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IL TRAMONTO DEL BINOMIO “RESIDENZA-STABILE

ORGANIZZAZIONE” COME CRITERIO DI COLLEGAMENTO


TERRITORIALE PER I REDDITI DELLE IMPRESE
MULTINAZIONALI

Abstract: The article deals with the issue of the nexus principle for business income taxa-
tion, with particular regard to MNEs. Having made a historical examination of the genesis of the
current residence and permanent establishment criteria, the article denounces their inability to
meet the needs posed by the globalised and digitalised economy of current times. It is then
proposed to identifiy a genuine link for corporate income taxation connected to the market
jurisdictions where business is carried out, according to a destination-based approach, with some
possible adjustments. In light of this, the proposals developed at European and global level are
critically examined, with particular reference to the Global Minimum Tax.

Abstract: L’articolo ha ad oggetto lo studio dei criteri di collegamento territoriale ai fini


dell’imposizione del reddito d’impresa, con particolare riguardo alle multinazionali. Compiuta
una disamina storica della genesi degli attuali criteri della residenza e della stabile organizza-
zione, l’articolo denuncia l’inidoneità di essi a fronteggiare le esigenze poste dalla economia
globalizzata e digitalizzata dei tempi attuali. Si propone, quindi, l’introduzione di un criterio di
collegamento territoriale basato sul luogo di svolgimento del business, secondo un destination-
based approach, con alcuni possibili correttivi. Alla luce di ciò, vengono esaminate criticamente
le proposte elaborate a livello europeo e globale, con particolare riferimento alla Global
Minumum Tax.

SOMMARIO: 1. Ginevra, 31 ottobre 1928: la Lega delle Nazioni fissa le basi per il riparto tra
Stati della potestà impositiva sulle vicende economiche con elementi transnazionali – 2.
La resistività alla prova del tempo del binomio “residenza – stabile organizzazione”
come criterio di collegamento territoriale del reddito d’impresa – 3. La necessità di
superamento del vecchio modello – 3.1. L’evoluzione del contesto economico – 3.2. La
concorrenza fiscale tra Stati e l’elusione internazionale – 3.3. L’iniquità distributiva – 4.
I criteri per l’individuazione dell’appropriato collegamento tra una vicenda economica
e la comunità dotata della potestà impositiva sui relativi proventi – 4.1. La strutturale
inadeguatezza del criterio territoriale tradizionale – 4.1.1. La stabile organizzazione –
4.1.2. La residenza – 4.2. Il genuine link appropriato per la giusta imposizione del
reddito delle multinazionali nel terzo millennio – 4.2.1. Il mercato e l’economia digitale
– 4.2.2. Il ruolo degli investimenti – 4.2.3. Il nuovo ruolo residuale del binomio
“residenza – stabile organizzazione” – 4.2.4. Considerazioni sulle proposte UE di
una Common Corporate Tax Base (CCTB) e di una Common Consolidated Corporate
Tax Base (CCCTB) – 5. Un modello di imposizione del reddito delle multinazionali
basato sul Destination-Based Asset-Coordinated approach (DBAC) – 5.1. Le componenti
positive di reddito – 5.1.1. Le modalità di imposizione – 5.1.2. Fattispecie peculiari –
5.1.2.1. Gli asset informatici – 5.1.2.2. Royalties, interessi e dividendi – 5.1.2.3. C.F.C.,
paradisi fiscali e dintorni – 5.2. Le componenti negative di reddito – 5.2.1. La riparti-
zione dei costi nella classificazione contabile per natura – 5.2.2. La ripartizione dei costi
nella classificazione contabile per destinazione – 6. La global minimum tax come
estremo (e vacuo) tentativo di salvaguardia dello status quo – 6.1. Il primo pilastro –
6.2. Il secondo pilastro – 7. Conclusioni.

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1. - Ginevra, 31 ottobre 1928: la Lega delle Nazioni fissa le basi per il


riparto tra Stati della potestà impositiva sulle vicende economiche con ele-
menti transnazionali.
Il 31 ottobre 1928, il comitato generale degli esperti fiscali della Lega
delle Nazioni riunitosi a Ginevra approvò in via definitiva, previe alcune
modificazioni, un articolato rapporto (1) avente ad oggetto le relazioni
bilaterali tra Stati in materia di fiscalità (2). Il rapporto approvato dalla
Lega era stato redatto l’anno precedente da un comitato tecnico all’uopo
incaricato e si inseriva in un progetto di lavoro in corso ormai da alcuni
anni (3).
Il mondo che si trovavano intorno gli esperti della Lega che approva-
rono il rapporto era quello degli ultimi imperi coloniali e dei primi tota-
litarismi, dei primi antibiotici e dei primi cartoni animati, dei primi voli
civili e dei primi collegamenti via etere (4): un mondo che, a un secolo di

(1) “Articolato”, naturalmente, secondo gli standard del tempo, che non appaiono
paragonabili agli attuali standard cui si improntano, ad esempio, i rapporti dell’OCSE, la
cui esasperata complessità viene indicata addirittura come un elemento di freno allo svilup-
po di equi rapporti fiscali internazionali. Cfr., sul tema, Y. Brauner, Lost in Construction:
What is the Direction of the Work on the Taxation of the Digital Economy, in Intertax, 2020,
48, 272; S. Marsit, The Pillar Two Initiative and Developing Countries, in A. Perdelwitz, A.
Turina, Global Minimum Taxation? An Analysis of the Global Anti-Base Erosion Initiative,
Amsterdam, 2021, 366, anche con riferimento a UN Tax Committee, Tax consequences of
the Digitalized Economy. Issues of relevance for developing countries, 2020, 8.
(2) Per una dettagliata analisi della genesi e ricostruzione del contenuto di questo
rapporto cfr. S. Jogarajan, Double Taxation and the League of Nations, Cambridge – New
York, 2018, 98 ss.; 182 ss.
(3) Cfr., per un’ampia panoramica, S. Jogarajan, Double Taxation and the League of
Nations, cit., passim. Su stimolo della Camera di Commercio Internazionale, la Lega delle
Nazioni iniziò ad occuparsi del tema fin dalla Conferenza di Bruxelles del 1920 (cfr.
specificamente S. Jogarajan, The 100th Anniversary of International Institutions and Inter-
national Taxation, in Intertax, 2020, 48, 929 ss.), segnando passaggi fondamentali nel rap-
porto emesso nel 1923 da parte di quattro tra i più autorevoli economisti a livello mondiale
(“the four Economists”: Einaudi, Seligman, Bruins e Stamp), che conteneva fondamentali
affermazioni di principio ma non ancora una proposta di modello di convenzione, nonché
nel rapporto emesso dal Gruppo di Esperti nel 1925, che molta influenza nel successivo
rapporto e modello del 1927 approvato nel 1928 (S. Jogarajan, Double Taxation and the
League of Nations, cit., 95 ss).
(4) Per fare alcuni esempi, il 31 ottobre 1928, in quella che oggi è una delle principali
potenze economiche del mondo, la Cina, imperversavano ancora i signori della guerra, che
nei territori del Nord non erano ancora definitivamente capitolati di fronte alle truppe
nazionaliste del generalissimo Chiang Kai-Shek: un Dragone poverissimo si apprestava ad
essere riunificato, dopo il crollo pochi anni prima del Celeste Impero Qing, in mezzo a lotte
intestine dal sapore feudale e prima di patire nuove umilianti mutilazioni territoriali per
mano straniera. Colui che sarebbe divenuto il “quattro volte grande” Mao Tze Tung se ne
stava ancora ritirato con un manipolo di compagni nelle remote montagne rurali del sud
della Cina, dove era nato, ignoto al mondo intero. Lo stesso 31 ottobre 1928, mentre in
dottrina 519

distanza, appare agli albori del passaggio tra antico e moderno. In questo
contesto, il primo tema affrontato dal predetto rapporto della Lega delle
Nazioni era la doppia imposizione internazionale nel campo delle imposte
dirette. A tal fine veniva predisposto e allegato un modello di convenzio-
ne (5) che si metteva a disposizione degli Stati per contemperare le proprie
potestà impositive sulle vicende economiche a rilevanza transnazionale.
Si trattava di un problema rilevante da tempo, ma che iniziava nel
primo dopoguerra ad assumere particolare impellenza, poiché le bilance
commerciali dei vari Paesi avevano iniziato a muoversi in modo significa-
tivo e, con esse, le vicende economiche transfrontaliere che potevano dar
corso a una concorrenza di potestà impositive da parte degli Stati coin-
volti. Ed era evidente che l’insistenza della potestà impositiva di più Stati
su una medesima vicenda economica potesse costituire un moltiplicatore –
almeno un “duplicatore” – del carico fiscale correlabile all’operazione
stessa e, con esso, un freno allo sviluppo dei traffici internazionali (6),

Unione Sovietica e in Italia già imperversavano i primi totalitarismi, il primo nipote della
Regina Vittoria ancora regnava sul più vasto impero di tutti i tempi, che si spingeva dalle
arcane giungle del Bengala e della Malesia alle praterie sconfinate del Manitoba, dalle foreste
vergini dello Zambesi ai paradisiaci mari della Polinesia, mentre la Repubblica di Weimar
viveva la sua epoca d’oro, serena che un ex imbianchino di nome Adolf Hitler non avrebbe
più nociuto al prossimo dopo essere stato benevolmente scarcerato grazie a un’amnistia.
Grande anno fu nel mondo il 1928: quando Alexander Fleming scoprı̀ i preziosi effetti
antibiotici della penicillina, infondendo nell’umanità un ottimismo medico che soltanto un
subdolo coronavirus sarebbe stato in grado di raggelare a quasi un secolo di distanza; e
quando Walt Disney disegnò un simpatico Topolino facendolo debuttare al cinematografo
in un muto cortometraggio dedicato a un Crazy Plane. Si festeggiava anche cosı̀ la prima
ricorrenza annuale dello storico volo di Lindbergh, primo volo transatlantico senza scali, che
coprı̀ in 33 ore la tratta tra Parigi e Nuova York dando di fatto il via alla gloriosa storia
dell’aeronautica di linea. Anche le automobili correvano veloci, al punto che nella sola Italia
quasi quadruplicavano la loro diffusione passando nel corso di un decennio da una media di
una ogni mille a ben quattro ogni mille abitanti. Quell’anno 1928 grande fu anche per le
comunicazioni: si vide nel mondo il primo collegamento telefonico via etere, la prima prova
di funzionamento transatlantico di quel prototipo di televisione elettromeccanica svelata alla
Royal Institution soltanto due anni prima, mentre sarebbero occorsi ancora due anni prima
che Guglielmo Marconi inviasse con successo i celeberrimi impulsi radio a lunga distanza tra
Genova e Sidney. Questo era il mondo in cui gli esperti della Lega delle Nazioni approva-
vano il loro rapporto sulle relazioni bilaterali tra Stati in materia di fiscalità che, come si sta
per dire, costituisce a tutt’oggi l’architrave fondamentale del diritto internazionale tributario.
(5) In verità, la formulazione del modello era triplice, con differenze che tuttavia non
manifestano primario rilievo ai presenti fini. S. Jogarajan, Double Taxation and the League of
Nations, cit., 182 attesta l’assoluta prevalenza, nella discussione, del primo dei tre modelli
proposti, mentre fu il terzo modello a esercitare maggior influsso sui successivi modelli
predisposti dall’OCSE (ivi, 253).
(6) Sul tema cfr., recentemente, A. Thier, Some Observations on the Transition from
Tax Statehood to International Taxation, in M. Lang E. Reimer (a cura di), The History of
Double Taxation Conventions in the Pre-BEPS Era, Amsterdam, 2020, 3 ss.
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specie a fronte di una generalizzata tendenza all’aumento della pressione


tributaria a fronte della crisi fiscale determinata dagli ingenti costi della
guerra. Sicché, a fronte dei primi trattati bilaterali con cui alcuni Paesi
particolarmente integrati avevano già negli anni precedenti regolato il
fenomeno (7), si rendeva opportuno approntare degli strumenti affinché
esso potesse essere affrontato su scala sistematica, ché parlare di “globale”
appare certamente fuori luogo in quel contesto.
Il modello proposto dalla Lega delle Nazioni nel 1928, a seguito di
ampio dibattito che si era sviluppato per tutti gli anni Venti del Novecento
e anche prima, si fondava sul principio per cui i redditi d’impresa doves-
sero essere tassati nel Paese in cui era presente una stabile organizzazione
(“permanent establishment”) dell’attività.
Il concetto di sede stabile per l’esercizio dell’impresa era stato elabo-
rato dalla gloriosa scienza giuridica teutonica intorno alla metà dell’Otto-
cento in vista dell’elaborazione del codice commerciale del Regno di Prus-
sia (8): utilizzata successivamente in materia tributaria per ripartire la po-
testà impositiva tra diverse municipalità nell’ambito della Confederazione
Tedesca del Nord, la “Betriebsstätte” fece il suo esordio ufficiale nei rap-
porti internazionali in quello che viene generalmente ritenuto (9) l’antesi-
gnano dei moderni trattati contro la doppia imposizione, i.e. quello tra
Impero Tedesco e Impero Austro-Ungarico del 21 giugno 1899. All’arti-
colo 2, esso stabiliva infatti che il reddito derivante dall’esercizio di un’at-
tività commerciale dovrebbe essere sottoposto a imposizione diretta sol-
tanto nello Stato in cui è presente una sede stabile per l’esercizio dell’im-
presa stessa, dovendosi considerare per sede stabile di esercizio dell’im-
presa succursali, fabbriche, uffici, punti per la vendita o gli acquisti o altre

(7) Si vedano sul punto gli studi di S. Jogarajan, Prelude to the International Tax Treaty
Network: 1815-1914 Early Tax Treaties and the Conditions for Action, in Oxford Journal of
Legal Studies, 2011, 31, 679 ss.; A. Skaar, Permanent establishment. Erosion of a tax treaty
principle, Boston, 1991, 76-77, II ed. Amsterdam, 2021, parr. 7.3. e 7.4.
(8) Per riferimenti cfr. J.D. Kolck, Der Betriebsstättenbegriff im nationalen und im
internationalen Steuerrecht, Münster, 1974, passim; K. Kunze, Der Begriff der Betriebsstätte
und des ständiges Verterters, Mannheim, 1963, passim; M. Kobetsky, History of Tax Treaties
and the Permanent Establishment Concept, in Id. (a cura di), International taxation of
Permanent Establishments. Principles and Policy, Cambridge, New York, 2011, 106 ss.; A.
Skaar, Permanent establishment. Erosion of a tax treaty principle, op. cit., 65 ss.
(9) J. Braun, M. Zagler, An Economic Perspective on Double Tax Treaties with(in)
Developing Countries, in World Tax J., 2014, 6, 243; A. Easson, Do We still need Tax
Treaties?, in Bull. Int. Fiscal Doc., 2000, 54, 619. I precedenti trattati tra Prussia e Sassonia
e tra altre realtà della Confederazione Tedesca del Nord, infatti, meritano di essere consi-
derati piuttosto come accordi tra Stati già appartenenti a una medesima realtà sovranazio-
nale istituzionalizzata, non diversamente dalle regole stabilite all’interno delle federazioni.
dottrina 521

strutture imprenditoriali per lo svolgimento dell’attività d’impresa da parte


dell’imprenditore stesso, di suoi partner, procuratori o altri stabili colla-
boratori, e che nel caso in cui sedi stabili di esercizio dell’impresa fossero
presenti in entrambi gli Stati contraenti, le imposte dirette avrebbero
potuto essere riscosse da parte di ciascuno Stato solo in proporzione
all’operazione realizzata attraverso la sede stabilita nel suo territorio (10).
In modo del tutto analogo, ciascuno dei tre modelli proposti nel 1928
dalla Lega delle Nazioni stabiliva che il reddito riveniente da ogni attività
industriale, commerciale o agricola o da ogni altro commercio o profes-
sione avrebbe dovuto essere tassato nello Stato in cui era presente una
stabile organizzazione, dovendosi considerare rientrare nel concetto di
stabile organizzazione i centri di direzione effettiva (“real centres of mana-
gement”), le filiali, le miniere e i giacimenti, le fabbriche, i laboratori, le
agenzie, i magazzini, gli uffici, i depositi. Nel caso in cui l’impresa posse-
desse “stabili organizzazioni”, nel senso anzidetto, in entrambi gli Stati, a
ciascuno sarebbe spettato il potere di tassare quella parte del reddito da
considerarsi prodotta nel suo territorio, da determinarsi secondo un cri-
terio di ripartizione (“apportionment”) stabilito concordemente dalle am-
ministrazioni dei due Stati (11).
Pur con tutte le incertezze e insufficienze che il modello proposto
palesava, a cominciare dalla totale indeterminatezza dei criteri di riparto

(10) Le parole originali del testo, redatto in magniloquenti caratteri gotici, sono le
seguenti: “Der Grund– und Gebäudebesitz und der Betrieb eines stehenden Gewerbes, sowie
das aus diesen Quellen herrührende Einkommen, sollen nur in demjenigen Staate zu den
direkten Staastssteuern herangezogen werden, in welchem der Grund– und Gebäudebestitz
liegt, oder eine Betriebsstätte zur Ausübung des Gewerbes unterhalten wird. Als Betriebsstät-
ten gelten Zweigniederlassungen, Fabrikationstätten, Riederlagen, Comptoire, Ein– oder Ver-
kaufsstellen und sonstige Geschäftseinrichtungen zur Ausübung des stehenden Gewerbes
durch den Unternehmer selbst, Geschäftsteilhaber, Prokuristen oder andere ständige Betreiber.
Befinden sich Betriebsstätten desselben gewerblichen Unternehmens in beiden Gebieten, so
soll die Heranziehung zu den direkten Staatssteuern in jedem Gebiete nur nach Maßgabe des
von den inländischen Betriebsstätten aus stattfindenden Betriebes erfolgen”.
(11) Cosı̀ l’articolo 5 del primo modello, che parlava di “income ... from any industrial,
commercial or agricultural undertaking and from any other trades or professions shall be
taxable in the State in which the permanent establishments are situated. The real centres of
management, branches, mining and oilfields, factories, workshops, agencies, warehouses, offi-
ces, depots, shall be regarded as permanent establishments ... Should the undertaking possess
permanent establishments in both Contracting States, each of the two States shall tax the
portion of the income produced in its territory. The competent administrations of the two
Contracting States shall come to an arrangement as to the basis for apportionment”. Sostan-
zialmente identica è la formulazione dell’art. 2 lett. C del secondo modello e dell’art. 3 del
terzo modello. Si specificava, al riguardo, nel commentario allegato, che “the word ‘under-
takings’must be understood in its widest sense, without making any distinction between
natural and legal persons”.
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della potestà impositiva nei casi in cui una stessa impresa possedesse
“stabili organizzazioni”, nel senso anzidetto, in entrambi gli Stati contraen-
ti, criteri che venivano rimessi ad accordi volta volta da definire dagli Stati
stessi (12), la scelta di fondo era quindi compiuta nel senso di individuare
l’appropriato criterio di collegamento territoriale del reddito d’impresa
nell’esistenza di una forma di stabilimento dell’impresa stessa nel Paese
e di riconoscere conseguentemente le potestà impositiva sul reddito pro-
dotto da quell’impresa in capo allo Stato in cui essa era stabilita.

2. - La resistività alla prova del tempo del binomio “residenza – stabile


organizzazione” come criterio di collegamento territoriale del reddito d’im-
presa
La scelta di fondo compiuta nel 1928 a favore della tassazione del
reddito d’impresa nello Stato di stabilimento è ancora oggi il cardine del
sistema della tassazione internazionale.
Essa ha ricevuto, certamente, innumerevoli affinamenti rispetto al mo-
dello di convenzione del 1928, ma è possibile affermare che l’ispirazione di
fondo rimane essenzialmente la medesima.
Ciò vale anche per la prima e più evidente divaricazione dell’odierna
prassi convenzionale rispetto al modello elaborato dalla Lega delle Nazioni
nel 1928, ossia l’individuazione della residenza della società come criterio
prioritario di collegamento territoriale cui consegue la priorità da parte
dello Stato di residenza della potestà impositiva sugli utili d’impresa, in
mancanza di stabili organizzazioni della società stessa nell’altro Stato (13).

