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GLI STRUMENTI FINANZIARI

6 aprile 2021
Una serie di attività e servizi investimento sono tali se possiedono determinate caratteristiche
ontologiche cioè riferite alla tipologia di attività, alla tipologia di servizio che vengono ad essere
svolte. L'ultimo tassello che manca però è quello di individuare anche la categoria degli strumenti
finanziari perché quelle attività e quei servizi cioè la negoziazione, l’esecuzione degli ordini, il
collocamento, la consulenza, sono servizi, attività di investimento se e nella misura in cui hanno ad
oggetto strumenti finanziari.
Se la nostra fattispecie di riferimento è quella dei servizi e delle attività di investimento, è chiaro che
questa nozione di per sé è incompleta se non si esamina anche la nozione collegata di strumenti
finanziari, perché servizi e attività di investimento sono tali nella misura in cui hanno ad oggetto
strumenti finanziari. Quindi questa disciplina dei servizi e delle attività di investimento ha di per sé
due termini di riferimento: da un lato le attività e servizi d'investimento, dall'altro gli strumenti
finanziari.
Quando parliamo di nozioni riguardanti la materia del diritto dei mercati finanziari, le nozioni di
regola sono contenute nell'articolo 1 del TUF. Perché l'articolo 1 è una norma definitoria per
eccellenza contiene un po' tutte le definizioni che vengono poi utilizzate all'interno del testo unico
della finanza, richiamate nelle discipline che poi seguono all'articolo stesso.
Da questo articolo 1 con riferimento alla nozione di strumenti finanziari, ricaviamo innanzitutto che
questa nozione di strumenti finanziari è delimitata da due parti, sia in senso superiore e sia in senso
inferiore. Quindi ha un limite superiore e un limite inferiore.
Il limite inferiore lo ricaviamo dal comma secondo dell'articolo 1, lì dove si dice espressamente che “i
mezzi di pagamento non sono strumenti finanziari”.
Quindi già si deve fare una distinzione netta tra strumenti finanziari, che rappresentano forme di
investimento di natura finanziaria e strumenti di pagamento. Se un mezzo, uno strumento serve per
pagare, cioè per estinguere le obbligazioni, ha una natura sua peculiare, diversa da quella di strumento
finanziario che invece ha una finalità, un obiettivo d'investimento di una certa ricchezza.
Quindi lo strumento o serve ad estinguere l'obbligazione, un debito e allora un mezzo di pagamento,
come per esempio lo è l'assegno, come lo è una carta di pagamento, una carta Bancomat o una carta di
credito. Oppure è un mezzo mediante il quale investitore realizza un investimento della propria
ricchezza, quindi in attesa di un rendimento finanziario che rappresenti la sua remunerazione e allora
siamo di fronte ad uno strumento finanziario. Ora questa distinzione, in realtà, potrebbe apparire
abbastanza netta quella tra strumenti finanziari e mezzi di pagamento, in alcuni casi o ci potrebbero
essere delle entità per le quali non è così sicura la catalogazione in una o nell'altra categoria.
Per esempio, c’è qualche entità per la quale non è così semplice stabilire se si tratti di mezzo di
pagamento o di strumento finanziario?
Gli strumenti finanziari, che vengono utilizzati per il pagamento, sono per eccellenza le criptovalute.
Le criptovalute nascono proprio per estinguere le obbligazioni, cioè nascono nell’idea di chi le ha
coniate, create per esempio Satoshi Nakamoto che è l’ideatore del bitcoin, nascono in realtà come
mezzo di pagamento, cioè nell'idea del loro creatore dovevano servire per estinguere le obbligazioni,
in alternativa alla moneta legale. Non a caso si chiamano criptovalute, quindi evocano il riferimento
alle valute. Cosa sono oggi però? Questo è difficile dirlo, perché chi ha sottoscritto Bitcoin, acquistato
Bitcoin in realtà non l'ha fatto poi in concreto per detenere un mezzo di pagamento alternativo alla
moneta ma lo avrà fatto per ragioni di investimento perché contava sull'apprezzamento
sull’incremento del valore di queste entità e sulla possibilità poi di rivenderli ad un valore maggiore di
quello pagato al momento della sottoscrizione.
Resta il problema qualificatorio in riferimento a questa entità per le quali è più difficile stabilire la
loro natura di mezzo di pagamento, ovvero di strumento finanziario, e questa storia delle criptovalute
dimostra anche che in realtà il legislatore può stabilire una classificazione sulla carta che è abbastanza
netta, ma poi la prassi crea nuova entità, nuovi strumenti e le classificazioni che sono fissate su pezzi
di carta che sono le norme di un testo unico possono non tenere di fronte a questi nuovi strumenti
creati della prassi.
Ciò detto, esiste anche un limite superiore alla nozione di strumenti finanziari, che è quella di prodotti
finanziari. Che cosa intendo dire per limite superiore?
Cioè esiste una categoria di entità più ampia di quella degli strumenti finanziari, come se fosse un
sovrainsieme rispetto all'insieme degli strumenti finanziari e questa categoria o soprainsieme degli
strumenti finanziari è per l'appunto quella dei prodotti finanziari, perché l'articolo 1 comma primo
lettera u del TUF, ci dice che i “prodotti finanziari sono costituiti da strumenti finanziari”, quindi
comprendono gli strumenti finanziari ma comprendono anche qualcos'altro, cioè comprendono una
categoria residuale, ogni altra forma di investimento di natura finanziaria.
Questo significa che le forme di investimento di natura finanziaria non sono tutte strumenti finanziari,
per essere strumenti finanziari devono possedere determinate specifiche caratteristiche, altrimenti
potrebbero essere classificate come prodotti finanziari ma non essere incluse anche negli insiemi
piùinsiemi più ristretto di strumenti finanziari.
Un’altra questione, sempre al livello di questioni preliminari o generali è la tecnica definitoria
utilizzata dal nostro legislatore per individuare gli strumenti finanziari.
Intanto bisogna anticipare che questa nozione degli strumenti finanziari non è contenuta nell'articolo
1, ma in realtà è contenuta nell'allegato primo al testo unico della finanza, quindi l'articolo 1 rinvia
all'allegato primo che oggi contiene l'elenco degli strumenti finanziari. L'altra questione è che questa
nozione di strumenti finanziari è rappresentata da un elenco, quindi diciamo che la scelta non è troppo
diversa da quella esaminata con riferimento ai servizi e attività di investimento.
Anche qui il legislatore sceglie la tecnica dell'elenco per individuare gli strumenti finanziari, un
elenco apparentemente chiuso proprio perché l'elenco di per sé è una nozione chiusa
fondamentalmente. Perché sia il legislatore comunitario con le direttive e sia il registratore italiano
con il TUF nel recepire le direttive hanno scelto di individuare gli strumenti finanziari mediante la
tecnica dell'elenco, anziché per esempio mediante ricorso ad una definizione generale? Qual è il
vantaggio dell'elenco rispetto alla nozione generale?
L’elenco è maggiormente preciso, l'elenco di per sé è più tassativo lascia meno spazio all’interprete.
Se facciamo un elenco di strumenti finanziari, individuiamo con relativa certezza quelli che sono poi
gli strumenti e l'entità che rientrano all'interno della nozione e quindi siccome questa nozione è
sempre una nozione di derivazione comunitaria, e l'obiettivo ultimo è sempre quello di armonizzare le
legislazioni dei vari paesi è chiaro che l'elenco preferibile perché lascia ai singoli legislatori e diversi
paesi dell'Unione Europea meno spazi nel recepire la nozione, e anche poi agli operatori meno spazi
nell’interpretarla in maniera peculiare. L'elenco si presta maggiormente a realizzare questo obiettivo
di armonizzazione tra le diverse legislazioni. Però, questa tassatività, questa chiusura dell' elenco degli
strumenti finanziari in realtà non vanno “la tassatività e la chiusura” più di tanto sopravvalutate, anzi
per certi versi sono più apparenti che effettive per due ragioni: la prima ragione è che questo elenco,
non è un elenco immutabile, ma l'articolo 18 comma quinto del testo unico della finanza affida al
MEF, quindi al Ministro dell'Economia e delle Finanze, il potere di individuare nuove categorie al
fine di tener conto dell'evoluzione dei mercati finanziari e delle norme di adattamento stabilite dalle
autorità comunitarie. Quindi non possiamo escludere l’emersione nella prassi finanziaria sia
internazionalesia internazionale e poi di riflesso in quella nazionale, di nuove tipologie di strumenti
finanziari che necessitino di essere tipizzate e il Ministero ha la possibilità di integrare questo elenco.
Basti pensare alle criptovalute, nulla vieta che da qui a qualche anno potremmo assistere a una
revisione dell'elenco che comprenda anche le criptovalute come ulteriori strumenti finanziari.
Da questo punto di vista abbiamo una tendenziale apertura dell'elenco o almeno di una potenziale
apertura dell'elenco che può essere integrato con una norma regolamentare peraltroregolamentare,
peraltro, questo procedimento di integrazione affidato al Ministero e chiaramente più snello, perché
non c'è la necessità di dover modificare attraverso un procedimento legislativo una norma di legge,
che chiaramente implicherebbe i passaggi parlamentari e allungherebbe i tempi.
L’altra ragione per la quale questa chiusura e questa tassatività dell'elenco sono più apparenti che
effettive, risiede nel fatto che quando il legislatore individua le singole tipologie di strumenti
finanziari nell'elenco, non lo fa in maniera puntuale ma lo fa spesso ricorrendo a delle
esemplificazioni, per esempio dice “azioni ed altri titoli similari”, “obbligazioni e altri titoli di
debito”.
Queste espressioni ovviamente rimettono all'interprete poi il compito, la possibilità oltre che la
necessità di individuare in concreto quali siano questi altri titoli similari alle azioni e nelle
obbligazioni. Il legislatore è animato un po' da una duplice esigenza, da un lato vuole evitare che ci
siano incertezze o disallineamenti tra i vari ordinamenti dei paesi dell'Unione Europea, dall'altro vuole
ridurre il rischio che una individuazione iper analitica delle singole categorie, delle singole tipologie
di strumenti finanziari non sia in grado poi di ricomprendere tutte le ipotesi rilevanti e lasci spazio a
una rapida obsolescenza del catalogo, che quindi non riuscirebbe ad evolversi insieme all'evoluzione
della prassi finanziaria.
La nozione la troviamo nell'allegato primo, alla sezione C dell'allegato primo, che per l'appunto
rubricata “strumenti finanziari”.
Per fini didattici e classificatori, noi possiamo distinguere questo elenco di strumenti finanziari in due
gruppi che sono di differente complessità. Da un lato abbiamo gli strumenti finanziari di natura non
derivata, o possiamo anche dire “strumenti finanziari non derivati”, le forme di investimento che non
costituiscono strumenti derivati, nel secondo gruppo abbiamo le diverse tipologie di strumenti
derivati. Il primo gruppo è a sua volta distinguibile, sempre nell'ambito dell'elenco unico indistinto di
strumenti finanziari, in tre sottocategorie, in realtà meglio dovremmo dire, due sottocategorie, le
prime due quella dei valori mobiliari, quella degli strumenti del mercato monetario e una specifica
tipologia di strumento: le quote di un organismo di investimento collettivo del risparmio.
Parliamo di sottocategorie perché sia quella dei valori mobiliari emobiliari e sia quella degli
strumenti del mercato monetario a loro volta, a loro interno comprendono ulteriori tipologie, sono
meglio distinguibili in ulteriori tipologie. Mentre le quote di organismi di investimento collettivo del
risparmio rappresentano una tipologia di strumento finanziario più circoscritta, per esempio vi
rientrano le quote dei fondi comuni di investimento, che sono gli organismi di investimento collettivo
del risparmio per eccellenza. Sicuramente nell'ambito degli strumenti finanziari che non costituiscono
strumenti derivati, ci interessa soffermare la nostra attenzione sulla prima sottocategoria: quella dei
valori mobiliari. Perché sono tradizionalmente quegli strumenti destinati ad essere negoziati nel
mercato dei capitali e mediante la cui emissione, le società realizzano l'obiettivo fondamentale per il
mercato finanziario, cioè finanziarsi attraverso l'emissione di strumenti da offrire agli investitori
quindi già nella categoria per eccellenza che consente di realizzare quella forma di finanziamento
delle attività di impresa, come una forma di finanziamento indiretto delle attività di impresa che si
svolgono in forma collettiva.
Non c'è dubbio che le imprese collettive che per eccellenza emettono i valori mobiliari per finanziarsi
sul mercato dei capitali, sono le società per azioni, perché le società a responsabilità limitata possono
emettere strumenti finanziari in misura molto limitata.
Solo oggi in realtà possono fare delle operazioni di crowdfounding mediante le quali emettono
strumenti finanziari rivolti al pubblico degli investitori, in realtà nel nostro ordinamento per
eccellenza il tipo di società che si organizza per finanziarsi attraverso questa tecnica è la società per
azioni. Quali sono le tipologie di valori mobiliari individuate dal TUF?
L'elenco dei valori mobiliari è a sua volta contenuta nel testo unico della finanza nell’articolo 1
comma 1 bis. Quindi c'è questa dislocazione delle norme che non aiuta l'interprete, perché l'elenco
degli strumenti finanziari è contenuto nell'allegato mentre per sapere che cosa compone, di che cosa è
composta la categoria dei valori immobiliari dobbiamo tornare all'articolo 1 del tuf.
Ci sono innanzitutto le azioni di società e altri titoli equivalenti ad azioni di società di partnership o di
altri soggetti, quindi le espressioni utilizzate dal legislatore sono piuttosto generiche, semplificative
perché non abbiamo dubbi che le azioni di società siano valori mobiliari però si dice che lo sono
anche altri titoli equivalenti ad azioni di società di partnership o di altri soggetti.
In realtà la partnership non esiste in Italia, non è un tipo di società italiana, è una società invece, tipo
di società che vige nei paesi anglosassoni e in particolare nel Regno Unito.
Come ci spieghiamo la presenza di questo richiamo alla partnership nella norma italiana?
Perché il legislatore in realtà nel recepire la direttiva comunitaria non si è fatto briga di tradurre
l'espressione in italiano, quindi ha riportato un termine presente nella versione inglese della direttiva
che però nel nostro ordinamento non ha significato per il fatto che la partnership non esiste in Italia.
Oltre alle azioni di società poi abbiamo le obbligazioni, sempre emesse da società per azioni.
InfineInfine, abbiamo sempre nell'ambito delle categorie di valori mobiliari qualsiasi altro valore
mobiliare che permetta di acquisire o vendere i predetti valori mobiliari cioè: azioni, obbligazioni e
titoli equivalenti, o che comporti un regolamento a pronti determinato con riferimento a valori
mobiliari, valute, tassi di interesse, rendimenti, merci, indici o misure.
Nell'ambito di valori mobiliari le due categorie principali sono da un lato le azioni e dall'altro le
obbligazioni.
Con le azioni si partecipa direttamente al rischio di impresa, mentre con le obbligazioni viene
rimborsato il valore nominale alla scadenza quindi il rischio di impresa è in capo solo a un crollo del
sistema. Quindi le azioni rappresentano quote di partecipazione al capitale sociale, le obbligazioni
invece rappresentano delle frazioni di una complessiva operazione di indebitamento che fa la società,
emette un prestito obbligazionario che è ripartito, frazionato in singole quote che sono le obbligazioni,
chi sottoscrive questo obbligazioniqueste obbligazioni diventa un creditore della società.
