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Articolo 107 Codice di procedura civile

Intervento per ordine del giudice

Dispositivo

Dispositivo dell'art. 107 Codice di procedura civile


Fonti » Codice di procedura civile » LIBRO PRIMO - Disposizioni generali » Titolo IV - Dell'esercizio dell'azione (artt. 99-111)

Il giudice, quando ritiene opportuno che il processo si svolga in confronto di un terzo


al quale la causa è comune (1), ne ordina l'intervento (2).

Note
(1) Secondo l'opinione prevalente e consolidata della dottrina vi è tendenziale coincidenza fra
la norma in esame e l'articolo relativo agli interventi su istanza di parte (art.106). Infatti, in
entrambi i casi i terzi sono individuati in funzione della comunanza di causa. Il giudice può
ordinare, ad esempio, l'intervento del terzo in ipotesi di contestazione della titolarità attiva o
passiva del rapporto per evitare la doppia soccombenza di una delle parti.
Inoltre, quando il terzo può risentire dell'efficacia della sentenza (art.105), il giudice potrebbe
ordinarne l'intervento nel caso in cui ritenga che fra le parti originarie vi sia collusione,
prevenendo l'emanazione di una sentenza che sarebbe impugnata successivamente mediante
opposizione di terzo revocatoria (art.404, II comma c.p.c.).
Nel caso in cui il rapporto di cui il terzo è titolare ed il rapporto dedotto in giudizio esiste un
nesso di pregiudizialità (art. 34), l'intervento del terzo può essere strumento per un più corretto
accertamento del rapporto pregiudiziale e quindi per una più giusta decisione sulla causa
principale (tipico è il caso della chiamata in causa del datore di lavoro in una causa fra
lavoratore ed ente previdenziale per l'accertamento dell'esistenza del pregiudiziale rapporto di
lavoro).

(2) Il giudice non ordina direttamente l'intervento del terzo, bensì ordina alle parti la chiamata
con le modalità di cui all'art.270 alle parti costituite, che hanno così l'onere di rispettare l'ordine
del giudice. L'inosservanza di tale ordine non comporta automaticamente la cancellazione della
causa dal ruolo, in quanto il giudice può fissare una nuova udienza che consente, se la parte
interessata provvede alla relativa citazione, la prosecuzione del giudizio.

Ratio Legis
La norma descrive l'ipotesi in cui la chiamata del terzo avvenga per ordine del giudice,
il quale in qualsiasi momento del giudizio di primo grado, sulla base di una
valutazione di opportunità processuale che consiste nel garantire l'economia del
giudizio stesso e nell'esigenza di evitare conflitti di giudicati, ordina alle parti di
chiamare in causa il terzo. Pertanto, è bene indicare cha la ragione giustificatrice di

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tale chiamata risiede nella comunanza di causa che legittima l'intervento su istanza di
parte e, cioè, l'esistenza di una connessione oggettiva tra la posizione del terzo e
quella delle originarie parti in causa.
Tuttavia, si potrebbe ritenere che la chiamata per ordine del giudice possa
comprimere il principio della domanda. Per questo motivo si ritiene che l'ordine possa
essere dato solo quando la parte, che era decaduta dal potere di chiamare in giudizio
il terzo [v. 106], per causa a lei non imputabile, ne abbia fatto espressa richiesta.

Brocardi

“ Iussu iudicis


Per ordine del giudice

Spiegazione

Spiegazione dell'articolo 107 Codice di procedura civile


La norma in esame, come quella che precede, prevede un intervento coatto, che
provoca in capo al terzo l'assunzione della qualità di parte; è, comunque, pacifico che il
terzo non può mai essere obbligato a partecipare attivamente, potendo anche decidere
di rimanere contumace.

Originariamente, e precisamente sotto la vigenza del codice di rito del 1865, l'intervento
per ordine del giudice era assimilato ad un mezzo istruttorio.
Altra tesi considerava l'intervento jussu judicis uno strumento per integrare il
contraddittorio nelle ipotesi di litisconsorzio necessario.
Altri, ancora, ritenevano che con tale istituto il legislatore avesse voluto tutelare la
posizione di quei terzi che, in quanto titolari di un rapporto in posizione di dipendenza e
per effetto dell'efficacia riflessa del giudicato, avrebbero potuto subire conseguenze
pregiudizievoli a seguito di una decisione ingiusta o fraudolenta,
Da ultimo, infine, è prevalsa la tesi che l'intervento jussu judicis, per la sua
impostazione e per la sua struttura, sia da equiparare all'intervento coatto ad istanza di
parte e che la sua ratio sia quella di consentire il simultaneus processus sia per ragioni
di economia processuale, sia per evitare un possibile contrasto di giudicati.

