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-Diritto processuale civile, 18/11/2020, Gambineri.

REVISIONATA

Torniamo a parlare della valutazione delle prove, che abbiamo in parte già trattato ieri, riprendiamo un po’
le fila del discorso. Con riferimento alla valutazione delle prove occorre effettuare una netta distinzione tra
le prove libere e le prove legali: questa distinzione emerge dal testo dell’articolo 116 del codice di
procedura civile laddove al primo comma stabilisce:<< Il giudice deve valutare le prove secondo il suo
prudente apprezzamento , salvo che la legge disponga altrimenti>> .
L’ inciso finale si riferisce alle cosiddette prove legali, che sono solo e soltanto quelle stabilite dalla legge.
Come avremo modo di chiarire meglio successivamente nelle prove legali è il legislatore ad aver
effettuato in via preventiva la valutazione; il giudice è vincolato a ciò che emerge dalla prova. La regola
generale invece è quella secondo cui le prove sono soggette al libero apprezzamento del giudice: è una
valutazione(la valutazione secondo il libero apprezzamento) diciamo di tipo logico- razionale che il giudice
deve effettuare, quindi abbiamo cercato di individuare lo schema logico di questa attività logico- razionale,
e abbiamo richiamato lo schema del sillogismo , e nonostante diciamo la complessità delle operazioni che
il giudice è chiamato ad effettuare, abbiamo detto che è molto importante che dia conto di questi nella
motivazione della sentenza, in modo che questa possa essere controllata anche di fronte alla Corte di
Cassazione, sia pure passando attraverso il n. 5 dell’articolo 360 : li si tratta di un controllo che la Corte di
Cassazione si è vista molto ridurre negli ultimi anni, a seguito di un intervento del legislatore. Abbiamo
detto che la valutazione delle prove secondo il libero apprezzamento è un’attività di tipo logico razionale,
logico- deduttiva che il giudice svolge, e che questa attività passa attraverso la applicazione ai fatti delle
cosiddette massime di comune esperienza: si tratta di regole che vengono tratte dai campi più disparati
del sapere, si va dalle scienze esatte, la fisica, la chimica e le scienze mediche, agli altri campi: abbiamo
detto possono essere regole tecniche o possono essere regole tratte anche da qualsiasi tipo di scienze,
abbiamo fatto riferimento anche alla psicologia (abbiamo detto che da qualsiasi capo del sapere il giudice
può attingere massime di comune esperienza). Abbiamo ricordato peraltro che l’attività che il giudice va a
svolgere è un’attività complessa, perché ad ogni fatto il giudice non applica una sola massima di comune
esperienza, ma applicherà una serie di massime di comune esperienza, e se anche l’applicazione di
queste massime di comune esperienza portano ad un risultato diverso, il giudice terrà conto di quello che
è il risultato prevalente. Abbiamo inoltre ricordato che spesso il giudice con riferimento allo stesso fatto si
trova ad assumere diverse prove e saranno non soltanto prove richieste dalla parte a cui vantaggio il fatto
opera, ma saranno anche le prove cosiddette contrarie, cioè vengono assunte su iniziativa della parte a
cui svantaggio lo stesso fatto opera, e che quindi cerca di convincere il giudice della non esistenza dello
stesso fatto; quindi il giudice deve effettuare una ulteriore valutazione comparativa tra il risultato a cui
perviene attraverso la valutazione delle prove richieste dalla parte a cui vantaggio il fatto opera ed i
risultati provenienti dalle prove contrarie che sono richieste dalla controparte con riferimento al medesimo
fatto (quindi è un’attività estremamente complessa).
Va introdotta un’ulteriore complicazione data dal fatto che oggetto di prova non sono sempre soltanto i
fatti cosiddetti principali, cioè i fatti giuridicamente rilevanti, ma sono anche fatti secondari, cioè quegli
ulteriori fatti dalla cui conoscenza è possibile, attraverso un’attività logico deduttiva, desumere l’esistenza
dei fatti da provare, perché a quelli il giudice deve arrivare. E’ opportuno ritengo a questo punto
ridisegnare uno schema generale e ricordare innanzitutto che la prima grossa partizione che si deve fare
con riferimento alle prove è quella tra prove dirette e prove indirette, dove per prova diretta intendo fare
riferimento in questo momento, alle prove che consentono al giudice di dare prova immediata del fatto da
provare, vi ho detto che l’unica prova diretta è la ISPEZIONE perché l’ispezione appunto mette il giudice
a contatto diretto con il fatto da provare. L’unica attività che il giudice svolge è un’attività di percezione.
Alla prova diretta (ispezione) si contrappongono le altre prove che sono prove indirette: il giudice non
percepisce direttamente il fatto da provare ma percepisce la fonte di rappresentazione. Nelle prove
indirette rientrano sia le prove documentali, sia la testimonianza. Il giudice percepisce la fonte di
rappresentazione che di volta in volta sarà il documento, il supporto documentale, la dichiarazione di
scienza del terzo. Ed è attraverso l’attività di valutazione, svolta secondo il suo prudente apprezzamento
che il giudice potrà desumere l’esistenza o meno del fatto da provare.
A questo punto possiamo reintrodurre l’ulteriore complicazione, ovvero la considerazione secondo cui
oggetto di queste prove possono essere anche dei fatti secondari e allora tutto diventa più complicato
perché si aggiunge un passaggio che è l’attività logico deduttiva per il cui tramite il giudice passa dalla
conoscenza del fatto secondario, alla conoscenza del fatto principale. Quindi tornando alla distinzione tra
prove dirette e prove indirette, se oggetto della prova diretta (cioè dell’ispezione) è il fatto secondario, il
giudice percepisce il fatto secondario, dopodiché sulla base dell’attività logico deduttiva desume dal fatto
secondario l’esistenza del fatto principale, che è il fatto da provare. Invece se il fatto secondario è
oggetto di una prova rappresentativa, di una prova indiretta, di una testimonianza o di un documento, il
giudice percepisce la fonte rappresentativa: attraverso un’attività logico deduttiva valuta l’esistenza o
meno del fatto secondario che è l’oggetto della prova, dopodiché attraverso una ulteriore attività logico
deduttiva dal fatto secondario desume l’esistenza del fatto principale. Vi dico subito che generalmente per
desumere l’esistenza del fatto principale da un fatto secondario soprattutto la giurisprudenza ritiene che
non sia sufficiente un solo fatto secondario (la prova per indizi o deduzioni semplici) si ritine che sia
necessario più fatti secondari più indizi, é sulla base della conoscenza di più indizi che Il giudice può
attraverso l’attività logico deduttiva fondare la valutazione di esistenza del fatto principale da provare.
Anche l’attività logico deduttiva per il cui tramite il giudice passa dal fatto secondario al fatto principale è
un’attività svolta sulla base delle massime di comune esperienza, prendete per esempio l’esempio che
abbiamo già introdotto fin dall’inizio: l’elemento soggettivo colpa, è presente la colpa del conducente che
è andato ad una velocità sostenuta ed ha investito qualcuno, abbiamo detto l’elemento colpa non è un
fatto che si prova direttamente, ma si prova passando attraverso la prova di fatti secondari, quali possono
essere tipicamente i segni lasciati sull’asfalto o sulle barriere dal veicolo.
Diciamo che il fatto dei segni lasciati sull’asfalto è il classico fatto secondario, da questo fatto secondario
il giudice può sulla base di un’attività logico deduttiva può desumere l’esistenza del fatto principale
COLPA, applicando massime di comune esperienza tratte per esempio dalla fisica, perché si sa che se
sull’asfalto c’è una strisciata che ha una certa consistenza, una certa lunghezza eccetera, a questi segni
corrisponde necessariamente una certa velocità. Quindi il meccanismo sul piano logico razionale è lo
stesso e naturalmente anche in questo caso il giudice è chiamato a dare conto nella motivazione del
ragionamento che ha svolto, quindi delle massime di comune esperienza che ha applicato in modo che il
ragionamento possa essere controllato anche di fronte alla Corte di Cassazione. Adesso andiamo ad
esaminare il secondo comma dell’articolo 116, ovvero i cosiddetti argomenti di prova: è un’espressione
questa che è già emersa nel corso delle nostre lezioni. Leggiamo innanzitutto la disposizione : <<Il
giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno a norma dell'articolo
seguente, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinate e, in generale, dal
contegno delle parti stesse nel processo >>. Allora la circostanza che l’argomento di prova rinvenga la
propria previsione nel secondo comma dell’articolo 116 è indicativa della circostanza che l’argomento di
prova è diverso dalla prova in senso tecnico. Il punto da chiarire è in che cosa consiste questa
