamante in relazione alla finalità, in concreto perseguita, di attribuire al terzo la
responsabilità del danno. In tal caso, si verifica l'estensione automatica della domanda
dell'attore al terzo chiamato, indicato dal convenuto come il vero legittimato.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 24294 del 29 novembre 2016)

Cass. civ. n. 21462/2016


In materia di chiamata in causa ad istanza di parte, qualora sia stata proposta dal
convenuto, a tale scopo, tempestiva richiesta di differimento della prima udienza di
trattazione, l'eventuale provvedimento di rigetto può essere revocato (anche
implicitamente) dallo stesso giudice, o da altro avanti al quale la causa sia stata
riassunta a seguito di declinatoria di competenza ad opera del primo, sempreché ciò
avvenga anteriormente all'esaurimento della fase della prima udienza di trattazione.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 21462 del 25 ottobre 2016)

Cass. civ. n. 8411/2016


Il principio dell'estensione automatica della domanda dell'attore nei confronti del terzo
chiamato in causa dal convenuto opera solo quando tale chiamata sia effettuata dal

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convenuto per ottenere la sua liberazione dalla pretesa attorea, individuandosi il terzo
come l'unico obbligato nei confronti dell'attore, in posizione alternativa con il convenuto
ed in relazione ad un unico rapporto, mentre non opera in caso di chiamata in garanzia
impropria, attesa l'autonomia dei rapporti. Tuttavia, anche in caso di rapporto
oggettivamente unico, la presunzione su cui si fonda il principio dell'estensione
automatica della domanda dell'attore al terzo chiamato (ossia che l'attore voglia la
condanna del chiamato, pur avendo agito nei confronti del solo convenuto) non può
operare se l'attore escluda espressamente che la propria domanda sia stata proposta
nei confronti del terzo chiamato.
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 8411 del 27 aprile 2016)

Cass. civ. n. 2492/2016


In tema di spese giudiziali sostenute dal terzo chiamato in garanzia, una volta rigettata
la domanda principale, il relativo onere va posto a carico della parte soccombente che
ha provocato e giustificato la chiamata in garanzia, in applicazione del principio di
causalità, e ciò anche se l'attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei
confronti del terzo.
(Cassazione civile, Sez. VI, sentenza n. 2492 del 8 febbraio 2016)

Cass. civ. n. 20552/2014


Nel caso in cui il convenuto chiami un terzo in causa, esperendo nei suoi confronti una
domanda di garanzia impropria fondata su un titolo diverso ed indipendente rispetto a
quello posto a base della domanda principale, ove il terzo non si limiti a contrastare la
domanda di manleva, ma contesti anche il titolo dell'obbligazione principale, quale
antefatto e presupposto della garanzia azionata, e, quindi, la fondatezza della domanda
proposta nei confronti del proprio chiamante, si configura una ipotesi di inscindibilità di
cause che dà luogo a litisconsorzio processuale in fase di impugnazione, sicché, ai
sensi dell'art. 331 cod. proc. civ., la mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio
di appello determina la nullità, rilevabile d'ufficio ed anche in sede di legittimità,
dell'intero procedimento di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 20552 del 30 settembre 2014)

Cass. civ. n. 10610/2014


In tema di chiamata del terzo in causa, la decadenza per inosservanza dei termini,
sancita per la funzionalità del processo, è rilevabile d'ufficio, anche in appello, sicché
l'eccezione di tardività, quale eccezione in senso improprio, può essere sollevata per la
prima volta in appello.
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 10610 del 14 maggio 2014)

Cass. civ. n. 11968/2013


La causa di garanzia impropria è scindibile e indipendente rispetto alla causa principale,
salvo che il chiamato, lungi dal limitarsi a contrastare la domanda di manleva, abbia
contestato anche il titolo dell'obbligazione principale, quale antefatto e presupposto