A prescindere dalle diverse ricostruzioni che sono state prospettate, l'aspetto più critico
riguarda la compatibilità di questo istituto con il principio dispositivo e, soprattutto, con il
principio della domanda, in quanto di fatto la decisione di chiamare in causa un terzo,
per poter estendere pure a lui la domanda e gli effetti del giudicato, è presa dal giudice,
anziché dalle parti.

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Allo scopo di superare tale problema, si è pensato di configurare l'intervento jussu


judicis come una mera litis denuntiatio, con la conseguenza che il terzo assume la
qualità di parte solo se, a seguito di tale denuntiatio, decida di intervenire
spontaneamente nel processo, oppure se siano le parti originarie a proporre domande
contro di lui; qualora, invece, il terzo decidesse di non effettuare l'intervento, rimarrebbe
del tutto estraneo al processo e il giudicato non si potrebbe estendere nei suoi
confronti.

Per quanto concerne le categorie di terzi che possono essere chiamati in causa jussu
judicis, si ritiene che non possano sussistere ostacoli nell'ammettere che possano
essere chiamati i terzi titolari di un rapporto in posizione di mera dipendenza rispetto a
quello oggetto della causa principale e che ben avrebbero potuto porre in essere un
intervento adesivo dipendente.

In ordine, invece, ai poteri che il terzo, una volta chiamato e costituitosi in giudizio, può
esercitare, si tende a riconoscergli una posizione paritetica rispetto alle parti originarie,
attesa la natura del tutto involontaria del suo intervento e si ritiene anche che il terzo
abbia il potere di impugnare autonomamente la sentenza.

La giurisprudenza di legittimità, nel confermare che la chiamata in causa di un terzo


jussu judicis viene lasciata alla discrezionalità del giudice di primo grado, ha precisato
che una decisione in tal senso determina una situazione di litisconsorzio processuale
necessario, insindacabile sia da parte del giudice di appello, che del giudice di
legittimità.

Dal punto di vista concreto, alla chiamata del terzo per ordine del giudice provvede una
delle parti originarie (normalmente la c.d. parte più diligente, che corrisponde a quella
maggiormente interessata all'intervento del terzo).
Se poi nessuna delle parti ottemperi all'ordine del giudice di effettuare la chiamata,
notificando al terzo l'apposito atto di citazione ai sensi degli artt. 269 e 270 c.p.c., scatta
la sanzione della cancellazione della causa dal ruolo; a seguito di tale cancellazione, se
nessuna delle parti originarie provvede alla riassunzione del procedimento, effettuando
anche la citazione del terzo, la causa si estingue ex art. 307 del c.p.c..

La fissazione dell'udienza per la chiamata del terzo non comporta la fissazione di alcun
termine perentorio, poiché si tratta di un'udienza di comparizione analoga a quella
prevista dal n. 7 dell’art. 163 del c.p.c. per l'ordinaria citazione.
Da ciò ne consegue che la mancata osservanza dell'ordine di chiamata del terzo e,
correlativamente, la mancata comparizione dello stesso all'udienza fissata, non
impediscono al giudice di fissare una nuova udienza di comparizione, nell'esercizio del
suo potere discrezionale.

Dal combinato disposto degli artt. 107 e 269 c.p.c. si desume che la chiamata in causa
per ordine del giudice può avvenire in ogni momento e che non è soggetta al regime di
preclusioni vigenti per l'intervento volontario; essa è comunque subordinata alla previa
valutazione, da parte del giudice, in ordine alla sussistenza del requisito della
comunanza di causa ed all'opportunità dell'intervento stesso, e contiene sempre
l'implicito avvertimento che il giudice non è disposto a decidere sino a che il suo ordine
non venga eseguito.

