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Domanda: avrei una domanda sul caso Philip Morris. Abbiamo visto come l’amministrazione finanziaria
italiana ha ideato l’espediente della stabile organizzazione occulta, determinando anche una reazione a
livello internazionale da parte dell’OCSE. Ripensando a questo caso mi chiedevo: non avrebbe potuto più
facilmente optare per il transfer price? In questo caso, immagino che la controllante americana
corrispondesse una provvigione alla controllata italiana per l’attività di verifica che aveva svolto. E immagino
che questa provvigione sia stata molto bassa. Mi chiedo: attraverso un’analisi…l’amministrazione italiana non
avrebbe potuto contestare alla multinazionale Philip Morris il fatto che in realtà la provvigione non era a
prezzo di mercato, il fatto che – dal punto di vista contrattuale – l’attività di ausilio era in realtà attività
fondamentale per lo sviluppo dell’impresa, quantomeno nel territorio italiano? Non so se è una strada
fattibile.
Professore: l’idea non è peregrina, nel senso che – tra l’altro – coglie il tema della possibilità, in certi casi, di
provare a intercettare determinate fattispecie attraverso una pluralità di strumenti a disposizione. Certo:
l’amministrazione italiana avrebbe potuto contestare la congruità di quella fee pagata dalla case madre alla
controllata italiana. Ma c’è un problema: quel corrispettivo è comunque un corrispettivo rispetto ad un
contratto. Il transfer pricing si deve sempre basare sul tipo di transazione che è posta in essere tra le parti.
Non si può mettere nel nulla e stravolgere completamente la transazione avvenuta tra le parti. Quindi, certo
avrebbe potuto contestare il transfer pricing, ma rimanendo nell’ambito di quella transazione formalmente
avvenuta tra le parti. Posto 100 avrebbe detto “non è 100, è 200”, ma non avrebbe mai potuto - attraverso
il transfer pricing - dire “non è 100, non è 200, è 1milione” ricostruendo in modo completamente diverso il
flusso finanziario ed economico tassabile in Italia. L’idea è giusta, ma nel caso di specie non avrebbe
consentito probabilmente di intercettare l’intera ricchezza, che invece in questo modo poteva essere
intercettata attraverso la nozione di stabile organizzazione occulta.
Fatta tutta questa lunga premessa, tutte queste valutazioni della scorsa volta, che cosa è che ci
manca? Sembra la cosa più banale: ci manca la definizione di stabile organizzazione.
Finora abbiamo fatto una serie di considerazioni dando per scontato il tema della definizione, che
però dobbiamo affrontare, perché è un tema centrale. Tutti i problemi che abbiamo evocato di
difficoltà nel tassare in modo adeguato i redditi prodotti dalle multinazionali digitali ruotano attorno
alla vetustà, alla natura un po’ superata del concetto di stabile organizzazione e quindi è giunto il
momento di affrontare questa definizione e questo concetto.
Una premessa metodologica à nell’affrontare la definizione di stabile organizzazione, come vedete
dalla slide (slide n.7), fa riferimento all’art. 5 del modello OCSE. Nel nostro tentativo di definizione
del concetto di stabile organizzazione, partiamo dalla definizione convenzionale che troviamo nel
modello OCSE e che quindi troviamo in tutte le convenzioni bilaterali che si ispirano al modello OCSE.
È quindi un atteggiamento ribaltato rispetto a quello che abbiamo tenuto per la residenza fiscale:
per la residenza fiscale siamo partiti dalla definizione interna per poi passare a ciò che ci dice il
modello OCSE. Perché questo radicale mutamento di approccio?
Essenzialmente per 2 motivi:
- Parlando di residenza fiscale era proprio il modello OCSE (al paragrafo 1 dell’art. 4) che ci
diceva di partire dalla definizione domestica. Prima battuta bisogna esaminare come le
norme degli Stati parte della convenzione attribuiscono la residenza fiscale sulla base delle
norme interne. Solo dopo, quando poi c’è un problema di doppia residenza, si va a vedere
qual è la tie-breaker rule definita a livello convenzionale. Lì questo partire dalla norma
interna era imposto dalla definizione convenzionale, cosa che invece per l’art. 5 del modello
OCSE non c’è.
