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Lezione n.

20
23/11/2022
Sbobinatori: Iris Giordan, Carlotta Tollin, Sara Zacco, Laura Bizzotto
Controllore: Silvia Silvetti

Il prof.re ricorda:
 di aver caricato il file del c.p.p aggiornato su moodle
 il convegno organizzato da ELSA (venerdì 25/11), per la cui partecipazione è necessaria l’iscrizione
tramite il form che si trova su Moodle
 la data di simulazione del quiz online, per il quale non sarà necessario andare in aula ma si potrà
svolgere tranquillamente da casa: si terrà o lunedì 19 o martedì 20 alle h. 17:00 (da definire).
Per l’esame il quiz si terrà nelle aule informatiche che si trovano nel dipartimento di Matematica: nelle liste
degli appelli ci sarà un doppia linea per lo scritto per l’orale: occorre iscriversi in entrambe. I risultati dello
scritto arriveranno in fretta: non ci sarà un voto ma un criterio di orientamento. Il quiz si terrà al mattino, gli
orali al pomeriggio.
L’orale è obbligatorio.
Il voto del quiz non è vincolante.

La testimonianza nel dibattimento


(esame del testimone)

Allora a questo punto riprendiamo il discorso sulla testimonianza in dibattimento, in particolare le regole
per esaminare il testimone. Abbiamo visto che c’è l’esame incrociato che è la regola tipica del modello
accusatorio, abbiamo visto come si svolge, abbiamo visto che ci sono delle forme più protette di esame per
i dichiaranti in posizione di vulnerabilità e abbiamo visto che esiste anche l’esame cd. a distanza fatto
tramite la videoconferenza, ma poco usato, anche se la riforma ha tentato di potenziarlo prevedendolo
anche su accordo delle parti (sarà da vedere però poi questo accordo nei vari processi ci possa essere).

A questo punto ci occupiamo, continuando a trattare l’esame del testimone, di un istituto che è molto
importante sia dal punto di vista teorico che dal punto di vista pratico ed è un’evenienza che capita tutto
sommato spesso ed era stata citata da qualcuno di voi la scorsa settimana parlando delle trasmissioni
televisive stile “Un giorno in pretura” in cui magari si fanno vedere magari pezzi di processo e in particolare
esami di testimoni e succede un qualcosa che non dovrebbe succedere perché tendenzialmente queste
persone che parlano, questi testimoni, sono persone che le parti hanno già sentito nel corso delle indagini
quindi di sa grossomodo (altrimenti non verrebbero citati) questi dichiaranti cosa vengono a dire nel
dibattimento. Sapete che il sistema si basa sulla separazione delle fasi e quello che è stato detto prima nel
corso delle indagini non vale come prova perché manca il contradditorio, però ha una funzione importante
per le parti che chiamano questi dichiaranti perché le parti, sapendo quello che il dichiarante ha già detto a
loro senza il contradditorio nel corso delle indagini, sanno poi cosa dovranno chiedere a questi testimoni
nel corso del dibattimento, cioè quello che si fa nel corso delle indagini ha la funzione di guidare poi l’esame
dibattimentale.
Cosa può succedere? Può succedere che il testimone parla, e rende delle dichiarazioni diverse da quelle che
aveva reso nel corso delle indagini. È un’evenienza che è già venuta fuori qualche volta e oggi vediamo
l’istituto com’è disciplinato nel codice cioè: il testimone che un po’ cambia la propria versione dei fatti.
Chiaramente una cosa del genere è spiazzante per chi ha chiamato questo testimone. Allora cosa succede
in questo caso? In questo caso l’istituto è previsto dall’art. 500 cpp e a questo proposito si parla di
contestazioni nell’esame del testimone. Qual è la sequenza in questo caso e cosa succede? Al testimone
vengono fatte delle domande, bisogna ascoltare le risposte, se da queste risposte emerge che lui dice cose
diverse da quelle dette in precedenza si fa la cosiddetta contestazione, e in cosa consiste questa
contestazione? Consiste nel fatto che si tira fuori il verbale dell’atto di indagini e si legge di fronte al
testimone la parte di dichiarazione che è difforme da quella che lui ha appena reso in dibattimento.
Ecco vedete l’art 500 comma 1 “le parti per contestare il contenuto della deposizione possono servirsi delle
dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del PM e (cosa importante) tale
facoltà possono esercitarsi solo se sui fatti o sulle circostanze da contestare il testimone abbia già deposto”.
Quindi prima si fanno le domande in dibattimento, si aspetta la riposta e dopodiché se emerge la
contraddizione si fa la contestazione cioè si legge non tutto il verbale (perché esso contiene tutte le
dichiarazioni che ha reso nel corso delle indagini) ma solo la parte di dichiarazioni che contrasta con quelle
che lui ha appena reso nel dibattimento. Perché secondo voi prima si devono fare le domande, aspettare le
risposte e poi semmai fare le contestazioni? Perché se no potrebbe essere una tecnica scorretta e vietata in
un sistema accusatorio, in cui le parti potrebbero impostare la domanda già partendo dal verbale
precedente. A volte qualcuno ci prova ma il giudice, se è attento, ferma subito dicendo che non è questa la
sequenza giusta: si aspetta che prima la persona risponda e se emerge la difformità si fa la contestazione.