Sempre nell'ambito di questa categoria di valori mobiliari poi c'è la lettera C che evoca invece una
categoria un po' più particolare, perché tecnicamente in questo caso siamo di fronte a strumenti
derivati. Che cos'è che qualifica uno strumento come strumento derivato? Qual è l'elemento adesso in
generale che ci consente di dire che uno strumento è un derivato?
C'è sempre un sottostante che può essere rappresentato o da determinati valori immobiliari: azioni e
obbligazioni, oppure da altri indici di natura finanziaria: valute, tassi di interesse, rendimenti e così
via. Però in ogni caso il valore di questo strumento, del valore mobiliare in questione deriva dal
prezzo dell' elementodell’elemento sottostante.
Gli strumenti finanziari non derivati comprendono oltre ai valori mobiliari anche gli strumenti del
mercato monetario. Gli strumenti del mercato monetario,Gli strumenti del mercato monetario sono
strumenti normalmente negoziati non sul mercato dei capitali bensì sul mercato monetario, che di
regola è un mercato che ha caratteristiche diverse soprattutto per quanto riguarda l'orizzonte
temporale degli investimenti, anche se vogliamo le esigenze e le aspettative di rendimento degli
investitori che vi investono.
Gli strumenti del mercato monetario per eccellenza sono i certificati di deposito e i buoni del tesoro.
Anche quelli per esempio emessi da poste, quindi i BTP possono essere classificati come strumenti
del mercato monetario.
Esiste un tratto comune a tutte le tipologie di strumenti finanziari non derivati?
La risposta è sì, questosì, questo tratto comune va individuato proprio nel fatto che tutti gli strumenti
finanziari non derivati e in particolare, tutti i valori immobiliari indicati nella norma devono essere
idonei a formare oggetto di negoziazione, quindi di scambio, di transazione, sul mercato dei capitali.
Questo requisito della negoziabilità è richiamato in particolare, sia per i valori mobiliari sia per gli
strumenti del mercato monetario seppur in questo secondo caso con riferimento per l'appunto al
mercato monetario e non al mercato dei capitali.
Mentre potremmo dire che è sottinteso per l'altra categoria di strumenti finanziari non derivati e cioè
le quote degli organismi di investimento collettivo del risparmio. Il problema è, che cosa significa che
lo strumento deve essere negoziabile o idoneo ad essere negoziato sul mercato dei capitali?
Quello che possiamo dire con certezza è che se lo strumento finanziario è quotato su un mercato
regolamentato, quindi è ammesso ad essere scambiato negoziato su un mercato regolamentato
sicuramente presenta il requisito della negoziabilità. Il problema èe possiamo intendere la
negoziabilità come sinonimo di quotazione, di ammissione alla negoziazione sul mercato dei capitali
regolamentato?
No, perché ci potrebbero essere strumenti finanziari negoziabili ma per i quali la negoziazione, lo
scambio, deve avvenire o può avvenire al di fuori dei mercati regolamentati, cosiddetti strumenti
finanziari over the counter, cioè al di fuori dei mercati regolamentati.
Per cui, questo concetto di negoziabilità in realtà deve essere inteso in maniera un po' più elastica,
semplicemente come idoneità dello strumento a formare oggetto di transazioni sul mercato dei
capitali. Quindi ciò che conta è che in concreto, esaminando in concreto lo strumento sia
normalmente, e generalmente trasferibile.
Quindi possa effettivamente formare oggetto di transazioni, un esempio concreto abbiamo detto che
non c'è dubbio che le azioni sono valori mobiliari e quindi strumenti finanziari, ma se la società che
ha emesso quelle azioni, dovesse inserire nel proprio statuto una clausola in base alla quale, vieta il
trasferimento delle azioni, dice “le azioni emesse dalla società non sono trasferibili per i primi 5
anni”, possiamo dire che quelle azioni rappresentano valori mobiliari e quindi strumenti finanziari, e
ai sensi del testo unico della Finanza?
Nei primi cinque anni no, allora quegli strumenti che così vengono privati della possibilità di formare
oggetto di transazioni perdono il requisito della negoziabilità e quindi non sono più classificabili come
strumenti finanziari all'interno del tuf. è una valutazione che va effettuata in concreto.
In concreto bisogna valutare se questi strumenti finanziari anche indipendentemente da come si
chiamano devono possedere il requisito di poter essere scambiati normalmente in maniera
generalizzata sul mercato dei capitali non per forza però di mercati regolamentati.
In relazione è al discorso relativo al collegamento esistente tra la categoria degli strumenti finanziari
di cui al testo unico della finanza e i vari tipi di valori immobiliari previsti dal nostro codice
civileCodice civile, vale la pena dire che le azioni e le obbligazioni sono contemplati anche dal nostro
codice civileCodice civile. Quindi sono gli strumenti finanziari che per eccellenza, le società per
azioni emettono per risolvere il loro problema finanziario, quindi di acquisizione di risorse da parte
nel primo caso di azionisti, quindi soggetti che vogliono condividere il rischio di impresa e che
partecipano direttamente al capitale sociale sottoscrivendo le azioni, e obbligazioni invece, nel caso di
emissione di strumenti di debito mediante i quali la società per azioni raggiunge un obiettivo analogo,
ovvero quello di dotarsi comunque di un certo ammontare di risorse finanziarie ma lo fa a un titolo
diverso, perché lo fa sulla base di un rapporto debitorio che instaura con gli obbligazionisti, i quali
dovranno essere rimborsati nel valore nominale delle obbligazioni che hanno sottoscritto e remunerati
attraverso il pagamento di un interesse. Nell'ambito di questo quadro elementare che distingue da un
lato le azioni e dall'altro le obbligazioni, in realtà poi la prassi finanziaria ha fatto dei passi in avanti,
soprattutto all'interno della categoria delle obbligazioni individuando una serie di fattispecie
particolari, di obbligazioni che sono caratterizzate da elementi specifici e questo per renderle più
appetibili anche nei confronti degli investitori.
Questa tipologia di obbligazioni non è riferita solo al nostro paese, perché anche all'estero in realtà
abbiamo fatti specie di obbligazioni simili a quelle qui indicate, tra di esse per esempio abbiamo le
così dette obbligazioni indicizzate, mentre il valore nominale dell'obbligazione deve essere sempre
rimborsato alla scadenza, perché è questo che qualifica l'obbligazione, la distingue dalle azioni, dal
titolo azionario. Per quanto riguarda l'aspetto della remunerazione, ci possono essere chiaramente
delle particolarità, per esempio, nelle obbligazioni indicizzate la misura del tasso di interesse che ha
determinate scadenze, la società emittente paga a favore degli obbligazionisti, è variabile.
Varia al variare della misura del parametro di riferimento che può essere una misura finanziaria,
l'andamento di una valuta e così via.
Esistono poi le obbligazioni a premio, hanno oltre al tasso di interesse contrattualmente convenuto,
stabilito dalla società emittente al momento dell'emissione del prestito obbligazionario, previsto in
contratto hanno la previsione di un ulteriore interesse, il cosiddetto premio, che si aggiunge a quello
contrattualmente convenuto, e di regola queste obbligazioni a premio si chiamano così perché questo
tasso di interesse ulteriore era il premio rispetto a quello contrattualmente convenuto, viene pagato
solo a determinate obbligazioni che risultano all'esito di un sorteggio. Quindi la società effettua un
sorteggio a determinati obbligazionisti che sono titolari delle obbligazioni sorteggiate, viene
conteggiato ulteriore interesse sub specie di premio oltre a quello contrattualmente stabilito che va
appannaggio di tutti gli obbligazionisti.
Poi abbiamo le obbligazioni correlate, che si caratterizzano per il fatto che mentre il rimborso del
capitale, quindi del valore nominale è sempre dovuto, il versamento degli interessi, è aleatorio,
sottoposto a una variabile, a un rischio e in particolare è in funzione dell'andamento economico della
società emittente. Quindi, da questo punto di vista, dal punto di vista della remunerazione di queste
obbligazioni esse si avvicinano molto alle azioni. Perché come le azioni la remunerazione è legata ai
risultati, all'andamento economico della società emittente. La differenza è che nelle obbligazioni
correlate, comunque la società emittente deve assicurare il rimborso del valore nominale
dell'obbligazione a differenza di quanto accadrebbe per un azioneun’azione che invece se l'andamento
della società emittente non dovesse essere positivo, comporterebbe l'impossibilità di rimborsare il
valore nominale delle stesse.
InfineInfine, abbiamo le famigerate e tristemente note obbligazioni subordinate o postergate che
hanno caratterizzato per esempio le emissioni fatte da Carichieti, Banca dell'etruria e dalle altre
Banche italiane entrate in crisi negli ultimi anni, che si caratterizzano perché la restituzione del
capitale e quindi anche del valore nominale è posticipata rispetto al soddisfacimento degli altri
creditori sociali. Significa che finché le cose vanno bene, alla scadenza gli obbligazionisti subordinati
riceveranno il rimborso del valore nominale oltre al pagamento degli interessi.
Se le cose dovessero andare male, e la società emittente dovesse entrare in crisi, allora in caso di
insolvenza la società emittente dovrà ripartire il residuo tra i creditori sociali, ma gli obbligazionisti
subordinati occuperanno l'ultima posizione nell'ambito dei creditori sociali.
Quindi prima verranno pagati tutti gli altri creditori, quindi i fornitori, i dipendenti della società e solo
in ultima istanza i possessori di obbligazioni subordinate. Se non ci sono risorse sufficienti per pagare
tutti i creditori della società, e questa è la regola, la situazione per eccellenza che si viene a verificare
se la società è insolvente, è chiaro che gli obbligazionisti subordinati non riceveranno neppure il
rimborso del valore nominale delle loro obbligazioni, com'è purtroppo avvenuto nei casi relativi citati
in precedenza, Carichieti e Banca dell'etruria che sono tristemente noti anche nella nostra regione.
è molto importante che, un investitore, quando sottoscrive delle obbligazioni, sappia che natura hanno
queste obbligazioni. Non tutte le obbligazioni sono uguali, sulla base di questo schema ma anzi,
all'interno del comune genus delle obbligazioni esistono delle specie che sono molto più rischiose
delle altre e quindi quando si effettua una transazione in obbligazioni, l'investitore deve essere
adeguatamente informato della natura dei rischi a cui va incontro.
A seguito della riforma delle società di capitali che si è avuta nel 2003, il codice civileCodice civile ha
introdotto a fianco alle azioni e alle obbligazioni anche una terza categoria di strumenti, che ha
denominato strumenti finanziari. Che rapporto c'è tra questi strumenti finanziari di cui parla il codice
civileCodice civile e gli strumenti finanziari di cui parla il testo unico della finanza?
No, non sono la stessa cosa perché il codice civileCodice civile quando parla di strumenti finanziari fa
riferimento ad una categoria di strumenti che rientra nell'ambito della nozione del testo unico della
finanza, nella categoria dei valori mobiliari.
Quindi mentre la nozione di strumenti finanziari di cui al TUF è una nozione molto ampia che
comprende anche i valori mobiliari oltre a tutta una serie di strumenti derivati, quella stessa
terminologia viene utilizzata nel codice civileCodice civile in un'accezione molto più ristretta. Il
codice civileCodice civile parla di strumenti finanziari che possono essere emessi da società per
azioni, intende dire che le società per azioni, oggi, possono emettere oltre ad azioni e obbligazioni
anche una categoria ulteriore di valori mobiliari che si colloca a metà strada, tra le azioni e le
obbligazioni.
Se questa categoria di valori si avvicina di più alle caratteristiche delle azioni, allora prende il nome di
strumenti finanziari partecipativi. Se si avvicina di più alle obbligazioni, possiamo invece denominarli
strumenti finanziari di debito. Quindi non c'è dubbio che gli strumenti finanziari di cui al codice
civileCodice civile essendo una via di mezzo tra le obbligazioni e le azioni, ai fini del testo unico della
finanza, rientrano nella categoria dei valori mobiliari. Quindi sono, anche questa, una categoria di
strumenti che possono essere emessi dalle società per azioni ed essere negoziati su mercati dei capitali
sempre per realizzare quell'obiettivo di finanziamento, che è l'obiettivo fondamentale di una forma di
esercizio dell'impresa collettiva quale per l'appunto è la società per azioni.
Definire un derivato in termini giuridici non è sicuramente cosa semplice, quello che possiamo dire in
termini descrittivi valorizzando il profilo economico dello strumento, è che il derivato si caratterizza
per l'esistenza di un sottostante. Quindi c'è sempre un elemento sottostante, sulla base del cui prezzo
varia il valore dello strumento derivato. Questo è il concetto di base.
Se andiamo a vedere però, nell'elenco dell'allegato primo sezione C del tuf, ci rendiamo conto che
esiste una varietà di questi strumenti finanziari derivati e questa varietà di strumenti finanziari derivati
è dipendente per intenderci, proprio dalla natura dell'elemento sottostante. Quindi a seconda della
natura o della tipologia di sottostante, di entità sottostante cambia la natura del derivato e quindi si
ricade in uno anziché in altro punto dell'elenco. Questo complesso elenco di strumenti finanziari
derivati è stato distinto in dottrina, in tre classi o tre tipologie:
1. I derivati finanziari;
2. I derivati su merci;
3. I derivati diversi dai due precedenti, che prendono anche il nome di derivati esotici.
I derivati finanziari che cosa hanno come elemento sottostante?
Hanno delle attività finanziarie, possono essere valori mobiliari ma non per forza. Più in generale solo
valori mobiliari.
Un derivato può avere come sottostante anche una merce, come per esempio: il grano, caffè. e a
questo punto il derivato prende il nome di derivato su merci. Oppure l'elemento sottostante può essere
anche una variabile totalmente esotica come per esempio: una tariffa di trasporto, una variabile
climatica. E allora parleremo derivati diversi o derivati esotici.
I derivati finanziari, qui non abbiamo grosse difficoltà perché la natura del sottostante di per sé è
un'attività o un indice finanziario. Quindi la natura dell'elemento sottostante è finanziaria, cioè: tasso
di interesse, valore mobiliare, valuta, indice o altra misura. In questo caso è pacifico che lo strumento
derivato rientri all'interno della categoria degli strumenti finanziari.
Quindi sia dotato di quelle caratteristiche di finanziarietà che lo rendono uno strumento finanziario ai
sensi del testo unico della finanza, è invece irrilevante per il tuf mentre, immaginiamo che sia
rilevante per la matematica finanziaria o per la finanza, qual è il tipo di contratto alla base del
derivato. Cioè è irrilevante se si tratti di un'opzione, oppure di un contratto a termine standardizzato,
quindi un futures, o di uno swap. Quello che conta è che se l'elemento sottostante è un'attività, un
indice di natura finanziaria non c'è dubbio che lo strumento derivato, qualunque sia la sua struttura
contrattuale è uno strumento finanziario, ai sensi del tuf.
Per contratto di opzione, intendiamo nella quale una delle parti del contratto dietro un corrispettivo
che è denominato premio, acquista la facoltà di acquistare o di vendere, a seconda che sia un'opzione
call o put ad un prezzo prestabilito, un certo quantitativo dell'attività sottostante alla data di scadenza.
Attività sottostante che è un'attività finanziaria o un indice finanziario.
Per futures si intende uno strumento finanziario con il quale le parti si impegnano a scambiarsi alla
scadenza un determinato quantitativo dell'attività sottostante ad un prezzo prestabilito, quindi non c'è
facoltà di concludere un contratto, di acquistare o di vendere, ma c'è un impegno, quindi un obbligo
delle parti di stipulare il contratto alla scadenza, sempre a un prezzo prestabilito e con riferimento a un
determinato quantitativo di attività sottostante.