- Nel tempo si è assistito ad un percorso inverso. Cioè, come avremo modo di dire toccando
brevemente la definizione domestica di stabile organizzazione (cioè quella che noi troviamo
nell’art. 162 TUIR), vedremo come l’Italia e tanti altri Stati hanno introdotto delle definizioni
sul piano interno di stabile organizzazione ispirandosi proprio alla definizione convenzionale.
È quindi necessario metodologicamente – quando si parla di stabile organizzazione - partire
dal contesto internazionale (dal contesto OCSE), quindi dall’art. 5, perché l’art. 7 del modello
OCSE definisce la regola per cui la stabile organizzazione serve per attrarre a imposizione
nello stato diverso dallo stato di residenza della società un pezzo del reddito di quella società,
ma la definizione di che cos’è una stabile organizzazione la troviamo all’art. 5 del modello
OCSE. Come sempre, nell’analisi dell’art. 5 del modello OCSE, dovremo giocoforza fare anche
riferimento alle indicazioni che ci vengono dal commentario.
Devo fare anche un’altra precisazione preliminare, che è importante alla luce di quello che andremo
a dire in seguito.
Nel 2017 (quindi dopo la conclusione della prima parte del progetto BEPS) alcune modifiche
sono state introdotte all’art. 5 del modello OCSE (quindi alcune modifiche hanno riguardato
direttamente il testo dell’art. 5, cosa che – come sapete – è non frequente, perché di solito si
preferisce agire sul commentario), e però qui si pone un problema da risolvere una volta per tutte
introducendo il tema (che forse abbiamo già toccato) della convenzione multilaterale (c.d.
multilateral instrument – che è anche acronimo LMI - del progetto BEPS). Uno può dire “ho capito,
nel 2017 (vedremo quali) sono state introdotte nel modello OCSE delle modifiche della definizione
di stabile organizzazione all’art. 5”, però il modello OCSE è un mero modello.
Quindi, quello che conta a livello di fonti per disciplinare una specifica fattispecie è il contenuto della
singola convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni che potrebbe venire invocata in un certo
caso, laddove tra i due stati tra i quali si colloca una certa fattispecie sorga un conflitto, quindi una
situazione di doppia imposizione. Allora la domanda che potreste legittimamente porre è: va
benissimo, ma se le modifiche al modello OCSE sono del 2017, queste modifiche si trovano già nelle
convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni? Cioè dobbiamo tenerne conto – al di là del
profilo teorico – se sorge una questione concreta e si debba andare ad applicare la convenzione che
una disposizione come l’art. 5 del modello OCSE?
Sarebbe una domanda estremamente pertinente, nel senso che le modifiche al modello OCSE non
implicano automaticamente modifiche a tutte le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni
che siano già state concluse tra due Stati prendendo a modello il modello OCSE. Semmai, il nuovo
modello OCSE potrebbe servire come riferimento per negoziare nuove convenzioni bilaterali. Allora
ci si può aspettare che le nuove convenzioni bilaterali concluse dopo il 2017 abbiano incluso nella
definizione dell’art. 5 quelle modifiche introdotte nel 2017 a tutte quelle prima, che sono state
negoziate e concluse nella vigenza del vecchio art. 5 del modello OCSE (e sono la maggior parte),
quindi ci si può aspettare che sì, queste modifiche sono interessanti, ma non toccano tutta la rete
di convenzioni già esistenti. A meno che i singoli stati non vadano a rinegoziare, una per una, tutte
le singole convenzioni bilaterali. Cioè l’Italia dovrebbe andare a rinegoziare il contenuto dell’art. 5
di tutte le convenzioni che ha con l’Austria, con la Francia ecc, cosa che richiederebbe anni ed anni
di attività diplomatica. Allora, siccome il progetto BEPS è un progetto ambizioso che aspira a
produrre effetti – se possibile – anticipati, si è pensato di fare una cosa diversa. Cioè di stipulare tra
gli Stati che hanno partecipato ai lavori del BEPS questa convenzione multilaterale, questo
multilateral instrument: una convenzione multilaterale che incorpora tutte le modifiche che il BEPS
immagina di introdurre nel modello OCSE e la cui entrata in vigore comporta la automatica modifica
di tutte le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni esistenti tra i vari Stati che partecipano
al multilateral instrument.
