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GIURAMENTO COME MEZZO DI PROVA PRECLUSO ALL’INTERVENIENTE ADESIVO

In che termini il giuramento è un mezzo di prova che una volta che si è spiegato finisce di
essere indirettamente dispositivo del diritto cui i fatti su cui si giura inerisce?
La disciplina del giuramento ci viene offerta dal Codice civile. L’art. 2736 ci dice che esistono due
specie di giuramento. A noi interessa il giuramento decisorio.

Art. 2736 c.c. - specie


Il giuramento è di due specie:
1) è decisorio quello che una parte deferisce all'altra per farne dipendere la decisione
totale o parziale della causa;

Quindi, un soggetto/una parte del processo deferisce all’altra parte di giurare su un fatto/sulla
verità di un fatto, giuramento prestato il quale si ha la decisione totale o parziale della causa. Il solo
effetto del giuramento su quel determinato fatto comporta la decisione totale o parziale della
causa. Il giuramento è una dichiarazione di fatti a sé favorevoli e sfavorevoli alla controparte.
Il giuramento è definito un mezzo di prova legale, cioè un mezzo in riferimento al quale il
legislatore predetermina l’efficacia probatorio del mezzo di prova. Si evince dall’art. 2736 c.c.
l’efficacia attribuita alla dichiarazione di giuramento quella di far dipendere la decisione totale o
parziale della causa, nel senso che nel momento in cui una parte deferisce all’altra il giuramento il
giudie non ha nessuna discrezionalità di prudente apprezzamento, bensì è vincolato a ritenere per
vero il fatto giurato. La legge predetermina, quindi, che a seguito della dichiarazione di giuramento
il fatto dichiarato venga considerato vero.
È un’eccezione alla regola, perché l’art. 116 c.p.c. (valutazione delle prove) ci dice che il giudice
deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo le eccezioni previste dalla
legge. la regola è per cui dedotto un mezzo di prova e assunto quel mezzo di prova nel processo il
giudice valuta secondo il suo prudente apprezzamento le risultanze di quel mezzo di prova, salve
le eccezioni previste dalla legge in cui è la legge stessa a dirci che invece le risultanze del mezzo
probatorio sono sottratte al libero e prudente apprezzamento del giudice perché è la legge che
predetermina quale efficacia attribuire a quella risultanza probatoria. Il giuramento è un'eccezione
che rientra in quella eccettuativa “salvo che la legge disponga diversamente”.
Nel momento in cui una parte deferisce all’altra consegna, in fondo, l’esito della lite all’altra parte,
perché se l’altra parte giura un fatto a sé favorevole e sfavorevole a chi gliel’ha deferito la causa è
decisa totalmente o parzialmente a favore di chi la dichiarazione di giuramento ha rilasciato.

La dottrina critica l’esistenza in un ordinamento giuridicamente evoluto di prove legali, perché dice
che in realtà tutti i mezzi di prova dovrebbero essere sottoposti al libero e prudente apprezzamento
del giudice. Quando il legislatore ci dice che la regola è quella del libero prudente apprezzamento
del giudice, salvo che la legge non stabilisca diversamente ci sta dicendo che ci sono dei casi in
cui ritiene che egli, il legislatore, è nella condizione migliore per valutare che efficacia attribuire a
determinati mezzi di prova.
Questi mezzi di prova, quale il giuramento, affondano la loro qualifica di prove legali nella storia. La
giustificazione di considerare il giuramento un mezzo di prova legale, cioè una volta giurato quel
fatto è da considerarsi vero e non è ammessa la prova contraria, risiedeva sul fatto che il
giuramento era qualcosa di sacrale che aveva delle conseguenze anche religiose e morali.
Ovviamente in un ordinamento giuridicamente evoluto in cui questa sacralità è venuta meno
trovano anche meno ragion d’essere questi mezzi di prova, tra cui il giuramento.