La cosa importante da capire è: queste dichiarazioni lette per fare la contestazione che valore hanno poi?
Queste sono lette e quindi il giudice le ascolta evidentemente. La risposta la troviamo nel comma 2: “le
dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del testimone”.
Cosa significa “valutazione ai fini della credibilità”? Come lo interpretate voi questo riferimento al giudizio
di credibilità? Qualcuno potrebbe pensare di attribuire valore probatorio a queste dichiarazioni precedenti,
se però questa fosse l’interpretazione avremmo, a pensarci bene, qualche cosa che sarebbe in contrasto
con i principi: principio di separazione delle fasi, principio del contradditorio ecc. perché queste
dichiarazioni precedenti non sono state formate nel contradditorio ma sono state raccolte nelle indagini da
una sola delle parti.
Tra l’altro (dovreste saperlo) qui si parla del fascicolo del PM.
Se è un testimone chiamato dalla difesa, mettiamo caso che questo testimone chiamato dalla difesa era già
stato sentito dal difensore durante le indagini, vi ricordate le indagini difensive? Si possono fare le
contestazioni in questo caso? Cioè il difensore può recuperare queste precedenti dichiarazioni e
contestarle? Secondo voi? Si fa il verbale dell’atto di indagine e poi dove finisce (questo verbale) nel
dibattimento? In quale fascicolo? All’epoca delle indagini si chiama fascicolo delle indagini, quando però
poi si separano i fascicoli per il dibattimento, quindi da un parte si crea il fascicolo per il dibattimento, l’altro
prende il nome di fascicolo del PM (il manuale, giusto per complicare, lo chiama anche fascicolo delle
parti). Sono nomi che sono utilizzati proprio nei processi, così. Quindi durante le indagini è il fascicolo delle
indagini, durante il dibattimento c’è la separazione, fascicolo per il dibattimento (che si forma poco a poco),
tutto il resto finisce in questo fascicolo del PM (o delle parti, secondo il manuale).
E in questo fascicolo ci sono anche gli eventuali atti d’indagine difensiva, finiscono tutti lì. Era solo per dirvi
che non è perché si chiama “del PM” che ci sono solo le cose del PM, ci sono tutti gli atti d’indagine.
Allora, cosa significa giudizio, valutazione ai fini della credibilità? Il sistema, i principi, ci portano a dire che
questa valutazione ai fini della credibilità non è un’attribuzione, non implica attribuire valore probatorio agli
atti resi durante le indagini, e usati per le contestazioni.
Il valore che viene attribuito a queste dichiarazioni, che vengono contestate, cioè rese prima durante le
indagini e poi contestate, è un valore di tipo DISTRUTTIVO.
Cioè sono un modo, un test, per saggiare la credibilità della persona che sta parlando, vedendo proprio
come lui reagisce di fronte a queste contestazioni.
Gli si fa la contestazione, gli si chiede di spiegare i motivi per cui all’epoca lui aveva reso dichiarazioni
difformi, si vede come lui spiega. Alla fine il giudice, stando alle regole del processo accusatorio, ha solo due
possibilità, quali? Dopo che ci sono state le contestazioni e dopo che il testimone ha cercato di spiegare
perché all’epoca aveva detto cose diverse, quali sono queste due possibilità?
 O il giudice ritiene che comunque, alla fine, quello che il dichiarante dice in dibattimento sia tutto
sommato credibile ugualmente, e allora potrà usare queste dichiarazioni rese in dibattimento come
prova;
 O l’alternativa è che il testimone non riesce a spiegare i motivi per cui ha cambiato la sua versione dei
fatti, e a quel punto perde proprio di credibilità. Allora il giudice non sarà più portato a ritenere
affidabili le dichiarazioni che il testimone ha reso nel dibattimento.

Ci sarebbe poi, dal punto di vista concettuale, una terza possibilità, vietata nel nostro sistema dalla
Costituzione e dalla Legge, quale? Un giudice potrebbe dire “io però, tutto sommato, sulla base di quello
che ha detto il dichiarante e di come ha reagito alle contestazioni, io sarei portato a ritenere veritiere le
dichiarazioni da lui rese nel corso delle indagini”. Un giudice può, nella sua testa, fare questo ragionamento.
C’è però un divieto legale. Anche se il giudice dal punto di vista psicologico si convince che questo
dichiarante, nel corso delle indagini, avesse reso delle dichiarazioni credibili, veritiere, il sistema gli dice “tu
queste dichiarazioni non puoi utilizzarle”, perché sono dichiarazioni che sono state formate con un metodo
che non è quello del contraddittorio. Quindi sono squalificate a priori.