Ora vedremo che l’art. 5 è mutato, per esempio, sotto il profilo della lista negativa. Quindi se la
convenzione entra in vigore tra Italia e Francia, automaticamente (senza bisogno di nessuna
negoziazione) la convenzione bilaterale tra Italia e Francia vede modificato sin da ora il suo articolo
5, in modo tale da incorporare quelle modifiche. Quindi uno strumento molto efficace per far sì che
le modifiche del progetto BEPS impattino in modo efficace sulle convenzioni in vigore in tempi
rapidi, senza aspettare decenni per quel fenomeno di rinegoziazione delle singole convenzioni.
Domanda: relativamente al modello OCSE per le convenzioni contro le doppie imposizioni in generale, mi
pare che - con la modifica del 1992 - l’OCSE avesse già provato ad utilizzare questo tipo di approccio, cioè di
imporre agli stati membri che qualsiasi futura modifica sarebbe dovuta valere anche nei loro confronti, salvo
un meccanismo contrario per cui questi non avessero messo riserve alle future modifiche.
Professore: questo è l’effetto del multilateral instrument del 2017. Prima non c’è mai stato niente di
automatico, per il fatto semplicissimo che il modello OCSE è una mera raccomandazione, quindi non è
vincolante per gli stati, nemmeno per gli stati membri dell’OCSE. Qualsiasi modifica al modello OCSE, o viene
recepita nelle nuove convenzioni o nelle vecchie attraverso una rinegoziazione o la stipula di protocolli
addizionali alle convenzioni già esistenti, oppure resta dentro il modello e basta. Ci può essere un effetto
interpretativo legato alla modifica del modello piuttosto che alla modifica del commentario. Queste sono
influenze che possono esserci per le convenzioni già esistenti, ma una modifica perentoria del testo delle
modifiche già esistenti non c’è mai stata. Se vogliamo, non c’è neanche adesso. L’Italia, che pure ha
sottoscritto, quindi è parte del multilateral instrument, non ha ancora ratificato il multilateral instrument.
Quindi il multilateral instrument non è vincolante per l’Italia, non è in vigore per l’Italia. Ciò significa che
quell’esempio che vi facevo prima della convenzione tra Italia e Francia modificata sulla base del multilateral
instrument, di fatto non opera, perché la Francia è parte del multilateral instrument ed ha ratificato… l’Italia
no, quindi è evidente che non c’è questo effetto di automatico adattamento e modifica delle convenzioni
preesistenti in relazione all’Italia. Al di là di questo ritardo italiano, tantissimi altri Stati hanno già ratificato il
multilateral instrument e quindi, a meno che non siano state introdotte riserve (questo multilateral
instrument dà tante possibilità di scappatoia agli Stati di non adattarsi realmente) fra due Stati che sono parte
del multilateral instrument, le relative convenzioni contro le doppie imposizioni sono sin da ora modificate
secondo le regole del multilateral instrument. Capite anche la difficoltà che oggi c’è per l’operatore pratico,
per il funzionario dell’agenzia delle entrate, piuttosto che per il contribuente, di ricostruire esattamente qual
è la disciplina applicabile nei rapporti tra due Stati tra i quali è in vigore una convenzione contro le doppie
imposizioni. Prima era semplice: si leggeva il testo della convenzione punto e basta. Adesso non basta leggere
il testo della convenzione: bisogna andare a vedere cosa dice il multilateral instrument e come lo stesso
modifica il testo di quella convenzione, e poi bisogna andare a vedere se tra i due Stati è in vigore – per
entrambi – il multilateral instrument, se sono state proposte delle eccezioni, delle riserve, delle dichiarazioni
interpretative. Quindi il quadro ricostruttivo è estremamente complesso, tanto è vero che si parla di uso della
intelligenza artificiale anche per aiutare questa opera di ricostruzione della normativa applicabile, che è
diventato estremamente complicato. Ma questo è solo un qualcosa che butto lì perché non c’è tempo di
andare ad approfondire.