differenza? Cerchiamo innanzitutto di tracciare uno schema delle ipotesi di argomenti di prova, quindi
cerchiamo di tracciare una lista delle ipotesi che vengono ricondotte a questa previsione. In effetti è un
prospetto abbastanza articolato, tra gli argomenti di prova sono ricondotte delle fattispecie che oltre
essere abbastanza numerose sono piuttosto eterogenee. Innanzitutto, le prime ipotesi che possiamo
richiamare, sono quelle a cui fa espresso riferimento lo stesso secondo comma dell’articolo 116, ovvero
le risposte che le parti danno al giudice a norma dell’articolo seguente ( qui c’è un richiamo all’articolo 117
del codice di procedura civile il quale prevede l’interrogatorio libero e non formale delle parti. Ricordate
che si tratta di un mezzo di prova che rientra nella disponibilità del giudice, e inoltre lo scopo
dell’interrogatorio libero è quello di far emergere le contestazioni, quindi le contestazioni specifiche, in
modo da delineare il tema probandum). Le risposte che le parti offrono in sede di interrogatorio non
formale vengono espressamente richiamate nell’albo degli argomenti di prova. Ancora si fa ancora
riferimento al rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che il giudice stesso ha ordinato, e qui c’è un
richiamo all’articolo 118, che prevede appunto un mezzo di prova che rientra nella disponibilità del giudice
(l’ispezione), L’ispezione che abbiamo detto è una prova diretta, il giudice percepisce direttamente il fatto,
il giudice in base all’articolo 118 può ordinare ispezioni sulla persona o sulle cose delle parti o di terzi e in
base all’espressa previsione dell’articolo 116 il rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni può essere
fonte di argomento di prova , esso evidentemente è una condotta, un contegno, che la parte viene ad
assumere di fronte al giudice. Ancora, andiamo avanti e possiamo richiamare la previsione contenuta
nell’articolo 200 del codice di procedura civile : siamo in tema di consulenza tecnica, l’articolo 200
prevede espressamente che in caso di fallita conciliazione delle parti tentata dal consulente tecnico, le
dichiarazioni delle parti riportate dalla consulente nella relazione, possono essere valutate dal giudice a
norma dell'articolo 116 secondo comma e l’articolo 200 comma 2.
Quindi anche in questo caso si fa riferimento a dichiarazioni rese dalle parti, questa volta di fronte al
consulente tecnico: ancora una volta è una condotta che le parti vengono ad assumere nel corso del
processo. Prendiamo in esame l’articolo 310 del codice di procedura civile, una norma su cui ci siamo
soffermati di recente e si tratta della norma che disciplina le conseguenze della estinzione del processo. Il
terzo comma dell’articolo 310 prevede espressamente che le prove raccolte nel processo estinto vengono
valutate dal giudice a norma dell’articolo 116 comma secondo; senza dubbio qui abbiamo già avuto modo
di stabilire che la norma fa riferimento sicuramente alle prove testimoniali e a queste possiamo
aggiungere sicuramente altre prove, sempre prove costituende, sempre prove che si sono formate nel
corso del processo, per esempio possiamo aggiungere le ispezioni, possiamo aggiungere la consulenza
tecnica, non vi rientra sicuramente la confessione perché la confessione resa di fronte al giudice del
processo estinto può valere sicuramente come confessione stragiudiziale, quindi non ci sono difficoltà ad
eventualmente applicare il disposto dell’articolo 2735 del codice civile che vedremo fra poco, mentre si
ritiene generalmente che il giuramento non si presti ad essere trasportato da un processo all’altro. La
disposizione non riguarda invece le prove precostituite, i documenti, questo perché sicuramente le parti
avranno cura di riprodurre gli stessi documenti nel secondo processo, quindi non si pone alcun problema
di passaggio. Quindi qui siamo di fronte ad una ipotesi molto diversa rispetto a quelle precedenti, perché
siamo di fronte a prove in senso tecnico, che sono state regolarmente acquisite da un giudice, che però
poi ha chiuso il processo senza emanare la sentenza di merito, è una ipotesi anomala di chiusura del
processo a cognizione piena, ma queste sono prove sempre a senso tecnico. A questa previsione
possiamo associare quanto stabilito nell’articolo 59 della Legge 69 del 2009, siamo in tema di
dichiarazione di difetto di giurisdizione e La norma stabilisce che se il giudice adito dichiara il proprio
difetto di giurisdizione, indica alle parti il giudice fornito di giurisdizione dopodiché se le parti provvedono
alla riassunzione o prosecuzione del processo di fronte al secondo giudice, il processo continua, quindi
non si ricomincia da capo, ma si ha semplicemente una continuazione, una translatio iudici, si dice in
gergo tecnico. Ebbene anche l’articolo 59 della Legge 69 del 2009 prevede espressamente che le prove
che sono state acquisite dal giudice che successivamente si è dichiarato non fornito di giurisdizione,
hanno valori di argomento di prova di fronte al giudice fornito di giurisdizione, al secondo giudice di fronte
a cui il processo prosegue. Anche in questo caso come nel caso dell’articolo 310 siamo di fronte a delle
prove in senso tecnico, sia pure acquisite da un giudice diverso rispetto a quello che si pronuncerà sul
merito della controversia. Ancora, il Decreto legislativo numero 28 del 2010 sulla mediazione
obbligatoria, prevede nell’art 8 comma 5 che sulla mediazione finalizzata alla conciliazione delle
controversie civili e commerciali che Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al
procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi
dell’articolo 116 secondo comma del codice di procedura civile. Quindi ancora una volta siamo di fronte
ad una condotta che la parte assume, questa volta non nell’ambito del processo ma nella realtà extra
processuale, perché siamo di fronte al mediatore. In questo senso la previsione del D. legislativo 28 del
2010 si discosta dalle altre disposizioni, che quando riguardano condotte processuali fanno sempre
riferimento a condotte appunto che la parte ha tenuto nel processo, mentre qui è una condotta che la
parte assume al di fuori del processo. Ancora vengono ricondotti agli argomenti di prova, la previsione di
cui all’art 232 comma 2 del cpc, è norma in tema di interrogatorio formale delle parti che andremo ad
esaminare fra poco, si prevede espressamente nel secondo comma che se la parte non si presenta o
rifiuta di rispondere all’interrogatorio formale il collegio valutato ogni altro elemento di prova può ritenere
come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio, allora questa previsione viene riportata come vi dicevo tra
gli argomenti di prova. La disposizione parla di ammissione, letteralmente si dice espressamente che il
collegio può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio, ma questa ammissione non può
essere paragonata a quella prevista dal successivo art. 239 in tema di giuramento, questa ammissione
non è altro che la valutazione di una condotta che il giudice effettua tramite prudente apprezzamento.
Ancora viene riportato tra gli argomenti di prova l’articolo 421, siamo in tema di processo del lavoro,
secondo cui il giudice ove lo ritenga necessario può ordinare la comparizione per interrogare le parti
liberamente senza giuramento e senza articolazione dei capitoli sui fatti della causa, anche di quelle
persone che siano incapaci di testimoniare a norma dell’articolo 246 e Si ritiene che dalle dichiarazioni
rese in questo interrogatorio libero il giudice possa desumere argomenti di prova. Allora tornando alla
questione da cui siamo partiti, intanto avete toccato con mano l’estrema eterogeneità di questa categoria
e si va da previsioni di meri contegni processuali, cioè il contegno processuale è sempre un fatto
secondario di cui il giudice ha immediata percezione nel processo e che il giudice può utilizzare come
fonte di presunzione .Queste sono le ipotesi dell’articolo 118:il rifiuto ingiustificato a sottoporsi a
ispezione, ma anche l’articolo 232 in tema di mancata risposta all’interrogatorio formale . Poi abbiamo le
risposte che le parti offrono, abbiamo la offerta in tema di interrogatorio libero nel processo ordinario art.
117, o Nel processo del lavoro, naturalmente le dichiarazioni che le parti rendono in sede di interrogatorio
libero possono essere dichiarazioni pro se o possono essere dichiarazioni contra se, ricordatevi che le
dichiarazioni contra se rese in sede di interrogatorio libero non possono mai avere il significato di una
confessione, quindi anche se il processo avesse ad oggetto diritti disponibili le dichiarazioni contra se
rese in sede di interrogatorio libero hanno come effetto quello di espungere il fatto del tema probandum,
cioè il fatto può essere ritenuto esistente da parte del giudice, ma non è una prova legale (questo è molto
importante segnarselo).