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della garanzia azionata, sicché, ricorrendo in tale ultima ipotesi una situazione di
pregiudizialità-dipendenza tra cause, che dà luogo a litisconsorzio processuale in fase
di impugnazione, il chiamato in garanzia può impugnare autonomamente le statuizioni
che attengono all'esistenza, validità ed efficacia del rapporto principale, ma non già
aspetti ulteriori e diversi relativi allo stesso rapporto principale - rispetto ai quali il
vincolo di subordinazione della causa accessoria non determina l'interdipendenza tra le
due cause - che possono formare oggetto soltanto di impugnazione adesiva
dipendente. (Nel caso di specie, esercitata da un condomino, nei confronti del
condominio, azione per il risarcimento dei danni da infiltrazioni d'acqua provocate dalla
rottura di un tubo condominiale, la Suprema Corte - in applicazione del summenzionato
principio - ha ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione proposto dall'assicuratore,
chiamato in garanzia dal predetto condominio, relativamente alla censura che ha
investito la liquidazione equitativa del danno, qualificandolo come adesivo dipendente
dal ricorso del condominio, giacché concerneva statuizioni della sentenza impugnata
non attinenti alla validità ed efficacia del rapporto principale).
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 11968 del 16 maggio 2013)

Cass. civ. n. 6659/2013


Al pari del terzo chiamato in garanzia impropria dal convenuto, che in riferimento alla
causa principale ha poteri processuali riconducibili a quelli di un intervento adesivo
dipendente, con conseguente possibilità di impugnare la statuizione principale solo
limitatamente alla causa di garanzia, così le parti principali non possono sostenere le
ragioni del predetto interveniente adesivo esorbitanti dall'ambito della causa di garanzia
e giovarsi o spendere poteri processuali volti a supplire ad un'inerzia processuale o a
vanificare l'acquiescenza alla sentenza. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di
merito che si era pronunciata sul danno da ritardo nel pagamento del credito risarcitorio
pur in difetto di specifica censura, in sede di gravame ad opera delle parti soccombenti,
del relativo capo della sentenza di primo grado, ed ha escluso la possibilità di inferire la
tempestiva introduzione della doglianza nel giudizio di gravame in esito alla totale
adesione delle parti appellanti alle censure svolte, in quella sede, dal terzo chiamato in
garanzia, ed involgenti anche critiche al predetto capo della sentenza).
(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 6659 del 15 marzo 2013)

Cass. civ. n. 5400/2013


Diversamente dall'ipotesi in cui il convenuto in giudizio chiami in causa un terzo,
indicandolo come il soggetto tenuto a rispondere della pretesa dell'attore (caso, questo,
in cui la domanda attorea si estende automaticamente al terzo, pur in mancanza di
apposita istanza, dovendosi individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto
oggettivamente unitario), nell'ipotesi della chiamata del terzo in garanzia la predetta
estensione automatica non si verifica, in ragione dell'autonomia sostanziale dei due
rapporti, ancorché confluiti in un unico processo.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 5400 del 5 marzo 2013)

Cass. civ. n. 3969/2012


Il terzo chiamato in garanzia impropria, come è legittimato a svolgere le sue difese per
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contrastare non solo la domanda di manleva, ma anche quella proposta dall'attore


principale, così può autonomamente impugnare le statuizioni della sentenza di primo
grado relative al rapporto principale, sia pure al solo fine di sottrarsi agli effetti riflessi
che la decisione spiega sul rapporto di garanzia.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 3969 del 13 marzo 2012)

Cass. civ. n. 20610/2011


Nell'ipotesi in cui la parte convenuta in un giudizio di risarcimento dei danni, derivanti
dalla realizzazione di una nuova costruzione, nel dedurre il difetto della propria
legittimazione passiva, chiami in causa un terzo, con il quale non sussista alcun
rapporto contrattuale, chiedendone, in caso di affermazione della propria responsabilità,
la condanna a garantirla e manlevarla, l'atto di chiamata, al di là della formula adottata,
va inteso come chiamata del terzo responsabile e non già come chiamata in garanzia
impropria, dovendosi privilegiare l'effettiva volontà della chiamante in relazione alla
finalità, in concreto perseguita, di attribuire al terzo la responsabilità della cattiva
esecuzione delle opere e dei danni conseguentemente arrecati. In tal caso, si verifica
l'estensione automatica della domanda al terzo chiamato, indicato dal convenuto come
il vero legittimato, onde il giudice può direttamente emettere nei suoi confronti una
pronuncia di condanna, anche se l'attore non ne abbia fatto richiesta, senza per questo
incorrere nel vizio di extrapetizione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza
della corte di merito, che aveva esteso al terzo subappaltatore, chiamato in causa dal
convenuto, la domanda di risarcimento dei danni strutturali subiti dalla proprietà degli
attori in seguito all'esecuzione dei lavori di costruzione).
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 20610 del 7 ottobre 2011)