Questo è un punto importante per capire se un certo sistema è accusatorio oppure no. Faccio una breve
digressione storica, nel manuale se ne parla più diffusamente, ma serve per capire.
Quando in origine era entrato in vigore il codice di procedura penale, 1988, codice accusatorio per la prima
volta nella nostra storia, i giudici erano abituati da anni di sistema inquisitorio. E allora proprio con
riferimento all’art.500, all’epoca era scritto grosso modo come lo vedete adesso, era stata sollevata una
questione di legittimità costituzionale, si parla del 1992 (quindi pochi anni dopo l’entrata in vigore del
codice),
e la Corte Costituzionale aveva proprio dichiarato illegittimo questo articolo dicendo “però non è tanto
ragionevole che il giudice non possa utilizzare come prova le dichiarazioni precedenti, se il giudice è
convinto che siano quelle le più veritiere allora userà quelle per decidere”. Questo aveva detto la Corte
Costituzionale all’epoca nel 1992.
Però voi capite che, ammettendo la possibilità di usare come prova le precedenti dichiarazioni usate per la
contestazione, il sistema accusatorio salta ed infatti all’epoca la Corte Costituzionale aveva fatto saltare il
sistema accusatorio.
Con questa sentenza si era proprio ritornati ad una logica inquisitoria. All’epoca i giudici erano abituati al
sistema inquisitorio e quindi avevano salutato questa sentenza con molto favore, come potete immaginare,
perchè è chiaro che questa norma complica il lavoro dei giudici perchè magari il giudice dice “io sono
convinto della precedente dichiarazione, io userei quella per motivare” ma, la legge gli dice “non puoi
usarla, quindi se tu vuoi motivare devi usare altre prove, magari una dichiarazione accusatoria non la puoi
usare ma devi cercare gli elementi a carico da altre parti e, se non li trova, deve prosciogliere”.
All’epoca la Corte Costituzionale aveva detto che non bisogna perdere gli elementi conoscitivi raccolti
durante le indagini perchè esiste un principio, aveva detto la Corte Costituzionale, che si chiama principio di
non dispersione della prova. L’obiezione che è stata fatta è che un principio che va contro il sistema
accusatorio.
Ci siamo fino a qui? Avete capito insomma questo giudizio ai fini della credibilità? Che è un giudizio che non
può, come regola, portare ad attribuire valore probatorio alle dichiarazioni rese durante le indagini ed
utilizzate per la contestazione.
Poi voi mi direte “ma il giudice le ascolta lo stesso? Lui è li, la sente questa dichiarazione precedente che
viene contestata?” Certo le ascolta ma deve far finta di non averla ascoltata.
Quando poi dovrà decidere, dovrà indicare quali sono le prove utilizzabili nella sua decisione, dovrà
motivare sulla base di quelle prove e non potrà utilizzare quelle dichiarazioni per motivare.

Questa è la teoria ma poi come sempre la realtà funziona in modo molto farsesco a volte.
Molto spesso cosa succede? Che questi dichiaranti arrivano, gli si chiede di rispondere e danno certe
risposte che sono diverse in dibattimento cioè sono risposte diverse da quelle rese durante le indagini e a
quel punto il dichiarante dice “ma io mica mi ricordo che cosa ho detto, non mi ricordo bene che cosa è
successo prima, che tipo di dichiarazioni avevo detto”.
A quel punto, se gli è stata fatta la contestazione, gli si dice “ma perchè tu all’epoca avevi detto cose
diverse?” E allora qui ci sono situazioni in cui il dichiarante può come dire (usiamo questa
espressione) assumersi la paternità delle cose che lui aveva detto in precedenza cioè lui può dire “io
stesso non mi ricordo bene come sono andate le cose però, se io all’epoca avevo detto quelle cose durante
le indagini, allora significa che quelle cose che io avevo detto all’epoca sono vere”.
Spesso succede questo. Voi capite che allora entriamo in una zona di confine perchè da una parte ci sono
queste dichiarazioni che non sono rese, che all’epoca non erano state raccolte con il contraddittorio però,
abbiamo adesso un dichiarante che in qualche modo dàun bollino di verità a queste sue dichiarazioni
precedenti cioè lui dice “però se le ho dette all’epoca, guardate sarà così perchè son sicuro che all’epoca mi
ricordavo meglio com’erano le cose e quindi se ho detto quelle cose all’epoca vuol dire che erano vere”.
Ecco allora che in questi casi, in giurisprudenza, grazie a questo bollino di verità dato dal dichiarante allora
si che si usano le precedenti dichiarazioni come prova, però, ci deve essere questa assunzione di paternità,
assunzione di responsabilità sulla verità di queste dichiarazioni fatta dal dichiarante.