Abbiamo visto che ci sono dei veri e propri mezzi di prova, prove in senso tecnico, tali le previsioni
dell’articolo 310: processo estinto, e articolo 59 della legge 69 del 2009: prove assunte dal giudice non
fornito di giurisdizione; e poi ci sono quelle previsioni anomale: Abbiamo detto che le dichiarazioni di
scienza rese dalle parti davanti al consulente tecnico in sede di tentativo di conciliazione,è articolo 200 o
le dichiarazioni rese davanti al giudice del lavoro da terzi che sono incapaci di testimoniare, è l’articolo
421. L’l’unico dato comune di tutta questa congerie di previsioni è la circostanza che gli argomenti di
prova hanno un’origine processuale, cioè si riferiscono a fatti che sono fatti secondari o fatti
rappresentativi e si formano in occasione del processo. L’unica previsione che esce da questa
affermazione è quella contenuta nel decreto legislativo 28 del 2010 in tema di mediazione obbligatoria
delle controversie civili e commerciali .

Qual è allora la differenza che passa tra l’argomento di prova e prova in senso tecnico? La teoria
tradizionale della giurisprudenza e della dottrina vuole che l’argomento di prova, a differenza della prova
in senso tecnico, non sia idoneo a fondare da solo il convincimento del giudice, cioè il giudice non
potrebbe ritenere l’esistenza di uno dei fatti da provare utilizzando soltanto argomenti di prova. Quindi gli
argomenti di prova possono essere utilizzati in questa prospettiva soltanto per supportare i risultati a cui il
giudice è pervenuto dall’acquisizione delle prove in senso tecnico. Questa impostazione è
un’impostazione che ha un’origine remota e che probabilmente trova la propria giustificazione nella
esigenza di circoscrivere la discrezionalità del giudice, discrezionalità che si ritiene in queste ipotesi sia
estremamente accentuata, tuttavia è un’impostazione che ha lasciato molti operatori pratici e teorici
insoddisfatti, perché è una impostazione che non è in grado di giustificare una serie di contraddizioni che
emergono molto chiaramente. Intanto non si spiega il motivo per cui il giudice non potrebbe fondare il suo
convincimento sulle prove acquisite nell’ambito del precedente processo che si è estinto, oppure sulla
base delle prove acquisite dal giudice che poi si è dichiarato non fornito di giurisdizione, quando
l’ordinamento consente di acquisire le prove anche prima dell’apertura del processo attraverso l’istituto
della istruzione preventiva, che è disciplinato dagli articoli 692 e ss, sono delle misure che vengono
annoverate fra le misure cautelari e sono dirette a garantire il diritto alla prova quando c’è il rischio di
perdere una prova, per esempio quando un potenziale testimone che è malato terminale e quindi si ha
paura che muoia prima di riuscire ad ascoltarlo, oppure quando si ha timore che possano andare perdute
alcune prove perché lo stato dei luoghi è destinato ad essere alterato con il trascorrere del tempo. Quindi
nel momento in cui l’ordinamento consente comunque l’acquisizione di prove prima dell’apertura del
processo, prove che poi previo giudizio di ammissibilità e rilevanza il giudice del processo potrà utilizzare,
e potrà utilizzare anche per fondare il suo convincimento, non si capisce il motivo per cui invece le prove
assunte nel processo estinto o dal giudice che si è dichiarato non fornito di giurisdizione invece non siano
idonee a fondare da sole il convincimento del giudice. In secondo, noi abbiamo già detto che la prova non
ha sempre ad oggetto dei fatti principali ma può avere ad oggetto anche fatti secondari. La prova per
presunzioni, la prova per indizi, trova la propria previsione nell’articolo 2729 del codice civile. Ora l’articolo
2729 nel momento in cui parla di presunzioni non dice che il fatto secondario deve necessariamente
essere un fatto sostanziale, quindi si dice che probabilmente non si andrebbe a derogare alla previsione
dell’articolo 2729 laddove si consentisse al giudice di fondare il proprio convincimento su fatti secondari
che anziché essere sostanziali sono fatti secondari processuali, cioè consistono nella condotta, nel
contegno che la parte ha assunto di fronte al giudice. Inoltre non consente di capire questa impostazione
del perché si deve escludere che nei processi relativi ad diritti indisponibili il giudice non possa fondare il
suo convincimento circa l’esistenza o meno dei fatti giuridicamente rilevanti basandosi soltanto sulle
dichiarazioni contra se che la parte ha reso in sede di interrogatorio libero. Vi ricordate che nei processi
aventi ad oggetto diritti indisponibili non funziona il principio della non contestazione, quindi la
dichiarazione contra se resa in sede di interrogatorio libero non è idonea ad espungere il fatto del tema
probandum, peró soprattutto nell’ambito dei processi che hanno ad oggetto diritti indisponibili e che si
connotano per una forte tensione fra le parti, abbiamo detto che probabilmente una qualche differenza
probatoria alle dichiarazioni contra se che il giudice percepisce, che vengono rilasciate di fronte al giudice
la si può attribuire.

Quindi si ritiene opportuno di aprire al giudice lo spazio per utilizzare queste dichiarazioni nel momento in
cui si ritiene di valutare l’esistenza o non esistenza dei fatti oggetto delle stesse dichiarazioni. Questa
consapevolezza diciamo quindi di tutte queste contraddizioni che emergono seguendo l’impostazione
tradizionale, spiega il credito che ha maturato in alcune parti della dottrina ma anche in seno alla
giurisprudenza una tesi alternativa che è stata prospettata dal professor Carloni dell’università di Torino, il
quale ha affermato che la differenza tra argomento di prova e prova in senso tecnico, differenza che
comunque deve essere mantenuta perché emerge comunque dal testo dell’articolo 116, risiede nel fatto
che l’argomento di prova a differenza della prova in senso tecnico non è idoneo a fondare il giudizio di
superfluità di cui all’articolo 209 cpc. Il giudizio di superfluità, su cui tornerò fra breve, consente in pratica
al giudice di dichiarare chiusa l’assunzione dei mezzi di prova, quindi dichiarare chiusa l’istruzione
quando ravvisa superflua per i risultati già raggiunti la ulteriore assunzione, quindi è un potere che viene
attribuito al giudice di mettere fine all’assunzione di mezzi di prova che sono già stati ammessi perché
ritenuti superflui. Il giudizio di superfluità in verità qualche problema interpretativo lo pone, ma lasciando
stare queste problematiche è del tutto ragionevole ritenere che l’argomento di prova non consenta al
giudice di chiudere l’assunzione dei mezzi di prova, anche se questo giudizio di superfluità lo si interpreta,
lo si ricostruisce in maniera restrittiva, e che consista proprio in questo la differenza fra la prova in senso
tecnico e l’argomento di prova.