Perché diciamo che l'interveniente adesivo sarebbe sottratto dal potere di deferire il giuramento
all'altra parte circa la verità di un determinato fatto?
Nel momento in cui la parte deferisce all'altra il giuramento si mette mano e piedi in mano alla
controparte, perché se giura l'efficacia di quella prova è predeterminata e il fatto sul quale si chiede
giuramento è tale da comportare la decisione totale parziale della causa. Quindi intuiamo perché
diciamo che il giuramento è un mezzo di prova che indirettamente finisce per disporre del diritto,
perché nel momento in cui quei fatti vengono ad esempio dichiarati per veri si ha l'automatica
decisione della causa in quella direzione arrivando a dire se il diritto azionato esiste o non esiste e
questo lo può fare solo il legittimato ordinario, cioè colui che si afferma titolare del diritto del quale
si discute nel processo non potendo essere attribuito questo potere ad un altro soggetto che non
sia colui che si afferma titolare del diritto azionato.

RINUNCIA AGLI ATTI DI CAUSA

L’interveniente adesivo, dato che è accessorio, non ha nemmeno un ruolo nel momento in cui colui
al quale si affianca decide di rinunciare agli atti di causa.
Qui dobbiamo aprire un’altra parentesi che ci consente di esplorare un altro tema che è quello
della rinuncia agli atti di causa/di giudizio.

Nel primo semestre abbiamo parlato del principio di impulso di parte del processo, quale corollario
del principio dispositivo della domanda. Il processo, per giungere al suo esito fisiologico ossia
l'emissione di una pronuncia auspicabilmente nel merito sulla domanda giudiziale, deve vedere la
parte che ha attivato quel processo porre in essere tutte quelle attività che l'ordinamento richiede
perché il processo continua a rimanere in moto.
Abbiamo parlato, invece, degli epiloghi anomali del processo quelli in cui il processo non giunge al
suo esito fisiologico, ossia l'emissione di un provvedimento decisorio nel merito, ma si estingue.
Questa estinzione del processo può avvenire o per inattività delle parti (principio di impulso di parte
del processo) oppure può discendere dalla rinuncia agli atti del giudizio.

Art. 306 c.p.c. – Rinuncia agli atti del giudizio

1. Il processo si estingue per rinuncia agli atti del giudizio quando questa è accettata dalle parti
costituite che potrebbero aver interesse alla prosecuzione. L'accettazione non è efficace se
contiene riserve o condizioni.
2. Le dichiarazioni di rinuncia e di accettazione sono fatte dalle parti o da loro procuratori speciali,
verbalmente all'udienza o con atti sottoscritti e notificati alle altre parti.
3. Il giudice, se la rinuncia e l'accettazione sono regolari, dichiara l'estinzione del processo.
4. Il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro. La
liquidazione delle spese è fatta dal giudice istruttore con ordinanza non impugnabile.

Quando si rinuncia agli atti si rinuncia a quel contenitore processuale, non si rinuncia, invece, al
contenuto. Questo è reso evidente dall’art 310, comma 1, c.p.c. che parla degli effetti
dell’estinzione del processo. Art. 310, comma 1, c.p.c. dice che “L'estinzione del processo non
estingue l'azione”.
Questo primo comma ci prova che la rinuncia agli atti del giudizio è una rinuncia al contenitore
processuale, ma non una rinuncia al diritto e non una rinuncia al diritto di azionare il diritto. Questo
significa che posso rinunciare al contenitore processuale al quale ho dato avvio, ma questo non mi
preclude di avviare un successivo processo azionando il medesimo diritto azionato
precedentemente nel processo, il quale si ha fatto estinguere.

Il comma 1 dell’art. 306 ci indica l’ipotesi in cui una parte rinuncia agli atti del giudizio e perché si
perfezioni la rinuncia agli atti quale fenomeno/causa dell’estinzione del processo è necessario che
ci sia l’accettazione di questa rinuncia ad opera della controparte quando costei ha interesse alla
prosecuzione. Quindi, se la rinuncia agli atti è stata avanzata dall'attore, in concreto, significa che
perché si perfezioni la fattispecie, rinuncia agli atti, che provoca l'estinzione del processo ci deve
essere l'accettazione del convenuto, a patto che questi abbia interesse alla prosecuzione del
processo.