InfineInfine, c'è lo swap che ha ad oggetto lo scambio dei rischi derivanti dalla fluttuazione di tassi di
cambio e tassi interesse. Qualunque sia la struttura o la natura del contratto che assume il derivato o se
l'elemento sottostante ha natura finanziaria lo strumento derivato è uno strumento finanziario.
È chiaro che questo discorso apparentemente abbastanza semplice banale, invece è un discorso che si
complica lì dove passiamo alle altre categorie. A cominciare da idai contratti derivati su merci, si
complica perché qui l'elemento sottostante non ha natura finanziaria, una merce non è un’entità
finanziaria. Teoricamente chi stipula un derivato, un contratto che ha come sottostante una merce,
cioè il cui valore dipende dal prezzo della merce sottostante potrebbe farlo anche per ragioni che non
sono ragioni di investimento, ma per esempio e per scopi commerciali.
Il problema del legislatore è vedere quando un contratto derivato, che ha come sottostante un
elemento non finanziario, una merce, deve essere trattato come strumento finanziario.
Cioè quando ricorrono determinati cosiddetti indici di finanziarietà che fanno prevalere l'interesse ad
effettuare l'investimento con un interesse, una funzione diversa per l’appunto commerciale, legata allo
scambio della merce. Gli indici di finanziarietà che il nostro legislatore individua per i derivati su
merci ne sono tre, e presentano livelli di approssimazione e di ampiezza via via crescenti.
Il primo indice di finanziarietà in base al quale un derivato su merci viene ad essere ascritto alla
categoria degli strumenti finanziari, si ha quando il regolamento del contratto derivato prevede che
alla scadenza le parti regolino il contratto attraverso il pagamento di differenziali in contanti, anziché
attraverso lo scambio della merce sottostante. Oppure che alla scadenza, questo regolamento del
contratto mediante pagamento di differenziali in contanti, possa avvenire a discrezione di una delle
parti. Quindi non ci sia un obbligo ma quantomeno una delle parti possa optare per un regolamento
del contratto attraverso il pagamento di differenziali in contanti.
Si dice pagamento di differenziali in contanti perché chiaramente, una parte pagherà all'altra la
differenza che si è venuta a determinare sulla base dell'andamento del valore della merce sottostante,
quindi l'andamento dal momento della stipula del derivato fino al momento per la scadenza del
contratto. Quindi se alla scadenza del contratto, le parti anziché scambiare la merce sottostante
definiscono le loro posizioni, quindi regolano il contratto mediante il pagamento da parte di un
soggetto all'altro della differenza di valore in contanti, allora siamo di fronte ad un derivato che ha
funzione finanziaria, quindi a questo punto è uno strumento finanziario ai sensi del tuf.
è possibile che un derivato pur privo di questa forma di regolamento del contratto per differenziali in
contanti possa comunque essere classificato come strumento finanziario, quindi anche se alla
scadenza le parti si scambiano il sottostante non regola il contratto mediante il pagamento della
differenza in contante, lo strumento può essere uno strumento finanziario se negoziato in un mercato
regolamentato o in un sistema alternativo di negoziazione.
Quindi il secondo indice di finanziarietà che rende il derivato finanziario, pur essendo previsto in
contratto che alla scadenza le parti si scambieranno la merce, quindi non denaro contante è la sua
quotazione sul mercato regolamentato su un sistema alternativo di negoziazione.
Il terzo indice di finanziarietà è ancora più ampio, perché qui si dice che sono considerati strumenti
finanziari anche i derivati su merci per i quali il regolamento alla scadenza può avvenire attraverso la
consegna del sottostante, diversi da quelli precedenti, quindi per i quali non c'è negoziazione in un
mercato regolamentato in un sistema alternativo di negoziazione, purché, dice la norma, non abbiano
scopi commerciali. Quindi purché dalla lettura del contratto, si capisca che la funzione che le parti
hanno voluto dare a questo contratto derivato è una funzione di investimento finanziario e non una
funzione commerciale tesa allo scambio di un certo quantitativo di merce ad un determinato prezzo
variabile.
Ovviamente è sufficiente uno di questi indici di finanziarietà per rendere lo strumento derivato su
merci classificabile all'interno della categoria degli strumenti finanziari di cui al testo unico della
finanza. Se una banca fa un'operazione di negoziazione su strumenti derivati su merci, che non
presenta uno di questi indici di finanziarietà, la banca non è tenuto ad osservare la disciplina dei
servizi e attività di investimento, che è una disciplina postadisciplina posta a tutela e a garanzia degli
investitori.
Un discorso analogo deve essere fatto anche con riferimento all'ultima categoria di strumenti derivati,
quelli diversi dai precedenti che possiamo anche definire per certi versi esotici.
Intanto è una categoria composita perché all'interno abbiamo gli strumenti derivati per il trasferimento
del rischio di credito, abbiamo i contratti finanziari differenziali e abbiamo i veri e propri derivati
esotici cioè quelli aventi come sottostante una serie di titani un po’ stravaganti, proprio per questo si
chiamano derivati esotici, per esempio, variabili climatiche, tariffe di trasporto, statistiche economiche
ufficiali, tassi di inflazione. Con riferimento a questi derivati esotici si pone lo stesso problema che
abbiamo visto per i derivati su merci, e il legislatore del testo unico della finanza, e ancora prima
quello della direttiva comunitaria per cui deriva la norma del tuf, risolve il problema allo stesso modo,
cioè valutando la ricorrenza di questi indici di finanziarietà che sono gli stessi che abbiamo prima
esaminato, ad eccezione dell'ultimo cioè ciò che conta è che il regolamento del contratto alla scadenza
avvenga attraverso il pagamento di differenziali in contanti o possa avvenire attraverso il pagamento
di differenziali in contanti, a discrezione di una delle due parti contrattuali, ovvero, in alternativa,
qualora manchi la possibilità di regolare il contratto a scadenza mediante il pagamento di differenziali
in contanti, considerando se gli strumenti derivati in questione sono negoziati sul mercato
regolamentato in un sistema alternativo di negoziazione, il che ovviamente da per definizione allo
strumento derivato una caratteristica di finanziarietà che è collegata anche alla sua necessaria
standardizzazione per poter essere quotato e negoziato sul mercato deve essere uno strumento
differenziale standardizzato altrimenti non ci sarebbe la possibilità che si forma il mercato.
Fondamentalmente gli elementi che rendono un contratto derivato, indipendentemente dalla natura del
contratto, della struttura del contratto che lo rendono strumento finanziario sono alternativamente due:
la possibilità o l'obbligo di regolare il contratto mediante il pagamento di differenziali in contanti alla
scadenza, la negoziabilità dello strumento derivato su un mercato regolamentato o su un sistema
alternativo di negoziazione. Allora di fronte a questa definizione un po' articolata di strumenti derivati
emerge un approccio del legislatore alla materia degli strumenti derivati, che potremmo dire, è un
approccio un po' ambivalente. Abbiamo due linee di tendenza che di per sé non sono esattamente
allineate. Una prima linea di tendenza, indubbiamente, è quella che punta all'espansione di questa
nozione. Prima dell'introduzione della direttiva mifid, in realtà, avevamo solo i derivati finanziari.
Dopo la Direttiva mifid, abbiamo assistito a questo ampliamento a dismisura delle categorie di
derivati che comprendono anche quelli su merci e soprattutto quelli esotici o diversi, che hanno come
sottostante quell'entità così stravaganti e questo perché il legislatore vuole evitare che la prassi, il
mercato, creino nuove tipologie di strumenti che possono sfuggire all'applicazione della disciplina dei
servizi e delle attività di investimento. Dall'altro lato però abbiamo una tendenza opposta, e cioè
quella in realtà che vuole evitare che questa categoria cresca a dismisura senza alcun elemento che la
qualifichi dal punto di vista finanziario, perché in effetti il rischio sarebbe che in qualunque contratto
che ha ad oggetto una merce, e che strutturalmente può essere qualificato come un derivato, sia
attratto dalla disciplina dei servizi e attività di investimento, il che non avrebbe senso.
Perché questa disciplina deve applicarsi tutte le volte in cui siamo di fronte a servizi e attività
cosiddette di investimento, in cui quindi i soggetti che le realizzano siano animati da scopi finanziari
di investimento e non da scopi ovviamente commerciali, e quindi legislatore per dare peso, rilevanza a
questa seconda linea di tendenza delinea dei confini a questi strumenti derivati, valorizzando,
richiedendo come obbligatoria la presenza di indici di finanziarietà, altrimenti escludendo gli
strumenti in questione della categoria degli strumenti finanziari.
LE REGOLE DI CONDOTTA NELLA PRESTAZIONE
DEI SERVIZI DI INVESTIMENTO
7 aprile 2021
Il fatto che nella materia dei servizi e delle attività di investimento esista una disciplina, esistano delle
norme che guidano i comportamenti degli intermediari nella prestazione dei servizi e delle attività di
investimento, indubbiamente è una, o forse, la principale peculiarità della normativa che regola il
servizio delle attività di investimento e va aggiunto anche questa normativa riguardante le regole di
comportamento di condotta degli intermediari, è stata po' il faro, la guida che ha ispirato il legislatore
comunitario nelle varie direttive che emanato in materia. Quindi sempre più, passando dalla prima
direttiva del ‘93 è cosiddetta “eurosim” poi alla mifid nel 2004 e la “mifid 2” 2014, queste regole di
comportamento sono diventate via via più analitiche direi, più rigide per gli intermediari.
Perché il legislatore ritiene che guidando, orientando i comportamenti degli intermediari in maniera
rigida e analitica si offra o si persegua in misura più forte e più adeguata l'obiettivo ultimo di tutelare
gli investitori che sono i fruitori dei servizi e delle attività di investimento. Questa disciplina ha
assunto sempre maggiore importanza anche in relazione a ciò che è accaduto nella prassi e cioè anche
in relazione agli scandali finanziari che hanno riguardato il nostro ma anche altri paesi a livello
europeo e anche a livello extra europeo, basti pensare agli scandali finanziari che hanno coinvolto gli
Stati Uniti. Scandali finanziari nell'ambito dei quali le condotte e i comportamenti degli intermediari
non sono stati il più delle volte esenti da critiche e da irregolarità o comportamenti poco trasparenti.
L’altra ragione per la quale il legislatore comunitario e il legislatore europeo si sono interessati
sempre più di queste regole di comportamento degli intermediari è anche una ragione legata
all'esigenza di armonizzare i vari ordinamenti in materia di servizi e attività di investimento, perché in
realtà non è stato il legislatore comunitario a introdurre delle norme che orientino i comportamenti
degli intermediari nella prestazione dei servizi di investimento, in realtà lo avevano già fatto i
legislatori a livello di singoli ordinamenti nazionali, quello che però ne scaturiva era un quadro
ovviamente frammentato, un quadro per nulla omogeneo a livello di Unione Europea, fino a quando il
legislatore europeo, in particolare con la mifid, è intervenuto per rendere questa materia armonizzata,
e non a caso la mifid è definita come una direttiva di massima armonizzazione e proprio perché punta
a raggiungere un livello di omogeneità tra le legislazioni dei singoli stati europei di grado massimo.
Per quanto riguarda gli obiettivi perseguiti dalla mifid, la mifid si pone chiaramente l'obiettivo di
dettare regole comuni in materia di servizi e attività di investimento applicabili in tutti gli stati
membri, questo significa che la disciplina di recepimento, ovviamente all'interno del nostro
ordinamento, quindi del Testo Unico della Finanza, del regolamento intermediari è una disciplina di
recepimento che ricalca in maniera sostanzialmente quasi testuale le disposizioni europee.
Quello che fa poi la mifid in materia di regole e di comportamento è anche un passo in avanti, perché
istituisce un legame forte tra le regole di condotta degli intermediari nella prestazione dei servizi e le
regole di organizzazione degli stessi intermediari che intendono prestare servizi e attività di
investimento. Quindi non sono regole di comportamento di condotta molto analitiche ma anche regole
che disciplinano la struttura organizzativa di questi intermediari. Dobbiamo sempre considerare che
gli intermediari sono a tutti gli effetti delle imprese private, quindi realizzano un'attività di impresa
privata che in quanto tale, per definizione, dovrebbe essere lasciata alla libertà di iniziativa economica
dei soggetti che intraprendono quella attività, ma in considerazione della delicatezza di questa attività,
in realtà, anche nel campo dei servizi e delle attività di investimento come nel campo dell'attività
bancaria tradizionale esistono delle regole che intervengono direttamente sull'iniziativa privata
vincolandola, nel modo, nella materia che ci riguarda, quella di servizi e attività di investimento
imponendo agli intermediari determinati comportamenti e imponendo agli intermediari di organizzarsi
in una determinata maniera, questo sarà evidente questo legame tra regole di condotta e regole di
organizzazione nella materia dei conflitti di interesse.
Anche la “mifid due” in realtà, fa un passo in avanti nella materia che ci occupa, perché rende ancora
più focalizzata l'interesse di tutta questa disciplina nei confronti del cliente, delle sue caratteristiche e
delle sue esigenze. Quindi sempre più, i comportamenti degli intermediari devono tendere a
soddisfare l'interesse e le specifiche esigenze della clientela. Per quanto riguarda una possibile
classificazione delle regole di comportamento, allora si può dire che le regole di condotta, di
comportamento, introdotte per effetto delle direttive comunitarie e oggi contenute nel nostro
ordinamento, quindi nel tuf nel regolamento intermediari, possono essere distinte innanzitutto, in due
categorie principali. Ad un primo livello ci sono le cosiddette “norme di portata generale”, le
chiamiamo così perché sono delle norme destinate a trovare applicazione con riferimento a tutti i
servizi e a tutte le attività di investimento. Ad un secondo livello abbiamo invece delle “norme di
comportamento” per così dire, speciali, cioè applicabili a singoli servizi o attività di investimento.
Questo spiega perché è così importante tracciare una linea di demarcazione, di differenziazione tra i
diversi servizi e le attività di investimento, perché evidentemente le regole applicabili alla prestazione
dei servizi e delle attività di investimento non sono sempre le stesse. Esistono delle norme di portata
generale ma esistono anche delle norme destinate a trovare applicazione a singoli servizi o attività.
Tra l'altro bisogna precisare che le norme di portata generale non sono contenute solo nelle fonti
normative primarie, cioè solo nel testo unico della finanza ma trovano la loro collocazione anche nel
regolamento intermediari, e così di converso le regole di comportamento applicabili a singoli servizi e
attività non sono collocate solo nelle fonti normative secondarie, cioè nel regolamento intermediari
ma possono trovare collocazione anche all'interno del tuf. Quindi le fonti normative, sia per quanto
riguarda le norme di portata generale sia per quanto riguarda le regole a carattere speciale, sono
rappresentate tanto da norme primarie quanto da norme regolamentari.
Ovviamente le norme primarie sono quelle contenute nel testo unico della finanza, le norme
secondarie sono quelle contenute soprattutto nel regolamento in materia di intermediari emanato dalla
Consob.
L’articolo 21 è rubricato “criteri generali”, in particolare questo articolo 21 sui criteri generali è una
norma che ovviamente contiene dei principi generali. I principi generali in materia di comportamento
e di organizzazione perché oggi esiste tra le due categorie di regole un connubio indissolubile, che i
criteri generali devono ispirare i comportamenti degli intermediari e le scelte magari organizzative
quando questi intendono prestare servizi e attività di investimento. è chiaro che questa è una norma
indubbiamente di portata generale, la rubrica è “criteri generali” non a caso. Quindi contiene dei
principi di massima e in quanto contenente dei principi di massima è definita anche norma quadro.