A questo punto darei per completata la presentazione e la spiegazione dei principi che regolano questa
materia (la materia ossia delle prove), vorrei soltanto tornare per un momento sul principio dell’onere
della prova, perché ieri non vi ho dato conto di una vicenda, consapevolmente, poi ripensando alla
lezione invece Ritengo opportuno invece introdurre una serie di indirizzi giurisprudenziali , che sono
intervenuti proprio in tema di principio dell’onere della prova. Vi ricordate dalla lettura dell’articolo 2697
del codice civile noi abbiamo rilevato come il legislatore ponga a carico di ciascuna parte il rischio della
mancata prova dei fatti a sé favorevoli, abbiamo detto che è una norma in bianco, nel senso che il carico
di ciascuna parte lo si desume soltanto alla luce della norma sostanziale, perché è la norma sostanziale
che mi definisce di volta in volta quali sono i fatti costitutivi e quali sono i fatti invece modificativi estintivi e
impeditivi. In questo quadro occorre fare i conti, oltre che con tutte le incertezze relative alla
qualificazione dei fatti, in particolare alla qualificazione dei fatti estintivi e i fatti impeditivi su cui ci siamo
soffermati a lungo ieri; dobbiamo fare i conti a livello pratico con alcuni interventi della giurisprudenza, che
ha maturato una serie di orientamenti, con riferimento a singole fattispecie, i quali a detta di molti
rappresentano una vera e propria deroga all’articolo 2697. Si tratta di orientamenti che si sono consolidati
e che dobbiamo recepire come diritto vigente, in particolare vorrei richiamare la vostra attenzione sugli
orientamenti che sono maturati in tema di inadempimento e onere della prova: quando nell’ambito di un
contratto si verifica l’inadempimento, la legge sostanziale prevede tre diversi rimedi: l’azione di esatto
adempimento, l’azione di risarcimento del danno e poi se si è trattato di prestazioni corrispettive abbiamo
anche l’azione di risoluzione del contratto. Dalla lettura delle norme del codice civile (quindi l’articolo 1218
innanzitutto, su cui ci siamo già soffermati nella scorsa lezione, nonché dalle norme relative al
risarcimento del danno ed alla risoluzione del contratto), si è sempre ritenuto per molto tempo nella
giurisprudenza che mentre rispetto all’azione di esatto adempimento, l’azione di adempimento del
contratto, il fatto costitutivo che l’attore deve allegare e provare se controverso è il contratto, con
riferimento invece all’azione di risarcimento del danno e all’azione di risoluzione del contratto per molto
tempo si è ritenuto che i fatti costitutivi sia non soltanto il contratto ma anche il fatto inadempimento. Su
questo punto sono intervenute nel 2001 le Sezioni unite con una sentenza storica, quella del 30 ottobre
2001 numero 13.533 che ha avallato un indirizzo che fino a quel momento minoritario. Questo intervento,
indirizzo ossia il principio che la Corte di cassazione ha adottato è quello secondo cui in verità l’onere
della prova in tutte e tre, avuto riguardo a tutte e tre le azioni, deve essere ricostruito in maniera unitaria e
quindi ha affermato che anche con riferimento all’ Azione di risarcimento del danno, la parte che agisce,
la parte che ha subito l'inadempimento, deve allegare e provare semplicemente il contratto, sta alla
controparte allegare e provare di aver adempiuto.

Questo indirizzo è stato elaborato non soltanto a partire dall’esigenza di ricostruire l’onere della prova in
maniera unitaria con riferimento alle tre azioni, perché ripeto si tratta di tre azioni, tre reazioni che
l’ordinamento appresta con riferimento alla stessa situazione e alla stessa crisi di diritto sostanziale. La
Corte di cassazione ha tenuto conto anche di uno dei criteri generali che abbiamo detto vengono applicati
dal legislatore nel momento in cui va a ricostruire le fattispecie e quindi a ripartire il carico probatorio, ed è
il criterio di vicinanza della prova; infatti con riferimento alla fattispecie su cui le sezioni unite sono
intervenute, l'obbligazione che non era stata adempiuta era un’obbligazione avente ad oggetto il
pagamento di una somma di denaro, la Corte di cassazione ha ragionato sulla considerazione secondo
cui la parte che agisce per ottenere il pagamento di una somma di denaro, può avere difficoltà a
dimostrare l’inadempimento, perché chi riceve il denaro può non essere nella condizione di provare la
mancata ricezione che é un fatto negativo, (io posso esibire un estratto del mio conto corrente per
dimostrare di non aver ricevuto il pagamento di un’obbligazione pecuniaria però è Vero che potrei avere
diversi conti correnti). Viceversa, ha rilevato la cassazione: la parte che adempie l’obbligazione pecuniaria
più facilmente può reperire la prova che ha adempiuto all’obbligazione, perché per esempio avrà gli
estremi del bonifico bancario, avrà una ricevuta, quindi osserva la corte in base al criterio di vicinanza
della prova, è più facile per la parte che afferma di aver adempiuto, trovare i fatti adempimento, mentre
invece la parte che deve dimostrare di non aver ricevuto l’adempimento potrebbe essere in difficoltà.
Seguendo questo ragionamento la Corte ha affermato che anche in ipotesi di azione di risarcimento del
danno e di azione di risoluzione del contratto la parte che agisce deve allegare e provare il contratto,
deve allegare l’inadempimento, ma sta al convenuto a dover dimostrare l’avvenuto adempimento; quindi
è un’operazione che la corte di cassazione a detta di molti ha compiuto in deroga al criterio sancito
all’art’2697, perché in base alle norme sostanziali in verità il fatto inadempimento è costitutivo del diritto a
risarcimento del danno e soprattutto della risoluzione del contratto. Peraltro in quella sede le sezioni unite
erano andate anche aldilà del caso concreto, affermando che la stessa regola si doveva applicare in
ipotesi di inesatto adempimento.

Quale sono le ipotesi tipiche di inesatto adempimento? le ipotesi tipiche di inesatto adempimento sono
per esempio la consegna da parte del venditore di un bene viziato o di un bene che è privo delle qualità
promesse e i vizi del bene venduto e la mancanza delle qualità promesse sono forme tipiche di parziale
inadempimento da parte del venditore, perché su questo torneremo nel secondo semestre parlando della
chiamata in garanzia, in verità quello che pone il codice a carico del venditore è un obbligo di
trasferimento di proprietà di un bene che è esente da vizi e che ha le qualità promesse; se queste ultime
caratteristiche mancano il compratore ha diritto alla GARANZIA PER I VIZI, o alla garanzia PER
DIFETTO DI QUALITÀ, e questa garanzia in verità nonostante la lettera dell’art 1476 del cc che non è fra
le più precise, non è (?) un unicum (?) ma è una forma di responsabilità contrattuale tant’è vero che il
contenuto fondamentale della garanzia per i vizi che cos’è? È l’azione di risoluzione del contratto o
l’azione di riduzione del prezzo, che sono tipici rimedi all’inadempimento. Quindi le sezioni unite del 2001
affermarono che lo stesso criterio doveva valere con riferimento con le ipotesi di Inesatto adempimento.
Ora questa precisazione peraltro non richiesta, perché esulava dal caso su cui la cassazione doveva
pronunciarsi aveva suscitato delle accesissime critiche da parte della dottrina; perché se il criterio sulla
cui base la corte di cassazione aveva elaborato il suo principio (era quello della vicinanza della prova), la
soluzione in ipotesi di inesatto adempimento avrebbe dovuto essere opposta; cioè la corte avrebbe
dovuto porre a carico dell’attore cioè di colui che chiede di avvalere l’inesatto adempimento, l’onere di
provare l’inesatto adempimento, perché nel caso di consegna del bene viziato o bene privo delle qualità
promesse il bene viziato ce l’ha il compratore quindi è lui che può facilmente provare l’inesatto
adempimento quindi il vizio o la mancanza della qualità del bene che gli è stato consegnato.

