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FINANZIARI
(a cura di Martina Rinaldi)
Capitolo 1 - L'oggetto
Il mercato finanziario è il luogo in cui vengono scambiati gli strumenti finanziari - e questi ultimi
consistono in una particolare categoria di “prodotti finanziari” caratterizzati dal fatto di essere dei mezzi di
investimento di natura finanziaria. Pertanto, in Italia, la disciplina del mercato finanziario è contenuta nel
TUF, cioè, nel Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, istituito con il
decreto legislativo 58/1998, a cui si aggiungono: numerosi testi di origine comunitaria, il Testo Unico delle
disposizioni in materia bancaria e creditizia e la legge 262/2005 sull'intermediazione finanziaria in senso
stretto.
Tradizionalmente, il mercato finanziario si compone di 3 settori: quello bancario e creditizio, quello
dell'intermediazione finanziaria non bancaria e quello assicurativo; tuttavia, per capire se sia possibile
parlare di un vero e proprio “diritto del mercato finanziario” occorre soffermarsi sulle nozioni di attività
finanziaria e di impresa finanziaria.
In pratica, anche se il riferimento alle attività finanziarie figura sia nel 3°comma dell'articolo 10 del TUB
(testo unico bancario), sia nell'articolo 18 del decreto legislativo 58/98, in realtà manca una vera e propria
definizione di “attività finanziaria”; infatti, in senso lato, nell'attività finanziaria potrebbero farsi rientrare
tutte le attività che si riferiscano al mercato dei capitali, mentre in base ad un approccio più selettivo si
dovrebbero considerare soltanto le attività che diano luogo ad una vera e propria intermediazione di capitali
– e, tra i due approcci, bisogna preferire quello più selettivo.
Comunque, anche la definizione di impresa finanziaria non riflette un'impostazione univoca; e questo induce
a pensare che, per poter stabilire se il diritto del mercato finanziario sia un diritto autonomo, occorra
individuarne i confini in negativo. In altre parole: o si decide di sposare la nozione economica di mercato
finanziario, oppure si può affermare che al suo interno esista un particolare segmento – cioè, il mercato
mobiliare – che comprende tutte le attività, che si riferiscono al mercato dei capitali, ma che sono diverse da
quelle bancarie ed assicurative.
La disciplina del mercato mobiliare è frutto di un complesso “diluvio legislativo” che iniziò nel 1974 con
l'istituzione della CONSOB (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa), e che si intensificò negli
anni 90, con l'introduzione della Legge SIM (1/91), che istituì le società di intermediazione mobiliare, e la
legge 84/92, che istituì le SICAV, cioè le società di investimento a capitale variabile. Inoltre, nel 1996
vennero recepite le direttive comunitarie 93/22 e 93/6, in materia di servizi di investimento; e il tratto più
significativo della direttiva 22 sta nell'introduzione del principio del mutuo riconoscimento degli
intermediari e nella sua estensione ai mercati regolamentati; così, la legge 52/96 delegò il Governo a
recepire queste direttive – cosa che avvenne con il cosiddetto Decreto Eurosim – e comportò l'inizio dei
lavori per l'emanazione del Testo Unico del 1998. In pratica, in Italia, la disciplina del mercato dei capitali è
stata articolata in due grandi comparti: il comparto bancario e creditizio (di cui si occupa il Testo Unico
Bancario del 1993) e il comparto non creditizio (di cui si occupa il Testo Unico del 1998).
Inoltre, nel decennio che va dal 1998 al 2008 si assiste anche ad una radicale trasformazione del ruolo delle
Autorità di Vigilanza, a cui sono stati attribuiti dei poteri di indagine e di verifica che travalicano quelli della
mera sfera regolamentare per sconfinare in un'area quasi “giurisdizionale”.
In altre parole, i Testi Unici stanno perdendo la loro centralità a causa dell'emersione continua di normative
speciali, che, in buona sostanza, stanno conducendo alla disintermediazione del Testo Unico delle
disposizioni in materia finanziaria.
Comunque, ai sensi dell'articolo 2 del TUF, il Ministero dell'Economia e delle Finanze, la Banca d'Italia e la
Consob esercitano i loro poteri in armonia con le disposizioni comunitarie dotate efficacia diretta; infatti,
l'articolo 2 non menziona le direttive – anche se l'omissione è dovuta più che altro al fatto che l'attuazione
delle direttive non dovrebbe spettare alle Autorità di Vigilanza; inoltre, è da segnalare che le disposizioni
comunitarie a cui si riferisce l'articolo 2 non siano soltanto quelle relative alla materia di riferimento, perchè
tale articolo dev'essere inteso come rinvio a tutti i possibili princìpi ricavabili dal diritto comunitario. Infatti,
l'articolo 3 stabilisce che l'azione delle Autorità debba essere conforme ai criteri di trasparenza, conoscibilità
e predeterminazione dei contenuti, precisando che la Banca d'Italia e la Consob debbano stabilire i termini e
le procedure per l'adozione dei loro provvedimenti, che sono sempre soggetti a pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale.
Inoltre, dato che esistono più Autorità di vigilanza, sia a livello interno, sia a livello comunitario (di cui sono
esempio: l'EBA, l'EIOPA e l'ESMA), è chiaro che debbano esistere anche degli strumenti di cooperazione;
tuttavia, questi obblighi di collaborazione devono essere coordinati con la disciplina del segreto d'ufficio,
determinando la necessità di bilanciare due esigenze contrapposte.
Pertanto: ai sensi dell'articolo 4 del TUF, i rapporti tra le Autorità di Controllo sono sottoposti ad un vero e
proprio obbligo di collaborazione, che rende del tutto inopponibile il segreto d'ufficio tra Autorità Nazionali,
e tra queste ultime e quelle degli altri Stati Membri dell'Unione Europea; e, inoltre, a seguito del
recepimento della MiFID, la Consob e la Banca d'Italia hanno la facoltà di concludere degli accordi di
collaborazione anche con Autorità di Stati Terzi.
Invece, i rapporti tra le Autorità di Controllo e i terzi sono regolati in modo diverso. Innanzitutto, per “terzi”
si devono intendere le autorità amministrative e giudiziarie, gli organi preposti alla gestione dei mercati, i
sistemi di indennizzo e i sistemi di compensazione e di regolamento. Inoltre, qui non sussiste alcun obbligo
di collaborazione, anche se lo scambio di informazioni è consentito, ma solo quando vi sia il consenso del
soggetto che le abbia fornite! Tuttavia, questa limitazione non opera quando le informazioni siano state
fornite in esecuzione di obblighi di cooperazione internazionale o quando attengano ad informazioni
comunicate nell'ambito di procedimenti di liquidazione o fallimento.
In pratica, il segreto d'ufficio è espressamente previsto solo per quanto riguarda la Consob, perchè, infatti,
l'articolo 4 stabilisce che la Consob sia tenuta ad osservare il segreto d'ufficio per tutte le notizie, le
informazioni e i dati di cui sia in possesso – ma tale segreto non vale nei confronti del Ministro
dell'Economia e delle Finanze. E, inoltre, è da considerare che la portata del segreto d'ufficio sia stata
ulteriormente ristretta dall'evoluzione della trasparenza amministrativa, che, infatti, consente il diritto di
accesso al fine di esercitare il diritto alla difesa del soggetto privato. Infine, il comma 11 dell'art.4 stabilisce
che i dipendenti della Consob siano pubblici ufficiali soggetti all'obbligo di riferire le irregolarità constatate
esclusivamente alla Commissione, e ciò anche quando queste irregolarità integrino delle ipotesi di reato.
Così, la soluzione più logica sarebbe quella per cui l'Autorità di Vigilanza avrebbe l'obbligo di segnalare i
fatti penalmente rilevanti soltanto quando siano stati adottati i provvedimenti necessari per evitare che gli
effetti della querela possano compromettere gli interessi degli investitori e dei risparmiatori. Infatti, se così
non fosse, il PM sarebbe privato della possibilità di venire a conoscenza della notizia di reato, oppure si
genererebbe un'ondata di panico tra i risparmiatori, che non potrebbe consentire una gestione ordinata della
crisi.
Poi, gli interventi sui soggetti abilitati comportano che la Banca d'Italia e la Consob possano: convocare
gli amministratori, i sindaci e i dirigenti dei soggetti abilitati; ordinare la convocazione degli organi
collegiali, fissandone l'ordine del giorno; e procedere direttamente alla loro convocazione. Tuttavia,
l'articolo 7 del TUF non precisa gli argomenti che possano essere oggetto di discussione, sicché deve
ritenersi valido il criterio del riparto funzionale. Infine, è da notare che prima dell'emanazione del TUF non
esistesse una disciplina di vigilanza sul gruppo finanziario NON bancario; così, la disciplina del TUB è stata
parzialmente estesa al TUF, tanto è vero che l'articolo 11 affida alla Banca d'Italia il potere di definire la
nozione di gruppo, mentre l'articolo 12 specifica che la capogruppo debba emanare le disposizioni
necessarie per eseguire le istruzioni impartite dalla Banca d'Italia in materia di vigilanza prudenziale
(quindi, è chiaro che occorra considerare la disciplina della direzione e del coordinamento delle società,
secondo quanto disposto dagli articoli 2497 e seguenti del codice civile).
Inoltre, l'art.17 del TUF stabilisce che la Banca d'Italia e la Consob possano richiedere delle informazioni
specifiche ai soggetti che partecipino, direttamente o indirettamente, al capitale degli intermediari – e ciò,
indipendentemente dalla soglia di partecipazione al capitale. Inoltre, il recepimento della MiFID ha anche
consentito di introdurre delle regole nuove in materia di corporate governance; infatti, il tema della
governance degli intermediari era connesso alla sussistenza del requisito della sana e prudente gestione, a
cui, tutt'al più, potevano seguire delle esortazioni (dette “moral suasions”) da parte dell'Autorità di
Vigilanza. In pratica, il nuovo testo dell'articolo 6 del TUF include la materia tra quelle che ricadono nella
competenza congiunta; infatti, il regolamento congiunto individua 3 ordini di funzioni: quella di
supervisione strategica, quelle di gestione e quelle di controllo, così da realizzare un modello bilanciato, in
cui l'assunzione delle decisioni deriva dall'incastro del momento strategico, gestionale e di controllo.
Tuttavia, questi tre momenti non devono corrispondere per forza a 3 organi distinti dell'impresa.
Invece, nel secondo gruppo emergono gli strumenti derivati, cioè degli strumenti che sono potenzialmente
rinvenibili sul mercato dei capitali e che presentano determinati indici di “finanziarietà”. In sostanza, i
derivati sono contratti il cui valore dipende dall'andamento dell'attività sottostante, e possono essere
negoziati nei mercati regolamentati oppure "Over the Counter", cioè al di fuori di tali mercati. Pertanto,
l'attività sottostante è la variabile da cui dipende il prezzo di uno strumento derivato, e può avere natura
finanziaria (di cui sono esempio: i titoli azionari, i tassi di interesse e di cambio, gli indici di borsa) o reale
(come il caffè, il cacao, l'oro, il petrolio, ecc).
Gli strumenti finanziari derivati possono essere simmetrici o asimmetrici. Nel primo caso entrambi i
contraenti (acquirente e venditore) si impegnano ad eseguire una prestazione alla data di scadenza, mentre
nei derivati asimmetrici, soltanto il venditore resta obbligato a soddisfare la
volontà del compratore; quindi, nei derivati asimmetrici il compratore paga un premio, grazie al quale
acquista il diritto di decidere successivamente se eseguire o meno la compravendita dell'attività sottostante.