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Massime

Massime relative all'107 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 4724/2019


La manifestazione, da parte dell'attore, della volontà di estendere la domanda originaria
nei confronti del terzo chiamato in causa "iussu iudicis" non è assoggettata ad alcun
termine perentorio, potendo essere disposto l'intervento ex art. 107 c.p.c. in ogni
momento del processo.
(Cassazione civile, Sez. III, ordinanza n. 4724 del 19 febbraio 2019)

Cass. civ. n. 11250/2014


In caso di morte del chiamato in causa "iussu iudicis" ex art. 107 cod. proc. civ. nel
giudizio di primo grado, la relativa legittimazione processuale attiva e passiva si
trasmette agli eredi, i quali vengono a trovarsi nella posizione di litisconsorti necessari
per ragioni processuali, sicché, in fase di appello, deve essere ordinata d'ufficio
l'integrazione del contraddittorio nei confronti di ciascuno di essi, ancorché contumaci in
primo grado. Ne consegue che, qualora l'impugnazione sia notificata al chiamato in
causa deceduto e non agli eredi, il procedimento di appello e la sentenza che lo
definisce sono affetti da nullità assoluta - per violazione dell'art. 331 cod. proc. civ. -
rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado e, quindi, anche in sede di legittimità, laddove la
non integrità del contraddittorio emerga "ex se" dagli atti, senza necessità di nuovi
accertamenti.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 11250 del 21 maggio 2014)

Cass. civ. n. 315/2013


Qualora il giudice ordini l'intervento di un terzo a seguito delle difese svolte dal
convenuto, il quale, contestando la propria legittimazione passiva, indichi quello come
responsabile della pretesa fatta valere in giudizio, ricorre un'ipotesi non di litisconsorzio
necessario, ex art. 102 c.p.c., ma di chiamata in causa "iussu iudicis ", ai sensi dell'art.
107 c.p.c., rispondente ad esigenze di economia processuale (comunanza di causa),
discrezionalmente valutate sotto il profilo dell'opportunità. Ove, peraltro, la notifica al
terzo sia nulla (nella specie, per mancata spedizione, a seguito di notificazione a mezzo
del servizio postale, dell'ulteriore avviso per raccomandata imposto da Corte cost. 22
settembre 1998, n. 346), il contraddittorio non può ritenersi validamente instaurato,
restando sanata detta nullità soltanto dall'ordine giudiziale di rinnovazione o dalla
spontanea reiterazione, ad opera della parte interessata, della notificazione della
citazione al terzo, senza che possa, invece, assumere rilievo sanante l'eventuale
notifica al terzo stesso di un ricorso per riassunzione conseguente all'interruzione del
processo pendente tra le parti originarie, in quanto atto mancante degli elementi
essenziali della domanda estesa nei confronti di quello.
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 315 del 9 gennaio 2013)

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Cass. civ. n. 1291/2012


Quando il convenuto contesti di esser titolare dell'obbligazione dedotta in giudizio
indicando un terzo quale esclusivo soggetto passivo della pretesa attrice, non v'è
necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di quest'ultimo, in quanto, potendo
emettersi la pronunzia di accertamento positivo o negativo della sussistenza di quella
titolarità con effetti limitati alle parti in causa, non si versa in situazione di impossibilità
di adottare una pronunzia idonea a produrre gli effetti giuridici voluti senza la
partecipazione al giudizio di determinati soggetti. Ne consegue che nella indicata ipotesi
l'intervento del terzo nel giudizio può esser disposto in corso di causa ex art. 107 c.p.c.
solo dal giudice di primo grado nell'esercizio di un potere discrezionale ed insindacabile,
ma qualora l'ordine predetto sia rimasto inosservato e il giudice non abbia provveduto a
cancellare la causa dal ruolo a norma dell'art. 270 c.p.c., deve ritenersi che tale ordine
sia stato implicitamente revocato.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 1291 del 30 gennaio 2012)

Cass. civ. n. 3717/2010


La chiamata del terzo "iussu iudicis" di cui all'art. 107 c.p.c. determina una situazione di
litisconsorzio necessario cd. "processuale", non rimuovibile per effetto di un diverso
apprezzamento del giudice dell'impugnazione, salva l'estromissione del chiamato con la
sentenza di merito, con la conseguenza che quando il terzo, dopo aver partecipato al
giudizio di primo grado a seguito di tale chiamata, non abbia partecipato al giudizio di
appello, si configura una violazione dell'art. 331 c.p.c., rilevabile d'ufficio nel giudizio di
legittimità, nel quale va disposta la cassazione con rinvio per nuovo esame previa
integrazione del contraddittorio.
(Cassazione civile, Sez. V, sentenza n. 3717 del 17 febbraio 2010)

