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Lezione n.

7 – 10/10

Sbobinatore: Lorenzo Tedino

Diritto Processuale Civile

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Il processo civile ha la funzione di accertare il modo di essere di una situazione giuridica soggettiva,
perché il nostro ordinamento, di regola, rinvia una situazione giuridica soggettiva a un diritto soggettivo.

La settimana scorsa è stato detto che il processo civile, d'altra parte, è fatto di regole processuali; alcune
di queste regole processuali sono considerate talmente importanti che il nostro ordinamento esige che
siano rispettate per poter scegliere all'esame nel merito della controversia. Queste regole processuali di
particolare rilevanza si chiamano presupposti processuali, e sono delle condizioni che:

· devono esistere -> se si tratta di presupposti processuali positivi;

· non debbono esistere -> affinché si possa decidere nel merito della domanda giudiziaria se si
tratta di presupposti processuali negativi;

Cioè sono delle regole processuali che devono essere rispettate affinché il giudice possa decidere nel
merito della controversia. Se i presupposti non ci sono, la controversia si deve ritenere chiusa in rito,
cioè senza esame nel merito, perché manca uno dei presupposti processuali positivi.

Abbiamo anche visto i presupposti processuali negativi, cioè che non devono esistere affinché il giudice
possa decidere nel merito della controversia: la conseguenza è che il processo si chiude in rito, cioè non
arrivando all'esame del merito della controversia, e questo ci dà la misura di quanto sia importante
l'insieme di queste norme.

Un primo dato analizza qual è il rapporto tra il rito e il merito. Il processo civile, che ha ad oggetto una
situazione giuridica soggettiva, si svolge secondo determinate regole processuali indicate nel libro
secondo del Codice di procedura civile e quindi, nel processo civile di cognizione, si tratta:

· sia del rito -> infatti si va a vedere l'esistenza dei presupposti processuali

· sia del merito -> cioè dell'esistenza del diritto soggettivo.

Prima di analizzare i singoli presupposti processuali, vediamo come sono disciplinati nel nostro
ordinamento i rapporti tra rito e merito; la prima norma che andiamo a vedere è l'art.276 del Codice di
procedura civile, che è un articolo che si occupa della decisione della controversia.

Prendendo ad esame il tribunale in composizione collegiale, è risaputo che nel nostro ordinamento ci
sono due giudici di primo grado (giudice di pace, che è un organo monocratico il tribunale che può
decidere in composizione monocratica, oppure in composizione collegiale con tre giudici, anche se ha
la tendenza ad aumentare le fasi in cui il tribunale decide in composizione monocratica); nel 1942, anno
della scrittura del Codice di procedura civile, la regola era che il tribunale decidesse in composizione
collegiale, e quindi la norma sulla deliberazione che andiamo a leggere è pensata e scritta per un
tribunale che decide in composizione di tre (se un giudice decide da solo, è chiaro che faccia tutto lui)

“La decisione è deliberata in segreto nella camera di consiglio. Ad essa possono partecipare soltanto
i giudici che hanno assistito alla discussione”

È risaputo che la decisione è deliberata in segreto della Camera di consiglio: vuol dire che nel nostro
ordinamento non esiste la dissenting opinion, perché quello che si decide in Camera di consiglio deve
rimanere segreto, e quello che emerge all'esterno è la decisione, della quale non si sa se sia stata presa
dal tribunale in composizione di tre (perché è chiaro che se il Tribunale decide in composizione
monocratica, questi discorsi non hanno senso) all’unanimità o a maggioranza. L'articolo dice che la
deliberazione segreta e dunque non può emergere all'esterno.

“Il collegio, sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte
dalle parti o rilevabili d'ufficio e quindi il merito della causa”

Esprime quella espressa regola tra giudizio e merito: prima si analizza se ci sono i presupposti
processuali positivi e se mancano quelli negativi, e solo se dal punto di vista dei presupposti processuali
è tutto in regola, allora si sceglie all'esame del merito della controversia (prima rito poi merito).

Quello che emerge dall'articolo 276 è una regola presente all'interno dei manuali (in particolare nel
manuale di Luiso) nella parte del rapporto tra rito e merito.

Se invece guardiamo l'art.187, troviamo una regola diversa.

Ma prima la professoressa vuole chiedere se questa regola di pregiudizialità tra rito merito sembra possa
avere qualche punto debole: “immaginate che siamo di fronte al solito sinistro stradale di un'auto che
è transitata con il semaforo rosso in viale Regina Margherita, auto guidata da un guidatore francese:
il danneggiato agisce in giudizio dopo 8 anni, e il primo problema che si pone è quello del presupposto
processuale, cioè di stabilire se esiste la giurisdizione italiana e se dunque i giudici italiani possano
decidere, visto che la persona che è convenuta in giudizio è francese. Poi, se e solo se i presupposti
processuali ci sono, se esiste il diritto sostanziale. Se io affermo che l'attore agisce in giudizio dopo 8
anni qual è il problema sostanziale che emerge? In quanti anni si prescrive il diritto di risarcimento
dei danni? 5 anni! E se io agisco dopo 8 anni? Seguendo l'art.276, il giudice deve prima vedere se tutti
i presupposti processuali ci sono (che comunque è un percorso non semplice), ma se noi seguiamo la
regola rito-merito, il giudice si prende il tempo necessario per decidere nel rito e poi, quando arriva
al merito, rigetta la domanda nel merito perché ormai il diritto è prescritto. Questa è la regola che si
segue in applicazione dell'art.276”.

Il problema che si è posto In Italia è questo: l'applicazione della regola pregiudizialità-rito-merito esige
tempo, e può darsi che la rigida applicazione della regola faccia sì che il processo duri diverso tempo,
anche quando c'è una ragione evidente (come nel caso dell'esempio fatto sopra del diritto prescritto, in
cui appare evidente a tutti, giudice compreso, che quella domanda sarebbe da rigettare nel merito).
Traducendo in termini giuridici il rigetto per la prescrizione, il ragionamento secondo cui si potrebbe
disapplicare la regola pregiudizialità-rito-merito, rigettando direttamente nel merito la domanda
giudiziale guadagnando tempo, potrebbe rappresentare un'eccezione, e dunque, applicando il principio
della ragione più liquida, più evidente e più immediata, per rigettare nel merito la domanda dell'attore.

L'ordinamento italiano ormai sono decenni che combatte con il problema dell'eccessiva lunghezza del
processo civile; ad un certo punto prima la dottrina e poi la giurisprudenza si sono chieste “ma se invece
di applicare l'art.276 e fare sempre il passaggio rito di verifica dei presupposti processuali-merito, non
si potrebbe, nei casi in cui c'è una ragione evidente che condurrebbe a rigetto nel merito della domanda
dell'attore, rigettarla direttamente nel merito senza farla tanto lunga?”. Questo è il principio della
ragione più liquida e, nel nostro ordinamento, la giurisprudenza ha trovato un appiglio normativo per
poter fare questo e per poter agire in questo modo, potendo applicare il principio della ragione più
liquida: art.187 del Codice di procedura civile, chi si occupa della decisione della causa fa parte del
tribunale in composizione collegiale.

“Il giudice istruttore, se ritiene che la causa sia matura per la decisione di merito senza bisogno di
assunzione di mezzi di prova, rimette le parti davanti al collegio.

Può rimettere le parti al collegio affinché sia decisa separatamente una questione di merito avente
carattere preliminare, solo quando la decisione di essa può definire il giudizio”.
Il secondo comma di questo articolo, che non è scritto benissimo perché non era pensato per la ragione
più liquida, è stato utilizzato dalla giurisprudenza, che lo applica ogni volta che ci sia una ragione di
merito che porti al rigetto di una domanda; il giudice, senza tanti indugi, rimette la causa e motiva la
decisione affermando che, in base al principio della ragione più liquida, la domanda è da rigettare,
perché il rito ridotto in giudizio ormai prescritto.

In Italia si è iniziato ad applicare il principio della ragione più liquida, ma esso nasce prendendo spunto
dalla Germania, da un pensatore di inizio 900; negli anni 60 in Germania, un altro autore inizia a
elaborare tesi redatte entro un volume nel quale elabora il pensiero della regione più liquida con tutto il
suo fondamento dogmatico, le sue ragioni e le sue fondamenta. Questo volume in Germania viene
completamente ignorato, in quanto la giurisprudenza non applica tale principio, perché il processo ha
una durata minore rispetto all'Italia, e quindi si possono permettere il lusso di applicare la regola della
pregiudizialità tra rito e merito.

In Italia negli anni 90 qualcuno recupera l'idea del primo autore, perché anche la dottrina italiana si è
molto ispirata a quella tedesca, leggendo, traducendo e sistemando nel nostro ordinamento spunti
tedeschi. Questa teoria non fa eccezione, ed è riportata in Italia: alla giurisprudenza piace molto la
ricostruzione, e si applica quando vi è l'evidente motivazione per rigettare la domanda dell'autore.

Ci sono dei casi nei quali solo la parte ha il potere di rilevare alcune eccezioni (come la prescrizione),
e lo dice il diritto sostanziale; altre volte invece, il diritto processuale. Quindi il Codice di procedura
civile dà anche al giudice un rilievo ufficioso, ma il diritto sostanziale, per il Codice di procedura civile,
è sempre prevalente: per cui in quel caso non c'è dubbio che, se la legge lo consentiva, il giudice avrebbe
potuto applicare il principio della ragione più liquida.

Detto questo sulle relazioni dei presupposti processuali tra rito e merito, una grande distinzione che si
fa è tra presupposti processuali ((la professoressa utilizza sempre presupposti processuali che quella che
usa il libro di Luiso):

· positivi -> ci devono necessariamente essere affinché il giudice decida nella causa di merito;
i presupposti processuali positivi, a loro volta, si dividono in:

o processuali che attengono giudice -> giurisdizione e competenza;

o processuali e che attengono alle parti -> capacità processuale, legittimazione ad


agire, rappresentanza tecnica ed interesse ad agire;

· negativi -> non ci devono essere affinché il giudice possa decidere nella causa del merito; i
presupposti processuali negativi sono quelli che non ci devono essere affinché il giudice possa
decidere nel merito; sono a noi noti 1 o 2 presupposti processuali negativi, perché nella prima
lezione è stato detto che la giurisdizione statale è l'ultimo rimedio, il residuale, perché se le parti si
mettono d'accordo possono far decidere la controversia ad arbitri, o possono accordarsi per andare
davanti a un mediatore (che è un soggetto terzo e neutrale che cerca di fare convergere il comune
interesse delle parti verso un accordo che le soddisfi). Ebbene, il giudice statale non può decidere
quella causa, ecco il presupposto processuale negativo, così come non la può decidere se per legge
è previsto che le parti debbano seguire forzatamente la mediazione.

Il diritto processuale civile dà due problemi:

1. è una materia processuale e non sostanziale;

2. c'è una terminologia tutta nuova da acquisire;

Si introduce un altro termine che si utilizza sempre in diritto processuale civile: quando manca un
presupposto processuale positivo o ne esiste uno negativo e una delle parti si lamenta del fatto, la parte
sta sollevando un'eccezione. Dal momento che si fa valere la mancanza di un presupposto processuale,
questa eccezione si chiama eccezione processuale. Le eccezioni possono essere:

· di rito;

· processuali;

Ogni volta che si fa valere la carenza di un presupposto processuale positivo o l'esistenza di un


presupposto processuale negativo, si parla di eccezioni di rito; la regola generale per quanto riguarda le
eccezioni di rito e processuali è che il giudice ha sempre un potere di rilievo officioso, a meno che non
sia previsto diversamente (similitudine di uno studioso: “ si immaginino tre persone che vanno a
caccia: due sono le parti il terzo è il giudice; le parti hanno nel loro fucile i colpi in canna, e ogni colpo
in canna è la possibilità di sollevare un'eccezione di rito o di merito; anche il giudice però ha il suo
fucile con il colpo in canna, e quello è il potere di rilievo officioso”).

Nel nostro ordinamento, il legislatore dà gli stessi poteri che le parti hanno, e cioè il potere di rilevare
delle eccezioni; per quanto riguarda i presupposti processuali d'ufficio, la mancanza di un presupposto
processuale positivo o l'esistenza di uno negativo, anche se nessuna delle due parti spara, sparerà il
giudice, e cioè rileva lui un difetto di presupposto processuale, perché gli stessi poteri delle parti sono
concessi al giudice, a meno che non sia diversamente scritto.

La giurisdizione il potere di decidere una controversia

“La giurisdizione civile, salvo speciali disposizioni di legge, è esercitata dai giudici ordinari secondo
le norme del presente Codice”.

La giurisdizione del giudice ordinario e il potere che il giudice del processo civile ha di decidere una
controversia patiscono tre limiti:

1. nei confronti della pubblica amministrazione -> il giudice può decidere una controversia se e
solo se si tratta di una attività giurisdizionale richiesta (esempio: se io propongo una domanda
davanti al Tribunale di Torino per richiedere un porto d'armi, queste richieste sono fuori dalla
portata del giudice ordinario, in quanto è necessario porre tale domanda al giudice
amministrativo);

2. nei confronti dei giudici speciali -> la nostra Costituzione prevede che, accanto alla
giurisdizione ordinaria di giudici assunti per concorso, ci siano dei giudici speciali, quali ad esempio
il giudice amministrativo, in particolare il Consiglio di Stato;

3. nei confronti dei giudici stranieri -> per sapere se è necessaria la giurisdizione di un giudice
italiano o di uno straniero, bisogna tenere in mente alcuni dati: il primo di questi è che bisogna
osservare sempre e solo il convenuto; l'attore non è rilevante, perché art.24 Cost. inizia con la
locuzione “chiunque ha il diritto di agire in giudizio”, e quindi quel “chiunque” vuol dire tutti, a
prescindere dal fatto che siano italiani o stranieri, domiciliati in Italia o domiciliati fuori dall'Italia;
quindi, la persona su cui bisogna focalizzare l'attenzione è il convenuto.