In Italia, il mercato regolamentato degli strumenti derivati è
denominato IDEM ed è gestito da Borsa Italiana S.p.A, in cui circolano strumenti come i futures, le opzioni
e i warrant; mentre i derivati OTC sono negoziati bilateralmente al di fuori dei mercati regolamentati, per
cui i contraenti possono stabilire liberamente tutte le caratteristiche dello strumento. Inoltre, un elemento
fondamentale dei contratti derivati consiste nella scadenza: e, ad esempio, i contratti su derivati azionari
negoziati sull'Idem scadono sempre il 3°venerdì del mese di scadenza, alle ore 9:05.
Infine, questi contratti hanno 3 finalità: di protezione, di speculazione e di arbitraggio; e la differenza tra la
speculazione e l'arbitraggio sta nel fatto che: nella speculazione, si negozia lo stesso bene, sullo stesso
mercato, a prezzo differente ma in momenti diversi (quindi, rileva il fattore tempo); mentre, nell'arbitraggio
si negozia lo stesso bene, su mercati diversi e nello stesso momento (quindi, rileva il fattore luogo).
Comunque, gli strumenti del secondo gruppo possono essere raggruppati in 3 classi:
1. i derivati finanziari (che sono dei contratti che hanno come “sottostante” delle attività, dei tassi di
interesse, dei valori mobiliari o delle misure finanziarie; e ne sono esempio: i contratti standardizzati,
i contratti swap, i contratti di opzione e i contratti a termine);
2. i derivati su merci (che, invece, hanno come “sottostante” le merci, intese come qualsiasi bene che
possa formare oggetto di scambio; tuttavia, questi contratti sono inquadrabili negli strumenti
finanziari solo se la loro funzione sia prevalentemente finanziaria. Ad esempio, la lettera e include i
derivati connessi a merci, il cui regolamento avvenga attraverso il pagamento di differenziali in
contanti o a discrezione di una delle parti - perchè in questo caso, la merce assume un valore di
finanziarietà; oppure, la lettera f include i derivati connessi a merci, il cui regolamento può avvenire
attraverso la consegna del sottostante e che sono negoziati o su un mercato regolamentato o in un
sistema multilaterale di negoziazione; o, infine, la lettera g include i derivati con scopi non
commerciali, il cui regolamento può avvenire attraverso la consegna fisica del sottostante - e qui la
finanziarietà sta nello scopo del contratto. Ovviamente, per "differenziale" si deve intendere la
differenza di prezzo tra il valore attuale del sottostante e il valore pattuito nel contratto, e si genera
alla scadenza del contratto derivato, per cui è chiaro che il differenziale possa essere positivo o
negativo.)
3. e i derivati esotici (che sono degli strumenti derivati diversi da quelli delle prime due categorie, e
che sono stati introdotti con il recepimento della MiFID. In pratica, fanno parte di questa categoria:
gli strumenti derivati per il trasferimento del rischio di credito, i contratti finanziari differenziali, i
derivati che utilizzano come sottostante delle variabili e delle statistiche – il cui regolamento avviene
attraverso differenziali in contati o a discrezione di una delle parti – ed altri contratti derivati,
connessi a beni, diritti, obblighi, indici e misure diversi da quelli precedentemente indicati. In altre
parole, qui la finanziarietà del contratto deriva dal fatto che quest'ultimo sia regolato per
differenziale, sia negoziato su un mercato regolamento o su un sistema multilaterale, sia eseguito
mediante stanze di compensazione o soggetto a richiami di margini. Inoltre, nel 2010 è stato previsto
che siano contratti finanziari differenziali anche i contratti di acquisto e vendita di valuta, estranei a
transazioni commerciali e regolati per differenza – cioè, i cosiddetti rull-over).
Le principali tipologie di contratti derivati consistono in: opzioni, forward, futures, swap e derivati di
credito. E pertanto:
Le opzioni sono contratti derivati asimmetrici che attribuiscono al compratore il diritto di acquistare o
vendere un'attività sottostante entro una certa data e ad un prezzo prestabilito. Gli elementi caratteristici
dell'opzione consistono nel sottostante (che può essere una merce o una qualsiasi attività finanziaria, reale o
esotica), nella facoltà (perchè il possessore ha la facoltà di acquistare o vendere il sottostante, realizzando
rispettivamente delle opzioni call o delle opzioni put, che potranno assumere un valore positivo o nullo, ma
non negativo) e nel prezzo di esercizio (detto strike price), che rappresenta il prezzo al quale il possessore
dell'opzione può acquistare o vendere l'attività sottostante. In corrispondenza della data di scadenza, il valore
dell'opzione coincide con il suo valore intrinseco, mentre nei momenti precedenti il valore dell'opzione è
dato dalla somma tra il valore intrinseco e il valore temporale.
Le opzioni europee si caratterizzano per il fatto che il loro possessore abbia il diritto di decidere se esercitare
o meno la facoltà di acquisto o vendita in corrispondenza della data del contratto - e questo comporta che le
opzioni europee abbiano sempre un valore inferiore rispetto alle opzioni americane, perchè la facoltà
dell'acquirente è più limitata da un punto di vista temporale. Di contro, le opzioni americane si
caratterizzano proprio per il fatto che il loro possessore possa decidere di esercitare la facoltà in qualsiasi
momento, anche se non è quasi mai conveniente esercitare l'opzione americana di tipo call prima della sua
scadenza, perchè se non lo fa può mantenere due benefici: cioè, può posticipare il giorno in cui dovrà
versare il prezzo di esercizio e può conservare l'elemento assicurativo tipico di ogni opzione. Quindi, l'unica
è eccezione è rappresentata dall'opzione americana "call" scritta su un titolo che paghi dividendi, perchè se il
valore del dividendo supera una certa soglia, al possessore sarà conveniente esercitare l'opzione ed incassare
sia il titolo sottostante che il dividendo. Infine, le opzioni asiatiche sno meno costose di quelle tradizionali,
perchè il calcolo della media tende a diminuire la volatilità del prezzo sottostante.
I contratti forward (cioè a termine fermo) sono contratti derivati simmetrici con cui due parti si accordano
per scambiarsi una certa attività, in una data futura e ad un prezzo che viene fissato già al momento della
conclusione del contratto. In sostanza, è un contratto di compravendita a termine, che viene negoziato OTC.
Invece, i contratti future sono contratti derivati simmetrici, standardizzati e negoziati sui mercati
regolamentati; e sono contratti con cui le parti si impegnano a scambiarsi una determinata quantità di una
certa attività sottostante, ad un prezzo prestabilito e con liquidazione differita ad una data futura.
Lo swap, invece, è un contratto derivato simmetrico, con cui due soggetti si impegnano a scambiarsi
periodicamente delle somme di denaro, che vengono calcolate applicando al capitale "nozionale" due diversi
parametri, riferibili a due diverse variabili di mercato.
Infine, i derivati di credito sono strumenti che permettono il trasferimento del rischio di credito da un
soggetto all'altro; in pratica, hanno la funzione di gestire il rischio associato ad una certa attività (come un
prestito), senza però cedere l'attività stessa. E, inoltre, si scinde il rischio di credito anche da altre tipologie
di rischio (come il rischio di interesse, che consiste nell'eventualità che i tassi di mercato si muovano in
direzione svantaggiosa per il creditore). Vengono negoziati OTC.
I servizi e le attività di investimento consistono nella negoziazione per conto proprio, nell'esecuzione di
ordini per conto dei clienti, nella sottoscrizione o nel collocamento con assunzione a fermo o con assunzione
di garanzia nei confronti dell'emittente, nel collocamento senza assunzione, nella gestione di portafogli,
nella ricezione e trasmissione di ordini, nella consulenza in materia di investimenti e nella gestione di
sistemi multilaterali di negoziazione.
Pertanto, la negoziazione per conto proprio ha ad oggetto l'acquisto e la vendita di strumenti finanziari, in
cui l'operazione ha luogo “in contropartita diretta”, cioè incide direttamente sul patrimonio
dell'intermediario; inoltre, la negoziazione ha comunque ad oggetto la conclusione di operazioni in relazione
agli ordini dei clienti, tanto è vero che che nella negoziazione per conto proprio rientra anche l'attività svolta
dal cosiddetto market maker, che è un soggetto che si obbliga a rispettare determinati livelli minimi di
attività, impegnandosi a trasmettere sul mercato un determinato quantitativo di proposte di negoziazione
entro certi parametri temporali.
Invece, l'esecuzione di ordini per conto dei clienti (detta anche “negoziazione per conto terzi”) consiste
nella ricerca di una o più controparti, in vista dell'esecuzione di un'operazione di acquisto o vendita di un
determinato strumento finanziario – e, in tale attività, l'intermediario non impegna posizioni proprie, e
quindi gli effetti dell'operazione non ricadono nel suo patrimonio. Comunque, la differenza rispetto al
collocamento sta nel fatto che l'attività di negoziazione non deve svolgersi necessariamente sui mercati
regolamentati, ma, anzi, di solito si svolge proprio sui mercati secondari, perchè ha ad oggetto degli
strumenti finanziari già emessi, e la ricerca delle controparti avviene in vista dell'acquisto o della vendita –
mentre nel collocamento, l'offerta ha ad oggetto la vendita o la sottoscrizione degli strumenti finanziari.
Infatti, i servizi di collocamento si sostanziano nell'offerta di strumenti finanziari ad una cerchia di possibili
investitori, dove l'offerta avviene sulla base di un accordo preesistente, che intercorre tra l'intermediario-
collocatore e il soggetto che emetta o venda gli strumenti finanziari. Quindi, il servizio di collocamento può
avere ad oggetto anche la sottoscrizione (cioè, è un servizio che può svolgersi anche sul mercato primario) e,
inoltre, l'offerta avviene per forza a condizioni standardizzate, nell'ambito dello svolgimento di
un'operazione di massa. Infine, se il collocatore si accolla il rischio del mancato collocamento degli
strumenti finanziari, possono configurarsi due ipotesi; e cioè: o il collocatore assume l'impegno di acquisire
gli strumenti finanziari che non è riuscito a collocare, oppure acquisisce immediatamente gli strumenti,
assumendo l'impegno di offrirli a terzi ( = e questa ipotesi si chiama “assunzione a fermo”).
La gestione di portafogli, invece, consiste nella gestione di portafogli di investimento, su base individuale e
nell'ambito di un mandato conferito dai clienti. In pratica, i tratti distintivi di questo servizio consistono
nell'individualizzazione e nella discrezionalità; infatti, l'investitore affida all'intermediario un patrimonio
specifico, che resta distinto sia dal patrimonio dell'intermediario, sia da quello di altri investitori – il che
presuppone che vi sia un rapporto personale tra le due parti; e, inoltre, lo svolgimento dell'attività è
caratterizzato da margini spesso molto ampi, e questo comporta che il gestore non riceva degli ordini
specifici da parte del cliente. Inoltre, il portafoglio di investimenti può comprendere anche beni e attività
diversi dagli strumenti finanziari, purché sia composto prevalentemente da strumenti finanziari. Infine, la
differenza rispetto alla gestione collettiva del risparmio sta nel fatto che in quest'ultima emerge una struttura
soggettiva trilaterale (tra l'investitore, il gestore e la banca depositaria), e, inoltre, la gestione avviene
nell'interesse di una massa indifferenziata di investitori – il che spiega perchè il singolo investitore non
possa ordinare o richiedere al gestore di eseguire delle operazioni specifiche.
Ancora, la ricezione e la trasmissione di ordini consiste in un servizio che comprende anche un'attività di
mediazione tra due o più investitori, ed è particolarmente utile quando l'intermediario intenda eseguire delle
operazioni su mercati in cui non è autorizzato ad operare.
Invece, la consulenza in materia di investimenti consiste nella prestazione di raccomandazioni
personalizzate, nei confronti di un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio,
riguardo una o più operazioni relative ad uno specifico strumento finanziario.