(12) La formula fu lasciata aperta a motivo dell’opposizione del rappresentante olan-


dese Van der Waals, il quale temeva dai criteri proposti una perdita di gettito per le
esportazioni di tabacco e zucchero dalle Indie Olandesi e non riuscı̀ a coagulare consenso
intorno alla propria controproposta: ciò è riferito da S. Jogarajan, Double Taxation and the
League of Nations, cit., 143. Cosı̀, gli esperti preferirono dichiarare la soluzione della que-
stione estranea rispetto al mandato ricevuto. Il nodo venne però presto al pettine e alcuni
modelli di criteri di ripartizione della potestà impositiva in casi ipotesi furono predisposti
dalla Lega delle Nazioni nel 1933 in un’opera in quattro volumi, intitolata Taxation of
Foreign and National Enterprises, pubblicata a Ginevra tra il 1932 e il 1933. Di particolare
rilevanza, ai fini qui indicati, il quarto volume, curato da M.B. Carroll, Methods of Allocating
Taxable Income, Ginevra, 1933, passim. Si consideri, altresı̀, il rapporto del comitato fiscal
del 21 ottobre 1936, ove un’apposita sezione era dedicata alla “Allocation of profits and
property of international enterprises” e nella connessa proposta di modello di convenzione
veniva chiaramente sancita la prevalenza dello Stato della residenza su quello delle (altre)
“stabili organizzazioni”: “an enterprise having its fiscal domicile in one of the contracting
States shall not be subject to taxes on property and capital in another contracting State except
in respect of property situated and capital employed within its territory and, in the case of
movable property and capital, allocable to a permanent establishment situated in such State”.
(13) Secondo il modello dell’attuale art. 7 del Modello OCSE di convenzione contro le
dottrina 523

Invero, già nel modello del 1928 erano presenti molteplici disposizioni
che operavano riferimento al solo criterio del “real center of management”,
il quale quindi sembrava in qualche misura dotato di una certa attitudine
all’autonomia all’interno della più ampia figura della stabile organizzazione
cui pure era espressamente ricondotto dalle disposizioni sopra citate in
materia di tassazione dei redditi d’impresa. Autonomia che, ai fini di
alcune categorie reddituali, come in particolare, i dividendi e i redditi di
capitale (14), poteva condurre anche a una contrapposizione con gli altri
luoghi di stabilimento dell’impresa, fissando un criterio speciale rispetto a
quello previsto in generale per i redditi d’impresa.
Accanto a ciò, era presente un criterio residuale secondo cui l’imposta
personale sul reddito complessivo avrebbe dovuto essere applicata dallo
Stato in cui il contribuente aveva il suo domicilio fiscale, definito come la
sua residenza abituale, ossia la sua dimora permanente (15). Sebbene la
formulazione fosse evidentemente riferita alle persone fisiche, fu relativa-
mente semplice coniugarla con le imprese costituite in forma societaria e
fu altrettanto relativamente semplice collegare la nozione di residenza della
società con quella di “real center of management” che già il modello cono-
sceva come forma in qualche modo speciale di “permanent establishment”.
Già la proposta approvata dal comitato fiscale della Lega delle Nazioni a
Londra nel marzo 1946, in quello che fu uno degli ultimi atti prima del suo
scioglimento, infatti, specificò che il domicilio fiscale di una società o di
ogni altra entità collettiva dotata o meno di personalità giuridica doveva
intendersi situato nello Stato in cui si trovava il suo centro di direzione
effettiva (16).
Correlativamente, prese il suo corpo definitivo il criterio di riparto
della potestà impositiva tra Stati nei casi in cui essi avessero “permanent

doppie imposizioni, cui si conformano molte delle circa 3.000 convenzioni bilaterali contro
le doppie imposizioni oggi in vigore: il dato è stato di recente riportato da Y. Brauner, Tax
Treaty Negotiations: Myth and Reality, SSRN, 2020.
(14) Ciò che ha fatto alcuni insigni studiosi di un “compromesso” tra criterio della
residenza e criterio della fonte: cosı̀ M.J. Graetz, Taxing International Income. Inadequate
Principles, Outdated Concepts, and Unsatisfactory Policy, in Yale Law School Faculty Scho-
larship Series, 2001, 54, 262; M.J.Graetz, M.M. O’Hear, The “Original Intent” of U.S.
International Taxation, in Duke Law Journal, 1997, 46, 1026, ora anche in M.J.Graetz,
Follow the Money, New Haven, 2016, 84.
(15) “The personal tax in the total income shall be levied by the State in which the
taxpayer has his fiscal domicile, i.e. his normal residence, the term ‘residence’ being understood
to mean a permanent home”: cosı̀ l’art. 10 del primo modello e l’art. 1 del secondo modello.
(16) “The fiscal domicile of a partnership, company and any other legal entity or de facto
body shall be the State in which its real centre of management is situated”: cfr. art. 2, c. 4 del
protocollo annesso al modello predisposto a Londra nel 1946.
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establishments” in entrambi gli Stati contraenti, in relazione al quale la


lacuna presente nel modello del 1928 – che, come si ricorderà, rimandava
al riguardo al semplice accordo tra amministrazioni – aveva iniziato ad
essere colmata già con il rapporto del comitato fiscale del 1936. Tale
criterio si basava, appunto, sull’enucleazione del domicilio fiscale come
ipotesi specifica e peculiare di “permanent establishment” cui attribuire
tutti i redditi che non fossero imputabili ad altre forme di stabili organiz-
zazioni (17) e venne sostanzialmente confermato nell’art. VI del protocollo
annesso al modello del 1946 (18).
Fu cosı̀ che si formalizzò la distinzione tra residenza e (altre) “stabili
organizzazioni” dell’impresa, poi invalsa nei trattati e nei successivi modelli
elaborati dall’OCSE, fino all’attuale art. 7 (19).
La genesi di tale distinzione, tuttavia, dimostra che essa costituisce
niente di diverso dalla rappresentazione di due lati della stessa medaglia.
La medaglia di cui residenza e stabile organizzazione costituiscono
facce è rappresentata dal collegamento della tassazione del reddito del-
l’impresa al luogo di stabilimento dell’impresa stessa, piuttosto che al
luogo in cui essa conclude i suoi affari.
Tale luogo di stabilimento può essere diversamente declinato, dal
luogo dove l’impresa è stata costituita (20) al luogo della sede legale, dal
luogo dove si prendono le decisioni operative a quello in cui si producono
i beni e i servizi oggetto dell’attività, quest’ultimo a sua volta ulteriormente
declinabile in una molteplicità di forme, dal luogo in cui è presente un

(17) Cfr. la precedente nota 12. Sul ruolo degli USA in tale progressiva traslazione
verso il criterio della residenza cfr. altresı̀ R. Mason, The transformation of International Tax,
in The American Journal of International Law, 202, 114, 399; M.J. Graetz, M.M. O’Hear,
The “Original Intent” of U.S. International Taxation, cit.
(18) “If an enterprise with its fiscal domicile in one contracting State has a permanent
establishment in the other contracting State, there shall be attributed to each permanent
establishment the net business income which it might be expected to derive, if it were an
independent enterprise engaged in the same or similar activities, under the same or similar
conditions. Such net income will, in principle, be determined on the basis of the separate
accounts pertaining to such establishment”.
(19) Cfr., sul punto, A. Skaar, Permanent establishment. Erosion of a tax treaty principle,
cit., 96 ss.; S. Jogarajan, Double Taxation and the League of Nations, cit., 253 ss. Anche l’art.
7 del modello di convenzioni contro le doppie imposizioni elaborato dall’ONU nella spe-
cifica prospettiva dei rapporti tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo non sembra
discostarsi significativamente dal binomio “residenza – stabile organizzazione”.
(20) Come propose la conferenza regionale della Lega delle Nazioni nel modello di
convenzione contro le doppie imposizioni elaborato in Messico nel 1943, dove si proponeva
all’art. 2, comma 4 del protocollo addizionale annesso al modello che “the fiscal domicile of
partnerships, companies and other legal entities or de facto bodies shall be the State under the
laws of which they were constituted”.
dottrina 525

impianto produttivo a quello in cui è presente un ufficio: rimane, tuttavia,


fermo il dato di fondo che tali luoghi danno vita a un criterio di collega-
mento territoriale sı̀ binomiale ma concettualmente unitario nel contrap-
porsi rispetto a quello basato sul luogo in cui l’impresa genera i propri
componenti positivi, in particolare vendendo i beni e servizi che produce.
Ciò appare nitidamente dimostrato dal fatto che, a fronte dell’esigenza
esternata nel 1939 dal comitato fiscale della Lega delle Nazioni di perfe-
zionare il modello del 1928, il comitato tecnico regionale che poté elabo-
rare la proposta riunendosi a Città del Messico nel 1940 e nel 1943
propose il passaggio al criterio del mercato (21), ma venne smentito dalla
successiva riunione del plenum del comitato fiscale che si tenne a Londra
nel 1946. In tale ultimo consesso, si evidenziò che le soluzioni proposte dal
comitato regionale riunitosi in Messico potevano essere gradite ai Paesi
latino-americani (22) ma erano rigettate dai membri che a tale riunione non
avevano potuto partecipare a causa della guerra (23), con conseguente
immediato ripristino del criterio del “permanent establishment”, specifica-
to tramite il criterio della residenza secondo quanto sopra evidenziato in

(21) L’art. 4 di essa prevedeva, infatti, quanto segue: “Income from any industrial,
commercial or agricultural business and from any other gainful activity shall be taxable only
in the State where the business or activity is carried out”. Come specificato nel commentario,
diffuso dalla Lega delle Nazioni nel novembre 1946, il passaggio al criterio del mercato nella
bozza predisposta a Città del Messico nel 1943 era dettato dalla circostanza che “if an
enterprise were to be taxable on its profits in a foreign country only if it had a permanent
establishment in that country, some countries would lose revenue. Moreover, certain forms of
fiscal evasion might be encouraged. Indeed, some enterprises might seek to avoid taxation in a
country by carrying out their business in that country without maintaining a permanent
establishment therein or by concealing the existence of such an establishment”.
(22) Come chiarisce l’introduzione del rapporto di Londra, “the Committee is aware of
the fact that the provisions contained in the 1943 Model Conventions may appear more
attractive to some States – in Latin America, for instance – than those which it has agreed
during its present session”; tuttavia, “the membership of the Mexico City and London mee-
tings differed considerably”, cosı̀ che “it is natural that the participants in the London meeting
held, on various points, different views from those which inspired the Model Conventions
prepared in Mexico”. Sul tema cfr., diffusamente, A. Skaar, Permanent establishment. Ero-
sion of a tax treaty principle, op. cit., 88 ss.; M.B. Carroll in International Tax Law, in
International Lawyer, 1967-1968, 2, 692 ss.
(23) La motivazione formale per giustificare la contrapposizione – in realtà essenzial-
mente politica – al passaggio al criterio del mercato si imperniò sui seguenti aspetti: in primo
luogo, “the criterion of the ‘permanent establishment’more or less as defined by the Commit-
tee in its earlier work was contained in nearly all double-taxation treaties relating to business
income”; in secondo luogo, “the use of this criterion was not in itself apt to facilitate fiscal
evasion”; in terzo luogo, “the detection of enterprises concealing their business from the tax
authorities was essentially a matter for internal tax administration”; infine, “past experience
was said to show that it is extremely difficult to tax foreign enterprises efficiently and equitably
when they do not possess a permanent establishment in a country”.
526 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

relazione all’art. 2 del protocollo annesso al modello. Tale fu sostanzial-


mente la via seguita, dopo lo scioglimento della Lega delle Nazioni, dal-
l’OCEE, con la proposta del 1958, e poi dall’OCSE, dal modello del 1963
sostanzialmente fino ai giorni attuali (24).
Cosı̀, la genesi dei trattati internazionali contro le doppie imposizioni
dimostra che la reale dicotomia non dovrebbe considerarsi essere tanto
quella tra “criterio della residenza” e “criterio della fonte”, come general-
mente e anche per motivi storici si è ritenuto (25), quanto piuttosto quella
tra il criterio “dello stabilimento” – a sua volta comprendente tanto quello
della “residenza” quanto quello della “fonte”, come tradizionalmente in-
tesa in collegamento al concetto di stabile organizzazione (26) – e il criterio
che può esser definito “del mercato” o “della destinazione” (in lingua
inglese, “destination-based approach”).
In questa prospettiva, è possibile affermare che la scelta di fondo –
essenziale – compiuta dalla Lega delle Nazioni nel “glorioso” 1928 fu
quella di allocare i poteri impositivi sui redditi prodotti dalle imprese
con attività transnazionale in capo allo Stato di stabilimento dell’impresa
stessa, anziché in capo allo Stato del mercato, e che tale scelta di fondo
non è stata smentita, ma anzi confermata e semplicemente affinata, dalla
evoluzioni successive che hanno portato a enucleare come specifica forma
di stabilimento quello della residenza al punto di porla a base di uno
specifico e autonomo criterio di collegamento territoriale.

(24) Come rilevato da A. Skaar, Permanent establishment. Erosion of a tax treaty


principle, op. cit., 101, del resto, “the history of tax treaties shows a tremendous shift from
source-state to residence-state taxation. The principle of source-state taxation was used by the
League of Nations in the 1927 draft to a larger extent than is the case under the OECD model
treaties”. Sul tema cfr. altresı̀ A. Vicini Ronchetti, Principio di territorialità versus residenza:
riflessioni sulla tassazione alla fonte e connesse problematiche legate alle perdite fiscali, in Rass.
trib., 2018, 103 ss.
(25) Invero, mentre la prassi antecedente alla Prima Guerra Mondiale, seguendo il
modello della convenzione tra Impero Tedesco e Impero Austro-Ungarico seguiva il criterio
della stabile organizzazione, il rapporto del gruppo dei quattro esperti del 1923 riteneva che
più adatto a eliminare i rischi di doppia imposizione fosse il criterio della residenza. In ciò
trovò esito la contrapposizione tra criterio della residenza e criterio della fonte, che il
rapporto del 1925 tentò di contemperare, seguito poi dal modello di convenzione del
1927-1928 e, nei termini esposti nel testo, dalla prassi convenzionale successiva. Sul tema
cfr. A. Skaar, Permanent establishment. Erosion of a tax treaty principle, op. cit., 81-82.
(26) Sui diversi possibili significati di intendere il concetto di “fonte” nel diritto inter-
nazionale tributario, e sulle conseguenti incertezze che ciò ha determinato nel dibattito, cfr.
E.C.C.M. Kemmeren, Source of Income in Globalizing Economies: Overview of the Issues
and a Plea for an Origin-Based Approach, in Bull. Int. Tax., 2006, 430 ss.
dottrina 527

3. - La necessità di superamento del vecchio modello


A cento anni di distanza dalla scelta di fondo compiuta negli anni
Venti del Novecento, una riflessione sui suoi fondamenti e sulla sua per-
manente idoneità a soddisfare adeguatamente i valori giuridici ed econo-
mici in gioco richiede di essere compiuta (27).

3.1. - L’evoluzione del contesto economico


Al riguardo, deve anzitutto osservarsi che l’impianto del diritto inter-
nazionale tributario è stato fondato in un contesto radicalmente diverso
dall’attuale.
Un contesto in cui il PIL mondiale era decine e decine di volte infe-
riore a quello di oggi (28); in cui i contatti intercontinentali erano migliaia
di volte inferiori; un contesto in cui quelle che oggi rappresentano alcune
delle economie leader a livello mondiale erano ancora realtà poverissime e
sostanzialmente assenti dallo scenario economico internazionale; un conte-
sto in cui apparivano come mirabolanti avanguardie tecnologiche quelle
che oggi sono oggi niente più che venerabili reperti archeologici (29).
Mai quanto in quest’ultimo secolo l’evoluzione è stata dirompente,
vorticosa, radicale ed eversiva dell’ordine precedente. Eppure, il modello
di fondo della tassazione internazionale è sempre lo stesso di quel passato,
mille volte più remoto nella realtà economica, sociale e scientifica di quan-
to dica il secolo di tempo nominalmente trascorso. E se ciò non vale, di
per sé, a negare validità e attualità agli istituti giuridici considerati, certa-
mente vale a sollecitare una rinnovata valutazione e riflessione sul tema.

(27) Come esattamente osservato, “despite all the upheavals and all the turmoil in global
economics and politics, the fundamental concepts of international taxation adopted nearly a
century ago retain their sway. We are governing today’s 21st-century high-tech, integrated,
global economy with a 20th-century international tax system”: M.J. Graetz M.J., Bringing
International Tax Policy into the 21st Century, in Tax Notes Int., 2016, 83, 316; Id., Can a
20th Century Business Income Tax Regime Serve a 21st Century Economy?, in Australian Tax
Forum, 2015, 30, 551.
(28) I dati comparativi possono trarsi dalle analisi di A. Maddison, Contours of the
World Economy, 1–2030 AD, Oxford, 2007, 379, mentre per un sintetico affresco com-
plessivo si rinvia alla precedente nota 4.
(29) Neppure la più fervida immaginazione degli scrittori di fantascienza, ad esempio,
poteva preconizzare le modalità che avrebbe assunto l’esercizio dell’impresa: né Jules Vernes
né Karel Čapek, del resto, risultano aver mai immaginato qualcosa che lontanamente si
avvicinasse all’“internet of things”.
528 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

3.2. - La concorrenza fiscale tra Stati e l’elusione internazionale


In questa prospettiva, va preso atto che il binomio “residenza – stabile
organizzazione” ha sostanzialmente fallito nel perseguire il fine di tassare
adeguatamente i redditi transnazionali delle imprese, costituendo uno de-
gli aspetti che ha dato vita a quella che autorevole dottrina ha icastica-
mente definito la crisi del binomio “diritto – territorio” (30).
Concentrandosi su un elemento di collegamento, lo stabilimento nelle
sue varie forme, residenza o stabile organizzazione, la cui collocazione
territoriale rientra in modo tendenzialmente integrale nella discrezionalità
di scelta delle imprese da tassare, il binomio frutto delle decisioni degli
anni Venti – del secolo scorso – ha generato e fomentato i due fenomeni
concorrenti che rappresentano l’attuale maggior cruccio della tassazione
internazionale.
Tali fenomeni, che stanno impegnando da anni l’OCSE e le istituzioni
internazionali con competenze estese alla materia fiscale, come l’Unione
Europea e in parte anche l’ONU, in insolubili rompicapo (e altrettanto
cervellotici piani d’azione) finalizzati a fronteggiarli, sono rappresentati
dalla concorrenza fiscale dannosa tra Stati e dall’elusione internazionale
delle imprese.
Se, infatti, la potestà impositiva viene allocata nei territori in cui l’im-
presa si stabilisce, è intuitivo che una gestione strettamente capitalistica
della stessa, cioè una gestione il cui obiettivo sia la massimizzazione im-
mediata del risultato economico, la porterà a collocarsi nei territori in cui il
regime fiscale è più conveniente. In questa prospettiva, gli Stati che vo-
gliano potenziare il proprio sistema economico o che comunque vogliano
attrarre capitali sono indotti ad abbassare il livello d’imposizione, dando
vita a una corsa al ribasso, a livello internazionale, del livello d’imposizione
che si traduce in minor gettito fiscale per gli Stati e, conseguentemente, in
maggior debito pubblico o in minore spesa pubblica, ossia in minor wel-
fare (31). A ciò concorre, del resto, un più o meno consapevole beneplacito
della comunità internazionale, posto che la liberalizzazione del commercio

(30) L. Carpentieri, La crisi del binomio diritto-territorio e la tassazione delle imprese


multinazionali, in Riv. dir. trib., 2018, I, 351 ss.
(31) Cfr., per tutti, Y. Brauner, What the BEPS, in Florida Tax Review, 2014, 16, 67, il
quale rileva che l’odierno assetto del diritto internazionale tributario “demonstrates the
competition paradigm that is at its heart. This paradigm has led to the current deficit in the
ability of countries to collect taxes ... This deficit is not unavoidable. The solution is in
cooperation among countries to make sure that they all enjoy at least some – preferably fair
– revenue raising potential”. In precedenza, diffusamente, R.S. Avi-Yonah, Globalization,
Tax Competition, and the Fiscal Crisis of the Welfare State, in Harvard Law Review, 2000,
113, 1573 ss. Sul piano italiano, cfr. ad es. nota 38.
dottrina 529

internazionale garantita dagli accordi di Marrakesh istitutivi del WTO e


l’affermazione assolutizzante del principio libertà di stabilimento su cui si
fondano altre istituzioni internazionali, come l’UE (32), valgono a stimolare
– piuttosto che a frenare – le imprese nella collocazione dei propri stabi-
limenti nelle giurisdizioni che esse ritengano più efficienti. Sotto altro
profilo, sono sovente gli Stati economicamente più potenti a garantire
l’esistenza di sacche territoriali a imposizione zero o minimale, come i
paradisi fiscali, che spesso ricadono direttamente sotto la loro giurisdizio-
ne (33). Sicché, lo zelo di tali Stati e istituzioni per “combattere” la con-
correnza fiscale internazionale appare, nella migliore delle ipotesi, come lo
“sforzo” prodotto da Penelope per completare la sua tela.
Correlativamente, nella misura in cui la potestà impositiva venga a
dipendere dalle scelte di stabilimento dell’impresa e gli Stati differenzino
i loro regimi fiscali per rendersi più attraenti verso gli operatori economici,
è inevitabile che un’impresa che operi secondo l’impostazione capitalistica
tradizionale di massimizzazione immediata del profitto cerchi di sfruttare
le discrasie tra i sistemi impositivi dei vari Stati in cui è stabilita, e in cui
deve quindi pagare le imposte, per minimizzare ulteriormente il proprio
carico fiscale complessivo. Cosı̀, buona parte di quelle che vengono qua-
lificate come forme di elusione fiscale internazionale, dalle doppie dedu-
zioni allo sfruttamento del disallineamento tra ibridi, rappresentano con-
seguenze indirette delle scelte dei criteri di imposizione internazionale
effettuate dagli Stati (34) e che, come visto, risalgono nella sostanza a un
secolo addietro.