D’ora in poi tenete presente questa importante funzione del multilateral instrument, che non ha modificato
formalmente il testo delle singole convenzioni, ma che ne integra il testo delle singole convenzioni
rendendole coerenti e conformi con quelle che sono le indicazioni del multilateral instrument stesso.
Con queste considerazioni bene in testa, veniamo finalmente ad affrontare il tema della definizione
di stabile organizzazione nel modello OCSE e teniamo presente che nel modello OCSE abbiamo 2
diversi tipi di stabile organizzazione.
Quindi noi incontriamo 2 diversi concetti di stabile organizzazione:
1. La stabile organizzazione materiale
2. La stabile organizzazione personale
Stabile organizzazione materiale evoca (lo dice il nome stesso) evoca un inserimento materiale,
tangibile e fisico dell’impresa non residente in un certo ordinamento; la stabile organizzazione
personale evoca una presenza dell’impresa non residente che non è materiale nel senso della
presenza di uffici, installazioni ecc, ma è - per l’appunto - una presenza personale, cioè l’attività
dell’impresa non residente è svolta sul territorio dello Stato attraverso soggetti che agiscono
nell’interesse o per conto della impresa non residente.
Vi invito ora e poi a tenere sottomano il testo del modello OCSE caricato su moodle in inglese.
(slide n. 9)
Tuttavia, il perimetro definitorio della stabile organizzazione non è determinato solo dal primo
paragrafo dell’art. 5. Ulteriori indicazioni su cosa sia - e per contro cosa non sia - stabile
organizzazione le si traggono dalla lettura del paragrafo 2 e del paragrafo 4 dell’art. 5.
Il paragrafo 2 contiene quella che viene definita la positive list (lista positiva), un elenco di
casi che per il modello OCSE sicuramente costituiscono stabile organizzazione.
Il 4° paragrafo contiene la negative list, cioè un elenco di casi che non sono stabile
organizzazione. È un elenco di installazioni fisse dell’impresa non residente nell’altro ordinamento
che però – dice il modello OCSE – non assurgono mai a configurare una stabile organizzazione.
Vedremo anche alcune delle più importanti modifiche che il progetto BEPS ed il multilateral
instrument hanno apportato alla definizione dell’art. 5 riguardano proprio la lista negativa del
paragrafo 4, ma andiamo per ordine.
Pausa
Più interessante, invece, è la negative list (slide n.10), nel 4° paragrafo dell’art. 5.
C’è stata una modifica di questa negative list che è avvenuta con il multilateral instrument con le
modifiche del 2017. Questa è un’elencazione che riguarda – come dice il nome stesso – quei casi
che non sono stabile organizzazione. Nel tempo, prima delle modifiche introdotte dal progetto BEPS,
questi casi della negative list limitavano fortemente la possibilità di invocare la sussistenza di una
stabile organizzazione, quindi erano casi che rendevano l’applicazione della stabile organizzazione
materiale abbastanza limitati. È proprio attraverso molti di questi casi che nel tempo si sono
verificate le situazioni di approfittamento, abuso ed elusione della nozione di stabile organizzazione
da parte di un’impresa non residente, in particolare nell’ambito delle multinazionali digitali.
Qui vale la pena sottolineare cosa sia cambiato tra il prima ed il dopo 2017.
Prima del 2017 la negative list prevedeva una serie di casi che erano considerati di per sé
esclusi dalla nozione di stabile organizzazione. Per esempio un’installazione utilizzata a fini di
deposito, esposizioni o consegna di merci, non era considerata stabile organizzazione. Quindi
l’impresa non residente che produceva scarpe e che nello stato B aveva un deposito dove venivano
stoccate le scatole di scarpe in attesa di essere vendute, o dove queste scarpe venivano esposte (per
es. uno showroom), non costituiva stabile organizzazione nonostante si trattasse di una presenza
fisica tangibile dell’impresa non residente. Lo stesso: non costituiva stabile organizzazione una sede
fissa utilizzata solo per l’acquisto di beni o di merci per l’impresa non residente; cioè la sede fissa
attraverso cui l’impresa non residente si limitava ad acquistare materie prime che poi venivano
spedite nello stato della casa madre e lì venivano lavorate per produrre i prodotti finiti, questa sede
non costituiva mai stabile organizzazione. Ci sono altri casi, come l’attività di raccolta di
informazioni: quando un’impresa vuole espandersi in un certo mercato si informa su come è
caratterizzato quel mercato, per capire se l’investimento su quel mercato può generare un ritorno.