Infine, la gestione di sistemi multilaterali di negoziazione è un'attività di investimento (e non un servizio)
che si riferisce a sistemi che consentono l'incontro di interessi multipli di acquisto e di vendita, così da
pervenire a dei contratti specifici.
A tutto ciò, si aggiungono i servizi accessori (di cui sono esempio: i servizi di custodia e amministrazione di
strumenti finanziari, i servizi di locazione di cassette di sicurezza e i servizi di concessione di
finanziamenti), che possono essere svolti anche da soggetti non abilitati; più precisamente, le banche e le
SIM sono autorizzate a prestare tutti i servizi accessori, mentre le SGR possono svolgerne solo alcuni.
Inoltre, gli intermediari abilitati sono tenuti ad osservare delle regole di comportamento e dei vincoli più
stringenti rispetto ai soggetti non abilitati.
Nello specifico:
1) Le SIM devono ottenere un'autorizzazione amministrativa dalla Consob (sentita la Banca d'Italia)
per poter avere accesso ai servizi e alle attività di investimento. Inoltre, per il rilascio è richiesto: che
il soggetto abbia la forma di una S.p.A, che la denominazione sociale includa le parole “società di
intermediazione mobiliare”, che la sede legale e la direzione generale siano situate nel territorio della
Repubblica, che il capitale versato sia almeno pari a quello determinato dalla Banca d'Italia, che sia
presentato un programma concernente tutti gli aspetti organizzativi, che i soggetti che svolgano
funzioni di amministrazione, direzione e controllo siano in possesso dei requisiti di professionalità e
onorabilità, che i partecipanti al capitale abbiano i requisiti di onorabilità stabiliti e che la struttura
del gruppo (di cui la società sia parte) non sia tale da pregiudicare l'effettivo esercizio della vigilanza.
Comunque, è da specificare che il rilascio dell'autorizzazione è subordinato sia all'effettivo ricorrere
di queste condizioni, sia al fatto che risulti garantita la sana e prudente gestione del soggetto, così da
assicurare la capacità dell'impresa nel corretto esercizio.
Inoltre, durante l'istruttoria, la Consob può chiedere ulteriori informazioni “a qualunque soggetto, anche
estero”; e, inoltre, dopo 120 giorni vale il meccanismo del silenzio-assenso, fermo restando che
l'autorizzazione possa poi venir meno per decadenza, rinuncia o revoca. E, nello specifico: la decadenza si
verifica quando le Sim non diano inizio allo svolgimento di ogni singolo servizio entro 12 mesi
dall'autorizzazione o quando la Sim non svolga un determinato servizio da almeno 12 mesi. Invece, la
rinuncia dev'essere autorizzata preventivamente dalla Consob, sentita la Banca d'Italia, perchè l'interruzione
del servizio può pregiudicare gli interessi degli investitori.
Comunque, le Sim sono ammesse al beneficio del mutuo riconoscimento in ambito comunitario, e, pertanto,
possono operare sia in uno Stato Membro che in uno Stato Extracomunitario – e, in quest'ultimo caso, la Sim
deve comunicare tale intenzione alla Banca d'Italia, che provvederà a notificarla alle Autorità competenti
dello Stato Terzo.
2) Le imprese di investimento comunitarie possono svolgere i servizi e le attività di investimento
anche in Italia, nei confronti di investitori italiani, previa autorizzazione e mediante l'apertura di
succursali o in regime di libera prestazione dei servizi – e l'apertura del primo insediamento è sempre
preceduto da una comunicazione dell'Autorità estera competente nei confronti della Consob.
3) Invece, le imprese di investimento extracomunitarie sono soggette ad un regime separato, che
opera a condizione di reciprocità, nei limti consentiti dagli accordi internazionali e da apposite intese
tra la Consob, la Banca d'Italia e l'Autorità dello Stato d'Origine.
4) Ancora, le banche hanno accesso ai servizi di investimento in modo completamente diverso, perchè,
infatti, in questo caso prevale la disciplina bancaria (e, quindi, l'autorità competente al rilascio
dell'autorizzazione è la Banca d'Italia); mentre gli altri intermediari abilitati sono soggetti a regole
specifiche; ad esempio: per le SGR, l'autorizzazione viene rilasciata dalla Banca d'Italia (sentita la
Consob), le Poste Italiane S.p.A sono autorizzate a svolgere alcuni servizi di investimento anche
senza necessità di iscrizione in appositi albi, e le società di gestione dei mercati regolamentati che
intendono svolgere anche attività di gestione di sistemi multilaterali di negoziazione sono autorizzate
solo dalla Consob.
5) Infine, i consulenti finanziari possono accedere alla prestazione del servizio quando siano iscritti in
un apposito elenco, e spetta alla Consob il compito di enucleare le regole di condotta che i consulenti
debbano osservare nel rapporto con i clienti; comunque, l'inclusione della consulenza finanziaria nel
novero dei servizi e attività di investimento ha introdotto un elemento di asimmetria nel sistema,
perchè, da un lato, la consulenza viene sottoposta a regole di condotta più stringenti, ma, dall'altro, il
suo esercizio viene consentito anche a soggetti in possesso di requisiti ridotti.
Nota Bene: Lo svolgimento abusivo dei servizi e delle attività di investimento costituisce un reato, punito
dall'art.166 del TUF con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, a cui si aggiunge una multa.
Comunque, nel caso dell'identificazione dei conflitti si deve ricorrere ad un'autoanalisi da parte del
soggetto intermediario, e quest'analisi deve riguardare sia la propria attività, sia quella dei soggetti rilevanti e
dei soggetti con cui si intrattengano dei rapporti di controllo. In pratica, ne deriva l'obbligo di elaborare una
politica di gestione dei conflitto, così da realizzare una procedura scritta, in cui il criterio cardine è sempre
quello dell'indipendenza dei soggetti coinvolti.
Quindi, gli intermediari devono sempre chiedersi se essi, un soggetto rilevante o un soggetto avente con essi
un legame di controllo:
– possano realizzare un guadagno finanziario o evitare una perdita a danno del cliente;
– se siano portatori di un interesse diverso da quello del cliente;
– se abbiano un incentivo a privilegiare interessi di clienti diversi;
– se svolgano la medesima attività del cliente;
– e se ricevano (o possano ricevere) un incentivo da una persona diversa dal cliente, dove l'incentivo
sia diverso dalle commissioni o dalle competenze che normalmente vengono percepite per il servizio
di riferimento.
In pratica, nella gestione dei conflitti si assiste ad una svalutazione del ruolo della trasparenza, a vantaggio
dei presìdi organizzativi interni; tuttavia, se questi ultimi non sono efficaci, diventa necessaria la
“disclosure” (cioè la divulgazione delle informazioni), che però non esonera l'intermediario da responsabilità
per il fatto di aver operato in situazioni di conflitto di interessi.
Infine, l'art.26 del Regolamento Congiunto attua la regola comunitaria che prevede l'obbligo di istituire un
registro in cui annotare le situazioni di conflitto maggiormente pericolose, ma non è chiaro se questo registro
sia effettivamente d'aiuto nella gestione del conflitto; anzi, la disciplina è piuttosto opaca, anche perchè la
situazione di conflitto viene resa nota all'investitore solo in casi estremi.
Comunque, nell'ambito della disciplina della condotta degli intermediari spiccano anche alcune regole che
assumono una portata “caratterizzante”, e che consistono nell'adeguatezza, nell'appropriatezza e nella best
execution. In pratica:
La disciplina dell'adeguatezza fu introdotta con la legge 1/91, e la sua portata è stata oggetto di numerosi
precedenti giurisprudenziali soprattutto nell'ambito del contenzioso sul “risparmio tradito”; comunque, in
sostanza, l'adeguatezza implica che l'intermediario abbia il divieto di effettuare o consigliare operazioni che
non siano adeguate al profilo dell'investitore. La MiFID ha rafforzato questa regola, rendendola inderogabile
(nel senso che l'intermediario non può eseguire un'operazione inadeguata nemmeno nel caso in cui
l'investitore glielo ordini espressamente!); tuttavia, la regola dell'adeguatezza non ha più portata generale,
perchè adesso è applicabile solo al servizio di gestione di portafogli e al servizio di consulenza. Comunque,
per adempiere gli intermediari devono acquisire determinate informazioni dai clienti; cioè, devono: sapere
se questi abbiano esperienza nel settore di riferimento, devono conoscere la loro situazione finanziaria e
devono sapere gli obiettivi di investimento. Infatti, senza queste informazioni, l'intermediario non può
prestare il servizio (mentre prima della MiFID poteva valutare se l'operazione potesse comunque
considerarsi adeguata). D'altro canto, l'intermediario non deve valutare la veridicità delle informazioni, ma
deve verificare che non siano palesemente inesatte, incomplete o superate (perchè, in quel caso, dovrà
integrarle e aggiornare il profilo dell'investitore).
Invece, la regola dell'appropriatezza si riferisce a servizi diversi dalla consulenza e dalla gestione, ed
implica un giudizio che si basa soltanto sull'esperienza e la conoscenza dell'investitore. Cioè, il giudizio di
appropriatezza non insiste sugli obiettivi di investimento. Inoltre, se l'operazione non sia appropriata,
l'intermediario è tenuto solo ad informare l'investitore ma non è sottoposto al divieto di operare.
Comunque, nella prestazione dei servizi, la MiFID ha anche previsto una zona franca, rappresentata dai
servizi prestati in modalità “execution only”: infatti, in questo caso, l'intermediario si limita a dare
esecuzione agli ordini trasmessi, senza obbligo di richiedere informazioni. Tuttavia, questa modalità è
possibile solo quando i servizi abbiano ad oggetto degli strumenti finanziari non complessi (come le azioni
quotate e le obbligazioni), quando il servizio sia richiesto dal cliente, quando il cliente sia consapevole del
fatto che l'intermediario non è tenuto a valutare l'appropriatezza dell'operazione e quando l'intermediario
rispetti gli obblighi in materia di conflitti di interesse.
Infine, la MiFID ha riformulato la regola di best execution, cioè la regola che impone agli intermediari di
ottenere le migliori condizioni possibili. Inizialmente, questa regola era stata concepita come forma di tutela
dell'investitore, ma finiva con l'essere snaturata dal fatto che assolvesse principalmente la funzione di
garantire la concentrazione degli scambi nei mercati regolamentati. Ovviamente, con l'eliminazione della
concentrazione si sono originate diverse trading venues che operano su piani paritetici, e questo implica che
le condizioni di miglior esecuzione debbano manifestarsi rispetto alle diverse sedi (= venues) a cui
l'intermediario ha accesso. Per meglio dire, gli intermediari hanno l'obbligo di elaborare una procedura
scritta che identifichi la strategia di esecuzione degli ordini.
Quindi, è chiaro che lo scopo sia quello di ottenere il miglior risultato possibile per il cliente, avendo
riguardo a prezzi, costi, rapidità e natura dell'ordine. Inoltre, gli intermediari devono adottare una strategia
finalizzata ad individuare (per ogni categoria di strumenti finanziari) tutte le sedi di esecuzione che
permettano di mantenere il miglior risultato nel corso del tempo; poi, se l'ordine viene eseguito per conto di
un cliente al dettaglio, la selezione delle venues va fatta sulla base del corrispettivo totale (= prezzo dello
strumento + tutti i costi di esecuzione).
Comunque, dev'essere osservato che, in realtà, la best execution non corrisponde affatto alla migliore
esecuzione possibile, ma solo alla miglior esecuzione che l'intermediario sia in grado di ottenere nell'ambito
della cerchia di venues che abbia preselezionato.