Ci siamo? Vi è chiaro anche questo? Questo è un caso un pò particolare. Non succede sempre così. Anzi,
ancora più spesso succede che il dichiarante in dibattimento dice che non si ricorda nulla e allora a quel
punto gli leggono le precedenti dichiarazioni per stimolare il ricordo e lui dice “all’epoca se avevo detto
questo, allora vuol dire che è vero”. A quel punto il giudice motiva sulla base delle vecchie dichiarazioni.
Questa è un pò la sequenza.

Questa del 500 comma 2 è la regola. Ci sono anche delle eccezioni.


Che cosa significa eccezioni? Ci sono situazioni un pò particolari in cui la legge proprio espressamente
consente al giudice di usare come prova le precedenti dichiarazioni nel caso di difformità. Quindi le
precedenti dichiarazioni vengono contestate e dopodiché la legge dice che “in questi casi particolari (che
adesso vi dico) le precedenti dichiarazioni, in via eccezionale, sono in questi casi e quindi valgono anche
come prova” cioè il giudice le può usare per motivare nonostante siano state raccolte in contraddittorio.
L’eccezione forse più importante, soprattutto per un certo tipo di processi, la troviamo sempre in questo
articolo 500 che adesso vi mostro.

Professore : Avete mai visto il film Il Padrino?


Sono dei bellissimi film, in particolare il primo e il secondo, vi consiglio di guardagli. Non mi ricordo più se
nel primo o forse nel secondo, c’è un processo.
La scena è praticamente questa: all’epoca c’è il Padrino, capo famiglia di una certa importanza, che viene
processato e c’è un testimone che è un collaboratore di giustizia cioè una persona che depone contro di lui
e sapete in un certo tipo di situazioni non è scelta facile e quindi deve essere protetto questo personaggio.
Lui ha già reso dichiarazioni durante le indagini e il processo è negli Stati Uniti ma, grosso modo il sistema è
quello. Queste sue dichiarazioni, che ha reso durante le indagini, sono dichiarazioni accusatorie e, quando
arriva al dibattimento, viene esaminato e comincia a parlare ma, ad un certo punto impallidisce e si blocca.
Che cosa succede? Fra il pubblico c’è un parente di questo testimone che semplicemente lo guarda.
Che cosa succede in questo caso? Qual è la fattispecie giuridica che si verifica in questo caso secondo voi?
Emerge che nei confronti del dichiarante sono state esercitate delle minacce, tentativi di condizionare la
deposizione. Ecco che allora proprio in un caso del genere abbiamo le eccezioni.
Art. 500 comma 4 “quando, anche per le circostanze emerse nel dibattimento, vi sono elementi concreti per
ritenere che il testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra
utilità, affinchè non deponga ovvero deponga il falso, le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico
ministero sono acquisite al fascicolo del dibattimento e possono essere utilizzate”. Vedete qui le eccezioni.
La cosa difficile qui è fare emergere la prova di questa minaccia o di questo tentativo di condizionare il
dichiarante.
Infatti l’art. 500 comma 5 prevede che “il giudice decide, svolgendo gli accertamenti che ritiene necessari,
su richiesta della parte etc”.
Qui abbiamo innanzitutto a che fare con un problema di droga, cioè ci devono essere degli elementi
concreti per far ritenere che ci sia stata questa violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro.
Qui siamo in dibattimento e quindi questa condotta si è già verificata o magari si sta verificando proprio in
quel momento come nell’esempio del film perchè è in quel momento che la persona viene minacciata.

Supponiamo di essere nel corso delle indagini e c’è una persona che voi volete far venire in dibattimento a
deporre perchè magari siete i pubblici ministeri ma, c’è il rischio concreto che questa persona venga
minacciata cioè ancora non è stata minacciata ma potrebbe essere minacciata.
Professore : che istituto si potrebbe utilizzare?
Studenti : incidente probatorio
Professore : incidente probatorio. Esatto. Qui invece ormai siamo in dibattimento, la minaccia viene fuori in
questo momento e si recupera la dichiarazione precedente dandole, in via d’eccezione, valore di prova. È
costituzionale tutto ciò? La costituzione dice che ci deve essere il contraddittorio.

Domanda: non udibile.