Una sede che si occupa di ricerca di mercato non costituiva stabile organizzazione. Una sede
deputata allo svolgimento di mera attività promozionale, pubblicitaria, o di servizi post-vendita, non
erano mai considerate situazioni di stabile organizzazione.
Capite come questa elencazione così puntuale nelle caratteristiche di queste sedi, che non
costituivano mai stabile organizzazione, anche nel contesto dell’economia digitale ha aiutato molte
forme di pianificazione fiscale tali da escludere la presenza della stabile organizzazione. Faccio un
esempio su cui torniamo tra pochi minuti per commentare le modifiche del 2017. Pensate ad un
operatore come Amazon: Amazon, che vende online i prodotti e che in Italia ha degli enormi depositi
(come l’hub logistico che si vede in autostrada andando verso Milano) che servono per il deposito
delle merci e per la consegna delle merci; anche l’installazione che serva solo a consegnare merci,
nella vecchia negative list non costituiva stabile organizzazione. Quindi nel caso di Amazon, quegli
enormi magazzini non costituivano stabile organizzazione. Ci sembra strano perché è una parte
fondamentale del business di Amazon quello di depositare in un certo posto, vicino agli utenti, le
merci e poi consegnarle. Ancora pensiamo al caso Google: l’attività puramente promozionale e
pubblicitaria, dove l’abbiamo trovata? L’abbiamo trovata nella parte finale della catena, in Google
France: Google France è il procacciatore di contratti, è l’impresa controllata da Google Irlanda che
si limita a fare attività pubblicitaria, cioè a cercare imprenditori locali che poi stipuleranno il loro
contratto con Google Irlanda. Questa attività, nella vecchia formulazione della negative list, non
dava mai luogo a stabile organizzazione. Capite come anche nel contesto di multinazionali digitali
questi casi, che appaiono essere casi di presenza fisica tangibile, erano inutili perché servivano a
costruire - in modo perfettamente legittimo, perché si trattava di applicare una norma - forme di
pianificazione fiscale particolarmente vantaggiose.
Domanda: ma le 3 condizioni possono essere anche alternative, oppure sono tutte e 3 necessarie?
Risposta: intanto faccio un chiarimento. Queste 3 condizioni non le troviamo nell’art. 5, le troviamo nel
commentario, quindi è un’ulteriore interpretazione di una norma (che tra l’altro è di un modello, non di una
convenzione) il cui valore è ulteriormente sfilacciato. Detto questo, l’ipotesi sui magazzini prevista nel
commentario individua queste 3 condizioni come compresenti. Sono condizioni che devono sussistere tutte
e 3 contemporaneamente affinché possa operare l’eccezione alla lista negativa. Ecco perché dicevo che basta
una di queste 3 condizioni venga meno (es. dei dipendenti) perché si possa dire di non essere più in quella
fattispecie prevista dal commentario.
Sulla stabile organizzazione materiale e sulla lista negativa è chiaro che qualche considerazione può
venire con riferimento proprio al nostro caso di studio.