Su questo punto per fortuna sono tornate le sezioni unite con una sentenza più recente che è del 3
maggio 2019 numero 11.748, cui ha affermato sulla base di un’argomentazione che probabilmente non si
presta ad essere condivisa, però ha affermato che in questa ipotesi sta a colui che agisce invece provare
l’inesatto adempimento; quindi per fortuna le sezioni unite hanno corretto il tiro.

E questa era la vicenda ti volevo recuperare di cui volevo darvi conto perché è vero che mi complica un
po’ il quadro, ma si tratta di una vicenda molto importante, è una vicenda che è un principio che seppure
è stato elaborato in deroga a quanto previsto dalla legge è diritto vivente perché dal 2001 la corte di
cassazione non ha mai abbandonato questo principio, e quindi dobbiamo recepirlo così come è stato
elaborato. Allora a questo punto direi che possiamo andare ad analizzare la disciplina dell’istruzione
probatoria e quindi possiamo innanzitutto aprire il codice di procedura.

Allora la disciplina dell’istruzione probatoria è contenuta nel secondo libro del codice di procedura civile,
il secondo libro è dedicato al processo a cognizione piena; in particolare alla istruzione se voi sfogliate il
secondo libro vedete che è dedicato il capo secondo del titolo primo del secondo libro, che reca proprio il
titolo dell’istruzione della causa.

in verità però le norme che più mi interessano, quindi proprio dedicate alla acquisizione delle prove, sono
contenute solo nella sezione terza, che è dedicata alla istruzione probatoria; quindi se il capo secondo del
primo titolo si occupa dell’istruzione della causa, l’istruzione probatoria in senso stretto come
procedimento istruttorio è disciplinato soltanto dalle disposizioni della sezione Terza del capo secondo.

Queste disposizioni hanno ad oggetto evidentemente le prove costituende, perché le prove costituende,
che sono le prove che si formano nel processo, a differenza delle prove precostituite hanno bisogno di un
apposito procedimento, che è il procedimento istruttorio. Dobbiamo però ricordare che in verità il profilo
procedimentale delle prove diciamo che comincia molto prima della fase di assunzione delle prove, di cui
si occupano queste disposizioni, perché avvio l’iter procedimentale delle prove, prende avvio già nella
fase introduttiva del processo, nella fase di trattazione e cioè prende avvio dalla cosiddetta deduzione (?)
vi ricordo che con riferimento al processo a cognizione piena la richiesta di assunzione delle prove le parti
le possono svolgere negli atti introduttivi, lo possono svolgere in udienza, ma anche nella eventuale
appendice scritta del primo termine stabilito dall’articolo 183 sesto comma.

ricordo inoltre che accanto alle prove richieste dalle parti ci sono le prove che il giudice dispone d’ufficio e
queste prove possono essere disposte dal giudice fin dalla prima udienza possono essere disposte
nell’ambito dell’ordinanza che ammette le prove richieste dalle parti e possono essere disposte in
qualsiasi momento del processo di primo grado, anzi abbiamo detto che il giudice generalmente utilizza i
propri poteri istruttori solo dopo aver acquisito le prove che sono state richieste dalle parti; poi abbiamo la
fase naturalmente di acquisizione delle prove, fase di acquisizione che riguarderà soltanto le prove
costituende e successivamente abbiamo la fase della valutazione delle prove tipiche che invece
riguarderà anche le prove precostituite.

Quindi sul piano logico, sul piano procedimentale possiamo dire il procedimento probatorio comprende
parte dalla fase di richiesta di acquisizione delle prove e si conclude nel momento in cui il giudice valuta
le prove, quindi nella fase decisoria.

È molto importante ricordarci la differenza che passa tra le prove precostituite e le prove costituende:
abbiamo ricordato che le prove precostituite non rendono necessario un procedimento di acquisizione
perché la prova precostituita entra nel processo e viene acquisita nel processo, nello stesso momento in
cui la parte la produce, la produzione documentale deve avvenire negli stessi Termini fissati dal codice
per la richiesta di assunzione delle prove, su questo non ci devono essere dubbi.

ma una volta che la contemporaneamente nel momento stesso in cui la parte chiede l’assunzione della
prova precostituita la produce e viene acquisita, soltanto nel momento della fase decisoria quando il
giudice valuta le prove il giudice valuterà la rilevanza e l’ammissibilità di queste prove documentali; quindi
all’inizio del processo non c’è un vaglio da parte del giudice.

mentre invece la prova costituenda, la prova che si forma nel processo deve passare attraverso un
controllo del giudice: un controllo del giudice che consiste in quel giudizio di ammissibilità e di rilevanza
che abbiamo detto precede l’acquisizione delle stesse prove. Che cos’è questo giudizio di ammissibilità e
rilevanza? Vi ricordate che il giudizio di ammissibilità è un giudizio, è un controllo di legalità, cioè il giudice
deve verificare che la legge processuale, l’ordinamento consenta di provare un determinato fatto con un
determinato mezzo di prova, perché talvolta questo non è possibile per esempio andremo a vedere che il
giuramento in base all’articolo 2739 del codice civile non può essere utilizzato per provare, quindi non
può essere deferito per provare un fatto illecito.

mentre invece il giudizio di rilevanza è una valutazione che il giudice deve effettuare in ordine al fatto
oggetto della prova rispetto alla decisione della controversia, vi ricordate che abbiamo detto che in un
certo senso quando il giudice effettua la valutazione di rilevanza dei mezzi di prova richiesti in un certo
senso anticipa l’attività decisoria, svolge un’attività abbiamo detto che è in un certo senso decisoria,
perché il giudice deve stabilire se un determinato fatto, consideriamo l’ipotesi che sia un fatto principale,
deve stabilire se un determinato fatto su cui la parte ha chiesto l’assunzione di un mezzo di prova è
rilevante oppure no: se la prova riguarda dei fatti secondari invece il giudice deve valutare se il fatto
secondario è idoneo a fondare l’esistenza di un fatto principale, quindi un fatto giuridicamente rilevante.
Quindi il giudice anticipa l’attività decisoria perché il giudizio di rilevanza presuppone la individuazione e
l’interpretazione della norma generale astratta, perché soltanto sulla base della norma generale astratta
che è possibile stabilire quali sono i fatti giuridicamente rilevanti. Attenzione il giudice non anticipa
l’attività di valutazione della prova, anticipa l’attività decisoria finale, quindi anticipa la valutazione relativa
al se il fatto con riferimento al quale la parte ha chiesto l’assunzione di un mezzo di prova è
giuridicamente rilevante in base alla norma sostanziale, se la prova è stata richiesta con riferimento a un
fatto secondario il giudice anticipa anche l’attività logico deduttiva volta a stabilire se un determinato fatto
secondario è idoneo a fondare la valutazione di esistenza di un fatto giuridicamente rilevante, in nessun
caso il giudice può svolgere anticipatamente l’attività di valutazione della prova quindi l’attività che
consente di passare dalla fonte rappresentativa, quindi in questo caso la dichiarazione di scienza per
esempio del terzo, al fatto oggetto della stessa fonte rappresentativa; quindi non anticipa l’attività di
valutazione della prova, ma anticipa l’attività decisoria in senso stretto.
il giudizio di rilevanza quindi è un giudizio che ha come punto di riferimento l’individuazione e
l’interpretazione Della norma generale e astratta e per questo che abbiamo detto che è una valutazione
che è intrinsecamente decisoria.

