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DIBATTITO
Intervento 1. Articolo su “Il Sole 24 Ore” sulla proposta avanzata dagli Stati Uniti sull’introduzione
di una minimum tax a livello globale. La prospettiva dell’articolo è una prospettiva americana perché
si spiegano le probabili ragioni per cui gli Stati Uniti hanno proposto l’introduzione di questa
minimum tax. L’amministrazione Biden ha intenzione di aumentare la tassa sulle società (si parla
addirittura di aliquote del 25%/28%. E, proprio per evitare che questo innalzamento di aliquota porti
alla fuga delle società americane verso paesi con aliquote inferiori, secondo la ricostruzione del
giornale, si è arrivati alla proposta di una minimum tax globale. La novità è che fino ad ora, anche
all’interno dell’OCSE, si era parlato di un’aliquota che si aggirava intorno al 12,5%, mentre questa
aliquota è molto più elevata perché si parla addirittura di un 21%. La collega pensa che sia interessante
anche in relazione alla discussione che stiamo portando avanti e, in particolare, sembra un importante
incentivo alla discussione in seno all’OCSE con riferimento al Pillar 2.
Intervento 2. Il collega ha trovato un articolo su “Il Sole 24 Ore” che faceva riferimento all’intervento
del Generale Zafarana in commissione finanze. Il collega sottolinea alcuni aspetti interessanti che si
evincono dall’ascolto dell’intervento. Sebbene sia incentrato sulle problematiche relative all’IRPEF,
esso poi tratta di alcuni aspetti di fiscalità internazionale da noi trattati a lezione. Il Generale sottolinea
come sia necessario ripensare tutti i modelli di tassazione dei redditi societari alla luce di tutti questi
nuovi modelli di business che ha portato l’economia digitale e di tutte quelle caratteristiche di
spersonalizzazione, dematerializzazione. È interessante perché sottolinea come sia cambiata l’attività
stessa della Guardia di Finanza su questo fronte, come ci siano dei reparti appositi preposti al
contrasto alle frodi fiscali internazionali e come questa attività sia sempre più oggetto da parte della
Guardia di Finanza stessa. Nell’attesa di una soluzione internazionale con riferimento alla stabile
organizzazione digitale, il legislatore viene invitato ad intervenire sulla lettera f bis, a precisare i
contorni e i presupposti applicativi di questa norma in modo tale da eliminarne le incertezze. Si
sottolinea come anche la pandemia abbia influito e come a quell’aumento enorme dei fatturati di
queste grandi società non corrisponda un incremento dell’entrata tributaria, anche questo a causa di
tutte quelle asimmetrie, giurisdizioni non collaborative. Un altro aspetto da sottolineare, con
riferimento a queste giurisdizioni, è che il Generale invita a riflettere sulla possibilità di introdurre un
prelievo aggiuntivo, un costo incrementale su questi servizi offshore, così da rendere più onerosa la
detenzione di queste ricchezze in queste giurisdizioni poco collaborative e quindi disincentivarla.
Questo prelievo sarebbe in linea con il principio di capacità contributiva perché la forza economica è
manifestata, non solo dalla ricchezza che viene delocalizzata, ma anche dalla capacità di sostenere i
costi relativi a tutte queste operazioni e meccanismi di delocalizzazione.
Intervento 3. Articolo su “La Repubblica” del 7 aprile 2021 in riferimento alla minimum tax globale.
L’articolo affronta la questione sotto un profilo di politica globale in quanto afferma che, non solo
all’interno degli Stati Uniti questa proposta Yellen ha trovato e troverà indubbiamente delle
resistenze, ma anche in Europa ci sono dei paesi che formalmente non sono paradisi fiscali, all’interno
dei quali le multinazionali però trovano delle tassazioni molto più favorevoli. L’articolo, infatti,
menziona l’Olanda, l’Irlanda e il Regno Unito, quest’ultimo da vedere come si comporterà dopo il
caso BREXIT.