La disciplina degli incentivi = la MiFID ha modificato la disciplina degli incentivi, che oggi ha una
dimensione autonoma ed indipendente dai conflitti di interesse. In pratica, la percezione o il pagamento di
incentivi (come le commissioni di retrocessione) può incidere negativamente sul dovere dell'intermediario,
che potrebbe essere indotto ad agire in modo controproducente per il cliente. In altre parole, gli incentivi di
regola sono vietati, a meno che non rientrino nelle eccezioni ammesse dalla Direttiva, di cui fanno parte i
costi di custodia, i prelievi obbligatori e le spese legali; tuttavia, nelle eccezioni rientrano anche i “compensi,
le commissioni o le prestazioni non monetarie, pagati o forniti da un terzo o da chi agisca per conto di
questi”; in quest'ultimo caso, però, tutto ciò che riguardi la loro natura e il loro importo deve essere
comunicato al cliente in modo chiaro, completo e accurato PRIMA della prestazione del servizio; e, inoltre,
il pagamento dev'essere rivolto a migliorare la qualità del servizio fornito al cliente e non deve ostacolare
l'adempimento degli obblighi dell'intermediario. Comunque, questa disciplina ha messo in discussione
numerose forme di remunerazione degli intermediari, delineando profili di dubbia legittimità; tuttavia, a ben
vedere, la disciplina degli incentivi ha soltanto lo scopo di evitare che le remunerazioni avvengano in modo
non trasparente.
La disciplina dei contratti = per quanto riguarda la disciplina dei contratti, l'articolo 23 del TUF stabilisce
l'obbligo di adottare la forma scritta ad substantiam (ad eccezione del contratto avente ad oggetto il servizio
di consulenza), che però può essere derogata “per motivate ragioni tecniche o in relazione alla natura
professionale dei contraenti”. Inoltre, la Consob ha disposto che il contratto con l'investitore debba:
specificare i servizi forniti, stabilire il periodo di efficacia e le modalità di modifica e rinnovo, indicare le
modalità attraverso le quali l'investitore possa impartire ordini, prevedere la frequenza e i contenuti del
rendiconto dell'attività svolta, indicare le remunerazioni spettanti all'intermediario ed indicare le eventuali
procedure di conciliazione e arbitrato per la soluzione stragiudiziale di possibili controversie.
Poi, le imprese di investimento e le banche possono agire in nome proprio, ma per conto del cliente, previa
consenso scritto da parte di quest'ultimo.
Inoltre, le regole sulla disciplina dei comportamenti degli intermediari possono essere graduate in
funzione della natura dell'investitore, perchè trattare un investitore professionale alla stessa stregua di un
cliente inesperto significa, di fatto, applicare delle regole inutili e svantaggiose per ambo le parti. Pertanto,
se il cliente è un soggetto esperto, è possibile disapplicare alcune regole di condotta. In pratica, i clienti
possono essere distinti in: clienti al dettaglio, clienti professionali e controparti qualificate, dove: le
controparti qualificate sono tutti i soggetti che operino professionalmente sul mercato dei capitali con
riferimento alla prestazione dei servizi di cui alle lettere a), b) ed e) del 5°comma dell'articolo 1 del TUF;
mentre, per tutti gli altri servizi, il cliente potrà essere trattato come cliente professionale. Inoltre, i clienti
professionali possono essere suddivisi in 2 categorie: i clienti professionali di diritto e i clienti che possono
essere considerati tali dietro richiesta. E quindi, ad esempio, sono clienti professionali di diritto:
– le banche, le imprese di assicurazione, gli organismi di investimento collettivo;
– gli investitori istituzionali che abbiano come attività principale quella di investire in strumenti
finanziari;
– e le grandi imprese che presentino almeno due requisiti dimensionali tra: un totale di bilancio pari a
20 milioni, un fatturato netto di 40 milioni e fondi propri per 2 milioni.
Negli altri casi, dietro richiesta del cliente, l'intermediario avrà l'onere di accertare l'esperienza del cliente
sulla base di alcuni indici, stabiliti dall'Allegato 3 del Regolamento Intermediari, che prevede anche la
possibilità che il cliente possa chiedere di essere trattato diversamente dalla sua destinazione “naturale”.
Quando gli intermediari affidino ad un terzo l'esecuzione di funzioni essenziali o l'esecuzione di servizi e
attività di investimento, si realizza l'esternalizzazione di funzioni (detta outsourcing), che deve avvenire
sulla base di misure ragionevoli, volte ad impedire un aumento dei rischi connessi alla prestazione dei
servizi di investimento e la deresponsabilizzazione dell'intermediario.
La separazione patrimoniale = L'articolo 22 del TUF sancisce il principio della separazione patrimoniale
per tutti gli strumenti finanziari e le somme di denaro che gli intermediari detengano per la prestazione dei
servizi di investimento e dei servizi accessori. In pratica, gli strumenti finanziari dei singoli clienti
costituiscono un patrimonio autonomo e separato da quello dell'intermediario e degli altri clienti – e l'unica
eccezione a questa regola è quella del deposito bancario, in cui la banca acquista la proprietà del denaro
depositato dalla clientela, pur essendo obbligata a restituirlo. Ovviamente, la regola della separazione
patrimoniale rileva nel caso in cui l'intermediario venga sottoposto ad una procedura concorsuale, perchè in
questo caso occorrerà realizzare la separazione del patrimonio dell'intermediario. Tuttavia, possono
presentarsi due ipotesi problematiche: infatti, può accadere che la separazione tra intermediario e clienti
venga rispettata, ma lo stesso non possa dirsi della separazione tra i clienti stessi; oppure, può accadere che
la separazione tra intermediario e clienti non venga rispettata. Così, nel primo caso, gli strumenti finanziari
dovranno essere restituiti ai clienti in proporzione ai diritti per i quali ognuno di essi sia stato ammesso alla
sezione separata dello stato passivo (altrimenti, se i beni rinvenuti siano insufficienti, occorrerà procedere
alla liquidazione e successiva ripartizione del ricavato); oppure, se non venga rispettata nemmeno la
separazione tra il patrimonio dell'intermediario e quello dei clienti, questi ultimi concorreranno sull'intera
massa, insieme ai creditori chirografari.
La violazione della disciplina relativa ai comportamenti può essere fonte di responsabilità per
l'intermediario, che ha l'onere di provare di aver agito con la diligenza richiesta dall'art. 23 del TUF.
Tuttavia, la violazione delle regole di condotta non dovrebbe comportare automaticamente la nullità dei
contratti già conclusi; infatti, affinchè vi sia la nullità è necessario che le norme violate mirino alla tutela di
interessi generali.
Comunque, la violazione può comportare anche l'irrogazione di sanzioni amministrative, che possono essere
irrogate dalla Consob o dalla Banca d'Italia nelle rispettive aree di competenza – fermo restando che resti
ammissibile il ricordo a procedure facoltative di conciliazione e arbitrato [anzi, il decreto legislativo 28/2010
stabilisce che chi intenda esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di contratti
bancari, assicurativi e finanziari debba preliminarmente esperire il procedimento di conciliazione, a pena di
inammissibilità della domanda]. Pertanto, l'organo competente è la Camera di Conciliazione e Arbitrato,
dove la conciliazione è una procedura con cui un terzo, neutrale, facilita la comunicazione tra le parti
coinvolte nella controversia, al fine di promuoverne la risoluzione consensuale; mentre, l'arbitrato
presuppone un compromesso o una clausola compromissoria, con cui le parti si siano accordare per
demandare la soluzione della controversia, attuale o futura, ad un apposito arbitro.
Il rapporto che lega l'investitore alla società di gestione ha natura contrattuale, e il suo contenuto è stabilito
nel Regolamento del Fondo, che viene sottoposto all'approvazione della Banca d'Italia. Pertanto, la
partecipazione al fondo comune si perfeziona con l'adesione dell'investitore ed è incorporata in quote di
partecipazione, rappresentate da “certificati”. Inoltre, queste quote sono dei veri e propri titoli di credito,
ma, per prassi, i certificati non vengono materialmente emessi per evitare il rischio connesso alla loro
circolazione: praticamente, la banca depositaria tiene in deposito un “certificato cumulativo” che rappresenta
una pluralità di quote e realizza un effetto analogo a quello della demateralizzazione che, però non preclude
la possibilità di richiedere l'emissione del certificato singolo.
Il compito di stabilire i criteri generali a cui gli OICR debbano conformarsi spetta al Ministro dell'Economia
e delle Finanze, sentite la Consob e la Banca d'Italia. Tuttavia, nel corso del tempo si sono affermate diverse
categorie di fondi comuni: infatti, prima del recepimento della Direttiva 2011/61, la disciplina italiana
distingueva tra: fondi comuni aperti, fondi comuni chiusi, fondi riservati e fondi speculativi – a cui si
aggiungevano già i fondi master-feeder, che in sostanza sono dei fondi articolati su due livelli, dove il
primo è rappresentato dal fondo feeder, che investe le proprie attività in un fondo master.
Comunque, a questi fondi devono essere aggiunti i fondi alternativi e i fondi aperti armonizzati. E questi
ultimi: possono essere commercializzati in tutto il territorio dell'Unione in regime di mutuo riconoscimento;
inoltre, le direttive comunitarie prescrivono una serie di vincoli sugli strumenti che possano essere oggetto
di investimento: ad esempio, i fondi armonizzati non possono investire in strumenti finanziari NON quotati
nei mercati regolamentati (perchè tali strumenti hanno un rischio di liquidità superiore e una minore
trasparenza del prezzo); e, inoltre, hanno il divieto di investire oltre il 10% del patrimonio del fondo sul
medesimo emittente, così da garantire una limitazione del rischio di concentrazione. Invece, i fondi aperti
non armonizzati sono quelli che non si conformano alle direttive comunitarie e le loro quote non godono del
mutuo riconoscimento.
I fondi immobiliari, invece, sono fondi chiusi, il cui patrimonio dev'essere investito in beni immobili, diritti
reali immobiliari e partecipazioni in società immobiliari (in misura non inferiore ai 2/3 del valore
complessivo del fondo). Invece, i fondi speculativi sono quelli che si caratterizzano per un regime diverso,
con riferimento alla sottoscrizione e alla circolazione delle quote; infatti, questi fondi non possono essere
oggetto di sollecitazione all'investimento e devono prevedere un investimento minimo iniziale parli ad
almeno 500.000 euro. Quindi, praticamente, sono fondi riservati ad investitori esperti o quantomeno dotati
di ingenti risorse finanziarie. Infine, i fondi garantiti sono quelli che si caratterizzano per il fatto di
garantire agli investitori la restituzione del capitale investito o il riconoscimento di un rendimento minimo.
La gestione collettiva del risparmio è aperta anche alle SICAV (società di investimento a capitale variabile)
e alle SICAF (società di investimento a capitale fisso).
Le Sicav sono società per azioni a capitale variabile, aventi come oggetto esclusivo l'investimento collettivo
del patrimonio che sia stato raccolto mediante l'offerta al pubblico di proprie azioni. Comunque, le Sicav si
differenziano dai fondi comuni di investimento, perchè l'investitore qui assume la qualità di socio della
società garante, il cui capitale sociale coincide con il patrimonio amministrato (invece, nel fondo comune,
l'investitore è titolare di una quota del fondo, che però viene amministrato da una società di gestione distinta:
la SGR). Le azioni della Sicav possono essere, a scelta del sottoscrittore, nominative o al portatore e
attribuiscono un solo voto indipendentemente dal loro numero. Inoltre, la Sicav può essere costituita previa
autorizzazione della Banca d'Italia, sentita la Consob, a condizione che la società: abbia la forma di S.p.A.,
abbia sede legale e direzione generale in Italia, abbia un capitale sociale almeno pari a quanto stabilito dalla
Banca d'Italia, e a condizione che gli esponenti aziendali abbiano i requisiti di onorabilità e professionalità.