Se è una norma quadro, ovviamente, all'interno di questa norma quadro poi si devono necessariamente
inserire delle disposizioni di dettaglio e queste disposizioni di dettaglio, quindi che orientano nel
livello più puntuale, i comportamenti degli intermediari trovano collocazione all'interno del
regolamento emanato dalla Consob. Quindi, sostanzialmente, gli intermediari se volessero
comprendere in maniera puntuale quali sono gli obblighi che devono osservare nella prestazione dei
servizi e attività di investimento, non potrebbero limitarsi alla lettura dell'articolo 21 che in realtà è
una norma quadro, una norma di principio. Ma dovrebbero esaminare come questi principi generali,
come questa norma quadro trova poi applicazione in concreto nell'ambito della normativa
regolamentare. C’è poi un'altra considerazione che bisogna fare e cioè, siamo di fronte ad una norma
quadro, quindi verosimilmente ci si potrebbe attendere una certa stabilità di questa norma quadro nel
tempo, cioè una norma che detta i principi dovrebbe rimanere non immutabile nel tempo ma quanto
meno stabile nel corso degli anni, e invece l'articolo 21 ha subito diverse modifiche, è stato modificato
tante volte, in particolare a seguito dell'emanazione della mifid recepita nel 2007, della mifid due
recepita nel 2017, tanto da rimanere inalterato nel corso del tempo solamente nel suo primo comma.
In realtà poi tutti gli altri commi della norma, hanno subito delle profonde modifiche, innovazioni.
Questo lascia un po' spaesato l'interprete, perché l’interprete ha bisogno anche di un certo periodo di
tempo per far proprie delle soluzioni normative legislative, qui parliamo di una norma che viene
modificata ormai sistematicamente nel corso degli anni, il che significa doversi volta per volta
riadattare addirittura a nuovi principi generali.
Se volessimo fare una classificazione di questi caratteri generali, potremmo distinguerli in tre
tipologie o tre categorie di criteri generali.
La prima tipologia di criteri Generali o la prima categoria è rappresentata da obblighi di
comportamento o di condotta contrattuale degli intermediari, sulla base del fatto che gli intermediari
prestano servizi e attività di investimento agli investitori sulla base di un contratto a seguito della
stipulazione su questo contratto sorgono degli obblighi di condotta che gli intermediari devono
osservare nella prestazione del servizio. In realtà alcuni obblighi di condotta di comportamento
sorgono già nella fase precontrattuale, cioè nella fase in cui l’intermediario offre servizi e attività di
investimento ai potenziali clienti, quelli che non hanno ancora concluso il rapporto contrattuale.
Questi obblighi di condotta contrattuale, o precontrattuale, o post contrattuale volendo essere un po'
più precisi circa il momento temporale nel quale si realizzano, vengono a manifestarsi, ruotano
intorno al principio di trasparenza delle relazioni contrattuali. L'obiettivo quindiL’obiettivo, quindi,
non è diverso da quello incontrato anche nella materia bancaria cioè quello di puntare, di mirare far sì
che il cliente possa conoscere e comprendere il contenuto del servizio di investimento prima che il
contratto venga a concludersi, ma anche nella fase di stipulazione del contratto e nella fase di
esecuzione del servizio. Quindi fondamentale è la conoscenza e la comprensione del contenuto del
servizio per assumere delle scelte consapevoli.
Per realizzare questo obiettivo sono chiaramente imposti degli obblighi a contenuto informativo a
carico dell'intermediario in tutte le fasi del rapporto, è chiaro che questo principio della trasparenza è
in un certo senso finalizzato a far sì che da un lato ovviamente i clienti siano più tutelati, perché
possano avere consapevolezza circa la natura dei servizi e il loro contenuto e la loro opportunità.
Dall'altro dovrebbe avere un effetto sulla concorrenza, perché dovrebbero stimolare gli intermediari a
offrire condizioni migliori sulla base del fatto che i clienti teoricamente dovrebbero comparare le
condizioni offerti dai diversi intermediari e scegliere quelle che è meglio ritengono rispondenti alle
proprie aspettative e ai propri bisogni. Questa è la prima categoria, quindi di obblighi di criteri
generali, quelli che riguardano la condotta ai comportamenti degli intermediari.
Abbiamo poi delle regole che hanno un contenuto più specificamente organizzativo, che impongono
alle imprese di investimento di dotarsi di una determinata struttura, quindi di organizzarsi in maniera
tale da rispondere meglio alle aspettative e alle esigenze della clientela. InfineInfine, abbiamo delle
regole che incidono sulla gestione stessa dell'attività di impresa, ricordiamo che si tratta di un'attività
di impresa privata, quindi regole che addirittura vincolano gli amministratori, gli organi sociali ad
adottare determinate scelte gestorie sono indubbiamente delle norme molto forti che l'ordinamento
però accetta nella misura in cui si tratta chiaramente di attività particolarmente delicate.
Tutte queste tre tipologie di obblighi di condotta contrattuale, di organizzazione e di gestione sono
funzionali nella loro l'integrazione ad orientare il comportamento complessivo degli intermediari
quando si tratta di prestare servizi e attività di investimento. L'altro punto che bisogna
precisarebisogna precisare e che in realtà, soprattutto nel regolamento intermediari, quindi soprattutto
se ci spostiamo a livello di normativa secondaria, ci rendiamo conto che le regole di comportamento,
di condotta degli intermediari previsti a livello di normativa secondaria, si differenziano a seconda
della tipologia di cliente coinvolto. In particolare, ai sensi del testo unico della finanza alla Consob è
affidato il potere, chiaramente che si realizza in sede regolamentare, di emanazione del regolamento
di graduare gli obblighi di condotta degli intermediari nei confronti dei clienti in relazione alla qualità,
all'esperienza e alle diverse esigenze di tutela dei clienti. Il punto focale di questa graduazione di
doveri di condotta è che più è inesperto il cliente, quindi più si tratta di un cliente debole, inesperto,
maggiore è il suo bisogno di tutela, maggiori dovranno essere le regole che il legislatore emana al fine
di regolamentare i comportamenti degli intermediari. Mentre più esperto è il cliente, minore è il suo
bisogno di tutela e a questo punto, legittima era disapplicazione di una parte delle regole di
comportamento.
Perché di fronte ad un cliente esperto è opportuno che le norme di comportamento siano in parte
disapplicate? Qual è la ragione che giustifica la disapplicazione di una parte delle norme di
comportamento di fronte a un investitore professionale?
Abbiamo detto che il legislatore fa questa scelta, dice che la Consob ha il potere di regolamentare, di
graduare i doveri di condotta nei confronti dei clienti in relazione alla qualità e l'esperienza delle
diverse esigenzadelle diverse esigenze di tutela che i clienti hanno, quindi la logica è che se il cliente è
un cliente inesperto ha maggior bisogno di tutela a questo punto le regole di condotta devono essere
massime, più analitiche possibile. Se invece il cliente è un cliente esperto, quindi un investitore
professionale a questo punto è legittima la disapplicazione di una parte delle regole di
comportamento.
Ma perché è opportuna questa differenziazione in ragione del grado di esperienza di competenza della
clientela? Perché nei confronti di un cliente esperto può avere un senso disapplicare una parte delle
norme di comportamento?
Per un intermediario osservare più regole di condotta o meno regole di condotta è uguale? è identico?
O comporta delle conseguenze?
InnanzituttoInnanzitutto, delle conseguenze in termini di costi, l’intermediario per osservare una
determinata disciplina particolarmente rigida e analitica deve sostenere dei costi, i cosiddetti “costi di
compliance”, cioè costi che si sostengono per adeguarsi alle regole. Più queste regole sono tassative e
analitiche, maggiori saranno i costi in capo agli intermediari. Se i costi chiaramente aumentano per gli
intermediari, costi di dover studiare la normativa, avere delle persone che sappiano applicare,
predisporre la documentazione contrattuale, tutti questi sono dei costi di struttura.
Gli intermediari chiaramente scaricano questi costi di struttura sugli stessi clienti, per cui lilì dove non
è necessario sostenere questi costi perché il cliente è in grado di tutelarsi da solo e di comprendere da
solo i rischi le attività dei servizi di investimento, è inutile sostenere quei costi.
Anche perché c'è un altro riflesso di questa disciplina, più sono analitiche e rigide le norme di
comportamento maggiore sarà anche la rigidità nella prestazione del servizio.
Chiaramente se vogliamo un mercato finanziario efficiente, snello in cui si abbia anche una rapidità
nell'assunzione delle decisioni, necessariamente dobbiamo applicare un giusto livello di normativa e
di regole di comportamento. Quindi dobbiamo raggiungere questo punto di equilibrio tra le esigenze
di tutela del cliente e l'esigenza di efficienza e di flessibilità della disciplina nella prestazione dei
servizi e delle attività di investimento.
Per raggiungere questi obiettivi la Consob distingue la clientela in tre categorie:
1. I clienti al dettaglio;
2. I clienti professionali;
3. Le controparti qualificate.
Tre categorie di clientela chiaramente in relazione alle quali abbiamo una disciplina dei
comportamenti degli intermediari che è differenziata.
Il clientie al dettaglio sono la categoria di clientela residuale, cioè tutti i clienti, tutti gli investitori che
per una ragione o altra non sono qualificabili come clienti professionali o controparti qualificate,
ricadono all'interno della categoria dei clienti al dettaglio.
I clienti professionali sono invece definiti dalla Consob mediante l'individuazione di due
sottocategorie, esistono i clienti professionali di diritto eed esistono i clienti professionali su richiesta.
In generale i clienti professionali sono coloro che possiedono esperienze, conoscenze e competenze in
materia finanziaria adeguate per prendere consapevolmente le proprie decisioni in materia di
investimenti e quindi soprattutto per valutare maniera corretta i rischi a cui vanno incontro.
La categoria dei clienti professionali di diritto è individuata attraverso l'elencazione dei soggetti che vi
fanno parte, si tratta di soggetti autorizzati ad operare nei mercati finanziari quindi, banche, imprese di
investimento, organismi di investimento collettivo del risparmio ma anche imprese di assicurazione e
così via, chiaro che se diciamo un intermediario finanziario volesse prestare un certo servizio di
investimento a favore di un'altra banca, ipotizziamo che la banca è cliente in questo caso non ha
senso che si richieda al primo intermedio di osservare la disciplina analitica delle norme di
comportamento nei confronti del cliente, perché il cliente in questo caso, una banca è ben in grado di
tutelare le proprie ragioni e di comprendere i rischi delle operazioni che sta stipulando.
Quindi ipotizziamo un'operazione, un contratto derivato stipulato tra due banche è chiaro che avremo
un ipotesiun’ipotesi in cui questa disciplina a tutela del cliente non ha senso e può essere disapplicata.
Sempre nell'ambito dei clienti professionali di diritto ci sono gli investitori istituzionali, cioè sono dei
soggetti che per professione non fanno altro che investire le proprie risorse patrimoniali in strumenti
finanziari, per esempio i fondi. In questi casi anche possiamo dare per scontato che questi soggetti
abbiano un'adeguata conoscenza e competenza del mercato finanziario tale da non dover essere
ovviamente tutelati.
La terza categoria di clienti professionali invece pone qualche dubbio perché vi rientro le imprese di
grandi dimensioni. Sono quelle che detengono questi valori:
- totale di bilancio 20 milioni di euro;
- fatturato netto 40 milioni di euro;
- fondi propri 2 milioni di euro;
Quindi le imprese che possiedono almeno due di questi requisiti dimensionali sono considerate
imprese di grandi dimensioni e quindi rientrano nell'ambito della clientela professionale.
Pone qualche dubbio in più questa categoria perché in realtà l'impresa non ha competenze,
conoscenze del mercato finanziario solo perché supera determinate dimensioni, potrebbe essere
un'impresa operante nei settori industriali e commerciali che nulla hanno a che vedere col mercato
finanziario, quindi diciamo presumere che ci siano quella caratteristiche di professionalità in capo alle
imprese di grandi dimensioni probabilmente non è corretto ma questa è la scelta fatta dal nostro
legislatore. InfineInfine, abbiamo i clienti professionali su richiesta, come dice la parola stessa siamo
di fronte quindi a investitori diversi da quelli precedenti, che non sono né soggetti autorizzati ad
operare nei mercati finanziari, né imprese di grandi dimensioni, né investitori istituzionali.
Quindi di regola potrebbero essere cliente al dettaglio, ma fanno richiesta espressa di essere trattati
come clienti professionali e sulla base della valutazione dell'intermediario che presta il servizio che
deve per l'appunto valutare se possiedono determinati requisiti di competenza esperienza e
conoscenzae conoscenza del mercato finanziario possono essere trattati come clienti professionali.
Qual è la differenza tra la prima sottocategoria e la seconda?
Nei clienti professionali di diritto si ragiona per presunzione, è sufficiente appartenere ad una di
quelle sottocategorie per essere trattati come clienti professionali, l’intermediario a quel punto non è
responsabile della disapplicazione delle norme. Nel caso dei clienti professionali su richiesta, questa
presunzione non opera. Nel senso che chiaramente i clienti professionali devono essere valutati,
esaminati dagli intermediari quando fanno richiesta di essere trattati come clienti professionali, se
l'intermediario ritengono che possiedonopossiedano queste caratteristiche di professionalità si
possono trattare come tali. Come ultima categoria abbiamo le controparti qualificate.
Le controparti qualificate sono individuate indirettamente del testo unico della Finanza ma solo con
riferimento ai servizi di negoziazione per conto proprio, esecuzione di ordini per conto dei clienti e
ricezione e trasmissione di ordini. Questo vuol dire che le controparti qualificate sono solo nell'ambito
quando fruiscono di uno di questi servizi, negoziazione per conto proprio, esecuzioni di ordine e
ricezionee ricezione e trasmissione di ordini qualora rientrino in una di queste categorie di soggetti:
banche, imprese di investimento, altri intermediari finanziari, governi nazionali, banche centrali,
nonché altri soggetti in possesso di una rilevata esperienza e competenza in campo finanziario.
Una banca quando fruisce un servizio di investimento, quindi è un cliente di un intermediario che
presta servizi di investimento può essere trattata come cliente professionali o come controparte
qualificata a seconda del tipo di servizio al quale si rivolge, perché la qualificazione come controparte
qualificata riguarda solo questi tre servizi. La conseguenza è che se un intermediario presta uno di
questi servizi nei confronti di una controparte qualificata può disapplicare quasi totalmente la
disciplina in materia di obblighi di condotta dell'intermediario verso la clientela.
Nel comma primo lettera a dell'articolo 21 ci dice che gli intermediari devono comportarsi con
diligenza correttezza e trasparenza per garantire l'interesse dei clienti e l'integrità dei mercati.
Dalla lettura di questa prima disposizione si desume la considerazione per cui siamo di fronte a
principi generali che in realtà, in concreto, non delineano in maniera specifica comportamenti ben
determinati, anzi volendo osservare un po' questi principi generali a livello sistematico, potremmo
dire che per certi versi si richiamano dei principi generali del nostro ordinamento in materia di
obbligazioni. All'interno del codice civile, la licenza per esempio, non è un qualcosa di peculiare della
materia finanziaria perché abbiamo una norma del codice civile che è l'articolo 1176 che si occupa
proprio di diligenza nell'adempimento delle obbligazioni, dice che nell’adempiere all'obbligazione il
debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia, poi aggiunge, nell'adempimento
obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale la diligenza deve valutarsi con riguardo
alla natura dell'attività esercitata, cioè che esiste una diligenza che va tarata sulla base della natura del
professionista anche come una diligenza professionale. Ma anche il principio di correttezza non è
qualcosa di peculiare della materia finanziaria, perché abbiamo anche qui nell'adempimento
dell'esecuzione delle obbligazioni contrattuali l'obbligo di comportarsi con correttezza e buona fede,
in fin dei conti sono questi principi generali tradizionali nel nostro del nostro diritto delle obbligazioni
richiamate in materia di servizi e attività di investimento. Anche la trasparenza è peculiare ma fino a
un certo punto, perché stessa la trasparenza non è altro che un'applicazione del principio di
correttezza. Il contraente deve comportarsi correttamente nell'esecuzione del contratto il che significa
innanzitutto essere trasparente nei confronti della propria controparte.