Ci sono dei dati normativi e delle previsioni di legge che bisogna applicare per vedere se il convenuto
può essere citato davanti al giudice italiano. La prima è che bisogna osservare è un regolamento europeo,
ed è il regolamento 215 del 2012 (per vedere se il convenuto può essere citato in giudizio in Italia) e
anche la legge 31 Marzo numero 318 del 1995 (che è la legge italiana di riforma del sistema del diritto
internazionale privato); quindi, questi criteri non si trovano nel codice, ma si trovano in queste due
norme, perché il codice di procedura civile, seppur in passato le possedesse, presuppone che la
giurisdizione, nel caso di un cittadino italiano, ci sia sempre.
Con riferimento alla cittadinanza, uno dei cardini dell'Unione Europea è che chi è cittadino di uno Stato
membro è automaticamente cittadino dell’UE: dunque, nel sistema dell'unione europea, la nazionalità
non è un valore forte, perché si è sia cittadini italiani sia europei; quindi bisogna garantire lo stesso
trattamento a tutti i cittadini degli Stati membri, e questo è già un dato che confliggeva con l’art.4 C.P.C.
Bisogna considerare che quando l'unione europea era ancora Comunità Economica Europea, l'obiettivo
era la creazione di un mercato unico, ma anche la creazione di alcune norme uniformi sulla
giurisdizione, volontà a cui seguì la convenzione di Bruxelles.

Quelle norme non potevano considerare la nazionalità come il nostro codice di procedura civile, quindi
come elemento discriminante per stabilire se c'è la giurisdizione in Italia piuttosto che in Francia in
Germania, perché l'allora Comunità Economica Europea (oggi Unione Europea) presuppone che tutti
siamo cittadini dell'unione europea: allora bisognava trovare un criterio diverso dalla nazionalità, e si
trovò dunque con il domicilio, secondo cui, se si è domiciliati in Italia, sussiste la giurisdizione italiana.

A quel punto, l'Italia si trovava con delle norme del codice di procedura civile che guardavano la
nazionalità e che non erano più collegate alla Convenzione di Bruxelles (nfatti nel 1995 si abrogano
quelle norme del codice di procedura civile e si fa entrare in vigore la legge 218 del 1995, che è una
legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato e processuale, ispirato, per quanto
riguarda la giurisdizione, a quelle norme che erano contenute nella convenzione di Bruxelles): ecco
perché adesso avete adesso si hanno le norme della giurisdizione fuori dal Codice di procedura civile.

Una delle prime attività svolta dall'Unione Europea fu quella di sostituire la convenzione di Bruxelles
con un nuovo regolamento, che è un atto normativo vincolante dell'unione europea denominato
Regolamento Bruxelles uno numero 44 del 2001, modificato nel 2012 con il regolamento attualmente
in vigore (che si chiama Bruxelles uno bis, o regolamento 1215 del 2012); quindi, il primo testo
normativo che bisogna andare a verificare per trovare la giurisdizione italiana nei confronti di un
convenuto è questo regolamento, e in subordine la legge 218 del 1995: queste due normative dicono
grossomodo che esiste la giurisdizione italiana se il convenuto è domiciliato in Italia.

L’art.8 della legge 218 del 1995 detta una norma più favorevole rispetto all'art.5 del Codice di procedura
civile, perché dice che se le norme che determinano la giurisdizione sopravvengono nel corso del
processo, allora esiste la giurisdizione italiana ugualmente: quindi, per la regola generale dell'art.5, e
affinché esista la giurisdizione italiana, il convenuto deve essere, al momento della proposizione della
domanda, domiciliato in Italia, e non importa se dopo un anno il convenuto si trasferisce a Berlino,
perché quello che conta è essere domiciliati in Italia al momento della proposizione della domanda.
L'art.8 detta una disciplina di favore per l'Italia, perché dice che se il convenuto, una volta che è stata
proposta la domanda, era domiciliato a Parigi, ma dopo un anno, a processo pendente, il convenuto si
trasferisce in Italia, eccezionalmente vale la giurisdizione italiana.

Nel nostro ordinamento è possibile derogare convenzionalmente la giurisdizione, e ciò vuol dire che
bisogna guardare alla legge 218 e al regolamento 1215: per verificare se c'è la giurisdizione nei confronti
del convenuto, però, il nostro ordinamento riconosce, così come lo riconosce il regolamento 1215,
valore all'accordo delle parti: così come le parti possono decidere di devolvere una controversia ad altri,
allo stesso modo è consentito loro di scegliere il giudice davanti al quale svolgere la controversia.

La mentalità è cambiata grazie ad un'influenza proveniente dalla convenzione di Bruxelles.

La giurisdizione italiana può essere derogabile, a seconda che le parti si accordino; per ciò che riguarda
le eccezioni processuali, la regola generale è che anche il giudice possa rilevarlo d'ufficio, a meno che
non sia previsto diversamente; l'articolo 7 della legge 218 del 1995 pone proprio l'eccezione, perché
questa regola dice che il giudice può rilevare d'ufficio il difetto di giurisdizione nei confronti del giudice
straniero:

· quando il convenuto è contumace;


· quando la controversia riguarda beni immobili siti in Italia o all'estero.

Se il convenuto è domiciliato a Londra, il giudice che ha giurisdizione secondo le regole italiane è il


giudice inglese. L’attore propone però la domanda davanti al tribunale di Torino, e il convenuto accetta
il giudizio e si difende solo nel merito e non dice niente sul difetto di giurisdizione del giudice italiano,
in questi in questi casi, dice l'articolo 7 della legge 218 del 1995, il giudice non può rilevare d'ufficio il
difetto di giurisdizione, perché l'idea è che sia perfezionato l'accordo tacito sulla giurisdizione, perché
l’attore ha scelto l'Italia, ma non ha posto la domanda o manifestato la volontà di scegliere il giudice
italiano, dunque se il convenuto non ha detto niente sul difetto di giurisdizione, vuol dire che la scelta
andava bene.

Ed ecco che si è perfezionato un accordo tacito sulla giurisdizione; ed ecco perché il giudice non può
rilevarla d'ufficio perché, se lo facesse, pregiudicherebbe l'accordo tacitamente concluso tra le parti.

Vale il principio della responsabilità, secondo cui il difetto di giurisdizione può essere analizzato e preso
in considerazione solo dal convenuto.
Lezione 7
11-10-2022
Tinetti Elisa

31 ottobre lezione in streaming

Ieri ci siamo detti che il presupposto processuale della giurisdizione, è un presupposto


processuale che ottiene il giudice, abbiamo detto che l’attore non può eccepire il difetto di
giurisdizione, per il principio di auto-responsabilità il quale lo può eccepire solo il convenuto.
Abbiamo visto l’art. 7 della L. 118/1995.

Oggi vediamo come si rileva il difetto di giurisdizione nei rapporti tra giudice ordinario e PA
e giudice amministrativo.
Abbiamo due norme che si occupano di questo problema.
Una norma che è l’art 7 della L. 118 del 1995, e l’altra che è l’art 37 del c.p.c.

Quest’ultima norma nella sua versione attuale è questa:


“Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione
o dei giudici speciali è rilevato, anche d'ufficio, in qualunque stato e grado del processo.”
—> questa norma si occupa della situazione in cui per esempio si chiede la concessione edilizia
al giudice ordinario piuttosto che al comune, e questo è il primo periodo dell’art 37 c.p.c.
E anche la norma si applica in ipotesi di rilievo di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice
speciale (= giudice amministrativo e giudice tributario).

La regola generale è che il difetto di giurisdizione può essere rilevato anche d’ufficio, cioè dal
giudice senza impulso di parte, e la norma dice in qualunque “stato e grado del processo”.
Ora che cosa vuol dire in qualunque stato e grado del processo? Dobbiamo inserire in questa
espressione un “ per la prima volta”—> l’idea è che il giudice o le parti possono rilevare il
difetto di giurisdizione in primo grado, ma anche in appello ma anche in cassazione. e in
particolare il giudice lo può rilevare di ufficio, per la prima volta non solo in primo grado ma
anche in secondo grado e in cassazione.

Riprendiamo l’esempio che abbiamo fatto ieri.


Quando il giudice ha un potere di rilevo ufficioso, è come se andasse a caccia con le parti e
avesse un colpo in canna.
Quel colpo lo può separare, in primo grado, se non l’ha sparato in primo grado lo può sparare
in secondo grado o in cassazione, MA per la prima volta cioè se in primo grado ha eccepito il
difetto allora il regime è diverso cioè l’espressione “ in qualunque stato e grado del processo”
fa sempre riferimento ad una situazione in cui in primo grado e nel grado precedente nessuno,
neanche il giudice ha rilevato il difetto di giurisdizione.

La norma è stata toccata dalla riforma Cartabia.


Non è un cambiamento epocale, la Giurisprudenza da anni da una interpretazione che va ben
oltre il tenore letterale della disposizione.
In particolare la giurisprudenza della cassazione si occupa dei casi in cui si ha difetto di
giurisdizione con i giudici ordinari a favore dei giudici speciali.
Non riguarda i casi più gravi in cui tanto per riprendere il nostro esempio, si chiede al giudice
la concessione edilizia.
È dal 2008 che la cassazione da dell’art 37. un’interpretazione diversa dal tenore letterale.
—> La cassazione ci dice, se la sentenza di primo grado è una sentenza di merito, quindi una
sentenza, dalla lettura della quale cui motivazioni non risulta niente sulla giurisdizione ma è
una sentenza di merito, allora, dice la cassazione, vuol dire che il giudice anche se non c’è
scritto nulla nella motivazione della sentenza, il giudice si è implicitamente posto il problema
della giurisdizione, perché la giurisdizione è un presupposto processuale, e evidentemente l’ha
risolto in senso positivo.
Quindi la questione di giurisdizione è già stata esaminata dal giudice e quindi non è più
possibile rilevarla d’ufficio per la prima volta in appello o nel successivo grado di
impugnazione.

Se dalla lettura della motivazione della sentenza di primo grado non si evince che vi è stato un
rilievo da parte del giudice o delle parti del difetto di giurisdizione, il giudice di appello può
rilevare il difetto per la prima volta.
—> Oramai da 15 anni la Cassazione dice “NO SE IL GIUDICE DI PRIMO GRADO HA
EMANATO UNA SENTENZA DI MERITO VUOL DIRE CHE PER FORZA SI E'
CHIESTO SE VI ERA GIURISDIZIONE PERCHE’ E’ REQUISITO PROCESSUALE
ATTINENTE AL GIUDICE” —> è un passaggio implicito che il giudice ha fatto.
L’unica eccezione che la cassazione fa a questa regola è quando si applica il principio della
ragione più liquida—> la sentenza di primo grado è una sentenza di rigetto nel merito, per il
principio della ragione più liquida, allora lì non c’è stato lesame della giurisdizione perché
quando si applica tale principio non si applica la regola della pregiudizialità tra rito e merito.
Questa è la giurisprudenza attuale.

Il nuovo art 37 tiene conto di questa giurisprudenza che quindi, si cambia l’art 37 c.p.c. ma
cambia per tenere conto della giurisprudenza che esiste già dal 2008.
Il nuovo articolo reciterà
—> “Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica
amministrazione è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo. Il difetto
di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti del giudice amministrativo e dei giudici
speciali è rilevato anche d’ufficio nel giudizio di primo grado. Nei giudizi di impugnazione
può essere rilevato solo se oggetto di specifico motivo, ma l’attore non può impugnare la
sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui adito”
Secondo la prof tale articolo riformato poteva essere scritto meglio.
L’idea rimane quella della cassazione, il rilievo d’ufficio solo in primo grado, perché se poi c’è
stato una sentenza di merito a meno che non si sia fatto applicazione del principio della ragione
più liquida, vuol dire che il giudice l’ha già esamina d’ufficio la questione di giurisdizione e
l’ha risolta con esito positivo.
Quindi in appello o in cassazione non si può più di ufficio rilevare il difetto di giurisdizione.
E quindi, come vedremo più avanti, spetta alla parte se vuole lamentarsi della giurisdizione
impugnare la sentenza facendo valere il difetto di giurisdizione.
Noi però ora facciamo riferimento al rilievo ufficioso che secondo la Cassazione e secondo la
riforma Cartabia il rilievo si può avere solo in primo grado a meno che la sentenza di primo
grado non abbia fatto applicazione del principio della ragione più liquida.
Quello che non è possibile, anche se l’art 37 c.p.c lasci questa possibilità, è di lasciare al giudice
di secondo grado la possibilità di rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione.
Se la parte interessata rimane inerte, si arrangia perché il giudice di secondo grado non ha poteri
di rilievo ufficioso.

Vista questa modifica capiamo perché c’è un po’ di delusione in questa riforma.
È difficile far credere all’Europa che noi riduciamo del 40% i tempi dei giudici civili con queste
norme.
Ora soffermiamoci sulle conseguenze se è rilevato il difetto di giurisdizione.
Partiamo dal caso più semplice quello dell’art 37—> se in primo grado, su rilievo ufficioso o
se il giudice non lo rileva in primo grado espressamente ma la parte imputa l’appello e vince e
se il giudice arriva a dire nel primo grado in appello non è la mia giurisdizione, la giurisdizione
spetta al Tar Piemonte, quali sono le conseguenze?

Fino ad una 10ina di anni fa erano ipotesi molto problematiche, poi però si è introdotta una
norma nel 2009 nella ennesima riforma del processo civile si è introdotta una norma, che è l’art
59 della suddetta legge, nella quale si è introdotto il principio di Traslatino Judicii.
Cioè se il
giudice ordinario dice “no la giurisdizione spetta al giudice amministrativo o viceversa, se la
parte ripropone la domanda al giudice amministrativo, nel termine che gli ha indicato il giudice
ordinario, si applica la Traslatio Judicii.
Cioè il giudizio prosegue davanti al giudice amministrativo con gli effetti della domanda
giudiziale proposta davanti al giudice ordinario si prolungano.

Esempio—> se facciamo un concorso, e lo vogliamo impugnare, lo possiamo imputare senza
termine oppure c’è un termine? —> c’è un termine.
Ipotizziamo un termine di 90 giorni.
Se noi ci siamo affidati ad un avvocato che non è bravo e anziché proporre la domanda
giudiziale davanti al tribunale amministrativo, l’ha proposta davanti al tribunale di Torino,
magari il Tribunale di Torino sperando che sia veloce ci mette 1 anno per emanare la sentenza
e dire che non ha giurisdizione e di andare davanti al giudice amministrativo.
Se non ci fosse la norma sulla Traslatio Jiudicii noi saremmo in una grandissima difficoltà
perché ormai i 90 giorni sono passati, e non potremmo impugnare i risultati del concorso.
Per fortuna dal 2009 c’è il principio della Traslatio Jiudici e quindi se il giudice ordinario vi
dice “devi proporre la domanda davanti al tribunale amministrativo entro 3 mesi” e noi
rispettiamo il termine che ci viene dato, valgono gli effetti sostanziali e processuali della
domanda giudiziale proposta davanti al giudice ordinario.
È una norma importantissima perché fa salva la prima domanda giudiziale proposta davanti al
giudice errato con i suoi effetti processuali e sostanziali.

