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IL PROCESSO

IL PROCESSO È L’ATTIVITÀ NELLA QUALE, IN CONCRETO, SI SVOLGE LA FUNZIONE GIURISDIZIONALE.

- La CARATTERISTICA eziologica del processo sarebbe quella di svolgersi nel CONTRADDITTORIO


DELLE PARTI, ma anche nel contraddittorio TRA LE PARTI ED IL GIUDICE.

- Il processo SI COMPIE con una SERIE COORDINATA DI ATTI che si svolgono nel tempo e che sono
funzionali alla formazione dell’atto finale, che, nel processo civile, è rappresentato dalla
SENTENZA: serie concatenata di atti che prende il nome di PROCEDIMENTO.

- Il processo che studiamo è un PROCESSO nel quale hanno GRANDE SPAZIO LE PARTI, le quali
compiono atti che sono indispensabili per il funzionamento del processo.
Il nostro sistema prende il nome di DISPOSITIVO ATTENUATO, ma è un sistema che, affinché il
potere giurisdizionale si attivi, è necessario un atto di impulso, che è rappresentato dalla
DOMANDA DELLA PARTE /DOMANDA GIUDIZIALE.

Nel suo insieme, allora, il CONTENUTO DI QUESTA ATTIVITÀ nella quale si concretizza il processo civile, si
può descrivere come:
a) una SERIE DI ATTI:
o che ha il suo inizio con la domanda di parte;
o e la sua fine con la sentenza del giudice (e cioè il provvedimento con il quale l’autorità
giudiziaria risponde alla domanda che gli è stata formulata).
b) Tra questo atto iniziale (che è rappresentato dalla domanda) e l’atto finale (che è rappresentato
dalla sentenza) ci stanno tutta una SERIE DI ATTI ED ATTIVITÀ INTERMEDIE che però sono tutti
funzionali a rendere possibile la pronuncia dell’atto finale.

Uno dei problemi che pone l’interpretazione della clausola del giusto processo, contenuto nell’art. 111
Cost. (laddove si dice che il processo è regolato dalla legge), è quello di capire entro quali limiti la legge
deve disciplinare tutte queste attività: TENDENZIALMENTE, TUTTE QUESTE ATTIVITÀ SONO E DEVONO
ESSERE DISCIPLINATE DALLA LEGGE.

Nel processo vengono ad interagire almeno 3 SOGGETTI, che sono:


- l’ATTORE;
- il CONVENUTO;
- ed il GIUDICE.

Per lungo tempo, la dottrina ha studiato quello che veniva definito il RAPPORTO GIURIDICO
PROCESSUALE, cioè ricostruiva la relazione tra i soggetti che prendono parte al processo in termini di
rapporto giuridico processuale che avrebbe avuto una sua autonomia, rispetto al rapporto giuridico
sostanziale, che rappresenta l’oggetto del processo.
Questo modo di inquadrare le tematiche processualistiche è oggi superato dalla dottrina che ha dimesso
l’utilizzo di questa categoria, che è bene però conoscere perché per molto tempo ha condizionato anche il
modo di vedere dei c.d. presupposti processuali (sono le circostanze considerate necessarie affinché
sorga, per il giudice adito, il dovere di decidere il merito della causa).
• I PRESUPPOSTI PROCESSUALI
Ogni processo ha una sua FASE PRELIMINARE, nella quale IL GIUDICE DEVE VERIFICARE L’ESISTENZA DEI
PRESUPPOSTI PROCESSUALI: cioè, verificare che, nel caso di specie, siano presenti tutte quelle
circostanze, che sono considerate necessarie, affinché sorga, per il giudice adito, il dovere di decidere il
merito della causa.

Se si riscontra una CARENZA DI UN PRESUPPOSTO PROCESSUALE, il processo si deve chiudere con una
SENTENZA DI RITO, che ha un oggetto diverso rispetto alla sentenza di merito.
Anche la sentenza di rito rappresenta un provvedimento decisorio, il quale ha ad oggetto l’accertamento
del dovere per il giudice, al quale è stata formulata la domanda, di non esercitare il potere di dire se la
domanda è fondata oppure no (decisione del giudice circa l’esistenza del suo potere/dovere si decidere
nel merito).
Quindi la sentenza di rito contiene un accertamento, che non è un accertamento sul rapporto giuridico
sostanziale fatto valere (che rappresenta il merito), ma è un accertamento che guarda all’interno del
processo, e che consiste nell’accertare che questo processo non può proseguire, fino a quello che
sarebbe lo sbocco naturare del processo (cioè, fino alla soluzione della lite tra le parti).