Professore : non è proprio scritto così ma va bene. Si dice che ci sono delle eccezioni al contraddittorio cioè
possibilità in cui la legge può attribuire valore di prova a dichiarazioni o a prove non formate in
contraddittorio e una delle eccezioni è la provata condotta illecita. Qua rientriamo in questa eccezione
dell’art. 111 comma 5 e quindi è tutto perfettamente costituzionale.
Da chi deve venire la minaccia secondo voi? Leggete la norma. Da chi deve provenire questa minaccia? C’è
scritto che deve provenire da qualcuno in particolare? La norma è formulata in modo impersonale e questo
facilita la prova perchè se no, in certi casi sarebbe impossibile.
Non si deve provare che la minaccia deriva dall’imputato perchè a volte ci sono situazioni di minaccia, di
violenza o di qualunque altro tentativo di condizionamento che emergono ma, che non sono ricollegabili
all’imputato. Bastano però perchè la norma non richiede che la condotta derivi dall’imputato. Se avessero
scritto questo, avrebbe reso più difficile la prova.
Ci siamo?
Un altro caso di recupero, che lo trovate sempre nel 111 comma 5, è un’altra eccezione al contraddittorio. È
un istituto di cui già abbiamo detto cioè le dichiarazioni non formate in contraddittorio comunque sempre
possono acquisire valore di prova se c’è che cosa? La Costituzione parla di consenso mentre il codice mette
un qualcosina in più cioè chiede un accordo, un patteggiamento sulla prova.
Art. 500 comma 7 in cui “su accordo delle parti le dichiarazioni sono acquisite al fascicolo del dibattimento”
e s’intendono le dichiarazioni usate per la contestazione.
Si intende quelle usate per la contestazione, perché qua si parla di contestazioni, quindi dichiarazioni
difformi.
C’è un ultimo caso. Se ci pensate bene, prima del dibattimento, per i reati più gravi, c’è un momento in cui
ci può essere una raccolta di dichiarazioni di fronte ad un giudice. A quale momento mi riferisco? Non
l’incidente probatorio perché quello è già prova, ma in udienza preliminare. Se c’è l’udienza preliminare è
possibile, se vi ricordate, che si chiamino anche dei testimoni. Questi non sono propriamente esaminati con
esame incrociato perché è il giudice che fa domande, ma c’è un giudice. Allora si dice, questo è il co. 6
dell’art. 500 c.p.p.
A richiesta di parte, le dichiarazioni assunte dal giudice a norma dell'articolo 422 sono acquisite al fascicolo
del dibattimento e sono valutate ai fini della prova nei confronti delle parti che hanno partecipato alla loro
assunzione, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dal presente articolo. Fuori dal caso
previsto dal periodo precedente, si applicano le disposizioni di cui ai commi 2, 4 e 5.
Quindi, anche in questo caso abbiamo un’ipotesi di recupero. Perché qui non abbiamo a che fare con
dichiarazioni proprio come quelle raccolte durante le indagini solo dalla parte, ma abbiamo a che fare con
dichiarazioni che sono state raccolte di fronte ad un giudice e sulla base di domande fatte da un giudice in
udienza preliminare.
Tutto chiaro? Queste sono le eccezioni, la regola è: giudizio solo ai fini di credibilità, quindi niente valore
probatorio, al limite valore demolitivo, cioè il testimone non è più credibile. Il giudice che ritiene di regola
veritiere le dichiarazioni rese in precedenz, vabbè, a lo racconterà al marito o alla moglie la sera, però non
potrà usarle per decidere e quindi motivare la propria decisione. Potrà pensare dalle dichiarazioni rese
durante le indagini sia colpevole, ma non le potrà usare. Giusto o sbagliato che sia, questa è
un’implicazione del modello accusatorio che, come tutte le cose, ha vantaggi e svantaggi.
Domanda non udibile di una studentessa.
Risposta del prof: Quello è un altro istituto di cui ci occuperemo nei prossimi giorni, credo domani o
dopodomani.

Sempre con riferimento all’assunzione della prova dichiarativa, abbiamo i cd. POTERI DI UFFICIO DEL
GIUDICE.
Voi sapete qual è la regola: le prove sono ammesse e raccolte su richiesta di parte. Il sistema accusatorio di
regola vuole la richiesta di parte.
Ci sono però situazioni che vanno intese come eccezionali in cui il giudice può intervenire d’ufficio.
Perché è previsto questo intervento d’ufficio? Perché il legislatore potrebbe dire “spetta tutto alle parti” e
se le parti non chiedono una certa prova o non raccolgono le prove nel modo corretto, affari loro. Potrebbe
essere questa la logica. Sistema dispositivo puro: il giudice non muove un dito, guarda sogghignando dentro
di sé, però non fa nulla. Nel processo civile una logica del genere la si può ammettere. Tuttavia, non
dimentichiamo mai la funzione del processo penale che è una funzione cognitiva e in certi casi il giudice, se
sono casi ristretti, è opportuno che intervenga per SUPPLIRE ALLA MANCANZA DELLE PARTI, perché
sappiamo cos’è in gioco nel processo penale. Da una parte c’è la libertà della persona in gioco e dall’altra
c’è il bisogno di giustizia delle vittime del reato.
Come funzionano questi poteri d’ufficio del giudice?
Anzitutto sono possibilità di intervento del giudice proprio all’esame dei vari testimoni.
Cioè viene esaminato un testimone e ad un certo punto anche il giudice può intervenire. Se l’esame fosse
effettuato solo interamente dal giudice avremmo un qualche cosa di contrario al modello accusatorio. In
quale caso si potrebbe ammettere un esame effettuato solo dal giudice? Ne parlavamo la scorsa settimana:
è possibile solo nel caso del minorenne per tutelarlo, però capite che è un caso particolare. Di regola il
giudice non può fare domande.
La legge gli da in via eccezionale dei poteri di intervento: art. 506 c.p.p. co. 2.
Il presidente, anche su richiesta di altro componente del collegio, può rivolgere domande ai testimoni, ai
periti, ai consulenti tecnici, alle persone indicate nell'articolo 210 ed alle parti già esaminate, solo dopo
l'esame e il controesame. Resta salvo il diritto delle parti di concludere l'esame secondo l'ordine indicato
negli articoli 498, commi 1 e 2, e 503, comma 2.
Il giudice interviene quando si rende conto, ascoltando l’esame e il controesame, che ci sono delle
domande importantissime che non vengono fatte, perché le parti sono disattente, perché non se ne
rendono conto... Qualunque sia il motivo, il giudice capisce che questa domanda importante non viene fatta
e allora interviene e la fa lui, però non può farla subito: deve prima aspettare che si concludano esame e
controesame, fa le domande e poi “Resta salvo il diritto delle parti di concludere l'esame secondo l'ordine
indicato (...)”. Quindi, il giudice si infila un po’ in mezzo, cioè non può avere lui l’ultima parola.
Vedete, si cerca di bilanciare la gestione delle parti con l’intervento del giudice.