Cass. civ. n. 5057/2010


Nell'ipotesi in cui la parte convenuta in un giudizio di responsabilità civile chiami in
causa un terzo in qualità di corresponsabile dell'evento dannoso, la domanda risarcitoria
deve intendersi estesa al terzo anche in mancanza di un'espressa dichiarazione in tal
senso dell'attore, in quanto la diversità e pluralità delle condotte produttive dell'evento
dannoso non dà luogo a diverse obbligazioni risarcitorie, con la conseguenza che la
chiamata in causa del terzo non determina il mutamento dell'oggetto della domanda ma
evidenzia esclusivamente una pluralità di autonome responsabilità riconducibili allo
stesso titolo risarcitorio.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 5057 del 3 marzo 2010)

Cass. civ. n. 20825/2009


La chiamata in causa di un terzo a titolo di garanzia impropria è nulla se effettuata da
procuratore sfornito di apposita procura alle liti. Non è, tuttavia, necessaria una nuova
procura, in calce o a margine della citazione in chiamata, se dall'atto contenente la
procura originaria risulti la chiara espressione di volontà della parte di autorizzare il
difensore alla chiamata in garanzia impropria, come quando, essendo manifestata tale
volontà nella comparsa di risposta, a margine o in calce della quale sia apposta la
procura, deve considerarsi implicitamente conferita al difensore la procura per chiamare
il terzo in giudizio a titolo di garanzia impropria. (Nella specie la S.C. ha confermato la
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Articolo 106 Codice di procedura civile

sentenza impugnata, con cui era stata ritenuta la nullità della chiamata del terzo da
parte del convenuto per garanzia impropria, perché la procura, rilasciata in calce alla
copia notificata dell'atto di citazione, non conteneva l'autorizzazione all'azione di
manleva).
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 20825 del 29 settembre 2009)

Cass. civ. n. 17688/2009


In materia di procedimento civile, si ha garanzia propria quando la domanda principale
e quella di garanzia hanno lo stesso titolo, o quando si verifica una connessione
obiettiva tra i titoli delle due domande o quando sia unico il fatto generatore della
responsabilità prospettata con l'azione principale e con quella di regresso; si ha, invece,
garanzia impropria quando il convenuto tende a riversare sul terzo le conseguenze del
proprio inadempimento o, comunque, della lite in cui è coinvolto, in base ad un titolo
diverso da quello dedotto con la domanda principale. (Nella specie, la S.C. ha
confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistente un caso di garanzia
propria, essendo unico il fatto generatore della responsabilità, in un giudizio nel quale il
venditore di un terreno - convenuto dall'acquirente per la riduzione del prezzo, in
conseguenza dell'accertata esistenza sul terreno di una rete fognaria - aveva chiamato
in garanzia il Comune che tale impianto aveva installato).
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 17688 del 29 luglio 2009)

Cass. civ. n. 998/2009


Qualora il convenuto evocato in causa estenda il contraddittorio nei confronti di un terzo
assunto come l'effettivo titolare passivo della pretesa dedotta in giudizio dall'attore, se
quest'ultimo non invochi la condanna del terzo chiamato in causa qualora riconosciuto
come responsabile e si limiti, invece, a chiedere la sola condanna dell'originario
convenuto, al giudice, in virtù del principio generale della domanda, è inibito il potere di
emettere una statuizione di condanna nei confronti dello stesso terzo e a favore
dell'attore, senza che all'attore medesimo sia consentito di estendere successivamente
la domanda condannatoria nei riguardi del terzo in appello, perché essa, configurandosi
come nuova, incorrerebbe nella preclusione prevista dall'art. 345 c.p.c..
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 998 del 16 gennaio 2009)