In passato, soprattutto in materia di appalti, ci sono situazioni dove non è chiaro se la


giurisdizione spetta al giudice ordinario o al giudice amministrativo, nel dubbio le parti
dovevano fare due processi, perché non c’era la Traslatio Jucìdicii con tutti i problemi del caso.
Adesso questa norma è una norma che ha risolto questo problema.

Ovviamente non c’è possibilità di traslatino Judicii nei rapporti tra giudice italiano e giudice
straniero perché sono giurisdizioni diverse.
La traslatino c’è l’abbiamo solo nei rapporti tra giudici ordinari e giudici speciali italiani.

Vediamo ora uno strumento che si chiama “regolamento di giurisdizione” che serve a dare
certezza in ordine all’esistenza o meno della giurisdizione del giudice ordinario italiano.

N.B
NON è un mezzo di impugnazione.
Immagino che audo abbiamo trattato i principi costituzionali in particolare l’art. 111 cost
abbiamo visto che la norma dice che “tutti i provvedimenti devono essere motivati.
La
motivazione serve per due cose:
1. La giustizia da noi è amministrata in nome del popolo italiano, quindi con la sentenza,
il giudice rende conto al popolo di come ha amministrato la giustizia—> funzione
extraporcessuale.
2. La motivazione serve per vedere se il giudice ha per caso sbagliato nell’emanare la
sentenza, ha sbagliato qualche ragionamento—> funzione processuale.
Se c’è
qualche cosa che non ci convince nella sentenza abbiano lo strumento delle
impugnazioni.
Ecco che il regolamento di giurisdizione NON E’ UN MEZZO DI IMPUGNAZIONE!

Dove capiamo che non è un mezzo di impugnazione?


Ora per avere un mezzo di impugnazione DOBBIAMO AVERE UNA SENTENZA DI
GRADO INFERIORE CHE è STATA EMANATA perché sennò impugno cosa?
Leggo l’art 41 c.p.c
Art. 41 c.p.c
Finchè la causa non sia decisa nel merito in primo grado, ciascuna parte può chiedere alle
sezioni unite della Corte di cassazione che risolvano le questioni di giurisdizione di cui
all'articolo 37

Quindi quando si propone un provvedimento di giurisdizione la causa non è decisa quindi la


sentenza di primo grado non c’è e quindi questo non è un mezzo di impugnazione.

È uno strumento preventivo che serve per avere certezza in ordine alla sussistenza della
giurisdizione.
Il regolamento lo può proporre sia l’attore che il convenuto.
Perché anche l’attore che invece non può proporre difetto di giurisdizione?
Esempio—> propongo domanda davanti al giudice Italiano, il convenuto si difende ed
eccepisce il difetto di giurisdizione, io invece che sono l’attore sono fermamente convinta che
ci sia la giurisdizione Italian, perché posso avere interesse a proporrò regolamento di
giurisdizione alla cassazione? 
Perché la cassazione decide una volta per tutte la questione di
giurisdizione.
Per evitare che la questione di giurisdizione torni in ballo in primo grado, in appello e poi in
cassazione.

Dopo che si è pronunciata la Cassazione sulla questione di giurisdizione ci mettiamo un punto.

Per il convenuto succede la stessa cosa—> ha convivenza a proporre il regolamento di


giurisdizione perché una volta per tutte la cassazione statuisca sul difetto di giurisdizione senza
dover fare due o tre gradi di giudizio, e sentirsi dire “è vero la giurisdizione non c’è”.

Il secondo comma dell’art 41 comm. 2 c.p.c ci da di nuovo del filo da torcere:


La pubblica amministrazione che non è parte in causa può chiedere in ogni stato e grado del
processo che sia dichiarato dalle sezioni unite della Corte di cassazione il difetto di
giurisdizione del giudice ordinario a causa dei poteri attribuiti dalla legge all'amministrazione
stessa, finchè la giurisdizione non sia stata affermata con sentenza passata in giudicato.

Questo è un caso gravissimo è un caso in cui la PA che non è parte del giudizio, è ammesso a
proporre il regolamento giurisdizione nei casi in cui si chiede al giudice ordinario un’attività
che è attività che invece spetta al potere esecutivo.
Esempio—> io ho chiesto al giudice ordinario il rilascio della concessione edilizia, il giudice
ordinario, non si avvede come le parti che non è un caso di sua competenza, la situazione è
talmente grave che il nostro ordinamento legittima la PA a proporre regolamento di
giurisdizione.
Anche qui il secondo comma NON SI RIFERISCE ai rapporti tra GIUDICE ORDINARIO e
GIUDICE AMMINISTRATIVO.
Ma si riferisce ai poteri che spettano all’uno o all’altro.
Il caso del concorso fatto prima rientra nel primo comma, non è così grave da essere inserito
nel secondo.

Poi come si svolge il regolamento di giurisdizione lo guardiamo sul manuale, quello che qui
interessa è che noi abbiamo due procedimenti, uno di merito e uno pendente davanti alla Corte
di Cassazione.
Esempio—> io propongo nei confronti di Caio, una domanda al pagamento di una somma di
denaro.
Caio dice, “No la giurisdizione spetta al giudice francese” così propone regolamento di
giurisdizione.
In questo modo abbiamo un giudizio di merito che è quello in cui io chiedo a Caio il pagamento
di una somma di denaro, e il procedimento in Cassazione che ha ad oggetto la sola questione
di giurisdizione.
Sul punto —>

l’art 367 c.p.c


Una copia del ricorso per cassazione proposto a norma dell'articolo 41, primo comma, è
depositata, dopo la notificazione alle altre parti, nella cancelleria del giudice davanti a cui pende
la causa, il quale sospende il processo se non ritiene l'istanza manifestamente inammissibile o
la contestazione della giurisdizione manifestamente infondata. Il giudice istruttore o il collegio
provvede con ordinanza.

dice come si organizzano i rapporti tra giudizio di merito e regolamento di giurisdizione.


Il giudice di merito sospende il giudizio, cioè ferma se ritiene che l’istanza di regolamento di
giurisdizione non sia manifestamente inammissibile o la contestazione manifestamente
fondata.
Quindi il giudice adito lo ritiene opportuno, sospende il giudizio di merito fino alla pronuncia
della Corte di Cassazione sulla questione di giurisdizione.
Oppure il giudice di merito può anche dire di non sospendere perché secondo lui l’istanza è
infondata.
—>Esempio alla lavagna (minuto 38.00)—> non si capisce.
Questo è il caso più semplice.

Però l’art 367c.p.c dice però che il giudice di merito sospende se pensa che la contestazione
della giurisdizione non sia manifestamente infondata.
Ipotizziamo però che il Tribunale di Torino sia convinto che esiste la giurisdizione italiana
quindi non sospende.
Se non sospende cosa succede? Che i due giudizi corrono paralleli.
Abbiamo due giudizi, uno a Torino e uno a Roma (la Cassazione è a Roma) che vanno avanti
paralleli.
—>
Nel caso più fortunato è che finisce prima il regolamento di giurisdizione, se finisce prima il
regolamento di giurisdizione, il tribunale di Torino recepisce il contenuto dell’ordinanza
conclusiva del regolamento di giurisdizione si adatta e o chiude in rito il processo o va avanti
senza alcun problema.
—>
Nel caso più difficile:
I due processi corrono paralleli.
Il tribunale di Torino non ha sospeso e finisce prima cioè emette la sentenza di primo grado
con la quale decide nel merito la controversia.
Dopo che è stata emanata sentenza di primo grado, la Cassazione conclude il suo giudizio con
ordinanza.
A quel punto se la Cassazione ha ritenuto che esiste la giurisdizione italiana nulla quesito,
perché le due decisioni sono coordinate.
Il problema sorge se il provvedimento si conclude nel senso che non c’è la giurisdizione
italiana.
Bisogna capire allora qual’è il rapporto tra il provvedimento di giurisdizione e la sentenza di
primo grado.
Ora immaginiamo che il regolamento di giurisdizione arriva proprio quando è scaduto il
termine per proporre l’appello.
Come si regolano i rapporti tra queste due decisioni?
Il contenuto dei due provvedimenti è correlato—> NO uno è di rito e l’altro è di merito e il rito
è pregiudiziale al merito.
I due provvedimenti si coordinano con una norma fantastica che è l’art 336 comm sec. c.p.c.
Art 336 c.p.c
La riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla
sentenza riformata o cassata.

Tale art. lo prendiamo in prestito dall’ordinamento francese e funziona in questo modo:


Il secondo comma si occupa dei provvedimenti che sono pendenti l’uno dall’altro, ed è proprio
il nostro caso perché come ci siamo detti il regolamento di giurisdizione riguarda la
giurisdizione e la sentenza di merito riguarda il merito.
E ci siamo detti che in tanto un giudice può decidere nel merito in quando c’è la giurisdizione.

In riferimento all’art 336c.p.c quando ci sono due provvedimenti tra di loro dipendenti la
ceducazione di uno comporta la caducazione anche dell’altro.
In altri termini la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e tagliati
dipendenti della sentenza riformata o cassata che vuol dire—> se il regolamento di
giurisdizione si è concluso nel seno che non esiste la giurisdizione italiana questa mancata
esistenza della giurisdizione italiana produce effetti anche sulla sentenza di primo grado.
Non bisogna fare nulla, è un effetto domino 
Esempio—> dei libri fatto in classe con il
manuale di Luiso (48.00 minuto)
Questo è l’effetto dell’art 336 c.p.c e cii consente nel nostro ordinamento di non avere due
provvedimenti che sono contraddittori.
Grazie a questo articolo noi non abbiamo bisogno di fare niente, non dobbiamo imputare, è un
effetto domino, automatico che serve per riequilibrare il sistema.
Provvedimento che non è presente in procedura penale.

Dal minuto 50 a 55 risposta alla domanda della collega che non si capisce qual’è stata.

Qual’è il valore aggiunto che dà la pronuncia della cassazione?


La Corte quando decide una questione di giurisdizione statuisce su questa, vuol dire che la sua
pronuncia ha valore vincolante per tutti i giudici inferiori.
Per cui nessuno può più rimettere in discussione la statuizione della corte di Cassazione in
materia di giurisdizione.

C’è un seguito che non si trova nei manuali di diritto processuali e che invece è un dato che
può essere interessante per la vita pratica.
La corte di giustizia, ha aggiustato il tiro dell’art 382 c.p.c
La Corte di Giustizia ci ha detto—> raccontiamo il caso perché è più semplice.
—> Caso Italiano di Interedil.
Interedil è un’azienda con sede a Monopoli che a un certo
punto trasferisce la sua sede legale da Monopoli a Londra.
Interedil fallisce e quindi le banche
chiedono l’apertura della procedura di insolvenza, che è una procedura particolare, avanti al
tribunale di Bari, con il presupposto che l’impresa avesse sede legale a Monopoli.
Interedil
dice “no non c’è giurisdizione italiana perché io prima che fosse proposta domanda giudiziale
ho trasferita la mia sede legale a Londra e sono iscritta nel registri delle imprese inglesi", quindi
la mia sede non è più in Italia e quindi non c’è la giurisdizione italiana.
Ne nasce una
controversia e una delle due parti propone regolamento di giurisdizione davanti alla Corte di
Cassazione per stabilire se ci fosse la giurisdizione italiana.
La Corte con Regolamento di
giurisdizione statuisce che la giurisdizione Italian c’è perché la Interedil aveva ancora dei beni
a monopoli, quindi è ancora collegata all’Italia e quindi ha giurisdizione italiana.
La storia dovrebbe essere conclusa.
Ma il Tribunale di Bari, che era convinto del fatto che
non ci fosse la giurisdizione Italiana dice “la Giurisprudenza della Corte di Giustizia che mi
dice che qui la giurisdizione, essendo in ambito di crisi di impresa, si basava su un regolamento
europeo”.
Quindi il Tribunale di Bari si lamenta che la Cassazione non ha applicato delle
pronunce della Corte di Giustizia che chiariscono che bisogna fare la causa nel luogo dove la
società è iscritta nei registri.
Allora il Tribunale di Bari propone rinvio pregiudiziale interpretativo.
Il giudice ha la possibilità di chiedere lui alla corte di giustizia tramite rinvio pregiudiziale
interpretativo.
Qua sorge già il primo problema, perché l’art 382 c.p.c dice che la cassazione statuisce quindi
l’idea è che dopo la cassazione statuisce tu giudice non ti dovresti porre neanche il problema
di dire avrà fatto bene o avrà fatto male.
La Corte di Giustizia dice al Tribunale di Bari che ha fatto bene perché non c’è nessuna norma
nazionale, come l’art 382 c.p.c che ti priva della possibilità di effettuare rinvio pregiudiziale.
Perché quello lo prevede il trattato.
In fine la corte di Giustizia dà anche una bella bacchettata alla nostra corte di Cassazione.

La causa Interedil è finita che la Corte di Giustizia ha ribadito la sua regola e il Tribunale di
Bari ha dichiarato il difetto di giurisdizione in barba alla corte di cassazione che aveva statuito
con il regolamento di giurisdizione.

LA COMPETENZA
Altro presupposto processuale.
Mentre la giurisdizione riguarda il potere di decidere la controversia, la competenza è il
presupposto che viene dopo, è la parte di giurisdizione che spetta a ciascun giudice.
Per vedere il giudice competente dobbiamo applicare due criteri:
1. Competenza verticale
2. Competenza orizzontale
Esempio—> la corte di cassazione ha detto che c’è giurisdizione Italiana, ma quale tra i giudici
ordinari italiani è competente per la nostra causa?
Noi abbiamo nel nostro ordinamento il Giudice di Pace e il Tribunale che sono tutti e due
giudici di primo grado.
Se ho un credito di 1 milione di euro come faccio stabilire se devo
andare dal Giudice di Pace o al Tribunale?
Ci sono due criteri di competenza verticale che il legislatore utilizza che sono:
1. Competenza per materia
2. Competenza per valore
Si deve andare a vedere gli artt. 7 e 9 de c.p.c e verificare se per caso qui non c’è un criterio di
competenza per materia che aiuta.
E nel nostro caso non c’è, se fosse invece stata una causa di divorzio la competenza per materia
è del tribunale, se fosse stata una causa che riguarda i confini tra i fondi, c’è una competenza
per materia del giudice di pace.
Essendo che però nel nostro caso abbiamo una somma di denaro mutuata, non troviamo negli
artt 7-9 non troveremo nessuna competenza per materia che si occupa del mutuo.