Vi ricordo che questo giudizio di ammissibilità e di rilevanza viene reso con un provvedimento che ha la
forma dell'ordinanza, ha la forma e la sostanza di ordinanza; nel senso che anche se l’attività di rilevanza
e di valutazione della rilevanza del mezzo di prova è un’attività intrinsecamente decisoria, questo
provvedimento in base a quanto espressamente stabilito dalla legge non è mai idoneo a pregiudicare il
merito della controversia, quindi resta comunque libero il giudice poi di cambiare idea nel corso del
processo, quindi stabilire che la norma da applicare alla fattispecie concreta non è quella sulla cui base è
svolto il giudizio di rilevanza, ma è un’altra.

Detto questo, vediamo le regole generali che sovrintendono all’acquisizione delle prove, delle prove
naturalmente costituende. L’assunzione delle prove avviene sotto il controllo del giudice, infatti come
espressamente affermato dall’articolo 175 del codice di procedura civile, che è la norma che apre il capo
secondo dedicato all’istruzione della causa, il giudice istruttore esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e
leale svolgimento del processo.

È un’attività generalmente piuttosto complessa, è invece leggendo l’articolo 184 sembrerebbe che
l’attività istruttoria possa esaurirsi nell’ambito di una udienza e il giudice nell’udienza fissata con
ordinanza prevista del settimo comma dell’articolo 183, il giudice istruttore procede all’assunzione dei
mezzi di prova ammessi. In verità è molto difficile che l’assunzione delle prove si esaurisca nell’ambito di
una sola udienza, la verità è che il giudice dovrà fissare una serie di udienze, deve fissare quel calendario
del processo che è disciplinato espressamente dalle disposizioni di attuazione del codice di procedura
civile.

Ora circa l’assunzione dei mezzi di prova in generale rilevano gli articoli 202 e seguenti, vi consiglio di
seguirmi sul codice perché è piuttosto semplice; quando dispone i mezzi di prova dice l’articolo 202 il
giudice istruttore se non può assumerli nella stessa udienza stabilisce il tempo, il luogo e il modo
dell’assunzione, se questa non si esaurisce nell’udienza fissata il giudice ne differisce la prosecuzione ad
un giorno prossimo. L’articolo successivo si occupa e regolamenta la possibilità che la assunzione dei
mezzi di prova possa essere delegata anche ad un altro giudice, questo avviene se i mezzi di prova
debbano assumersi fuori della circoscrizione del tribunale.

Così come il successivo articolo 204 si occupa dell’ipotesi in cui per l’esecuzione dei provvedimenti
istruttori debba avvenire all’estero, in verità in questa ipotesi acquistano rilevanza anche degli accordi
internazionali, a livello europeo abbiamo un regolamento che si occupa della assunzione delle prove, si
tratta del regolamento numero 1206 del 2001 e poi ci sono tutta una serie di convenzioni binazionali o
plurilaterali a cui l’Italia ha aderito e che si occupano appunto dell’assunzione dei mezzi di prova
all’estero, quindi su questo punto non andiamo oltre. Le parti possono sempre assistere articolo 206
personalmente all’assunzione dei mezzi di prova, naturalmente (?)
Non dovete confondere qui il termine parte, non indica il difensore, il difensore deve sempre essere
presente alle udienze perché deve assicurare il diritto di difesa e il principio del contraddittorio mentre la
parte personalmente, ha la libertà di scegliere se assistere o meno alle udienze che vengono fissate per
l’assunzione dei mezzi di prova. In base all’articolo 207 dell’assunzione dei mezzi di prova viene sempre
redatto processo verbale sotto la direzione del giudice, vengono le dichiarazioni delle parti e dei testimoni
sono riportati in prima persona e sono lette al dichiarante; il giudice quando lo ritiene opportuno nel
riportare le dichiarazioni descrive il contegno della parte e del testimone.

La reazione del processo verbale è molto importante, non vengono riportate soltanto le dichiarazioni delle
parti e del testimone, ma vedete che il terzo comma dell’articolo 207 precisa molto chiaramente che il
giudice può anche riportare descrivere il contegno della parte o del testimone. Questa previsione si
spiega riflettendo sulla circostanza che il processo civile italiano non è un processo che si connota per la
sua concentrazione, è un processo molto lungo anche quando diciamo si svolge in situazione di normalità
e non patologica; per cui tra il momento in cui una prova viene acquisita e il momento in cui il giudice è in
fase decisoria e si trova a valutare queste prove può intercorrere un lasso di tempo anche piuttosto
consistente, quindi è particolarmente importante che il processo verbale rechi quanti più dettagli possibili,
perché anche queste circostanze il contegno appunto o la condotta della parte o del testimone appunto
possono avere la loro rilevanza. Per esempio uno dei profili, oggetto di valutazione da parte del giudice
con riferimento ai testimoni è l’attendibilità del testimone, e quindi il contegno che il testimone manifesta e
tiene di fronte al giudice può avere una sua rilevanza. L’articolo 208 disciplina la decadenza
dall’assunzione e se non si presenta la parte su istanza della quale deve iniziarsi o proseguirsi la prova il
giudice istruttore la dichiara decaduta dal diritto di farla assumere, salvo che l’altra parte presente non ne
chieda la assunzione, la possibilità per la controparte di insistere per l’assunzione della prova trova la
propria spiegazione nel principio di acquisizione della prova; la prova una volta che è stata ammessa fa
parte del processo e quindi può essere utilizzata l’abbiamo già detto, in tutte le direzioni da parte del
giudice; nel secondo comma si prevede che la parte interessata può chiedere nell’udienza successiva al
giudice la revoca dell’ordinanza che ha pronunciato la sua decadenza dal diritto di assumere la prova, il
giudice dispone la revoca con ordinanza quando riconosce che la mancata comparizione è stata
cagionata da causa non imputabile alla stessa parte; questo non è altro che una forma di remissione in
termini. Il successivo articolo 209 riguarda invece la chiusura dell’assunzione, contiene la previsione del
giudizio di superfluità cui abbiamo fatto cenno poc’anzi, il giudice istruttore dichiara chiusa l’assunzione
quando sono eseguiti i mezzi ammessi o quando dichiarata la decadenza di cui all’articolo precedente
non vi sono altri mezzi da assumere oppure quando egli ravvisa superflua, per i risultati già raggiunti, la
ulteriore assunzione. Allora le prime due ipotesi non sono affatto problematiche, il giudice ha esaurito
l’assunzione di mezzi di prova, eventualmente previa decadenza della parte che non si è presentata. E
invece come vi avevo già accennato desta qualche discussione il giudizio di superfluità, che consente
appunto al giudice di chiudere l’assunzione mezzi di prova quando ravvisi la superfluità della loro ulteriore
assunzione, quindi il presupposto qui è diverso, si presuppone che siano stati ammessi mezzi di prova e
si da la possibilità al giudice di non acquisirli.

Allora è pacifico che il giudizio di superfluità sia fondato nel caso in cui i mezzi di prova ulteriori vengono
chiesti per corroborare i risultati che sono già maturati a seguito della acquisizione degli altri mezzi di
prova; quindi se la parte per convincere il giudice della dinamica di un incidente ha chiamato 20 testimoni,
e se dopo aver già sentito supponiamo 10 testimoni o 10 persone confermare la dinamica dell’incidente,
È chiaro che è legittimo che il giudice ritenga superflue le ulteriori 10 testimonianze, perché sono 10
testimoni chiamati a confermare quanto già affermato da testimoni che sono già stati acquisiti. Quindi in
questo senso se i mezzi di prova che ancora sono da assumere e che il giudice invece ferma sono diretti
a corroborare l’opinione che il giudice si è già formato sulla base di quelli già assunti, non ci sono
problemi.