(32) Cfr. gli attuali artt. 49-55 TFUE.


(33) Importanti appaiono, al riguardo, i dati riportati da I. Kolstad, Protected Tax
Havens: Cornering the Market through International Reform?, in World Tax J., 2019, 11,
589 ss. Sul tema dei paradisi fiscali cfr. altresı̀ la successiva nota 115.
(34) La dottrina sembra concorde sul punto, come ho già rilevato in The Impact of
Taxation on Transnational Business Activity: Why It Happens, How It Happens, How to
Neutralize Distortions, in Business Law Journal, 2020, 37, 9 ss. Con particolare chiarezza, cfr.
sul punto S. Picciotto, The Current Context and a Little History, in S. Picciotto (a cura di),
Taxing Multinational Enterprises as Unitary Firms. Towards Unitary Taxation of Transna-
tional Corporations, Brighton, 2017, 5, il quale afferma che “the role of international tax
avoidance in the creation and continuation of the tax haven and offshore secrecy system can be
traced to a fundamental flaw in the international tax rules, designed almost a century ago”.
Nello stesso senso, tra i molti, R.S. Avi-Yonah, K.A. Clausing, M.C. Durst, Allocating
Business Profits for Tax Purposes: A Proposal to Adopt a Formulary Profit Split, in Florida
Tax Rev., 2009, 9, 509; M.P. Devereux, J. Vella, Implications of Digitalization for Interna-
tional Corporate Tax Reform, in Intertax, 2018, 46, 552, 555; B. Wells, C. Lowell, Tax Base
Erosion and Homeless Income: Collection at Source is the Linchpin, in Tax Law Review,
2011, 65, 535 ss.
530 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

I fenomeni sopra descritti appaiono tanto più facilmente verificabili


quanto più le imprese abbiano volumi d’affari e caratteristiche commer-
ciali tali da rendere sostanzialmente equivalente, da un punto di vista
organizzativo e gestionale, lo stabilimento in un Paese piuttosto che nel-
l’altro: cosı̀, detti fenomeni risultano certamente accentuati per tale tipo-
logia di imprese, che perciò non a torto vengono chiamate multinazionali,
ma va ribadito che essi hanno carattere strutturale e possono ricorrere a
ben vedere per ogni tipologia d’impresa. E se ciò era vero fin dal momento
dell’instaurazione dell’ordine fiscale internazionale, come del resto rilevato
dallo stesso comitato regionale della Lega delle Nazioni nella riunione di
Città del Messico del 1943 (35), oggi ciò vale in misura esponenziale, giac-
ché la liberalizzazione economica internazionale, l’evoluzione della tecnica
di trasferimenti, comunicazioni e scambi e la digitalizzazione delle attività
economiche hanno massimizzato, semplificato e generalizzato la capacità
di allocazione territoriale degli stabilimenti da parte delle imprese e, con
essa, gli incentivi alla concorrenzialità fiscale tra Stati e alla pianificazione
fiscale degli operatori economici.

3.3. - L’iniquità distributiva


Su un altro piano, il binomio “residenza – stabile organizzazione” ha
sostanzialmente fallito anche nel perseguire un fine di equità distributiva
del gettito impositivo a livello internazionale.
Esso, infatti, privilegia l’allocazione del gettito delle imposte sul red-
dito in capo ai Paesi esportatori di capitali (36), che in molti casi continua-
no a essere quelli di residenza formale delle imprese più importanti, pe-
nalizzando cosı̀ i Paesi in via di sviluppo, in cui, specie se non vengono

(35) Cfr. la precedente nota 22.


(36) La circostanza che il binomio “residenza – stabile organizzazione” sia funzionale
alla realizzazione della cd. “Capital Export Neutrality” (CEN) e avvantaggi i Paesi più ricchi
risulta sostanzialmente pacifica. Cfr. R.S. Avi-Yonah, The Structure of International Taxa-
tion: A Proposal for Simplification, in Texas Law Review, 1996, 74, 1312-1313; H.J. Ault,
D.F. Bradford, Taxing International Income: An Analysis of the U.S. System and Its Econo-
mic Premises, in J. Slemrod, A. Razin (a cura di), Taxation in the global economy, Chicago,
1990, 40; S. Picciotto, The current context and a little history, cit., 4, il quale descrive
l’attuale assetto del diritto internazionale tributario come un vero e proprio calice avvelenato
per i Paesi in via di sviluppo; S. Picciotto, K. Brooks, R. Krever, The Troubling Role of Tax
Treaties, in M. Geerten, M. Michielse, V. Thuronyi (a cura di), Tax Design Issues Worldwi-
de, Alphen aan den Rijn, 2015. Sul tema cfr. altresı̀ M.J. Graetz, Foundations of Internatio-
nal Income Taxation, New York, 2003, 27. Nella dottrina interna, cfr. A. Vicini Ronchetti,
op. cit.; C. Sacchetto, Evoluzione del principio di territorialità e la crisi della tassazione del
reddito mondiale nel Paese di residenza, in Riv. dir. trib int., 2001, 52 ss.; Id., voce Terri-
torialità (diritto tributario), in Enc. dir., Milano, 1992, XLVI, 303 ss.
dottrina 531

introdotti regimi fiscali particolarmente bassi (e, come tali, potenzialmente


destabilizzanti per la finanza pubblica), le imprese possono avere buon
gioco nel condurre i propri affari senza superare la soglia di imponibilità
della stabile organizzazione e, cosı̀, sostanzialmente senza versare imposte
sul reddito.
Del resto, che il regime fiscale internazionale impostato nel 1928 fosse
il frutto degli interessi prevalenti dei Paesi economicamente più forti non è
un mistero, al punto che, come ricordato (37), la stessa Lega delle Nazioni
ne dà conto nel ripristinare nel 1946 a Londra il testo del modello del
1928 che il comitato territoriale di Città del Messico, cui per ragioni
belliche non avevano partecipato membri importanti della Lega, aveva
proposto di “sovvertire” nel 1943.
È alla luce dei motivi sopra tratteggiati che si appalesa oggi quanto mai
necessaria e improcrastinabile una profonda riflessione sulla permanente
adeguatezza o meno del vetusto impianto di fondo della tassazione del
reddito transazionale (38).

(37) Cfr. le precedenti note 22 e 23.


(38) Gli studiosi più lungimiranti non hanno impiegato molto tempo per capire, già da
almeno mezzo secolo, che il modello disegnato negli anni Venti del Novecento non fosse più
adatto al mondo e all’economia in vorticoso cambiamento. Cfr. ad esempio, nel contesto
italiano, A. Fantozzi, Il trattamento fiscale, dal punto di vista italiano, delle imprese multi-
nazionali, in Impresa, ambiente e p.a., 1974, I, 337 ss., il quale già rilevava come non fosse
più sufficiente un approccio strettamente esegetico dello status quo della tassazione inter-
nazionale del reddito d’impresa, ma dovessero esserne rivisitate a fondo le modalità e i
presupposti. Si rilevava, in particolare, che l’esplosione dei traffici internazionali registratosi
nel dopoguerra è stato “attentamente esaminato con riguardo agli aspetti giuridici, economici,
finanziari, sociali, politici, ecc.”, mentre “non è stato invece tuttora sottoposto ad analisi
scientifica del tutto soddisfacente per quanto riguarda gli aspetti fiscali che pure, da molte
parti, sono stati indicati tra gli elementi determinati nella costituzione delle grandi imprese
multinazionali”. Invero, “la realtà delle imprese operanti in diversi Stati non è stata finora
inquadrata nell’ottica delle società multinazionali bensı` soltanto in quella di rapporti tra
imprese nazionali operanti all’estero e delle imprese estere operanti nel Paese”. Al contrario,
le evoluzioni del contesto avrebbero dovuto comportare già da allora un ripensamento dello
status quo della tassazione dei redditi transnazionali alla luce dell’elemento caratteristico
delle imprese multinazionali, ossia “la massimizzazione del profitto attraverso la più opportu-
na localizzazione dei fattori produttivi, nonché la concentrazione del profitto nelle mani
dell’unità economica centrale ovvero nelle mani di unità economiche razionalmente dislocate
secondo un piano prestabilito”. Ciò avrebbe dovuto indurre a sostituire “all’ottica c.d. ‘duali-
stica’ (interno-esterno) qual è quella generalmente assunta dalle disposizioni degli ordinamenti
interni e dalle convenzioni bilaterali, un’ottica per cosı` dire ‘pluralistica’ che sottolinei i riflessi
che la multinazionalità produce sui vari aspetti dell’impresa”.
532 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

4. - I criteri per l’individuazione dell’appropriato collegamento tra una


vicenda economica e la comunità dotata della potestà impositiva sui relativi
proventi
Al fine di impostare correttamente una riflessione relativa ai criteri di
imputazione del reddito d’impresa transnazionale, occorre muovere dalla
considerazione che, nei moderni Stati costituzionali democratici, la sovra-
nità non costituisce un attributo intrinseco e originario dello Stato, ma il
potere di autodeterminazione giuridica che appartiene al popolo che allo
Stato dà vita, ossia a una comunità giuridicamente organizzata che come
tale si pone ed è riconosciuta nei confronti delle altre. Da ciò discende che,
nel moderno contesto costituzionale degli Stati democratici di diritto, le
manifestazioni di sovranità dello Stato devono intendersi come collegate
anzitutto alla comunità organizzata che allo Stato dà vita, e solo indiretta-
mente agli altri elementi costitutivi dello Stato stesso (tradizionalmente, il
territorio e il governo) (39). Tanto vale anche per quella tipica manifesta-
zione di sovranità dello Stato rappresentata dal potete tributario.
In conseguenza di ciò, è possibile affermare che l’individuazione del
collegamento rilevante ai fini dell’attribuzione a uno Stato della potestà
impositiva su una determinata vicenda economica a rilevanza transnazionale
va effettuata assumendo come parametro di valutazione la relazione tra la
vicenda economica stessa e la collettività considerata, piuttosto che diretta-
mente la relazione tra la vicenda economica e il territorio dello Stato.
In questa prospettiva, la tradizionale individuazione nel territorio sta-
tale del criterio di collegamento fondamentale e diretto per l’imposizione
della ricchezza con elementi di transnazionalità reca già in sé i presupposti
del suo superamento.
Essa, infatti, costituisce il frutto di una metonimia tra comunità isti-
tuzionalizzata insediata su un territorio e territorio stesso (40), a sua volta
collegabile alla concezione autoritativa del fenomeno tributario e a una
visione dello Stato nazionale come soggetto dotato di sovranità intrinseca
ed originaria che, alla luce degli affermati principi di sovranità popolare,
merita di essere ripensata (41). Non si intende, naturalmente, affermare che

(39) Cfr., per tutti, P. Barile, E. Cheli, S. Grassi, Istituzioni di diritto pubblico, Padova,
2001, 8.
(40) Riprendo l’espressione “metonimia” dai miei scritti Sovranità tributaria e nuovi
luoghi dell’economia globale, in Dir. pubbl., 2019, 170, 177; Tax Sovereignty and the Law in
the Digital and Global Economy, Oxford – New York – Torino, 2020, 21, 30; Tax Sove-
reignty Today, in Revista Técnica Tributaria, 2020, 161.
(41) Si vedano, in tal senso, le riflessioni di D. Quaglioni, La sovranità, Roma – Bari,
2004, 108 ss., specie 120.
dottrina 533

l’elemento della territorialità sia di per sé irrilevante ai fini dell’attribuzione


a uno Stato della potestà impositiva su una determinata vicenda economica
e rilevanza transnazionale: esso dovrà considerarsi, tuttavia, rilevante sol-
tanto se e nella misura in cui espressivo, ancorché in via indiretta, di un
ragionevole collegamento tra la vicenda economica stessa e la collettività
detentrice della sovranità impositiva.
Si rende, pertanto, necessario il superamento dell’impostazione di
fondo che vede nel collegamento meramente territoriale il criterio di at-
tribuzione della potestà impositiva sulle vicende economiche a rilevanza
transnazionale e la condivisione di un criterio che valorizzi più direttamen-
te il collegamento con la comunità istituzionalizzata.
Ancor prima che una necessità imposta da esigenze di effettività del-
l’imposizione rese urgenti dalla globalizzazione economica, tale slittamento
di piani rappresenta sotto il profilo dogmatico il risultato della reimposta-
zione in termini più corretti del rapporto tra tributo e Stato (42).

4.1. - La strutturale inadeguatezza del criterio territoriale tradizionale


È in questa prospettiva più ampia, piuttosto che in quella della stretta
territorialità, che merita dunque di essere valutata l’adeguatezza della so-
luzione, cui si ispira da un secolo il sistema del diritto internazionale
tributario, di individuare per uno dei più importanti tributi (ossia quello
sul reddito) il nesso di collegamento tra vicende economiche imprendito-
riali, da un lato, e collettività per la quale esse possano costituire presup-
posto di tassazione, dall’altro lato, nello stabilimento del soggetto che
svolge tali attività, ossia nella residenza e nell’eventuale sussistenza di
stabili organizzazioni in Paesi diversi da quello di residenza (43).

4.1.1. - La stabile organizzazione


Iniziando proprio dalle stabili organizzazioni, va anzitutto e serena-
mente preso atto che, ai tempi dell’economia globale e digitale, che con
formula unitaria può indicarsi come “digi-global economy” (44), tale con-
cetto, strutturalmente legato alla presenza materiale di un frammento or-
ganizzativo dell’impresa su un territorio nazionale, ha veramente perso

(42) Pone esattamente il tema G. Fransoni, La territorialità nel diritto tributario, Mila-
no, 2004, specie 220 ss. e 267 ss.
(43) Cfr. gli artt. 4, 5 e 7 del modello OCSE di convenzione contro le doppie impo-
sizioni, al quale si rifanno la maggior parte dei trattati bilaterali e, generalmente, anche le
discipline interne che riguardano la materia.
(44) Riprendo la formula da me coniata in Tax Sovereignty and the Law in the Digital
and Global Economy, cit., 1.
534 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

capacità di interpretare in modo adeguato la realtà (45). I continui tentativi


di forzarne le maglie per farvi rientrare fattispecie sempre più eterogenee e
lontane dalle sue caratteristiche strutturali ne rappresentano la migliore
riprova. Non devono esservi particolari remore a pensionare, dopo cento-
cinquant’anni di onorata carriera, concetti giuridici che non solo non
hanno dato grande prova di sé ma che appaiono in ogni caso ormai
irrimediabilmente superati alla prova della realtà dei fatti (46).