Le Sicaf, invece, si distinguono per il fatto di essere organismi di investimento collettivo del risparmio di
tipo chiuso e dotati di capitale fisso.
Entrambe non possono prestare servizi diversi dalla gestione collettiva (a differenza della SGR). Inoltre, il
funzionamento delle assemblee delle Sicav segue delle regole particolari, perchè infatti, l'assemblea
ordinaria e quella straordinaria in seconda convocazione non prevedono quorum costitutivi; inoltre, le
convocazioni devono essere pubblicate sia in Gazzetta Ufficiale che su specifici quotidiani indicati nello
statuto, così da ampliare al massimo il regime pubblicitario. Infine, sia le Sicav che le Sicaf possono gestire
direttamente il proprio patrimonio oppure avvalersi di un gestore esterno, fermo restando che anche nel caso
della delega, la società resta responsabile.
Le regole in materia di vigilanza prudenziale rispetto alle SGR riguardano anche la società di gestione in
quanto tale; tuttavia, la materia è disciplinata in modo meno analitico rispetto alle SIM, perchè le SGR sono
esposte ad una gamma di rischi più ridotta, a causa del fatto che qui esiste una scissione tra il patrimonio
della società e i patrimoni gestiti. Infatti, il Provvedimento del 2012 contiene solo regole in materia di:
requisiti patrimoniali, copertura dei rischi e patrimonio di vigilanza. In pratica, le SGR devono avere un
capitale minimo almeno pari ad un milione di euro (salvo che i fondi chiusi siano indirizzati al settore della
ricerca, perchè in quel caso la SGR può costituirsi con lo stesso capitale richiesto per le S.p.A.); inoltre,
l'attività di gestione dei fondi comuni di tipo aperto e di Sicav richiede l'applicazione di due requisiti
patrimoniali, di cui: il primo è commisurato all'ammontare della massa complessiva gestita, mentre il
secondo è commisurato all'ammontare delle risorse necessarie per far fronte alla garanzia di restituzione
delle risorse dei fondi pensione. Invece, nel caso della gestione di fondi chiusi, le SGR sono tenute ad
acquisire una quota almeno pari al 2% del patrimonio di ogni fondo.
Poi, le Banche e le società finanziarie di cui all'art.107 del TUB sono sottoposte a regole molto simili a
quelle previste per le SIM, mentre agli agenti di cambio la disciplina della vigilanza prudenziale è pressoché
inapplicabile a causa del regime imposto dall'art.201 del TUF.
La disciplina delle crisi degli intermediari finanziari è stata modellata su quella del Testo Unico Bancario,
da cui derivano l'amministrazione straordinaria e la liquidazione coatta amministrativa.
I presupposti per l'avvio dell'amministrazione straordinaria sono individuati dall'art.56 del TUF, che
dispone che il Ministro dell'Economia e delle Finanze (su proposta della Consob o della Banca d'Italia, a
seconda dei casi) possa disporre lo scioglimento degli organi di direzione e controllo delle SIM, delle SGR e
delle SICAV quando ricorra almeno una tra le condizioni prestabilite, che consistono in: gravi irregolarità
nell'amministrazione o gravi violazioni di disposizioni legislative, amministrative o statutarie; gravi perdite
del patrimonio della società; o scioglimento richiesto con istanza motivata dagli organi amministrativi,
dall'assemblea straordinaria o dal commissario nominato ai sensi dell'articolo 53.
Comunque, la direzione della procedura spetta alla Banca d'Italia (e ciò anche nel caso in cui
l'amministrazione straordinaria sia stata attivata con istanza della Consob) – e la ragione sta nel fatto che la
procedura deriva dal Testo Unico Bancario. Comunque, questa gestione coattiva dell'impresa ha lo scopo di
rimuovere le irregolarità, o, se queste siano irreversibili, funge da “anticamera” per la successiva
liquidazione coatta amministrativa: infatti, è opinione diffusa che l'amministrazione straordinaria non sia una
procedura concorsuale perchè non ha lo scopo di assicurare la par condicio creditorum. Inoltre, rispetto
all'art.53, qui si riscontra una vera e propria revoca degli organi (sia amministrativi che di controllo), e non
una mera sospensione: e questo comporta che sia necessario provvedere alla nomina di nuovi organi, salvo
l'avvio della liquidazione coatta amministrativa.
La durata dell'amministrazione straordinaria non può essere superiore ad 1 anno, ma in casi eccezionali è
possibile concedere una proroga di 6 mesi, a cui può aggiungersi una proroga di ulteriori 2 mesi solo per
consentire gli adempimenti necessari per la chiusura della procedura. Quest'ultima, poi, è svolta da uno o più
commissari a cui si aggiunge un comitato di sorveglianza composto da 3 o 5 membri, tutti nominati dalla
Banca d'Italia.
I sistemi di indennizzo e i fondi di garanzia degli investitori sono strettamente legati alla disciplina della
crisi degli intermediari; e la differenza sta nel fatto, che i sistemi di indennizzo intervengono nel caso in cui
gli investitori non abbiano ottenuto la restituzione del loro patrimonio o il pagamento dei loro crediti;
mentre il fondo di garanzia ha lo scopo di assicurare il risarcimento dei danni subiti dagli investitori in
conseguenza della violazione delle disposizioni del TUF.
Nello specifico, i sistemi di indennizzo sono specificati dal Ministro dell'Economia e delle Finanze, e si
qualificano come soggetti di diritto privato, dotati di personalità giuridica, che operano secondo il
meccanismo del mutuo: infatti, tutti gli aderenti devono versare un contributo annuale, così che si possa
costituire un fondo che viene impiegato per indennizzare gli investitori. Comunque, questi sistemi possono
operare solo:
– nel caso della liquidazione coatta amministrativa di banche e di SIM;
– e nel caso del fallimento o del concordato preventivo di agenti di cambio e dei soggetti iscritti
nell'elenco stabilito dall'articolo 107 del TUB.
Inoltre, possono essere indennizzati soltanto i crediti iscritti nello stato passivo dell'intermediario; tuttavia,
alcuni soggetti sono esclusi dal sistema di indennizzo, o perché sono soggetti qualificati (come le banche) o
perché sono riconducibili allo stesso intermediario insolvente (come le società che appartengono allo stesso
gruppo dell'intermediario o gli investitori che abbiano concorso a determinarne l'insolvenza). Inoltre, va
specificato che i crediti vantati da ogni investitore possono essere indennizzati solo fino ad un massimo
complessivo di 20.000 euro, e in Italia l'unico sistema di indennizzo è il Fondo Nazionale di Garanzia,
istituito con legge 1/1991.
Invece, il Fondo di Garanzia per i Risparmiatori e gli Investitori, istituito in attuazione della legge 262/2005,
è destinato all'indennizzo dei danni patrimoniali causati dalla violazione delle norme che disciplinano i
servizi di investimento e la gestione collettiva del risparmio. Inoltre, il fondo viene alimentato mediante il
versamento della metà degli importi delle sanzioni che siano state irrogate per la violazione delle norme di
riferimento, e la gestione del fondo viene affidata alla Consob.
Nel mercato dei capitali possono farsi rientrare anche dei soggetti che prestano attività o servizi finanziari
che non sono riservati in via esclusiva alle banche, alle SIM, alle SGR e agli agenti di cambio. Inizialmente,
la mappatura di questi soggetti era più che altro finalizzata alla prevenzione del riciclaggio di denaro
proveniente da attività illecite, ma l'intera materia è stata riformata nel 2010, che in effetti ha posto l'accento
sui soggetti operanti nel settore finanziario che svolgano attività di concessione di finanziamenti: che
consiste in un attività che, se viene svolta nei confronti del pubblico, è riservata agli intermediari finanziari
iscritti in un apposito albo, tenuto dalla Banca d'Italia. Quindi, l'elemento che determina l'assoggettamento
alla disciplina speciale sta nel fatto che l'attività debba essere svolta “nei confronti del pubblico”, e il nuovo
testo dell'art. 106 del Testo Unico Bancario stabilisce che l'attività sia tale quando sia svolta “nei confronti di
terzi con carattere di professionalità”.
La cartolarizzazione dei crediti (detta anche Securization) è un'operazione finanziaria che consiste nella
cessione (a titolo oneroso) di un portafoglio di crediti pecuniari o di altre attività finanziarie non negoziabili.
In pratica, i crediti vengono ceduti da una o più aziende creditrici (dette Originator) ad una società-veicolo,
che in sostanza è un intermediario che, in cambio delle attività ottenute, emette dei titoli negoziabili da
collocarsi sui mercati nazionali o internazionali.
Inoltre, la cartolarizzazione costituisce una cessione del credito "pro soluto", e quindi l'azienda cedente non
deve fornire nessuna garanzia alla società-veicolo, in caso di mancato pagamento da parte dei debitori.
Quindi, con i processi di cartolarizzazione, l'azienda può smobilizzare dei capitali che, altrimenti, sarebbero
stati vincolati: e questo comporta numerosi vantaggi, come l'aumento immediato della liquidità e l'aumento
di visibilità sui mercati.
Inoltre, le operazioni di cartolarizzazione possono essere realizzate anche mediante cessioni a fondi comuni
di investimento, perché questi possono avere ad oggetto l'investimento in crediti.
La vigilanza della Consob si riflette sia sulla società di gestione che sui mercati; infatti, la Consob può
richiedere informazioni, dati e notizie; è dotata di poteri ispettivi sulla società di gestione; e ha il potere di
vigilare sulla regolamentazione del mercato, potendo anche chiedere alla società di gestione di modificare la
regolamentazione per eliminare le disfunzioni riscontrate.
Poi, eccezionalmente, la Consob può anche sostituirsi alla società di gestione, mediante l'adozione di
provvedimenti del Presidente della Consob, che però devono essere approvati dalla Commissione entro e
non oltre 5 giorni, altrimenti perdono efficacia.
Poi, in caso di gravi irregolarità, il Ministro dell'Economia e delle Finanze può disporre (dietro istanza della
Consob) lo scioglimento degli organi amministrativi e di controllo; inoltre, la Consob può anche revocare
l'autorizzazione quando vengano meno le condizioni per le quali fosse stata precedentemente rilasciata o
quando la società abbia violato in modo grave e sistematico le disposizioni che la regolino.
Tuttavia, esistono delle regole particolari che si applicano ai mercati all'ingrosso, cioè a quei mercati in cui
gli operatori negoziano esclusivamente in nome proprio: infatti, il Ministro dell'Economia e delle Finanze
deve autorizzare i mercati all'ingrosso di Titoli di Stato, approvandone i regolamenti; mentre gli altri mercati
all'ingrosso (come quelli di titoli obbligazionari) sono sottoposti al controllo della Consob, sentita la Banca
d'Italia. Infine, i mercati all'ingrosso di titoli azionari restano soggetti alla generale competenza della
Consob.
I mercati esteri (diversi da quelli riconosciuti ai sensi della disciplina comunitaria) devono essere
riconosciuti mediante la stipulazione di accordi specifici tra la Consob e le corrispondenti Autorità estere –
fermo restando che la Consob sia obbligata ad accertare che la normativa straniera sia compatibile con
quella vigente in Italia.
Il buon funzionamento dei mercati regolamentati dipende anche dall'esistenza di meccanismi di garanzia del
buon fine delle operazioni. Pertanto, l'art. 68 prevede che la Banca d'Italia e la Consob possano disciplinare
l'istituzione e il funzionamento di appositi sistemi, come la costituzione di appositi fondi di garanzia,
alimentati dai versamenti dei partecipanti. Su questi fondi non sono ammesse azioni, sequestri e
pignoramenti, né possono essere assorbiti nelle procedure concorsuali.