Cioè: dopo le modifiche del 2017, anche lo svolgimento di attività di marketing svolta da una sede
di affari nello stato diverso da quello di residenza potrebbe costituire stabile organizzazione se si
prova che quell’attività di marketing è fondamentale per lo sviluppo dell’impresa non residente; non
è meramente ancillare, ma ha una funzione e ruolo fondamentale. Questo potrebbe avere un
impatto sul nostro caso di studio, dove Google France svolge quest’attività pubblicitaria di marketing
e poi conclude con loro il contratto con la controllante irlandese. Questo potrebbe essere un caso
in cui con la modifica del 2017, laddove il caso Google fosse ancora attuale oggi (ormai non lo è più),
oggi qualcuno potrebbe dire che Google France non sta svolgendo attività ausiliaria e preparatoria,
ma sta svolgendo un’attività fondamentale per il business della controllante irlandese. Anche se in
realtà (e ora ci arriveremo) è più forte la possibilità di riqualificare il ruolo di Google France come
stabile organizzazione personale.
Prima di andare alla stabile organizzazione personale, volevo concludere la nozione stabile
organizzazione materiale con un cenno a 2 ulteriori modifiche che sono state introdotte nell’art. 5
dal multilateral instrument del 2017.
(slide n.12) Sono la regola contro la frammentazione e la regola contro l’artificioso
spezzettamento dei contratti (quello che viene definito l’artificioso splitting up dei contratti). Due
nomi diversi, due funzioni diverse, ma la ratio che sta dietro a queste modifiche è la stessa e quindi
la possiamo trattare congiuntamente.
L’idea che sta dietro a queste modifiche è che, talvolta, alcune società multinazionali (non ci si
riferisce solo alle multinazionali digitali, sono situazioni che si sono riscontrate da anni anche nel
contesto di gruppi di multinazionali dediti all’attività di impresa tradizionale) - proprio per la
possibilità di organizzare tra i vari stati e dentro i singoli stati le loro funzioni - hanno approfittato
della rigidità della definizioni tradizionali di stabile organizzazione per provare ad eludere la
definizione di stabile organizzazione. Facendo cosa? Spezzettando le funzioni tra vari soggetti
separati in modo tale che quelle funzioni (che se fossero state svolte in modo unitario avrebbero
sicuramente dato vita ad una stabile organizzazione) spezzettate tra più soggetti fanno sì che in ogni
soggetto le funzioni restino ausiliarie, preparatorie (quindi non arrivino al livello della stabile
organizzazione) e quindi si evita che nello stato dove queste attività sono svolte possa essere
contestata la presenza di una stabile organizzazione.
Facciamo un esempio. Supponiamo che un’impresa residente in un altro stato, es. canadese,
stabilisce in Italia un ufficio che serve per svolgere una serie di attività in Italia. Abbiamo visto che
l’ufficio rientra nella lista positiva (è il paragrafo 2 dell’art. 5): quindi il fatto di avere un ufficio in
Italia fa sì che quell’ufficio sia sicuramente una stabile organizzazione dell’impresa canadese in Italia,
quindi gli eventuali redditi che siano generati da quell’ufficio possono essere tassati in Italia. È ovvio
che se l’impresa canadese produce scarpe e vende scarpe, ci sta che a fianco di quell’ufficio ci sia un
magazzino dove le scarpe sono accumulate, ci sia un’attività di consegna, ci sia uno svolgimento di
attività pubblicitaria di marketing nel territorio italiano. Tutte funzioni che ruotano attorno all’ufficio
e che, siccome l’ufficio è sicuramente una stabile organizzazione, contribuiscono anch’esse alla
stabile organizzazione. Sono sì attività ausiliarie e preparatorie, ma siccome sono tutte svolte dalla
stessa sede che è sicuramente stabile organizzazione (l’ufficio), sono tutte attratte nella definizione
di stabile organizzazione. Tutti i redditi che sono prodotti attraverso questa struttura (ufficio e
attività ausiliarie) sono sicuramente tassabili nello stato italiano. L’impresa canadese potrebbe fare
un ragionamento diverso: potrebbe dire “l’ufficio lo metto perché mi serve (ed è sicuramente stabile
organizzazione, paragrafo 2 art. 5 convenzione), ma tutte le altre attività le spezzetto, non le lascio
più lì dove sta l’ufficio”. Ne metto una presso un’altra sede, il magazzino lo metto sempre in Italia,
ma da un’altra parte; l’attività pubblicitaria la attribuisco ad un’altra struttura che si trova da un’altra
parte; la raccolta di informazioni o la consegna dei beni ai clienti la faccio attraverso un’altra sede
da un’altra parte. Cioè spezzetto le funzioni in modo tale che tutte le funzioni - che prima erano
concentrate attorno all’ufficio e venivano attratte nella caratterizzazione dell’ufficio come stabile
organizzazione - sono separate dall’ufficio, messe in modo autonomo e ciascuna di esse costituisce
esempio di lista negativa: il magazzino da una parte, la raccolta pubblicitaria dall’altra, la consegna
dei beni da un’altra parte ancora. Sono tutte attività che se prese singolarmente rientrano nella lista
negativa. Questo effetto di spezzettamento fa sì che l’Italia riconosca la stabile organizzazione solo
dove sta l’ufficio e quindi tassi solo quella parte di reddito dell’impresa non residente che passa
attraverso l’ufficio, mentre tutte le altre attività sparse e spezzettate in altri punti del nostro
ordinamento - essendo attività ausiliarie o preparatorie, in ogni caso rientrando nella lista negativa
- non contribuiscono in nessun modo alla determinazione del reddito tassabile in Italia.