E poi abbiamo anche il comma primo, su cosa può fare il giudice:


“ Il presidente, anche su richiesta di altro componente del collegio, in base ai risultati delle prove assunte nel
dibattimento a iniziativa delle parti o a seguito delle letture disposte a norma degli articoli 511, 512 e 513,
può indicare alle parti temi di prova nuovi o più ampi, utili per la completezza dell' esame”.
Qui è una cosa un po’ più ampia che può fare il giudice,cioè non solo la singola domanda, ma può dire alle
parti: “Avete sentito il testimone in rapporto a questi fatti e va benissimo. Però c’è tutta un’altra serie di
circostanze, su cui non avete sentito il testimone”. Allora invita le parti a fare delle domande su quella serie
di circostanze. In questo modo il giudice amplia il tema di prova. Lo scopo è che l’esame sia il più possibile
completo.

Dopodiché abbiamo un altro articolo molto importante che è l’art. 507 c.p.p che attribuisce al giudice
potere ancora più forte se vogliamo.
“Terminata l'acquisizione delle prove, il giudice, se risulta assolutamente necessario, può disporre anche di
ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova [190 2, 509].
1-bis. Il giudice può disporre a norma del comma 1 anche l'assunzione di mezzi di prova relativi agli atti
acquisiti al fascicolo per il dibattimento a norma degli articoli 431, comma 2, e 493, comma 3.”
Qui è il giudice che proprio d’ufficio dispone l’assunzione di nuovi mezzi di prova che non sono stati chiesti
dalle parti.
Già in sede di ammissione, quindi prima di iniziare l’istruzione, il giudice d’ufficio può disporre di un certo
mezzo di prova, che è la perizia. Un altro potere d’ufficio di cui abbiamo parlato la scorsa settimana qual è?
C’è il testimone indiretto che parla, che dice di non aver assistito personalmente al fatto, ma che gliel’ha
riferito Tizio. Le parti non si muovono per qualunque motivo, in questo caso il giudice può decidere d’ufficio
di disporre la citazione e l’esame di Tizio, che è testimone diretto, in modo da completare la prova.
Qui abbiamo invece un potere più generale, cioè riferito a qualunque mezzo di prova.
“Terminata l'acquisizione delle prove, il giudice, se risulta assolutamente necessario, può disporre anche di
ufficio l'assunzione di nuovi mezzi di prova”: vedete come la legge cerca di dire al giudice di stare attento.
Non è che questo potere può essere utilizzato come potere normale, ma deve essere eccezionale perché
siamo sempre in un sistema accusatorio. Tanto è vero che il parametro è quello della cosiddetta assoluta
necessità.
Certo però poi che questo parametro non è facile da definire in concreto, ha sicuramente degli aspetti
discrezionali. Quando si ha questa assoluta necessità? È una cosa che deve valutare il giudice in rapporto al
singolo caso. Sicuramente questa assoluta necessità si riscontra quando emergono delle lacune durante la
ricostruzione probatoria. Cioè ci sono degli aspetti nella ricostruzione dei fatti su cui le prove non hanno
detto nulla, ci sono dei vuoti, delle situazioni su cui il giudice deve acquisire informazioni.
L’esempio più banale che si può fare è questo: ci sono dei testimoni diretti che vengono ascoltati e tutti si
riferiscono ad un’altra persona che era lì, il cui contributo si capisce essere importante, ma nessuno ha
citato questa persona. Allora questo è un caso in cui il giudice alla fine potrà dire d’ufficio “dispongo la
citazione di questa persona, visto che nessuno cita questa persona, così sentiamo pure questo”.
Anche nei casi di incertezza, magari la situazione è dubbia. Però in questi casi il discorso è un po’ più
delicato perché se noi abbiamo una situazione di incertezza probatoria, cioè ci sono prove a carico e prove
a discarico (ancora non ve l’ho detto, però insomma dovreste saperlo), come dovrebbe decidere il giudice
in caso di dubbio? In dubbio pro reo, presunzione di innocenza e quindi proscioglimento.
Allora, un conto è la situazione in cui non si hanno informazioni e il giudice interviene d’ufficio, ma quando
il giudice interviene d’ufficio in caso di dubbio, capite che è più delicato questo intervento. Va fatto solo
proprio in casi eccezionali perché in teoria il sistema già consentirebbe di prosciogliere a questo punto.
Il giudice se interviene in questo caso c’è il rischio che faccia un intervento a favore dell’una o dell’altra
parte; quindi, c’è il rischio che il giudice diventi non imparziale.