Poi, con riferimento alla disciplina della compensazione e della liquidazione delle operazioni (cioè, il
cosiddetto post-trade), il TUF distingue le operazioni in strumenti finanziari non derivati da quelle in
strumenti finanziari derivati: infatti, per le prime è previsto che la Banca d'Italia e la Consob agiscano
d'intesa per disciplinare il funzionamento dei sistemi di compensazione e garanzia, anche mediante l'obbligo
dei partecipanti di operare dei versamenti di apposite somme, a garanzia dell'adempimento delle
obbligazioni assunte (chiamate: margini di garanzia); inoltre, in questo caso esistono degli appositi
“organismi” che vengono deputati alla gestione di queste posizioni, che assumono in proprio le relative
posizioni contrattuali: e questo comporta una sorta di sostituzione della controparte con cui si è conclusa
l'operazione con l'organismo deputato alla garanzia delle operazioni; cioè, praticamente, una volta che si è
conclusa l'operazione sul mercato, le due parti contraenti non sono più obbligate l'una nei confronti
dell'altra, ma sono obbligati nei riguardi dell'organismo di garanzia.
Allo stato attuale, i mercati regolamentati italiani sono gestiti e organizzati da 2 società: la Borsa Italiana
S.p.A. e la MTS S.p.A. - dove, quest'ultima gestisce i mercati all'ingrosso dei titoli di Stato italiani/esteri,
mentre tutti gli altri mercati sono gestiti dalla Borsa Italiana S.p.A., che si è fusa con il London Stock
Exchange.
Ad oggi, i mercati gestiti dalla Borsa Italiana sono:
– il Mercato Telematico Azionario (MTA);
– il Mercato Telematico degli OICR aperti ed ETC (EFTplus);
– il Mercato Telematico delle Obbligazioni (MOT);
– il Mercato Telematico dei Securitised Derivatives (SEDEX);
– il Mercato Telematico degli Investment Vehicles (MIV);
– e il Mercato degli Strumenti Derivati (IDEM)
L'ammissione alla quotazione ufficiale, in generale, è subordinata alla sussistenza delle condizioni stabilite
nel Titolo 2.1 del Regolamento; e quest'ultimo prevede che l'emittente debba essere regolarmente costituito e
che il suo statuto debba essere conforme alle leggi e ai regolamenti a cui è soggetto; invece, gli strumenti
finanziari devono essere emessi nel rispetto di tutte le disposizioni applicabili, conformi, liberamente
negoziabili, idonei ad essere oggetto di liquidazione ed idonei ad essere negoziati in modo equo, ordinato ed
efficiente.
In particolare, per poter ottenere la quotazione delle azioni, l'emittente deve aver pubblicato e depositato i
bilanci (anche consolidati) degli ultimi 3 esercizi, ed almeno l'ultimo di essi dev'essere sottoposto a revisione
contabile; e, pertanto, l'ammissione alla quotazione non può essere disposta se la società di revisione abbia
espresso un giudizio negativo. Tuttavia, la Borsa può riservarsi di accettare un numero di bilanci inferiore a
3, purché la deroga risponda agli interessi degli investitori. Inoltre, l'emittente deve esercitare un'attività
capace di generare ricavi, allo scopo di evitare che possano accedere alla quotazione anche dei soggetti
inattivi o incapaci di operare in condizioni di equilibrio economico.
Invece, le azioni devono avere: una capitalizzazione di mercato prevedibile (pari ad almeno 40 milioni di
euro) e una diffusione sufficiente (che si presume quando le azioni siano ripartite tra il pubblico per almeno
il 25% del capitale rappresentato dalle categorie di appartenenza); comunque, entrambi i requisiti possono
essere derogati – anzi, per le azioni di risparmio non è prevista una soglia fissa di flottante, ma è sufficiente
che la diffusione sia tale da assicurare il regolare funzionamento del mercato.
La procedura di ammissione alla quotazione comporta che l'emittente debba presentare una domanda in
cui si obblighi ad osservare le norme del Regolamento e delle Istruzioni, dichiarando di conoscerle e di
accettarle. Inoltre, deve presentare alla Consob anche un prospetto redatto con l'avallo dello sponsor (cioè,
dell'intermediario che assiste l'emittente e opera al fine di assicurare il regolare svolgimento delle
contrattazioni). Tuttavia, in alcuni casi è possibile che l'emittente veda ammessi i propri strumenti finanziari
senza averne fatto richiesta: e, ad esempio, questo può accadere quando tali strumenti finanziari siano già
negoziati in un altro mercato regolamentato italiano.
Comunque, il Regolamento della Borsa Italiana disciplina anche i casi di sospensione, revoca ed esclusione
dalle negoziazioni; infatti, la Borsa può disporre la sospensione se la regolarità del mercato dello strumento
finanziario non possa essere garantita temporaneamente o se venga suggerita dalla necessità di tutelare gli
investitori. E, ad esempio, questo può accadere nel caso in cui l'emittente venga sottoposto a delle procedure
concorsuali. Invece, la revoca si realizza in caso di prolungata carenza delle negoziazioni, e, ad esempio,
può avvenire nel caso in cui la sospensione dalla quotazione si protragga per oltre 18 mesi (e comporta che
la Borsa Italiana debba inviare una comunicazione all'emittente, con fissazione di un termine non inferiore a
15 giorni per la presentazione di deduzioni scritte; inoltre, l'emittente può chiedere un'audizione – fermo
restando che la decisione viene sempre assunta entro 60 giorni dall'invio della comunicazione). Infine,
l'esclusione può avvenire solo su richiesta.
L'ammissione degli intermediari al mercato è riservato:
– ai soggetti autorizzati ai servizi di investimento di negoziazione per conto proprio o di esecuzione di
ordini per conto dei clienti;
– alle banche e alle imprese di investimento autorizzate alla prestazione dei servizi e delle attività di
negoziazione per conto proprio o di esecuzione di ordini per conto dei clienti;
– e alle S.p.A e alle S.r.l.
Comunque, questi soggetti devono attestare che: gli addetti alle negoziazioni conoscano le regole del
mercato e siano in possesso di un'adeguata qualificazione professionale; che siano state istituite delle
procedure di compensazione, garanzia e liquidazione; e che siano dotate di un'unità interna di Information
Technology, adeguata a garantire la continuità e la puntualità di funzionamento dei sistemi di negoziazione
utilizzati.
Poi, le negoziazioni si svolgono in 3 fasi: l'asta di apertura, la negoziazione continua e l'asta di chiusura.
In pratica, l'asta di apertura si articola in due sottofasi: la pre-asta (in cui gli intermediari possono immettere,
modificare e cancellare le proprie proposte di negoziazione) e l'apertura vera e propria. In particolare, nella
pre-asta, il sistema telematico di contrattazione aggiorna in tempo reale un prezzo teorico d'asta, che può
essere inteso come il prezzo a cui risulta negoziabile la maggior quantità di titoli. Tuttavia:
– nel caso in cui lo stesso quantitativo sia negoziabile a più di un livello di prezzo, il prezzo teorico è
quello che produce il minor volume non negoziabile, relativamente alle proposte aventi prezzi uguali
o migliori;
– invece, se risulti di pari entità anche il quantitativo di strumenti non negoziabili, il prezzo teorico
coincide con il prezzo più alto se la maggior pressione sia sul lato degli acquisti; altrimenti, se la
pressione è sul lato delle vendite, coinciderà con il prezzo più basso;
– poi, qualora la pressione sia pari da ambo i lati, il prezzo teorico è pari al prezzo più vicino a quello
dell'ultimo contratto valido; e qualora non esista un prezzo di riferimento, il prezzo teorico è pari al
prezzo più basso tra quelli risultanti dalle ipotesi precedenti.
Poi, la fase di negoziazione continua è quella in cui gli intermediari possono inserire, cancellare o
modificare le loro proposte; e la conclusione delle operazioni avviene mediante l'abbinamento automatico di
proposte di segno contrario che siano presenti nel sistema di contrattazione. Quindi, al termine della giornata
viene calcolato il “prezzo ufficiale”, il “prezzo di riferimento” e il “prezzo di controllo”, dove: il primo è il
prezzo medio ponderato dell'intera quantità di un determinato strumento. Poi, si distingue anche tra prezzo
dinamico e prezzo statico, dove: il prezzo dinamico è dato dal prezzo dell'ultimo contratto concluso nella
giornata, o dal prezzo di riferimento del giorno precedente (nel caso in cui nel corso della seduta non siano
stati conclusi contratti); invece, il prezzo statico è il prezzo di riferimento del giorno precedente in asta di
apertura o il prezzo di conclusione dei contratti della fase di asta, dopo ogni fase di asta.
La risoluzione delle controversie tra la Borsa e i Soggetti Ammessi al mercato può riguardare sia
controversie che spettano all'Autorità Giudiziaria, sia controversie che spettano ad un Collegio Arbitrale.
Pertanto: spettano al Foro di Miliano le controversie in materia di corrispettivi, diniego dell'ammissione alla
quotazione e revoca dell'ammissione. Tutte le altre controversie, invece, sono riservate ad un collegio
arbitrale composto da 3 membri: in questi casi, l'arbitrato è sempre rituale e segue le norme del codice di
procedura civile. Tuttavia, per poter attivare la procedura arbitrale è necessario il preventivo esperimento di
un'apposita procedura dinanzi al Collegio dei Probiviri (composto da 3 membri nominati dal Consiglio di
Amministrazione della Borsa Italiana); tuttavia, la decisione del collegio non è vincolante e svolge un ruolo
di mediazione.
Comunque, la disciplina dell'offerta al pubblico ha lo scopo di tutelare gli investitori sotto il profilo della
trasparenza, affinché sia possibile approdare ad un giudizio “informato” sull'investimento.
Pertanto, lo strumento che svolge questa funzione è il Prospetto Informativo: e quest'ultimo si riferisce a
due diversi regimi, di cui il secondo si riferisce alle quote o azioni di OICR aperti, mentre il primo si
riferisce a prodotti finanziari diversi dagli OICR aperti e agli strumenti finanziari comunitari (che sarebbero
i valori mobiliari e le quote di fondi chiusi). In linea generale, il prospetto dev'essere rivolto all'investitore
non professionale e dev'essere redatto dal promotore dell'offerta, così che possa essere sottoposto al
controllo preventivo della Consob; tuttavia, qui non vale la regola del silenzio-assenso, anche se non sempre
l'approvazione spetta alla Consob.
L'adesione alle operazioni di offerta può realizzarsi solo mediante la sottoscrizione (anche telematica)
dell'apposito modulo – o con altre modalità equivalenti, indicate nel prospetto. Perciò, se ne deduce che
questi contratti abbiano tendenzialmente una forma scritta; inoltre: l'investitore può revocare la propria
accettazione nel caso in cui il prospetto non abbia indicato prezzo e quantità dei prodotti; oppure, può
revocare l'accettazione anche nel caso in cui venga pubblicato un supplemento del prospetto. Infatti, è da
notare che i soggetti che redigano il prospetto siano responsabili dei danni subìti dall'investitore che abbia
fatto ragionevolmente affidamento sulla veridicità e sulla completezza delle informazioni – salvo che sia
possibile provare di aver redatto il prospetto con la dovuta diligenza. Comunque, la responsabilità che si
evince è una responsabilità pre-contrattuale, e quindi è riconducibile negli schemi della responsabilità da
contratto.
Il potere regolamentare della Consob è particolarmente ampio, perché attiene a tutti i profili dello
svolgimento dell'offerta, al comportamento dei partecipanti e all'attività preparatoria; e, inoltre, la Consob
può differenziare le norme regolamentari rispetto alle caratteristiche specifiche dei prodotti finanziari, degli
emittenti e dei mercati.