Cass. civ. n. 15756/2007


Il principio dell'automatica estensione delle domande (nella specie, di risarcimento) al
terzo che il convenuto abbia chiamato in causa, indicandolo come effettivo e diretto
obbligato, non opera quando il terzo non abbia partecipato al giudizio in tale veste, ma
sia in esso intervenuto per far affermare la propria qualità di titolare, in luogo dell'attore,
del diritto da questi fatto valere a fondamento della domanda di risarcimento del danno.
Incorre, pertanto, nel vizio di ultrapetizione il giudice che condanni, in questo caso, il
terzo intervenuto al risarcimento del danno in solido con il convenuto.
(Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 15756 del 13 luglio 2007)

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Articolo 106 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 13374/2007


Il principio dell'estensione automatica della domanda dell'attore al chiamato in causa da
parte del convenuto trova applicazione allorquando la chiamata del terzo sia effettuata
al fine di ottenere la liberazione dello stesso convenuto dalla pretesa dell'attore, in
ragione del fatto che il terzo s'individui come unico obbligato nei confronti dell'attore ed
in vece dello stesso convenuto, realizzandosi in tal caso un ampliamento della
controversia in senso soggettivo (divenendo il chiamato parte del giudizio in posizione
alternativa con il convenuto) ed oggettivo (inserendosi l'obbligazione del terzo dedotta
dal convenuto verso l'attore in alternativa rispetto a quella individuata dall'attore), ferma
restando, tuttavia, in ragione di detta duplice alternatività, l'unicità del complessivo
rapporto controverso; il suddetto principio, invece, non opera allorquando il chiamante
faccia valere nei confronti del chiamato un rapporto diverso da quello dedotto dall'attore
come causa petendi. (Nella specie, la S.C. ha escluso l'applicabilità del principio della
estensione automatica della domanda in un caso in cui la domanda proposta dall'attore
— accertamento del suo diritto al pagamento di una vincita al lotto nei confronti
dell'amministrazione — era del tutto autonoma rispetto alla domanda proposta nei
confronti del chiamato in causa, di rivalsa nei confronti del gestore della ricevitoria del
lotto in caso di mancato pagamento da parte dell'amministrazione).
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 13374 del 8 giugno 2007)

Cass. civ. n. 15362/2006


In tema di intervento nel processo di un terzo su istanza di parte ai sensi dell'articolo
106 c.p.c., rientra nei poteri discrezionali del giudice istruttore autorizzare o non
autorizzare la chiamata in causa, ma non anche autorizzare la chiamata tardiva e
imporre al terzo chiamato di accettare il contraddittorio nello stato in cui la controversia
si trova, così ledendone il diritto di difesa, sicché, se il terzo non presti adesione a tale
stato e (come nella specie) eccepisca in via principale l'irritualità della chiamata
difendendosi nel merito solo in via subordinata, le disposizioni sulle modalità e i termini
della chiamata in causa di terzo di cui agli articoli 167 e 269 c.p.c. non sono suscettibili
di deroga. (Principio affermato in causa instaurata con atto del 24 febbraio 1987).
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 15362 del 6 luglio 2006)

Cass. civ. n. 13131/2006


Il principio dell'estensione automatica della domanda dell'attore al chiamato in causa da
parte del convenuto trova applicazione allorquando la chiamata del terzo sia effettuata
al fine di ottenere la liberazione dello stesso convenuto dalla pretesa dell'attore, in
ragione del fatto che il terzo s'individui come unico obbligato nei confronti dell'attore ed
in vece dello stesso convenuto, realizzandosi in tal caso un ampliamento della
controversia in senso soggettivo (divenendo il chiamato parte del giudizio in posizione
alternativa con il convenuto) ed oggettivo (inserendosi l'obbligazione del terzo dedotta
dal convenuto verso l'attore in alternativa rispetto a quella individuata dall'attore), ma
ferma restando, tuttavia, in ragione di detta duplice alternatività, l'unicità del
complessivo rapporto controverso. Il suddetto principio, invece, non opera, allorquando
il chiamante faccia valere nei confronti del chiamato un rapporto diverso da quello
dedotto dall'attore come causa petendi come avviene nell'ipotesi di chiamata di un terzo
in garanzia, propria o impropria. (Nella specie, è stata esclusa la estensione della

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Articolo 106 Codice di procedura civile

domanda perché la chiamata in causa era avvenuta da parte del committente,


convenuto per il risarcimento dei danni prodotti dall'esecuzione di opere edilizie, nei
confronti delle ditte appaltatrici, configurandosi come chiamata in garanzia).
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 13131 del 1 giugno 2006)

Cass. civ. n. 254/2006


La contestazione della legittimazione passiva da parte del convenuto che abbia chiesto
la chiamata in causa di un terzo ritenuto obbligato in sua vece è logicamente e
giuridicamente incompatibile con la qualificazione dell'evocazione del terzo come
chiamata in garanzia, la quale, per sua natura, non può non presupporre la non
contestazione della suddetta legittimazione passiva. Conseguentemente, qualora il
convenuto, nel dedurre il difetto della propria legittimazione passiva, chiami un terzo,
indicandolo come il vero legittimato, si verifica l'estensione automatica della domanda al
terzo medesimo, onde il giudice può direttamente emettere nei suoi confronti una
pronuncia di condanna anche se l'attore non ne abbia fatto richiesta, senza per questo
incorrere nel vizio di extrapetizione.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 254 del 11 gennaio 2006)

Cass. civ. n. 16935/2003


In caso di chiamata in causa del terzo, egli assume per effetto della stessa chiamata in
causa la posizione di contraddittore nei confronti della domande originaria solo se viene
chiamato in causa quale unico responsabile del fatto dannoso, e non anche se viene
chiamato in causa dal convenuto per esserne garantito; in quest'ultimo caso, se l'attore
vuole proporre domanda anche nei confronti del terzo chiamato, deve formulare nei
suoi confronti una espressa ed autonoma domanda, che potrà trovare fondamento in
fatti anche diversi rispetto a quelli posti a base del rapporto di garanzia, avvalendosi
della facoltà disciplinata dall'art. 183, quarto comma, c.p.c.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 16935 del 11 novembre 2003)

Cass. civ. n. 11454/2003


In caso di chiamata in garanzia impropria, essendo l'azione principale e quella di
garanzia fondate su titoli diversi, le due cause benché proposte all'interno di uno stesso
giudizio rimangono distinte e scindibili; ne consegue che, se manchi da parte del
convenuto rimasto soccombente l'impugnazione sulla causa principale, il passaggio in
giudicato della sentenza sul punto relativo al rapporto principale non preclude al
chiamato in garanzia impropria di contestare l'esattezza della decisione di merito nel
limitato ambito del rapporto di garanzia e per i riflessi che tale decisione può avere su di
esso.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 11454 del 23 luglio 2003)

Cass. civ. n. 7273/2003


Nell'ipotesi di chiamata in causa di un terzo per comunanza di causa, la domanda del
convenuto si estende direttamente al terzo senza necessità di apposita istanza quando

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Articolo 106 Codice di procedura civile

la chiamata stessa sia rivolta a sentire affermare la esclusiva responsabilità del terzo, a
prescindere dal fatto che tale responsabilità sia poi riconosciuta o meno in via esclusiva
dal giudice, e ciò in quanto il giudizio verte sulla individuazione del responsabile sulla
base di un rapporto (obbligazione ex illicito) oggettivamente unico. Analoga estensione
viceversa non si verifica nel caso di chiamata del terzo in garanzia (propria o impropria),
stante l'autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo.
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 7273 del 12 maggio 2003)

Cass. civ. n. 12029/2002


In materia di procedimento civile, la chiamata in causa del terzo, ai sensi dell'art. 106
c.p.c., può essere disposta perché questi risponda, in luogo del convenuto, oppure sia
condannato a rispondere di quanto il convenuto sarà eventualmente tenuto a prestare
all'attore: nel primo caso, quando l'affermazione della responsabilità dell'obbligato
principale e del garante trovano fondamento negli elementi costitutivi della medesima
fattispecie, la garanzia si definisce «propria»; nel secondo caso quando la
responsabilità dell'uno e dell'altro traggono origine da rapporti o situazioni giuridiche
diversi, ed è esclusa l'esistenza di ogni legame tra il preteso creditore ed il garante, la
garanzia si definisce «impropria», che tale è anche quando il convenuto in giudizio
designa un terzo come responsabile di quanto lamentato dell'attore.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 12029 del 8 agosto 2002)