(45) Sul tema, cfr. tra i molti: Y. Brauner, Taxing the Digital Economy Post-BEPS,
Seriously, in Intertax, 2018, 46, 463, il quale sottolinea, anche richiamandosi a C.I. Kingson,
The David Tillinghast Lecture: Taxing the Future, in Tax Law Rev., 1996, 51, 641, che la
digitalizzazione dell’economia evidenzia l’insufficienza degli strumenti tradizionali del diritto
internazionale tributario e che una “international tax law reform ... would be inevitable due
to the incompatibility between the international tax regime and the digital economy”; A. Báez
Moreno, Y. Brauner, Taxing the Digital Economy Post BEPS ... Seriously, in Univ. of Florida
Levin College of Law Research Paper, 2019; 16; M.P Devereux, J. Vella, Implications of
Digitalization for International Corporate Tax Reform, cit. 550; R.S. Avi-Yonah, The Struc-
ture of International Taxation: A Proposal for Simplification, cit., 1307, il quale sottolinea che
“in the modem world, where business can be conducted by communications equipment that
does not require a physical presence, the concept of a permanent establishment is obsolete and
should be replaced by a different type of threshold, such as a percentage of the sales of the
foreign entity or an absolute monetary de minimis amount”, soglia peraltro che non appare
più indispensabile da configurare oggi alla luce delle evoluzioni richieste dall’economia
digitale e permesse dall’informatizzazione dei dati.
Recentemente, il rapporto del Segretariato Generale dell’OCSE al Ministri delle Fi-
nanze del G20 e ai Governatori delle Banche Centrali, dell’Ottobre 2019, al par. 19 del-
l’Annex 1, ha confermato che “the allocation of a new taxing right to market jurisdictions
through new nexus and profit allocation rules would recognise that in today’s globalised and
increasingly digitalised economy a range of businesses can ... create meaningful value without a
traditional physical presence in the market. These features could be said to be relevant for any
business, but they are most relevant for digital centric businesses which interact remotely with
users”. A tale rapporto ha fatto seguito l’elaborazione dei due “Pilastri” per la riforma del
sistema della tassazione internazionale, che saranno esaminati nel successivo par. 6.
(46) La dottrina più evoluta ha colto questo aspetto fino dal Secolo scorso. A livello
internazionale le principali opera pionieristiche sono quelle di A. Skaar, Permanent Esta-
blishment. Erosion of a Tax Treaty Principle, cit. (1991), il quale conclude le sue ampie
riflessioni affermando (ivi, 573) che “in the author’s opinion, the future is likely to prove that
the PE principle has lost its force for new and mobile industries, whether tax treaties are
renegotiated for this purpose or not”, e di S. Picciotto, International Business Taxation. A
Study on Internationalization of Business Regulation, Cambridge, 1992, ove si muove dal-
l’assunto (ivi, 1) che la struttura del diritto internazionale tributario uscita dal compromesso
degli anni Venti “was inappropriate or ambiguous in relation to the type of investment that
came to dominate the post-1945 period”. La dottrina ha continuato a sottolineare l’inade-
guatezza del concetto di stabile organizzazione anche in tutti gli anni successivi e cfr., al
riguardo, almeno M.J. Graetz, Taxing International Income. Inadequate Principles, Outdated
Concepts, and Unsatisfactory Policy, cit., passim; W. Hellerstein, Jurisdiction to Tax Income
and Consumption in the New Economy: A Theoretical and Comparative Perspective, in
Georgia Law Rev., 2003, 38, 29 ss.; E.D. Kleinbard, Stateless Income, in Florida Tax
Rev., 2011, 11, 699; D. Shaviro, The Rising Tax-Electivity of U.S. Corporate Residence, in
dottrina 535

Del resto, a un più approfondito esame nella prospettiva sopra indicata

Tax Law Rev., 2011, 64, 377 ss.; J. Cockery, J. Forder, D. Svantesson, E. Mercuri, Taxes, the
Internet and the Digital Economy, in Revenue Law Journal, 23, 1 ss.; R.S. Avi-Yonah, The
Case for a Destination-Based Corporate Tax, in SSRN, 2015; Y. Brauner, Taxing the Digital
Economy Post-BEPS, Seriously, cit., 463, il quale esattamente osserva che “globalization at
the turn of the millennium altered business in now well-known (and profound) manners that
could not be seamlessly tackled by current, acceptable norms ... The instinctive response to
these challenges, a revision of the rules in adaptation to the new business environment by
tweaking of their application based on the principles of which these rules have been derived,
simply failed”; W. Schön, Ten Questions About Why and How to Tax the Digitalized
Economy, in Bull. Int. Tax., 2018, 280 ss. Per due recenti ricognizioni dello stato dell’arte
cfr. E. Traversa, (a cura di), Corporate Tax Residence and Mobility, Amsterdam, 2017; G.
Maisto (a cura di), New Trends in the Definition of Permanent Establishment, Amsterdam,
2019, con i saggi ivi contenuti. Nella dottrina interna, cfr. sul tema A. Fedele, Uscire dal
vicolo cieco: quali gli strumenti fiscali?, in Rass. trib., 2020, 303 ss., il quale evidenzia che “i
tradizionali criteri di territorialità, tendenzialmente utilizzati in tutte le legislazioni nazionali e
nelle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, risultano di fatto obsoleti e
inidonei a fronteggiare la progressiva sottrazione dei risultati economici dei maggiori operatori
del mercato planetario ai sistemi tributari degli Stati”; A. Purpura, Brevi riflessioni in tema di
stabile organizzazione digitale: dalla bit tax all’“utentecentrismo”?, in Dir. prat. trib., 2020,
476 ss.; S. Dorigo, Il problematico adattamento della nozione di stabile organizzazione all’e-
conomia digitale, in Corr. trib., 2019, 759 ss.; Id., La stabile organizzazione tra presente e
futuro, in Riv. dir. trib., 2021, II, 64 ss.; C. Buccico, Problematiche e prospettive della
tassazione dell’economia digitale, in Dir. proc. trib., 2019, 255 ss.; L. Carpentieri, La crisi
del binomio diritto-territorio e la tassazione delle imprese multinazionali, in Riv. dir. trib.,
2018, I, 351 ss.; V. Perrone, Nuovi criteri di collegamento e ridefinizione del concetto di
stabile organizzazione nella digital economy, in L. Del Federico (ed.), Le nuove forme di
tassazione della digital economy, Roma 2018, 63 ss.; A. Garcı́a Prats, Permanent Establish-
ment after BEPS – A more appropriate allocation of taxing rights?, in A. Vicini Ronchetti (a
cura di), Fiscalità della internazionalizzazione delle imprese, Torino, 2018, 21 ss.; L. Salvini.,
La strategia anti-BEPS nell’economia digitale: la revisione del criterio di collegamento, in Rass.
trib., 2017, 768 ss.; F. Paparella, voce Stabile organizzazione, in Diritto on line, 2016; G.
Fransoni, La stabile organizzazione: nihil sub sole novi?, in Riv. dir. trib., 2015, I, 123 ss.; Id.,
La territorialità nel diritto tributario, cit., 375 ss.; G. Corasaniti, La stabile organizzazione e
l’exit taxation, in Dir. prat. trib. int., 2014, 69 ss.; S. Cipollina, I redditi “nomadi” delle società
multinazionali nell’economia globalizzata, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2014, I, 21 ss., par. 4; G.
Melis, Le interrelazioni tra le nozioni di residenza fiscale e stabile organizzazione: problemi
ancora aperti e possibili soluzioni, in Dir. prat. trib., 2014, 29 ss.; A. Fantozzi, La stabile
organizzazione, in Riv. dir. trib., 2013, 99 ss.; Id., Evoluzione, problemi attuali e prospettive
del diritto tributario internazionale nell’ottica italiana, in AA.VV., Dal diritto finanziario al
diritto tributario. Studi in onore di Andrea Amatucci, IV, Napoli – Bogotà, 2012, 13, 18 e 22;
Id., L’imposizione fiscale delle stabili organizzazioni: problematiche e prospettive, in Riv. dir.
trib. int., 2002, 10, 11; R. Baggio, Il principio di territorialità ed i limiti alla potestà tributaria,
Milano, 2009, 191 ss.; C. Garbarini, La disciplina fiscale del commercio elettronico, principi
ispiratori, problematiche applicative e prospettive di sviluppo, in Dir. prat. trib., 2000, I, 1205
ss. L’obsolescenza del binomio “residenza – stabile organizzazione” è in verità riconosciuto
anche dall’OCSE, che lo ha evidenziato fin dal rapporto del 5 dicembre 2005 Are the
Current Treaty Rules for Taxing Business Profits Appropriate for E-Commerce? Tuttavia, la
stessa OCSE continua a operare saldo riferimento a tale binomio nell’elaborazione delle sue
proposte, come si vedrà nel successivo par. 6.
536 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

di concepire la territorialità come una mera metonimia del collegamento di


una vicenda a rilevanza transnazionale con la comunità detentrice della
sovranità tributaria, appare dubbia la stessa idoneità di una stabile orga-
nizzazione a rappresentare in sé un criterio di collegamento appropriato in
relazione a quella specifica vicenda economica costituita dal reddito del-
l’impresa multinazionale di cui la stabile organizzazione è parte.
Non vi è dubbio che la presenza di una stabile organizzazione su un
territorio coinvolga, di per sé, la comunità che su tale territorio vive ed
esercita la sovranità. Né vi è dubbio che tale coinvolgimento rilevi anche
per la contribuzione della stabile organizzazione stessa alle spese pubbli-
che della comunità che la ospita, ossia per finalità tributarie.
Tuttavia, i presupposti in relazione ai quali tale coinvolgimento ha
luogo sembrano essere diversi da quelli della produzione di una parte
del reddito dell’impresa multinazionale.
Invero, senza la presenza di un mercato in cui i beni e servizi prodotti
grazie alla stabile organizzazione siano venduti o gli investimenti in essa
detenuti siano commercialmente valorizzati, la stabile organizzazione in sé
non genererebbe alcun incremento patrimoniale (47), né produrrebbe per
l’impresa multinazionale alcuna forma di reddito, con la conseguenza che
il valore ad essa imputabile assume carattere essenzialmente teorico (48) e
subordinato a vicende ulteriori non del tutto dipendenti o connesse alla
stabile organizzazione stessa né alla comunità – e al territorio – in cui essa
si inserisce.
Lo stesso approccio della “separate entity”, su cui si basa l’art. 7
dell’attuale modello OCSE, in piena continuità con l’art. VI del protocollo
annesso al modello di convenzione del 1946 (49), dà vita a una ricostru-

(47) Come esattamente osservato da M.P. Devereux, J. Vella, Implications of digitali-


zation for international corporate tax reform, cit., 552, “each of the activities taking place in
these locations” – i.e. negli Stati di residenza o di stabile organizzazione – “might be thought
to be necessary, but not sufficient, for the generation of profit (and the ‘creation of value’)”.
Cfr., altresı̀, ivi, 555, ove si osserva che “undertaking the R&D may be necessary, but is not
sufficient for generating a return. Ultimately, the R&D must be used to produce a good or
service that a third party wants to purchase”.
(48) Conseguentemente, non appare indispensabile valorizzare in via generale il luogo
della presenza degli asset neppure laddove si voglia assumere come presupposto di partenza
il criterio, proposto dal piano anti-BEPS dell’OCSE, di tassare il reddito transnazionale
“dove il valore è creato” (“where value is created”). In questa prospettiva, anzi, non sem-
brano giustificate le esclusioni indicate nel rapporto OCSE dell’Ottobre 2019, citato alla
precedente nota 45, il quale all’Annex 1, par. 20 individua alcuni settori di esclusione
dall’ambito di applicazione del principio della destinazione (industrie estrattive, servizi
finanziari), né le limitazioni quantitative poste a base del Primo Pilastro di cui si dirà nel
successivo par. 6.1.
(49) Cfr. la precedente nota 18.
dottrina 537

zione essenzialmente ipotetica non soltanto nella determinazione del quan-


tum del reddito attribuibile alla stabile organizzazione, ma anche dell’an di
esso, con la conseguenza che la conformità di un sistema del genere al
principio di effettività della capacità contributiva appare problematica.
Per converso, la presenza di uno stabilimento fisico dell’impresa mul-
tinazionale – organizzato in forma d’azienda, ma anche d’ufficio o anche
meramente personale – in un dato territorio denota in sé un collegamento
con la comunità di riferimento per una molteplicità di aspetti economici
diversi e ulteriori, quali sono quelli posti a base di molti tributi “reali”,
come le imposte sulla proprietà immobiliare o i tributi indiretti, oltre
naturalmente ai redditi erogati dall’impresa a terzi inseriti nella comunità
e che per essi saranno indubbiamente tassabili nel Paese stesso, come ad
esempio i redditi dei lavoratori dipendenti residenti o i redditi del locatore
residente dell’immobile (50).

4.1.2. - La residenza
Considerazioni opposte, ma concorrenti nella stessa direzione, valgono
per il criterio di collegamento territoriale rappresentato dalla residenza
dell’impresa, sul presupposto che essa sia strutturata in forma societaria
o comunque entificata.
In via preliminare, occorre prendere atto che il criterio della residenza
rispecchia la tradizionale impostazione vetero-capitalistica, volta a privile-
giare la remunerazione del capitale, piuttosto che l’effettivo svolgimento
dell’attività imprenditoriale (51). Invero, affermare il principio che, al netto
di alcuni aggiustamenti marginali, il reddito ricavato “worldwide” da
un’impresa sia imponibile unitariamente nel Paese in cui essa risiede, salvo
quello imputabile a eventuali strutture fisse d’affari all’estero, equivale a
individuare nell’investimento di capitale la vera vicenda economica rile-
vante per la formazione del reddito: è infatti all’originario investimento di

(50) In questo modo, appare ampiamente garantito il rispetto del principio del bene-
ficio che, insieme con il principio della capacità contributiva (cui può considerarsi affine il
concetto, generalmente utilizzato a livello internazionale, di “ability-to-pay”), costituisce il
parametro essenziale alla luce del quale valutare l’equità del sistema d’imposizione delle
multinazionali e dell’economia digitale. Cfr., sul punto, G. Bizioli, Fairness of the Taxation of
the Digital Economy, in W. Haslehner, G. Kofler, K. Pantazatou, A. Rust (a cura di), Tax
and the Digital Economy: Challenges and Proposals for Reform, Alphen aan der Rijn,
2019, 59.
(51) Sul punto cfr. C. Peters, On the Legitimacy of International Tax Law, cit., 127 ss.;
R.S. Avi-Yonah, H. Xu, Evaluating BEPS, in S.A. Rocha, A. Christians (a cura di), Tax
Sovereignty in the BEPS Era, Alphen aan der Rijn, 2017, 99, ove si osserva che la soluzione
raggiunta negli anni Venti si ispira al principio che il collegamento territoriale si radica
“where the capital invested was accumulated”.
538 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

capitale, fondamento dell’impostazione liberal-capitalistica, che si correla


la fondazione del soggetto imprenditoriale o delle sue sedi distaccate.
Lo stesso vale per l’ulteriore specificazione del criterio della residenza,
che individua la “tie breaker rule”, per definire quale sia l’ordinamento nel
quale l’ente societario sia residente, nel luogo di effettiva amministrazione
intesa come assunzione delle decisioni gestionali fondamentali: esso, infat-
ti, continua a conferire rilevanza essenziale all’investimento di capitale,
ancorché non nella dimensione statica dell’investimento iniziale, ma nella
dimensione dinamica dell’investimento in divenire come atto gestorio im-
prenditoriale.
Risulta, pertanto, evidente come tale approccio si fondi su una conce-
zione della impresa come soggetto, come persona, piuttosto che come
attività e come rete di affari che producono reddito soltanto se e nella
misura in cui si concretano nella vendita di beni e servizi o comunque nella
generazione di componenti redditualmente rilevanti.
Sennonché, l’unitarietà fisica che naturalmente caratterizza l’essere
umano rende ragionevole per essi l’identificazione di una determinata
collettività come base di radicamento unitario della persona e, quindi,
come centro unitario di imputazione del presupposto dei tributi personali,
in particolare, di quello sul reddito (52). Sull’unitarietà dell’essere umano,
le novità della “digi-global economy” incidono solo marginalmente, limi-
tandosi a rendere più complesso stabilire quale sia tale base principale a
fronte di soggetti che hanno collegamenti con molteplici collettività e
ponendo, semmai, il problema di eventuali discrasie tra il criterio di col-
legamento utilizzato per individuare l’insorgenza del presupposto imposi-
tivo e quello utilizzato per accordare la fruizione di servizi pubblici (53).

(52) R.S. Avi-Yonah, The Structure of International Taxation: A Proposal for Simplifi-
cation, cit., 1311.
(53) A tal fine, pertanto, la questione fondamentale è se individuare il criterio di
radicamento fondamentale della persona fisica in una comunità nella cittadinanza o nella
residenza, dovendosi ciò valutare anche alla luce del rispetto del principio del consenso al
contributo (si rinvia, in proposito, alle considerazioni svolte in F. Farri, Tax Sovereignty and
the Law in the Digital and Global Economy, cit., 91 ss.). Problemi si pongono, in particolare,
nel caso in cui l’ordinamento consenta a un soggetto che non paghi le imposte nel Paese di
fruire comunque di servizi pubblici finanziati dalla fiscalità generale (e, quindi, per i quali
non siano previste specifiche tasse di fruizione che chiunque possa pagare) e tale questione
viene generalmente risolta mediante la previa stipula di polizze assicurative da parte del-
l’interessato o tramite accordi di riparto di gettito tributario tra i diversi Paesi coinvolti. Ciò
avviene, ad esempio, tra gli Stati dell’Unione Europea: si consideri, in particolare, il Rego-
lamento n. 833/2004/CE, specialmente all’art. 35 in tema di sussidi per maternità o malattia,
all’art. 41, in tema di sussidi per incidenti sul lavoro e malattie professionali, e all’art. 65, in
tema di sussidi di disoccupazione. Le procedure per dar corso alla ripartizione degli oneri
dottrina 539

Invece per le imprese la realtà è diversa, poiché per quelle strutturate


in forma societaria la dimensione unitaria non sussiste in natura ed è
soltanto il frutto della creazione di una fictio iuris. Ma tale finzione, di
fronte alle novità della “digi-global economy”, non si presta più ad essere
sostenuta con schemi ricalcati sul modo in cui essa si manifesta per la
persona umana (54). D’altronde, con la comunità a cui nel vigente sistema
potrebbe essere assegnata la potestà impositiva sull’intero reddito prodot-
to su scala mondiale, l’impresa multinazionale potrebbe non aver null’altro
da condividere se non una sala per le riunioni del c.d.a., e a volte neppure
quella vista la possibilità di collegamento da remoto, sicché anche in
questo caso il dato della residenza non appare, in sé, dirimente a fondare
un criterio effettivo e di per sé adeguato di collegamento tra il reddito
prodotto nel mondo dall’impresa e la comunità fiscale dal cui perimetro
vengono assunte le decisioni dell’impresa stessa (55).

4.2. - Il genuine link appropriato per la giusta imposizione del red-


dito delle multinazionali nel terzo millennio
Se si tiene conto delle considerazioni sopra svolte, la questione del-
l’individuazione del criterio di collegamento appropriato per il reddito
delle multinazionali appare risolubile alla stregua dei criteri che seguono.