Innanzitutto, l'offerta al pubblico presuppone la predisposizione di 2 documenti standardizzati: il prospetto e
la comunicazione alla Consob – così che in caso di approvazione, valga il principio del mutuo
riconoscimento ai fini dell'offerta negli altri Stati Membri dell'UE. Inoltre, i soggetti che partecipano
all'offerta sono obbligati ad osservare i principi di correttezza, trasparenza e parità di trattamento dei
destinatari dell'offerta e devono astenersi dal diffondere notizie incoerenti o capaci di influenzare
l'andamento delle adesioni – fermo restando che, in casi sospetti, la Consob possa sempre richiedere la
comunicazione di dati, atti e documenti sia agli acquirenti che ai sottoscrittori dei prodotti finanziari (cioè, a
soggetti diversi dagli intermediari!).
La disciplina della pubblicità finanziaria delle operazioni di offerta al pubblico si è consolidata
nell'articolo 101 del TUF, che stabilisce il divieto di diffondere annunci pubblicitari relativi ai prodotti
finanziari diversi dagli strumenti comunitari prima della pubblicazione del prospetto. Infine, il 4°comma
attribuisce alla Consob il potere di sospendere o vietare l'attività pubblicitaria, mentre il 5° stabilisce che nel
caso di informazioni comunicate “in via selettiva” a determinati investitori, occorra ripristinare le condizioni
di parità prima dell'offerta vera e propria.
L'articolo 100 del TUF individua i casi di inapplicabilità totale della disciplina dell'offerta al pubblico,
stabilendo che le norme non si applichino alle operazioni: che siano rivolte esclusivamente agli investitori
qualificati; che siano rivolte ad un numero di investitori inferiore a 150; alle operazioni di ammontare
complessivo inferiore a 5 milioni di euro, o che abbiano ad oggetto strumenti finanziari emessi da uno Stato
Membro, dalla BCE o dalle banche centrali nazionali degli Stati Membri o che abbiano ad oggetto strumenti
diversi dai titoli di capitale che siano emessi dalle banche in modo continuo o ripetuto ogni 12 mesi.
Invece, il 2°comma dell'articolo 100 stabilisce che la Consob possa individuare i casi di esclusione parziale
dalla disciplina dell'offerta al pubblico; per cui, la Consob ha parzialmente escluso: le offerte relative a
valori mobiliari offerti in opzione ai soci di emittenti con azioni e obbligazioni convertibili; le offerte rivolte
ad amministratori, dipendenti e promotori di società non quotate; e le offerti aventi ad oggetto strumenti
finanziari diversi dai titoli di capitale, emessi da banche di credito operativo o da banche in cui il controllo
contabile sia esercitato dal collegio sindacale.
Inoltre, l'articolo 205 è stato modificato al fine di escludere dalla disciplina le ipotesi in cui, per gli strumenti
offerti, sia già stato messo a disposizione del pubblico un set di informazioni relative all'emittente; infatti: le
offerte di acquisto e vendita di prodotti finanziari effettuate nei mercati regolamentati, nei sistemi
multimediali di negoziazione e dagli internalizzatori sistematici NON costituiscono offerta al pubblico di
prodotti finanziari NE' offerta pubblica di acquista e scambio.
Poi, ai sensi dell'art.91, chiunque faccia un'offerta al pubblico in violazione degli articoli 94 e 98 TER è
punito con una sanzione amministrativa pecuniaria, compresa tra ¼ del controvalore offerto e il doppio di
tale valore, a cui si aggiunge la perdita temporanea dei requisiti di onorabilità e l'incapacità temporanea di
assumere incarichi direttivi in società quotate o con titoli diffusi.
Invece, se viene realizzata un'offerta al pubblico senza che il prospetto sia stato pubblicato, i contratti che
siano stati conclusi sono affetti da nullità per violazione di norme imperative.
L'articolo 100 BIS del TUF è legato alle crisi che hanno caratterizzato il mercato italiano negli anni passati,
in cui si è registrato il default della Cirio o della Parmalat. In pratica, questo articolo traduce il trasferimento
alla clientela al dettaglio di corporate bonds (cioè, di obbligazioni emesse da imprese private, che
originariamente venivano emessi solo nei confronti degli investitori professionali e senza prospetto
informativo).
Pertanto, l'articolo 100 BIS dispone che: la successiva rivendita – entro 12 mesi – di prodotti finanziari che
abbiano costituito oggetto di un'offerta al pubblico esente dall'obbligo di pubblicare il prospetto, costituisce
comunque un'autonoma offerta al pubblico. E, ovviamente, lo scopo è quello di evitare l'elusione della
disciplina dell'offerta al pubblico nei casi in cui sia più alto il rischio che degli investitori non qualificati
acquistino degli strumenti finanziari senza la “protezione” tipica delle offerte pubbliche.
Infine, allo scopo di agevolare la nascita e la patrimonializzazione delle start-up innovative del settore
tecnologico, il decreto legge 179/2012 ha introdotto l'approvvigionamento delle risorse finanziarie mediante
alcuni portali on-line (e questo fenomeno si definisce anche crowdfunding).
L'OPA obbligatoria ha un ambito di applicazione molto ristretto, perchè infatti si applica solo alle società
italiane con titoli ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati italiani.
Nello specifico, il TUF disciplina due tipi di Opa obbligatoria: l'OPA successiva totalitaria e l'OPA
preventiva – e nella disciplina rientra anche l'obbligo di acquisto, che ha rimodulato il concetto di “Opa
residuale”.
L'articolo 106 disciplina l'OPA Totalitaria, che consente agli azionisti di minoranza di uscire dalla società in
seguito al mutamento dell'azionista di controllo; e, pertanto, è tenuto a promuovere l’Opa chiunque, in
seguito ad acquisti a titolo oneroso, venga a detenere, direttamente o indirettamente, una partecipazione
superiore al 30% delle azioni ordinarie o speciali, che attribuiscano il diritto di voto nelle deliberazioni
assembleari. Di regola, è una manovra controllata, perchè è inverosimile che si acquisti involontariamente
una partecipazione superiore al 30%! Il prezzo minimo che deve essere offerto per ciascuna categoria di
azioni è fissato per legge, ed è pari a quello più elevato pagato dall'offerente nei 12 mesi antecedenti
l'avvio dell'OPA.
Per evitare elusioni, l’obbligo di lanciare l’Opa sussiste anche quando la percentuale del 30% sia superata
sommando gli acquisti effettuati singolarmente da più soggetti, che però siano legati tra loro da certi rapporti
tassativamente individuati dalla legge: in questo caso si parla di acquisto di concerto. Questi rapporti
riguardano: patti parasociali, anche nulli; rapporti tra il dominus e le società da esso controllate; e rapporti di
società sottoposte a comune controllo.
Una volta che sia stabilito che la soglia del 30% è stata superata in questo modo, tali soggetti sono obbligati
solidalmente al lanciare l’Opa totalitaria anche se gli acquisti a titolo oneroso siano stati effettuati solo da
uno di essi.
È affidato alla Consob il compito di definire, con proprio regolamento, quando sussista e quando non
sussista l’obbligo di lanciare l’Opa Successiva in alcuni casi particolari. Infatti, l'acquisto di una
partecipazione rilevante non comporta l'obbligo di offerta se: le operazioni siano dirette al salvataggio di
società in crisi, se le operazioni abbiano carattere temporaneo, se gli acquisti siano a titolo gratuito, o nel
caso di operazioni di fusione o di scissione. Inoltre, l'obbligo di offerta non sussiste anche nel caso in cui la
partecipazione rilevante venga detenuta in seguito ad un'OPA rivolta a tutti i azionisti per la totalità dei titoli
in loro possesso.
L'articolo 107, invece, disciplina l'OPA Preventiva, che, in realtà, ha il mero scopo di evitare il lancio
dell'Opa totalitaria; infatti, l'obbligo di lanciare l'Opa non sussiste se la partecipazione rilevante venga ad
essere detenuta in seguito ad un'offerta pubblica di acquisto o scambio che avesse ad oggetto almeno il 60%
dei titoli di ogni categoria. Però:
– l'offerente non deve aver acquistato partecipazioni in misura superiore all'1% nei 12 mesi precedenti;
– l'offerta dev'essere approvata dagli azionisti che possiedano la maggioranza dei titoli in questione;
– e la Consob deve accordare l'esenzione, previa verifica delle condizioni stabilite.
Tuttavia, allo scopo di evitare l'elusione della disciplina, il 3°comma prevede che l'offerente debba
comunque lanciare l'opa se abbia effettuato acquisti di partecipazioni in misura superiore all'1% e se
l'assemblea della società emittente abbia deliberato operazioni di fusione o di scissione.
La disciplina dell'OPA residuale è stata soppressa in favore di un nuovo istituto, chiamato “obbligo di
acquisto”: infatti, la nuova formulazione dell'articolo 108 dispone che l'offerente che viene a detenere, in
seguito ad un'opa totalitaria, una partecipazione almeno pari al 95% ha l'obbligo di acquistare i restanti titoli
da chi ne faccia richiesta (e quando siano state emesse più categorie di titoli, l'obbligo sussiste solo per
quelle riferite alla soglia del 95%). Inoltre, chiunque venga a detenere una partecipazione superiore al 90%
del capitale rappresentato da titoli ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, ha l'obbligo di
acquistare i restanti titoli da chi ne faccia richiesta, se non ripristini entro 90 giorni un flottante sufficiente ad
assicurare il regolare andamento delle negoziazioni. Quindi, la principale differenza rispetto alla vecchia
formulazione sta nella biforcazione: infatti, il primo caso si riferisce al superamento di una soglia in seguito
ad un'opa totalitaria, mentre il secondo caso si riferisce a cause diverse dall'opa; inoltre, il primo caso
intende tutelare l'azionista che non abbia aderito all'opa, mentre il secondo intende tutelare la liquidità del
mercato dell'emittente.
Diverso dall'obbligo di acquisto è il diritto di acquisto, disciplinato dall'art.111: infatti, è stabilito che
l'offerente che venga a detenere una partecipazione almeno pari al 95% del capitale rappresentato da titoli in
una società italiana quotata, abbia il diritto di acquistare i titoli residui entro 3 mesi dalla scadenza del
termine per l'accettazione dell'offerta, se abbia dichiarato di volersi avvalere di questo diritto nel Documento
di Offerta. In pratica, si realizza una cessione forzosa delle azioni a cui segue una fuoriuscita forzata dei soci
di minoranza: in realtà, a ben vedere, non si tratta di un meccanismo volto a negare il diritto dell'azionista di
“restare in gioco”, ma di un meccanismo che si realizza automaticamente per il fatto che, con la scomparsa
di un mercato liquido, viene proprio meno la causa del rapporto originario tra l'azionista e la società.
Comunque, la repressione del fenomeno dell'Insider Trading si accompagna all'introduzione di nuove forme
di prevenzione delle condotte illecite, che hanno l'obiettivo di assicurare una maggior tracciabilità di queste
condotte (mediante il registro delle persone in possesso delle informazioni privilegiate) e quello di
assicurare la trasparenza delle operazioni che vengano realizzate da potenziali insiders (mediante obblighi di
comunicazione delle informazioni). In pratica, gli emittenti quotati e i soggetti che con essi abbiano un
rapporto di controllo devono istituire ed aggiornare un registro che consenta di identificare preventivamente
le persone che siano in possesso di informazioni privilegiate; inoltre, gli obblighi di comunicazione vanno
adempiuti sia nei confronti del pubblico che della Consob, ma hanno una portata episodica rispetto a quelli
sanciti dal 1°comma dell'art.114. Infatti, questi obblighi sono relativi ad alcune materie specifiche, come le
operazioni straordinarie – a cui, ad esempio, si aggiungono i verbali assembleari, le modifiche del capitale o
l'offerta di diritti di opzione. In particolare, le operazioni straordinarie sono: le fusioni, le scissioni, gli
aumenti di capitale mediante conferimenti in natura, l'acquisto e la vendita di azioni proprie, l'emissione di
obbligazioni e così via.
