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Dispositivo
Ciascuna parte può chiamare (1) nel processo un terzo al quale ritiene comune la
causa (2) o dal quale pretende essere garantita (3).
Note
(1) La chiamata in causa del terzo (art.269) si attua mediante un atto di citazione, con il quale il
terzo deve essere messo a conoscenza di tutte le attività processuali svolte fino al momento
della sua chiamata. La notifica di tale atto è sufficiente per fargli assumere la qualità di parte
nel giudizio nel quale deve intervenire, determinandosi un litisconsorzio facoltativo eventuale
successivo. Pertanto, le parti originarie potranno proporre contro di lui autonome domande ed,
a sua volta, il terzo potrà proporne contro le parti.
(2) La causa si definisce comune al terzo quando il rapporto dedotto in giudizio e quello
facente capo al terzo hanno in comune almeno uno degli elementi oggettivi, e cioè quando
esiste tra di essi un vincolo di connessione oggettiva per il petitum o per la causa petendi.
Infatti, si tratterebbe di chiamare in causa quegli stessi terzi che avrebbero potuto dispiegare
intervento principale o adesivo autonomo (art.105). Ad esempio si pensi al caso in cui il
convenuto in un giudizio di rivendica contesti la titolarità attiva dell'attore e chiami in causa il
terzo pretendente, effettivo titolare del diritto di proprietà; oppure al caso del creditore che
chiami in causa anche gli altri condebitori solidali allo scopo di ottenere una sentenza che
abbia piena efficacia anche contro di loro. L'opinione prevalente in dottrina e in giurisprudenza
ritiene che la chiamata in causa del terzo possa avvenire anche quando la comunanza è
determinata da rapporti di pregiudizialità-dipendenza, che consentirebbero l'intervento adesivo
dipendente come ad es. nella causa di sfratto tra il locatore ed il conduttore, ciascuna di queste
parti potrà avere interesse a chiamare il subconduttore affinché gli sia opponibile la sentenza.
(3) La chiamata in garanzia si ha quando una delle parti chiami in causa un terzo con lo scopo
di riversare su quest'ultimo gli effetti di una eventuale soccombenza in giudizio. La garanzia
che permette tale chiamata può essere propria o impropria (art.32). La prima si ha quando il
terzo è tenuto a rispondere sulla base di un rapporto sostanziale nascente da un contratto o
dalla legge e sarà soggetto agli effetti della sentenza della causa principale e può proporre
eccezioni, mezzi istruttori, istanze ed impugnazioni relative alla causa principale (tipico è il caso
della garanzia per evizione ex art. 1485 c.c.). La seconda invece si ha quando il collegamento
tra la posizione del chiamante e del terzo chiamato non si fonda su di un rapporto giuridico
nascente dalla legge o da un contratto, ma è di mero fatto. Tipico è l'esempio delle vendite a
catena, in cui il venditore può chiamare in causa l'originario venditore affinchè lo garantisca e
lo tenga indenne dall'eventuale condanna al pagamento delle spese in favore dell'acquirente.
Spiegazione
intervenire.
In contrario si è tuttavia osservato che l'intervento in causa è un istituto ben diverso
dalla litis denuntiatio, dato che solo dalla chiamata effettuata ex art. 106 (che si realizza
mediante lanotificazione di un vero e proprio atto di citazione), scaturisce la notevole
conseguenza dell'acquisizione, in capo al terzo, della qualità di parte (con la mera
denuncia della lite, invece, ci si limita ad avvisare, seppure in modo solenne e formale,
il terzo della pendenza di un processo).
Nella categoria dei soggetti che possono essere chiamati in causa ad istanza di parte
vanno ricompresi coloro che sono titolari di un diritto incompatibile (i c.d. terzi
pretendenti), ovvero coloro che avrebbero potuto dispiegare intervento volontario
principale.
Esempio classico è quello del processo in cui l'attore abbia convenuto in giudizio
soltanto uno dei coobbligati in solido; in tal caso si esclude per l'attore la possibilità di
chiamare successivamente in causa il terzo, poiché in questo modo gli si consentirebbe
ingiustificatamente di rimediare ad una omissione a cui lo stesso avrebbe potuto ovviare
prestando maggiore attenzione.
Tale possibilità, invece, deve essergli consentita nel caso in cui l'attore solo
successivamente venga a conoscenza dell'esistenza di altri coobbligati in solido (ma in
questo caso si tratta piuttosto di una di rimessione in termini); del tutto diversa è anche
l'ipotesi in cui sia il convenuto ad effettuare la chiamata in causa del terzo, profilandosi
in questo caso una chiamata in garanzia.
Un'altra ipotesi, che può dar luogo ad un intervento coatto ad istanza di parte, ricorre
nel caso del terzo che, secondo il convenuto, è considerato vero legittimato a
contraddire la domanda proposta nei suoi confronti, e che il convenuto chiami in causa
affinché prenda il suo posto nel processo e lo possa, così, liberare. Con la chiamata in
causa del vero legittimato, il convenuto è posto in condizione di contrastare con
maggiore efficacia le pretese dell'attore (si è anche sostenuto che così facendo il
convenuto instaura una controversia pregiudiziale nei riguardi sia dell'attore che del
terzo).