Intervento 4. Minimum tax globale. Secondo il collega è interessante vedere l’evoluzione
dell’approccio che gli Stati Uniti hanno avuto nei confronti in generale dei fenomeni BEPS. Si è
passati dall’amministrazione Trump che non aveva nessun interesse, sensibilità verso queste
tematiche, all’amministrazione Biden che inizialmente non si è smarcata in modo così netto
dall’amministrazione precedente (o meglio la distanza non è stata così evidente secondo quelle che
erano le aspettative europee), mentre oggi si iniziano a vedere le differenze tra le due amministrazioni.
Si è visto, qualche settimana fa, l’apertura verso la digital tax e adesso una notevole evoluzione.
Nell’ambito dell’amministrazione Biden si è partiti da un contrasto con il Regno Unito, che voleva
introdurre la digital tax e aveva minacciato l’introduzione di dazi, adesso si è avuto un cambiamento
nell’approccio che secondo il collega è dovuto essenzialmente a due ragioni. Da un lato gli Stati Uniti
hanno preso atto che l’Europa sta andando in una certa direzione e ci sta andando ad una certa velocità
e concretamente, dall’altro lato la necessità di risorse determinata dalla pandemia porta ad una
attenzione anche verso queste tematiche. Il collega pone una domanda al professore: in che rapporto
si porrà il percorso della global minimum tax con la digital tax? Il collega segnala di aver letto un
articolo in cui si parla del fatto che le due cose potrebbero andare di pari passo, così come la global
minimum tax potrebbe in qualche modo rispondere alle problematiche per cui si pensava di introdurre
la digital tax.
Intervento Dorigo. Il professore ha caricato un articolo di “La Repubblica”. Esso tratta di una
sentenza del Consiglio di Stato di fine marzo che, nel contesto di una controversia in materia Antitrust
che vede coinvolta Facebook, ha dato ragione all’autorità Antitrust che aveva sanzionato Facebook
affermando che non può dire che il suo “servizio” è gratuito in quanto in realtà c’è la cessione dei
dati personali (che hanno un valore commerciale in quanto poi possono essere rivenduti) da parte
degli utenti che accedono alla piattaforma. Questa è una sentenza che sta facendo molto discutere
perché il principio è molto innovativo. Cosa ne pensate?
Intervento A. Viene individuato un flusso vero e proprio. Il fatto che adesso si vada a vedere
gli utenti e l’attività degli utenti è come se in qualche modo si vada ad accertare il fatto che è
necessario vedere gli utenti proprio perché gli utenti stanno pagando un servizio. È come se
venisse accertato il fatto che, nel momento in cui gli utenti usufruiscono di questo servizio,
stanno pagando un servizio e quindi c’è un flusso di dati che è un flusso di denaro a tutti gli
effetti.
Intervento Dorigo. È un flusso di beni aventi una valutabilità economica. Al professore
questo sembra particolarmente significativo ai fini della riconduzione a tassazione. Questo
apre una riflessione sulle nuove forme di capacità contributiva di cui nel nostro ordinamento
se ne parla da tanto tempo. La disponibilità dei dati potrebbe davvero essere considerata come
la disponibilità di beni avente un valore economico e, quindi, chiamare a contribuire alle spese
pubbliche il soggetto che utilizza a proprio vantaggio questi dati. Dove? Dove i dati vengono
raccolti, dove i dati hanno la loro origine, nello stato della fonte. Questo è un tema su cui un
po’ di riflessione va fatta perché non ci si può abbandonare ad entusiasmi eccessivi. Si
potrebbe dire che, in realtà, non è tanto il dato grezzo che conta, quanto il dato raffinato. Non
è detto che la raffinazione di questo dato avvenga nello stesso paese dove il dato è raccolto.
Non è così scontata l’equazione dati avente valore economico = tassazione nello stato dove i
dati vengono raccolti. Al professore, però, sembra una presa di posizione interessante anche
ai fini dello studio del diritto tributario.