Poi vi faccio notare questo. Si dice “Terminata l’acquisizione delle prove”, che è giustissimo perché
l’intervento d’ufficio del giudice, che è un intervento pesante, va fatto solo DOPO che l’istruzione
probatoria è finita. Cioè è lì che il giudice si rende conto che ci sono delle lacune e delle situazioni in
rapporto a cui è meglio intervenire d’ufficio. Anche qui però vedete che la prassi sempre più complicata: a
volte, soprattutto magari per processi per reati meno gravi, ma può capitare anche per gravi reati, a volte
può succedere che il PM si dimentichi di presentare la lista, che deve essere depositata 7 giorni prima, si
dimentica, pensa di averlo fatto e non lo fa. Questa è una cosa che può succedere. Chiaro che se succede
sistematicamente magari qualche discorsetto a quel PM dovrebbe essere fatto, ma la singola volta è
un’evenienza che può succedere.
Estremizziamo l’esempio: immaginate che ci sia un reato grave, voi siete i giudici e sapete che il PM
avrebbe delle prove da portare, ma si è dimenticato di portarle, cioè si è dimenticato di chiederle nella lista.
Se voi (in qualità di giudici) non intervenite, dovete prosciogliere (l’imputato). Voi, però, magari sapete che
queste prove sono importanti o almeno potrebbero essere importanti per accertare i fatti. Cosa fate?
Le ragioni della vittima, se prosciogliete, sono completamente azzerate per una disattenzione del PM.
Allora, in questi casi (che son comunque molto discussi), la giurisprudenza interpreta questo articolo 507 in
modo da salvare queste situazioni. In particolare, la clausola “terminata l’acquisizione delle prove” viene
intesa nel senso che non sia indispensabile che ci sia stata concretamente un’acquisizione delle prove:
questo criterio è da intendere semplicemente come momento cronologico. In questo senso potremmo
formulare la clausola come “terminata la fase in cui sarebbe dovuta avvenire l’acquisizione delle prove, il
giudice può intervenire d’ufficio”.
In questo modo si salvano le situazioni in cui non c’è un’acquisizione delle prove perché il PM non le ha
portate.

Domanda di uno studente (incomprensibile)


Risposta Professore: Questa interpretazione, infatti, è molto controversa. Qualche avvocato vi dirà che non
è corretta, giustamente, in rapporto alla difesa e al proprio assistito. Effettivamente si stravolge un po’
l’ordine così perché il giudice dice “dov’è la lista? Oddio non c’è la lista” e già gli prende un colpo. Magari il
reato è grave. Magari la difesa porta qualcosina. A questo punto il giudice dovrebbe prosciogliere. Ma con
questa interpretazione lui dice “io intendo il 507 NON nel senso che ci deve essere stata l’acquisizione delle
prove ma nel senso che io (giudice) intervengo d’ufficio dopo che si chiude questa fase in cui avrebbe
dovuto esserci anche l’acquisizione ma non c’è stata, o c’è stata solo un’acquisizione piccola solamente di
certe prove della difesa”. A questo punto sarà il giudice d’ufficio a chiamare, ad esempio, alcuni testimoni.
È chiaro che si stravolge l’ordine. Si stravolge proprio il sistema in questo modo. Infatti, i difensori certe
volte si oppongono, ma c’è Cassazione a favore di questa interpretazione e voi capite la ragione di ciò.
Certo bisogna stare attenti con i giudici in questi casi e non esagerare con questa possibilità.