La conclusione è che questi richiami, anche richiamo a questi principi non è del tutto superfluo perché
un qualcosa di peculiare c’è, e la peculiarità riguarda proprio l'individuazione degli obiettivi di queste
principi generaliquesti principi generali. Gli intermediari devono comportarsi con diligenza,
correttezza e trasparenza.
Lo devono fare però non solo nel perseguimento di un obiettivo privatistico che è quello di tutelare
l'interesse del cliente, questo potrebbe essere ovviamente l'ottica considerata anche dal nostro codice
civile che si occupa di rapporti tra privati, in realtà gli intermediari devono comportarsi osservando
questi principi anche nell'interesse pubblicistico dell'integrità dei mercati che è un interesse che
trascende quindi rapporti privatistici tra intermediari e clienti e per abbracciare un’ottica più ampia,
più generale di stampo pubblicistico che è specifica a questo punto della materia in esame.
Quindi abbiamo una duplicità di obiettivi che non consente di ridurre alla regola in questione alla
disciplina generale del codice civileCodice civile.
La lettera A evocava il principio generale della trasparenza, nellatrasparenza, nella lettera B il criterio
della trasparenza viene riferito al singolo rapporto contrattuale che si instaura tra intermediario e
cliente. Quindi si dice che gli intermediari devono acquisire dai clienti le informazioni necessarie ed
operare in modo tale che gli stessi siano sempre adeguatamente informati. Questo criterio generale
possiamo dire che inserisce il principio della trasparenza all'interno dello specifico rapporto
contrattuale che l'intermediario instaura col cliente. L'intermediario deve garantire che esista un
adeguato flusso informativo bidirezionale, cioè che l'intermediario non può limitarsi a informare
adeguatamente clienti sui rischi e le opportunità e benefici degli investimenti proposti, questa è
l'informazione cosiddetta attiva, che va dall'intermediario verso il cliente, deve anche e lo deve fare
proprio in funzione poi dalla successiva informazione attiva, acquisire informazioni dai clienti
necessarie a conoscere adeguatamente i clienti, per poter loro consigliare o comunque orientare le loro
scelte d'investimento verso i prodotti, servizi più opportuni.
Quindi le informazioni devono andare innanzitutto dai clienti verso gli intermediari, informazione
passiva, e poi dagli intermediari verso i clienti. Chiaramente i due flussi informativi sono collegati
affinché il cliente possa essere adeguatamente informato è necessario che l'intermediario lo conosca
adeguatamente e quindi che prima l'intermediario abbia da questi acquisito le informazioni necessarie.
In concreto chiaramente è necessario fare riferimento alla normativa regolamentare perché la
normativa regolamentare che ci dice poi in concreto come questi intermediari deve comportarsi per
acquisire le informazioni della clientela e per informare adeguatamente la clientela stessa.
Anche il criterio generale della lettera c ruota intorno al concetto di trasparenza, si dice che
l'intermediario deve utilizzare comunicazioni pubblicitarie e promozionali che siano corrette, chiare e
non fuorvianti. Anche in questo caso di fronte a un'informazione attiva, perché l'informazione va
dall'intermediario verso la clientela ma potremmo dire che siamo in una fase che è svincolata dal
rapporto contrattuale, quindi una fase precedente alla stipula del contratto e che l'ipotesi può anche
prescindere dalla stipulazione del contratto. Quindi si rivolge in questo caso, l'informazione alla
clientela potenziale, alla generalità degli investitori ed è finalizzata proprio ad acquisire poi degli
investitori disposti a stipulare il contratto.
Quanto alla lettera D, si impone ai soggetti abilitati di disporre di risorse e procedure, anche di
controllo interno, idonee ad assicurare l'efficiente svolgimento dei servizi.
Si impone agli intermediari di dotare la propria attività di determinate risorse, di procedimentalizzarla
al fine di realizzare un efficiente svolgimento dei servizi di investimento. Questa è una regola a
contenuto organizzativo che incide sulla struttura, sulle scelte stesse che l'intermediario fa in materia
di struttura organizzativa, quindi una regola molto per pervasiva, è chiaro che siamo fermi a un
criterio generale che ci dice poco su quella che poi in concreto è la scelta che l’intermediario deve
effettuare, però se esaminassimo come questa regola viene poi tradotta nella normativa secondaria nel
dettaglio a livello di regolamento intermediari ci renderemo conto della sua analiticità.
Il comma 1 bis,Il comma 1 bis è tale perché è stato introdotto in una norma già scritta prima del
comma secondo a seguito del recepimento della mifid, ed è una norma quella del comma 1bis, molto
importante perché è dedicata a una dei problemi, delle materie, delle questioni più importanti della
disciplina dei servizi e delle attività di investimento, cioè il tema del conflitto di interessi degli
intermediari.
è chiaro che in tutti i contratti di scambio abbiamo una contrapposizione di interessi tra le due parti
contrattuali. Qual è il prototipo del contratto di scambio?
Il contratto di scambio per eccellenza è la compravendita, quindi è naturale che in tutti i contratti di
scambio, in particolare nella compravendita c'è una contrapposizione degli interessi tra le due parti.
L'alienante e l'acquirente hanno due interessi e sono in parte contrapposti, uno è chiaramente
interessato a spuntare un prezzo più alto possibile e l'altro ad ottenere un bene che sia confacente alle
sue aspettative ad un prezzo più basso. Ovviamente poi questi interessi si devono conciliare per
raggiungere l'accordo. Anche in materia finanziaria c'è una contrapposizione che è abbastanza
fisiologica tra l'interesse dell'intermediario e quello del cliente. Però nella materia finanziaria in realtà,
non è solo questo il tipo di conflitto che è rilevante perché in realtà l'intermediario nell'esercizio della
sua attività può essere deviato quando presta i servizi e le attività di investimento dalla sussistenza di
ulteriore interessi propriulteriori interessi propri o anche di terzi, per esempio gli altri clienti, che
possono confliggere con l'interesse degli investitori. L’intermediario può avere anche questi ulteriori
interessi confliggenti con quello dell'investitore perché l'intermediario oggi, specie quando si tratta di
una banca, è un intermediario polifunzionale, cioè che può svolgere una molteplicità di attività tra loro
interconnessi, e questo genera una problematica immanente in conflitti di interesse, cioè il conflitto di
interesse ormai endemico è una cosa che non può essere eliminata perché fisiologica nella natura
stessa della banca moderna, polifunzionale.
Per esempio, prendiamo il caso Parmalat e Cheerios.
Cheerios e Parmalat erano due società quotate che erano fortemente indebitate nei confronti di alcune
delle principali Banche italiane che avevano affidato quindi nell'esercizio della loro attività tipica di
erogazione del credito questi grandi gruppi societari italiani, che avevano importanti crediti a fronte di
mutui e aperture di credito tradizionali contratti bancari stipulati con questi clienti.
Il problema è che le cose per Cheerios e Parmalat presto sono iniziate ad andare male, quindi avevano
difficoltà a rientrare dalle loro esposizioni debitorie. Quindi avevano difficoltà a restituire i
finanziamenti ottenuti dalle banche e quindi a ottenere nuova liquidità.
Allora l'operazione che è stata pensata è stata svolta per consentire a Cheerios e Parmalat di
recuperare risorse finanziarie da destinare poi a copertura dell'esposizione debitoria verso le banche è
stata quella di emettere strumenti finanziari, in particolare obbligazioni, obbligazioni Cheerios e
obbligazioni Parmalat, destinare queste pubblicazioni al pubblico degli investitori e attraverso il
ricavato della sottoscrizione di questo obbligazioni da parte di investitori, poi coprire l'esposizione
debitoria verso le banche. Queste operazioni di collocamento di strumenti finanziari per conto di
Cheerios e Parmalat sono state curate dalle stesse banche nei confronti delle quali Cheerios e Parmalat
avevano le loro esposizioni debitorie principali. Quindi è chiaro che nel collocare questi strumenti
finanziari presso la clientela degli investitori, le banche erano animate da un interesse ulteriore
quindiulteriore, quindi, era in secondo piano l'interesse del cliente investitore a sottoscrivere prodotti a
lui adeguati perché per la banca era fondamentale soddisfare l'interesse a rientrare dai crediti che
avevano nei confronti di Cheerios e Parmalat. Questo è un classico esempio di conflitto di interessi e
ce ne sono una molteplicità di altri conflitti di questo genere nell'attuale operatività delle banche, basti
pensare per esempio al fatto che la maggior parte delle banche italiane fa parte di gruppi bancari, nei
quali a fronte della presenza di banche che fanno una molteplicità di attività finanziarie ci sono per
esempio delle SGR.
La SGR quando gestisce fondi comuni di investimento può essere interessata a istituire un
collegamento con la banca perché la banca ha la potenza commerciale di contatto con la clientela può
vendere ai propri clienti quote del fondo comune di investimento gestito dalla SGR che fa parte dello
stesso gruppo. Quindi anziché andare a cercare i prodotti sul mercato è chiaro che è orientata a
piazzare quote di un OGR gestite da società del gruppo sulle quali ha chiaramente maggiori ritorni in
termini di rendimenti.
Il conflitto interesse è oggi un problema che non può essere eliminato nella materia che ci riguarda, ne
è consapevole anche il legislatore che quindi introduce un principio generale in base al quale
l'intermediario deve adottare ogni misura ragionevole per identificare e prevenire e gestire i conflitti
di interesse che potrebbero insorgere con i clienti o anche fra i clienti. Quindi prima cosa
fondamentale non c'è un divieto per l'intermediario adoperare in conflitto di interessi, questo è un
punto chiave, in linea teorica ci può essere anche un divieto per un soggetto di prestare un determinato
servizio quando ha un interesse in conflitto ma la scelta del legislatore in questo caso non è per il
divieto, perché il legislatore si rende conto che probabilmente se ci fosse un divieto, sarebbe
impossibile operare, realizzare servizi e attività di investimento. Quindi che cosa deve fare
l’intermediario?
Deve identificare, prevenire e gestire il conflitto innanzitutto attraverso regole di natura organizzativa
e amministrativa, per evitare che i conflitti incidano negativamente sull’interesse dei clienti.
La principale regola organizzativa che conosciamo in materia proprio di gestione di conflitti di
interesse, è quella che va sotto il nome di Chinese Walls.
Chinese Walls significa muraglie cinesi.
è lo schema delle muraglie cinesi significa che l'intermediario tendenzialmente dovrebbe organizzare
la propria attività tenendo separate con delle muraglie, idealmente ovviamente si intende, le diverse
funzioni, le diverse divisioni, della banca. Quindi per esempio la divisione, la funzione che si occupa
di prestare i servizi e attività di investimento dovrebbe essere separata da quella di svolgere attività
tradizionale di erogazione del credito. Questo significa che quando io vendo i prodotti finanziari, non
devo sapere che in realtà la banca stessa banca ha affidato determinati clienti che hanno emesso quei
prodotti finanziari, perché altrimenti tendo collocare quei prodotti a scapito di altri che potrebbero
essere più adeguati per ilal cliente.
Qual è il problema di questa misura organizzativa?
Chiaramente è impensabile poter supporre che all'interno di uno stesso soggetto sia possibile separare
in maniera impermeabile le funzioni le divisioni aziendali, perché c’è comunque necessariamente un
passaggio seppur minimo di informazioni, primo punto.
Secondo punto che pure va preso in considerazione, è chiaro che ci sono sempre dei soggetti a livello
dirigenziale che occupano una posizione apicale e quindi conoscono le informazioni di una funzione e
dell'altra, di una divisione dell'altra e che quindi orientano poi comportamenti a valle, avendo un
quadro informativo completo. Quindi questa misura in realtà di Chinese Walls che è stata coniata
dalla dottrina economica per risolvere il problema dei conflitti di interessi è una misura che in realtà
non può sicuramente considerarsi sempre decisiva per risolvere il problema. E se ne rende conto lo
stesso legislatore sulla insufficienza delle misure organizzative tant'è che dice, quando le misure di
gestione organizzative amministrative non sono sufficienti per assicurare con ragionevole certezza che
rischia di nuocere agli interessi dei clienti si è evitato, gli intermediari devono informare chiaramente i
clienti della natura generale e oe/o delle fonti dei conflitti di interesse prima di poter agire per loro
conto.
Esiste un secondo livello di misure pensate per affrontare la materia dei conflitti di interesse che è un
livello informativo, queste sono misure di secondo livello ma in realtà sono destinate a diventare
misure di primo livello, perché l'intermediario non si assumerà mai il rischio di ritenere sufficienti le
misure organizzative amministrative per gestire i conflitti e preferirà sempre comunque informare la
clientela per evitare poi di dover rispondere dei danni arrecati qualora le cose vadano male e il cliente
invochi la violazione della disciplina in materia di conflitti di interesse.
InfineInfine, il comma 1 bis si chiude come la lettera D, che richiede agli intermediari di svolgere una
gestione indipendente, sana e prudente. Ritorna questo principio della sana e prudente gestione anche
nella fase di svolgimento delle attività e dei servizi, è una valutazione che le autorità di vigilanza deve
fare a monte nel momento in cui concede l'autorizzazione. Gli intermediari devono altresì adottare
misure idonee e salvaguardare i diritti dei clienti sugli strumenti finanziari e sul denaro affidato,
restano, nel caso di servizi e attività d'investimento di proprietà dei clienti, quindi c'è
fondamentalmente un affidamento che il cliente ne fa favore dell'intermediario e un obbligo di
salvaguardia di questi strumenti finanziari e di questo denaro attraverso idonee misure.
Le due regole contenute nel regolamento intermediari danno concreta attuazione ai principi generali la
cui disciplina si trova all'interno del regolamento in materia di intermediari emanato dalla Consob che
prendono il nome di regola di adeguatezza e regola di appropriatezza.
Diciamo che sono tra gli aspetti più qualificanti della disciplina in materia di servizi e attività di
investimento, cioè gli aspetti nei quali si misura il rispetto da parte dei soggetti abilitati dei principi
generali richiamati dall'articolo 21. La regola di adeguatezza non è nuova perché è stata introdotta in
Italia con la legge numero uno del 1991, la mifid ha però rinnovato questa regola, ne ha ridefinito il
contenuto e la portata e ha introdotto con l'occasione anche ulteriore regola che si affianca a quella di
adeguatezza che prende il nome di appropriatezza. Quindi mentre la regola di adeguatezza e più
risalente, perché è di 30 anni fa fondamentalmente, la regola di appropriatezza è più giovane, è stata
introdotta solo il recepimento della mifid. Segnano anche una distinzione tra le discipline applicabili e
i diversi servizi e attività di investimento. La regola di adeguatezza si applica a determinati servizi di
investimento due: gestione di portafogli e consulenza in materia di investimento. La regola di
appropriatezza si applica a tutti gli altri servizi di investimento.