Quando il convenuto ha interesse alla prosecuzione del processo e quindi si richiede l’accettazione
della rinuncia fatta dall’attore?
In primis si parla di parte costituita, deve essere costituito perché si richieda la sua accettazione
cioè non quando è contumace, non si è costituito in giudizio, ma non è sufficiente che si sia che il
convenuto sia costituito è necessario avere interesse alla prosecuzione del processo.
Il convenuto potrebbe avere interesse alla prosecuzione del processo perché vuole che il processo
giunga al suo esito fisiologico, ossia l’emissione di un provvedimento decisorio di merito, perché
ritiene che la domanda dell'attore sia infondata e quindi vuole proseguire per ottenere il rigetto nel
merito della domanda dell'attore e questa sentenza di merito avrà la vocazione a passare in
giudicato formale e quindi ad applicare l'effetto di giudicato sostanziale che vincolerà entrambi e
che impedirà alla controparte attrice convenire nuovamente in giudizio il convenuto per far valere
nel medesimo diritto.

Nel momento in cui l'attore abbia agito in giudizio e il convenuto si sia costituito e abbia per
esempio sollevato solo eccezioni di merito, ad es. eccezioni di prescrizione del diritto di credito,
vuole dire che mira ad una sentenza di rigetto nel merito della domanda dell'attore per avvenuta
prescrizione del diritto è interessato alla prosecuzione del processo e allora sarà richiesto di
accettare l'eventuale rinuncia agli atti che l'attore spieghi.
Se, invece, il convenuto si è costituito in giudizio, ma ha sollevato solo eccezioni di rito, ad
esempio un'eccezione di difetto di legittimazione ad agire dell’attore e non ha sollevato nessuna
altra eccezione e nessun’altra tipologia di difesa che si impingua nel merito, vuol dire che ambisce
ad un rigetto in rito della domanda dell'attore. Allora lì si dice che non avrebbe interesse alla
prosecuzione del processo perché il convenuto è meramente interessato ad un rigetto in rito della
domanda dell'attore. In questo caso si ritiene che se l'attore rinuncia agli atti del giudizio non ci sia
necessità da parte del convenuto costituito di accettare quella rinuncia, perché non ha interesse
alla prosecuzione del processo.
Così si ritiene anche quando il convenuto spieghi una difesa che è in prima battuta in rito e poi nel
merito, cioè nel nostro caso il convenuto costituitosi eccepisce il difetto di legittimazione ad agire e
in seconda battuta solleva l'eccezione di prescrizione. Anche in questo caso, si dice, secondo la
giurisprudenza, che non ci sarebbe interesse alla prosecuzione da parte del convenuto perché in
fondo ha dimostrato che si accontenterebbe di un rigetto in rito nel caso in cui il giudice decida di
accogliere l'eccezione di difetto di legittimazione ad agire dell'attore.

Art. 306, comma 1, seconda parte, c.p.c.


L'accettazione non è efficace se contiene riserve o condizioni.
L’accettazione non è efficace se contiene riserve o condizioni. Quindi, il convenuto costituitosi non
può accettare la rinuncia mettendo riserve o condizioni.
Il convenuto costituitosi che ha messo un'eccezione in merito non può accettare la rinuncia
dell’attore ad una condizione, ad esempio che l’attore non eserciti più questo diritto che ha fatto
valere in questo processo in un successivo contenitore processuale è una condizione processuale

Art. 306, secondo comma, c.p.c.


Le dichiarazioni di rinuncia e di accettazione sono fatte dalle parti o da loro procuratori speciali,
verbalmente all'udienza o con atti sottoscritti e notificati alle altre parti.
È un atto personalissimo della parte quello di rinunciare agli atti o di accettare la rinuncia agli atti.

Art. 306, quarto comma, c.p.c.