Cass. civ. n. 22419/2008


La chiamata in causa di un terzo ai sensi dell'art. 107 c.p.c. è sempre rimessa alla
discrezionalità del giudice di primo grado, involgendo valutazioni circa l'opportunità di
estendere il processo ad altro soggetto, onde l'esercizio del relativo potere, che
determina una situazione di litisconsorzio processuale necessario, è insindacabile sia
da parte del giudice di appello, che del giudice di legittimità. Ne consegue che il giudice
di appello non può far altro che constatare la rituale dichiarazione di intervenuta
estinzione del giudizio da parte del giudice di primo grado, ove non si sia provveduto
alla riassunzione del processo, con l'integrazione del contraddittorio nei confronti del
terzo, nel termine di un anno dall'ordinanza di cancellazione della causa dal ruolo
pronunciata a seguito dell'inottemperanza all'ordine di chiamata in causa.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 22419 del 5 settembre 2008)

Cass. civ. n. 4593/2008


Poichè nella particolare disciplina dell'assicurazione obbligatoria di cui alla legge 24
dicembre 1969 n. 990 — ratione temporis applicabile nella specie — la stretta
connessione del rapporto risarcitorio e del rapporto assicurativo comporta una
situazione di comunanza di cause, nel giudizio di risarcimento danni da incidente

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stradale promosso dal danneggiato nei confronti del danneggiante-assicurato, così


come deve riconoscersi al giudice di primo grado, in applicazione dell'articolo 107 c.p.c.,
il potere di ordinare l'intervento dell'impresa assicuratrice, sia al fine di un'eventuale
estensione nei suoi confronti della domanda attrice, sia in relazione all'eventuale
pretesa del convenuto di trasferire a suo carico le conseguenze della propria
soccombenza verso il danneggiato, così deve ritenersi altrettanto giustificato l'esercizio
del potere discrezionale del giudice di autorizzare la parte a chiamare in causa il terzo
assicuratore ai sensi dell'art. 106 c.p.c.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 4593 del 22 febbraio 2008)

Cass. civ. n. 2901/2008


Il litisconsorzio meramente processuale, che si verifica in caso di chiamata in causa, per
ordine del giudice, di un terzo cui è ritenuta comune la controversia, impone la
presenza in causa del terzo anche nei successivi gradi di giudizio, ma non comporta
che a tale soggetto debbano ritenersi automaticamente estese le domande e le
conclusioni formulate nei confronti di altri soggetti processuali, occorrendo a tal fine
un'espressa manifestazione di volontà al riguardo.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 2901 del 7 febbraio 2008)

Cass. civ. n. 13908/2007


In difetto di declinazione, da parte dell'originario convenuto (nella specie, rimasto
contumace), della titolarità dell'obbligazione dedotta, con indicazione di quella del terzo,
il giudice non può, d'ufficio, ipotizzata l'esistenza di un diverso obbligato, ordinare
l'intervento in causa del terzo, una tale inziativa manifestando non già il legittimo intento
di consentire, nel simultaneus processus l'individuazione del vero obbligato, bensì la
indebita intenzione di correggere in via officiosa la supposta erroneità della vocatio in
ius da parte attrice.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 13908 del 14 giugno 2007)

Cass. civ. n. 13907/2007


Qualora il convenuto eccepisca di non essere titolare del lato passivo del rapporto
dedotto in giudizio e indichi come tale il terzo, il giudice di primo grado, con valutazione
discrezionale, non sindacabile in sede di legittimità, può ordinare l'intervento in causa
del terzo, a norma dell'art. 107 c.p.c., in tal modo costituendosi un simultaneus
processus diretto alla individuazione del titolare passivo del credito azionato, al terzo
estendendosi in via automatica la domanda dell'attore.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 13907 del 14 giugno 2007)

Cass. civ. n. 13165/2007


Condizione legittimante l'adozione dell'ordine di chiamata in causa di un terzo è la
negazione da parte dell'originario convenuto della titolarità passiva della obbligazione
azionata e della indicazione in capo al terzo di detta titolarità. Pertanto, qualora il
convenuto sia rimasto contumace, il giudice che, di ufficio, ipotizzi la esistenza di un

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diverso obbligato e ne ordini la sostituzione a quello individuato dall'attore, manifesta


non già il legittimo intento di consentire, nel simultaneus procesus la individuazione del
vero obbligato, bensì la indebita intenzione di correggere in via officiosa la supposta
erroneità della vocatio in iudicio da parte attrice, incorrendo, così, nel vizio di
extrapetizione.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 13165 del 5 giugno 2007)