Esame della parte/dell’imputato


A questo punto introduco un altro argomento che poi finiamo domani. Abbiamo parlato di testimonianza in
dibattimento. Ora ci occupiamo di un’altra tipologia di prova che si deve formare in dibattimento, ed è la
situazione in cui l’imputato si fa esaminare in dibattimento: l’esame della parte, in particolare
dell’imputato (art 503 cpp)
Qui faccio una distinzione generale. L’imputato può rendere dichiarazioni:
a. In rapporto al proprio procedimento, all’accusa che gli è stata rivolta, si difende, cercherà di
scagionarsi, di far capire che lui non c’entra nulla = ESAME SUL FATTO PROPRIO
b. Nei confronti di altri imputati =ESAME SUL FATTO ALTRUI

Esame sul fatto proprio


Durante le indagini, l’indagato (o persona sottoposta alle indagini) può essere sentito da qualcuno?
Ovvimanete sì, può essere sentito:
- o dalla polizia, con la garanzia della presenza obbligatoria del difensore,
- o dal PM, con il diritto del difensore di partecipare.
Quale diritto ha l’indagato che viene sentito? Ne ha tanti, ma il più importante è il diritto al silenzio, che non
può essere valutato negativamente.

In dibattimento, l’esame dell’imputato è obbligatorio? No, o è richiesto dall’imputato stesso oppure gli può
essere richiesto dal PM, salva la possibilità di rifiutarsi. È un esame su BASE VOLONTARIA: l’imputato non è
tenuto a farsi esaminare; se lo richiede o l’accetta viene svolto seguendo le regole dell’esame incrociato:
- se è stato richiesto dall’imputato, il primo a esaminare è il suo difensore (essendo lui a richiederlo è come
se fosse un testimone a difesa);
- se era stato il PM a richiederlo el’imputato acconsente, sarà il PM ad esaminare per primo l’imputato.
Si fa, quindi, l’esame incrociato.
L’esaminato è comunque un imputato, sta parlando di accuse che lo riguardano, quindi, c’è sempre il diritto
al silenzio (non è come il testimone che deve rispondere). Però, anche se il punto è controverso, visto che è
stato lui ad accettare di essere esaminato o, addirittura, a richiederlo, se esercita il diritto al silenzio voi
capite che il presupposto è diverso, e quindi questo diritto un po’ può pesare a suo carico. Infatti, il silenzio
viene menzionato nel verbale, poi sarà il giudice a valutare in concreto, ma non è da escludere che il
giudice, magari davanti a ripetuti silenzi, possa dire che l’imputato non sia tanto credibile. Questo è un uso
a carico del silenzio che, però, è comprensibile perché è stato l’imputato a scegliere liberamente di farsi
esaminare, nessuno l’ha obbligato. È un’assunzione di responsabilità della propria decisione. È chiaro che se
difenderete una persona gli consiglierete di farsi esaminare solo se regge l’esame incrociato, cioè è
credibile, in grado di convincere il giudice. Se è uno che fa pause e non risponde, il consiglio che gli darete è
di non farsi esaminare, anche se rimane una sua decisione.

Ultima cosa. Supponiamo che l’imputato renda dichiarazioni diverse da quelle che aveva reso in
precedenza, in questo caso scatta di nuovo l’istituto delle contestazioni, cioè gli si leggono le dichiarazioni
difformi.
Di regola, le contestazioni valgono solo per ponderare la credibilità dell’imputato (come per i testimoni).
C’è, però, un’eccezione in alcune situazioni che riguardano proprio l’imputato (diverse da quelle che
riguardano il testimone) in cui è possibile attribuire valore probatorio alle dichiarazioni rese in precedenza.
E questo in particolare è l’art 503, comma quinto:
“Le dichiarazioni alle quali il difensore aveva il diritto di assistere assunte dal pubblico ministero o dalla
polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento, se sono
state utilizzate per le contestazioni”
Qindi quali sono queste dichiarazioni? Le dichiarazioni rese al PM o alla polizia (ma solo su delega del PM)
durante le indagini in un contesto in cui il difensore aveva il diritto di assistere. Quindi queste sono
dichiarazioni rese durante le indagini, soprattutto al PM, tendenzialmente alla presenza anche del
difensore e tenendo anche conto del fatto che sono rese da chi aveva il diritto al silenzio e quindi non era
tenuto a rendere alcuna dichiarazione. È un indagato che rinuncia al suo diritto al silenzio, c’è lì il suo
difensore vicino, lui rende queste dichiarazioni al PM, se poi si fa esaminare in dibattimento e rende
dichiarazioni difformi, a questo punto le dichiarazioni rese durante le indagini si possono recuperare, cioè
gli si contestano, attribuendo loro valore di prova.
Questa situazione non vale per il testimone perché egli durante le indagini non ha il difensore, non c’entra
nulla con la commissione dei fatti. Qui abbiamo un indagato che all’epoca poteva stare zitto ma ha parlato,
con il difensore davanti, e quindi deve sapere che queste dichiarazioni, nel caso in cui si faccia esaminare e
ne renda di difformi, possono essere recuperate.
Chiaro? Domande? Allora ci vediamo domani.

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