Il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro. La
liquidazione delle spese è fatta dal giudice istruttore con ordinanza non impugnabile.
Chi rinuncia agli atti ad un certo punto si disinteressa alla prosecuzione del processo provocando
l’estinzione del processo ed è andato a disturbare la controparte senza poi dimostrando di avere
un reale interesse sotteso all’azione; quindi, deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso
accordo tra di loro.

Si dice che nel momento in cui la parte, al quale l’interveniente adesivo si affianca, rinuncia agli atti
del processo si ritiene che l'interveniente adesivo non abbia interesse alla prosecuzione del
processo e quindi non sia tenuto ad accettare quella rinuncia proprio in virtù del suo ruolo
accessorio rispetto alla parte alla quale si affianca.

Ci si chiedeva se instauratosi un processo bilaterale in cui un terzo interviene adesivamente a


fianco di una delle parti, nel nostro esempio B creditore a fianco del quale si pone l'interveniente
adesivo risulti soccombente, se l’interveniente adesivo ha un potere di impugnazione autonoma di
quella sentenza rispetto all'ovvio potere di impugnare la sentenza da parte di colui a fianco al
quale espone l'intervento adesivo.
La giurisprudenza riteneva che in verità non avesse un potere di impugnazione autonomo
accostando la figura dell’interveniente adesivo alla figura del pubblico ministero che interviene
nelle cause civili. Il pubblico ministero in alcune cause è obbligato a intervenire. La legge non
attribuisce al pubblico ministero un potere di autonomamente impugnare la sentenza emessa nel
processo in cui interviene, salvo nei casi specifici in cui la legge stessa gli attribuisce questo potere
di intervento. Così anche per l’interveniente adesivo in un accostamento in realtà del tutto
improprio tra la figura dell’interveniente adesivo e il pubblico ministero che interviene, perché in
sono figure a fatto differenti.

Il problema pare essere superato dalla giurisprudenza con una sentenza delle Sezione Unite del
2015, che trattava del tema della chiamata in causa. Da questa sentenza si può evincere che oggi
è ammissibile il potere autonomo di impugnazione dell'interveniente adesivo.

Quando un soggetto da un punto di vista temporale può intervenire nel processo?


L’articolo 268 del codice di procedura civile nel tenore della disposizione pre-riforma Cartabia il
comma uno diceva “l'intervento può aver luogo sino a che non vengano precisate le conclusioni”.
Abbiamo detto che la precisazione delle conclusioni si ha quando il giudice rimette la causa in
decisione e fissa la cosiddetta udienza di precisazione delle conclusioni di cui noi abbiamo parlato
quando abbiamo trattato dei limiti cronologici del giudicato e abbiamo detto che il referente
temporale per comprendere fino a che punto il giudicato copre con la sua efficacia il referente
temporale era quello della precisazione delle conclusioni. Dopo la precisazione delle conclusioni il
processo diventa impermeabile rispetto ad eventuali fatti accaduti dopo il momento di precisazione
delle conclusioni del quale il giudice non può tenere conto e le parti non possono più effettuare
allegazioni di quei fatti dopo il momento di precisazione delle conclusioni.
Quindi, dall'udienza di precisazione delle conclusioni intercorrevano dei termini per depositare le
cosiddette memorie conclusionali con cui in pratica le parti riassumevano al giudice in ultima
battuta tutto quello che avevano detto e tutto quello sul quale volevano insistere al fine della
decisione.
Con la riforma Cartabia, invece, questo primo comma cambia dicendo che “l’intervento può avere
luogo sino al momento in cui il giudice fissa l'udienza di rimessione della causa in decisione”.
Se prima si diceva che dall'udienza di precisazione delle conclusioni decorrono dei termini per
depositare le memorie conclusive adesso, invece, la riforma Cartabia vuole che quelle memorie
vengano depositate in termini che si calcolano artrosi prima di questa udienza di rimessione della
causa in decisione.
Quindi il referente temporale del giudicato ai fini della individuazione dei limiti cronologici del
giudicato post-riforma Cartabia non è l’udienza di precisazione delle conclusioni, ma l'udienza di
rimessione della causa in decisione, dopo quel referente temporale si dice che i fatti sono
sopravvenuti rispetto al giudicato.