Cass. civ. n. 10023/2004


Qualora il convenuto, nel resistere alla domanda attrice, indichi un terzo quale
responsabile dei fatti contestati e il giudice, ritenendo la comunione di cause, ordini la
chiamata in causa di detto terzo, qualora venga accolta, anche parzialmente, la
domanda attrice nei confronti del solo convenuto, escludendo qualsiasi responsabilità
del terzo, non possono essere poste le spese di lite sostenute dal terzo a carico della
parte attrice, ancorché quest'ultima, quale parte più diligente, abbia provveduto a
notificare al terzo l'atto di chiamata.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 10023 del 25 maggio 2004)

Cass. civ. n. 187/2003


L'attribuzione della qualità di parte all'interventore nel processo iussu iudicis non postula
la proposizione di domande da parte del medesimo (né che domande siano, viceversa,
formulate nei suoi confronti), essendo, per converso, sufficiente la sua presenza o
evocazione in giudizio, che dà per ciò stesso luogo ad una fattispecie di litisconsorzio
processuale, con la conseguenza che, pur non potendosi pronunciare condanna del
terzo in favore dell'attore, se questi non l'abbia voluta, tuttavia la domanda nei confronti
del terzo può essere anche implicita e non può mai considerarsi nuova, sempre che
l'intervenuto sia stato disposto in ipotesi di declinazione, da parte dell'originario
convenuto, della titolarità dell'obbligazione dedotta, con indicazione di quella del terzo e,
quindi, al fine di accertare, nel contraddittorio di tutti gli interessati, quale sia la parte
obbligata in relazione al titolo azionato con l'atto introduttivo, così che al processo si
aggiunga solo una parte e non anche una nuova causa petendi o un diverso petitum.
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 187 del 10 gennaio 2003)

Cass. civ. n. 10400/2002


La relazione di accessorietà dell'obbligazione fideiussoria rispetto a quella principale
non esclude la reciproca autonomia delle due obbligazioni e si traduce sul piano
processuale nella non configurabilità del litisconsorzio necessario tra creditore, debitore
principale e fideiussore, a meno che il giudice non ordini l'intervento in causa del
fideiussore ai sensi dell'art. 107 c.p.c., nel qual caso si realizza una situazione di
litisconsorzio necessario di tipo processuale, che produce i medesimi effetti di quello
sostanziale.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 10400 del 17 luglio 2002)

Cass. civ. n. 4051/2002

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L'esercizio, da parte del giudice, del potere-dovere di ordinare, anche d'ufficio,


l'integrazione del contraddittorio, postulando il positivo esito della preliminare indagine
circa la ricorrenza dei presupposti che rendono necessaria l'integrazione stessa,
comporta che siffatta indagine deve essere svolta con esclusivo riguardo al rapporto
quale affermato dall'attore e, pertanto, a prescindere dalla sua reale configurazione
giuridica, posto che, iscrivendosi la figura del litisconsorzio nel quadro della legitimatio
ad causam, soltanto alla domanda è legittimo fare riferimento per la individuazione dei
soggetti coinvolti e per accertare, di conseguenza, la regolarità del contraddittorio.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 4051 del 21 marzo 2002)

Cass. civ. n. 14179/1999


Nella controversia instaurata con opposizione ad ordinanza ingiunzione, irrogativa di
sanzione amministrativa per omissioni contributive relative ad un rapporto di lavoro
subordinato del quale l'opponente contesti l'esistenza, è inammissibile la chiamata in
causa del lavoratore al fine di accertare l'insussistenza del rapporto, giacché nel
giudizio di opposizione ex artt. 22 e 23 della L. n. 689 del 1981 — avente ad oggetto
soltanto l'accertamento della legittimità della pretesa sanzionatoria nei confronti
dell'autore dell'illecito amministrativo o dell'obbligato in solido — non sono configurabili
situazioni di comunanza di causa ovvero ipotesi di chiamata in garanzia.
(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 14179 del 16 dicembre 1999)

Cass. civ. n. 5983/1999


L'intervento in causa iussu iudicis (art. 107 c.p.c.), determinando una forma di
litisconsorzio meramente processuale, può essere disposto (a differenza che nell'ipotesi
disciplinata dal precedente art. 102 del codice di rito) sulla base di un giudizio di mera
opportunità processuale, e non richiede, pertanto, che il rapporto sostanziale sia
comune ed indivisibile rispetto ai soggetti chiamati.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 5983 del 17 giugno 1999)