Intervento B. Quello di cui si è discusso in relazione all’individuazione dell’utente come il
mezzo attraverso il quale andare a collocare l’attività di un determinato soggetto, d’altra parte
affermare che la cessione del dato produce un flusso, determina un problema. Se si accetta
l’idea che anche il singolo utente vada a determinare un ricavo per un soggetto che acquisisce
e processa i suoi dati, l’idea di guardare la capacità contributiva attraverso delle soglie cede
un po’ in termini argomentativi.
Intervento Dorigo. Occorre mettersi nell’ottica del giudice tributario, del giudice
amministrativo e di quella controversia che aveva a che fare semplicemente con la tutela dei
dati personali che sono un diritto individuale che spetta a ciascun individuo. Al professore
sembra che quello si possa provare a tirare fuori dall’atteggiamento del Consiglio di Stato sia
un passo avanti o comunque la possibilità di immaginare un passo avanti rispetto a queste
forme abbastanza primitive di imposizione basate sul luogo dove si trova l’utente. Il luogo
dove si trova l’utente è uno strumento che serve a semplificare le cose: in realtà non so
esattamente quanto del reddito globale che la multinazionale fa in giro per il mondo deriva
dall’Italia o da altri stati, quindi individuo una formula di ripartizione, uno strumento che
consenta di spezzettare questo reddito globale e di assegnarlo alle varie giurisdizioni. Un
metro di calcolo del contributo a ciascuno a stato. Questa impostazione del Consiglio di Stato,
se si riflette, potrebbe far fare un passo avanti, nel senso che qui si potrebbe pensare di
individuare sì l’utente come soggetto che consente la localizzazione di un ricavo, ma anche
soggetto in relazione al quale si può calcolare l’entità del suo apporto al reddito della
multinazionale. Si potrebbe davvero superare, senza tenere presente i problemi burocratici-
amministrativi, il discorso delle soglie. È tutto da vedere. Tra l’altro sarebbe meglio non fidarsi
delle parole che vengono riportate nell’articolo, ma andare direttamente alla lettura della
sentenza. Secondo il professore potrebbe essere un approccio che va un po’ più lontano
rispetto a quello meramente di profit allocation.
Intervento Dorigo di chiusura. La notizia della posizione degli Stati Uniti, evidentemente, è la più
importante degli ultimi giorni. Il professore pensa che sia significativo questo cambio di rotta, almeno
apparente, della nuova amministrazione degli Stati Uniti. Questo fa ben sperare che ci sia un
approccio collaborativo degli Stati Uniti anche su tanti altri temi che si stanno dibattendo sul piano
internazionale rispetto ai quali gli Stati Uniti si sono un po’ sottratti (i vari progetti del BEPS, il
Common Reporting Standard etc.). Una posizione pragmatica degli Stati Uniti che si sono resi conto
che il mondo sta andando avanti e che loro, pur avendo un potere enorme, rischiavano di rimanere
all’angolo della comunità internazionale e questo, in un contesto di crisi come quello indotto dalla
pandemia, nessuno stato se lo può permettere. Vedremo cosa succederà nelle prossime settimane.
Risposta alla domanda posta nell’intervento 4. Se prende abbrivo questa soluzione del secondo
pilastro, della tassazione minima, questo sarebbe uno sconvolgimento enorme delle regole, di certe
situazioni che fino a qui hanno caratterizzato il diritto tributario. La settimana prossima parleremo
del regime CFC delle società estere controllate, è un regime la cui importanza verrebbe meno se si
applicasse l’aliquota minima perché questa impedirebbe un qualsiasi tipo di pianificazione basata
proprio sulla diversità di aliquota tra un ordinamento e l’altro. Gli ostacoli da superare, naturalmente,
sono tantissimi, da alcuni stati europei, ma non solo. Il professore non vede l’alternatività tra queste
due soluzioni. È chiaro che, per come è concepita a livello OCSE, questo sistema di minimum tax
dovrebbe essere un sistema residuale cioè dovrebbe entrare in gioco solo laddove le forme ordinarie
di imposizione del reddito transazionale portassero ad un esito non voluto cioè quello di una
sostanziale non applicazione di alcuna imposta né nello stato della fonte né nello stato della residenza.