La funzione della regola di adeguatezza è quella di sostanzialmente rafforzare i doveri di assistenza
dell'intermediario nei confronti dell'investitore, vietando all'intermediario di effettuare o consigliare
operazioni che non siano adeguate all’investitore stesso. è una regola esistente fin dal 1991 non è stata
introdotta con la legge che a sua volta ha introdotto il nostro ordinamento le SIM quindi la legge SIM
numero 1 del 1991. TuttaviaTuttavia, la MIFID ha riformulato questa regola quindi ha ridefinito i
parametri in base ai quali l'intermediario deve valutare se l'operazione è adeguata all'investitore e
soprattutto ha reso questa regola non derogabile. Non è derogabile significa che se l’intermediario
all'esito della valutazione di adeguatezza dovesse riscontrare che l'operazione non è adeguata al
cliente, l'operazione di investimento non può essere compiuta. Prima invece del recepimento della
MIFID accadeva che l'intermediario facesse la valutazione di adeguatezza, magari riscontrasse
l'inadeguatezza di un'operazione rispetto alle caratteristiche del cliente ma si facesse rilasciare
un'autorizzazione da parte dell'investitore espressa mediante la quale poi comunque procedeva a
compiere l'operazione.
Quindi sostanzialmente aggirava attraverso un’autorizzazione espressa del cliente, nel più delle volte
il cliente rilasciato in maniera inconsapevole, il divieto contenuto nella regola in questione.
Oggi invece questo giudizio di inadeguatezza di una determinata operazione diventa bloccante e che
rafforza la centralità di questa regola per il sistema. La mifid circoscrive l'applicazione della regola di
adeguatezza solo alla prestazione di due servizi di investimento: la gestione di portafogli e la gestione
di consulenza che sono i servizi a più alto valore aggiunto in cui l'intermediario opera con maggiore
discrezionalità, quindi più pericolosi per il cliente e quindi in cui questa regola è bloccante di
adeguatezza e più giustificata. Quali sono i parametri sulla cui base l'intermediario deve valutare
l'adeguatezza di un'operazione?
InnanzituttoInnanzitutto, deve valutare se l'operazione corrisponde alla conoscenza ed esperienza che
l'investitore ha in materia di investimenti. Se l'operazione corrisponde alla situazione finanziaria
dell'investitore, se l'operazione corrisponde agli obiettivi di investimento dello stesso. Quindi
conoscenza e competenza primo parametro, situazione finanziaria dell'investitore, obiettivi di
investimento.
Se c'è corrispondenza tra questi tre parametri e la situazione concreta del cliente, tre parametri
ovviamente valutati alla luce dell'operazione di investimento e la situazione specifica del cliente,
allora l'operazione è adeguata, altrimenti è inadeguata e non può essere compiuta.
Nel caso in cui l'intermediario presti servizi diversi dalla consulenza e dalla gestione di portafogli,
oggi opera invece la regola di appropriatezza, che per certi versi ha una struttura analoga a quella di
adeguatezza ma presenta delle differenze significative. Intanto perché l'appropriatezza riguarda la
valutazione solo in merito all'esperienza e alla conoscenza di cui l’investitore è in possesso. Quindi
l’appropriatezza non riguarda né la valutazione della situazione finanziaria della capacità finanziaria
del cliente, né la valutazione degli obiettivi di investimento del cliente ma solo conoscenze e
competenze in relazione alla specifica operazione e allo specifico strumento proposto.
In secondo luogo, cosa accade se la valutazione di appropriatezza è negativa?
Accade che l'intermediario è obbligato solo ad informare l'investitore senza che questa valutazione di
inappropriatezza però sia bloccante, cioè si traduca in un divieto di operare. Questo vale per
l'adeguatezza ma non per l'appropriatezza. Se il cliente non reitera l'ordine senza che lo confermi,
comunque l'intermediario una volta che lo ha dedotto nel fatto che l'operazione è inappropriata, può
comunque compierla a meno che il cliente non dica no. Questa stessa conclusione quindi, cioè il fatto
che l'intermediario non si debba fermare ma possa comunque compiere l'operazione pure in presenza
di una valutazione negativa, vale anche per l'ipotesi in cui l'intermediario non riesca a formulare un
giudizio di appropriatezza perché il cliente non gli ha fornito informazioni adeguate e sufficienti.
Chiaramente gli intermediari soprattutto all'inizio degli anni in questo secolo, primo decennio di
questo secolo, hanno posto in essere una serie di condotte in violazioni delle norme di comportamento
in materia di servizi e attività di investimento, generando un contenzioso molto molto importante nelle
aule dei Tribunali che va sotto il nome di “risparmio tradito”. Quindi si è proprio generato un filone di
pronunce giurisprudenziali molto consistenti su questo risparmio tradito e in particolare diciamo che il
dubbio più grande riguardava le conseguenze che dovessero essere rintracciati qualora l'intermediario
avesse violato la normativa in questione.
Il rimedio per la violazione condotta secondo alcuni doveva consistere nella nullità del contratto
stipulato tra intermediario e cliente, secondo altri invece nella possibilità di agire a responsabilità
contro intermediari per chiedere il risarcimento del danno. Questa è in particolare la conclusione a cui
è pervenuta la Corte di Cassazione a sezioni unite nel 2007.
La cassazione ha respinto la tesi che ritenevano i contratti di intermediazione finanziaria e ha sposato
la linea per la quale in ipotesi di violazione degli obblighi di condotta da parte degli intermediari, la
sanzione adeguata è quella per l'appunto della responsabilità e dell'eventuale risarcimento dei danni.
Quindi il cliente dovrà provare che l'intermediario ha violato una norma di condotta, che ha subito dei
danni e che tra le violazioni e i danni che ha subito esiste un nesso di causalità e potrà poi chiedere il
risarcimento dei danni subiti, ma non potrà mai invocare la nullità del contratto.
I CONTRATTI. LA GESTIONE DI PORTAFOGLI.
L’OFFERTA FUORI SEDE
8 aprile 2021
Anche nella materia dei servizi e delle attività di investimento abbiamo una disciplina dei contratti che
accompagnano la prestazione di questi servizi e attività di investimento che è una disciplina speciale,
per due ragioni, la ragione principale risiede nel fatto che questa disciplina si stacca dalla disciplina
generale prevista in materia contrattuale dal codice civileCodice civile.
Quindi la disciplina, i cui principi sono diversi da quelli che il codice civileCodice civile detta con
riferimento ai contratti. L’altro elemento di specialità di questa disciplina risiede invece nel confronto
con quella dedicata ai contratti bancari contenuta in particolare nell’articolo 117 del Testo Unico
Bancario.
Rispetto a quella disciplina dell’articolo 117 del TUB, in realtà i principi non sono sicuramente
diversi, ma le regole in parte lo sono e quindi non abbiamo una completa sovrapponibilità tra queste
due discipline. Il principio di base che caratterizza anche i contratti relativi alla prestazione di servizi e
attività di investimento, tutti i servizi e le attività di investimento è che il contratto dev’essere redatto
per iscritto e una copia dev’essere consegnata al cliente. Questa regola che abbiamo già esaminato con
riferimento ai contratti bancari si applica in caso di prestazione e di un qualunque servizio e attività di
investimento e questo è un concetto che viene rimarcato, perché prima in realtà dell’introduzione della
MIFID II e del recepimento, in realtà era prevista un’esclusione per il servizio di consulenza perché si
riteneva che la consulenza non fosse un servizio dotato di caratteristiche tali da poter essere
formalizzato all’interno di un testo contrattuale, perché la consulenza in realtà si diceva consiste in
consigli, raccomandazioni quindi è difficile stipulare un testo contrattuale nel quale delineare per
l’appunto il contenuto di questo servizio, di questa attività. Ci si è resi presto conto che questa
esclusione poteva tradursi in un potenziale ulteriore rischio a carico degli investitori che
sostanzialmente non avevano un testo contrattuale al quale poter fare riferimento per comprendere la
natura del servizio al quale andavano incontro, quindi il legislatore europeo e poi quello italiano sono
tornati sui loro passi e hanno esteso l'obbligo della forma scritta anche al caso della prestazione del
servizio di consulenza. Una peculiarità rispetto alla disciplina dei contratti bancari si registra invece in
relazione alla possibilità che il comma primo dell'articolo 23 concede di derogare alla regola dell'
obbligodell’obbligo di forma scritta, dell'obbligo di redazione del contratto in forma scritta. Perché in
realtà nell'ambito della prestazione dei servizi e delle attività di investimento, ci si rende conto che
una eccessiva, troppo estesa applicazione dell'obbligo di redazione del contratto in forma scritta possa
avere anche degli effetti negativi, in particolare sulle esigenze di rapidità ed efficienza nella
prestazione del servizio dell'attività investimento. Quindi la legge lascia in questo caso una via
d'uscita, cioè una possibilità di deroga. Ma è una possibilità di deroga un po' sui generis, particolare,
perché quando si dice che una previsione di legge è derogabile, in genere si vuole dire che le parti
quando stipulano un contratto, un accordo possono stabilire di regolare le proprie posizioni
contrattuali in maniera difforme rispetto a quanto prevede la regola di legge. Nel nostro caso, in realtà,
l'obbligo della forma scritta è sisì derogabile ma non dalle parti, cioè non solo la banca e il cliente che
possono decidere di stipulare il contratto in altra forma, ma è realtà la Consob, quindi l'autorità di
vigilanza che mediante una scelta in sede regolamentare, può stabilire fondamentalmente di prevedere
per taluni contratti, oppure per talune operazioni rientranti nei servizi bancari, nei servizi di
investimento che il contratto venga stipulato in una forma diversa dalla forma scritta e in particolare
alla Consob è concesso di prevedere la deroga, l'obbligo di forma scritta in due casi: per motivate
ragioni dice l'articolo 23 comma primo si allude a ragioni di carattere tecnico, cioè legate alla
particolare tipologia di operazione che l'intermediario vuole porre in essere, ovvero in relazione alla
natura professionale dei contraenti. Per quanto riguarda la prima la prima ipotesi, cioè la possibilità
che la Consob deroghi all'obbligo di forma scritta per, come dice la norma, motivate ragioni, la
Consob in particolare si è avvalsa di questa possibilità di deroga con riferimento a quei contratti,
relativi alla prestazione dei servizi e delle attività di investimento che prevedono una esecuzione
continuata di ordini, e quindi per esempio il caso dell'esecuzione degli ordini o della ricezione e
trasmissione di ordini, si prevede che l'obbligo della forma scritta vada osservato solamente per il
contratto base, quello che si stipula a monte, il contratto quadro che regola il servizio.
I singoli ordini che volta per volta il cliente impartisce all'intermediario, che sono comunque a tutti gli
effetti dei contratti, ordini di investimento, possono invece essere impartiti anche attraverso forme
diverse, per esempio: telefonicamente, ovvero attraverso altri dispositivi di comunicazione a distanza.
per esempio: attraverso un invio della comunicazione dell'ordine in via telematica.
Era inizialmente previsto anche una deroga relativa alla natura professionale dei contraenti, cioè si
diceva che l'obbligo della forma scritta dovesse essere osservata solo quando il servizio era prestato a
favore di clienti al dettaglio, ma in realtà oggi da questo punto vista la Consob è tornata un po'
indietro e non limita l'obbligo di forma scritta ai contratti stipulati con la clientela al dettaglio, quindi
si estende anche questo obbligo ai contratti stipulati con i clienti professionali alle controparti
qualificate, dove in vero non ci sarebbe una valida ragione per stipulare il contratto in forma scritta.
Dal punto di vista contenutistico invece, quello che ci dice l'articolo 23 e che, vi ricordate che in
materia bancaria avevamo dal punto di vista contenutistico una norma molto forte che prevedeva una
sorta di principio di completezza del contratto bancario, alcune indicazioni che obbligatoriamente
dovevano essere fornite all'interno del contratto pena l'applicazione di un meccanismo sanzionatorio
peculiare che faceva riferimento all'integrazione del contratto attraverso clausole legali. Qui dal punto
di vista contenutistico la previsione è più blanda per i contratti in materia di prestazione di servizi e
attività di investimento, si dice semplicemente che le eventuali clausole di rinvio agli usi per la
determinazione del corrispettivo dell'intermediario e per la determinazione di ogni altro onere a carico
del cliente sarebbero nulle. Quindi l'onerosità, il profilo dell' onerositàdell’onerosità del contratto, dei
costi degli oneri, dei corrispettivi che il cliente deve pagare, deve essere, questo profilo,
esplicitamente indicato nel contratto, non può essere lasciato invece in maniera indeterminata.
Per quanto riguarda invece la sanzione, la sanzione più interessante indubbiamente è quella che
accompagna la violazione dell'obbligo di redigere il contratto in forma scritta. Ed è la sanzione che
abbiamo già visto in materia di contratti bancari essere quella della nullità del contratto. Quindi se il
contratto relativo alla prestazione dei servizi e attività di investimento non è stato stipulato in forma
scritta è nullo, e chiaramente questo sta a significare anche con riferimento ai contratti bancari che si
tratta di una forma richiesta ad substantiam, cioè ai fini della validità del contratto.
La nullità è comunque una nullità relativa, il che vuol dire che può essere fatta valere solo dal cliente
e non anche dall'intermediario, cioè che questa disciplina anche quella in materia di servizi di
investimento è una disciplina posta a tutela di una parte contrattuale considerata debole e cioè del
cliente, quindi una nullità relativa è una nullità indubbiamente particolare perché si differenzia dalla
nullità assoluta che quella che invece conosciamo dal diritto privato e caratterizza i contratti in
generale. Un'ultima norma che vale la pena approfondire in relazione all'articolo 23 del testo unico
della finanza è quella contenuta nel comma Sesto. Questo comma Sesto dell'articolo 23 dice
espressamente che nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei
servizi di investimento e di quelli accessori spetta ai soggetti abilitati l'onere della prova di aver agito
con la specifica diligenza richiesta. Quindi questa norma riguarda i giudizi di risarcimento dei danni,
non riguarda, pertanto il caso che abbiamo prima detto della nullità del contratto, ma riguarda le
ipotesi in cui l'intermediario nel prestare servizi e attività di investimento viola una norma di
comportamento, esponendosi a un'azione di responsabilità del cliente che chiede il risarcimento dei
danni. Questa norma ha lo scopo di agevolare la posizione processuale giudiziale che ha il cliente,
perché in un certo qual senso pone un’inversione dell'onere della prova. In generale, in diritto privato,
per quanto riguarda la responsabilità di un debitore, si prevede all'articolo 1218 che il creditore che
agisce in giudizio per far valere la responsabilità del debitore che è risultato inadempiente, quindi per
esempio al pagamento del proprio debito, ha l'onere intanto di provare l'inadempimento del debitore,
di provare il danno subito, di provare il nesso di causalità tra inadempimento e danno. Questo articolo
23 comma Sesto agevola l'onere processuale del creditore che in questo caso è il cliente che ha subito
danni dall'intermediario che ha violato gli obblighi di comportamento, perché sarà l'intermediario a
dover provare se si vuole sottrarre al risarcimento dei danni, di aver adempiuto in maniera esatta ai
propri obblighi di comportamento, quindi, fondamentalmente, il cliente dovrà solamente dare
dimostrazione di aver subito un danno in relazione alla prestazione da parte dell'intermediario di
servizi e attività di investimento, e dovrà dimostrare che l'intermediario ha effettivamente
inadempiuto a una norma di comportamento, ma sarà l'intermediario che a questo punto per sottrarsi e
responsabilità dovrà eventualmente allegare dei fatti a prova di aver agito con la specifica diligenza
richiesta e quindi fondamentalmente che non ricorra la violazione di una norma di comportamento, la
specifica diligenza richiesta è chiaramente una diligenza di natura professionale, quindi la prova
spetta all'intermediario non è sicuramente una prova agevole da fornire.