4.2.1. - Il mercato e l’economia digitale


Anzitutto, il reddito prodotto da un’impresa è ragionevolmente colle-
gabile alle comunità nel cui ambito, per l’appunto, l’impresa stessa genera
quegli incrementi patrimoniali che danno vita al proprio reddito.
Essi sono costituiti, anzitutto, dai proventi caratteristici, ossia quelli
della vendita di beni e servizi: cosı̀, il reddito dell’impresa dovrà ritenersi
collegabile anzitutto a quelle comunità nel cui ambito l’impresa vende i
beni e servizi che produce, attività che riprendendo la terminologia dei
principi contabili internazionali può essere sinteticamente indicata con il

finanziari di tali sussidi tra i vari Stati coinvolti nelle erogazioni nei confronti di persone
collegate con più ordinamenti sono stabile dal Regolamento n. 987/2009/CE.
(54) Per considerazioni analoghe cfr. R.S. Avi-Yonah, Globalization, Tax Competition
and the Fiscal Crisis of the Welfare State, cit., 1673.
(55) Sul tema cfr., di recente, P. Baker, Some Thoughts on Jurisdiction and Nexus, in G.
Maisto (a cura di), Current Tax Treaty Issues, Amsterdam, 2020, 441 ss., il quale argomenta
in modo convincente che il criterio di collegamento rappresentato dalla residenza dovrebbe
considerarsi inadeguato per radicare il collegamento territoriale delle società ai fini dell’im-
posta sul reddito. Il punto è rilevato da A. Contrino, Il “metodo comparativo” quale stru-
mento evolutivo del diritto dei trattati fiscali: note a margine del volume “Current Tax Issues”
edito da IBFD per i cinquant’anni dell’International Tax Group, in Riv. dir. trib., 2021, V, 13.
540 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

concetto di “business”. Da ciò discende la possibilità di qualificare il


criterio di collegamento in questione come criterio del mercato o della
destinazione (“destination-based approach”).
Tale criterio, che naturalmente richiede di essere specificato per indi-
viduare con precisione quali siano gli ordinamenti nei quali la cessione di
beni o prestazione di servizi deve ritenersi effettuata nelle varie fattispecie
che possono distinguersi per oggetto e per modalità, comporta una serie di
benefici di carattere generale, che si evidenzieranno infra nel par. 5, e si
manifesta particolarmente adatto a rispondere anche alle esigenze dell’e-
conomia digitale. Nell’economia digitale risulta ancor più accentuato (56) il
contributo che l’utente dà alla formazione del valore per l’impresa, per cui
a maggior ragione un passaggio verso il “destination-based approach” ri-
chiederebbe in questi frangenti di essere accolto.
Se ciò vale, con evidenza, per tutte quelle vicende di business virtuale
che si traducano nella cessione di un bene materiale o nella prestazione di
un servizio tradizionali, considerazioni analoghe possono valere anche per
il caso, più complesso (57), delle cessioni di beni e prestazioni di servizi che
rimangono confinati al mondo virtuale.
A tal riguardo, la questione fondamentale ruota attorno all’individua-
zione delle caratteristiche che deve avere una vicenda economica digitale
per poter essere considerata come “presenza”, ancorché digitale, nella
comunità territoriale di un Paese.
Tale questione dovrebbe essere risolta verificando se la vicenda sia o
meno produttiva di un business o possa o meno considerarsi come un asset
economicamente apprezzabile per l’operatore informatico (58), secondo la
prospettiva di cui si dirà nel successivo par. 4.2.2. È in questo senso,
infatti, più che in questioni relative all’ancoraggio fisico di un server o
all’ammontare complessivo dei ricavi, chiaramente ispirate alla logica della
stabile organizzazione piuttosto che a ragioni di efficienza dei controlli (59),

(56) Si vedano, al riguardo, Englisch J. – Becker J., Taxing Where Value is Created:
What’s “User Involvement” Got to Do With It?, in 47 Intertax, 2019, 161 ss.; S. De Jong, W.
Neuvel, Á. Uceda, Dealing with Data in a Digital Economy, in Int. Transfer Pricing J., 2018;
25, A.Y. Prussak, Source, Character and Taxable Presence in a Digital World: International
Taxation of Online Advertising, Ann Arbor, 2017, passim.
(57) Cfr., sul punto, K. Pantazatou, The taxation of the sharing economy, in W. Ha-
slehner, G. Kofler, K. Pantazatou, A. Rust (a cura di), Tax and the Digital Economy: Chal-
lenges and Proposals for Reform, cit., 215 ss.
(58) In senso analogo G. Bizioli, op. cit., 65, il quale si interroga se le informazioni o i
dati raccolti da soggetti non residenti possano considerarsi un equo criterio di collegamento
con la “user jurisdiction” e raggiunge una conclusione essenzialmente negativa.
(59) La questione è, in verità, al centro di ogni riflessione condotta sul punto dall’OC-
SE e dalla Commissione Europea, che tende a introdurre un nuovo tipo di stabile organiz-
dottrina 541

che dovrebbe essere indirizzato il dibattito circa il carattere “significativo”


o meno della presenza digitale di un operatore del web in un Paese al fine
di essere assoggettato all’imposizione sul reddito nel Paese stesso.
Cosı̀, ad esempio, sarà certamente da considerarsi alla stregua di una
presenza nella comunità di un Paese il corrispettivo che un provider per-
cepisce, da un operatore del Paese o per suo conto, per mantenergli il

zazione quando la multinazionale ha una presenza digitale significativa (“significant digital


presence”) su un dato territorio. Si veda, in proposito, la proposta di direttiva della Com-
missione EU COM(2018)147. A livello interno, la nozione di stabile organizzazione di cui
all’art. 162 del t.u.i.r. è già stata adattata al criterio della presenza digitale significativa
mediante l’introduzione nel comma 2 della nuova lett. f-bis) per effetto dell’art. 1, comma
1010 della legge di stabilità per il 2018, n. 205/2017. Per un riepilogo dello stato del
dibattito a livello internazionale sul tema della stabile organizzazione digitale cfr. P. Bräu-
mann, Digital Permanent Establishments on its Way to Becoming a Reality? The EU Com-
mission’s Proposal on Taxing “Significative Digital Presence”, in W. Haslehner, G. Kofler, K.
Pantazatou, A. Rust (a cura di), op. cit.; S. Dorigo, op. cit.; V. Perrone, op. cit.; R. Petruzzi.
V. Koukoulioti, The European Commission’s Proposal on Corporate Taxation and Significant
Digital Presence: A Preliminary Assessment, in European Taxation, 2018, 58, 391 ss.; A.Y.
Prussak, op. cit.; J.A. Gomez Requena, S. Moreno Gonzalez., Adapting the Concept of
Permanent Establishment to the Context of Digital Commerce: From Fixity to Significant
Digital Economic Presence, in Intertax, 2017, 45, 732 ss.; J. Englisch, J. Becker, Ein größeres
Stück vom Kuchen: Besteuerung der Gewinne von Google und Co., in Wirtschaftsdienst,
2017, 801 ss.; M. De Wilde, Tax Jurisdiction in a Digitalizing Economy; Why ‘Online
Profits’Are So Hard to Pin Down, in Intertax, 2015, 43, 796 ss.; W. Hellerstein, Jurisdiction
to Tax in the Digital Economy: Permanent and Other Establishments, in Bull. Int. Tax., 2014,
68, 346 ss.; M.K. Singh, Taxing E-Commerce on the Basis of Permanent Establishment:
Critical Evaluation, in Intertax, 2014, 42, 325-333; J. Monsenego, May a Server Create a
Permanent Estalishment? Reflections on Certain Questions of Principle in Light of a Swedish
Case, in International Tranfser Pricing Journal, 2014, 247 ss.; R. Lupi, V. Perrone, Economia
digitale tra stabile organizzazione occulta e pubblicità “on line”, in Dial. trib., 2014, 324 ss.;
Greggi M., Sito web, server e stabile organizzazione: la lunga marcia della giurisprudenza
tributaria verso i principi OCSE, in Fisco, 2012, 2127 ss.; M.S. Kirsch, The Role of Physical
Presence in the Taxation of Cross-Border Personal Services, in Boston College Law Rev., 2010,
51, 993 ss.; E. Belli Contarini, Contratto di web hosting e stabile organizzazione, in Riv. dir.
trib., 2008, 755 ss.; M. Marconi, Il server come stabile organizzazione, in Fisc. Intern., 2007,
486 ss.; M. Giaconia, L. Greco, Quando il server è stabile organizzazione materiale, in Corr.
trib., 2007, 2320 ss.; M. Proto, Considerazioni in tema di applicabilità delle nozioni tradizio-
nali di residenza e stabile organizzazione alle nuove realtà telematiche, in Riv. dir. fin. sc. fin.,
2005, I, 352; R.J. Buchanan, The New-Millennium Dilemma: Does Reliance on the Use of
Computer Servers and Websites in a Global Electronic Commerce Environment Necessitate a
Revision to the Current Definition of a Permanent Establishment?, in SMU Law Review,
2001, 54, 2109 ss. Con specifico riguardo alla lett. f-bis) del comma 2 dell’art. 162 del t.u.i.r.
cfr. A.M. Gaffuri, Studio sulla funzione e sul concetto di stabile organizzazione nelle imposte
sul reddito, Torino, 2021, 214 ss.; C. Buccico, La ridefinizione della stabile organizzazione
personale e la figura del commissionario, in Riv. Guardia Fin., 2019, 1 ss.; B. Ferroni, Stabile
organizzazione: la disciplina nazionale si adegua al BEPS e introduce la “continuativa presenza
economica”, in Fisco, 2018, 632 ss.; D. Avolio, La nuova definizione di stabile organizzazione,
in Riv. dir. trib., 2018, I, 265 ss.; S. Guarino, La nozione di stabile organizzazione nell’era
dell’economia digitale, in Corr. trib., 2018, 76 ss.
542 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

dominio del sito web, oppure per collocare una sua pubblicità sul web o su
un social network, oppure per inserirlo in posizione più favorevole su un
motore di ricerca. Al contrario, le semplice visione da parte dei residenti
del Paese di un contenuto informatico non appare sufficiente a radicare un
collegamento apprezzabile con la comunità del Paese stesso (che, del resto,
sarebbe difficilissima da valorizzare sotto il profilo economico), poiché non
è ragionevolmente dimostrabile che da esso derivi un business tra chi vede
il contenuto e l’inserzionista o il provider, allo stesso modo in cui non è
ragionevolmente sostenibile che chi vede una pubblicità compri il prodot-
to pubblicizzato (60). Analogamente, il semplice uso di un sito web nella
lingua nazionale di uno Stato non appare idoneo a stabilire un criterio di
connessione tra le attività economiche generate dal sito e lo Stato dove
quella lingua si parla, mentre può risultare un criterio collegamento idoneo
per diversi tipi di imposte come ad esempio quelle sulla pubblicità (61).

4.2.2. - Il ruolo degli investimenti


Considerazioni analoghe a quelle sopra esposte valgono per la perce-
zione di componenti reddituali derivanti da vicende negoziali riguardanti
gli investimenti posseduti, che riprendendo la terminologia dei principi
contabili internazionali possono essere sinteticamente indicati con il con-
cetto di “asset”. Tali componenti reddituali dovranno risultare imponibili
nel Paese cui tali vicende negoziali si collegano nel modo razionalmente
più appropriato. Escludendo la rilevanza in sé, ai fini delle imposte dirette,
del luogo in cui il negozio giuridico è formalmente perfezionato, tale
collegamento dovrà tendenzialmente individuarsi nel contesto giuridico

(60) Al riguardo, autorevole dottrina ha sostenuto che tale collegamento possa dirsi
sussistente anche laddove la multinazionale del web abbia una relazione qualificata con
l’utente (“sustained user relationship”, SURE) accompagnata da una qualche forma di en-
trata: J. Englisch J. Becker, D. Schanz., How Data Should (ot) be Taxed, in SSRN, 2018,
parr. 4 e 6; J. Englisch J. Becker, D. Schanz, A SURE Way of Taxing the Digital Economy, in
Tax Notes, 2019, 93, 309 ss.; J. Englisch, J. Becker J., Taxing Where Value is Created: What’s
“User Involvement” Got to Do With It?, cit. Sul tema cfr. altresı̀ A.Y. Prussak, Source,
Character and Taxable Presence in a Digital World: International Taxation of Online Adver-
tising, cit.; R.S. Avi-Yonah, R. Fishbien, The Digital Consumption Tax, in Intertax, 2020, 48,
538 ss.; A. Purpura, Brevi rilfessioni in tema di stabile organizzazione digitale: dalla bit tax
all’“utentecentrismo”?, cit., passim.
(61) In questo senso è stata anche la decisione della Corte di giustizia UE, Grande
Sezione, 3 marzo 2020, C-482/18, Google Ireland Limited v. Nemzeti Adósos Vámhivatal
Kiemelt Adós Vámigazgatósága. Al riguardo, peraltro, non può omettersi di osservare come il
tema attenesse più propriamente al diritto internazionale tributario, che non al diritto
dell’Unione Europea. Ad ogni modo, è interessante notare (Dorigo S., op. cit.) come né
nella predetta decisione, né nelle conclusioni dell’A.G. Kokott il concetto di “stabile orga-
nizzazione” sia mai stato utilizzato per supportare in modo significativo l’argomentazione.
dottrina 543

cui il bene oggetto della compravendita più strettamente si collega – si


pensi, per gli immobili o le aziende, al luogo in cui essi sono ubicati – e, in
via residuale, nel Paese in cui si collocano i soggetti che permettono il
conseguimento di tali componenti reddituali partecipando all’operazione,
ossia nel Paese dell’acquirente. Anche stavolta, infatti, è il suo intervento
che permette la generazione del componente positivo mediante pagamento
del corrispettivo, con la conseguenza che in questa prospettiva residuale il
componente reddituale può collegarsi più ragionevolmente alla comunità
fiscale in cui l’acquirente stesso è inserito piuttosto che a quella in cui è
inserito il cedente.
In questa prospettiva, risulta sufficientemente chiaro che il mero pos-
sesso di un asset – materiale o immateriale – da parte dell’impresa non si
presta in generale a fondare in sé un autonomo criterio di collegamento
con il territorio in cui esso è posseduto, ma lo sarà nella misura in cui
l’asset stesso generi componenti redditualmente rilevanti nel luogo di lo-
calizzazione.
Soltanto in casi particolari, rilevanti nel quadro della digitalizzazione
dell’economia, il possesso di un asset può dirsi idoneo a integrare in sé un
rilevante collegamento con la collettività di riferimento (62), a prescindere
dalla generazione di componenti reddituali.
Si pensi al riguardo, anzitutto, ai cd. big data, sulla cui effettiva rile-
vanza è peraltro lecito nutrire più di un dubbio, come si rileverà nel
successivo par. 5.1. (63). Per quanto attiene agli altri possibili asset, a co-

(62) M.J. Graetz, Taxing International Income. Inadequate Principles, Outdated Con-
cepts, and Unsatisfactory Policy, cit., 323: “The fragility and manipulability of the residence of
corporations suggests to me that ... international tax policy, to the extent possible, should
reduce the tax consequences of determinations of residence for corporations. There are several
policy implications that flow from this judgment. First and foremost, it implies priority of
taxation of business income at source. In the case of corporations, we probably should stop
talking as if our policy is worldwide taxation of corporate residents and as if any departure
from such policy ... is an aberration ... We should try to minimize the tax consequences that
turn on a corporation’s “residence.” This necessarily would put additional pressure on deter-
minations of source, and make the linkage of such determinations to the location of real
economic activity (the locations of sales, labor, property, and research and development), as
suggested in the previous Section, even more pressing”.
(63) Sul fatto che la relazione qualificata con l’utente (“sustained user relationship”,
SURE) possa essere considerata come un “intangible asset” cfr. J. Englisch J. Becker, D.
Schanz, How data should (not) be taxed, cit., par. 6; J. Englisch J. Becker, Taxing Where
Value is Created: What’s “User Involvement” Got to Do With It?, cit., 171; M.P: Devereux,
J. Vella, Implications of Digitalization for International Corporate Tax Reform, cit., 555; A.Y.
Prussak, Source, Character and Taxable Presence in a Digital World: International Taxation of
Online Advertising, cit., 2 il quale evidenzia che “user information and data are assets the
value of which is made possible by the efforts of the jurisdiction of the users whose data is
being undermined and exploited”.
544 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

minciare dagli algoritmi, occorre tenere presente che essi, al contempo,


sono incorporati in prodotti che vengono direttamente commercializzati,
dando vita a un business, ma permangono anche alla base di servizi che
l’ideatore fornisce gratuitamente, ancorché ovviamente al fine di aumen-
tare la propria visibilità e cosı̀ la propria capacità di attrarre ricavi per la
fornitura di altri servizi: si pensi agli algoritmi che sono posti alla base del
funzionamento dei motori di ricerca gratuiti. Tenuto conto di ciò, sembra
in tali ipotesi inevitabile combinare criteri che valorizzino, da un lato, il
collegamento con i Paesi nei quali i software che su tali algoritmi si basano
vengono venduti dando origine al business ma anche, dall’altro lato, il
collegamento con i Paesi nei quali l’elaborazione dell’algoritmo viene pre-
disposta (64).
Per questo motivo, il criterio di ripartizione (“apportionment”) della
potestà impositiva tra Stati più appropriato sembra essere rappresentato
da un opportuno coordinamento del “destination-based approach” con la
possibile valorizzazione del ruolo di alcune tipologie di asset digitali.

(64) Al riguardo, è possibile osservare per inciso come, potendosi risolvere – pur con le
suddette difficoltà e incertezze – la questione dell’assoggettamento a imposte sul reddito
delle vicende dell’economia digitale, non permane la necessità di affrontare mediante tributi
compensativi (cd. “equalization levies”) la percezione sociale diffusa che i giganti del web si
sottrarrebbero alle imposte sul reddito nei Paesi in cui svolgono il proprio business. Ciò
fermo restando che, naturalmente, anche le vicende economiche virtuali possono concet-
tualmente essere oggetto di tributi reali e indiretti, quali bit tax, hit tax, big data tax o
quant’altro, essendo peraltro sul punto dirimente la valutazione di opportunità di ogni
singolo Stato, anche in relazione al carattere inevitabilmente distorsivo rivestito da tali
tributi, confermato, tra gli altri, da A.P. Dourado, In Search of an International Tax System
in a Post-BEPS Tax Competition Setting, in Intertax, 2019, 47, 2 ss. e M. Devereux, J. Vella,
Taxing the Digitalised Economy: Targeted or System-Wide Reform, in Brit. Tax Rev., 2018, 4,
381. Sulle “equalization levies” cfr. anche le successive note 82 e 129. Analogamente, potrà
essere oggetto di imposizione indiretta la scelta imprenditoriale di sostituire il lavoro umano
con mezzi robotici, al fine di compensare le esternalità negative che la collettività riceve da
tale scelta imprenditoriale in termini di diminuzione nel tasso di occupazione e di contra-
zione delle imposte e dei contributi sul reddito di lavoro dipendente: si vedano, sul tema, V.
Ooi, G. Goh, Taxation of Automation and Artificial Intelligence as a Tool of Labour Policy,
in SMU Institutes Centre for AI & Data Governance Working Papers, 2019; S. Dorigo, Robot
and Taxes: Turning An Apparent Threat Into An Opportunity, in Tax Notes Int., 2018, 1079
ss.; X. Oberson, Taxing Robots?, Cheltenham, 2019, passim; Id., International – Robot
Taxes: The Rise of a New Taxpayer, in Bull. Int. Tax., 2021, 8. Simile misura, tuttavia,
dovrà necessariamente essere coordinata a livello internazionale, potendosi produrre altri-
menti un effetto boomerang, rappresentato dalla possibile fuoriuscita delle imprese più
tecnologizzate (J. Englisch, Digitalisation and the Future of National Tax Systems: Taxing
Robots?, in W. Haslehner, G. Kofler, K. Pantazatou, A. Rust (a cura di) op. cit., che
difficilmente potrebbe essere arginato tramite l’introduzione di una exit tax, che appare
problematica sotto il profilo della possibile compatibilità con i principi costituzionali dei vari
Stati oltre che con parte del diritto internazionale pattizio.
dottrina 545

Si può, pertanto, affermare che un appropriato modello di tassazione


del reddito d’impresa a livello internazionale (il riferimento è sempre alle
imprese costituite in forma societaria o comunque entificate) è costituito
dal “Destination-Based Asset-Cohordinated approach” (DBAC).
Un simile criterio costituisce applicazione del più generale principio
dello “unitary approach” nell’impostazione delle imprese multinaziona-
li (65) e permette di raggiungere una combinazione equilibrata tra le esi-