Cass. civ. n. 8473/1995


L'intervento in causa per ordine del giudice, ex art. 107 c.p.c., ha lo scopo di estendere
gli effetti sostanziali del giudicato al terzo, cui il rapporto sostanziale controverso sia
comune, ovvero sia connesso per il titolo o per l'oggetto con l'altro rapporto in cui il
medesimo si trovi con l'attore o con il convenuto, pertanto, il chiamato in causa è
sempre legittimato a proporre impugnazione incidentale adesiva a quella principale od
incidentale della parte (attore o convenuto), per evitare che il giudicato sul detto
rapporto possa produrre effetti pregiudizievoli su quello ad esso connesso, intercorrente
tra lui e la parte al cui gravame aderisce; egli può, invece, impugnare la sentenza, in via
principale od in via incidentale autonoma, nella sola ipotesi in cui sia risultato in tutto od
in parte soccombente, rispetto alle proprie conclusioni, formulate in modo autonomo,
ovvero a pretese fatte valere direttamente contro di lui. (Nella specie, nel corso di un
giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, chiesto ed ottenuto da una società, il
giudice ordinò la chiamata in causa dell'amministratore unico della stessa. Il tribunale
accolse l'opposizione e condannò la società e l'amministratore, in persona, a rimborsare
all'ingiunto le spese processuali. La sentenza fu confermata in grado d'appello, con
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decisione impugnata per cassazione dal solo amministratore, nella sua qualità di
chiamato in causa per ordine del giudice. In applicazione del principio di diritto di cui
alla massima, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso, affermando che la sola
società sarebbe stata legittimata a proporlo, mentre l'amministratore avrebbe potuto
proporre ricorso incidentale adesivo a quello principale nella sola ipotesi in cui la società
lo avesse formulato, oppure avrebbe potuto proporre anche ricorso principale, ma solo
nei confronti di quella parte della statuizione con la quale era stato condannato, in
solido con la società, a rimborsare all'ingiunto le spese del giudizio d'appello).
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 8473 del 2 agosto 1995)

Cass. civ. n. 7083/1995


L'intervento in causa iussu iudicis, ex art. 107 c.p.c., può essere disposto dal giudice in
qualsiasi momento, ma solo nel giudizio di primo grado e non anche nel giudizio di
appello. Detto intervento — che va disposto quando il giudice ritiene opportuno che il
processo si svolga in confronto di un terzo, al quale la causa è comune — si ricollega
ad una facoltà del giudice (di primo grado), il cui esercizio (in senso positivo o in senso
negativo) coinvolge valutazioni assolutamente discrezionali, non sindacabili in sede di
legittimità.
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 7083 del 22 giugno 1995)

Cass. civ. n. 5082/1995


L'intervento iussu iudicis, rispondendo ad un interesse di ordine pubblico che trascende
quello delle stesse parti originarie o dei terzi, e cioè all'interesse superiore della giustizia
ad attuare l'economia dei giudizi e ad evitare i rischi di giudicati contraddittori, può
essere ritualmente disposto, sulla base di una valutazione che costituisce espressione
di un potere discrezionale riservato al giudice del primo grado, il cui esercizio non è
suscettibile di sindacato nelle fasi successive, né, in particolare, in sede di legittimità,
anche nel caso in cui, di fronte a difese del convenuto dirette a far accertare la propria
estraneità al rapporto controverso, il giudice ritenga di dover indurre od autorizzare chi
agisce ad estendere la propria domanda nei confronti del terzo indicato come titolare
del rapporto medesimo.
(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 5082 del 10 maggio 1995)

Cass. civ. n. 459/1982


Il terzo chiamato in causa iussu iudicis — sia quando l'ordine del giudice si ricollega a
ragioni di semplice opportunità, sia, ed a maggior ragione, quando esso è dettato
dall'esigenza di assicurare l'integrità del contraddittorio — assume nel processo una
posizione autonoma, tale da consentirgli di proporre domande e difese senza riguardo
allo stato della lite, salvo il limite generale della proposizione delle stesse con l'atto di
costituzione in giudizio.
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 459 del 23 gennaio 1982)

Cass. civ. n. 4247/1978

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L'interveniente in causa iussu iudicis acquista la qualità di parte indipendentemente


dalla circostanza che egli proponga domande, o che queste siano proposte nei suoi
confronti, e, pertanto, mentre può impugnare la sentenza, in via principale od
incidentale autonoma, solo se risulti in tutto od in parte soccombente rispetto a proprie
autonome conclusioni, è in ogni caso legittimato a proporre impugnazione incidentale
adesiva all'impugnazione principale od incidentale della parte con la quale abbia quella
comunanza di interesse che ha costituito il presupposto della sua chiamata in causa.
(Cassazione civile, Sez. Unite, sentenza n. 4247 del 21 settembre 1978)

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