Invece problemi ce ne sono nel caso in cui i mezzi di prova che ancora non sono stati assunti sono diretti
a contrastare l’opinione che il giudice si è già formato sulla base di quelli assunti; ci sono taluni operatori i
quali ritengono che con riferimento a questa seconda possibilità debba essere garantito il diritto alla prova
e ritengono che laddove il 209 consentisse anche in questa ipotesi al giudice di pronunciare il giudizio di
superfluità questa disposizione sarebbe costituzionalmente illegittima. Altri invece ritengono che ci
possano essere delle ipotesi in cui anche in questa ipotesi sia giustificato il giudizio di superfluità, cioè
fanno leva più su considerazioni di carattere pratico del processo, e sulla esigenza che questa possa
essere uno strumento che comunque vada lasciato aperto per il giudice in nome di esigenze di economia
processuale, sia pure raccomandando al giudice di farne un uso molto parsimonioso, quindi un uso molto
attento, e soprattutto di dar conto sempre in maniera molto puntuale nella motivazione delle ragioni su cui
si basa il giudizio di superfluità in modo che ci possa essere un pieno controllo anche da parte della corte
di cassazione. Volendo avviare ora l’analisi della disciplina dei singoli mezzi di prova, cominciamo dalla
analisi delle prove cosidette orali, delle prove costituende che sono le prove orali, quindi sono le prove
che si formano nell’ambito del processo.

si tratta di una serie di mezzi di prova estremamente diversi l’uno dall’altro, peraltro si tratta di prove che
talvolta sono libere e quindi soggetta al libero apprezzamento del giudice, altre volte invece sono prove
legali e quindi sono prove che vincolano il giudice.

Ricordiamoci che questi mezzi di prova, come regola generale, si devono formare, si devono acquisire di
fronte al giudice nel processo a cognizione piena, ma che in via del tutto eccezionale, come vi avevo
anticipato anche nella lezione di oggi, l’ordinamento ammette che l’assunzione di questi mezzi di prova
possa avvenire anche prima del processo in sede di istruzione preventiva: articolo 692 del codice di
procedura civile, in presenza di determinati presupposti indicati dalla legge, in particolare laddove c’è il
rischio di perdere la fonte di prova, quindi in presenza del rischio che non ci sia più la possibilità di
assumere una determinata prova se si devono aspettare i tempi del processo a cognizione piena.
Questa assunzione, questa possibilità di assumere le prove prima dell’apertura del processo il nostro
ordinamento la ammette a scopo soltanto cautelare, quindi appunto per garantire il diritto alla prova, per
non esporre la parte al rischio di perdere la prova di non poterla più assumere, quindi di non poterla
utilizzare. Mentre invece il nostro ordinamento, lo vedremo meglio nel secondo semestre, non ha aperto
ancora alla possibilità che le prove possono essere acquisite anche prima e al di fuori del processo in una
prospettiva di deflazione del contenzioso, cioè allo scopo di influire su una delle parti del processo del
futuro processo, per convincerla diciamo ad adempiere spontaneamente o comunque per agevolare un
accordo fra le parti, quindi una soluzione transattiva della controversia.

Vedremo c’è una traccia diciamo di questa possibilità nell’articolo 696 bis del codice di procedura civile, è
una consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, e questo è il nome dell’istituto, è
una timida apertura verso diciamo una utilizzazione delle prove che invece ritroviamo in molti altri
ordinamenti, anche in ordinamenti a noi vicini anche per tradizione.

Comincerei nei pochi minuti che ci sono rimasti ad analizzare la disciplina della testimonianza che è la
prova precostituenda per eccellenza. Cos’è la testimonianza? La dichiarazione testimoniale è una
dichiarazione di scienza di un terzo. Quindi è un soggetto diverso dalle parti ed ha ad oggetto il fatto il che
il terzo ha percepito direttamente. Questa è la forma principale della testimonianza, ma si ammette che
un terzo possa essere chiamato a rendere una dichiarazione testimoniale anche con riferimento a fatti
che non ha percepito direttamente, ma che ha appreso da altri: in questo caso si parla della
testimonianza de relato.

La testimonianza si forma nel processo perché il testimone deve rendere le sue dichiarazioni di fronte al
giudice nel contraddittorio tra le parti, ed è una classica prova libera quindi una classica prova soggetta al
libero apprezzamento da parte del giudice. Bisogna però dire che nella disciplina della testimonianza si
intravedono dei tratti di prova legale, e questo sia sotto il profilo dei limiti di ammissibilità, perché è
soggetta al limiti di ammissibilità molto pesanti, ma poi anche con riferimento alle modalità di
acquisizione, che abbiamo già avuto modo di anticipare nelle lezioni dedicate al processo a cognizione
piena, sono particolarmente rigide. La tradizione vuole che la prova testimoniale sia una prova poco
affidabile, perché innanzitutto i testimoni chiamati dalle parti spesso non sono così imparziali, non sono
così equidistanti, questo lo sappiamo dalla cronaca di tutti giorni che spesso i testimoni sono persone in
qualche modo non disinteressate, sono persone che sono vicine ad una delle parti e che quindi non sono
da ritenersi disinteressati ai fatti della controversia.

Dunque la testimonianza passa attraverso la memoria della persona e spesso il testimone viene chiamato
a rendere la propria testimonianza in un tempo molto lontano dal momento in cui ha percepito i fatti,
pensate per esempio al testimone che ha assistito ad un incidente ad un sinistro stradale, a distanza di
molti anni, perché il processo a cognizione piena dura molti anni, e la memoria farà dei brutti scherzi
specialmente a qualcuno. Quindi è chiaro che questo vale a indebolire l’ attendibilità della persona. Terzo,
molto spesso il testimone viene chiamato a rendere dichiarazioni su fatti che non ha percepito
direttamente, ma su fatti che sono stati riportati da altri e questo è il motivo per cui il legislatore ha
imposto alla testimonianza delle limitazioni, limitazioni che di muovono in duplice direzione abbiamo delle
limitazioni di tipo soggettivo e abbiamo delle limitazioni di tipo oggettivo. E si ritiene che queste norme, le
norme che pongono queste limitazioni sono norme che codificano delle regole di prova legale. La
valutazione che il giudice è chiamato ad effettuare è una valutazione che riguarda innanzitutto
l’attendibilità del testimone, quindi della persona che rende la dichiarazione, e poi è una valutazione che
deve riguardare le dichiarazioni stesse che il testimone ha reso; naturalmente questa valutazione deve
essere particolarmente prudente in tutti i casi in cui la testimonianza è l’unico strumento conoscitivo che il
giudice ha a sua disposizione per stabilire l'esistenza o non esistenza di un fatto che è giuridicamente
rilevante.

Ora le limitazioni soggettive sono disciplinate nello stesso codice di procedura civile in particolare queste
limitazioni erano contenute diciamo negli articoli 246 e seguenti, ma due disposizioni gli articoli 247 248
sono state dichiarate incostituzionali dalla corte, quindi sono state abrogate dalla corte costituzionale: si
trattava di norme che contenevano il divieto di testimonianza del coniuge e dei parenti, degli affini e dei
minori di 14 anni.

Questi divieti sono caduti e quindi questi soggetti in base alla disciplina attualmente vigente sicuramente
possono essere chiamati a rendere testimonianza, naturalmente il giudice nel momento in cui valuta le
dichiarazioni rese da questi soggetti dovrà valutarne l'attendibilità, quindi naturalmente il giudice potrà
dare il giusto peso a queste dichiarazioni tenendo in considerazione il legame che intercorre tra il
testimone, per esempio il coniuge o i parenti o comunque i familiari in senso lato, e una delle parti del
processo. Quindi il legame che intercorre tra queste persone e una delle parti avrà comunque rilevanza
quindi a questo punto non impedisce più l’acquisizione della testimonianza, ma avrà un peso sulla
valutazione che il giudice è chiamato ad effettuare.