(65) Come noto, lo “unitary approach” è basato sulla considerazione delle multinazio-
nali e del loro business come entità concretamente unitarie e si contrappone, in questo, al cd.
“independent entity approach”: cfr., ex pluribus, S. Picciotto, The Current Context and a
Little History, cit., 6. Lo “unitary approach” può essere declinato in molteplici forme (cfr.,
ancora, S. Picciotto, Unitary Alternatives and Formulary Apportionment, in S. Picciotto, (a
cura di), Taxing Multinational Enterprises as Unitary Firms. Towards Unitary Taxation of
Transnational Corporations, cit., 27 ss.): il criterio della residenza e della connessa tassazione
dell’utile mondiale (“residence-based worldwide taxation”, RBWT) è una di queste (ivi, 27),
mentre un’altra è rappresentata appunto dal “destination-based approach”. Sull’opportunità
di adottare una forma di “unitary approach” per tassare adeguatamente il reddito delle
multinazionali concorda una larga parte della dottrina, sebbene molto diversificate possono
essere le soluzioni in concreto proposte, ossia le formule di ripartizione della potestà impo-
sitiva tra i vari Stati (“formulary apportionment”): cfr., per tutti, S. Langbein, The Unitary
Method and the Myth of Arm’s Length, in Tax Notes, 1986, 17, 625 ss.; M.C. Durst, A
Practical Approach to a Transition to Formulary Apportionment, in S. Picciotto (a cura di),
Taxing Multinational Enterprises as Unitary Firms. Towards Unitary Taxation of Transna-
tional Corporations, cit., 44 ss.; R.S. Avi-Yonah, Z. Pouga Tinhaga, Formulary Apportion-
ment and International Tax Rules, ibid., 67; K. Sadiq, Unitary Taxation of the Finance Sector,
ibid., 119 ss.; F. Gallo, Prospettive di tassazione dell’economia digitale, in Dir. merc. tecn.,
2016, 157; V. Tanzi, Globalization and Taxation: A Brief Historical Survey, in Riv. dir. fin. sc.
fin., 2014, I, 3 ss.; Id., Taxation in an integrating world, Washington D.C., 1999: s. Cipol-
lina, op. cit., 36, la quale evidenzia come il principale ostacolo all’adozione di tale approccio
a livello internazionale sia il fattore politico, vista la generale opposizione dei Paesi che
vedrebbero i propri interessi fiscali pregiudicati; M. Devereux, J. Vella, Are we heading
towards a corporate tax system fit for the 21st century?, in OUCBT Working Paper, 2014, 14;
R.S. Avi-Yonah,, Unitary taxation and international tax rules, in Law & Economics Working
Papers, 2013, 83; Id., Splitting the Unsplittable: Toward a Formulary Approach to Allocating
Residuals Under Profit Split, in Michigan Law Papers, 2013, 378; C. Fuest, C. Spengel, K.
Finke, J. Heckemeyer, H. Nusser, Profit Shifting and “Aggressive” Tax Planning by Multi-
national Firms: Issues and Options for Reform, in World Tax J., 2013, 5, 307 ss.; S. Picciotto,
Towards Unitary Taxation of Transnational Corporations, in Tax Justice Network, 2012;
Kleinbard E.D., Stateless Income, in Florida tax review, 2011, 11, 699 ss.; Id., Stateless
Income and its Remedies, in T. Pogge, K. Mehta (a cura di), Global tax fairness, Oxford,
2016; R. Vann, Taxing International Business Income: Hard-Boiled Wonderland and the End
of the World, in World Tax J., 2010, 2, 291 ss.; R.S. Avi-Yonah, K.A. Clausing, M.C. Durst,,
Allocating Business Profits for Tax Purposes: A Proposal to Adopt a Formulary Profit Split, in
Univ. of Michigan Public Law Working Paper, 2009, 1; R.S. Avi-Yonah, K. Clausing, Re-
forming Corporate Taxation in a Global Economy: A Proposal to Adopt Formulary Appor-
tionment, Washington D.C., 2007; R.S. Avi-Yonah, Globalization, Tax Competition, and the
Fiscal Crisis of the Welfare State, cit.; Id., Slicing the Shadow: A Proposal for Updating U.S.
International Taxation, in Tax Notes, 1993, 56, 1511 ss.
546 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

genze, da un lato, di garantire una tassazione su base unitaria a livello


globale, dall’altro lato, di suddividere il reddito tra i vari Paesi in cui le
multinazionali operano proporzionalmente al reale impatto reddituale che
traggono in ciascuna comunità, dall’altro lato ancora, di calibrare il col-
legamento in maniera più flessibile rispetto al mero dato tradizionale dello
stabilimento territoriale.
Il tutto senza incidere di per sé sul carattere “personale” e onnicom-
prensivo dell’imposta sul reddito per le società (66), almeno non più di
quanto su di esso già incide l’attuale configurazione di tale tributo (67).
E infatti, la “personalità” del tributo, intesa come ricomprensione nel
presupposto di tutti gli indici di una determinata classe riferibili a una
data entità giuridica – persona fisica, società, fondazione ecc. – (68) ha per
sua natura come orizzonte di riferimento la collettività le cui spese il
tributo va a finanziare: non è, pertanto, insito nel concetto di “personalità”
del tributo, né tanto meno in altre esigenze di ordine strutturale, l’acco-
glimento del principio della tassazione dell’utile mondiale.

4.2.3. - Il nuovo ruolo residuale del binomio “residenza – stabile orga-


nizzazione”
L’osservazione che, nella prospettiva sopra esposta, verrebbe a man-
care un centro unitario di imputazione del reddito dell’impresa, o comun-
que un numero circoscritto di centri unitari rappresentati da residenza ed
eventuali stabili organizzazioni, mentre tale reddito verrebbe disseminato
in vari Paesi del mondo e perderebbe la sua unitarietà, non si presta a
incidere sulle considerazioni sopra svolte.
Anzitutto, deve osservarsi che anche nella prospettiva qui considerata
il Paese di residenza o quello di stabile organizzazione non dovrebbero
necessariamente perdere tutta la loro rilevanza: oltre che per la tassazione
del business che in essi viene direttamente condotto, essi ben potrebbero
essere assunti come centri di coordinamento degli obblighi contabili e
dichiarativi della società, che secondo quanto si osserverà nel successivo

(66) Sulla non sovrapponibilità di un’imposta sul reddito determinata sulla base del
“destination-based approach” rispetto alle imposte sul consumo cfr. le successive note 99
e 100.
(67) Come nota A. Fedele, Uscire dal vicolo cieco: quali gli strumenti fiscali?, cit., invero,
la “evidente tendenza a risolvere situazioni problematiche con l’introduzione di imposte so-
stitutive” fa sı̀ che “il nostro sistema d’imposizione dei redditi”, anche di quelli delle società,
si caratterizzi “per la natura sostanzialmente ‘reale’ dell’imposizione”.
(68) La definizione è tratta da A. Fedele, Imposte reali ed imposte personali nel sistema
tributario italiano, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2002, I, 451 ss. Si rinvia al successivo par. 4.2.3.,
punto (ii) per ulteriori considerazioni sul punto.
dottrina 547

par. 5.2. risultano indispensabili nell’interesse stesso della società per con-
sentire la ripartizione della materia imponibile e, quindi, la valorizzazione
dei costi e, più in generale, delle componenti reddituali fiscalmente rile-
vanti.
L’importanza che tali Paesi manterrebbero, tuttavia, sarebbe essenzial-
mente strumentale e non dovrebbe comportare variazioni sensibili nel
livello di tassazione a seconda della collocazione della residenza o della
stabile organizzazione stessa.
Lo stesso vale per quanto attiene alla tassazione di gruppo, il cui
centro ben potrebbe essere individuato in un Paese di residenza o stabile
organizzazione.
La tassazione di gruppo, del resto, non si presta a risolvere i problemi
di erosione della base imponibile e suddivisione dei profitti che interessano
la tassazione a livello internazionale, poiché il suo carattere opzionale non
sembra suscettibile di superamento almeno fin quando si ritiene di man-
tenere tendenzialmente ferma la rilevanza giuridica dell’entificazione so-
cietaria (69): in conseguenza di ciò, non appare possibile utilizzare la tas-
sazione di gruppo come strumento generalizzato e, pertanto, essa non
rappresenta lo strumento idoneo per affrontare in maniera sistemati i
problemi della tassazione internazionale, che sono generalizzati. Anche
sul punto, pertanto, la variabile del Paese assunto come centro dell’impo-
sizione di gruppo non appare dirimente, una volta che siano definiti in
modo opportuno i criteri di consolidamento e ripartizione del gettito tra i
vari Paesi.
In secondo luogo, e sotto altro profilo, è naturale che nelle vicende
transnazionali il reddito dell’impresa perda ai fini fiscali alcune caratteri-
stiche della sua unitarietà.
È la stessa suddivisione della sovranità fra i vari Stati a richiedere una
suddivisione di ciò che li riguarda. Del resto, lo stesso modello OCSE di
convenzione contro le doppie imposizioni considera separatamente il trat-
tamento e il collegamento territoriale di una serie di singole tipologie di
componenti del reddito d’impresa. Ciò che dovrebbe mutare, invece, è il
contenuto di tali criteri di collegamento.
Infine, nella prospettiva considerata è fisiologico che il parametro di
determinazione del reddito d’impresa su scala globale e, in particolare, dei

(69) Salvo casi particolari come la C.F.C. dettati, tuttavia, da esigenze specifiche ed
eccezionali che non possono essere estese in via generalizzata. Sul tema cfr. il successivo par.
5.1.2.3.
548 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

componenti positivi e negativi che lo formano sia rappresentato dai prin-


cipi contabili internazionali.
Essi costituiscono un prezioso standard uniforme a livello mondia-
70
le ( ) e, a fronte di obblighi ben più pittoreschi e gravosi che vengono
imposti agli operatori economici specialmente per effetto del diritto euro-
peo, non appare irragionevole richiederne l’utilizzo quanto meno alle so-
cietà che intendano svolgere commercio a livello internazionale (71).
Ciò consentirebbe una tendenziale uniformità di conteggio del riparto
del gettito a livello internazionale e manterrebbe naturalmente la salvezza
della possibilità, da un lato, dei vari Stati di accordarsi tra di loro –

(70) S. Picciotto, Unitary Alternatives and Formulary Apportionment, cit., 33; M.C.
Durst, A Practical Approach to a Transition to Formulary Apportionment, cit., 54; R. Mur-
phy, P. Sikka, Unitary Taxation: The Tax Base and the Role of Accounting, in S. Picciotto (a
cura di), Taxing Multinational Enterprises as Unitary Firms. Towards Unitary Taxation of
Transnational Corporations, cit., 75 ss.; R. Murphy, P. Sikka, Unitary Taxation: Tax Base and
the Role of Accounting, in ICTD Working Paper, 2015, 34. Con specifico riferimento alla cd.
global minimum tax, di cui al successivo par. 6, cfr. D. Calderón Manrique, The GloBE Tax
Base: Road to the Jurisdictional Effective Tax Rate, in A. Perdelwitz, A. Turina, Global
Minimum Taxation? An Analysis of the Global Anti-Base Erosion Initiative, cit., 32-36; J.
Englisch, J. Becker, International Effective Minimum Taxation – The GloBE Proposal, in
World Tax J., 2019, 11, 483 ss., par. 3.2.4.2., ove si evidenzia che “taking international
commercial accounting standards – the IFRS – as a point of departure and introducing appro-
priate adjustments might offer the best chance of success”.
(71) Al riguardo, è peraltro possibile osservare che, in termini pratici, anche in presenza
di un elevato grado di differenze tra i principi contabili applicati dai vari Stati la tecnologia a
disposizione dovrebbe consentire in modo relativamente agevole le conversioni contabili
necessarie. Cionondimeno, appare evidente che soltanto una armonizzazione della base di
calcolo della materia imponibile da ripartire tra le varie giurisdizione potrebbe risolvere in
modo definitivo la questione. Cfr., sul punto, M.C. Durst, The Tax Policy Outlook for
Developing Countries: Reflections on International Formulary Apportionment, in ICTD Wor-
king Paper, 2015,32; S. Picciotto, Unitary Alternatives and Formulary Apportionment, cit.,
33; Id., Towards Unitary Taxation: Combined Reporting and Formulary Apportionment, in T.
Pogge, K. Mehta (a cura di), op. cit. Del resto, come rilevato all’esito di approfondite
disamine comparatistiche da R.S. Avi-Yonah, N. Sartori, O. Marian, Global Perspectives
on Income Taxation Law, Oxford, 2011, 167; R.S. Avi-Yonah, Tax Convergence and Glo-
balization, in Univ. of Michigan Public Law Working Paper, 2010, 214, sebbene sussistano a
livello globale alcuni aspetti di convergenza nelle modalità di determinazione del reddito
d’impresa, essi risultano spesso superficiali e nascondono differenze profonde. Nello stesso
senso, H.J. Ault, B.J. Arnold (a cura di), Comparative Income Taxation. A Structural Ana-
lysis, Alphen aan der Rijn, 2010, rilevano fin dall’introduzione che, sebbene a livello gobale
emergano questioni simili su molti fronti in materia di imposta sul reddito delle società, “the
responses to the issues, however, vary substantially”. Tutto ciò dimostra ulteriormente l’op-
portunità che la ripartizione della materia imponibile tra Stati dovrebbe avvenire sulla base
di criteri il più possibile oggettivi, cosı̀ che solo successivamente ciascuno Stato (o gruppo di
Stati) possa poi intervenire sulla parte ad esso spettante con le misure di politica fiscale che
ritenga più opportune. A livello dogmatico cfr. J. Roin, Taxation without coordination, in
Journal of Legal Studies, 2002, 31, 61 ss.; H.D. Rosenbloom, International Tax Arbitrage and
the “International Tax System”, in Tax Law Review, 1999, 53, 137 ss.
dottrina 549

bilateralmente o tramite convenzioni multilaterali – su modificazioni ai


criteri di bilancio da applicare ai fini fiscali per la ripartizione della potestà
impositiva a livello internazionale e, dall’altro lato, di ciascuno Stato di
disporre misure speciali di aggravio o riduzione dell’imposizione sulle
componenti reddituali in esso tassabili. Sarebbe possibile mantenere, cosı̀,
in forme rinnovate quel rapporto di “pregiudizialità-dipendenza” tra ri-
sultato di bilancio e reddito imponibile (72) che costituisce forma – si
potrebbe dire – naturale del contemperamento tra esigenze, da un lato,
di esatta e univoca determinazione di una manifestazione di capacità con-
tributiva che trova nel risultato economico il proprio presupposto e, dal-
l’altro lato, di politica fiscale.
La sovranità tributaria statale sarebbe, quindi, adeguatamente salva-
guardata, con la doverosa precisazione che il recepimento dei principi
contabili elaborati a livello internazionale dovrebbe naturalmente passare
tramite l’approvazione degli organi di legittimazione democratica a ciò
deputati in ciascun Paese: ciò che, sia detto per inciso, dovrebbe avvenire
anche per i principi contabili nazionali che attualmente costituiscono, per
la via indiretta del principio di derivazione, l’ossatura della determinazione
del reddito d’impresa e che soltanto una interpretazione svilente da parte
della Corte Costituzionale (73) fa ritenere di per sé compatibili con il

(72) È d’obbligo, al riguardo, il riferimento alle opere di G. Falsitta, Il bilancio di


esercizio delle imprese. Interrelazioni tra diritto civile e tributario, Milano, 1985, passim; A.
Fantozzi, F. Paparella, Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Torino, 2019, 113 ss. In una
prospettiva costituzionale, G. Corasaniti, L’evoluzione del principio di derivazione alla luce
del dogma della capacità contributiva, in G. Ragucci, F.V. Albertini (a cura di), Costituzione,
legge, tributi. Scritti in onore di Gianfranco Gaffuri, Milano, 2018, 529 ss.
(73) Come noto, infatti, i giudici della Consulta ritengono soddisfatta la riserva di legge
di cui all’art. 23 Cost. per il sol fatto che “idonei criteri e limiti, di natura oggettiva o tecnica,
atti a vincolare la determinazione quantitativa dell’imposizione, si desumano dall’insieme della
disciplina considerata” (Corte Cost., sent. n. 435 del 2001, con specifico riferimento alle
sentenze n. 72 del 1969 e 507 del 1988). Il principio è stato di recente ripetuto da Corte
Cost., sent. n. 69 del 2017, la quale ha ribadito che “l’eventuale indeterminatezza dei
contenuti sostanziali della legge può ritenersi in certa misura compensata dalla previsione di
talune forme procedurali (sentenza n. 83 del 2015) aperte alla partecipazione di soggetti
interessati e di organi tecnici. In questa logica, è stato dato rilievo alla previsione di determinati
‘elementi o moduli procedimentali’ (sentenza n. 435 del 2001) che consentano la collabora-
zione di più enti o organi (sentenze n. 157 del 1996 e n. 182 del 1994) – specie se connotati da
competenze specialistiche e chiamati a operare secondo criteri tecnici, anche di ordine econo-
mico (sentenze n. 215 del 1998, n. 90 del 1994 e n. 34 del 1986) – o anche la partecipazione
delle categorie interessate (sentenza n. 180 del 1996)”. Tali criteri sono da sempre stati
sempre ritenuti integrati per i principi contabili sui quali si basa l’applicazione dei principi
fissati dagli artt. 2423 ss. c.c. e, quindi, la determinazione del risultato civilistico (art. 9-bis, c.
1, lett. a del d.lgs. n. 38/2005), il quale a sua volta costituisce il primo parametro di
commisurazione della base imponibile del reddito d’impresa in un sistema, come quello
550 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

principio di riserva di legge nonostante il mancato recepimento in atti


aventi forza di legge.

4.2.4. - Considerazioni sulle proposte UE di una Common Corporate


Tax Base (CCTB) e di una Common Consolidated Corporate Tax Base
(CCCTB)
Tenuto conto di quanto sopra osservato in merito alla centralità che
dovrebbero assumere i principi contabili internazionali, sembra possibile
ritenere come sia proprio l’ambizione di dettare immediatamente un cor-
pus di regole fiscali autosufficienti rispetto ai criteri contabili a costituire
un elemento d’impasse per l’affermazione di progetti come la Common
Corporate Tax Base (CCTB) dell’Unione Europea di cui alla proposta di
direttiva COM(2016)683.
Il problema che tale proposta pone è, anzitutto, di carattere giuridico
in punto di sussistenza o meno di competenza normativa in capo all’U-
nione Europea per la materia in questione.
La proposta di direttiva, analogamente a quella in materia di Common
Consolidated Corporate Tax Base (CCCTB) di cui alla proposta di direttiva
COM(2016)685, e analogamente alle precedenti proposte sul tema pre-
sentate senza successo nel 2011, ritiene che la competenza europea in
materia si fondi sull’art. 115 del TFUE, il quale consente all’Unione di
procedere al ravvicinamento delle disposizioni degli Stati membri che
abbiano “un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del
mercato interno”.
Sennonché, è controvertibile che la determinazione della base impo-
nibile dell’imposta sul reddito possa dirsi avere una incidenza “diretta” sul
mercato interno.
E infatti, nella prospettiva delle direttive, tale incidenza si sostanzia nei
margini di pianificazione fiscale aggressiva consentiti dalla permanenza di
imposte sul reddito distinte, che determinerebbero “rischi di doppia impo-
sizione e di doppia non imposizione e, di conseguenza, falsano il funziona-
mento del mercato interno”. Tuttavia, gli episodi di doppia imposizione o
doppia non imposizione del reddito non incidono direttamente sui prezzi
praticati dall’impresa, ossia sul mercato, ma vi possono incidere soltanto in
modo indiretto ed eventuale.
La doppia imposizione o non imposizione si traduce, direttamente, in
un minore o maggior profitto per l’impresa, ma esso di per sé non ha

italiano attuale, fondato sul principio di derivazione dell’imponibile fiscale dal risultato
contabile (art. 83 del t.u.i.r.).
dottrina 551

incidenza diretta sul funzionamento del mercato, bensı̀ unicamente sul


risultato economico dell’impresa. Soltanto laddove a causa di ciò l’impresa
stessa ritenga di alzare, nel primo caso, o abbassare, nel secondo caso, i
prezzi di vendita dei propri beni e servizi una possibile incidenza sul
mercato può dirsi esistente (74). Sennonché, tale incidenza non può dirsi
affatto “diretta”, poiché transita da decisioni strategiche d’impresa che
valgono a renderla per definizione “indiretta”, oltre che meramente even-
tuale. Donde la mancata integrazione del presupposto applicativo dell’art.
115 TFUE (75).
Di là da ciò, la CCTB, su cui la CCCTB si innesta venendone a
costituire il “secondo passo”, ambisce a stabilire, oltre a un insieme di
principi di determinazione delle componenti reddituali, in sostanziale so-
stituzione della derivazione dai principi contabili (internazionali) (76), an-
che un insieme di misure che hanno schietto carattere di politica fiscale,
come le super-deduzioni di cui all’art. 9, comma 3 o all’art. 11, oppure i
limiti alle deduzioni di cui agli artt. 12 e 13. Sennonché, gli Stati più che

(74) Ho sviluppato diffusamente questo argomento, con riguardo al – diverso, ma in


parte qua affine – problema del divieto di aiuti di Stato, in Tax Sovereignty and the Law in
the Digital and Global Economy, cit., 108 ss.
(75) Evasive appaiono, sul punto, le considerazioni di R. Szudoczky, Is the CCCTB
Proposal in line with the Principle of Subsidiarity?: Negative Opinions Submitted by National
Parliaments in the “Yellow Card Procedure”, in D. Weber (a cura di), CCCTB: Selected
Issues, Alphen aan der Rijn, 2012, 112 e 114, ove si ritengono applicabili all’art. 115 TFUE
gli stessi principi affermati dalla Corte di giustizia nella sentenza 5 ottobre 2000, C-376/98,
Tobacco Advertising, in relazione alla disposizione oggi contenuta nell’art. 114 (al tempo
della pronuncia, trattavasi dell’art. 95 TCE, che reca per quanto qui d’interesse formula-
zione identica all’attuale art. 114 TFUE). Invero, nell’art. 114 TFUE (già art. 95 TCE) non è
presente l’aggettivo “diretto” che invece è presente nell’art. 115 TFUE: cosı̀, il ravvicina-
mento ai sensi dell’art. 114 è possibile in tutti i casi in cui la misura sia necessaria (anche
indirettamente) per l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno, eccetto che in
materia fiscale (espressamente esclusa dal comma 2 dell’articolo), mentre il ravvicinamento
ai sensi dell’art. 115, applicabile anche in materia fiscale, è possibile soltanto nel caso in cui
le misure abbia una incidenza “diretta” sull’instaurazione e il funzionamento del mercato
interno. Se le parole hanno un senso, come non possono non averlo trattandosi di attribu-
zioni di competenze aventi carattere tassativo, il perimetro applicativo dell’art. 115 è quindi
ben più ristretto di quello dell’art. 114.
(76) A fronte del mancato riferimento agli IAS/IFRS nella proposta di CCTB, la
dottrina ha cercato di sottolineare come comunque i principi contabili non possano che
costituire la base per il calcolo della base imponibile. Sul tema cfr. P. Essers, R. Russo, The
Precious Relationship between IAS/IFRS, national tax accounting systems and the CCCTB, in
P. Essers et al. (a cura di), The Influence of IAS/IFRS on the CCCTB, Tax Accounting,
Disclosure and Corporate Law Accounting Concepts: A Clash of Cultures, Alphen aan der
Rijn, 2009; I. Jaatinen, IAS/IFRS: A Starting Point for the CCCTB?, in Intertax, 2012, 40,
260 ss.; M. Grandinetti, Il principio di derivazione nell’IRES, Padova, 2016, 282 ss.; M.V.
Stancu, The Impact of Applying IFRS on the Accounting-Taxation Rapport, at European
Union Level, in The European Integration – Realities and Perspectives, 2019, 14, 377 ss.
552 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

legittimamente possono avere interesse a modulare la quota di base impo-


nibile, a loro imputata in base ai principi comuni, secondo prospettive di
politica fiscale schiettamente interna sulla quale nessuna competenza ha
l’Unione a intervenire. Da qui deriva l’eccessiva ambizione della CCTB,
riconosciuta peraltro dalla proposta di direttiva stessa, oltre alla probabile
violazione (anche) del principio di sussidiarietà (77).
Per converso, la determinazione del reddito transnazionale da suddi-
videre tra gli Stati in base ai principi contabili internazionali, ove recepiti
negli strumenti di legittimazione democratica degli Stati, non soltanto non
richiede il mantenimento ai fini fiscali di una modalità di determinazione
del risultato diversa a indipendente da quella contabile, ma lascia anche
liberi gli Stati stessi di intervenire poi con le opportune misure di politiche
fiscale sulla quota a essi attribuita, senza che ciò determini particolari rischi
di pianificazione fiscale laddove la ripartizione avvenga sulla base di criteri
tendenzialmente indisponibili (come il mercato) rispetto alle possibilità di
manovra dell’impresa da tassare. Inoltre, il riferimento al risultato conta-
bile eviterebbe di dover escludere dalla ripartizione voci, come in parti-
colare quelle connesse alle attività immateriali e finanziarie, che invece la
proposta di CCCTB esclude dalla ripartizione a motivo “delle loro fluttua-
zioni e dei rischi di aggiramento del regime” (78).
Dall’altro lato, la limitazione delle proposte CCTB e CCCTB alle sole
società partecipanti a grandi gruppi le rendono inidonee a rispondere alle
esigenze, non solo globali, ma anche interne alla stessa Unione Europea.
Esse, anzi, creerebbero un ulteriore binario di differenziazione dei
regimi fiscali che, lungi dal realizzare l’obiettivo di semplificazione propo-
sto dalle direttive stesse, costituirebbe fattore di ulteriore complicazione,
quando non di vera e propria disparità di trattamento.
Si comprende, quindi, la ragione tecnica per la quale la stessa Com-
missione abbia ritenuto di non coltivare ulteriormente le proposte CCTB e
CCCTB, mentre per quanto attiene al progetto BEFIT (Business in Europe:
Framework for Income Taxation), prospettato in sostituzione di esse (79),

(77) Sul tema, R. Szudoczky, Is the CCCTB Proposal in line with the Principle of
Subsidiarity?: Negative Opinions Submitted by National Parliaments in the “Yellow Card
Procedure”, in D. Weber (a cura di), CCCTB: Selected Issues, Alphen aan der Rijn, 2012,
115 ritiene piuttosto la questione rilevante sotto il profilo del principio di proporzionalità,
sulla base di una lettura del principio di sussidiarietà che, tuttavia, appare eccessivamente
restrittiva: la stessa autrice, del resto, non nega che “the considerations which theoretically
belong to proportionality can, in fact, be brought within the scope of subsidiarity” (ivi, 126).
(78) Cfr. il par. 5 della relazione alla proposta COM(2016)285.
(79) Cfr. Communication from the Commission to the European Parliament and the
Council, Business Taxation for the 21st Century, COM(2021) 251 del 18 maggio 2021.
dottrina 553

soltanto un’analisi dei contenuti nel momento in cui verranno formulati


consentirà di compiere puntuali valutazioni di merito, ferma la permanen-
za delle già evidenziate criticità in punto di competenza (80).

5. - Un modello di imposizione del reddito delle multinazionali basato


sul Destination-Based Asset-Coordinated approach (DBAC)
Se si condivide quanto osservato nel precedente paragrafo, risulta
concettualmente semplificato anche il problema di configurare, in positivo,
la ripartizione della potestà impositiva tra le diverse comunità statali inte-
ressate dalle vicende economiche delle imprese multinazionali.
Naturalmente, ciò implica la rinuncia da parte degli Stati più forti a
fare “la parte del leone” nell’acquisizione del gettito delle imposte sul
reddito d’impresa, cercando di mantenere per sé tramite la combinazione
del “worldwide principle” nel Paese di residenza e del carattere anelastico e
facilmente eludibile delle stabili organizzazioni, salve le puntuali norme di
aggiustamento via via introdotte, la maggior parte possibile del reddito che
l’impresa multinazionale stessa genera su scala mondiale.
Ma tale rinuncia appare come l’unico strumento per consentire, al
contempo, di definire un più lineare ed equo sistema di tassazione del
reddito transazionale delle imprese e di stemperare il potere di fatto che le
multinazionali possono giocare sulle scelte tributarie degli Stati.
Una ripartizione basata su tali presupposti consentirebbe, infatti, la
valorizzazione in ciascun Paese coinvolto sia delle componenti positive che
delle componenti negative collegabili alle prime, secondo quanto si osser-
verà nel successivo par. 5.2., e, cosı̀, renderebbe irragionevoli quei com-
portamenti atti a minacciare l’interruzione della fornitura di beni e servizi
in un determinato Stato che si sono registrati in caso di introduzione di
tributi che colpiscono ricchezze lorde (81), come sono generalmente quelli

(80) È il caso di osservare, al riguardo, come la comunicazione Business Taxation for the
21st Century COM(2021)251 non affronti il tema della base giuridica per l’intervento in
materia da parte dell’Unione.
(81) Sulla legittimità di regimi impositivi che si traducono in ritenute sui redditi lordi
(“gross withholding taxes”) dubbi sono stati sollevati, tra gli altri, da G. Bizioli, op. cit., 65 e
G.W. Kofler, G. Mayr, C. Schlager, Taxation of the Digital Economy: “Quick Fixes” or Long-
Term Solutions?, in Eur. Taxation, 2017, 58, 529. Sulla capacità dei grandi operatori inter-
nazionali di influenzare le decisioni degli Stati cfr., per tutti, C. Crouch, The Strange Non-
Death of Neoliberalism, Cambridge 2011; in materia tributaria, F. Gallo, Il futuro non è un
vicolo cieco. Lo Stato tra globalizzazione, decentramento ed economia digitale, Palermo, 2019,
passim; L. Carpentieri, La crisi del binomio diritto-territorio e la tassazione delle imprese
multinazionali, cit., 359; A. Christians, Lux Leaks: Revealing the Rule of Law, One Plain
Brown Envelope at a Time, in Tax Notes Int., 2014, 76, 1123 ss.
554 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

imposti con funzione compensativa, i.e. di “equalization levy” (82).


Inoltre, e come già intuito dagli esperti latinoamericani della Lega
delle Nazioni nel 1943, dalla distribuzione di una compiuta potestà impo-
sitiva tra gli Stati coinvolti è lecito attendersi anche una minore propen-
sione degli operatori transnazionali a ricercare sistemi elusivi che ricerchi-
no la suddivisione di profitto (cd. “profit shifting”) o disallineamenti tra
concetti ibridi nei diversi ordinamenti (cd. “hybrid mismatch”) (83). Infatti,
tali meccanismi proliferano laddove vi sia uno Stato potenzialmente “pi-
gliatutto” – quello di residenza, in assenza di stabili organizzazioni – e
laddove si adottino criteri di collegamento territoriale legati a variabili
dotate di significativa mobilità, come la fissazione della residenza o il
collocamento di certi beni immateriali (cd. “intangibles”), ma sempre
più anche degli stabilimenti produttivi (84).
Al contrario, laddove a ciascuno Stato si colleghi una vicenda impo-
sitiva compiuta, ossia che disegni la capacità contributiva tenendo conto
sia delle componenti positive che di quelle negative ad esse afferenti,
secondo lo schema di cui dirà infra, i disallineamenti sono destinati in
un maggior numero di casi a risolversi all’interno di un contesto unitario,
se non addirittura all’interno del medesimo ordinamento (85), con conse-
guente stemperamento di essi.
Allo stesso tempo, l’interesse a scindere la localizzazione delle compo-
nenti positive rispetto a quelle negative, per collocare le prime in Paesi a
più alta fiscalità, ossia di porre in essere il cd. “profit shifting”, natural-

(82) Essendo possibile ascrivere a tale categoria anche quella Goods and Services Tax
che l’Australia propose di applicare anche a beni venduti online dal 1˚ luglio 2018, a fronte
del cui annuncio Amazon controbatté che essa non avrebbe più venduto merci in Australia.
Anche Brauner Y., Taxing the Digital Economy Post-BEPS, Seriously, cit., 464 evidenzia che,
in generale, “equalization levies ... gives one an impression of a political (retaliatory) rather
than a technically sound move”. Sul tema cfr. altresı̀ la precedente nota 64 e la successiva
nota 129. Per la cronaca, si osserva che, a fronte degli annunci, Amazon si è poi trovata
costretta ad adeguarsi al sistema di GST australiana, trovandosi a richiedere a tutti i vendi-
tori che si avvalgono della piattaforma per inviare prodotti in Australia di farli transitare
presso le strutture della controllata australiana del gruppo, cosı̀ sostanzialmente soddisfa-
cendo gli interessi impositivi statali.
(83) Cfr. R.S. Avi-Yonah, The Case for a Destination-Based Corporate Tax, cit.: “the
argument for DBCT is that the consumer base is less subject to tax competition than either the
location of property or of payroll ... the DBCT removes some of the incentives for tax avoidance
in preventing most double non-taxation. This is better than the current set of
anti-avoidance measures than tend to rapidly become obsolete”; M.P. Devereux, J. Vella,
Implications of Digitalization for International Corporate Tax Reform, cit., 552, 555.
(84) Cfr. la precedente nota 34.
(85) S. Picciotto, Unitary Alternatives and Formulary Apportionment, cit., 29, 37,
41, 42.
dottrina 555

mente diminuisce (86) e si stempera definitivamente laddove il criterio di


collegamento sia individuato in variabili tendenzialmente estranee al con-
trollo dell’impresa, come la localizzazione delle vendite o degli altri com-
ponenti reddituali generati dall’impresa (87).
Rinunciare, per i redditi d’impresa transnazionali, al binomio “resi-
denza – stabile organizzazione” non darebbe, cosı̀, vita a una – parziale –
rinuncia alla sovranità tributaria dei singoli Stati, ma a un modo più
razionale per affermarla (88): e ciò sia in quanto, come si è detto, il criterio
della residenza, e conseguentemente della tassazione dell’utile mondiale, si
basa su una fictio iuris non certo indefettibile e, anzi, di dubbia razionalità
nell’odierno contesto se assunta come fondamento per l’allocazione della
potestà impositiva a livello internazionale, sia perché per molti Stati tale
rinuncia si tradurrebbe nel complesso in un aumento complessivo del
gettito fiscale (89).

(86) Poiché le componenti negative si collocano in Paesi a più alta fiscalità soltanto
proporzionalmente alle componenti positive che ivi parimenti si collochino, secondo quanto
più diffusamente si illustrerà nel successivo par. 5.2.
(87) R.S. Avi-Yonah, K.A. Clausing, M.C. Durst, Allocating Business Profits for Tax
Purposes: A Proposal to Adopt a Formulary Profit Split, cit., 509; M.P. Devereux, J. Vella,
Implications of Digitalization for International Corporate Tax Reform, cit., 552, 555.
(88) R.S. Avi-Yonah, K.A. Clausing, M.C. Durst, Allocating Business Profits for Tax
Purposes: A Proposal to Adopt a Formulary Profit Split, cit., 511: “an approach like that
proposed here should help governments around the world set their tax policies more indepen-
dently”; in senso analogo anche M.P. Devereux, J. Vella., Implications of Digitalization for
International Corporate Tax Reform, cit., cit., 556. Come osservato da M. De Wilde, Com-
paring Tax Policy Responses for the Digitalizing Economy: Fold or All-in, in Intertax, 2018,
46, 475, “if such a destination-based system were to be introduced by countries unilaterally or
in concert on a regional basis, for instance within the EU, the race to the bottom would be
brought to an end within the inner circle of the adopting countries as the tax system would
then operate completely neutrally on the supply side”.
(89) Sul punto cfr. S. Picciotto, Unitary Alternatives and Formulary Apportionment, cit.,
36 ss.; A. Cobham, S. Loretz, International Distribution of the Corporate Tax Base: Impli-
cations of Different Apportionment Factors under Unitary Taxation, in ICTD Working Paper,
n. 27/2014. Per un recente studio sul tema, ancorché riferito specificamente all’applicazione
del “destination-based approach” a un modello di “cash-flow tax”, cfr. S. Hebous, A. Klemm,
S. Stausholm, Revenue Implications of Destination-Based Cash-Flow Taxation, in IMF Wor-
king Paper, 2019, 7, ove si osserva che in media, a livello globale, un modello impositivo del
genere, ad aliquote invariate, produrrebbe un gettito complessivo simile a quello delle attuali
imposte sul reddito d’impresa, sebbene con diversa distribuzione, che andrebbe a privile-
giare i Paesi con deficit commerciali, in via di sviluppo o le cui economie non siano
comunque basate sul settore delle risorse naturali. In senso apparentemente contrario, W.
Hellerstein, A US Subnational Perspective on the “Logic” of Taxing Income on a “Market”
Basis, in Bull. Int. Tax., 2018, 72, 293 ss. dimostra che l’adozione di un “destination-based
approach” non comprometterebbe neppure il gettito complessivo degli Stati esportatori di
capitali, ma piuttosto lo aumenterebbe (in senso analogo cfr. R.S. Avi-Yonah, K.A. Clau-
sing, M.C. Durst, Allocating Business Profits for Tax Purposes: A Proposal to Adopt a
556 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

D’altra parte, se una delle funzioni fondamentali che la tassazione


merita di mantenere negli ordinamenti democratici è quella di ridurre le
diseguaglianze per permettere una ridistribuzione della ricchezza (90), lo
spostamento del baricentro della tassazione internazionale dai Paesi espor-
tatori di beni e servizi ai Paesi importatori produce (91) a livello dei rap-

Formulary Profit Split, cit., 513, 534 ss.). Il vero è, come sottolineato da autorevole dottrina
(M.J. Graetz, Bringing International Tax Policy into the 21st Century, 316), che “today, of
course, virtually every country is both a capital importer and a capital exporter, which seriously
complicates its national interests”. D’altronde, come evidenziato da P. Diestsch, T. Rixen,
Redistribution, Globalization and Multi-Level Governance, in Moral Philposphy & Politics,
2014, 1, 61 ss., la concorrenza fiscale danneggia tutti gli Stati, poiché l’esacerbazione dei
conflitti sociali nei Paesi poveri è desinata a ricadere, prima o dopo, anche su quelli ricchi,
non foss’altro che nelle forme delle migrazioni.
(90) Sul tema cfr. diffusamente i nostri Tax Sovereignty and the Law in the Digital and
Global Economy, cit., 115 ss.; Sovranità tributaria e nuovi luoghi dell’economia globale, cit.,
212 ss.; Tax Sovereignty Today, cit., 167 ss.; El consenso a la imposición en la fiscalidad
global, in Themis, 2020, 76, 22 ss. Punto di riferimento sono in proposito le opere di Gallo
F., Il futuro non è un vicolo cieco, cit., passim; Id., Le ragioni del fisco, Bologna, 2007, 59, 61,
102, 107, 112, 115, 119; Id., Giustizia sociale e giustizia fiscale fra decentramento e globa-
lizzazione, in Riv. dir. trib., 2004, I, 1069, 1079; M. Luciani, Costituzione, tributi e mercato,
in Rass. trib., 2012, 831, par. 3; R.S. Avi-Yonah, The Three Goals of Taxation, in Tax L.
Rev., 2006, 60, 12, 19 ss., il quale osserva che “it is politically dangerous to rely entirely on
spending decisions for redistribution ... Experience ... has shown that the income tax can have
significant redistributive effect. And finally, the use of income and wealth taxation has impor-
tant symbolic value”; Id., Os Três Objetivos da Tributação, in Direito Tributário Atual, 2008,
7 ss.; Id., Why Tax the Rich? Efficiency, Equity, and Progressive Taxation, in 111 Yale Law
Journal, 2002, 1391 ss. Sottolineano a tal fine la perdurante centralità del ruolo fiscale degli
Stati, M.J. Graetz, Taxing International Income. Inadequate Principles, Outdated Concepts,
and Unsatisfactory Policy, cit., II, par. A; Chirstians, Putting the Reign back in Sovereign, in
Pepperdine Law Review, 2013, 40, 1403. Sul piano economico, cfr. V. Tanzi, Termites of the
State, Cambridge, 2018, 103, 153; J. Stiglitz, The Price of Inequality: How Today’s Divided
Society Endangers our Future, New York, 2012, 434.
(91) La centralità della questione è stata da tempo evidenziata da R.A. Musgrave, P.B.
Musgrave, Inter-Nation Equity, in R. Bird, J. Head (a cura di), Modern Fiscal Issues, To-
ronto, 1972, 63 ss.; R.A. Musgrave, P.B. Musgrave, Fiscal Coordination and Competition in
an International Setting, in L. Eden (a cura di), Retrospectives on Public Finance, Durham,
1991, 61 ss.; P.B. Musgrave, Sovereignty, Entitlement, and Cooperation in International
Taxation, in Brooklyn Journal Int. Law, 2001, 26, 1335 ss.; P.B. Musgrave, Combining Fiscal
Sovereignty and Coordination: National Taxation in a Globalizing World, in I. Kaul, P.
Conceicao (a cura di), The New Public Finance Responding to Global Challenges, Oxford,
2006, 167. Sul tema cfr. altresı̀ K. Vogel, World-wide vs. Source Taxation of Income. A
Review and Re-Evaluation of Arguments, in Intertax, 1988, 16, 216-229, 310-320, 393– 402;
N.H. Kaufman, Fairness and the Taxation of International Income, in Law & Pol. Intl. Bus.,
1998, 29, 145 ss.; K. Brooks, Inter-Nation Equity: The Development of an Important but
Underappreciated International Tax Value, in R. Krever, J. Head (a cura di), Tax Reform in
the 21st Century, Alphen aan der Rijn, 2009; J. Li, Improving Inter-Nation Equity through
Territorial Taxation and Tax Sparing, in A. Cockfield (a cura di), Globalization and Its Tax
Discontents: Tax Policy and International Investments, Toronto, 2010, 117 ss.; Y. Brauner, A
Framework for an Informed Study of the Realistic Role of Tax in a Development Agenda, in
dottrina 557

porti tra Stati un effetto analogo e complementare (92): esso, infatti, si


presta a evitare che i Paesi esportatori beneficino non soltanto del potere
economico che essi hanno disponendo della capacità di produrre beni e
servizi, ma anche di incrementi di gettito derivanti dall’esercizio di potere
economico all’estero (93).
In questa prospettiva, uno schema generale di ripartizione della pote-
stà impositiva potrebbe ispirarsi ai seguenti criteri, che devono tener conto
tanto delle componenti positive di reddito quanto delle componenti ne-
gative.
Sotto il profilo giuridico, esso potrebbe essere introdotto riformulando
i vari trattati bilaterali contro le doppie imposizioni oppure, più pragma-
ticamente, mediante un trattato multilaterale che si affianchi ai singoli
trattati bilaterali già in essere imponendo ai sottoscrittori, previa natural-