Invece, l'articolo 115 elenca gli obblighi di comunicazione alla Consob; infatti, quest'ultima può chiedere
notizie e documenti, assumere notizie mediante l'audizione dei soci, procedere ad ispezioni ed esercitare
ulteriori poteri al fine di vigilare sulla correttezza delle informazioni che devono essere fornite al pubblico.
D'altro canto, non esistono solo misure di prevenzione, ma anche di repressione; infatti, per quanto riguarda
le sanzioni penali, l'articolo 184 prevede la reclusione da 1 a 6 anni e una multa compresa tra 20.000 euro e
3 milioni per chi, sfruttando le informazioni privilegiate:
– acquisti, venda o compia altre operazioni su strumenti finanziari, direttamente o indirettamente, per
conto proprio o per conto di terzi;
– per chi comunichi tali informazioni a terzi estranei al normale esercizio del lavoro, della professione,
della funzione o dell'ufficio;
– e per chi raccomandi o induca altri al compimento di acquisti, vendite o altre operazioni facendo leva
sulle informazioni privilegiate.
Inoltre, la stessa pena si applica a chiunque compia tali atti per preparare o eseguire delle attività delittuose
(allo scopo di contrastare il coinvolgimento di organizzazioni criminali e gruppi terroristici in attività di
manipolazione del mercato). Da ciò si ricava che l'insider può essere tanto un socio, quanto un soggetto che
abbia acquisito l'informazione in relazione alla carica ricoperta.
Oltre alle sanzioni penali (che in realtà erano facoltative), la Direttiva 2003/6 aveva imposto l'adozione di
sanzioni amministrative per le stesse condotte che configurano il reato di abuso di informazioni
privilegiate; tuttavia, le fattispecie rilevanti sul pano delle sanzioni amministrative contemplano anche
l'ipotesi dell'abuso commesso da chiunque compia uno degli atti vietati per il solo fatto di conoscere o
riconoscere il carattere privilegiato delle informazioni sulla base dell'ordinaria diligenza = quindi, in questa
categoria rientrano i cosiddetti “insider secondari”.
La manipolazione del mercato comprende tutti i comportamenti atti a perturbare il funzionamento normale
del mercato mobiliare, di cui possono essere esempio: la diffusione di informazioni false sugli strumenti
finanziari; il compimento di operazioni fuorvianti sulla situazione di mercato di uno specifico strumento
finanziario; o il compimento di ordini che utilizzino artifizi o raggiri. Tuttavia, questa materia non era ignota
al sistema italiano, perchè poteva essere ricondotta al reato di aggiotaggio – che ora vale per gli strumenti
non quotati.
Comunque, a volte non è semplice tracciare il confine tra la manipolazione del mercato e l'attività
speculativa, per cui un criterio discretivo – sul piano penale – può essere rintracciato nel fatto che queste
condotte devono essere concretamente idonee a provare “una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti
finanziari”; sul piano amministrativo, invece, l'impostazione risulta più vaga, sicché spetta alla Consob
individuare gli elementi e le circostanze da prendere in considerazione per la valutazione dei comportamenti
che configurino manipolazioni del mercato, prendendo in considerazione gli esempi elaborati a livello
comunitario.
E, infatti, il CESR ha individuato alcune esemplificazioni di pratiche manipolative.
E ne sono esempi: il Painting the Tape (che consiste nel realizzare un'operazione che viene mostrata al
pubblico su strutture telematiche al fine di creare l'apparenza del movimento di prezzo di uno specifico
strumento finanziario), il Marking the Close (che consiste nell'acquistare o vendere strumenti finanziari
verso la fine delle negoziazioni, così da alterarne il prezzo finale), l'Abusive Squeeze (che, in sostanza,
costituisce un abuso di posizione dominante), il Trash and Cash (che si realizza quando un soggetto prenda
una posizione ribassista su uno strumento finanziario, diffondendo informazioni negative false, così da
ridurne il prezzo e acquistare gli strumenti a prezzi sensibilmente più bassi) e il Pump and Dump (che è un
comportamento speculare al T&C).
Tuttavia, la disciplina europea ha voluto considerare come “legittime” alcune prassi che normalmente
vengono adottate nei mercati, e che, in effetti, sono solo potenzialmente manipolative - però è chiaro che non
possano beneficiare dell'esenzione tutte quelle operazioni che richiedano artifizi, inganni e notizie
palesemente false o fuorvianti. Comunque, ai fini del riconoscimento dell'esenzione è necessaria
un'omologazione da parte dell'Autorità di Vigilanza, mediante un procedimento consultivo che coinvolge
emittenti, intermediari, consumatori e altre autorità, sia italiane, che estere.
La direttiva 2003/6 tratta anche della disciplina degli studi e delle ricerche, allo scopo di assicurare una certa
trasparenza nelle raccomandazioni di investimento – dove quest'ultime sono informazioni volte a proporre o
raccomandare una specifica strategia d'investimento. Pertanto, la linea di demarcazione rispetto al servizio di
consulenza sta nel fatto che le raccomandazioni devono essere rivolte al pubblico, mentre il servizio di
consulenza offre consigli personalizzati.
D'altro canto, anche i giornalisti e le agenzie di rating sono state oggetto di una precisa disciplina: infatti,
l'agenzia di rating (o agenzia di valutazione) è una persona giuridica che assegna un giudizio sulla solidità e
la solvibilità di una società che emetta dei titoli sul mercato finanziario; quindi, i rating sono dei voti che
vengono assegnati su una scala prestabilita. In pratica, nell'Unione Europea, queste agenzie devono
registrarsi: cioè, devono presentare la domanda al CESR, e quest'ultimo deve darne informazione alle
competenti Autorità degli Stati Membri, esprimendosi sulla completezza della domanda. Ovviamente, le
agenzie di rating sono tenute ad adottare tutte le misure necessarie per garantire che l'emissione dei voti non
sia influenzata da relazioni d'affari o da conflitti di interesse.
Ancora, i divieti sull'abuso di mercato rischiano di rendere del tutto irrealizzabili alcune operazioni
legittime, come le operazioni di acquisto di azioni proprie e le operazioni stabilizzazione (cioè le operazioni
di compravendita di strumenti finanziari svolte in concomitanza con l'ammissione alla quotazione degli
strumenti stessi): e queste operazioni sono oggetto del cosiddetto Safe Harbour, cioè sono escluse dai
divieti della Direttiva 2003/6.
Nell'ambito della prevenzione, la Direttiva 2003/6 prevede anche che gli Stati Membri debbano adottare
delle disposizioni volte ad imporre agli intermediari abilitati dei precisi obblighi di segnalazione delle
operazioni sospette, che risponde all'obiettivo di coinvolgere direttamente i soggetti nella prevenzione delle
condotte illecite. Tuttavia, qui si può porre un problema di bilanciamento tra l'obbligo di segnalazione e
l'obbligo di esecuzione degli ordini, ma la questione non è stata risolta né sul fronte comunitario né sul
fronte interno.
Infine, con il recepimento della Direttiva 2003/6 sono stati rafforzati anche i poteri della Consob, che, infatti
può irrogare direttamente le sanzioni amministrative stabilite per la violazione della disciplina sugli abusi di
mercato. Inoltre, può avvalersi di altre amministrazioni e richiedere la comunicazione di dati personali anche
in deroga alle disposizioni in tema di privacy; e, infine, ulteriori attribuzioni derivano anche dall'interazione
tra il procedimento penale e il procedimento amministrativo, perchè, infatti: se il PM abbia notizia di uno dei
reati previsti dalla disciplina sull'abuso di mercato è tenuto ad informare senza ritardo il Presidente della
Consob, così che quest'ultimo possa trasmettergli la documentazione da cui possa evincersi l'esistenza di un
reato – fermo restando che la Consob sia sempre legittimata a costituirsi parte civile nel processo penale.
Infine, le fattispecie di abuso del mercato rientrano tra i “reati presupposto” in tema di responsabilità
amministrativa degli enti – e la responsabilità dell'ente può essere esclusa solo se gli autori materiali del
reato abbiano agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi, o se l'ente provi di aver adottato dei modelli
organizzativi e di gestione idonei a prevenire il reato commesso.
Per quanto riguarda le deleghe di voto, il decreto legislativo 27/2010, prevede che, nelle società quotate: la
società sia tenuta a designare per ogni assemblea un soggetto al quale gli azionisti possano conferire
gratuitamente una delega; la soppressione dei limiti quantitativi al cumulo di deleghe da parte del medesimo
rappresentante; e che il rappresentante debba comunicare per iscritto al socio le circostanze da cui derivi una
sua condizione di conflitto di interessi.
La disciplina delle società quotate contempla anche altri 2 istituti volti ad agevolare la raccolta delle
deleghe, agli articoli 136 e 144 del TUF; vale a dire la sollecitazione e la raccolta delle deleghe.
La sollecitazione delle deleghe è la richiesta di conferimento di deleghe di voto rivolta a tutti gli azionisti
che abbiano diritto di voto nell'assemblea, da parte di uno o più soggetti interessati al rilascio, che
richiedono l'adesione a specifiche proposte di voto, che possono riguardare anche solo alcuni degli
argomenti all'ordine del giorno. Per assicurare il corretto svolgimento della sollecitazione, questa non può
essere effettuata direttamente dal committente: costui deve necessariamente rivolgersi ad un intermediario,
che operi su suo incarico e per suo conto, mediante la diffusione di un prospetto e di un modulo di delega, il
cui contenuto è determinato dalla stessa Consob con proprio regolamento.
La sollecitazione delle deleghe, perciò, coinvolge necessariamente due soggetti: il committente e
l'intermediario. Per entrambi sono stabiliti specifici requisiti. Infatti, il committente deve già possedere
almeno l'1% delle azioni con diritto di voto nell'assemblea per cui sia richiesta la delega e inoltre deve essere
già iscritto da 6 mesi nel libro dei soci. In pratica, potranno avvalersi della sollecitazione: l'attuale gruppo di
comando minoritario e gli azionisti di minoranza stabili.
Il ruolo di intermediario può essere svolto solo da soggetti operanti nel mercato mobiliare o da apposite
società di capitali, aventi per oggetto esclusivo l'attività di sollecitazione e la rappresentanza dei soci in
assemblea, e che posseggano i requisiti di onorabilità previsti per le Sim.
La raccolta di deleghe, invece, è la richiesta di conferimento di deleghe di voto, effettuata dalle associazioni
di piccoli azionisti, esclusivamente nei confronti dei propri associati.
L'art.147 del TUF richiede che gli statuti delle società quotate prevedano un sistema di nomina del Consiglio
di Amministrazione basato sul “voto di lista”, per il quale la legge fissa un limite (pari al 2,5% del capitale)
come soglia massima per la presentazione delle liste; inoltre, almeno un membro del Consiglio di
Amministrazione deve essere espresso dalla lista di minoranza che abbia ottenuto il maggior numero di voti.
Il C.d.A. si compone di 7 membri, di cui almeno uno deve possedere i requisiti di indipendenza previsti per i
membri del Collegio Sindacale: e questa disposizione serve per istituzionalizzare la figura
dell'amministratore indipendente.
Le funzioni del Collegio Sindacale consistono nel vigilare sulla gestione dell'impresa, con l'obbligo di
scambiare informazioni con la Società di Revisione, perchè spetta a quest'ultima informare la Consob dei
fatti censurabili, dei casi di giudizio negativo sul bilancio e dei relativi effetti.