Fino a quel momento uno può intervenire, però c'è un però che è dato dal comma 2, “il terzo
interveniente non può compiere atti che al momento dell'intervento non sono più consentiti ad
alcuna altra parte, salvo che comparisce volontariamente per l'integrazione necessaria del
contraddittorio”. Quindi, il terzo può intervenire nel processo fino all'udienza di rimessione della
causa in decisione, però quando interviene deve accettare il processo nello stato in cui è nel
momento in cui interviene. Quindi, potrà svolgere solo quelle attività che sono ancora concesse
alle altre parti quelle per le quali sono maturate le preclusioni non puoi fare più nulla.
Questo è un vulnus, perché l’interveniente adesivo si affianca ad una delle parti per sostenerne le
ragioni, non è un intervento innovativo è un intervento. Sostiene le ragioni di un altro soggetto non
deve dimostrare lui un diritto.
Le cose si fanno più complesse se uno interviene principalmente o se uno interviene litisconsortile.
Ad esempio, se uno interviene principalmente affermandosi proprietario di questo bene è diritto
incompatibile di proprietà su quel bene. Il comma 2, però, dice che posso intervenire fino al
momento dell'udienza di remissione della causa in decisione e dice anche che se interviene deve
accettare il processo nello stato in si trova e gli sono precluse le attività che sono preclusi alle altre
parti in quel momento.

È una contraddizione quindi tra il primo e il secondo comma, perché se io intervengo


litisconsortilmente o principalmente e lo faccio con un intervento innovativo per far valere il diritto
autonomo incompatibile di proprietà che senso ha che io intervenga affermandomi titolari di questo
diritto che non posso provare magari in quel momento del processo perché sono scaduti i termini
per le deduzioni istruttorie perché per le altre parti sono scaduti i termini per le deduzioni?
L'avvocato sveglio, quindi, deve verificare a che punto del processo ci si trova, perché forse non
potrà far valere i diritti a causa di scadenza dei termini per le deduzioni e sarà comunque vincolato
dal giudicato, ergo meglio stare fuori dal processo e far valere il diritto in un autonomo processo.
Peraltro, il giudicato che vincola A e B mai vincolerà C a causa della bilateralizzazione dei diritti
assoluti. Quindi, l'accertamento del diritto di proprietà nel processo tra A e B vincolerà solamente
quei due, ma non avrà nessuna efficacia vincolante sul diritto di proprietà di C che C afferma come
essere di sua titolarità.

L'interpretazione costituzionalmente orientata interpreta l’art. 268 comma due in modo


ammettendo che chi interviene principalmente e chi interviene litisconsortilmente possa compiere
atti che sono preclusi alle altre parti nel momento in cui si interviene, perché fa valere un intervento
innovativo e avrà diritto di poter dimostrare l'esistenza di quel diritto e di non subire le preclusioni
che altri abbiano subito.
Però, su questo terreno la giurisprudenza non ci ha sentito molto.

Tutto quello diventa ancora più pericoloso per chi sta fuori e non ha l'avvocato accorto che allerta
al proprio cliente nel dire di non intervenire in un processo che è già in uno stato avanzato. Questo
consiglio da parte dell’avvocato diventa ancora più decisivo alla luce del nuovo rito ordinario di
cognizione in cui questo scadenziario di termini preclusivi diventa ancora più stringenti ancora più
anticipato rispetto a quello del rito ordinario pre-riforma Cartabia, perché addirittura questi termini
preclusivi per la deduzione di mezzi di prova maturano prima rispetto a quello che accadeva.
Quindi, o si interviene proprio nelle primissime battute del processo e sennò è meglio che si inizi
un processo autonomo non inserendosi in un processo nel quale ci si vede preclusi dalla
possibilità di svolgere attività difensive.

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