Cenno in riferimento all’intervento 2. È interessante. La Guardia di Finanza si occupa da tempo e ci
sono dei settori specializzati in fiscalità internazionale. Il professore fa notare che a volte si rischia di
andare un po’ oltre. La proposta sul prelievo aggiuntivo sui servizi offshore sembra equa e allettante,
ma poi ci si chiede come fare ad applicarla perché è chiaro che i prelievi offshore si applicano soltanto
laddove questa detenzione di utili o di redditi all’estero sia scoperta e, quando viene scoperta,
tendenzialmente la si sanziona. Quindi, si rischia di introdurre un prelievo aggiuntivo che però ha le
fattezze di una sanzione impropria, aggiuntiva e questo qualche problema lo porrebbe. Il tema è quello
di cui stiamo parlando in questi giorni a lezione: paradisi fiscali, trasparenza, cooperazione. È meglio,
forse, battere su questi ambiti.
ORGANIZZAZIONE LAVORO DI GRUPPO
Il professore sarà disponibile per parlarne sia a ricevimento che per email.
Quale deve essere il prodotto finale del lavoro di gruppo? Il professore non si aspetta che coloro i
quali si schierino dalla parte dell’amministrazione finanziaria presentino un avviso di accertamento.
Quello che interessa è un piccolo file dove ci sono una serie di considerazioni a sostegno delle tesi
dell’amministrazione finanziaria. C’è libertà sul prodotto finale anche per l’altro lato? Sì, il professore
afferma che può bastare qualcosa tipo uno schema, un bullet point di argomenti. L’idea delle ultime
due lezioni è proprio quella di fare una chiacchierata a partire da questi piccoli schemi, elaborati. Non
importa fare una tesina o cose di questo genere.
C’è un periodo temporale a cui fare riferimento? Rispetto ai tre casi assegnati non troverete lo
schemino già fatto come quello del caso Apple perché sono situazioni ancora molto investigate.
L’idea è quella di cercare di tirare fuori qualcosa, anche se è solo un pezzetto della strategia o se è
una descrizione non perfettamente coerente con la realtà dei fatti. È interessante il lavoro di ricerca,
il professore non pretende di tirar fuori lo schema esatto della pianificazione fiscale, anche perché
probabilmente sarebbe impossibile in così poco tempo.
Dal punto di vista dell’amministrazione finanziaria, si può impersonare più amministrazioni
finanziarie? Sì, potrebbero essere anche più di una amministrazione finanziaria.
INIZIO LEZIONE
Ci siamo lasciati ieri sul discorso dei paradisi fiscali con riferimento all’UE e, in particolare, si è
analizzato questa peculiare procedura che l’UE tra il 2012 e il 2017 ha voluto porre in essere per
pervenire ad una lista nera. Un procedimento che si è concretizzato dapprima in un risultato
intermedio (la lista paneuropea) che non faceva altro che recepire gli orientamenti dei principali stati
membri dell’UE, fino ad arrivare alla prima edizione della lista nera del 2017 che era passata
attraverso un lungo periodo di negoziazione con gli stati terzi per evitare che, posti i requisiti, poi ci
fosse un numero esorbitante di stati posti in lista nera perché ritenuti non conformi a questi requisiti.
Analizziamo questi requisiti. Per la creazione della black list del 2017, l’UE ha fatto riferimento
essenzialmente a tre requisiti di valutazione dell’ordinamento terzo ai fini dell’inserimento in questa
lista. Questi tre requisiti attenevano: