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LA TASSAZIONE NELL’ERA DIGITALE.

GENESI, DIFFUSIONE
ED EVOLUZIONE DELL’EQUALISATION LEVY

Abstract: The scenario described highlights how, pending a structural and multilateral
solution – advocated by the OECD, the transitional taxation proposals of the digital economy
converge on the idea of a tax having the characteristics of an Equalization Levy. A new idea of
taxation is emerging, suitable for identifying and realizing the tax capacity of corporations ope-
rating in the context of the digital economy and their users. It is therefore interesting to outline
the convergences and divergences between the OECD proposal, the solutions adopted by the
States that were inspired by it, the proposal developed by the European Union and the consequent
initiatives of some European countries. However, the maturation of the Equalisation Levy still
requires a complex phase: it is necessary to break the delay and overcome ambiguities, placing the
EL clearly and unequivocally in the system of consumption taxation and structuring it as an
excise, or a turnover tax. All possible problems of double taxation would thus be resolved at the
root.

Abstract: Lo scenario descritto evidenzia come, in attesa di una soluzione strutturale e


multilaterale – auspicata dall’OCSE, le proposte transitorie di tassazione della digital economy
convergano sull’idea di un tributo avente le caratteristiche di un Equalisation Levy. Si fa spazio
una nuova idea di materia imponibile, idonea ad identificare e concretizzare la capacità con-
tributiva delle imprese che operano nel contesto della digital economy e dei loro utenti. Appare
dunque interessante delineare le convergenze e divergenze tra la proposta dell’OCSE, le
soluzioni adottate dagli Stati che ad essa si sono ispirati, la proposta elaborata dell’Unione
Europea e le conseguenziali iniziative di alcuni Stati Europei. Tuttavia, la maturazione dell’E-
qualisation Levy richiede ancora una fase complessa: è necessario rompere gli indugi e superare
le ambiguità, collocando chiaramente ed inequivocabilmente l’EL nel sistema della tassazione
dei consumi e strutturandolo come un’accisa, o una turnover tax. Verrebbero cosı̀ risolti alla
radice tutti i possibili problemi di doppia imposizione.

SOMMARIO: Premessa – 1. La proposta OCSE sull’Equalisation Levy – 2. L’antesignana


iniziativa dell’India – 3. Le iniziative degli altri Stati sino al 2015 – 4. Le proposte
dell’Unione Europea – 5. L’iniziativa italiana – 6. L’iniziativa francese e gli altri progetti
– Conclusioni.

Premessa
L’idea di un’imposta perequativa sui profitti delle multinazionali del
web viene formulata nel Report finale (1) dell’Action 1 del progetto BEPS
(“Base Erosion and Profit Shifting. Addressing the Tax Challenges of the
Digital Economy”), pubblicato nel 2015, in cui l’OCSE, affronta la que-

(1) OCSE, Addressing the Tax Challenges of the Digital Economy, Action 1 – 2015 Final
Report, Paris, 2015.

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stione della tassazione dell’economia digitale, elaborando una serie di


proposte, senza però giungere ad una soluzione univoca e condivisa.
L’ OCSE ipotizza una nuova nozione di stabile organizzazione, un
sistema di ritenute alla fonte ed un’imposta perequativa, ma non compie
scelte nette, rimettendo ai singoli Paesi la facoltà di sperimentazione me-
diante misure domestiche, purché allineate alle sue proposte ed ai vincoli
posti dai trattati internazionali (2).
Quella dell’Equalisation Levy è la soluzione su cui gli Stati membri
hanno trovato maggiore condivisione (3), tanto che nel vertice Ecofin te-
nutosi a Tallinn il 15 e 16 settembre 2017, Germania, Francia, Italia e
Spagna hanno proposto di introdurre un’imposta sul fatturato delle web
companies estere (Equalisation Tax) (4); hanno poi aderito anche Austria,
Bulgaria, Grecia, Portogallo, Slovenia e Romania.
Appare dunque interessante delineare le convergenze e divergenze tra
la proposta dell’OCSE, le soluzioni adottate dagli Stati che ad essa si sono
ispirati, la proposta elaborata dell’Unione Europea nella Direttiva UE del
21 marzo 2018 (COM(2018) 148) e le conseguenziali iniziative di alcuni
Stati Europei. L’obiettivo è quello di capire quale tipo di Equalisation Levy
si va affermando nei vari Stati e se tale tributo sia, come sembra, la
soluzione più diffusa e praticabile rispetto alle proposte dell’OCSE ed alle

(2) Per un quadro generale, completo ed approfondito, vedi (a cura di) P. Pistone, D.
Weber, in AA.VV., Taxing the Digital Economy: The EU Proposals and Other Insights,
IBFD, Amsterdam, 2019; sui vincoli dei trattati internazionali v. specificamente ivi J.F.
Pinto Nogueira, The Compatibility of the EU Digital Service Tax with EU and WTO
Law: Requiem Aeternam Donate Nascenti Tributo, 247 ss.; AA.VV., Tax and the Digital
Economy, (a cura di) W. Haslehner, G. Kofler, K. Pantazatou, A. Rust, Wolter Kluwer, The
Netherlads, 2019; AA.VV., 4a Revolucion Industrial: la fiscalidad de la sociedad digital y
tecnologica en Espana y Latinoamerica, a cura di C. Garcia Novoa, Aranzadi, Pamplona,
2019; AA.VV., Profili fiscali dell’economia digitale, a cura di L. Carpentieri, Torino, 2020. Il
punto di vista Italiano è ampiamente illustrato da G. Corasaniti, La tassazione della digital
economy: evoluzione del dibattito internazionale e prospettive nazionali, Relazione Nazionale
Italiana, XXXI Jornadas Latinoamericanas de Derecho tributario – Guatemala 2020.
(3) O. Popa, Taxation of the Digital Economy in Selected Countries – Early Echoes of
BEPS and EU Initiatives, in European Taxation, 2016, 55; G. Kofler, J. Sinning, Equalization
Taxes and the EU’s “Digital Services Tax”, in AA.VV., Tax and the Digital Economy, cit.,
175; Commissione europea, Proposta di direttiva del consiglio relativa al sistema comune
d’imposta sui servizi digitali applicabile ai ricavi derivanti dalla fornitura di taluni servizi
digitali, COM(2018) 148 final, Bruxelles, 21 marzo 2018.
(4) Dichiarazione politica: iniziativa congiunta sulla tassazione delle società che opera-
no nell’economia digitale http://www.mef.gov.it/inevidenza/banner/170907_joint_initiati-
ve_digital_taxation.pdf, presentata alla Presidenza Estone del Consiglio da Germania, Fran-
cia, Italia e Spagna nel settembre 2017.
dottrina 1433

iniziative unilaterali di alcuni Stati che talvolta optano per soluzioni al-
quanto stravaganti.

1. - La proposta OCSE sull’Equalisation Levy


Nel Report finale OCSE del 2015, l’Equalisation Levy viene qualificato
come accisa e concepito come un’imposta gravante sui corrispettivi lordi
pagati da clienti residenti, per l’acquisizione di beni e servizi digitali, forniti
da imprese non stabilite, secondo il criterio di tassazione nel territorio
dello Stato del consumo (5).
Tuttavia, nelle sue valutazioni economiche l’OCSE considera nella
sostanza l’Equalisation Levy corrispondente all’imposta sui redditi che la
digital corporation non stabilita dovrebbe pagare ove fosse presente nello
Stato della fonte con una stabile organizzazione. Da questo punto di vista
sono molteplici i riferimenti di matrice reddituale, si pensi ai criteri di
quantificazione del prelievo, da commisurare (non giuridicamente, ma
economicamente) ai margini di profitto della ipotetica stabile organizza-
zione, ai rischi di doppia tassazione economica, alle ipotesi di deducibilità
dell’EL pagato nello Stato della fonte dall’imposta sui redditi dovuta nello
Stato della residenza ecc. (6).
Ciononostante, dal punto di vista giuridico l’EL è un’imposta indiretta,
riconducibile allo schema delle accise. Ciò è comprovato dal suo fonda-
mentale obiettivo: intercettare il valore prodotto nelle transazioni digitali
internazionali e tassarlo nello Stato del consumo, attraverso un’imposta
che prescinda, a differenza delle imposte sui redditi, dalla localizzazione
del fornitore, cosı̀ evitando tutte le problematiche connesse all’individua-
zione di adeguati criteri di collegamento per le digital corporations. A
differenza, però, di altre imposte indirette, come ad esempio l’iva, l’EL gra-
verebbe non sul consumatore finale ma sul fornitore dei beni e servizi
(salva la traslazione economica) e non sarebbe necessariamente commisu-
rato al corrispettivo pattuito nelle transazioni, potendo essere quantificato
in funzione del volume dei dati e più in generale dei prodotti e servizi
venduti (7).

(5) Final Report OCSE 2015, p. 276-277.


(6) Final Report OCSE 2015, p. 276-277.
(7) Nel Final Report del 2015 l’OCSE fornisce una breve descrizione delle caratteri-
stiche dell’excise tax cui riconduce l’Equalisation Levy: “The excise tax is commonly imposed
on the sale of specifically listed products, such as alcohol, tobacco, motor fuels and insurance. It
is generally designed as a tax on final consumption but the seller is responsible for collecting
and remitting the tax. It shares common features with sales taxes, except that an excise tax may
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Quindi, più che una soluzione chiara e netta, l’OCSE avanza un’idea
di tassazione, dai contorni appena abbozzati, prospettando diverse possi-
bili ipotesi di applicazione, in funzione delle scelte di politica fiscale di
volta in volta perseguite dagli Stati, nell’ambito di un ampio range.
Ove si optasse per l’obiettivo più ambizioso, di ristabilire un uguale
trattamento tra imprese residenti e non residenti operanti nel settore del-
l’economia digitale, tassando le transazioni che oggi sfuggirebbero ad im-
posizione per via della difficoltà di intercettare i relativi redditi e di loca-
lizzarli nel territorio dello Stato della fonte, allora l’imposta dovrebbe
essere concepita in termini più ampi possibili e quindi trovare applicazione
a tutte le transazioni digitali concluse in remoto con clienti residenti nello
Stato. Ciò a condizione che l’impresa fornitrice abbia una “presenza eco-
nomica significativa” in quello Stato, supposta come esistente per il solo
fatto che ci sia un consumo di beni e di servizi prestati dall’impresa
stessa (8). Questa ipotesi potrebbe essere qualificata come Comprehensive
Equalisation Levy.
In alternativa, e in modo meno ambizioso, ma forse più praticabile nel
breve periodo, si palesa la possibilità di limitare l’applicazione dell’imposta
alle sole transazioni che comportano la conclusione di un contratto per la
vendita di beni e servizi tra due o più parti attraverso una piattaforma
digitale (9); anche in tal caso l’imposta verrebbe commisurata al corrispet-
tivo lordo pattuito per la cessione del bene o la prestazione del servizio. Si
potrebbe parlare di Digital Platform Equalisation Levy.

not vary with the price of the product being sold. Instead it may be levied on a specific basis,
such as the unit of weight or volume of products sold. The tax basis is however flexible in
practice, and may include the fair market value of products sold or gross receipts from sales, as
presented in the option discussed above in Chapter 7. It can also be designed to impose a tax
on a single stage in the production process (e.g. retail sale in the country where consumption
occurs)” (Final Report, cit., 116). Sul tema delle accise v. il recente studio di C. Verrigni, Le
accise nel sistema di tassazione dei consumi, Torino, 2017.
(8) “If the policy priority is to tax remote sales transactions with customers in a market
Jurisdiction, one possibility is to apply the Levy to all transactions concluded remotely with in-
country customers. To target the scope of the Levy more closely to the situation in which a
business establishes and maintains a purposeful and sustained interaction with users or custo-
mers in a specific country via an online presence, the Levy would be applied only where the
business maintains a significant economic presence as described above” (2015 Final Report,
cit., 116).
(9) “An alternative would be to limit the scope to transactions involving the conclusion
through automated systems of a contract for the sale (or exchange) of goods and services
between two or more parties effectuated through a digital platform (...)The Levy would be
imposed on the gross value of the goods or services provided to in-country customers and users,
paid by in-country customers and users, and collected by the foreign enterprise via a simplified
registration regime, or collected by a local intermediary” (Final Report, cit., 116).
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Questa soluzione di compromesso potrebbe suscitare perplessità in


quanto non consentirebbe di conseguire appieno la finalità di evitare
forme di discriminazione tra imprese residenti e non residenti operanti
sul mercato del web ed in più finirebbe per disincentivare questa forma di
transazione, risultando di fatto penalizzante per le digital corporations e
favorendo le forme più tradizionali di commercio. Ma tale fattore diffe-
renziale, apparentemente critico, tende invero a promuovere un riequili-
brio concorrenziale e quindi una opportuna perequazione nel mercato (10).
Altra possibile forma di applicazione dell’Equalisation Levy, proposta
dall’OCSE, è quella di un’imposta che colpisce i dati raccolti dai clienti e
dagli utenti residenti, in funzione del numero medio di utenze mensili
registrate nel Paese (Montly Active Users) (11). I limiti però di questa forma
di tassazione sarebbero connessi all’incerta quantificazione del volume dei
dati e del valore degli stessi, variabile in funzione dell’uso che di essi ne
verrebbe fatto. Quindi un MAU Equalisation Levy.
Al di là della soluzione scelta dagli Stati membri, poi, l’OCSE eviden-
zia ulteriori criticità da risolvere in caso di opzione per forme di imposi-
zione riconducibili all’EL.
Innanzitutto, se, come chiarito, l’obiettivo principale è quello di ga-
rantire un uguale trattamento a imprese residenti e non residenti, allora
l’imposta dovrebbe gravare su entrambe allo stesso modo. Ne deriverebbe
una doppia imposizione economica, in quanto la stessa ricchezza verrebbe
tassata due volte sia in capo alle imprese residenti, già soggette alle imposte
sui redditi prodotti in quello Stato, sia in capo alle imprese non residenti,
soggette all’EL nello Stato della fonte e alle imposte sul reddito nello Stato
di residenza. Occorrerebbe, dunque, neutralizzare gli effetti di questa
doppia imposizione prevedendo, per le imprese residenti, la deducibilità
dell’EL dall’imposta sui redditi e, per le imprese non residenti, l’applica-
zione dell’imposta soltanto nel caso in cui lo Stato di residenza non assog-
getti il relativo reddito a tassazione o preveda aliquote molto basse (12); in

(10) E risponderebbe quindi alla ratio del Equalisation Levy, “intended to address a
disparity in tax treatment between foreign and domestic businesses where the foreign business
had a sufficient economic presence in the jurisdiction” (OCSE, Tax Challenges Arising from
Digitalisation – Interim Report 2018, Inclusive Framework on BEPS, Paris, 2018, 19); del
resto l’OCSE ha avuto modo di evidenziare che “depending on the structure of the levy, one
option that could be considered would be to impose the tax on both domestic and foreign
entities” (Final Report, cit., 117).
(11) “Alternatively, if the policy priority is to tax the value considered to be directly
contributed by customers and users, then a Levy could be imposed on data and other contri-
butions gathered from in-country customers and users” (Final Report, cit., 116).
(12) “In the case of a foreign entity, for example, if the income is subject to corporate
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alternativa, sempre per le imprese non residenti, si potrebbe pensare di


utilizzare il metodo tradizionale del credito d’imposta, riconoscendo, cioè,
alle stesse, un credito per l’EL pagato nello Stato della fonte, da utilizzare
in compensazione con le imposte sul reddito dovute nello Stato di resi-
denza (13).
Il Final Report OCSE del 2015 si configura comunque come mera
tappa intermedia rispetto al progetto definitivo, la cui pubblicazione è
prevista per la fine del 2020 o al massimo del 2021.
Nell’Interim Report del 2018 l’OCSE riprende l’idea dell’EL ed esa-
mina le prime esperienze degli Stati che hanno implementato la misura;
tuttavia l’OCSE si mostra più prudente, rispetto al Final Report del 2015,
giacché sul piano concettuale tende a sfumare le peculiarità del nuovo
tributo riconducendolo genericamente alle c.d. turnover taxes (imposte
sul volume d’affari), e sul piano programmatico tende a relegare l’EL nel-
l’ambito delle misure nazionali provvisorie, in attesa di raggiungere un
consenso generale su meccanismi più strutturali (14).
In seguito l’OCSE ha attenuato ulteriormente il suo interesse per
l’EL concentrando tutti i suoi sforzi per raggiungere soluzioni strutturali
ampie e condivise (nuovo concetto di stabile organizzazione, catena di
creazione del valore, formula apportionment, ecc.).
In una Policy Note del 2019 (15), sono stati individuati “due pilastri” di
azione, molto proiettati sulla digitalizzazione dell’economia, ma in cui
l’EL non è più menzionato; l’idea che sta sullo sfondo è che non si ritiene
più proficuo differenziare l’economia digitale da quella tradizionale, pren-
dendosi atto della generalizzata digitalizzazione dell’economia.
Nell’Inclusive Framework, approvato dal G20 nel giugno 2019, è stata
ribadita l’importanza di un “Unified Approach” in vista di soluzioni con-

income tax in the country of residence of the enterprise, the Levy would be unlikely to be
creditable against that tax. To address these potential concerns, it would be necessary to
structure the Levy to apply only to situations in which the income would otherwise be untaxed
or subject only to a very low rate of tax” (Final Report, cit., 117).
(13) “Another approach could be to allow a taxpayer subject to both CIT and the Levy to
credit the Levy against its domestic Corporate Income Tax. Such an approach would ensure
that foreign entities with no nexus for Corporate Income Tax purposes would be subject only
to the Levy in the source country, while the tax burden of entities subject to corporate tax
would effectively be limited to the greater of the Corporate Income Tax or the Levy” (Final
Report, cit., 117). Su tali questioni v. P. Arginelli, La compatibilità dell’Imposta sui servizi
digitali con le convenzioni per evitare le doppie imposizioni concluse dall’Italia, in AA.VV.,
Profili fiscali dell’economia digitale, cit., 87 ss.
(14) Interim Report 2018, cit., 140 ss., 178 ss.
(15) OCSE, Addressing the Tax Challenges of the Digitalisation of the Economy – Policy
Note, as approved by the Inclusive Framework on BEPS, Paris, 2019.
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divise entro la fine del 2020 (16), ma di nuovo nessun cenno all’EL. Del
resto dalle consultazioni pubbliche svoltesi nel corso degli anni 2018-2019
(tutte consultabili sul sito dell’OCESE) risulta abbastanza chiaro che gli
stakeholder e le lobby hanno formulato pesanti critiche nei confronti del-
l’EL, riprendendo ed accentuando oltre misura le perplessità formulate
dalla stessa OCSE nell’Interim Report del 2018. Inoltre il crescente disin-
teresse dell’OCSE per l’EL rievoca l’ancestrale patto implicito a base del
global forum per le politiche fiscali internazionali, secondo cui la tassazione
delle multinazionali deve essere centrata sulle imposte sui redditi piuttosto
che sulle imposte di consumo.
Tuttavia nonostante l’EL perda quota nei lavori dell’OCSE, per esso si
riscontra un notevole interesse, prima da parte dell’India, che lo ha intro-
dotto nel 2016, poi da parte dell’Unione Europea, che nel 2018 ha ela-
borato un’apposita bozza di Direttiva, ed al contempo da molti Stati
(Italia, Francia, ecc.) che iniziano ad introdurre nei loro sistemi fiscali
questa nuova forma di tassazione della digital economy.

2. - L’antesignana iniziativa dell’India


Particolarmente significativa, tanto da essere oggetto di esame e di
discussione anche in sede OCSE, è stata la soluzione indiana del 2016,
che si è posta quindi come antesignano esperimento attuativo delle linee
guida OCSE.
L’India ha introdotto un’imposta perequativa – un Equalisation Levy –
sui ricavi lordi delle imprese che non hanno una “presenza economica
significativa” nel Paese (17).
In generale, il sistema di tassazione indiano si basa su un’imposta che il
cliente residente, sia esso un consumatore finale o un intermediario, deve
trattenere, mediante l’applicazione di una ritenuta alla fonte a titolo d’im-
posta, nella misura del 6%, sul corrispettivo lordo corrisposto all’impresa
non residente e priva di stabile organizzazione in India, a fronte dei servizi

(16) OCSE, Programme of Work to Develop a Consensus Solution to the Tax Challenges
Arising from the Digitalisation of the Economy, OCSE/G20 Inclusive Framework on BEPS,
Paris, 2019.
(17) Il Finance Act Indiano del febbraio 2016 (Finance Act no. 18 of 2016) contiene un
apposito Capitolo VIII, intitolato Equalization Levy. Per un commento critico, v. G. Kofler,
J. Sinnig, Equalization Taxes and Eu’s “Digital Services Taxes”, in Intertax, 2019, 176; M.K.
Singh, Taxation of digital economy: an Indian perspective, ibidem, 2017, 467; S. Basak,
Equalization Levy: A New Perspective of E-Commerce Taxation, ibidem, 2016, 845; S. Wagh,
The Taxation of Digital Transactions in India: The New Equalization Levy, in Bulletin Intern.
Taxation, 2016, 548.
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on line dalla stessa prestati; tali servizi includono soltanto la pubblicità


online ed i servizi ad essa correlati, ma il Governo indiano si riserva, in
ogni caso, la facoltà di ampliare la lista dei servizi “qualificati”, cosı̀ da
comprendervi anche altre tipologie di transazioni digitali (18).
Nello specifico, poi, è prevista una soglia di fatturato minimo (pari a
100.000 rupie) e un ambito applicativo ristretto alle sole transazioni B2B.
In particolare, la ritenuta non è applicata nei casi in cui (19): il soggetto non
residente, che fornisce i servizi specificati, ha una “presenza economica
significativa” in India e la prestazione è collegata alla stessa stabile orga-
nizzazione che ne ha ivi realizzato i presupposti e pagato quindi in India
l’imposta sul reddito; l’importo complessivo per il servizio erogato dal
soggetto non residente non supera l’ammontare di una rupia; il pagamento
effettuato, dal soggetto residente in India non è posto in essere nell’ambito
di un’attività di impresa.
Circa la natura del prelievo, già dai lavori preparatori, emerge che non
si tratta di una forma di imposizione sui redditi (20), ma di una imposta
indiretta gravante sui pagamenti lordi e prelevata in modo definitivo at-
traverso il sistema della sostituzione d’imposta; sembra quindi un’imposta
sui consumi, quand’anche gravante giuridicamente sul fornitore e non sul
consumatore, come è proprio delle accise (21).
Trattandosi di un’imposta che non colpisce il reddito, non rientra nel
campo di applicazione delle Convenzioni contro le doppie imposizioni,
pur potendo configurare una doppia imposizione economica.
Comunque nella disciplina indiana sono presenti profili di ambiguità,
giacché taluni profili fanno emergere elementi di rilievo reddituale. Basti
pensare all’esclusione dalla tassazione nel caso in cui la stabile organizza-

(18) Sec. 162 (i) del Finance Act, 2016.


(19) Sec. 162 del Finance Act, 2016.
(20) Nel documento Proposal for Equalization Levy, in www.incometaxindia.gov.in, 84-
85 si legge: “designed as tax on the gross payments for digital goods and services, which is
different from corporate income tax, but similar in design to the withholding tax”. “(...) as the
Equalization Levy is not imposed on income, it does not fall within the scope of ‘income-tax’ or
‘tax on income’ or ‘any identical or substantially similar taxes’, which typically define the scope
of taxes covered within the tax treaties”. In merito v. tuttavia le critiche di S. Govind,
Unilateralism in Taxing the Digitalized Economy: Comparing the EU Digital services Tax
Proposal and the Indian Equalisation Levy, in AA.VV., Taxing the Digital Economy, cit., 161.
(21) L’Interim Report OCSE del 2018 ritiene che il tributo Indiano si collochi fuori dal
quadro delle imposte sui redditi, configurandolo una turnover tax (140-142); in senso
analogo C. Garcia Novoa, Los grandes retos fiscales de la economı´a digital desde la perspectiva
europea, in AA.VV., 4a Revolucion Industrial: la fiscalidad de la sociedad digital, cit.
dottrina 1439

zione della digital corporation non residente paghi in India l’imposta sui
redditi.
Si tratta comunque della prima applicazione della proposta OCSE in
tema di EL (22).
Tuttavia, la soluzione indiana non si sottrae alle critiche di fondo – già
emerse in ambito OCSE – concernente la disparità di trattamento tra
digital corporations e imprese “tradizionali” e, anche nell’ambito delle
prime, tra imprese fornitrici di servizi di pubblicità on line, espressamente
rientranti nel campo di applicazione dell’imposta e altri servizi digitali. Ma
queste critiche sono superabili ove si consideri che la disparità tra digital
corporations ed imprese tradizionali è giustificata proprio dalle finalità
perequative, tendendo a promuovere un riequilibrio concorrenziale.
In un’ottica evolutiva sembrerebbe poi opportuno ampliare la platea
dei servizi tassabili (come la normativa indiana già prevede), sino a ricom-
prendere anche le operazioni B2C, attualmente escluse, cosı̀ come in ge-
nerale tutte le operazioni che si perfezionano mediante cessioni di beni o
prestazioni di servizi su piattaforma digitale.
In tal modo il tributo Indiano giungerebbe a configurarsi come Digital
Platform Equalisation Levy, collocandosi in modo più definito nell’ambito
dei tre tipi di EL delineati dall’OCSE (v. retro § 1).

3. - Le iniziative degli altri Stati sino al 2015


Diversi Stati Europei hanno cercato di trovare soluzioni per la tassa-
zione della digital economy in via unilaterale e domestica, sia prima del-
l’intervento dell’OCSE, sia dopo. Con una fondamentale differenza: le
varie forme di tassazione anteriori al 2015 non rispondevano ad alcun
modello, risultando alquanto estemporanee e stravaganti. Dopo il 2015
si è assistito invece ad una maggiore uniformità di azione, stante l’affer-
mazione e la diffusione delle proposte formulate dall’OCSE (v. infra §§ 5
e 6).
In questa sede ci si limita a segnalare esclusivamente quegli interventi
legislativi che presentano punti di contatto con l’EL, piuttosto che collo-
carsi nell’area delle imposte sui rediti, ancorché nella prima fase si sia
trattato per lo più di misure di corto respiro:

(22) L’Interim Report OCSE del 2018 dedica un approfondimento al tema, nel Box n.
4.3 intitolato India’s Equalisation Levy, evidenziando i profili critici del nuovo tributo
Indiano ed i caratteri di somiglianza con la proposta del Final Report OCSE del 2015, 142.
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- nel 2003 in Francia è stata introdotta una tassa sui prodotti audio-
visivi, poi estesa ai video on demand ed infine a tutti i prodotti audiovisivi
materiali e digitali; L’OCSE ha mostrato interesse per questo tributo fran-
cese, ancorché alquanto settoriale e di limitato impatto (23);
- nel 2010 in Ungheria è stata introdotta una imposta sui servizi di
comunicazione elettronica nel settore delle telecomunicazioni;
- nel 2011 in Francia è stata introdotta, ma poi subito abrogata, una
tassa sui servizi di pubblicità on line (art. 302-bis KI del Code Général des
Impots);
- nel 2013 in Italia è stato introdotto, ma non è mai entrato in vigore,
un apposito regime iva per la pubblicità on line (art. 17-bis, d.p.r. n. 633
del 1972);
- nel 2014 in Ungheria è stata introdotta una tassa sulla pubblicità
(digitale e tradizionale), ancora oggi vigente, ma ripetutamente riformata
ed emendata, in ragione dei profili di illegittimità comunitaria. L’OCSE ha
esaminato attentamente il tributo ungherese, ritenendolo però scarsamente
significativo ed alquanto distante dal modello dell’EL (24);
- nel 2014 in Catalogna è stata introdotta una imposta sui servizi di
accesso al web (25).
È agevole comprendere che si tratta di esperienze variegate ed acerbe,
del tutto inadeguate per rispondere alle sfide fiscali della digital economy.
Tuttavia presentano profili di interesse per i punti di contatto con l’EL e
soprattutto per la scelta di campo compiuta, giacché si collocano nel
settore dell’imposizione sui consumi, anticipando quelli che saranno poi
gli orientamenti dell’Unione Europea e di Italia, Francia, Germania e
Spagna.

4. - Le proposte dell’Unione Europea


La fase degli interventi estemporanei si chiude con il Final Report
OCSE del 2015 e con le consequenziali iniziative dell’Unione Europea (26).

(23) Interim Report OCSE 2018, 146-147.


(24) Interim Report OCSE 2018, 145.
(25) Su tutte queste misure, per i riferimenti normativi, bibliografici e giurisprudenziali,
si veda AA.VV., La Digital Economy nel sistema tributario Italiano ed Europeo, (a cura di) L.
del Federico, C. Ricci, Padova, 2015, e M. Piasente, Reazioni internazionali e nazionali in
tema di web e digital tax, in AA.VV., Profili fiscali dell’economia digitale, cit., 25 ss.
(26) Commissione europea, Un sistema fiscale equo ed efficace nell’Unione Europea per
il mercato unico digitale, Comunicazione della commissione al Parlamento europeo e al
Consiglio, Bruxelles, 21 settembre 2017.
dottrina 1441

Le iniziative della Commissione EU, trasmesse al Consiglio e al Parla-


mento con una Comunicazione del 21 marzo 2018 (27), sono confluite in
due proposte di direttiva (28) volte a fornire una soluzione strutturale (29) e
una medio tempore (30).
Analogamente agli studi dell’OCSE, la soluzione strutturale fa perno
sul concetto di “presenza fiscale significativa” e mira a risolvere il problema
del nexus, della creazione del valore, ecc. Tuttavia la Commissione, con-
sapevole delle difficoltà di trovare soluzioni e consenso su tali questioni di
fondo, formula una proposta transitoria e di più agevole ed immediata
implementazione, nella Direttiva “sui servizi digitali applicabile ai ricavi
derivanti dalla fornitura di taluni servizi digitali” (31).
Significative sono le motivazioni che giustificano una simile scelta,
essenzialmente riconducibili alla necessità di uniformare le legislazioni
fiscali degli Stati membri che hanno adottato soluzioni unilaterali, nell’ot-
tica di un miglioramento della competitività delle imprese europee, in
attesa che si addivenga, in sede OCSE, ad una soluzione definitiva, con-
divisa a livello internazionale.
Nella proposta di Direttiva si tratteggia l’Imposta sui Servizi Digitali,
come un’imposta indiretta gravante sui ricavi lordi derivanti dalla fornitura
di servizi digitali “qualificati”.
A tal fine rilevano: – a) i servizi di collocazione su una piattaforma
digitale di contenuti pubblicitari mirati agli utenti di tale interfaccia (ad es.
Google, Facebook, ecc.); – b) la messa a disposizione degli utenti di una
piattaforma digitale multilaterale che agevoli l’interazione fra gli stessi

(27) Commissione europea, Comunicazione della commissione al parlamento europeo e


al Consiglio. È giunto il momento di istituire norme fiscali moderne, eque ed efficaci per
l’economia Digitale, COM(2018) 146 final, Bruxelles, 21 marzo 2018.
(28) Per un’analisi delle due proposte v. AA.VV., Taxing the Digital Economy: The EU
Proposals, cit.
(29) Commissione europea, Proposta di direttiva del consiglio che stabilisce norme per la
tassazione delle società che hanno una presenza digitale significativa, COM(2018) 147 final,
Bruxelles, 21 marzo 2018.
(30) Commissione europea, Proposta di direttiva del consiglio relativa al sistema comune
d’imposta sui servizi digitali, cit.
(31) Per un approfondimento v.: L. Simmonds, Comments of the Digital Services Tax: A
Panacea or Placebo for the Taxation of the Digital Economy ?, in AA.VV., Tax and the Digital
Economy, cit., 177 ss.; M. Lamenesch, Digital Service Tax: A Critical Analysis and Compa-
rison with the VAT System, ibidem, 225 ss.; M. Greggi, La tassazione dell’economia digitale
nel contesto europeo: la proposta di direttiva sulla Digital Service Tax, in AA.VV., La tassa-
zione dell’economia digitale tra sviluppi recenti e prospettive future, in Diritto, mercato,
tecnologia, numero speciale, 2019, 113 ss.; D. Stevanato, Dalla Proposta di Direttiva europea
sulla Digital Services Tax all’imposta italiana sui servizi digitali, AA.VV., Profili fiscali del-
l’economia digitale, cit., 115 ss.
1442 diritto e pratica tributaria internazionale n. 4/2020

utenti e le eventuali cessioni di beni e prestazioni di servizi direttamente


tra gli utenti (ad es. streaming Tv, Netflix, ecc.); – c) la trasmissione di dati
raccolti sugli utenti e generati dalle attività degli utenti sulle interfacce
digitali (ad es. Air-Bnb, Uber, ecc.).
Vi sono poi rilevanti esclusioni la cui ratio è rinvenibile nelle finalità
stesse della nuova imposta: in sostanza, nei considerando si chiarisce che i
servizi che producono ricavi imponibili sono soltanto quelli nei quali l’in-
terfaccia digitale è usata per generare il contributo dell’utenza, ovverossia
quelli nei quali il contributo degli utenti alla creazione di valore è signifi-
cativo.
Nello stesso senso vanno pure le disposizioni concernenti la definizio-
ne dei soggetti passivi dell’ISD.
Infatti, onde limitare l’applicazione dell’ISD alle imprese di grandi
dimensioni, in grado di offrire servizi digitali ad un elevato numero di
utenti, in modo che il valore creato dalla partecipazione degli stessi sia
particolarmente significativo, la proposta prevede il superamento congiun-
to di due soglie dimensionali: soggetti passivi sarebbero, infatti, le imprese
o i gruppi di imprese che dichiarano ricavi, a livello mondiale, superiori a
750.000.000 euro, ovvero, all’interno dell’UE, superiori a 50.000.000 euro.
L’ISD si applicherebbe, con aliquota del 3% sui ricavi lordi, nello
Stato della fonte, in sostanza del consumo (32), che è quello in cui è
localizzato l’utente che genera “valore” per l’impresa, ma che, in termini
tradizionali si configura come consumatore.
Il luogo in cui si considera situato l’utente è quello in cui è posto il
dispositivo per accedere all’interfaccia digitale per mezzo della quale sono
forniti i servizi, individuabile, quindi, in funzione dell’indirizzo IP del
dispositivo informatico (33).
Per utente si intende chiunque utilizzi i servizi digitali, a prescindere
dall’ambito e dalle finalità per le quali ne fruisce, ben potendo agire
nell’esercizio di imprese, arti e professioni, ma anche come privato; per-
tanto, l’imposta si applicherebbe sia alle transazioni B2B sia a quelle B2C.

(32) Questione tuttavia alquanto controversa, v. ad es.: W. Schön, Ten Questions about
Why and How to Tax the Digitalised Economy, in Bulletin for Intern. Taxation, 2018, 278;
S.C. Morse, Value Creation: A standard in Searc of a Process, ibidem, 2018, 202.
(33) Come è noto si tratta di un indirizzo convenzionale, comunemente utilizzato per
determinare la localizzazione dell’utilizzatore, ma in realtà frutto di prassi commerciali e che
quindi non garantisce certezza in merito alla localizzazione dell’utilizzatore. È per questo che
ad esso viene accostato, ai sensi dell’art. 5, par. 5, un criterio residuale, prevedendo la
possibilità, in alternativa, di fare riferimento ad altro mezzo di geolocalizzazione, laddove
quest’ultimo offra maggiori certezze.
dottrina 1443

Infine, tutti gli obblighi connessi all’applicazione dell’imposta (dichia-


razione, versamento, ecc.) dovrebbero essere assolti nello Stato nel quale il
soggetto passivo si è identificato (ma ovviamente sono contemplati mec-
canismi di ripartizione fra i vari Stati membri).
Il soggetto passivo dal punto di vista giuridico è l’entità che fornisce il
servizio digitale (art. 4); il presupposto è costituito dalla fornitura di servizi
digitali imponibili (artt. 1 e 3); la base imponibile è costituita dai ricavi
lordi, e pertanto dai corrispettivi, incassati dall’entità fornitrice del servizio
(art. 7); la territorialità è ancorata allo Stato in cui si trovano gli utenti del
servizio digitale (art. 5); sul piano temporale l’ISD si configura come
tributo periodico su base annuale (art. 2).
Rispetto all’antesignana iniziativa dell’India la proposta della Commis-
sione compie una ulteriore evoluzione e rafforza la conformazione giuri-
dica del nuovo tributo in termini di imposizione sul consumo, introducen-
do anche una disciplina della fase attuativa analoga a quella dell’iva (34).
L’ISD delineata dalla Commissione EU è quindi un’imposta indiretta
gravante sul consumo, molto simile alle accise ed alle imposte sul volume
d’affari (35), in linea con le proposte contenute nei lavori OCSE (36), ed in
particolare riconducibile al Digital Platform Equalisation Levy.
Tuttavia le critiche sono innumerevoli (37); ai ben noti rilievi emersi a
proposito dell’EL nei lavori dell’OCSE, si sono aggiunti temi spiccatamen-

(34) Il sistema Indiano è centrato su ritenute da parte dei fruitori dei servizi, mentre nel
sistema europeo l’adempimento grava esclusivamente sull’entità che fornisce i servizi. S.
Govind, Unilateralism in Taxing the Digitalized Economy, cit., 170 ss., nella sua serrata
critica delle misure unilaterali, evidenzia i profili di differenziazione tra l’EL Indiano e la
ISD proposta dalla Commissione EU.
(35) Esplicitamente la proposta di Direttiva si fonda sull’art. 113 TFUE, relativo al-
l’armonizzazione della legislazione degli Stati membri in materia di imposte sulla cifra
d’affari, imposte di consumo ed altre imposte indirette. A favore della natura di imposta
sul consumo v. pure G. Kofler, J. Sinning, Equalization Taxes, cit., 190 ss.; mostra invece
profonde perplessità M. Lamenesch, Digital Service Tax: A Critical Analysis, cit., 227 ss., che
parla “narrow-based” tax, ibrida tra modello delle accise ed imposizione sui redditi (v. altresı̀
infra nota 50).
(36) In merito v: W. Schön, Ten Questions about Why and How to Tax the Digitalised
Economy, cit.; S.C. Morse, Value Creation: A Standard in Search of a Process, cit.; L.
Simmonds, Comments of the Digital Services Tax, cit.
P. Valente, Some Critical Remarks about the DST Proposal, in AA.VV., Tax and the
Digital Economy, cit., 216 ss., evidenzia le preoccupazioni espresse dall’OCSE a fronte di un
intervento unilaterale cosı̀ articolato, da risultare nella sostanza strutturale e deviante dalla
logica del global approach and Inclusive Framwork.
(37) P. Pistone, Y. Brauner, Adapting Current International Taxation to New Business
Models: Two Proposals for the European Union, Bulletin Intern. Taxation, 2017, 681-683; J.
Becker, J. Englisch, EU Digital Services Tax: A Populist and Flawed Proposal, in Kluwer
International Tax Blog, 16 marzo 2018; P. Valente, Some Critical Remarks about the DST
1444 diritto e pratica tributaria internazionale n. 4/2020

te europei, come l’incompatibilità dell’ISD con l’iva, l’ibrida natura del-


l’ISD che, avendo una connotazione ambigua tra tassazione del consumo e
tassazione dei redditi, non potrebbe basarsi semplicemente sull’art. 113
del TFEU (come invece fa la proposta di Direttiva) ecc. Inoltre è stato
evidenziato che l’ISD, stante la sua limitata applicabilità, sia sotto il profilo
soggettivo, sia sotto quello oggettivo, porrebbe non pochi problemi di
discriminazione fiscale, tanto da ipotizzarsi la possibilità di una sua esten-
sione ampia e generalizzata proprio per evitare disparità di tratta-
mento (38).
Per quanto riguarda l’incompatibilità dell’ISD con l’iva sarebbe age-
vole limitarsi ad evidenziare che gli Stati non potrebbero mai introdurre
tributi che vanno a sovrapporsi con l’iva, ma tale limite non riguarda certo
le iniziative dell’Unione, ferma restando l’osservanza dei principi e delle
regole dei Trattati. Tuttavia la questione è ormai da tempo risolta alla
radice, giacché, anche per quanto riguarda gli interventi di singoli Stati,
la Corte di giustizia ha, di nuovo recentemente, chiarito che un tributo sul
volume d’affari, che non trovi applicazione alle singole fasi del processo
commerciale, e non contempli meccanismi di detrazione analoghi a quelli
propri dell’iva, deve ritenersi pienamente compatibile con le Direttive e
con il sistema europeo dell’iva (39).
Infine quanto alle incertezze sull’adeguatezza della base normativa di
cui all’art. 113 TFEU, la questione è significativa, giacché tale norma del

Proposal, cit., 211 ss.; A. Cockfield, W. Hellerstein, M. Lamenesch, Taxing Global Digital
Commerce, Wolters Kluwer, The Netherlands, 2019, parlano al riguardo di una vera e
propria guerra commerciale; D. Stevanato, Dalla Proposta di Direttiva europea sulla Digital
Services Tax , cit., 118 ss.
(38) E.C.C.M. Kemmeren, Should the taxation of the Digital Economy really be diffe-
rent, in European Taxation, 2018, 2, 73 ss.
(39) Corte di giustizia UE, Grande Sezione, 3 marzo 2020, C-75/18, Vodafone Magya-
rorszag. Si trattava di un caso ungherese, in merito alla compatibilità dell’imposta straordi-
naria sul volume d’affari delle imprese di telecomunicazioni con la direttiva iva. Al riguardo
la Corte ha ricordato che occorre in particolare verificare se l’imposta in questione abbia
l’effetto di danneggiare il funzionamento del sistema comune dell’iva, gravando sulla circo-
lazione dei beni e dei servizi e colpendo le operazioni commerciali in modo analogo all’iva;
una tale effetto potrebbe verificarsi nel caso di imposte che presentino le stesse caratteri-
stiche essenziali dell’iva. Viceversa la Corte ha ritenuto che la normativa ungherese non
prevede la riscossione dell’imposta in ciascuna fase del processo di produzione e di distri-
buzione, né la detrazione dell’imposta pagata in occasione della precedente fase di detto
processo. Pertanto, dal momento che l’imposta straordinaria di cui trattasi non soddisfa due
delle quattro caratteristiche essenziali, cosı̀ come identificate dalla Corte nella sua consoli-
data giurisprudenza, la direttiva iva non pone ostacoli di sorta (punti 58-66). Sul piano
teorico in sintonia con quanto indicato nel testo v. G. Kofler, J. Sinning, Equalization Taxes,
cit., 190-194.
dottrina 1445

trattato fa riferimento soltanto alle imposte indirette, ma basterebbe che la


Commissione facesse una definitiva scelta di campo a favore dell’ISD
come forma di tassazione dei consumi, depurandola dalle vischiose con-
notazioni reddituali ancora presenti nella proposta di Direttiva, scaturenti
dalla matrice economica che ha caratterizzato gli studi dell’OCSE.

5. - L’iniziativa italiana
L’esperienza italiana merita particolare attenzione in quanto sia prima
del Final Report OCSE del 2015, sia dopo, vi sono stati tentativi per
l’introduzione di nuove forme di tassazione della digital economy ricondu-
cibili all’imposizione sui consumi ed allo schema dell’Equalisation Levy,
cui questo contributo è dedicato.
Lo scenario attuale vede l’ormai imminente introduzione di una nuova
“imposta sui servizi digitali”, disciplinata dalla legge di bilancio per il 2019
(l. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, 35˚ comma ss.) (40).
Cosı̀ come concepita dalla l. n. 145 del 2018, la nuova imposta rece-
pisce in larga parte l’idea dell’ISD contenuta nella proposta di Direttiva
UE del 2018, a sua volta ispirata dall’Equalisation Levy delineato dal-
l’OCSE.
L’individuazione dei soggetti passivi dell’ISD italiana è rimessa al su-
peramento di una duplice soglia: 750 milioni di euro per l’ammontare
complessivo dei ricavi ovunque realizzati e 5,5 milioni di euro per il totale
dei ricavi derivanti da “servizi digitali” realizzati nel territorio dello Stato.
Possono essere soggetti passivi sia le imprese residenti sia le imprese non
residenti in Italia a prescindere dalla natura dei committenti (sia B2B che
B2C) (41).
In linea con la proposta di Direttiva, l’ISD italiana colpisce soltanto le
tipologie di “servizi digitali” il cui valore è sostanzialmente creato dalla
partecipazione degli utenti, e specificamente:

(40) Viene contestualmente abrogata l’imposta sulle transazioni digitali introdotta dalla
legge di bilancio per il 2018 (l. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, 1011˚ comma ss.), che
avrebbe dovuto applicarsi a decorrere dal 1˚ gennaio 2019, ma per la quale non è mai stato
emanato il relativo decreto attuativo. In argomento v. A. Persiani, I tentativi di tassazione
dell’economia digitale da parte del legislatore italiano: dalla web tax all’imposta sui servizi
digitali, in AA.VV., La tassazione dell’economia digitale, cit., 197 ss., G. Corasaniti, La
tassazione della digital economy: evoluzione del dibattito internazionale e prospettive nazio-
nali, cit.
(41) Le imprese non residenti, qualora prive di numero identificativo iva, sono tenute a
farsi assegnare tale identificativo se integrano il presupposto del tributo.
1446 diritto e pratica tributaria internazionale n. 4/2020

a) servizi attinenti alla veicolazione su una piattaforma digitale di pub-


blicità mirata agli utenti della medesima interfaccia (ad esempio sito in-
ternet); si tratta, in sostanza, di servizi pubblicitari on line;
b) servizi attinenti alla fruizione di una piattaforma digitale multilate-
rale che consente un’interazione tra gli utenti, al fine di facilitare la forni-
tura diretta di beni o servizi (42);
c) servizi di cessione e/o trasferimento dei dati raccolti da utenti e
generati dall’utilizzo di una piattaforma digitale, quali pubblicità on line,
intermediazione e trasmissione di dati (43).
L’imposta si applica, con l’aliquota del 3%, sui ricavi lordi, o più
precisamente sui corrispettivi, derivanti dalla fornitura di detti servizi di-
gitali se “localizzati” nel territorio dello Stato. I ricavi/corrispettivi sono
assunti al lordo dei costi e al netto dell’iva e delle altre imposte indirette.
Il criterio di collegamento territoriale è rappresentato dalla “localizza-
zione dell’utente”, sostanzialmente incentrata, come previsto dalla propo-
sta di Direttiva, sul luogo di utilizzo del dispositivo.
Nella sostanza l’imposta italiana sui servizi digitali comporta una anti-
cipazione dell’ISD delineata dalla proposta di Direttiva EU del 2018.
Sembra quindi confermata la vis espansiva dell’Equalisation Levy e la sua
collocazione, sempre più marcata, nell’area dell’imposizione sui consumi.

6. - L’iniziativa francese e gli altri progetti


Nel luglio 2019 anche la Francia ha rotto gli indugi, dando corpo alla
l. 24 luglio 2019, n. 759, che ha introdotto una tassa sui servizi digitali,
collocata nel Codice delle imposte (art. 299 ss.).
L’imposta grava sui corrispettivi ricevuti dalle società del settore digi-
tale, a fronte della prestazione di specifici servizi digitali fruiti nel territorio
dello stato.

(42) Si pensi ai servizi messi a disposizione da Booking per la prenotazione di alberghi o


ristoranti, oppure ai contenuti offerti a pagamento da una banca dati digitale. In tutti questi
casi, occorre distinguere il corrispettivo pagato per fruire della piattaforma, da quello pagato
per acquistare il bene o il servizio. Infatti ai fini della base imponibile rileva il corrispettivo
pagato per l’accesso all’interfaccia digitale e non quello corrisposto per la transazione even-
tualmente conclusa.
(43) Si tratta dei c.d. “Big Data”, cioè di dati relativi alle tracce che ciascun utente lascia
su internet e che vengono raccolti e aggregati per essere poi trasmessi, o meglio venduti,
dietro corrispettivo, a chi ne faccia richiesta per svariati scopi (commerciali, statistici, mar-
keting, ecc.). In merito all’identificazione dei servizi imponibili si pongono molteplici profili
di incertezza, v. per tutti P. Ludovici, Taxing the Digital Economy: The Italian Digital
Services Tax, in AA.VV., Taxing the Digital Economy, cit., 295 ss.
dottrina 1447

In via di principio, quali servizi digitali, rilevano quelli che si attuano


mediante utilizzo, con mezzi elettronici, di una piattaforma digitale che
consente agli utenti di trovare altri utenti e di interagire con essi, in
particolare per la fornitura di beni o servizi direttamente tra tali utenti.
Tuttavia la legge Francese contempla molteplici deroghe, precisazioni,
limitazioni.
Sono configurati come soggetti passivi le società, ovunque stabilite, per
le quali l’ammontare dei ricavi percepiti in considerazione dei servizi im-
ponibili, superi per anno i 750 milioni di euro per i servizi forniti in tutto il
mondo ed allo stesso tempo i 25 milioni per i servizi forniti in Francia. Nel
dettaglio le norme si dilungano su definizioni, criteri di localizzazione e
parametri tecnico-normativi funzionali alla corretta attuazione delle dispo-
sizioni di principio.
La base imponibile, costituita dai corrispettivi per i servizi digitali
ritenuti rilevanti, è quantificata escludendo l’iva e talune tipologie di acci-
se; è prevista un’aliquota del 3%.
Il soggetto passivo è quello che percepisce i corrispettivi per i servizi
digitali, sia esso stabilito in Francia o in altro Stato dell’Unione europea.
Ove il contribuente non sia stabilito nell’Unione (o in Stati rientranti nello
Spazio Economico Europeo, o che hanno concluso con la Francia accordi
sullo scambio di informazioni in materia tributaria), dovrà nominare un
rappresentante fiscale con ruolo analogo a quello del rappresentante fisca-
le ai fini iva (44).
Sotto questo profilo, ma più in generale per tutti gli adempimenti
procedurali, la Francia ha scelto di utilizzare ai fini della nuova imposta
sui servizi digitali l’impianto normativo e gestorio dell’iva, per quanto
compatibile (45).
Sono evidenti le convergenze con il modello dell’ISD Europea, e di
conseguenza con l’iniziativa italiana.
Anche nella normativa Francese l’individuazione dei soggetti passivi
del tributo è rimessa al superamento di una duplice soglia, che tuttavia la

(44) Per esplicitare un parallelismo rispetto alla legislazione italiana, la logica di fondo
sembra essere quella degli artt. 17 e 35-ter, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, sotto il profilo
della rappresentanza fiscale o della identificazione diretta.
(45) Per un primo commento v. Y. Rutschmann, P.M. Roch, A. Soumagne, Projet de
taxe sur les services numériques: une solution d’attente qui suscite des interrogations quant à sa
conformité aux normes supérieures, in Revue eur. et intern. droit fiscal, 2019, 221 ss.; E.
Lioret, V. Farez, France’s digital service tax goes ahead, in Tax management transfer pricing
report, 29 luglio 2019, 1 ss.; J. Ferry, B. Parks, A. Dahal, An alternate solution for France’s
digital services tax, in Tax notes international, 2019, 96, 2, 125 ss.
1448 diritto e pratica tributaria internazionale n. 4/2020

Francia ha notevolmente elevato per i ricavi/corrispettivi derivanti dai


servizi digitali realizzati nel territorio dello Stato.
Vi è convergenza anche sul profilo soggettivo: sono soggetti passivi sia
le società residenti sia quelle non residenti in Francia, a prescindere dalla
natura dei committenti (B2B o B2C); ed ancora le società non residenti
sono tenute ad identificarsi direttamente o a nominare un rappresentante
fiscale ai fini iva.
In sintonia con il modello europeo e con l’iniziativa italiana, l’imposta
Francese tassa soltanto i servizi digitali il cui valore è creato dalla parteci-
pazione degli utenti. Tuttavia non è chiaro se le molteplici deroghe con-
template dalla normativa Francese risultino effettivamente conformi alle
linee guida Europee (46).
In sintonia con il modello europeo e con l’iniziativa italiana la Francia
prevede un’aliquota del 3%, sui ricavi/corrispettivi derivanti dai servizi
digitali; altrettanto conforme è il criterio di localizzazione territoriale dei
servizi, centrato sulla “localizzazione dell’utente”, e quindi sul luogo di
utilizzo del dispositivo.
Infine anche il rinvio alle procedure ed agli adempimenti iva, applica-
bili in quanto compatibili, si pone come apprezzabile fattore di uniformità
rispetto alla soluzione italiana ed alla proposta di Direttiva.
L’imposta francese è quindi riconducibile al modello europeo della
ISD, che a sua volta si ispira alle linee guida dell’OCSE sull’Equalisation
Levy (47); ed altrettanto può dirsi per quanto riguarda una recente inizia-

(46) Uno studio promosso dall’ECIPE – European Centre for Internatinal Political
Economy di Bruxelles, “Submission to USTR Section 301 Investigation of France’s Digital
Services Tax”, rinviene tra le pieghe delle molteplici deroghe finalità protezionistiche a
favore di società Francesi (par. 4, punto 2).
(47) Un’eco della guerra commerciale di cui parlano A. Cockfield, W. Hellerstein, M.
Lamenesch, Taxing Global Digital Commerce cit., si rinviene chiaramente nello scontro tra
USA e Francia a proposito dell’ISD. Basti considerare il comunicato ufficiale reso dalla
Commissione Finanze del Senato degli Stati Uniti “...we’re pleased that the United States and
France have come to an agreement that would postpone a discriminatory tax on American
technology companies until the multilateral process is complete. We urge other countries that
have proposed digital services taxes to follow suit”; si consideri poi la comunicazione inviata
dal Segretario al Tesoro al Segretario Generale dell’OCSE, in cui si puntualizza che gli Stati
Uniti “firmly opposes digital services taxes” because of the “discriminatory impact”, in ragione
delle ripercussioni che tali tributi avrebbero sull’economia Americana; inoltre la comunica-
zione esprime “...serious concerns regarding potential mandatory departures from arm’s-length
transfer pricing and taxable nexus standards... Nevertheless, we believe that taxpayer concerns
could be addressed and the goals of Pillar 1 could be substantially achieved by making Pillar 1
a safe-harbor regime. The United States also fully supports a GILTI-like Pillar 2 solution” (U.S.
Senate Committee on Finance, “Grassley, Wyden Joint Statement on French Digital Servi-
ces Tax Hiatus”, 21 gennaio 2020).
dottrina 1449

tiva del Governo Spagnolo (48), del tutto analoga a quelle italiana e fran-
cese.
Si consolida quindi il trend espansivo dell’Equalisation Levy concepito
come imposta sui consumi e sembra proprio che questa forma di tassa-
zione della digital economy sia destinata a diffondersi.
Al riguardo si segnalano iniziative attivate nel 2016-2018 dal Governo
di Israele, nel 2019 dai Governi di Spagna, Repubblica Ceca, Polonia,
Belgio, Canada, Australia, e nel 2020 dai Governi di Lettonia e Norvegia.
Alcuni Stati hanno invece già introdotto l’Imposta sui Servizi Digitali
di stampo europeo, analogamente all’Italia ed alla Francia, e segnatamente:
l’Austria, con entrata in vigore del nuovo tributo a far data dal 1˚ gennaio
2020; il Regno Unito, con entrata in vigore nel 2020; la Tunisia, con
entrata in vigore dal 1˚ gennaio 2020; la Turchia, con entrata in vigore
dal 1˚ marzo 2020 (49).

Conclusioni
Lo scenario descritto evidenzia come, in attesa di una soluzione strut-
turale e multilaterale – auspicata dall’OCSE, le proposte transitorie di
tassazione della digital economy convergano sull’idea di un tributo avente
le caratteristiche di un Equalisation Levy, benché, poi, variamente disci-
plinato in ambito nazionale; ed il tipo di EL più diffuso sembra essere il
c.d. Digital Platform Equalisation Levy.
Si fa spazio, quindi, una nuova idea di materia imponibile, idonea ad
identificare e concretizzare la capacità contributiva delle imprese che ope-
rano nel contesto della digital economy e dei loro utenti.

Incidentalmente si rammenta che negli Stati Uniti la c.d. riforma Trump ha ridotto
notevolmente l’aliquota dell’imposta sul reddito d’impresa e poi con il GILTI (Global
Intangible Low Taxed Income) è intervenuta unilateralmente nei criteri di riparto tra Stato
della residenza e Stato della fonte, introducendo il principio per cui il reddito – ovunque
prodotto nel mondo dalle multinazionali US – che ecceda una certa percentuale delle
immobilizzazioni materiali di tali società dislocate in altri Stati (il 10%) – deve essere
presuntivamente attribuito all’intangible posseduto dalla parent company US, con la conse-
guenziale tassazione negli Stati Uniti, ma ad aliquota agevolata.
(48) In merito v.: C. Garcı́a-Herrera Blanco, El impuesto sobre determinados servicios
digitales como opción para gravar la nueva economı́a digitalizada, in AA.VV., 4a Revolucion
Industrial: la fiscalidad de la sociedad digital, cit.; S. Rodrı́guez Losada, Soluciones unilaterales
para la fiscalidad de la economı´a digital. Especial referencial al «equalization tax», ibidem. En-
trambi gli autori evidenziano la natura di imposta sul consumo, seppure sui generis.
(49) Su queste iniziative v. la dettagliata nota informativa KPMG, Taxation of the
digitalidez economy, 26 febbraio 2020. Sui profili comparatistici v. altresı̀: C. Garcı́a-Herrera
Blanco, El impuesto sobre determinados servicios digitales, cit. M. Piasente, Reazioni inter-
nazionali e nazionali in tema di web e digital tax, cit.
1450 diritto e pratica tributaria internazionale n. 4/2020

Come ben evidenziato nei lavori dell’OCSE, la nuova materia impo-


nibile trova la propria ratio più profonda nel “valore creato dagli utenti”
dei servizi digitali, ossia da chiunque, imprenditore o consumatore finale,
fruisca dei servizi stessi.
Il punto di forza di questo nuovo approccio in un mercato demate-
rializzato sta proprio nel prescindere da qualsiasi collegamento fisico del-
l’impresa fornitrice del servizio con il territorio dello Stato: assume rilievo
il luogo in cui la materia imponibile viene immessa nel mercato e quindi
quello in cui è “localizzato” il valore riferibile alla fruizione del servizio da
parte dell’utente finale.
In tal modo diventa possibile ridurre i margini per la pianificazione
fiscale delle digital corporation, giacché poco importa dove le stesse abbia-
no la propria sede; ciò che conta è dove esse producono valore, e di certo
la rilevanza dello Stato del mercato di destinazione, a differenza dello Stato
della residenza (o dello Stato della fonte, nel caso di stabile organizzazio-
ne) argina i fenomeni di arbitraggio fiscale.
Tuttavia, la maturazione del Equalisation Levy richiede ancora una
fase complessa: è necessario rompere gli indugi e superare le ambiguità,
collocando chiaramente ed inequivocabilmente l’EL nel sistema della tas-
sazione dei consumi e strutturandolo come un’accisa, o una turnover tax.
Verrebbero cosı̀ risolti alla radice tutti i possibili problemi di doppia
imposizione.
Questo percorso è stato appena abbozzato dall’OCSE, che nei suoi
studi economici indugia sui profili reddituali della ricchezza prodotta nello
Stato del consumo, ancora concepito come Stato della fonte in ottica
convenzionale. L’antesignana esperienza indiana pur avendo piena consa-
pevolezza del problema giuridico, e cercando di differenziare l’EL dalle
imposte sui redditi, presenta ancora profili di commistione tra tassazione
del consumo e del reddito. Viceversa un salto di qualità verso l’imposizio-
ne dei consumi è certamente rinvenibile nella proposta di Direttiva del-
l’Unione Europea (50) e negli interventi di alcuni Stati, ed in primo luogo
di Italia e Francia.

(50) Tuttavia la proposta di Direttiva UE, pur qualificandosi inequivocabilmente l’ISD


come un’imposta indiretta (ancorata alla base normativa dell’art. 113 TFEU), continua a
parlare di ricavi, ed evocare profili reddituali ed a porsi il problema del coordinamento con
il sistema delle convenzioni contro le doppie imposizioni. Molti studiosi tendono a valoriz-
zare tali profili accentuando la connotazione reddituale del tributo, v. in particolare: M.
Lamenesch, Digital Service Tax: A Critical Analysis, cit., 240; P. Arginelli, La compatibilità
dell’Imposta sui servizi digitali con le convenzioni, cit., 108-109; D. Stevanato, Dalla Proposta
di Direttiva europea sulla Digital Services Tax, cit., 127; mentre altri, più condivisibilmente,
dottrina 1451

Certo è che, nonostante le persistenti incertezze ed ambiguità, l’Equa-


lisation Levy rappresenta, in linea di principio, una soluzione di compro-
messo, apprezzabile sotto il profilo dell’impianto strutturale e della nuova
materia imponibile che lo caratterizza.
È ovviamente auspicabile che l’OCSE riesca a raggiungere una più
ampia ed articolata soluzione condivisa a livello globale, superando la
logica delle misure transitorie ed unilaterali, ma ove gli avversari del mul-
tilateralismo continueranno a bloccare il virtuoso percorso dell’OCSE, gli
Stati del consumo saranno legittimati a consolidare le forme di tassazioni
transitorie ed unilaterali (51), e quindi l’EL si radicherà nei sistemi tributari,
come strumento di tassazione stabile, ben oltre la logica transitoria e
sperimentale che ne sta caratterizzando gli esordi.
Anzi, è verosimile che molti Stati interessati dal fenomeno del consu-
mo nel loro territorio di servizi digitali resi da digital corporation non
localizzate, rompano gli indugi ed inizino a percepire l’efficacia dell’EL,
dando un contributo decisivo alla sua diffusione ed alla sua evoluzione
come imposta sui consumi; ed in effetti si ha notizia di molteplici iniziative
legislative.
Comunque risulta sorprendente e rassicurante scoprire che la spinta
dell’OCSE ad un approccio multilaterale nella tassazione della digital eco-
nomy sta producendo insperati risultati positivi, nonostante le difficoltà
politiche che stanno rallentando lo sviluppo del multilateralismo. Osservan-
do le evoluzioni in tema di Equalisation Levy è agevole delineare il percorso
virtuoso avviato dai lavori dell’OCSE e sospinto dalla sua soft law.

LORENZO DEL FEDERICO


Professore Ordinario di Diritto Tributario
nell’Università di Chieti Pescara

ritengono che il tributo sia riconducibile all’imposizione sui consumi, G. Kofler, J. Sinning,
Equalization Taxes, cit., 187, 190, 194. J.F. Pinto Nogueira, The Compatibility of the EU
Digital Service Tax with EU and WTO Law, cit., 256 ss., evidenzia problemi rispetto alle
libertà fondamentali salvaguardate dall’UE.
(51) È opportuno evidenziare che gli Sati del consumo fremono nell’attesa della solu-
zione globale, ampia e condivisa, sulla quale l’OCSE sta lavorando da tempo. Ne sono
testimonianza le sunset clasue che caratterizzano spesso le normative nazionali che hanno
introdotto unilateralmente misure ad interim per fronteggiare la pianificazione fiscale ag-
gressiva della digital corporation (per l’ISD italiana v. D. Stevanato, Dalla Proposta di Di-
rettiva europea sulla Digital Services Tax, cit., 134-136). E comunque impegni analoghi, volti
a rimarcare la natura transitoria delle misure unilaterali, in attesa della soluzione OCSE,
sono frequentemente esplicitati nei lavori preparatori avviati dai vari Governi.

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