Allora non rimane che vedere il criterio residuale della competenza per valore.
E della competenza per valore se noi abbiamo 1 milione di euro non c’è dubbio che la
competenza per valore spetta al Tribunale.
Perché se noi andiamo a vedere le norme sulla competenza per valore del Giudice di Pace, oggi
trovate che esso ha la competenza fino a 5000 euro.

Con la Riforma Cartabia però il Giudice di Pace avrà una competenza di valore estesa fino a
15.000 euro e per le controversie che riguardano la circolazione di veicoli latenti oggi al
competenza del Giudice di Pace è fino a 20.000 euro domani sarà fino a 30.000 euro.

Il problema è stabilire ora quale tribunale?


Per questo problema mi aiutano i criteri di competenza orizzontale—>
Art 18 c.p.c
Salvo che la legge disponga altrimenti, è competente il giudice del luogo in cui il convenuto
ha la residenza o il domicilio, e, se questi sono sconosciuti, quello del luogo in cui il convenuto
ha la dimora.

Nel nostro esempio, il convenuto è residente e domiciliato a Torino, quindi il Giudice


territorialmente competente è Torino.
Nel nostro caso c’è una coincidenza tra criterio di competenza e quello di giurisdizione del
regolamento 1215/2012. 
Ma una delle novità della normativa europea è che il criterio
determinante della giurisdizione non è più la nazionalità ma il territorio, perché non si poteva
fare diversamente nell’Ue, quindi si sono prese le norme sulla competenza Territoriale e le si
sono utilizzate come norme di giurisdizione tanto è vero che in France o in Tedesco non si
parla di giurisdizione ma di competenza.
Ecco perché c’è coincidenza.

Come si determina il valore della causa?


Dalla domanda giudiziale, quindi la domanda giudiziale è importante non solo per la
perpetuatio Jiurisditioni ma anche perché il valore della controversia si basa sulla domanda
giudiziale.
Elisa Versino
Diritto processuale civile
Lezione n°10 del 17/10/2022

La settimana passata avevamo iniziato a vedere la competenza, vi ricordate abbiamo detto che il
secondo presupposto processuale attinente al giudice è la competenza e avevamo detto che ci sono
dei criteri di competenza verticale e orizzontale, il compito da fare per casa era leggersi i criteri di
competenza verticale per materia e per valore (articoli 7 e 9 cpc) e leggersi anche le norme dell’art.
18 e seguenti, che sono le norme che disciplinano i criteri di competenza territoriali.
Ora, oggi, chiudiamo il discorso sulla competenza con due precisazioni: la prima che faccio prima
delle 8.30 perché è una precisazione di dettaglio, e cioè che se voi leggete le norme sulla giurisdizione
del regolamento 1215 del 2012 che abbiamo esaminato la volta scorsa, voi, troverete che alcune
norme, come l’art.4 (foro generale) vi dice che la competenza è soggetta ai giudici, plurali, dello Stato
dove il convenuto ha il domicilio, ed è questo un dato di dettaglio, nel senso che ve lo do per
completezza ma che naturalmente all’esame non viene chiesto, perché è una cosa che riguarda più
che latro il diritto processuale europeo, ma secondo me ai fini dell’attività di avvocato è utile. E quindi
dicevo alcune norme del regolamento 1215 del 2012, se voi le leggete mi riferisco in particolare
all’art.7, fanno riferimento al giudice al singolare, perché sono norme che riuniscono insieme la
giurisdizione e la competenza; infatti, si chiamano norme sulla competenza giurisdizionale. In quei
casi il regolamento 1215 non vi detta solo una regola sulla giurisdizione, ma anche una regola sulla
competenza territoriale, e questo non è strano perché ci siamo detti la settimana scorsa che le norme
del regolamento 1215 prendono in considerazione il domicilio, come criterio per la giurisdizione,
perché non poteva esserci altro criterio all’interno del contesto del regolamento 1215 del 2012, non
poteva essere la nazionalità. Allora è chiaro che le norme sulla competenza territoriale sono utilizzate
nel regolamento1215 come norme sulla giurisdizione, e allora potete avere il caso che è quello degli
art. 7 del reg.1215 del 2012 in cui il regolamento vi detta le norme sulla giurisdizione, che sono anche
norme sulla competenza territoriale, per cui voi non dovete più utilizzare le norme sulla competenza
territoriale del codice di procedura civile.

Questa è una precisazione che ho fatto prima dell’inizio della lezione per completare il discorso sulla
competenza territoriale, e oggi quello che c’era rimasto da fare era esaminare l’art. 14 del cpc (perché
la settimana scorsa ci eravamo fermati all’art.10), in base al quale il valore della causa, ai fini della
competenza, si determina dalla domanda giudiziale. Allora a questo punto sono le 8,30 e cerchiamo
di fare una cosa organizzata. Lasciatemi fare una premessa, sono riuscita a prenotare l’aula per
l’esonero, non è di sabato ma giovedì 26 gennaio. Attenzione, lo faremo la mattina del 26 gennaio e
sarà riservato ai frequentanti, quindi ora passa un foglio (nota bene: l’aula ha 150 posti, io non voglio
trovare scritto qua dentro 200 nomi perché lo annullo). Ci saranno altre occasioni. Dunque, chi è
malato oggi, chi è nel gruppo di sbobinatura, chi non è presente oggi…non mandate mail al docente,
avremo altre due occasioni per le iscrizioni all’esonero.

Dunque, noi ora ci dobbiamo occupare di stabilire come si determina il valore della controversia,
perché la competenza ci siamo detti è un presupposto processuale, ma come si determina il valore
della controversia? L’art. 10 vi dà un indizio, vi dice che si guarda a quanto è scritto nella domanda
giudiziale e poi dopo l’art. 10 trovate due norme, che sono gli articoli 14 e 15 che vi aiutano a stabilire
come si determina il valore di cause relative a beni immobili e come si quantifica il valore delle cause
relative a somme di denaro e a beni mobili. Allora, l’art.10 vi dice che il valore della causa si
determina dalla domanda, se nella domanda giudiziale c’è scritto che la causa riguarda un bene
immobile (ad esempio la rivendicazione della proprietà di un immobile sito in Torino, in via Lungo
Dora Siena 100, il Campus Einaudi; come lo stabilisco il valore dell’immobile? Ve lo dice l’art.15 ed
è una modalità abbastanza semplice: si tratta di fare dei calcoli matematici. Si stabilisce moltiplicando
il reddito dominicale del terreno per un certo numero; quindi, sul valore delle cause relative a beni
immobili c’è da fare un’operazione matematica, ma diciamo è un’attività abbastanza semplice.
Molto più complicato è il caso delle cause relative a somme di denaro e/o beni mobili, perché l’art.14
del cpc vi dice che il valore si determina in base alla somma indicata o al valore dichiarato dall’attore.
Poi vi dice: in mancanza di indicazioni o dichiarazione la causa si presume di competenza del giudice
adito, il convenuto può contestare ma soltanto nella prima difesa il valore come sopra dichiarato
presunto, in tal caso il giudice decide, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli
atti e senza apposita istruzione. Se il convenuto non contesta, allora il valore dichiarato presunto
rimane fissato anche agli effetti del merito, nei limiti della competenza del giudice adito. Quindi la
regola generale è che il valore di queste controversie si determina in base a quanto indicato dall’attore
nella domanda giudiziale. Se il convenuto non contesta tale valore questa competenza rimane fissata
anche ai fini del merito. Cioè se l’attore dice: tu convenuto mi devi restituire la somma di 50.000
euro, è quello il valore della controversia che si tratta. Se l’attore non indica il valore della causa, il
che potrebbe essere quando la causa riguarda beni mobili, es. restituiscimi il quadro di Van Gogh, ma
senza dichiararne il valore. In quel caso la causa si presume di competenza del giudice adito e se il
convenuto non contesta il valore indicato dall’attore o presunto in base all’art.14 comma I, cioè se
non dichiari il valore la competenza si presume quella del giudice adito, allora la norma dice che il
valore rimane quello fissato anche agli effetti del merito, nei limiti della competenza del giudice adito.
Il problema si pone essenzialmente solo con il giudice di pace, perché il Tribunale può dare da 0 a un
valore indeterminato, può attribuire tutte le quantità di denaro. Mentre il giudice di pace ha una
competenza per valore con un massimale, che al momento è di 5000 euro o 20.000 per le controversie
derivanti dalla circolazione dei beni mobili. Questa è la struttura dell’art.14, se appunto la domanda
è proposta davanti al Giudice di Pace e se il convenuto non contesta il valore della controversia, dice
la norma, il valore della controversia rimane fissato, anche agli effetti del merito, nei limiti della
competenza del giudice adito. Significa che quella causa rimane alla competenza del Giudice di Pace
e se è una causa per relativa somma di denaro, il Giudice di Pace non potrà attribuire all’attore più di
quanto la sua competenza per valore permette. Perché vedete, c’è una differenza tra causa relativa a
somma di denaro e causa relativa a beni immobili. Perché, diciamo, se si discute pure della proprietà
di beni immobili, il valore del bene immobile non è così tanto rilevante per il merito della
controversia, perché quello che interessa alle parti è capire chi sia il proprietario del bene mobile,
mentre nelle cause relative a somma di denaro il valore della controversia ha un duplice rilievo, perché
serve per la competenza (sapete che c’è una differenza di competenza per valore tra Giudice di Pace
e Tribunale) ma il valore del credito rileva anche per il merito, perché l’attore quando chiede 50.000
euro al convenuto li vuole anche al fine del merito, cioè quei 50.000 euro rilevano per la competenza
e rilevano ai fini del merito. Questo è un concetto che ritroveremo. Ecco, quando si parla di duplice
rilevanza, in diritto processuale civile, ci si esprime in termini di “elemento a doppia rilevanza”:
rileva per il rito (competenza), rileva per il merito (valore del credito demandato dal creditore attore
nei confronti del debitore convenuto). Ecco, tutte le volte che si è in presenza di un elemento a doppia
rilevanza, come in questo caso, nel diritto processuale civile si applica una regola semplicissima che
è la seguente: per il rito ci si basa sulle affermazioni dell’attore, per quanto riguarda il merito si va
poi a fare l’istruttoria e ovviamente se le affermazioni dell’attore non sono veritiere, la conseguenza
sarà il rigetto del merito della domanda dell’attore. Totale o parziale rigetto. Il rigetto nel merito è
molto peggio del rigetto in rito, perché mentre le pronunce di rito non hanno valore preclusivo, per
cui la domanda giudiziale può essere riproposta, se c’è stata invece sentenza di merito passata in
giudicato, vale la regola per cui non si può avere due volte un processo sullo stesso oggetto, vale il
ne bis in idem. Per questo tutte le volte che siamo in presenza di un elemento a doppia rilevanza prima
ci si basa sulle affermazioni dell’attore, e per il merito si va a fare l’istruttoria. Questa è una regola
generale, la ritroveremo anche tra poco. E allora voi capite bene che nelle cause relative a somme di
denaro o beni immobili, l’elemento a doppia rilevanza ce l’avete solo nelle alle cause a somma di
denaro, in quelle di beni immobili il valore non è rilevante, ciò che interessa se rivendicate in giudizio
la proprietà di un bene mobile è sapere chi è proprietario, il valore è rilevante ma non ai fini del
merito. Rileva per l’attore perché preferisce averlo il quadro di Van Gogh che no. E quindi non è un
elemento a doppia rilevanza. Dunque, non si applica la regola per cui per il rito ci si basa su
affermazione dell’attore, mentre per il merito ci si basa su chi fa l’istruttoria. Infatti, il secondo comma
che trovate indicato all’articolo 14 è una norma che vale essenzialmente per le cause relative a beni
immobili. Il convenuto può contestare il valore come sopra dichiarato presunto, in tal caso il giudice
decide in base a quello che risulta dagli atti e senza apposita istruzione. Cioè, come dire, è una
procedurazione che si fa in riferimento alle cause relative a beni mobili, perché con riferimento alle
cause relative a somme di denaro, essendo sì in presenza di elementi a doppia rilevanza, la regola
generale è già quella per cui ci si basa sulle affermazioni dell’attore senza che il giudice debba andare
a verificare con apposita istruzione.
Quindi questa è la caratteristica dell’art 14 del cpc. Con riferimento alla competenza per territorio,
perché ormai ci siamo detti la volta scorsa e ormai lo sapete già che le regole di competenza si
dividono in competenza per valore e per territorio. Abbiamo nell’inizio di questa lezione determinato
come si stabilisce il valore di una controversia.
Per quanto riguarda la competenza del territorio sappiate che così come è consentito derogare alla
giurisdizione del giudice italiano, per accordo delle parti, (l’abbiamo visto la volta scorsa, se la
controversia riguarda diritti disponibili) allo stesso modo è possibile accordarsi fra attore e convenuto
per attribuire la competenza territoriale ad un certo giudice, a meno che non si tratti di competenza
inderogabile, e l’art. 28 ve lo dice quali sono i casi di competenza inderogabile, cioè le cause in cui
c’è presenza necessaria del pm: l’esecuzione forzata, i procedimenti cautelari, i procedimenti
possessori e i procedimenti in camera di consiglio. Diciamo, in generale, ai fini dell’esame basti
sapere che la competenza territoriale è derogabile, ma ci sono casi in cui è possibile per le parti
derogare a tale competenza ma solo nei casi stabiliti dall’art.28. vedete che l’accordo delle parti per
la deroga della competenza territoriale, deve riferirsi a uno o più fori determinati, e risultare dato
scritto. L’accordo non attribuisce al giudice designato una competenza esclusiva quando ciò non è
espressamente stabilito. A differenza di quanto accade in materia di giurisdizione dove si presume
che gli attribuisca la giurisdizione esclusiva al giudice designato, almeno per quanto riguarda gli
accordi in deroga alla giurisdizione dei regolamenti europei. Qui se lo si specifica espressamente, è
un foro territoriale ulteriore rispetto quello scelto dalle parti, e individuabile dalla legge. Se invece
risulta espressamente che è una competenza esclusiva voi dovete necessariamente rivolgervi a quel
giudice. Come sapete le clausole sulla competenza territoriale sono considerate clausole vessatorie o
abusive se riguardano il consumatore; quindi, vanno soggette alla stessa regola che conoscete dai
vostri studi di diritto privato.

Ora, possibilità di rilievo del difetto di competenza, a me interessa che ricordiate questo: che
l’eccezione di competenza territoriale derogabile non la può rilevare il giudice d’ufficio, il giudice
d’ufficio può rilevare l’incompetenza per materia, per valore e per territorio quando si tratta di
competenza territoriale non derogabile. L’eccezione di competenza territoriale derogabile la può
rilevare solo la parte, per una ragione che ormai voi sapete: perché se è possibile derogare
espressamente la competenza territoriale, il fatto che il convenuto si costituisca in giudizio e non
eccepisca il difetto di competenza territoriale vuol dire che tacitamente si accorda con l’attore e
accetta la competenza territoriale del giudice davanti al quale il processo è prendente, anche se non
sarebbe quello che, in base alle disposizioni di legge, deve decidere di quella controversia. Ecco
perché l’eccezione di competenza territoriale derogabile non è tra quelle per cui il giudice ha poteri
di rilievo ufficioso.
Ora ci manca da studiare il regolamento di competenza, attenti bene, primo dato: voi conoscete per
ora il regolamento di giurisdizione che non è, ci siamo detti, un mezzo d’impugnazione ma uno
strumento preventivo. Viceversa, il regolamento di competenza è un mezzo di impugnazione. Un
mezzo di impugnazione che trovate indicato tra i mezzi di impugnazione del codice di procedura
civile e la cui decisione spetta alla Corte di Cassazione. È regolamentato dall’art. 42 43 del cpc. E si
distingue in regolamento necessario e facoltativo di competenza. Allora io qui all’esame trovo di tutto
negli scritti, regolamento necessario di competenza perché? Ci dovete ragionare. Il regolamento
necessario di competenza è il provvedimento, il mezzo di impugnazione che può essere utilizzabile
nei confronti delle decisioni che non decidono il merito della causa, cioè delle ordinanze con e quali
il giudice rigetta la domanda in rito, per carenza di competenza. E voi mi direte ma perché qui c’è
un’ordinanza se lei ha detto dall’inizio del corso, che il giudice chiude il processo pendente davanti
a sè con una sentenza? Perché il nostro legislatore a un certo punto, in uno degli innumerevoli tentativi
che aveva fatto per ridurre la durata del processo civile, a un certo punto si era convinto che
l’ordinanza, che come la sentenza è motivata, ma la norma vi dice: succintamente motivata, si era
convinto che costringendo il giudice a pronunciare un’ordinanza piuttosto che una sentenza, in tutte
le volte che avesse chiuso un processo per incompetenza, il giudice avrebbe potuto motivare un po’
di meno, guadagnando tempo per essere più produttivo. Ora sospendo ogni giudizio sull’efficacia
pratica che ha avuto questa modifica, in termini di riduzione del processo civile, pari a zero. qui però
è rimasta questa contraddizione, per cui, ad oggi quando il giudice chiude in rito il processo per difetto
di competenza lo fa con ordinanza anziché con sentenza, non cercate di trovarci una spiegazione
logica perché non c’è. La spiegazione è solo storica. Quindi tutte le volte in cui il giudice di primo
grado, tribunale di Torino, chiude in rito il processo perché dice che ad essere competente è un altro
giudice, allora in quel caso l’impugnazione è il regolamento necessario di competenza. Necessario
perché è l’unico strumento che avete a disposizione, visto che l’appello o altro mezzo di
impugnazione presuppone un provvedimento di merito. Intatti l’art 43 vi dice che il provvedimento
che ha pronunciato sulla competenza, insieme con il merito, può essere impugnato con istanza di
regolamento di competenza oppure nei modi ordinari. Ora la mia domanda per voi è: quel
provvedimento che ha pronunciato sulla competenza insieme con il merito sarà un provvedimento
con il quale il giudice dichiara o nega la propria competenza? Dichiara la competenza, perché se
decide nel merito, per la regola che ci siamo detti la volta scorsa, vuol dire che ritiene di essere
competente e quindi decide nel merito. A quel punto voi avete una sentenza del tribunale di Torino
che dirà: accertata la competenza del giudice adito condanno la Prof.ssa D’Alessandro a restituire
50.000 euro di somma mutuata all’attore tizio. Questa è la sentenza che avete e voi, cioè, io che sono
soccombente, ho davanti due possibilità: o utilizzo il regolamento facoltativo di competenza, oppure
proporre appello perché il provvedimento che ha pronunciato sulla competenza assieme con il merito
può essere impugnato con istanza di regolamento di competenza, oppure nei modi ordinari, e il modo
ordinario è l’appello. Quindi io ho davanti a me o il regolamento di competenza o l’appello. È una
scelta strategica del soccombente: se il soccombente pensa che il giudice abbia sbagliato a decidere
nel merito ed è convinto di poter vincere nel merito, proporrà l’appello perché è chiaro che per me è
più utile vincere nel merito piuttosto che sulla competenza. Ma se invece io so che sul merito sono
traballante perché effettivamente questi soldi li devo, e voglio come dire guadagnare un po’ di tempo,
penso di poter vincere sulla questione della competenza, allora mi conviene strategicamente proporre
il regolamento facoltativo di competenza per far censurare alla corte di Cassazione la sola decisione
sulla competenza. Per ora prendete solo per buono questo primo comma, gli altri che riguardano i
rapporti fra regolamento di competenza e l’appello, in particolare l’art. 43 ultimo comma, per ora
lasciatelo stare, lo rivedrete quando avremo fatto l’appello perché se lo studiate ora è molto
complicato per voi. A me basta che ricordiate qual è la differenza fra regolamento necessario e
facoltativo di competenza e vi giuro che io ho trovato scritto nei compiti regolamento necessario è
quando si fa valere per incompetenza per materia e valore, e facoltativo quando si censura la
competenza territoriale, non me le scrivete queste cose. Piuttosto lasciatelo in bianco, perché
peggiorano la situazione. Nessuno vi chiede uno sforzo di memoria perché se avete capito gli istituti
ve lo ricordate perché è necessario e perché è facoltativo. Lo decide sempre la Corte di Cassazione
secondo regole procedurali, che naturalmente qui non richiamiamo perché durante le lezioni noi ci
occupiamo solo di ( vi invito a rileggere le norme sulla sulla proposizione del regolamento di
competenza) ma noi qua a lezione ci occupiamo solo delle parti complicate, quelle che necessitano
di spiegazione. È chiara la differenza tra regolamento necessario e facoltativo di competenza? E
soprattutto è chiaro il perché si tratta di mezzo di impugnazione? Questa volta abbiamo una pronuncia
di rito o di merito che si impugna.
Ora cerchiamo di capire quali sono gli effetti dell’ ordinanza che pronuncia sulla competenza, quindi
abbiamo visto che esiste un mezzo d’ impugnazione, sappiamo che le decisioni della Corte di
Cassazione sulla giurisdizione e sulla competenza hanno una valenza vincolante anche al di fuori del
processo nel quale sono state pronunciate, e ritorna la norma abbiamo visto sulla giurisdizione che
vale anche per la competenza ed è questa: la Corte quando decide una questione di giurisdizione, o
di competenza statuisce su questa e vale anche per la competenza, mette quindi la parola fine alla
questione sulla competenza. A casa leggete l'articolo 47 e 49 48 e 49 del cpc in particolare però ora
noi ci soffermiamo sull’art. 49, che dice: con l’ ordinanza sul regolamento di competenza la Corte di
Cassazione statuisce sulla competenza, cioè ci dice una volta per tutte chi è il giudice. È chiaro?
Quindi voi se avete un regolamento di competenza avete una decisione della Corte di Cassazione che
statuisce sulla competenza e ci dice una volta per tutte con valenza, anche al di fuori di quel
procedimento, e la valenza si chiama panprocessuale, chi è il giudice competente. ora però noi
facciamo un passettino indietro e torniamo, per aver presente tutti e due passaggi, torniamo alla nostra
ordinanza del tribunale di Torino con il quale ci dice che non è lui competente, l'articolo 44 del codice
di procedura civile dice che l'ordinanza dichiara l'incompetenza del giudice che l’ha pronunciata,
quindi voi vi dovete immaginare l'ordinanza con il quale il tribunale di Torino dice io non sono
competente, vedete se non è impugnata con il regolamento di competenza rende incontestabile
l'incompetenza dichiarata, e la competenza del giudice in essa indicato, se la causa è riassunta nei
termini di cui all'articolo 50 salvo che si tratti di incompetenza per materia, o di incompetenza per
territorio, nei casi previsti dall'articolo 28. Non vi preoccupate, facciamo l’esempio subito:
immaginiamo che io chiedo 50.000 € alla vostra collega in prima fila e la cito davanti al Tribunale di
Torino, il Tribunale di Torino dice no, io non sono competente perché la vostra collega immaginiamo
è domiciliata o è residente a Milano quindi dice cara professoressa devi andare davanti al tribunale di
Milano, a quel punto io che sono la soccombente, colei che ha perso perché il giudice si è dichiarato
incompetente, posso come prima soluzione proporre regolamento di competenza, che è necessario di
competenza perché questo è un'ordinanza sulla competenza, a quel punto la Corte di Cassazione
stabilisce se il tribunale di Torino è competente oppure no, questa è la prima alternativa. Se invece
non faccio niente, quali sono le conseguenze me lo dice l'articolo 44, mi dice se non c'è impugnazione
l'ordinanza rende incontestabile l’incompetenza dichiarata e la competenza del giudice in essa
indicatoa se la causa è riassunta nei termini di cui all'articolo 50. Ora noi immaginiamoci che il
tribunale di Torino mi dica, dato che la competenza è del tribunale di Milano, riassumi davanti al
tribunale di Milano la causa entro il termine di tre mesi, fa così perché se io riassumo nel termine di
tre mesi davanti al Tribunale di Milano ho la salvezza degli effetti sostanziali e processuali della
domanda giudiziale. L'articolo 50 mi consente la traslatio iudicii, è vantaggiosa perché mi fa
beneficiare degli effetti sostanziali e processuali della della prima domanda giudiziale, il fatto che io
abbia sbagliato giudice non mi fa perdere tempo dal punto di vista processuale e non mi non mi fa
incorrere in alcun pregiudizio perché questo meccanismo, che si chiama traslatio iudicii, mi fa
diciamo realizzare il tempo necessario per riproporre. La riassunzione è un atto di impulso
processuale, non è proprio una domanda giudiziale, diciamo è un fare tutto quanto necessario, per
riattivare il giudizio davanti al giudice competente se lo faccio è come se la domanda giudiziale
l’avessi proposta davanti al tribunale di Milano, si ha beneficio della salvezza degli effetti processuali
e sostanziali della prima domanda giudiziale, è un’ancora, una rete di salvezza l’art. 50, che mette al
riparo dagli errori dell’avvocato e dell’individuazione del giudice competente. Se Io non impugno
con il regolamento necessario di competenza l’ordinanza del tribunale di Torino quali sono gli effetti?
La norma dice che si rende incontestabile l’incompetenza dichiarata e la competenza del giudice in
essa indicato. Siccome nel mio esempio il giudice del tribunale di Torino si dichiarava incompetente
per il territorio, ed era una competenza territoriale derogabile, se io non impugno la decisione quella
competenza diventa incontestabile, e allora quando io vado davanti al tribunale di Milano non potrà
dire che è competente per il territorio Firenze, ma dovrà decidere la causa nel merito o comunque
dovrà dare per scontata l’esistenza della competenza territoriale. Il tribunale poi verificherà se ci sono
gli altri presupposti processuali, questo vuol dire l’art. 44.
Faccio un altro esempio: immaginiamo che io la causa la propongo anziché al tribunale di Torino, Al
Giudice di Pace di Torino, il quale me la rigetta dicendomi no caro qui la competenza per valore è
del tribunale, mi rigetta la domanda in rito per incompetenza per valore dicendo che qui la somma
che ha chiesto eccede la mia competenza per valore, il rigetto per incompetenza si può avere per
materia, valore o territorio. Anche qua ho la possibilità di proporre regolamento necessario di
competenza, se lo faccio sarà la Cassazione che mi dirà chi ha ragione e chi ha torto, a chi spetta la
competenza per valore, ma se non lo faccio a chi spetta la competenza? Qui attenzione e perché art
44 dice che quando si tratta di incompetenza per materia, ma al giurisprudenza lo estende anche al
valore, Aspettate Facciamo l’esempio del codice così lo capite meglio: immaginiamo che io chiedo
nei confronti di tizio, facciamo proprio l'esempio dell'avvocato che chieda procedimento disciplinare
perché non sa niente, immaginiamo che io chiedo il divorzio nei confronti di tizio e lo chiedo davanti
al giudice di pace, però un altro esempio è la causa di apposizione di confini ma facciamo questo che
è proprio di scuola, il giudice di pace dice no cara professoressa perché per le cause di divorzio la
competenza per materia spetta al tribunale, cosa posso fare io? Regolamento necessario di
competenza ma se non lo faccio perché mi vergogno del mio avvocato, a quel punto il giudice dirà tu
hai un termine di tot giorni, tre mesi per riproporre la domanda giudiziale di riassumere la causa
davanti al tribunale di Torino. Il tribunale di Torino può contestare la decisione del giudice di pace
che dice di non essere competente? Teoricamente l’art. 44 lo consente, quando si tratta di
incompetenza per materia, e la giurisprudenza aggiunge per valore, ma io preferisco farvi l’esempio
sul codice. Il giudice davanti al quale è rimessa la causa può contestare la decisione, e allora l’art. 45
ci dice, “quando in seguito a l'ordinanza che dichiara l'incompetenza del giudice adito per materie o
territorio la causa è riassunta davanti ad altro giudice, e se questo ritiene di essere a sua volta
incompetente richiede d'ufficio il regolamento di competenza” ora è chiaro che nell’esempio che vi
ho fatto il tribunale non potrà dire no sei tu competente per il divorzio, chiaramente il codice di
procedura civile dice che per le cause di divorzio è competente per materia il tribunale, ma nelle cause
riguardanti i diritti reali può darsi che, diciamo, ci siano delle interpretazioni poco chiare delle norme
del codice di procedura civile, non si sa se è una apposizione di confini o se è un'azione diversa e
allora ci potrebbe essere un contrasto tra i due giudici, in questi casi la norma vi parla di competenza
per materia, la giurisprudenza ci aggiunge la competenza verticale e allora lì vengono più frequenti
le ipotesi in cui c'è questa contestazione, il meccanismo che ci potrebbe essere è questo: il primo
giudice dice competente è l'altro giudice vai a litigare davanti a lui, il secondo giudice se non è
d'accordo deve sollevare d'ufficio il regolamento di competenza poi mi direte, ma come? ci ha
insegnato nella prima lezione che il processo civile è un processo diverso dal processo penale che
conoscerete, perché vale il principio della domanda di parte, il processo civile si muove su impulso
delle parti, ma in questi casi c’è un’ipotesi eccezionale in cui il giudice solleva d’ufficio un mezzo di
impugnazione, non le parti ma il giudice e perché si prevede questa ipotesi eccezionale? Perché capite
bene che se non avesse previsto l’art 45 per la parte sarebbe stato un problemino da non poco, il
rischio è un ping pong il secondo giudice dice che il primo non ha capito torna da lui e viceversa, per
evitare il ping pong se la parte non propone il regolamento di competenza, è il giudice che d’ufficio
deve sollevare il regolamento di competenza, per non far trovare in difficoltà la parte. Se vuoi avete
un’ordinanza di incompetenza questa vincolerà il giudice designato se si tratta di competenza
territoriale derogabile ma se invece siamo in tutti gli altri casi: materia, territorio e incompetenza
territoriale inderogabile, il giudice davanti al quale le parti sono invitate a proseguire il giudizio se
non è d’accordo con la decisione dell’altro giudice, perché sono giudici di pari grado, quindi ognuno
deve poter avere potere decisionale riguardo al presupposto processuale, deve sollevare d’ufficio il
regolamento di competenza e la corte di cassazione è il giudice che decide sul regolamento di
competenza. E il compito a casa è leggersi il rpocedimento che conduce all’emanazione del
regolamento di competenza. Ora ci sono domande sul regolamento di competenza?
Se non seguissi i termini indicati dall’art. 50? Avvocato dormiente, non rispetta termine dell’art. 50
la conseguenza è che lei perde tutto. Cioè nel senso, se il tribunale di Torino le dice guarda ti sei
sbagliata, la domanda siccome il convenuto è domiciliato a Milano la domanda la dovevi proporre lì
ma fa niente, se tu nel termine massimo di tre mesi riassumi in giudizio davanti al tribunale di Milano
benefici degli effetti sostanziali e processuali della domanda giudiziale che hai proposto davanti a
me, se però avvocato della parte è dormiente e non rispetta il termine allora la possibilità di beneficio
si perde, allora lei dovrà proporre nuova domanda giudiziale, questo può causarle problemi se si fosse
prescritto il diritto nel tempo o ci fossero altri problemi di natura sostanziale, quindi perdita di effetti
giudiziali della domanda giudiziale.

Ora, noi abbiamo visto i presupposti processuali attinenti al giudice, che sono la giurisdizione e la
competenza mi raccomando per favore attenzione alla definizione di regolamento necessario e
facoltativo di competenza, non c’entra niente il criterio di competenza territoriale, è necessario o
facoltativo a seconda del contenuto che ha la sentenza impugnata, il tipo di incompetenza che si fa
valere non c’entra niente. Io ve li dico non per come dire, deridere chi li ha scritti, capisco che quando
si deve studiare tutto il diritto processuale civile la memoria ha lo spazio limitato, se le cose le avete
capite però lo sforzo mnemonico è decisamente minore e non rischiate di sbagliare, detto questo noi
ci spostiamo sui presupposti processuali attinenti alla parte, che sono la capacità processuale, la
rappresentanza tecnica (che lascio a voi da studiare a casa)e mi occupo della legittimazione e
dell’interesse ad agire.
I presupposti processuali attinenti alle parti dunque sono:
la capacità processuale
la rappresentanza tecnica
la legittimazione e l’interesse ad agire che sono i più difficili, di cui noi ci occupiamo.
Una cosa sulla capacità processuale la voglio dire: dunque mi dite in diritto privato qual è la differenza
tra capacità giuridica e capacità d’agire? La capacità giuridica è la capacità di essere titolare di
situazioni giuridiche soggettive. Quella che in diritto privato è la capacità giuridica, nel diritto
processuale è la capacità di essere destinatari di atti processuali. Quando voi sentite dire o trovate
scritto parte in senso processuale, vuol dire la capacità di essere destinataria di atti processuali. Quindi
il minore, così come nel momento della nascita acquista la capacità giuridica per diritto privato, in
diritto processuale civile acquista la capacità di essere destinatario di atti del processo. Poi la capacità
di agire invece sul piano del diritto sostanziale che cos’è? La capacità di porre in essere atti giudiziali
che si acquista in linea generale con il compimento della maggiore età, tranne per gli atti di commercio
quotidiano come il ragazzino che va a comprare il giornale, è una compravendita, ma la può fare
perché diciamo gli atti del commercio quotidiano non vale la regola. C’è la possibilità di compiere
quegli atti anche se non è stata compiuta la maggiore età. nel diritto processuale civile voi avete lo
stesso requisito. Quando si parla di parte in senso formale o in capacità processuale vuol dire che ci
vuole una parte del processo che deve anche poter compiere atti nel processo, vuol dire che se avete
un minore parte del processo per esempio in una azione di disconoscimento della paternità, il minore
sicuramente è parte in senso processuale, è idoneo a essere destinatario degli atti compiuti in quel
processo, come sul piano del diritto sostanziale ha la capacità giuridica, ma il minore non può
compiere atti nel processo, per questo deve stare in giudizio e non può essere però si dice parte in
senso formale, cioè colui che compie atti nel processo, questo ha bisogno di stare in giudizio tramite
un genitore, o nel caso del disconoscimento della paternità, in una situazione di probabile
conflittualità, tramite un curatore speciale che è colui che compie atti nel processo in nome del minore.
Questa è diciamo la capacità processuale, di compiere atti nel processo che corrisponde alla capacità
di agire nel diritto privato. Se il giudice ne rileva la mancanza naturalmente assegnerà alle parti un
termine per nominare, come nel caso dell’esempio che ci siamo fatti, un curatore speciale del minore
in modo tale che il vizio sia sanato. Se nessuno provvede a sanare il vizio il processo è chiuso in rito.
Poi attenzione perché c’è un terzo passaggio che riguarda le parti, sei parte processuale se hai la
capacità giuridica che hanno utti, non basta averla per essere parte in senso formale, devi anche poter
compiere atti quindi devi avere la capacità giuridica, se non ce l’hai nomineranno un rappresentante.
Ma terzo step, nel processo civile italiano, tranne sporadici casi davanti al giudice di pace, per cause
di valore irrisorio (100 euro) e davanti al giudice del lavoro per controversie dal valore ancora più
irrisorio (400 euro) la regola generale è che nel nostro ordinamento la parte anche se ha la capacità di
agire non può stare in ggiudizio personalmente, la difesa personale che esiste negli ordinamenti
anglosassoni non esiste da noi, per cui si sta in processo tramite un rappresentante tecnico, l’avvocato.
Perché la rappresentanza tecnica è un altro presupposto processuale per poter compiere atti
processuali, la parte deve avere la capacità di agire ma quegli atti del processo la parte non li può
compiere personalmente , perché nel nostro ordinamento la regola generale è che la parte munita di
capacità processuale deve farsi assistere da un difensore tecnico, non può stare in giudizio
personalmente, a meno che non sia un avvocato o si trovi di fronte a un giudice di pace per le cause
di valor e non eccedente 1100 euro. Perché gli atti del diritto civile sino considerati atti complicati e
si ritiene che la parte non sia in grado di realizzarli personalmente e quindi debba stare in giudizio
tramite un difensore tecnico al quale la parte conferisce la procura alle liti, ovvero attribuisce la facoltà
di farsi rappresentare in giudizio. Ora io so che in altri corsi la procura alle liti si chiede sempre, io
mi rifiuterò di chiedervela, almeno che non sia un mio collaboratore che scrive la domanda, da parte
mia non troverete mai il contenuto della procura alle liti. Guardatelo a casa perché indica che cosa
deve contenere quest’atto con il quale la parte conferisce al proprio rappresentante tecnico la facoltà
di rappresentarlo in giudizio. Ciò che interessa a me è il perché, perché si reputa che gli atti civili
siano complessi dal punto di vista tecnico e la parte non è in grado di compierli, con tutto quello che
ciò comporta, perché l’avvocato non esercita la propria attività pro bono. E quando arriveremo alle
spese processuali vedremo che il nostro ordinamento prevede che chi vince la causa ha diritto che le
sue spese giudiziali, le spese di giustizia le imposte e le spese dell’avvocato siano rimborsate. Ma non
fatevi illusioni perché il nostro ordinamento prevede un meccanismo che non consente di rimborsate
tutto quello che è stato speso per la parcella del vostro avvocato, ma lo vedremo più avanti. Ora invece
a me interessa soffermarmi sulla legittimazione ad agire, ora la legittimazione ad agire si trova all’art.
81 del cpc che così recita: “nessuno può far valere in processo in nome proprio un diritto altrui, tranne
i casi stabiliti dalla legge” quindi la regola generale che voi ricavate dall’art. 81 è che la legittimazione
ad agire sussiste quante volte ad agire in giudizio si afferma titolare del diritto per il quale agisce in
giudizio, non è ammesso nel nostro ordinamento far valer eun giudizio altrui, o per lo meno è
ammesso ma deve essere espressamente previsto dalla legge. Fatemi un esempio di una situazione in
cui il nostro ordinamento ammette che un soggetto che non è titolare di diritto possa far valere in
giudizio un diritto altrui: l’azione surrogatoria che è all’art. 2900 cc, che vi dice se voi siete creditori
della D’Alessandro che a sua volta è creditrice di una collega ma non fa valere il suo diritto di credito
in giudizio, il creditore può agire direttamente nei confronti del mio debitore per tutelare la sua
posizione creditoria. Caso di legittimazione straordinaria ad agire che però è prevista dalla legge, cioè
tutte le volte in cui, per fare in modo che chi non è titolare di un diritto possa agire in giudizio per far
valere un diritto altrui, ci deve essere una norma di legge. L’amministrazione di sostegno non è
un’ipotesi di legittimazione straordinaria perché l’amministratore di sostegno fa valere in nome
dell’amministrato un diritto dell’amministrato, mentre nell’azione surrogatoria il creditore fa valere
in nome suo un diritto altrui. Allora la regola generale è molto semplice, cioè l’art.81 vi dice per
essere legittimato ad agire devi far valere un tuo diritto e qui noi dobbiamo chiederci come si fa a
stabilire se esiste la legittimazione ad agire? Qui torna il discorso che abbiamo fatto ad inizio lezione
per gli elementi a doppia rilevanza, perché se io agisco in giudizio dicendo che sono creditore del
convenuto che mi deve 50.000 euro la mia affermazione 2io sono creditore del convenuto” vale sia
per la legittimazione ad agire sia per il merito perché se io poi non sono creditore il processo nel
merito lo perdo, quindi si applica la regola che voi conoscete già perché l’abbiamo menzionata ad
inizio lezione e cioè quella per cui tutte le volte che si verte in presenza di un elemento a doppia
rilevanza per il rito vale la regola per cui ci si basa sulle affermazione dell’attore, e quindi ci vuole
un avvocato proprio super dormiente per redigere una domanda giudiziale in cui manca la
legittimazione ad agire, perché basta affermarsi titolare del diritto che si viole far valere in giudizio e
poi sarà una questione riguardante il merito vedere se questa affermazione è critica oppure no. Se il
giudice valuta che non c’è legittimazione ad gire chiude in rito il processo e l’attore dovrà redigere
una nuova domanda giudiziale. E già qui avete capito qual è la caratteristica delle decisioni con cui il
processo è chiuso in rito, non impediscono di riproporre la domanda giudiziale; invece, la decisione
di merito vedremo che è tutto un altro discorso. Se la mia domanda è stata rigettata per incompetenza
territoriale ed io, come diceva la vostra collega, non osservo il termine di tre mesi che il giudice mi
dà, per carità perdo gli effetti sostanziali e processuali della prima domanda giudiziale ma posso
riproporre la domanda. Lo stesso qui con la legittimazione ad agire, se sono andato da un avvocato
molto dormiente che mi ha redatto una domanda giudiziale da cui risulta il mio difetto di
legittimazione ad agire, il giudice rigetterà la domanda di rito ma io posso riproporre la domanda.
Quindi vedete che tutte le volte in cui c’è il rigetto in rito non è un ostacolo, per la parte, alla
riproposizione della domanda giudiziale, ecco perché è più grave per la parte subire un rigetto in
merito della domanda giudiziale, perché il rigetto in merito è invece molto più…c’è un presupposto
processuale negativo e quindi è un ostacolo che tendenzialmente è insuperabile e vorrei parimenti
dire che tre casi in cui è ammessa la legittimazione straordinaria ad agire, c’è l’azione surrogatoria
che vi prego di leggere l’articolo 2900 del cpc, e c’è anche poi l’azione di classe che era disciplinata
dall’articolo 140 bis del Codice di Consumo (che è quello che trovate indicato nelle slides) ma che
oggi è invece regolata nel Codice di Procedura Civile dagli articoli 840 bis e seguente. Avete capito
che al nostro legislatore piace un sacco la nominazione latina perché se metti l’azione di classe in
fondo al cpc dove non ci sono altri articoli, perché non fai l’articolo 841, 842, 843? Mistero, invece
è tutto bis, ter, quater e così via e l’azione di classe è uno dei casi in cui chi è appartenente alla classe
o un’associazione di consumatori può far valere il nome proprio o il diritto altrui, è un caso però
anche quello espressamente previsto dalla legge. Ci sono altri ordinamenti, che non è il nostro, in cui
è ammesso per contratto attribuire ad altri la possibilità di far valere il giudizio, il proprio diritto, e
questo succede per esempio in relazione antitrust, ci sono aziende che si occupano di quello, cioè di
recuperare sul mercato crediti e di far valere il giudizio. Da noi questo meccanismo funziona con la
cessione del credito, in altri ordinamenti funziona con la cessione della sola capacità, facoltà, di far
valere con il credito di giudizio, la titolarità rimane in capo al titolare di credito. Però da noi questo
non è possibile perché c’è l’articolo 81 del cpc, l’altro presupposto processuale che riguarda la parte
per il quale inizio a trattare e poi continuiamo il discorso domani è l’interesse ad agire. Ora, per capire
l’interesse ad agire, che è disciplinato dall’articolo 100 del cpc, voi dovete pensare, introduco il
discorso e poi domani lo finiamo, voi dovete pensare sempre che il processo è uno strumento
pubblicistico e che quindi va utilizzato, siccome costa denaro ed energie per i magistrati, solo quante
volte ve ne sia necessità. Quindi l’interesse ad agire è un presupposto processuale che riguarda le
parti, la funzione dell’interesse ad agire è quello di essere un selettore delle domande giudiziali,
diciamo così, veramente meritevoli. Non è un’analisi di merito, cioè la norma mi dice per proporre
una domanda o per contraddire è necessario avere degli interessi, e voi dovete avere interesse o al
risultato o all’impiego del mezzo processuale. Esempio: se nessuno contesta il fatto che l’università
è la proprietaria di questo computer, nessuno mi pare che in questa aula metta in dubbio il fatto che
il computer qua è dell’ateneo. Se l’ateneo domani instaurasse un giudizio e dicesse per venire
accettato che è lui il proprietario del computer, mancherebbe l’interesse ad agire perché non c’è
nessuna contestazione per cui a che serve quel giudizio? Non c’è l’interesse al risultato perché voi
avete interesse ad ottenere una sentenza di accertamento nella misura in cui c’è qualcuno che contesta,
se voi avete un debitore al quale avete prestato una somma mutuata e che ve la deve restituire a
cadenza mensile ed ogni mese paga regolarmente, che ve ne fate di chiedere una sentenza di
condanna? Qual è il vostro interesse? Se il debitore adempie perché non causa problemi di sorta,
questa è la funzione dell’interesse ad agire in base in cui voi proponeste una domanda di questo tipo
la risposta sarebbe: non c’è un interesse ad agire quindi ve la stoppano subito e chiudono subito in
rito il vostro procedimento per liberare energie processuali perché non avete interesse al risultato.
Siccome nel nostro ordinamento sono frequenti casi di questo tipo che si guarda, nella lite generale
si guarda al merito della pretesa, un altro strumento che oltre a questo si utilizza per evitare uso
improprio del processo è la lite temeraria, e poi l’ultima cosa e poi chiudiamo. Scusate lo dico prima
di chiudere la lezione così quando finirà la lezione, coloro i quali si sono già iscritti all’esonero
possono alzarsi ed andare, coloro i quali invece ancora non si sono iscritti vi prego di accelerare la
procedura perché qua l’aula serve, rimangono seduti ed il foglio continua a circolare. Non che vi
alzate tutti e chi ha il foglio, chi ancora deve iscriversi rimane seduto così facciamo prima. Ecco,
l’altro elemento che tiene in considerazione l’art 100 è che voi potete non aver interesse all’impiego
dello strumento processuale se voi avete siglato contratto di fornitura di nocciole con contraente
straniero, e nel contratto c’è clausola risolutiva espressa, nel momento in cui la controparte non paga
voi potete esercitare il diritto potestativo di cui alla clausola risolutiva espressa senza necessità di
chiedere giudizialmente la risoluzione del contratto. Se la chiedete, il giudice vede che nel contratto
c’è la clausola risolutiva espressa e vi dichiara la carenza di interesse ad agire, perché non avete
interesse all’impiego del diritto processuale, perché avete un rimedio di diritto sostanziale e domani
vediamo meglio questo profilo.
LEZIONE n. 11 di Diritto processuale civile.
DATA: 18.10.22
SBOBINATRICE: Giulia Ragonesi.