La frammentazione è evidentemente artificiosa. Ragionando in modo semplice si potrebbe dire che
tutte queste funzioni servono per far sì che l’impresa non residente svolga l’attività nel territorio
italiano, quindi sarebbe naturale concentrare tutte quelle funzioni. Lo spezzettamento serve per far
sì che una parte di queste attività ed il relativo reddito non configurino stabile organizzazione e non
possano essere tassabili.
Per evitare queste condotte, le modifiche del 2017 hanno introdotto l’anti-fragmentation rule, cioè
hanno introdotto questa regola che dice che se siamo in una situazione come quella descritta
nell’esempio (cioè se l’impresa non residente ha in uno stato una stabile organizzazione ed altri
centri separati da essa, ciascuno dei quali non raggiunge la configurazione della stabile
organizzazione), lo stato territoriale ha la possibilità di considerare in modo unitario tutti questi
centri spezzettati e quindi di considerare che l’impresa non residente ha un’unica stabile
organizzazione nel territorio, che comprende tutti i pezzetti frammentati della sua attività. È un
approccio simile a quello che abbiamo trovato altre volte, cioè che fa prevalere la sostanza sulla
forma e la forma ci direbbe che tutte le attività secondarie frammentate, essendo secondarie, non
danno luogo a stabile organizzazione. La sostanza ci dice che, siccome questa frammentazione è
evidentemente elusiva, si può considerare tutti i pezzetti come facenti parte di un'unica realtà
unitaria all’interno del territorio dello stato e quindi attrarre a stabile organizzazione (cioè
considerare stabile organizzazione) l’insieme di tutte queste funzioni come se non fossero state
spezzettate. Tutto il reddito che passa attraverso queste varie componenti viene considerato
unitariamente come reddito della stabile organizzazione e quindi tassato dallo stato territoriale. È
una forma di norma anti abuso questa dell’antifragmentation rule. Serve per evitare forme di
spezzettamento artificioso in modo tale che una parte di attività, che prese singolarmente non
costituiscano stabile organizzazione, consentano di avere dei vantaggi indebiti dal punto di vista
fiscale.
Mutatis mutandis, la regola dello splitting up dei contratti è la stessa, ma riguarda un fenomeno
diverso. Riguarda quel fenomeno nel quale una vicenda - che dovrebbe essere considerata
unitariamente dal punto di vista temporale - viene spezzettata in più contratti in modo tale che
ciascuno di questi contratti non raggiunga la durata temporale minima per aversi stabile
organizzazione e quindi si evita l’applicazione delle norme sulla stabile organizzazione.
Torniamo all’esempio che vi facevo prima del cantiere. Il cantiere è l’unico caso espresso nella
definizione dell’art. 5 in cui c’è una durata minima di presenza di 12 mesi. Il cantiere può costituire
stabile organizzazione se dura almeno 12 mesi. Facciamo l’esempio che l’impresa canadese, che si
occupa di fare grandi grattacieli, stipula un contratto col proprietario di un terreno in Italia per la
costruzione di un grattacelo che dovrà durare 24 mesi. In 2 anni l’impresa canadese si impegna a
costruire il grattacielo in Italia. Cosa dovrebbe fare normalmente?