Quando il giudice decide esplicitamente il merito di una causa (quindi, si pronuncia sul rapporto giuridico
sostanziale oggetto della lite), questa decisione implica un accertamento del fatto che si sono i
presupposti per decidere nel merito.
à Quindi, in ogni sentenza di merito è implicita la decisione di rito.
Quindi: quando il giudice decide esplicitamente il merito di una causa, vuol dire che, implicitamente, ha
controllato l’esistenza del suo potere/dovere di pronunciarsi nel merito.
Se non gli è stato chiesto, non deve espressamene dire che ci sono i presupposti per decidere: deve
decidere nel merito.
Nel momento in cui decide nel merito, è implicita, però, la decisione circa l’esistenza del suo
potere/dovere di decidere.

Però, questa decisione, in alcuni casi, può esplicitarsi in un momento precedente a quello relativo alla
decisione del merito, andando a costituire un autonomo provvedimento del giudice.
(= è un fenomeno che incontreremo quando studieremo le sentenze non definitive, su questioni
preliminari di rito. In questi casi il giudice è obbligato ad esplicitamente decidere della questione, che sarà
una questione solo di diritto, e che darà luogo ad una sentenza non definitiva.
Se si tratta di una sentenza non definitiva è perché il giudice avrà accertato la presenza del presupposto
processuale, tanto è vero che il processo civile deve andare avanti affinché il giudice possa decidere anche
il merito della causa).

I PRESUPPOSTI PROCESSUALI SONO 6 e sono:


1. La GIURISDIZIONE;
2. La COMPETENZA;
3. La MANCANZA DI UN PRECEDENTE GIUDICATO: su una stessa controversia non può pronunciarsi
più di un giudice (cioè vale il principio del ne bis in idem).
Quindi se su una controversia c’è già una pronuncia passata in giudicato, il processo civile che
venisse eventualmente radicato, si deve chiudere perché c’è già un giudicato che regola la
fattispecie.
4. La CAPACITÀ PROCESSUALE;
5. L’ASSENZA DI LITISPENDENZA: pendenza della stessa causa davanti allo stesso giudice o davanti a
giudici diversi appartenenti al nostro ordinamento giuridico;
6. L’ASSENZA DI CONVENZIONE ARBITRALE: l’arbitro è uno strumento alternativo di risoluzione della
lite; è una forma di giustizia privata, con la quale le parti scelgono di devolvere la loro controversia
davanti ad un collegio di arbitri o un giudice arbitro.
Per esempio: in un contratto si stipula la convenzione arbitrale: poniamo che le parti di questo
contratto non rispettino questa clausola, ed una di esse si rivolga direttamente al giudice: se c’è una
convenzione di arbitrato, il giudice non dovrebbe poter giudicare.

Tra questi presupposti processuali, secondo alcuni autori, rientrano anche le CONDIZIONI DELL’AZIONE,
cioè quei requisiti che l’azione deve possedere affinché non si debba parlare di carenza di azione e che
sono: l’interesse ad agire e la legittimazione ad agire.

à La prof preferisce tenere DISTINTE LE DUE CATEGORIE, cioè rimanere fedele all’idea che:
- le condizioni dell’azione si contrappongono e rappresentano una categoria a se stante rispetto ai
presupposti processuali;
- perché giacciono ad una disciplina diversa: nel senso che le condizioni dell’azione sussistono nel
momento della decisione e quindi POSSONO ANCHE SOPRAGGIUNGERE IN UN MOMENTO
SUCCESSIVO.

La mancanza di un presupposto processuale determina per il GIUDICE IL DOVERE DI NON DECIDERE IL


MERITO.
La sentenza che viene emessa in assenza dei presupposti processuali, non è una sentenza inesistente, ma è
una SENTENZA INVALIDA, cioè una sentenza che può essere tolta di mezzo con l’utilizzo dei mezzi di
impugnazione.

La categoria dei presupposti processuali non è una categoria che si ritrova ne codice, ma è una categoria di
origine dottrinale.

Oggi, l’esame dei presupposti processuali non deve più essere necessariamente unitario, perché la
funzione di ciascuno di questi presupposti è una funzione diversa e diversa è anche la disciplina.

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