Dispositivo
Note
(1) Secondo l'opinione prevalente e consolidata della dottrina vi è tendenziale coincidenza fra
la norma in esame e l'articolo relativo agli interventi su istanza di parte (art.106). Infatti, in
entrambi i casi i terzi sono individuati in funzione della comunanza di causa. Il giudice può
ordinare, ad esempio, l'intervento del terzo in ipotesi di contestazione della titolarità attiva o
passiva del rapporto per evitare la doppia soccombenza di una delle parti.
Inoltre, quando il terzo può risentire dell'efficacia della sentenza (art.105), il giudice potrebbe
ordinarne l'intervento nel caso in cui ritenga che fra le parti originarie vi sia collusione,
prevenendo l'emanazione di una sentenza che sarebbe impugnata successivamente mediante
opposizione di terzo revocatoria (art.404, II comma c.p.c.).
Nel caso in cui il rapporto di cui il terzo è titolare ed il rapporto dedotto in giudizio esiste un
nesso di pregiudizialità (art. 34), l'intervento del terzo può essere strumento per un più corretto
accertamento del rapporto pregiudiziale e quindi per una più giusta decisione sulla causa
principale (tipico è il caso della chiamata in causa del datore di lavoro in una causa fra
lavoratore ed ente previdenziale per l'accertamento dell'esistenza del pregiudiziale rapporto di
lavoro).
(2) Il giudice non ordina direttamente l'intervento del terzo, bensì ordina alle parti la chiamata
con le modalità di cui all'art.270 alle parti costituite, che hanno così l'onere di rispettare l'ordine
del giudice. L'inosservanza di tale ordine non comporta automaticamente la cancellazione della
causa dal ruolo, in quanto il giudice può fissare una nuova udienza che consente, se la parte
interessata provvede alla relativa citazione, la prosecuzione del giudizio.
Ratio Legis
La norma descrive l'ipotesi in cui la chiamata del terzo avvenga per ordine del giudice,
il quale in qualsiasi momento del giudizio di primo grado, sulla base di una
valutazione di opportunità processuale che consiste nel garantire l'economia del
giudizio stesso e nell'esigenza di evitare conflitti di giudicati, ordina alle parti di
chiamare in causa il terzo. Pertanto, è bene indicare cha la ragione giustificatrice di
tale chiamata risiede nella comunanza di causa che legittima l'intervento su istanza di
parte e, cioè, l'esistenza di una connessione oggettiva tra la posizione del terzo e
quella delle originarie parti in causa.
Tuttavia, si potrebbe ritenere che la chiamata per ordine del giudice possa
comprimere il principio della domanda. Per questo motivo si ritiene che l'ordine possa
essere dato solo quando la parte, che era decaduta dal potere di chiamare in giudizio
il terzo [v. 106], per causa a lei non imputabile, ne abbia fatto espressa richiesta.
Brocardi
“ Iussu iudicis
”
Per ordine del giudice
Spiegazione
Originariamente, e precisamente sotto la vigenza del codice di rito del 1865, l'intervento
per ordine del giudice era assimilato ad un mezzo istruttorio.
Altra tesi considerava l'intervento jussu judicis uno strumento per integrare il
contraddittorio nelle ipotesi di litisconsorzio necessario.
Altri, ancora, ritenevano che con tale istituto il legislatore avesse voluto tutelare la
posizione di quei terzi che, in quanto titolari di un rapporto in posizione di dipendenza e
per effetto dell'efficacia riflessa del giudicato, avrebbero potuto subire conseguenze
pregiudizievoli a seguito di una decisione ingiusta o fraudolenta,
Da ultimo, infine, è prevalsa la tesi che l'intervento jussu judicis, per la sua
impostazione e per la sua struttura, sia da equiparare all'intervento coatto ad istanza di
parte e che la sua ratio sia quella di consentire il simultaneus processus sia per ragioni
di economia processuale, sia per evitare un possibile contrasto di giudicati.
A prescindere dalle diverse ricostruzioni che sono state prospettate, l'aspetto più critico
riguarda la compatibilità di questo istituto con il principio dispositivo e, soprattutto, con il
principio della domanda, in quanto di fatto la decisione di chiamare in causa un terzo,
per poter estendere pure a lui la domanda e gli effetti del giudicato, è presa dal giudice,
anziché dalle parti.
Per quanto concerne le categorie di terzi che possono essere chiamati in causa jussu
judicis, si ritiene che non possano sussistere ostacoli nell'ammettere che possano
essere chiamati i terzi titolari di un rapporto in posizione di mera dipendenza rispetto a
quello oggetto della causa principale e che ben avrebbero potuto porre in essere un
intervento adesivo dipendente.
In ordine, invece, ai poteri che il terzo, una volta chiamato e costituitosi in giudizio, può
esercitare, si tende a riconoscergli una posizione paritetica rispetto alle parti originarie,
attesa la natura del tutto involontaria del suo intervento e si ritiene anche che il terzo
abbia il potere di impugnare autonomamente la sentenza.
Dal punto di vista concreto, alla chiamata del terzo per ordine del giudice provvede una
delle parti originarie (normalmente la c.d. parte più diligente, che corrisponde a quella
maggiormente interessata all'intervento del terzo).
Se poi nessuna delle parti ottemperi all'ordine del giudice di effettuare la chiamata,
notificando al terzo l'apposito atto di citazione ai sensi degli artt. 269 e 270 c.p.c., scatta
la sanzione della cancellazione della causa dal ruolo; a seguito di tale cancellazione, se
nessuna delle parti originarie provvede alla riassunzione del procedimento, effettuando
anche la citazione del terzo, la causa si estingue ex art. 307 del c.p.c..
La fissazione dell'udienza per la chiamata del terzo non comporta la fissazione di alcun
termine perentorio, poiché si tratta di un'udienza di comparizione analoga a quella
prevista dal n. 7 dell’art. 163 del c.p.c. per l'ordinaria citazione.
Da ciò ne consegue che la mancata osservanza dell'ordine di chiamata del terzo e,
correlativamente, la mancata comparizione dello stesso all'udienza fissata, non
impediscono al giudice di fissare una nuova udienza di comparizione, nell'esercizio del
suo potere discrezionale.
Dal combinato disposto degli artt. 107 e 269 c.p.c. si desume che la chiamata in causa
per ordine del giudice può avvenire in ogni momento e che non è soggetta al regime di
preclusioni vigenti per l'intervento volontario; essa è comunque subordinata alla previa
valutazione, da parte del giudice, in ordine alla sussistenza del requisito della
comunanza di causa ed all'opportunità dell'intervento stesso, e contiene sempre
l'implicito avvertimento che il giudice non è disposto a decidere sino a che il suo ordine
non venga eseguito.
Massime
decisione impugnata per cassazione dal solo amministratore, nella sua qualità di
chiamato in causa per ordine del giudice. In applicazione del principio di diritto di cui
alla massima, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso, affermando che la sola
società sarebbe stata legittimata a proporlo, mentre l'amministratore avrebbe potuto
proporre ricorso incidentale adesivo a quello principale nella sola ipotesi in cui la società
lo avesse formulato, oppure avrebbe potuto proporre anche ricorso principale, ma solo
nei confronti di quella parte della statuizione con la quale era stato condannato, in
solido con la società, a rimborsare all'ingiunto le spese del giudizio d'appello).
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 8473 del 2 agosto 1995)