Cass. civ. n. 8809/2001


Nel caso di chiamata in garanzia impropria, fondata, cioè, su di un titolo diverso ed
autonomo rispetto a quello dedotto dall'attore, il garante può proporre impugnazione in
ordine al rapporto principale nella sola ipotesi in cui egli sia stato chiamato in giudizio
non solo ai fini dell'eventuale rivalsa in caso di soccombenza, ma anche per la
necessità della trattazione della causa e della sua stessa difesa, assumendosi essere
imputabile unicamente al terzo chiamato il fatto generatore della responsabilità.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 8809 del 27 giugno 2001)

Cass. civ. n. 4921/2000


Quando il convenuto chiami in causa un terzo per ottenere la declaratoria della sua
esclusiva responsabilità e la propria liberazione dalla pretesa dell'attore la causa è
unica ed inscindibile, potendo la responsabilità dell'uno comportare l'esclusione di quella
dell'altro, ovvero, nella ipotesi di coesistenza di diverse autonome responsabilità,
ponendosi l'una come limite dell'altra. Ne consegue: che non è possibile procedere alla
separazione del giudizio principale da quello instaurato con la chiamata in causa del
terzo senza incorrere nella violazione del principio del contraddittorio e quindi nella
sanzione di nullità di tutte le successive attività processuali; ed altresì che i due giudizi
devono rimanere uniti anche nelle fasi di impugnazione. Tuttavia, ove il giudice abbia
disposto la separazione delle cause, e la questione della legittimità della separazione
non abbia formato oggetto d'appello, la questione dell'integrità del contraddittorio non
può essere sollevata nel giudizio di cassazione.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 4921 del 17 aprile 2000)

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Articolo 106 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 13584/1999


La chiamata del terzo, effettuata da un ente pubblico, convenuto per il risarcimento
danni dal proprietario di un terreno irreversibilmente trasformato dall'esecuzione
dell'opera pubblica, per accertare l'inadempimento al contratto di appalto, è esercizio di
azione di garanzia impropria ed introduce una causa autonoma e scindibile tra
committente e appaltatore. Pertanto, se quest'ultimo è dichiarato fallito, il tribunale
fallimentare non diviene competente a conoscere l'una e l'altra domanda, permanendo
invece la competenza del giudice originariamente adito sulla domanda del privato nei
confronti dell'ente pubblico.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 13584 del 4 dicembre 1999)

Cass. civ. n. 3474/1999


Nel caso in cui il convenuto, nel contestare la propria legittimazione, chiami in causa un
terzo deducendo che il medesimo è il legittimato passivo, si verifica estensione
automatica della domanda ad un terzo, onde il giudice può direttamente emettere nei
confronti di lui una pronuncia di condanna anche se l'attore non ne abbia fatto richiesta,
senza con ciò incorrere nel vizio di ultrapetizione. Nella suddetta ipotesi la causa è
unica ed inscindibile, con la conseguenza che l'eccezione di incompetenza per territorio
derogabile sollevata dal chiamato rimane priva di effetti a causa dell'incontestabilità
della competenza nei confronti del convenuto che non ha sollevato la relativa
eccezione.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 3474 del 9 aprile 1999)

Cass. civ. n. 722/1997


Mentre nell'ipotesi in cui il terzo sia stato chiamato in causa dal convenuto come
soggetto effettivamente e direttamente obbligato alla prestazione pretesa dall'attore, la
domanda attrice si estende automaticamente ad esso, senza necessità di una istanza
espressa, analoga estensione non si verifica nel caso di chiamata del terzo in garanzia,
stante l'autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo.
Né la suddetta estensione della domanda si verifica nel caso in cui, ad istanza del
condebitore solidale convenuto, venga chiamato in causa quello non compulsato dal
creditore agente, essendo il chiamante privo di qualsiasi legittimazione in tal senso,
attesa la sua estraneità al diverso rapporto intercorrente fra l'attore ed il chiamato.
(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 722 del 24 gennaio 1997)

Cass. civ. n. 11066/1995


Il terzo chiamato in garanzia impropria dal convenuto in riferimento alla causa principale
ha i poteri processuali di un intervento adesivo dipendente e non può — trattandosi di
cause diverse e tra loro scindibili — dedurre eccezioni non sollevate dal convenuto, né
impugnare autonomamente la sentenza che dichiari quest'ultimo soccombente nei
confronti dell'attore. Tuttavia, qualora egli, in riferimento alla causa dipendente non si
limiti a contestare il rapporto di regresso ma neghi la responsabilità del convenuto nei
confronti dell'attore, può esercitare tutti i poteri processuali riconosciuti alle parti e,
trattandosi di cause scindibili, anche impugnare autonomamente la sentenza, senza,