Resta in piedi invece il limite dell’articolo 246 che prevede la non possibilità di assumere come testimoni
le persone che hanno nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio.
Si ritiene che i terzi, le persone che abbiano interesse, (il termine interesse ricordatevi che spesso è
utilizzato dal legislatore per indicare persone che sono titolari di situazioni giuridiche legate alla situazione
giuridica oggetto del processo); infatti si ritiene che qui il divieto di testimonianza interessi terzi che
potrebbero esperire intervento nell’ambito del processo, che quindi potrebbero esperire l’intervento
volontario ai sensi dell’articolo 105 del codice di procedura civile e quindi potrebbero acquisire la qualità
di parte del processo.

E’ una norma ritenuta da molti irrazionale, una norma ritenuta da molti una violazione del diritto delle
garanzie costituzionali di cui all’articolo 24 primo e secondo comma il diritto di azione, e il diritto di difesa.
Probabilmente è una norma che ritiene la propria giustificazione in un principio ossia in una regola che
l’ordinamento processuale italiano da sempre accoglie ed è cioè il divieto della testimonianza della parte.
È una regola che ha delle origini remote e molti ne invocano una abrogazione e da molto tempo ci sono
esponenti molto autorevoli della dottrina che vorrebbero che anche la parte potesse essere chiamata a
rendere una dichiarazione solenne e quindi una dichiarazione resa e dopo aver assunto l’impegno di dire
la verità così come fa il testimone soggetta al libero apprezzamento del giudice e di conseguenza
sopprimere istituti ormai sorpassati come quel giuramento suppletorio Ed estimatorio, che abbiamo detto
abbiamo già richiamato è uno dei mezzi di prova che rientra nella disponibilità del giudice.

Molto più interessanti sono invece le limitazioni cosiddette oggettive alla prova testimoniale, le limitazioni
oggettive si riferiscono in modo particolare alla materia dei contratti, quindi li troviamo nel codice civile
negli artt. 2721 e seguenti e riguarda la prova dei contratti. In base peraltro all’articolo 2726 queste norme
si applicano anche al pagamento e alla remissione del debito.
Queste limitazioni le possiamo scorrere velocemente sono di vario genere, alcune di queste si collegano
diciamo ad altri istituti lo vedremo (?) alla disciplina della simulazione del contratto nonché alla disciplina
della forma scritta dei contratti che talvolta appunto devono assumere con riferimento ai quali è la
disciplina sostanziale a stabilire la forma (devono essere redatti in talune forme ad substantiam o ad
probationem).

Il primo limite è stabilito nell’articolo 2721: la norma prevede espressamente che la prova per testimoni
dei contratti non è ammessa quando il valore dell’oggetto eccede gli euro 2,58, si tratta di un importo che
per effetto della svalutazione monetaria può ritenersi ridicolo, e per questo il limite non è operativo:
questo è l'unico motivo per cui la norma è sopravvissuta, in ogni caso il secondo comma dell’articolo
2721, prevede che l’autorità giudiziaria possa ammettere la prova per Testimoni anche oltre il limite
anzidetto tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza. Il
secondo limite lo ritroviamo nell’articolo 2725 e dove si fa riferimento agli atti per i quali viene richiesta la
prova per iscritto o la forma scritta, infatti l’articolo 2725 prevede che quando secondo la legge o la
volontà delle parti un contratto deve essere provato per iscritto, la prova per testimoni è ammessa
soltanto nel caso indicato dal n. 3 dell’articolo precedente; il secondo comma stabilisce che la stessa
regola si applica nei casi in cui la forma scritta è richiesta sotto pena di nullità. Con riferimento a questa
seconda ipotesi si tratta dei casi in cui la forma scritta viene richiesta ad sustantiam (quindi a pena di
nullità) e l’unico è il caso in cui un contratto che deve essere redatto in forma scritta ad sustantiam può
essere provato per testimoni, è il caso di cui all’articolo 2724 numero tre, cioè quando il contraente ha
senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova. Nel secondo caso ovvero l’ipotesi in cui
secondo la legge o per volontà delle parti un contratto deve essere provato per iscritto, quindi si parla
della forma scritta ad probationem, invece possono essere utilizzate le prove testimoniali ancora una
volta nell’ipotesi di cui all’articolo 2724 numero tre, quindi quando il contraente ha senza sua colpa
perduto il documento che gli forniva la prova, ma in più si ritiene che siccome la forma scritta è richiesta
ad substantiam, ma contratto siglato in forma orale comunque non è nullo, si ritiene che la sua
stipulazione possa essere provata anche attraverso altri mezzi di prova, quindi attraverso per esempio la
confessione o attraverso il giuramento.

L’articolo 2722 si occupa invece dei patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, si prevede che
la prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un
documento per i quali si alleghi che la stipulazione stata anteriore o contemporanea.

Mentre il successivo articolo 2723 si occupa dei patti aggiunti o contrari stipulati successivamente alla
formazione del documento e si legge che: qualora si alleghi che dopo la formazione di un documento è
stato stipulato un patto aggiunto o contrario al contenuto di esso, l’autorità giudiziaria può consentire la
prova per testimoni soltanto se avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura del contratto e ogni altra
circostanza appare verosimile che siano state fatte aggiunte o modificazioni anche verbali. Questi limiti
alla possibilità di utilizzare la prova testimoniale con riferimento ai patti aggiunti o contrari, si collega alla
disciplina della simulazione, perché i patti aggiunti o contrari non sono altro che l’accordo simulatorio; la
disciplina di queste limitazioni è completata dall’articolo 2724 che invece riguarda le eccezioni, cioè le
ipotesi in cui la prova testimoniale è sempre ammessa.

Il primo caso è quello in cui vi è un principio di prova per iscritto, è costituito ci dice la disposizione da
qualsiasi scritto proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante
che faccia apparire verosimile il fatto allegato. Si tratta di una figura la cui qualificazione è piuttosto
incerta, nel senso che è molto difficile delimitare questo principio di prova per iscritto, da altre figure che
vengono ritenute limitrofe, in particolare è difficile distinguere il principio di prova per iscritto dalle
cosiddette presunzioni semplici, quindi dagli indizi, o da quella semi plena probatio cui fa riferimento
l’articolo 2736 numero due del codice civile in tema di giuramento suppletorio.
Seconda ipotesi è quella in cui il contraente è stato nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una
prova scritta; la terza possibilità è quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli
forniva la prova scritta e questa è l’unica ipotesi in cui la prova testimoniale può essere utilizzata con
riferimento ad atti per cui è richiesta la prova scritta o la forma scritta ad substantiam o ad probationem.

Tra questi limiti si devono distinguere dei limiti in senso stretto, quindi che non possono essere superati
(tali sono quelli di cui agli articoli 2722 e 2725) da quelli invece che possono essere superati passando
attraverso un giudizio di verosimiglianza svolto dal giudice in base alle caratteristiche concrete della
fattispecie dedotta in giudizio, così come previsto dall’articolo 2721 con riferimento al limite di valore e
dall’art. 2723 con riferimento ai patti posteriori alla formazione del documento (in ogni caso valgono le
eccezioni dell’art. 2724nei limiti già chiariti). Una particolare ipotesi di limitazione della prova testimoniale
la ritroveremo nel secondo semestre nell’ambito del processo esecutivo, in particolare nell’articolo 621 del
codice di procedura civile in tema di opposizione di terzo all’esecuzione nell’ espropriazione mobiliare, ma
vedremo che quello che il codice indica e disciplina come limite all’ammissibilità della prova testimoniale,
in verità non è altro che una sua norma di responsabilità per debito altrui che viene fondata sulla
localizzazione del bene, cioè sul luogo in cui il bene il bene mobile è stato rinvenuto.

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