La chiamata in garanzia
E’ questa la seconda ipotesi prevista dalla norma ed in cui è consentito l'intervento
coatto ad istanza di parte.
Ipotesi tradizionali sono quelle della garanzia propria, nelle due forme della garanzia
reale e personale; deve tuttavia osservarsi che dottrina e giurisprudenza prevalenti
riconducono la disciplina della seconda parte dell'art. 106 anche al diverso caso della
garanzia impropria.
Ricorre in particolare la figura della garanzia propria nel caso in cui vi sia il diritto di un
soggetto ad essere tenuto indenne a fronte di una eventuale diminuzione patrimoniale
conseguente alla pretesa affermata da un terzo; con la chiamata in causa del garante si
intende di fatto realizzare una vera e propria strategia difensiva, volta ad ottenere la
manleva in caso di soccombenza, cercando di scaricare sul terzo le eventuali
conseguenze dannose di una sconfitta.
E’ chiaro che sul garante chiamato in causa incomberà un onere di difesa, in quanto da
una sua insufficiente difesa potrebbe derivare la soccombenza del garantito ed il
conseguente obbligo del garante di tenerlo indenne; egli assume la qualifica di parte,
ma non diviene litisconsorte del chiamante.
Secondo il chiaro disposto dell'art. 32 del c.p.c., la chiamata in garanzia propria non
Massime
parte attrice).
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 16590 del 20 giugno 2019)
rilevando che la Corte di Appello, dopo avere estromesso con sentenza non definitiva la
parte individuata dall'attore come l'unica passivamente legittimata, aveva proseguito il
giudizio in assenza di quest'ultima, benchè la sentenza non definitiva fosse stata
cassata). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 24/09/2012).
(Cassazione civile, Sez. I, ordinanza n. 4722 del 28 febbraio 2018)
convenuto per ottenere la sua liberazione dalla pretesa attorea, individuandosi il terzo
come l'unico obbligato nei confronti dell'attore, in posizione alternativa con il convenuto
ed in relazione ad un unico rapporto, mentre non opera in caso di chiamata in garanzia
impropria, attesa l'autonomia dei rapporti. Tuttavia, anche in caso di rapporto
oggettivamente unico, la presunzione su cui si fonda il principio dell'estensione
automatica della domanda dell'attore al terzo chiamato (ossia che l'attore voglia la
condanna del chiamato, pur avendo agito nei confronti del solo convenuto) non può
operare se l'attore escluda espressamente che la propria domanda sia stata proposta
nei confronti del terzo chiamato.
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 8411 del 27 aprile 2016)
della garanzia azionata, sicché, ricorrendo in tale ultima ipotesi una situazione di
pregiudizialità-dipendenza tra cause, che dà luogo a litisconsorzio processuale in fase
di impugnazione, il chiamato in garanzia può impugnare autonomamente le statuizioni
che attengono all'esistenza, validità ed efficacia del rapporto principale, ma non già
aspetti ulteriori e diversi relativi allo stesso rapporto principale - rispetto ai quali il
vincolo di subordinazione della causa accessoria non determina l'interdipendenza tra le
due cause - che possono formare oggetto soltanto di impugnazione adesiva
dipendente. (Nel caso di specie, esercitata da un condomino, nei confronti del
condominio, azione per il risarcimento dei danni da infiltrazioni d'acqua provocate dalla
rottura di un tubo condominiale, la Suprema Corte - in applicazione del summenzionato
principio - ha ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione proposto dall'assicuratore,
chiamato in garanzia dal predetto condominio, relativamente alla censura che ha
investito la liquidazione equitativa del danno, qualificandolo come adesivo dipendente
dal ricorso del condominio, giacché concerneva statuizioni della sentenza impugnata
non attinenti alla validità ed efficacia del rapporto principale).
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 11968 del 16 maggio 2013)
sentenza impugnata, con cui era stata ritenuta la nullità della chiamata del terzo da
parte del convenuto per garanzia impropria, perché la procura, rilasciata in calce alla
copia notificata dell'atto di citazione, non conteneva l'autorizzazione all'azione di
manleva).
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 20825 del 29 settembre 2009)
la chiamata stessa sia rivolta a sentire affermare la esclusiva responsabilità del terzo, a
prescindere dal fatto che tale responsabilità sia poi riconosciuta o meno in via esclusiva
dal giudice, e ciò in quanto il giudizio verte sulla individuazione del responsabile sulla
base di un rapporto (obbligazione ex illicito) oggettivamente unico. Analoga estensione
viceversa non si verifica nel caso di chiamata del terzo in garanzia (propria o impropria),
stante l'autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo.
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 7273 del 12 maggio 2003)
peraltro, impedire la formazione del giudicato tra le parti del rapporto principale.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 11066 del 24 ottobre 1995)