Infine, per chiudere questo discorso sui contratti vale la pena dire che ricordare che l'articolo 23 al
comma IV prevede anche che le disposizioni del titolo sesto del testo unico bancario non si applicano
ai servizi di investimento. Intanto le disposizioni del titolo sesto del testo unico bancario sono le
norme che disciplinano la trasparenza nei contratti bancari, quindi gli articoli 116 e seguenti del testo
unico bancario. Lo scopo di questa previsione è tenere distinte le discipline di trasparenza, cioè quella
dettata dal testo unico bancario e quella dettata dal testo unico della finanza.
Quando si tratta della prestazione dei servizi e delle attività di investimento, l'intermediario
finanziario deve osservare la disciplina di trasparenza del tuf e quella del testo unico bancario non si
applica. Perché il legislatore ha sentito bisogno di precisare una cosa che potrebbe apparire abbastanza
scontata?
Direi per l'identità del soggetto che effettua due attività, che possono essere assoggettate a due
discipline di trasparenza diverse. Mi riferisco evidentemente alla banca.
La banca può prestare un’attività bancaria tradizionale quindi stipulare contratti bancari tradizionali di
cui abbiamo parlato e allora deve osservare la disciplina di trasparenza di cui al testo unico bancario.
Se invece lo stesso soggetto, la stessa banca offre al cliente servizi e attività di investimento deve, con
riferimento ai servizi e alle attività di investimento osservare la disciplina di trasparenza contenuta nel
testo unico della finanza, di cui agli articoli 21 e 23 e regolamento intermediari collegato.
Questo è importante rimarcarlo perché chiaramente i principi che governano le due materie sono gli
stessi, ma le regole sono in parte diverse e peculiari quindi necessitano di essere applicate in maniera
distinta, necessitano di una linea di demarcazione netta tracciata dal legislatore.
L’intermediario ha una forte discrezionalità nel prestare questo servizio, il cliente affida il proprio
patrimonio a un intermediario sulla base di un rapporto fiduciario e questo intermediario può
compiere operazioni di investimento per conto del cliente impegnando chiaramente le sue posizioni
patrimoniali. Ora, in ragione della delicatezza di questo servizio, quindi, il tuf prevede l'articolo 24
delle regole destinate a trovare applicazione specifica solo con riferimento al servizio di gestione di
portafogli, che è un servizio che può essere svolto oltre che dalle imprese di investimento e dalle
banche anche dalle SGR, società di gestione del risparmio che si occupa elettivamente della gestione
collettiva del risparmio ma può chiedere di essere autorizzata anche lo svolgimento del servizio di
gestione di portafogli. Siamo di fronte a un servizio mediante il quale il cliente affida il proprio
patrimonio individuale ad un intermediario, quindi consegna le somme di denaro che restano di
proprietà del cliente, l'intermediario si impegna ad investire queste somme in strumenti finanziari in
nome e per conto del cliente dietro il pagamento da parte del cliente, di una commissione annuale, che
viene fondamentalmente pagata ad inizio del rapporto e poi ad inizio anno.
La disciplina del servizio di gestione di portafogli di cui all'articolo 24, è composta da tre regole che
occupano i tre Commi della norma, quindi l'articolo 24 ha24 ha 3 commi, ciascuno di questi commi
contiene una regola e queste regole segnano anche in maniera abbastanza evidente la differenza con il
servizio di gestione collettiva del risparmio che è il servizio per eccellenza svolto dalle società di
gestione del risparmio. La prima regola contenuta nel comma primo, ci dice che il cliente nell'ambito
del servizio di gestione di portafogli individuali di investimento può impartire istruzioni vincolanti
all'intermediario in ordine alle operazioni da compiere. Abbiamo detto che chiaramente si tratta del
servizio che ha un più alto valore aggiunto, abbiamo detto che l'intermediario discrezionalmente può
individuare le operazioni di investimento da compiere, tuttavia questa discrezionalità
dell'intermediario può essere comunque limitato, circoscritta mediante istruzioni che il cliente dadà
allo stesso gestore, circa l'operazione da compiere. Queste istruzioni vincolano le scelte del gestore.
Nel senso che il gestore ne deve tener conto e le deve portare a compimento, le deve eseguire.
Questo non si verifica di frequente nella prassi, però può verificarsi ed è evidentemente un elemento
che caratterizza una gestione, come la gestione di portafogli che è una gestione individuale mentre
non avrebbe senso e significato di fronte una gestione di un patrimonio collettivo, qual è per l'appunto
la gestione collettiva del risparmio. In questo caso il gestore gestisce un patrimonio collettivo
subspecie di fondo comune d'investimento in cui una moltitudine degli investitori partecipa al fondo,
chiaramente non avrebbe senso che l'intermediario eseguisse le istruzioni provenienti dai singoli
investitori, la gestione avviene nell'interesse collettivo, non ci può essere per definizione la
soddisfazione dell'interesse del singolo investitore e quindi la possibilità per costui di impartire
istruzioni. Ora questi istruzioni vincolanti, nel caso della gestione di portafogli possono essere invece
date dal cliente all'intermediario sia ad inizio rapporto, quindi per esempio, il cliente potrà individuare
una determinata politica di gestione che l'intermediario dovrà seguire, sia anche durante lo
svolgimento del rapporto mediante un ordine di modifica delle istruzioni vincolanti precedentemente
inoltrate e anche in questo caso il gestore sarà comunque obbligato ad eseguire l'ordine, quindi a
modificare la propria politica di gestione sulla base delle istruzioni che il cliente gli ha dato.
Seconda regola, la seconda regola si occupa del diritto di recesso. Che cos'è il diritto di recesso?
è una comunicazione unilaterale, un atto recettizio che il cliente in questo caso invia al gestore
mediante il quale può sciogliersi dal vincolo contrattuale. Il comma secondo dell'articolo 24 ci dice in
particolare che nel caso del contratto di gestione di portafogli, il cliente ha il diritto unilaterale di
sciogliere in ogni momento il contratto, senza addurre alcuna giustificazione.
Siamo di fronte a una disposizione che indubbiamente attribuisce al cliente una forte tutela, e
apparentemente un diritto di recesso così ampio sembrerebbe indebolire notevolmente la posizione
dell'intermediario ma direi anche il vincolo contrattuale che lega l'intermediario al cliente, perché
siamo di fronte ad un contratto che uno dei due contraenti può sciogliere in ogni momento quando
vuole senza addurre alcuna giustificazione e allora potrebbe pensarsi ad un contratto che in realtà
pone degli obblighi solo a carico di una delle due parti, cioè solo a carico dell'intermediario e non
anche del cliente, visto che il cliente può liberarsi dal vincolo contrattuale quando vuole. In realtà se
riflettiamo maniera un po' più attenta sulla struttura di questo contratto di gestione di portafogli ci
rendiamo conto che le cose non stanno propriamente in questi termini, perché in realtà, intanto la
gestione di portafogli è un contratto di durata, cioè destinato a protrarsi nel tempo e rispetto a questa
durata del contratto di gestione di portafogli, il cliente effettua le proprie prestazioni già a monte,
perché da un lato consegna la somma di denaro, il proprio patrimonio che l'intermediario dovrà
investire, dall'altro paga la provvigione in via anticipata già al momento della conclusione del
contratto e poi annualmente sempre ad inizio anno. Quindi se vogliamo la prestazione
dell'intermediario che si protrae nel tempo ma la prestazione del cliente è già stata eseguita a monte,
all'inizio del rapporto. Quindi è chiaro che se il cliente dovesse reclutare che l'intermediario non abbia
raggiunto risultati soddisfacenti nella gestione, è logico che egli debba potersi svincolare dal rapporto
e chiedere la liquidazione degli investimenti effettuati dall'intermediario.
Chiaro che è bene ricordare che se il cliente receda dal contratto ha diritto alla liquidazione del
patrimonio al suo valore attuale, cioè tenendo conto di qual è il valore che a quel momento hanno gli
investimenti effettuati dall'intermediario. La disposizione dell'articolo 24 si occupa poi anche di
disciplinare il diritto di recesso del gestore, dell'intermediario, ma in questo caso lo fa mediante un
rinvio a una norma, all'articolo 1727 che è la norma che disciplina il recesso del mandatario.
Quindi, in linea di massima, il recesso del mandatario è ammesso solo se sussiste una giusta causa,
perché se non sussiste una giusta causa e il mandatario recede dal contratto deve risarcire i danni al
mandante che in questo caso è l'investitore cliente.
L'ultima regola riguarda la rappresentanza per l'esercizio dei diritti di voto inerenti agli strumenti
finanziari di gestione, perché è chiaro che questo servizio di gestione di portafogli presuppone che
l'intermediario, cioè il gestore investa la somma di denaro che gli ha consegnato il cliente in strumenti
finanziari, quindi si viene a trovare nella disponibilità di strumenti finanziari di titolarità del cliente,
cioè imputabili al cliente di cui il cliente è proprietario. Questi strumenti finanziari possono essere
verosimilmente anche azioni e quindi si pone il problema di stabilire qual è il soggetto che esercita i
diritti di voto inerenti a queste azioni.
A chi spetterà esercitare il diritto di voto relativo a strumenti finanziari, azioni di pertinenza del
cliente? Diritto di voto nell'assemblea della società che ha emesso questi strumenti finanziari
chiaramente.
Il diritto di voto spetterà al cliente, perché è titolare di questi strumenti, cioè il gestore investe somme
di denaro per conto del cliente. Le somme di denaro restano di proprietà del cliente e gli strumenti
finanziari in cui quelle somme di denaro sono stati investiti diventano di proprietà del cliente.
è anche vero che il cliente potrebbe non avere alcun interesse ad esercitare questi diritti di voto,
perché lui ha affidato il patrimonio all'intermediario per guadagnare sugli investimenti, cioè per avere
un ritorno in termini di incremento di valore del proprio patrimonio, non certo per poi poter esercitare
il diritto di voto in assemblea in relazione alle azioni sulle quali il gestore ha investito il patrimonio.
Quindi la norma prevede la possibilità che l’impresa d’investimento, la banca, più in generale, il
gestore ottenga dal cliente a fine dell'esercizio del diritto di voto per suo conto il rilascio di una
procura, purché per iscritto per singola assemblea. Perché quello che di regola è poco interessante per
il cliente, cioè andare a votare in assemblea, esercitare quei minimi diritti di voto che ha in relazione
alle azioni su cui sono state investite è il proprio patrimonio, in realtà potrebbe diventare una cosa
interessante per l'intermediario, perché l'intermediario potrebbe accumulare i diritti di voto relativi a
più clienti sulle medesime azioni e quindi avere poi un peso in assemblea che è più significativo di
quello che avrebbe il singolo cliente. Nella gestione collettiva del risparmio un simile problema di
esercizio dei diritti di voto degli strumenti finanziari in cui viene investito il patrimonio neppure si
pone, perché è chiaro che legittimata a votare in assemblea sarà sempre comunque la SGR che
gestisce il fondo comune, è impensabile che questa moltitudine gli investitori che ha investito piccole
quote di un patrimonio collettivo qual è il fondo comune d'investimento poi si rechi nelle singole
assemblee delle società per azioni che hanno emesso gli strumenti finanziari per esercitare il proprio
diritto di voto. Lì va deplano che il soggetto deputato a votare in assemblea per conto della
moltitudine di investitori sarà la SGR, indipendentemente dall'esistenza di una procura per quel punto
non è necessaria.
Le regole specifiche dettate per la gestione di portafogli sono tre regole contemplate dall'articolo 24 è
un po' direi che la stessa scelta il legislatore la fa in materia di consulenza, perché anche qui,
all'interno del testo unico della finanza viene dettata una norma che è la norma successiva, quindi
l’articolo 24-bis che riguarda esclusivamente il servizio di consulenza in materia di investimenti e
anche in questo caso potremmo dire che rispetto alla disciplina generale che vale per tutti i servizi e le
attività di investimento qui si prevede per la consulenza una disposizione che contempla ulteriori
obblighi di trasparenza, in particolare si dice che in caso di esercizio della consulenza in materia di
investimenti, il tempo utile, prima della prestazione del servizio l’intermediario deve specificare al
cliente se la consulenza è fornita su base indipendente o meno, se la consulenza è basata su un’analisi
di mercato ampia o più ristretta delle varie tipologie di strumenti finanziari, se verrà fornita ai clienti
la valutazione periodica dell’adeguatezza degli strumenti finanziari raccomandati.
In particolare, quello che interessa al legislatore è imporre agli intermediari di chiarire nei confronti
del cliente se la consulenza è una consulenza prestata su base indipendente, quindi significa che
l’intermediario non ha interessi a consigliare determinati strumenti anziché altri, ma consiglia, in linea
teorica i migliori strumenti che ritiene essere presenti sul mercato ovviamente, sulla base delle
caratteristiche del cliente stesso, e se poi accompagna la prestazione di questo servizio con una
verifica periodica dell’adeguatezza degli strumenti consigliati, quindi non fa la valutazione solo al
momento in cui consiglia lo strumento finanziario ma lo fa periodicamente per per verificare che gli
strumenti a suo tempo consigliati continuino ad essere adeguati magari sulla base di rinnovate
caratteristiche del cliente, questo perché se la serie di servizi di consulenza in materia di investimenti
avviene su base indipendente a garanzia del cliente sono previste ulteriori regole, in particolare
l'intermediario deve valutare una congrua gamma di strumenti finanziari disponibili sul mercato,
quindi che siano sufficientemente diversificati per emittenti, tipologie, fornitori in prodotti e che
comunque non siano limitati agli strumenti finanziari emessi o forniti da soggetti collegati agli
intermediari. Deve poi, specificare l’intermediario che non accetta e non trattiene onorari,
commissioni o altre remunerazioni da terzi. Quindi nella consulenza fornita su base indipendente
l'intermediario deve essere remunerato solo ed esclusivamente dal cliente nei confronti del quale
presta il servizio, non può accettare altre commissioni e onorari ed altre forme di remunerazione da
terzi perché questo queste commissioni, questi onorari devierebbero la sua imparzialità.
Il significato della disciplina dell’offerta fuori sede è prendere in considerazione una fattispecie
peculiare che è quella in cui l'intermediario effettua un'offerta a favore del cliente al di fuori della sede
dell'intermediario delle sedi, dei locali che tradizionalmente l'intermediario utilizza per prestare la
propria attività, quindi per svolgere anche i servizi e attività di investimento.
è detta una disciplina speciale, perché il cliente nel momento in cui viene ad essere sollecitato fuori
sede è sprovvisto di quei presidi di controllo, di tutela, di garanzia che sono rappresentati proprio dai
locali dell'intermediario, cioè viene ad essere assoggettato al cosiddetto effetto sorpresa.
Ipotizziamo il caso di un servizio che un incaricato dell'intermediario offre a domicilio del cliente.
Il cliente non si è recato in banca, presso i locali della banca, quindi verosimilmente non si attende la
visita di questo incaricato della banca, non si attende che questo incaricato della banca gli offra servizi
di investimento, può essere quindi sorpreso da questa iniziativa e quindi abbassare i propri livelli di
tutela e assumere dei rischi ulteriori che verosimilmente in banca assumerebbe con maggiore
consapevolezza. Quindi per questa ipotesi, il testo unico della finanza detta una disciplina ad hoc, che
è una disciplina che prevede una serie di tutele aggiuntive, nei confronti del cliente.
Queste tutele aggiuntive, sono peraltro peculiari dell'ordinamento italiano perché a differenza un po'
di tutte le materie che riguardano la disciplina bancaria e dei mercati finanziari, la materia dell’offerta
fuori sede è una materia sottratta alla armonizzazione comunitaria.