Costruisce il suo cantiere, il cantiere dura 24 mesi (quindi siamo al di sopra della soglia minima di 12
mesi prevista dalla convenzione), quindi quel cantiere rappresenta una stabile organizzazione
dell’impresa edile canadese in Italia. Quindi i redditi derivanti da quel cantiere, dalla costruzione e
poi vendita del grattacielo, dovrebbero essere tassati in Italia. Cosa si può fare per evitare questa
situazione che non piace ai canadesi, che vorrebbero pagare le loro imposte solo in Canada?
Si spezzetta il contratto. Il contratto unitario che dura 24 mesi lo si spezza in 3 contratti distinti: uno
da 8 mesi, un secondo – magari fatto con una società diversa dello stesso gruppo – altri 8 mesi, un
terzo contratto per altri 8 mesi. L’effetto è che per 24 mesi in Italia c’è il cantiere dell’impresa non
residente che in Italia costruisce il grattacielo (effetto sostanziale), ma l’effetto formale è che in
realtà abbiamo 3 cantieri, nessuno dei quali giunge alla durata minima di 12 mesi prevista dalla
convenzione. Quindi quel cantiere non costituisce stabile organizzazione ed il reddito derivante dalla
vendita del bene costruito attraverso quel cantiere non può essere tassato in Italia.
Anche questa è evidentemente una condotta di tipo abusivo, quindi anche qui la reazione del
progetto BEPS attraverso il multilateral instrument è stata quella di imporre una regola che superi
la forma e faccia prevalere la sostanza. La sostanza è che il cantiere è stato in Italia 24 mesi, a
prescindere dalla forma che ha riguardato 3 contratti distinti, ognuno dei quali di durata inferiore ai
12 mesi. Se la sostanza deve prevalere sulla forma, attraverso questa regola che adesso è stata
introdotta nell’art. 5, l’Italia (o comunque lo stato territoriale) può considerare che quella situazione
spezzettata sia in realtà una situazione unitaria, sia quindi superato il termine minimo temporale di
permanenza del cantiere e quindi può contestare la sussistenza in Italia di una stabile
organizzazione.
Sia l’anti-fragmentation rule sia questa norma di contrasto allo splitting up dei contratti hanno
evidentemente la funzione antielusiva di impedire delle forme di pianificazione che, basandosi in
modo pedissequo sulla forma, realizzano nella sostanza situazioni non volute.
Questo è un po’ il quadro della stabile organizzazione materiale.
Rapidamente (vi accenno solo il tema che affronteremo domani): l’art. 5 tratta anche di un diverso
tipo di stabile organizzazione (che è sempre materiale nel senso che presuppone sempre una
presenza tangibile, ma) che non passa attraverso una installazione materiale, un ufficio, una
fabbrica, una struttura. Passa attraverso la presenza di soggetti (persone) che senza struttura
materiale operano per conto dell’impresa non residente in un altro ordinamento e quindi realizzano
quella che viene definita la stabile organizzazione personale.
È una stabile organizzazione diversa, perché è una stabile organizzazione che non ha la presenza
materiale/fisica attraverso una installazione, ma è comunque una presenza tangibile perché passa
attraverso l’attività che persone-soggetti legati all’impresa non residente compiono nello stato della
fonte. Di fatto la nozione di stabile organizzazione personale ruota attorno alla figura dell’agente:
l’impresa non residente che opera in un altro stato attraverso un agente, se l’agente non è un agente
indipendente, ma opera solo nell’interesse della casa madre, allora si ritiene che non sia un libero
professionista (perché l’agente, di fatto, è un libero professionista), ma sia niente più che una
manifestazione dell’attività dell’impresa non residente nell’ordinamento, tale da costituire una
stabile organizzazione e quindi da far attrarre ad imposizione il relativo reddito nello stato in cui
opera l’agente in questione. Ma i dettagli, anche succosi rispetto al caso Google, li lasciamo per
domani.