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Articolo 106 Codice di procedura civile

peraltro, impedire la formazione del giudicato tra le parti del rapporto principale.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 11066 del 24 ottobre 1995)

Cass. civ. n. 1337/1995


La chiamata in garanzia impropria, con la quale il convenuto, sulla base di un autonomo
titolo, pretende essere tenuto indenne dal chiamato rispetto all'eventuale accoglimento
della domanda della parte attrice, non coinvolge il rapporto principale, e, quindi, non
abilita detta parte attrice a denunciare ragioni di nullità dell'atto di chiamata in causa,
non idonee ad influire su quel rapporto.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 1337 del 4 febbraio 1995)

Cass. civ. n. 512/1995


Nel caso di chiamata per garanzia impropria, come in ogni altro caso nel quale non sia
imposta dalla necessità di integrare il contraddittorio, la chiamata in causa del terzo
autorizzata dal giudice ai sensi dell'art. 269 c.p.c., a seguito dell'istanza
tempestivamente proposta alla prima udienza di effettiva trattazione, resta nella libera
disponibilità della parte che la ha richiesta, sulla quale ricade pertanto l'onere di
osservare il termine di comparizione per il terzo chiamato. Ne consegue che qualora il
giudice abbia concesso per tale chiamata (esplicitamente o attraverso la semplice
indicazione dell'udienza di comparizione del terzo) un termine insufficiente a consentire
il rispetto dei termini di comparizione, la parte interessata può chiedere per la
rinnovazione dell'atto un termine più congruo, sempre suscettibile di proroga, ed ove a
ciò non provveda non può dolersi, in sede di gravame, della declaratoria di nullità
dell'atto di chiamata in causa per inosservanza del termine.
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 512 del 18 gennaio 1995)

Cass. civ. n. 1375/1993


Il controllo del giudice sulla sussistenza della legitimatio ad causam, nel duplice aspetto
di legittimazione ad agire e contraddire, si risolve nell'accertare se, secondo la
prospettazione dell'attore, questi ed il convenuto assumano, rispettivamente, la veste di
soggetto che ha il potere di chiedere la pronuncia giurisdizionale e di soggetto tenuto a
subirla. Nel caso di chiamata in causa per garanzia impropria, l'anzidetta legittimazione,
rispettivamente attiva e passiva, è data dall'affermazione del chiamante che, in virtù di
un titolo diverso dal rapporto principale intercorrente fra attore e convenuto, il chiamato
debba tenerlo indenne dalle eventuali conseguenze negative del giudizio, restando
peraltro escluso, nella stessa ipotesi, che la domanda che il chiamante deve spiegare
nei confronti del chiamato debba essere necessariamente di condanna, in quanto il
chiamante medesimo può limitare il proprio interesse ad agire alla domanda che
l'accertamento sul rapporto principale (in quanto concernente un elemento del rapporto
principale destinato a spiegare i suoi effetti nell'ambito del rapporto di garanzia
impropria) faccia stato anche nei confronti del chiamato.
(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 1375 del 4 febbraio 1993)

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Articolo 106 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 1898/1984


Allorquando il convenuto chiami in causa un terzo, assumendo che questi, e non lui, è il
soggetto tenuto a rispondere della pretesa dell'attore, la domanda di quest'ultimo, anche
in mancanza di espressa istanza, si intende automaticamente estesa al terzo, in quanto
si tratta di individuare il vero responsabile, nel quadro di un rapporto oggettivamente
unico. In questo caso, si ha un ampliamento della controversia originaria, sia in senso
oggettivo — perché la nuova obbligazione dedotta dal convenuto venne ad inserirsi nel
tema della controversia, in via alternativa con quella che l'attore ha assunto a carico del
convenuto — sia in senso soggettivo, perché il terzo chiamato in causa diventa un'altra
parte di quella controversia e viene a trovarsi con il convenuto in una situazione tipica di
litisconsorzio alternativo.
(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 1898 del 22 marzo 1984)

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