Ieri é stato pubblicato il decreto delegato di attuazione della legge delega sulla riforma del processo
civile. Mi spiace per voi peró a questo punto é norma di legge e quindi come giá abbiamo iniziato a
fare nelle prime lezioni, quando abbiamo parlato del provvedimento che si chiamerá “processo
semplificato di cognizione” (oggi si chiama processo sommario di cognizione) bisogna che nella
spiegazione si tenga conto anche della riforma. Per adesso le novitá sono poche ma vedremo piú
avanti, quando parleremo di giudizio di cognizione e delle impugnazioni, che ci sono diverse novitá.

Ieri abbiamo parlato del presupposto processuale riguardo alle parti dell´interesse ad agire. Ci siamo
detti che, visto che il processo civile é uno strumento pubblicistico, il nostro legislatore vuole che sia
utilizzato con parsimonia; per cui all´art. 100 cpc voi trovate la norma, quella relativa all´interesse ad
agire, nella quale si dice che per proporre una domanda giudiziale, o per contraddire la stessa, é
necessario l´interesse, cioé il nostro legislatore vuole che ci sia o un interesse al risultato processuale
o all´impiego dello strumento del processo civile. Quindi manca l´interesse ad agire quando l´attore
non ha l´interesse al risultato (avevamo fatto l´esempio di un attore che agisce in giudizio
rivendicando la proprietá di un bene quando nessuno contesta il diritto di proprietá - avevamo fatto
l´esempio in classe del computer, di cui nessuno contesta la proprietá, e c´eravamo immaginati che il
rettore agisse in giudizio per l´accertamento del diritto di proprietá sul computer dell´universitá che
nessuno ha mai messo in dubbio).
es. contratto con clausola risolutiva espressa: per risolvere il problema di diritto sostanziale che
affligge la parte é sufficiente esercitare il diritto potestativo alla risoluzione del contratto
stragiudizialmente, visto che il contratto é munito di una clausola risolutiva espressa. Quindi se,
nonostante l´esistenza della clausola risolutiva espressa, l´attore agisice in giudizio per chiedere la
risoluzione del contratto, il giudice dovrebbe chiudere il giudizio in rito per carenza di interesse ad
agire, perché la parte ha giá uno strumento stragiudiziale per ottenere il medesimo risultato.
La mancanza dell´interesse ad agire é rilevabile un ogni stato e grado del processo.
Il vizio é insanabile, quindi se manca l´interesse ad agire non c´é niente da fare.
Il vostro manuale fa un discorso peculiare sull´interesse ad agire, che non é accolto da altri autori.
Sull´interesse ad agire, la valutazione che fa Luiso é la seguente: se si applica la regola generale per
cui la carenza di un presupposto processuale é rilevabile per la prima volta in ogni stato e grado del
processo, lui si domanda “per rilevare la carenza alla fine del giudizio di 1 grado, quando giá é stata
fatta l´istruttoria, magari quando solo la causa é giá in decisione, fa venire meno la finalitá che il
presupposto processuale ha; perché se l´interesse ad agire é un selettore (serve ad evitare che si faccia
attivitá processuale duplice) allora l´idea é: o rilevo la carenza dell´int. ad agire all´inizio del processo,
e allora veramente l´interesse ad agire svolge la sua funzione di economia processuale, oppure se
rilevo la carenza alla fine del giudizio di 1 grado, francamente di quella funzione di economia
processuale si ha ben poco, perché ormai é stata svolta tutta un´attivitá processuale che ha comportato
una spendita di tempo e di denaro.
La costruzione del manuale non é accolta dalla giurisprudenza, che ritiene che se la carenza é rilevata
quando ormai il processo é in uno stato avanzato, tanto vale che il giudice decida ormai nel merito
perché ormai il presupposto processuale della carenza dell´int. ad agire ha ormai visto frustrata la sua
funzione.
La giurisprudenza rimane fedele alla regola generale, per cui l´interesse ad agire puó essere rilevata
dal giudice in ogni stato e grado del processo, quindi anche nella fase conclusiva del giudizio di 1
grado, in ipotesi anche per la prima volta nel giudizio giudizio di appello.

Allora, i presupposti processuali positivi attinenti alla parte sono semplici. Ci siamo detti ieri che la
capacitá processuale e la rappresentanza tecnica li guardate voi a casa sul manuale; e noi invece ci
concentriamo da oggi sui presupposti processuali NEGATIVI, che invece vedrete un po´ piú
complicati.

PRESUPPOSTI PROCESSUALI NEGATIVI


Voi alcuni li conoscete giá, ma abbiamo detto che stanno fuori dal programma di diritto processuale
civile, che sono: l´esistenza di una clausola compromissoria e tutte le situazioni in cui é necessario
esperire un tentativo di mediazione prima di instaurare un giudizio (perché la mediazione é
condizione di procedibilitá della domanda) e adesso noi esaminiamo gli altri due che ci mancano piú
difficili: sono la LITISPENDENZA e il GIUDICATO.
Ora attenzione bene, perché i presupp. process. negativi sono negativi e quindi affinché il giudice
possa decidere la causa nel merito, non ci devono essere.
Vi ricordate… c´eravamo fatti l´esempio della clausola compromissoria “se le parti hanno stipulato
un contratto dal quale deriva la controversia, e in quel contratto é presente una clausola
compromissoria, il giudice deve chiudere il processo in rito per esistenza di presupposto processuale
negativo. Lo stesso meccanismo si applica nel caso di litispendenza e del giudicato.
Iniziamo dalla litispendenza, disciplinata dall´art. 39 cpc: “Se una stessa causa è proposta davanti a
giudici diversi, quello successivamente adito, in qualunque stato e grado del processo, anche d'ufficio,
dichiara con ordinanza la litispendenza e dispone con ordinanza la cancellazione della causa dal
ruolo.”
L´espressione litispendenza é un termine che voi conoscete giá, perché quando abbiamo parlato degli
effetti processuali della domanda giudiziale ci siamo detti “il primo effetto della domanda giudiziale
é la litispendenza, cioé l´apertura del processo”.
Qui nel caso dell´art. 39 il termine “litispendenza” ha un significato diverso. Che figure patologiche
potete avere? Due processi pendenti davanti allo steso giudice (es. davanti al tribunale di Torino, 2
sezioni diverse: tizio e caia sposati, ormai separati, tizio propone domanda di divorzio e caia propone
domanda di divorzio (evidentemente non si parlano piú e propongono due domande distinte davanti
al tribunale di Torino) → le due cause prendono numeri di ruolo (RG) diversi, e visto che sono due
domande diverse (due RG diversi) crea problemi avere due giudizi identici contemporaneamente
aperti). Il problema che si pone é di farne da due processi uno solo, perché per ragioni di economia
processuale non ha senso tenere aperti due giudizi identici, e perché crea dei problemi avere due
giudizi identici contemporaneamente pendenti.
Lo strumento per risolvere questa patologia é l´art. 273, che si occupa delle ipotesi in cui appunto 2
giudizi sono proposti davanti allo stesso ufficio giudiziario: l´idea é quella di unirli in un unico
processo, per economia processuale e per le ragioni che vedremo.
E invece l´art. 39 si occupa del caso piú complicato quando voi avete la stessa causa pendente davanti
a due uffici diversi.

Voi avete litispendenza nel termine generale; poi potete avere primo caso patologico piú semplice
(art. 273); molto piu complicato invece é il caso dell´árt. 39, quando voi avete un stessa causa proposta
davanti a giudici diversi (immaginate il caso del divorzio: voi avete una domanda proposta a Torino
e l´altra a Milano, poiché i due coniugi giocano su due criteri di competenza diversi avete visto che
l´art. 18 per il divorzio dispone una norma ad hoc sulla competenza territoriale, che fa riferimento al
domicilio, alla residenza, alla dimora…) , per cui é possibile che una stessa causa sia proposta davanti
a giudici diversi, e allora il problema é quello di capire che succede. Faccio un altro esempio: io ho
in casa mia un bel quadro di Picasso, la vostra compagna in prima fila mi cita in giudizio a Torino
per l´accertamento del diritto di proprietá sul quadro di Picasso e io a mia volta cito lei in giudizio, e
lei é residente a Milano – quindi abbiamo 2 processi tra me e la vostra collega: uno pendente davanti
al tribunale di Torino, e uno pendente davanti al tribunale di Milano, peró il diritto é sempre lo stesso:
il diritto di proprietá sul quadro di Picasso.
Come si risolve questo problema? Cosa ci dice l´art. 39? “Se una stessa causa è proposta davanti a
giudici diversi, quello successivamente adito, in qualunque stato e grado del processo, anche
d'ufficio, dichiara con ordinanza la litispendenza e dispone con ordinanza la cancellazione della
causa dal ruolo” → che ragionamento fa il nostro legislatore? Ci dice: non ha senso, anzi é
pericoloso, avere la stessa causa pendente davanti a due giudici diversi, per due ragioni:
1) il processo civile é un processo pubblico, passa dai denari dello stato, quindi é giusto concedere la
tutela giurisdizionale al cittadino, ma é uno spreco, quindi per ragioni di
“economia processuale” il nostro legislatore non vuole due cause identiche pendenti (ne basta una).
Ma c´é anche un altro motivo piú pericoloso:
2) pensate all´esempio che vi ho fatto: la rivendicazione del quadro di Picasso, pendente davanti al
tribunale di Torino e contemporaneamente davanti al tribunale di Milano; se i due giudizi vanno
entrambi a decisione di merito, il rischio in cui si incorre é che a Milano la vostra collega risulti
vincitrice, e che io a Torino risulti vincitrice – quindi due cause che hanno una decisione contraria, e
tutte e due le decisioni eventualmente passano pure in giudicato. Si chiama “contrasto pratico fra
giudicati” → é il male piú grosso che possa esistere nel diritto processuale civile.

Come lo evito il rischio? Alla radice: ho due processi e devo fare in modo che ce ne sia solo uno
pendente. E questa é una caratteristica degli ordinamenti di diritto continentale (qual é il nostro): che
regola sceglie il nostro ordinamento? La regola della PRIORITÁ TEMPORALE: il processo
instaurato per primo é quello che va avanti fino alla decisione di merito; il processo instaurato per
ultimo deve essere chiuso in rito con ordinanza che dichiara la litispendenza e dispone la
cancellazione della causa dal ruolo. Nel nostro esempio, facciamo finta che il processo instaurato per
secondo sia il tribunale di Milano, e quindi il giudice del tribunale di Genova cosa deve fare? Anche
d´ufficio, cioé anche se nessuna delle parti eccepisce la litispendenza – molto difficile perché o il
giudice non ha una sfera di cristallo.
Infatti, la norma vi dice “il giudice la litispendenza la puó rilevare anche d´ufficio anche se le parti
dormono e nessuno ha eccepito la litispendenza”. Il problema é che per esercitarlo il potere officioso,
il giudice dev´essere consapevole, ci deve arrivare al fatto che c´é un altro processo pendente in
un´altra cittá, perché altrimenti il giudice la sfera di cristallo non ce l´ha. Non é veggente il giudice,
quindi vero che la norma vi dice “il giudice lo puó rilevare anche d´ufficio” peró anche che se non ha
gli elementi per comprendere che c´é un altro processo pendente o se nessuno allega che c´é questa
circostanza, é impossibile dichiarare anche d´ufficio la litispendenza.
Voi avete il giudizio adito per primo che va avanti fino alla decisione di merito, e il giudice adito per
secondo che anche d´ufficio deve con ordinanza dichiarare la litispendenza, nel nostro es. il tribunale
di Genova dichiarerá la litispendenza e disporrá la cancellazione della causa dal ruolo.