Quindi in effetti non rientrano nel campo di applicazione delle direttive per cui la disciplina è una
peculiarità dell’ordinamento italiano.
La definizione di offerta fuori sede è contenuta nell’articolo 30 del comma primo del tuf.
Per offerta fuori sede si intendono a promozione e il collocamento presso il pubblico di:
- strumenti finanziari in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze dell’emittente, del
proponente l’investimento o del soggetto incaricato della promozione o del collocamento;
- di servizi e attività di investimento in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze di chi
presta, promuove o colloca il servizio o l’attività.
Siamo di fronte, indubbiamente, a una nozione di offerta fuori sede che è piuttosto estesa, soprattutto
l’offerta fuori sede può avere ad oggetto due cose: gli strumenti finanziari, i servizi e le attività di
investimento. Quindi quando l’incaricato dell’intermediario si reca presso il domicilio del cliente può
offrirgli un servizio attività di investimento oppure, l’altra ipotesi il cliente ha stipulato con
l’intermediario un contratto tradizionale avente ad oggetto servizi e attività di investimento dopodiché
l’incaricato dell’intermediario va al domicilio del cliente in un’occasione successiva e offre al cliente
strumenti finanziari nell'ambito di quel contratto di prestazione di servizio che il cliente aveva
stipulato a suo tempo nelle sedi dell'intermediario. Importante è chiarire questo concetto ovviamente
di sede, perché la disciplina in questione si applica quando la promozione e il collocamento di
strumenti finanziari e servizi di investimento avviene per l'appunto fuori sede.
Che cosa si intende per sede?
Intanto bisogna dire che siamo abituati a pensare che la sede sia chiaramente la sede legale di una
società di un intermediario di una banca, ma è chiaro che per la banca non ha rilevanza solo la sede
legale ma ha rilevanza più in generale, hanno rilevanza tutte le dipendenze della banca
dell'intermediario. Che cosa sono le dipendenze?
Sono ovviamente delle sedi diverse da quella legale che si caratterizzano per una certa stabilità in
termini di organizzazione di mezzi di persone e che si identificano tradizionalmente con le filiali e le
succursali della banca. Quindi per intenderci se un servizio di investimento o strumenti finanziari
vengono offerti all'interno di una filiale, ovviamente non si tratta di offerta fuori sede.
L’offerta fuori sede è quella che si realizza al di fuori di tutti i locali di tutte le sedi che stabilmente
l'intermediario identifica per lo svolgimento della propria attività.
La norma parla anche della sede dell’emittente, perché è chiaro che anche se gli strumenti finanziari
venissero offerti all'interno della sede della società che li hai messi non si tratterebbe di un’offerta
fuori sede, quindi di regola, l’offerta fuori sede è quella che si realizza al domicilio del cliente.
La prima regola che dobbiamo esaminare riguarda i soggetti legittimati ad effettuare l'offerta fuori
sede e per quanto riguarda i soggetti legittimati a realizzare l'offerta fuori sede, va detto che l'offerta
fuori sede non va concepita come un servizio di investimento ulteriore rispetto a quelli definiti
nell'articolo 1 comma 5 del tuf, ma rappresenta più semplicemente una modalità particolare di offerta
di servizi di investimento e di strumenti finanziari. Ne consegue che per effettuare l'offerta fuori sede
non è necessaria una specifica autorizzazione, per cui per quanto riguarda l'offerta fuori sede di servizi
di investimento se un intermediario è abilitato a prestare un determinato servizio di investimento,
quindi ha chiesto l'autorizzazione a prestare il servizio attività di investimento, può ovviamente offrire
questi servizi e attività di investimento anche fuori sede e non ha bisogno di un ulteriore
autorizzazione. Invece per quanto riguarda l'offerta fuori sede di strumenti finanziari, l'offerta fuori
sede di strumenti finanziari può essere effettuata da soggetti autorizzati a svolgere i servizi previsti
dall'articolo 1 comma 5 lettere C e C bis, parliamo del servizio di collocamento nelle due forme.
C e C bis sono le due forme del collocamento, con o senza assunzione, impegno irrevocabile nei
confronti dell'emittente. Quindi per offrire fuori sede gli strumenti finanziari, l’intermediario deve
essere abilitato a svolgere il servizio di collocamento. Oppure se si tratta di offrire fuori sede quote di
organismi di investimento collettivo del risparmio che sono fondi, quote di fondi comuni
d'investimento, l'offerta può essere svolta dal SGR e dagli altri gestori collettivi del risparmio, quindi
anche le SICAV, le SICAF i gestori dell'Unione Europea. Quindi questa è la prima regola per quanto
riguarda i soggetti legittimati a realizzare l'offerta fuori sede. La seconda regola che rappresenta la
forma di tutela principale per il cliente sollecitato fuori sede ad investire è prevista dal comma 6
dell'articolo 30. Questa norma ci dice che l'efficacia dei contratti di collocamento di strumenti
finanziari, di gestione di portafogli individuali di investimento o di negoziazione per conto proprio
conclusi fuori sede è sospesa per la durata di 7sette giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione da
parte dell'investitore. Entro detto termine l'investitore può comunicare il proprio recesso senza spese
né corrispettivo. Questa norma, quindi pone una regola che è quella della sospensione temporanea
dell'efficacia dei contratti stipulati fuori sede, questa sospensione temporanea si ha per una durata di
7sette giorni. I clienti durante questi 7sette giorni ha diritto di pentirsi, si chiama jus poenitendi,
l'espressione latina corrispondente, diritto di pentirsi. Cioè, se ne va l'incaricato della banca, il cliente
riflette su un investimento che ha concluso, si rende conto che probabilmente questo investimento non
è soddisfacente, a questo punto può ripensare la propria scelta e recedere dal contratto. Se recede dal
contratto lo fa senza spese né corrispettivi.
Non può essere prevista una penale, né possono essere addebitate al cliente delle spese per aver
stipulato il contratto, peraltro questa disciplina della sospensione vale anche per il caso in cui la il
servizio venga configurato con una proposta contrattuale. Quindi anche se l’incaricato
dell'intermediario configuri l'offerta come una proposta contrattuale che il cliente rivolge
all'intermediario, che quindi l'intermediario è libero di accettare o meno, in realtà vale la sospensione
della durata di 7sette giorni. Vuol dire che prima dei 7sette giorni l'intermediario non può accettare la
proposta del cliente e il contratto non si può concludere definitivamente. Questa sospensione però
riguarda in base a quello che ci dice la norma solo la prestazione di alcuni servizi e attività di
investimento: collocamento di strumenti finanziari, gestione di portafogli e negoziazione per conto
proprio.
Quindi se fuori sede dovesse essere concluso un servizio diverso, per esempio di esecuzione di ordini
per conto dei clienti, non si applicherebbe la regola della sospensione di 7sette giorni decorrenti dalla
data di sottoscrizione da parte dell'investitore del contratto.
Infine, questa regola è completata dall’ulteriore previsione in base alla quale la facoltà di recesso deve
essere indicata nei moduli o formulari consegnati all'investitore e l'omessa indicazione di questa
facoltà comporta la nullità dei relativi contratti che può essere fatta valere sempre secondo il solito
schema, solo dal cliente giacché si tratta di una nullità relativa.
Quindi non solo la legge dadà al cliente la possibilità di pentirsi e recedere entro sette giorni, ma
impone anche all'intermediario di indicare questa facoltà nel contratto, nei moduli formulati che sono
stati consegnati al cliente perché altrimenti il contratto sarebbe nullo, con una nullità azionabile solo
dal cliente. Sottospecie per l'appunto di nullità relativa.
Questo incaricato è obbligatoriamente un professionista, soggetto che professionalmente svolge
proprio questa attività è che un tempo era chiamato promotore finanziario, oggi si chiama consulente
finanziario abilitato all'offerta fuori sede. Quindi ai sensi del primo comma dell'articolo 31
dell’obbligo per gli intermediari di avvalersi nell'offerta fuori sede di questi soggetti, consulenti
finanziari abilitati all'offerta fuori sede.
Qual è l'attività svolta dei consulenti finanziari abilitati all'offerta fuori sede?
Essi innanzitutto promuovono e collocano servizi di investimento e servizi accessori presso i clienti o
potenziali clienti, ricevono e trasmettono le istruzioni e gli ordini di clienti riguardanti servizi di
investimento prodotti finanziari, promuovono e collocano prodotti finanziari, prestano la consulenza
in materia di investimenti ai clienti e potenziali clienti rispetto a prodotti servizi finanziari.
La figura del promotore finanziario è una figura molto importante nell'ambito della prestazione dei
servizi e delle attività di investimento, e la legge fa molto affidamento sul ruolo anche di garanzia
potremmo dire che assume questa figura nei confronti della clientela, degli investitori e con una
regola che è stata molto osteggiata dalla categoria dei promotori finanziari e cioè che l'attività di
consulente finanziario abilitato all'offerta fuori sede deve necessariamente essere svolta negli interessi
di un solo soggetto, quindi solo intermediario e una sola banca che dà l'incarico.
Perché c’è questa regola che impone al promotore, oggi al consulente finanziario di essere un agente
monomandatario? Cioè può operare nell'interesse di un solo soggetto? Qual è il rischio di interesse?
Perché? Che cosa potrebbe essere indotto a fare il consulente finanziario se operasse per più
intermediari? per più banche?
Più che altro prediligere i prodotti, gli strumenti finanziari offerti da una banca anziché da un'altra
banca, sulla base delle commissioni.
Il tipo di rapporto che lega il consulente abilitato all'offerta fuori sede all'intermediario può essere di
diverso tipo, perché in realtà può essere sia un dipendente, quindi ci può essere un rapporto di lavoro
subordinato tra il promotore e la banca, ma può essere anche un lavoratore autonomo, quindi
un’agente o un mandatario dell'intermediario. Quello che in ogni caso va rimarcato, è che il
consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede è un professionista. Cioè la sua attività è una
professione a tutti gli effetti. Implica che il consulente finanziario deve essere iscritto in un albo
tenuto da un organismo che è costituito dalle associazioni professionali che rappresentano i promotori
e soggetti abilitati, implica che per l'iscrizione all'albo sono richiesti determinati requisiti di
onorabilità e professionalità, in particolare determinati dal ministero, dal Ministero dell'Economia e
delle Finanze con regolamento, per quanto riguarda i requisiti di professionalità sono accertati sulla
base di un esame, di un vero e proprio esame di stato per l'accesso all'albo dei consulenti finanziari e
le cui materie si concentrano anche soprattutto su quello che noi studiamo in questa disciplina.
Invece il regolamento dettato dalla Consob, intermediari determina tra le altre cose le regole di
comportamento che i consulenti finanziari devono osservare nei rapporti con la clientela, sempre
regole volte a rafforzare i profili di trasparenza e di tutela di clienti che i consulenti abilitati all'offerta
fuori sede devono osservare nella prestazione dei servizi.
Infine, l'ultima regola è quella posta dal comma terzo dell'articolo 31. Il soggetto abilitato che
conferisce l'incarico al consulente, quindi la banca o l'impresa di investimento che conferiscono
l’incarico al consulente sono responsabili, in solido dei danni arrecati a terzi dal consulente finanziario
anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale. è chiaro che se un
cliente viene a subire dei danni a seguito del servizio di investimento che gli è stato offerto fuori sede
da un consulente, difficilmente potrà trovare soddisfazione ristoro dei danni subiti se potrà agire
esclusivamente nei confronti del promotore. Perché il promotore, il consulente è una persona fisica
quindifisica, quindi, non ha un patrimonio ovviamente capiente verosimilmente per rispondere dei
danni di questo tipo arrecati alla clientela. Diverso è il discorso, invece, se il cliente può fare
affidamento anche sul patrimonio dell'intermediario che ha conferito l’incarico al promotore, in
questo caso, ovviamente, il grado di affidamento che il cliente può riporre anche nella prestazione di
servizi e attività di investimento attraverso il canale in esame, cioè fuori sede per l'appunto, è un
livello di affidamento indubbiamente più alto. Ma la norma rende questa responsabilità solidale
dell'intermediario nei confronti del cliente rispetto al consulente finanziario anche molto più forte
perché precisa che la responsabilità solidale dell'intermediario sussiste anche se i danni arrecati dal
consulente derivano da veri e propri reati commessi dal consulente. Non è peregrina l'ipotesi in cui
per esempio il cliente consegna delle somme di denaro al proprio promotore finanziario, il promotore
finanziario anziché investirli in strumenti finanziari si intasca le somme di denaro e se ne va all'estero.
è successo in passato, questa è configurabile evidentemente come un reato, una vera e propria truffa
che il promotore organizza a danni della clientela. E teoricamente, nel nostro ordinamento, la
responsabilità penale è di natura personale, cioè non può essere estesa ad altri soggetti che non sono
autori del reato. A tutela però della posizione dei clienti è previsto nell'articolo 31 che i risvolti
civilistici della diramazione compiuta dall'intermediario, quindi di danni arrecati al patrimonio del
cliente siano dei danni dei quali possono essere chiamati a rispondere oltre ai promotori finanziari
anche gli intermediari che hanno dato loro incarico, e quindi la posizione dei clienti in termini di
tutela è evidentemente molto rafforzata.
L’articolo 32 definisce tecniche di comunicazione a distanza, tutte quelle tecniche di contatto con la
clientela, diversi della pubblicità che non comportano la presenza fisica e simultanea del cliente, del
soggetto offerente o di un suo incaricato. Anche nella comunicazione a distanza manca l'iniziativa del
cliente, perché il cliente non si reca nei locali dell'intermediario, tuttavia qui c'è un elemento in più,
perché nella comunicazione a distanza il cliente non è sollecitato da un consulente incaricato
dall’intermediario, ma viene sollecitato con tecniche spersonalizzate, dematerializzate, per esempio
via telefono o più di frequente ormai via internet.
Allora se la comunicazione avviene attraverso strumenti che consentono di prescindere dalla presenza
fisica di un qualunque soggetto, è chiaro che i rischi di incorrere in danni da parte degli investitori
possono essere ancora più importanti e allora la disciplina punta a tutelare ulteriormente le tutele a
favore del cliente, lo fa in particolare rimettendo alla Consob il compito di disciplinare con
regolamento la promozione e il collocamento mediante tecniche di comunicazione a distanza, e
ovviamente la Consob nel dettare questa disciplina in via regolamentare non si attiene solo ai Principi
stabiliti dall'articolo 30 che riguardano l'offerta fuori sede e che quindi si estendono anche alla
promozione e al collocamento a distanza i prodotti finanziari, ma deve tener conto anche dei principi e
delle regole contenute nel codice del consumo, che ovviamente ha un'intera sezione dedicata alla
commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori.
L’articolo 126 del regolamento intermediari che dice che la promozione e il collocamento mediante
tecniche di comunicazione a distanza non possono effettuarsi e, se iniziati, devono essere
immediatamente interrotti, nei confronti dei clienti che si dichiarino esplicitamente contrari al loro
svolgimento o alla loro prosecuzione. Quindi l'investitore ha in ogni momento la possibilità di opporsi
al ricevimento in futuro di comunicazione a distanza. Per quanto riguarda il codice del consumo le cui
regole si applicano anche all'ipotesi di promozione e collocamento a distanza di prodotti finanziari, è
previsto anche qui uno jus poenitendi ma è esteso perché di 14 giorni e non dei 7 giorni previsti per il
caso dell'offerta fuori sede, durante i quali chiaramente il cliente ha la possibilità di pentirsi
eventualmente di recedere dal contratto senza motivazione e senza pagare delle penali.

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