Fino a qui la norma é semplice. Ora a noi restano due punti da chiarire. Il primo é semplice: come si
fa a stabilire qual é il giudice adito per primo? Qual é la causa iniziata per prima?
E il secondo quesito, piú difficile: quand´é che siamo in presenza della stessa causa? Quand´é che é
integrato il presupp. dell´art.39 cpc.?

Allora, iniziamo dalla prima domanda. Chi é il giudice adito per primo? Ve lo dice l´ultimo comma
dell´art. 39, che vi dice “Se il processo inizia con citazione” → si guarda quale citazione é stata
notificata per primo al convenuto (si guarda la DATA ).

(la notificazione leggerla sul libro: NON LA CHIEDE ALL´ ESAME perché secondo lei é un
argomento puramente tecnico: peró vanno lette perché si deve capire che cos´é la notifica, cioé la
modalitá ufficiale con cui la domanda giudiziale viene portata a conoscenza del convenuto).

Se invece l´atto introduttivo del giudizio é il ricorso (e sappiamo che il ricorso non contiene la data
dell´udienza) quindi prima il convenuto lo deposita in cancelleria e poi lo notifica alla controparte
insieme al decreto con la data dell´udienza. Se l´atto introduttivo é un ricorso si guarda alla data in
cui il ricorso é stato depositato in cancelleria.
Invece un pochino piú complicato é stabilire quando si é in presenza della stessa causa (seconda
domanda). Allora, qui ci aiuta qualcosa che ci siamo detti sulla domanda giudiziale, in particolare
della vocatio in ius e della editio actionis.
Ci siamo detti che i soggetti, attore e convenuto, sono rilevanti ai fini dell´indivuduazione dell´ editio
actionis. Quindi il primo dato: perché ci sia la stessa causa, ci devono essere le stesse parti, attore e
convenuto. C’é un caso straordinario in cui pur non essendoci completa identitá delle parti si ha
litispendenza: azione surrogatoria.
Immaginate che la vostra collega con la maglia gialla é la debitrice, e la vs. collega con la maglia nera
é la creditrice. E la collega con la maglia gialla é a sua volta creditrice della collega dietro di lei con
la maglia verde, peró se la collega con la maglia gialla rimane inerte, cioé non esercita il suo diritto
di credito vs maglia verde, lei puó agire in giudizio in surrogatoria direttamente a suo nome vs maglia
verde (art. 2900: “il debitore risponde con tutto il suo patrimonio presente e futuro per le obbligazioni
contratte”).
Ora cerchiamo di immaginarci un caso di litispendenza, e io me lo immagino cosí: in un processo
maglia gialla agisce in giudizio vs la sua debitrice, e in un altro giudizio davanti ad un altro giudice,
lei in azioni surrogatoria agisce vs la debitrice. L´art. 2900 dice che se lei agisce in surrogatoria, deve
chiamare a far parte del giudizio anche la sua debitrice, e quindi é un giudizio a tre (lei, maglia gialla
e maglia verde). Quindi le parti non sono totalmente coincidenti, perché abbiamo un giudizio a due
parti (creditore e debitore) e un giudizio a tre parti, per via dell´azione surrogatoria, c´é maglia gialla
e maglia verde. Ma nonostante ció é un caso di litispendenza nonostante le parti siano diverse, in virtú
della norma sulla legittimazione straordinaria.
Quindi, noi abbiamo un primo dato che é quello per cui per esservi litispendenza devono esservi le
stesse parti.
Poi quando abbiamo studiato la domanda giudiziale ci siamo detti “nella domanda giudiziale nella
editio actionis, l´attore deve indicare il petitum sostanziale e processuale.
Allora, petitum sostanziale: il diritto del quale si chiede tutela. E cosa ci siamo detti a proposito dei
diritti eteroindividuati e autoindividuati? Nella domanda giudiziale qual é l´elemento che li identifica?
La richiesta. I diritti autoindividuati sono i diritti assoluti, e l´elemento identificativo del diritto é il
petitum (quello che chiede); poi ci siamo detti, ovvio che se io la causa la voglio vincere, devo anche
indicare come l´ho acquisito quel diritto, peró non é elemento identificativo del diritto.
Immaginate due giudizi pendenti, uno dinanzi al tribunale di Torino e l´altro a Milano, instaurati dalle
vs due colleghe in prima fila. In uno é attrice una, e nell´altro attrice l´altra. E tutte e due rivendicano
vs l´altra la proprietá del quadro: una sostiene sostiene di averlo acquistato a titolo derivativo dalla
casa d´arte e l´altar di averlo ricevuto in ereditá dalla nonna. Quindi voi avete due giudizi con le stesse
parti, con lo stesso petitum (proprietá sul quadro).
Cosa cambia nei due giudizi? La causa petendi. Peró ci siamo detti che nei diritti autoindividuati la
causa petendi non é elemento identificativo del diritto. Cosa vuol dire in parole povere? Che questi
due processi sono identici, perché il fatto che cambi la causa petendi non cambia l´oggetto del
processo, che é identico (accertamento diritto di proprietá sul quadro).
E allora facciamo peró un esempio diverso. Riprendiamo sempre le stesse parti e gli stessi processi:
uno a Torino e uno a Milano. Una vs. collega chiede all´altra la restituzione di 25k per la restituzione
della somma mutuata. Nell´altro giudizio invece l´altra collega chiede la restituzione di 25k come
corrispettivo della vendita di alcune litografie. La domanda é: é lo stesso processo? É la stessa causa
secondo voi? → Intanto il diritto com´é: diritto eteroindividuato. Quindi per capire se é lo stesso
diritto, non basta guardare la cifra, ma cosa cambia? Il titolo per cui si richiedono i 25k. E in questo
caso quindi non siamo in presenza dello stesso processo: perché é diversa la causa petendi.

Perché insisto sulla tutela processuale identica? Immaginiamo che ci siano due processi nei quali
sempre per il quadro di Van Gogh, in uno davanti al trib. di Torino l avs colega chiede l´accertamento
del suo diritto di proprietá sul quadro, mentre nell´altro processo l´altra collega chiede l´accertamento
del dir. di proprietá sul quadro e in piú la condanna della collega alla restituzione. Quindi voi avete
due processi con le stesse parti, lo stesso diritto sostanziale dedotto in giudizio, ma la tutela
processuale richiesta diversa. É litispendenza questa o no? No, perché le due cause sono in rapporto
di piú a meno (in un processo si é chiesto qualcosa di piú). E allora qui si applica di passare a spiegare
il secondo comma dell´art. 39: la CONTINENZA DI CAUSE.
La continenza di cause é una fattispecie della stessa famiglia della litispendenza. Ma si differenziano
perché nella litispendenza voi avete due cause identiche, nella continenza avete ude cause che sono
in rapporto di piú a meno (una contiene l´altra/ una ha un oggetto piú grande dell´altra).
Quando é che si ha un rapporto di piú a meno fra le due cause? Quello fatto é un esempio in cui il
rapporto di piú a meno é determinato dalla differente tutela processuale richiesta; ma voi potete avere
anche della cause con un rapporto di + a – quando si ha un diritto sostanziale piú ampio: per es. in un
giudizio chiedo la risoluzione del contratto, e in un altro processo chiedo la risoluzione del contratto
+ il risarcimento del danno. Per cui la ratio é la stessa. Qual é la tutela? Chiedo un po’ di attenzione
perché qui sbagliate sempre.

Esempio alla lavagna: disegno di 2 rettangoli: hanno le presunzione di essere uguali e rappresentano
la litispendenza (2 processi parallelamente pendenti). Come lo risolvete il problema? Si va a vedere
qual é quello instaurato per primo → uno dei due lo chiudo (disegno x su un quadrato).

Ora vediamo il caso della continenza: disegno di 2 quadrati affiancati da 2 rettangoli → partiamo
dalla prima coppia: il processo instaurato per primo (il rettangolo 1) e immaginiamo che il processo
instaurato per primo é il processo in cui avete chiesto la risoluzione del c. + il risarcimento del danno
e il processo instaurato per secondo (il quadrato 2) é quello in cui avete chiesto solo la risoluzione del
c.
art. 39 c2 → prima cosa: si applica il criterio di prioritá se il giudice adito per primo é competente
anche per l´altra domanda. Qui il problema non si pone perché il processo instaurato per primo é la
causa maior. La norma dice “il giudice adito per secondo dichiara la continenza, e quindi questo (x
sul quadrato) é quello che si estingue per primo, e fissa un termine perentorio entro cui le parti
debbono riassumere la causa davanti al primo giudice”. E ora vi domando – perché questa é una cosa
che all’esame si sbaglia – ma in base a questa espressione c´é necessitá in una situazione del genere
che il giudice adito per secondo inviti le parti a riassumere la causa davanti al primo giudice? Non
serve a niente, perché la causa che va avanti nel merito é quella maior (rettangolo); quindi riassumere
la causa davanti all´altro giudice non serve a niente. Quindi il giudice deve chiudere la causa
dichiarando la continenza.

Ora vediamo l´altra coppia di quadrato-rettangolo: qui, il processo instaurato per primo é la causa
minor (1 vicino al quadrato) e quello instaurato per secondo é la causa maior (2 vicino al rettangolo)
→ il processo instaurato per primo in base alla data é la causa minor.
Qual é il giudice che va avanti nel merito? Il giudice della causa minor, A CONDIZIONE che sia
competente anche per la causa maior. Quindi in questi casi il giudice adito per secondo, prima di
chiudere il giudizio e dichiarare la continenza, si deve chiedere se il collega adito per primo sia
competente anche per la causa maior. Immaginiamo di si (che sia il tribunale e quindi non ci siano
problemi) → qui si pone il problema: perché la povera parte che aveva chiesto il risarcimento del
danno davanti al giudice adito per primo (causa minor) non c’é il risarcimento del danno, per cui se
chi chiude in rito per continenza é il giudice della causa maior, non basta che lui chiuda in rito il
processo → deve invitare le parti a riassumere la causa davanti al giudice adito per primo, in
modo tale che il giudizio adito per primo veda allargarsi il suo oggetto del processo, che contemplerá
anche il risarcimento del danno oltre che la risoluzione (non sará piú solo la risoluzione del contratto).
(il quadrato diventa rettangolo - “viene aggiunto un prezzo”).
Quindi l´invito del giudice a riassumere la causa davanti al primo giudice c´é solo quando la causa
instaurata per prima é la causa minor.

“Noto che negli scritti spesso si sbaglia questo” (domanda probabile all´esame, quindi).
Della continenza finiamo di parlare prossima settimana (pregiudizialitá in senso logico).

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LA FORMA DEI PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE

Perché devo farvi capire come si arriva al giudicato.


ORDINANZA - DECRETO – SENTENZA.
La regola generale é che quando pronuncia un decreto o un´ordinanza, il giudice non si spoglia del
proprio potere decisionale, tranne il caso in cui dichiara con ordinanza: la litispendenza, la continenza
o il difetto di competenza.
La regola generale del codice del 42 era che quando si ha un´ordinanza o decreto (ordinanza é sempre
motivata, decreto solo se la legge lo prevede) il giudice non si spoglia del proprio potere decisionale.
Quando invece pronuncia una sentenza, io dico sempre “il giudice si toglie la toga” perché quando
pronuncia una sentenza o un´ordinanza sulla litispendenza/continenza/competenza, si spoglia del
potere decisionale. Che vuol dire? Che se sbaglia a pronunciare la sentenza o l´ordinanza su questi
casi (continenza, competenza, litispendenza) NON PUÓ TORNARE INDIETRO. L´ordinanza e il
decreto li puó revocare se sbaglia, ma la sentenza o l´ordinanza in quei casi no, perché una volta che
li ha emessi si spoglia del potere decisionale, e quindi se c´é un errore, come lo fate valere questo
errore? Con l´impugnazione al giudice superiore. E questa regola la trovate scritta nell´art. 161 cpc
che é la regola per cui i motivi di nullitá della sentenza si convertono in motivi di impugnazione.
E i mezzi di impugnazione che il nostro ordinamento conosce sono
- l´appello (che non ha copertura costituzionale) e
- il ricorso in Cassazione (che invece ce l´ha);

L´art. 323 cpc vi indica quali sono i mezzi di impugnazione ordinaria – “ordinari” perché esperibili
verso una sentenza che ha ancora non ha acquistato stabilitá di effetti (non é ancora passata in
giudicato).
Se leggendo la sentenza o l´ordinanza ci si legge conto che il giudice ha commesso un errore, lo
strumento utilizzabile dalla parte perdente é l´impugnazione.
Il nostro ordinamento che mezzi di impugnazione conosce?
- L´appello,
- il ricorso per Cassazione
- il regolamento di competenza
- la revocazione ordinaria
Questi sono tutti mezzi di impugnazione ordinari; “ordinari” anche perché servono innanzitutto a far
valere errori “palesi” (arguibili identificabili) che la parte scopre in che modo? Leggendo la
motivazione della sentenza/ordinanza in quei 3 casi.

Ma si arriva ad un certo punto nel quale la sentenza acquista una certa stabilitá di effetti → quando
non sono piú esperibili i mezzi di impugnazione ordinari, la sentenza passa in giudicato formale.

Accanto a questi mezzi di impugn. ordinari, ci sono mezzi di impugn.“straordinari”perché


eccezionalmente esperibili in casi gravissimi, contro sentenze che hanno raggiunto il giudicato
formale.
Mentre i vizi “palesi” sono riconoscibili dalla lettura della motivazione della sentenza, i vizi “occulti”
no, perché sono vizi che non sono individuabili dalla lettura della motivazione della sentenza, infatti
vedremo come i termini di impugnazione straordinaria decorrono dalla scoperta del vizio.

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