Uni. Brit. Colum. Law Review, 2010, 42, 275 ss.; A.C. Infanti, Internation Equity and
Human Development, in Y. Brauner, M. Stewart (a cura di), Tax, Law and Development,
Cheltenham, 2013, 209 ss.; P. Pistone, Geographical Boundaries of Tax Jurisdiction, Exclusive
Allocation of Taxing Powers in Tax Treaties and Good Tax Governance in Relations with
Developing Countries, ibid., 267 ss.; T. Pogge, K. Mehta (a cura di), Global tax fairness,
Oxford, 2016 e ivi, in particolare, i saggi di N. Shaxson, J. Christensen, Tax Competitive-
ness: A Dangerous Obsession; M.C. Durst, Self-Help and Altruism: Protecting Devolping
Countries’Tax Revenue; K. Mehta, E. Dayle Siu, Ten Ways Developing Countries can Take
Control of Their Own Tax Destinies; J. Stark, Verteilungsgerechtigkeit als Prinzip des inter-
nationalen Steuerrechts, in Steuer und Wirtschaft, 2019, 71 ss.
(92) C. Peters, On the legitimacy of international tax law, cit., 105, sottolinea che “the
factual developments in society render ... the strict analytical separation between interindivi-
dual equity and inter-nation equity ... impossible”, cosı̀ che “there is an increasing ‘blurring’ of
the equity norms”.
(93) Né assume diretta rilevanza, rispetto a quanto osservato nel testo, la circostanza
che i Paesi importatori di capitali potrebbero avere interesse nel mantenere un basso livello
d’imposizione per attrarre investimenti (T. Dagan, Tax Sovereignty in an Era of Tax Multi-
lateralism, in D. Weber, (a cura di) EU Law and the Building of Global Supranational Tax
Law, Amsterdam, 2017, 44). Premesso che la scelta se debba essere privilegiata l’economia
privata, attraendo investimenti, o l’economia pubblica, cercando di garantire il finanziamen-
to del settore pubblico, rientra pienamente nella sovranità di tali Stati e nessuno toglie a tali
Paesi la possibilità di manovrare come meglio ritengono le misure di politica fiscale sulla
quota di reddito sul quale detengono la potestà impositiva, cosı̀ come sulle altre variabili
anche non fiscali suscettibili di costituire incentivazione agli investimenti, il predetto inte-
resse risulterebbe, infatti e in definitiva, controproducente nel lungo periodo rispetto all’o-
biettivo di favorire un vero ed equilibrato sviluppo di tali Paesi, come dimostrato da K.
Mehta, E. Dayle Siu, op. cit., 341, ove si raccomanda che i Paesi in via di sviluppo non
cadano “into the trap of tax competition and tax incentives”. In questo senso, R.S. Avi-
Yonah, Globalization and Tax Competition: Implications for Developing Countries, in
AA.VV., XIII Seminario Regional de Polı´tica Fiscal: Compendio de Documentos, Santiago
del Cile, 2001, 268; Id., Bridging the North/South Divide: International Redistribution and
Tax Competition, in Mich. J. Int. Law, 2004, 26, 381 evidenzia la necessità di un coordina-
mento internazionale tra Paesi in via di sviluppo al fine di evitare una corsa alla riduzione
della tassazione di ogni natura sugli investimenti stranieri.
558 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

mente ratifica secondo i sistemi di legittimazione democratica vigenti in


ciascun Paese, di applicarli in conformità alle nuove disposizioni interna-
zionali (94) e alle conseguenti norme attuative di diritto interno.

5.1. - Le componenti positive di reddito


Quanto alle componenti positive di reddito (ricavi, plusvalenze, inte-
ressi attivi ecc.), esse dovrebbero essere assoggettate a imposizione soltan-
to negli Stati in cui esse si generano.
Ricordato quanto osservato in conclusione del par. 4.2., ossia che il
parametro di riferimento per il funzionamento di un efficiente sistema di
ripartizione della potestà impositiva sui redditi transnazionali dovrebbe
rappresentato dai principi contabili internazionali, è nota la flessibilità
che lo IAS-1 lascia agli operatori in punto di strutturazione del conto
economico d’impresa.
(i) In questa prospettiva, il criterio di ripartizione territoriale qui pro-
posto non pone particolare problemi per quelle componenti positive rap-
presentate dai ricavi, che dovranno essere assoggettati a imposizione da
parte del Paese in cui il business è svolto e, quindi, vengono effettuate
vendite di beni e prestazione di servizi nei confronti dei membri della
collettività stessa (95): tra questi, naturalmente, potranno essere presenti
anche gli Stati di residenza o stabile organizzazione dell’impresa, ma
non in quanto luoghi di localizzazione di tali collegamenti con il territorio
statuale, bensı̀ nella misura in cui il business venga ivi direttamente svolto.
Si tratta di un criterio, in verità, non dissimile da quello di cui al primo
fattore della formula di ripartizione di cui all’art. 24 della proposta di
direttiva CCCTB, come definita dall’art. 38 della proposta stessa. Allo
stesso modo, merita di esser condiviso il principio, affermato dall’art. 9
della proposta di direttiva stessa, che in generale non rilevano i profitti e le
perdite derivanti da operazioni intermedie infragruppo. Rimane inteso che

(94) Sul tema cfr. L. Gerzova, B. Rodriguez, The Switch-Over Rule, in A. Perdelwitz, A.
Turina, Global Minimum Taxation? An Analysis of the Global Anti-Base Erosion Initiative,
cit., 126-131; M. Alvarado, R. Offermanns, The Subject-to-Tax Rule, ibid., 189, 198; F. De
Lillo The implementation of Pillar Two, ibid., 403. Per alcuni possibili profili di criticità
dell’utilizzo del modello multilaterale cfr. P. Pistone, A. Turina, The Way Ahead: Policy
Consistency and Sustainability of the GloBE proposal, ibid., 432-433. Sulla possibilità, ad
ogni buon conto, di passare anche in via unilaterale al “destination-based approach” da parte
di singoli Stati cfr. R.S. Avi-Yonah, K.A. Clausing, M.C. Durst, Allocating Business Profits
for Tax Purposes: A Proposal to Adopt a Formulary Profit Split, cit., 515, 519; R.S. Avi-
Yonah, A. Kir, India’s new profit attribution proposal and the arm’s length standard, in Tax
Notes Int., 2019, 1183 ss.
(95) R.S. Avi-Yonah, K.A. Clausing, M.C. Durst, Allocating Business Profits for Tax
Purposes: A Proposal to Adopt a Formulary Profit Split, cit., 508 ss.
dottrina 559

sarà naturalmente possibile, e anzi opportuno, definire eventuali criteri per


individuare più specificamente il Paese di svolgimento del business in
relazione alle peculiari ipotesi di alienazioni di beni e prestazioni di servizio
che possono venire in rilievo (96), con possibile criterio residuale della
residenza o stabile organizzazione del cliente.
(ii) Stesso concetto di cui sopra vale per le componenti positive col-
legate a specifiche vicende negoziali, quali le plusvalenze, per le quali il
concetto di Paese di svolgimento del business può richiedere specificazioni
eventualmente ulteriori rispetto a quelle rilevante per i componenti di cui
al precedente punto (i). Ciò nella prospettiva, già indicata nel precedente
par. 4.2.2., di individuare l’ordinamento cui la vicenda negoziale può dirsi
razionalmente collegabile nel modo più appropriato, tenendo conto del-
l’oggetto di essa e con possibile criterio residuale della imponibilità in capo
al venditore nel Paese dell’acquirente, il cui intervento permette la gene-
razione del componente positivo mediante pagamento del corrispettivo.
Per quanto attiene ai cd. “passive income”, ossia ai redditi da godimento
(dividendi, royalties, ecc.) si rinvia alle specifiche considerazioni del suc-
cessivo par. 5.1.3.2.
(iii) Per quanto attiene, invece, alle componenti del conto economico
che derivano da assestamenti dello stato patrimoniale (ad esempio la va-
lorizzazione di marchi o i fondi per imposte anticipate o differite), essi
dovranno essere ripartiti proporzionalmente nei vari Paesi di attribuzione
delle componenti sopra individuate, salvo concepirne la valorizzazione nel
Paese che a tale componente dà corso (si pensi alle componenti economi-
che derivanti dalla rivalutazione di un bene d’impresa consentita da un
certo Paese) ovvero in via residuale nel Paese fatto centro degli obblighi
strumentali e contabili (quale, in particolare, il Paese di residenza), appa-
rendo comunque marginale l’incidenza che essi possono avere sul com-
plessivo risultato dell’impresa e, quindi, gli arbitraggi fiscali e le forme di
concorrenza fiscale internazionale cui essi si prestano a dar corso.

5.1.1. - Le modalità di imposizione


Diversamente da quanto talora ritenuto, riecheggiando le considera-
zioni della Lega delle Nazioni del 1946 per dare veste giuridica alla ricu-
sazione politica della proposta del comitato regionale di Città del Messico

(96) Un esempio in tal senso è fornito anche dal Capitolo IV del rapporto OCSE, Tax
Challenges Arising from Digitalisation – Report on Pillar One Blueprint, 2020, 70 ss. riferito
alla individuazione della market jurisdiction ai fini della tassazione di una parte dei redditi di
alcune multinazionali della digital economy, di cui si dirà più diffusamente nel successivo
par. 6.1.
560 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

del 1943, un criterio di questo genere non sembra porre seri problemi di
effettività applicativa.
Invero, per le componenti positive di carattere periodico (interessi,
royalties, corrispettivi periodici, ecc.) la prospettiva della pignorabilità
del credito presso il debitore da parte delle Amministrazioni finanziarie
degli Stati interessati sembra costituire mezzo adeguato a dissuadere il
creditore, ossia l’impresa multinazionale, dall’evasione. Inoltre, e ciò vale
anche per le componenti positive una tantum, appare sufficiente porre in
capo al cliente (laddove anch’esso imprenditore) o all’intermediario finan-
ziario dei pagamenti un obbligo di effettuazione di una ritenuta, nella
forma della ritenuta sul reddito lordo, cd. “gross withholding tax”, rimet-
tendo poi alla corporation la presentazione di una dichiarazione completa
in cui valorizzare anche le componenti negative, scomputando le somme
già versate mediante ritenuta e nettizzando cosı̀ il reddito imponibile (97).

(97) Simili conclusioni sono tratte altresı̀ da R.S. Avi-Yonah, Globalization, Tax Com-
petition and the Fiscal Crisis of the Welfare State, in Harv. L. Rev., 2000, 113, 1671. Sulla
funzionalità del sistema delle ritenute a raggiungere i fini indicati nel testo, ivi inclusi quelli
di compliance, cfr. di recente G. Maisto, P. Arginelli, C. Silvani, Curbing Base Erosion via
Withholding Taxes: The Case for a “Reverse Controlled Foreign Company” Approach, in Bull.
Int. Tax., 2018, 72, 578 ss.; J. Vleggeert, H. Vording, Conditional Withholding Tax: A Tax
on Tax Planning, in Bull. Int. Tax., 2017, 71, 452 ss.; M. Alvarado, R. Offermanns, op. cit.,
196-197. Nello stesso senso anche il commentario ONU del 2017 all’art. 12A del modello
ONU di convenzione contro le doppie imposizioni tra Paesi industrializzati e Paesi in via di
sviluppo, dove si osserva al par. 32 che “a withholding tax imposed on the gross amount of
payments made by residents of a country, or non-residents with a permanent establishment or
fixed base in the country, is well established as an effective method of collecting tax imposed
on non-residents”. Sotto altro profilo, sulla nettizzazione degli importi originariamente sog-
getti a ritenute confida l’OCSE per l’attuazione della STTR, di cui si dirà nel successivo par.
6.2. (cfr. OCSE, Tax Challenges Arising from Digitalisation – Report on Pillar Two Blueprint,
2020, 168). In questo modo, cioè con la nettizzazione a seguito di presentazione di una
dichiarazione nel Paese principale e di una dichiarazione in ciascun Paese dove le ritenute
sono applicate, appare possibile superare i principali elementi di criticità evidenziati da W.
Cui, Destination– Based Cash-Flow Taxation: A Critical Appraisal, in UTLJ, 2017, 67. Le
ulteriori possibili criticità attengono alla difficoltà di valorizzare i passaggi intermedi di beni
e di individuare il luogo di conclusione degli affari. In verità, entrambi i profili appaiono
relativamente agevoli da superare. Riguardo al primo, a ogni vendita potrà corrispondere
una componente reddituale imponibile (come del resto richiesto dai principi contabili)
collegabile allo Stato dell’acquirente e il diritto per il venditore di dedursi le spese sostenute
per procurarsi e mantenere il bene venduto, ferma restando la possibilità di dettare specifici
accorgimenti per le relazioni intragruppo (come noto, ad esempio, l’art. 10 e l’art. 37,
comma 2, ultimo periodo della proposta di CCCTB considerano tali passaggi sostanzialmen-
te irrilevanti dal punto di vista impositivo). Riguardo al secondo aspetto, oltre a quanto
osservato sul piano concettuale da R.S. Avi-Yonah, Globalization, Tax Competition and the
Fiscal Crisis of the Welfare State, cit., 1672, è possibile osservare come esistano sul piano
tecnico strumenti sufficientemente sicuri per rendere possibile la geolocalizzazione: sul tema
cfr. D. Svantesson, E-commerce Tax: How the Taxman Brought Geography to the “Border-
dottrina 561

Sarebbe, in altre parole, il sistema stesso della ritenuta sul reddito lordo di
tutti i ricavi a incentivare l’impresa alla corretta e completa e dichiarazione
dei propri redditi se intende avvalersi della possibilità di dedurre i costi,
secondo quanto di dirà nel successivo par. 5.2.
In questa maniera, ogni problema di compatibilità con il principio di
capacità contributiva sarebbe scongiurato (98), posto che la tassazione del
reddito lordo mediante ritenuta sarebbe soltanto un passaggio intermedio,
secondo il modello della ritenuta d’acconto, essendo la nettizzazione ri-
messa a un comportamento dichiarativo della società la cui eventuale
omissione, peraltro contraria agli interessi della società stessa anche per
gli altri profili che si evidenzieranno nel successivo par. 5.2., non potrebbe
che essere addebitata esclusivamente a una scelta della medesima.
In questa maniera, inoltre, risulterebbe scolpita la differenza sia rispet-
to a un’imposta che assumesse come base imponibile il cd. “cash flow”,
ossia il differenziale immediato tra entrate e uscite di cassa, sia rispetto a
un’imposta sui consumi, sul modello dell’iva, poiché per definizione l’im-

less” Internet, in Revenue Law Journal, 2017, 17, 1; A. Bal, Taxing the Consumption of
Digital Goods, in S.A. Rocha, A. Christians (a cura di), Tax Sovereignty in the BEPS Era, cit.,
143 ss. Cfr. altresı̀ R.S. Avi-Yonah, The Case for a Destination-Based Corporate Tax, in
SSRN, 2015, Id., Three Steps Forward, One Step Back? Reflections on “Google Taxes” and
the Destination-Based Corporate Tax, in Nordic Tax Journal, 2016, 73 ss., ove ulteriori
specifiche repliche ai profili di criticità indicati da R. Altschuler, H. Grubert, Formula
Apportionment: Is It Better Than the Current System and Are There Better Alternatives?,
in National Tax Journal, 2010, 63, 1145 ss.; S.C. Morse, Revisiting Global Formulary Ap-
portionment, in Va. Tax Rev., 2010, 29, 593 ss. Per quanto attiene al profilo di criticità
rappresentato dall’incompatibilità di un impianto del genere con l’attuale assetto del diritto
internazionale tributario – incompatibilità che autorevole dottrina ha comunque ritenuto
superabile (R.S. Avi-Yonah R.S., Unitary Taxation and International Rules, in Law and
Economics Working Papers, 2013, 83) – è agevole replicare che la proposta in esame ha
proprio lo specifico fine di superare tale assetto che, d’altro canto, ha carattere meramente
pattizio e come tale disponibile agli Stati.
(98) Non sembra, pertanto, condivisibile l’affermazione di C. Brokelind, An Overview
of Legal Issues Arising from the Implementation in the European Union of the OECD’s Pillar
One and Pillar Two Blueprint, in Bull. Int. Tax., 2021, 75, 212 ss., secondo cui “the ability-
to-pay principle is not compatible with the destination tax principle”. In merito alla compa-
tibilità del “destination-based approach” con i principi fondamentali in materia di imposi-
zione tributaria cfr., nel contesto statunitense, US Supreme Court, Moorman Mfg. Co. v.
Bair, 437 U.S. 267 (1978), citata da M. De Wilde, C. Wisman, OECD Consultations on the
Digital Economy: “Tax Base Reallocation” and “I’ll Tax If You Don’t”?, in P. Pistone, D.
Weber (a cura di), Taxing the Digital Economy: The EU Proposals and Other Insights,
Amsterdam, 2019, 26. Sul tema cfr. altresı̀, in una prospettiva di “benefit principle”, X.
Li, A Potential Legal Rationale for Taxing Rights of Market Jurisdictions, in World Tax J.,
2021, 13, 26 ss. e, seppur con approccio particolarmente prudente, L.F. Kjærsgaard, The
Ability to Pay and Economic Allegiance: Justifying Additional Allocation of Taxing Rights to
Market States, in Intertax, 2021, 49, 636 ss.
562 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

posta non sarebbe neutrale rispetto all’impresa cedente del bene o presta-
trice del servizio, né sarebbe proporzionale al prezzo percepito (99).
Correlativamente, sarebbe escluso ogni dubbio di possibile compati-
bilità con il divieto di europeo di istituzioni imposte con effetto equiva-
lente a imposte sulla “cifra d’affari” (100), ferma restando l’evidente inido-
neità di un regime cosı̀ congegnato a compromettere le libertà fondamen-
tali europee o comunque a incidere sul funzionamento del mercato comu-
ne, trattandosi, anzi, di un sistema assolutamente neutrale e strutturalmen-
te non distorsivo rispetto al mercato stesso.
Da quanto sopra esposto, deriva che in tale schema concettuale il
contributo che gli asset danno alla formazione del reddito dell’impresa è
ordinariamente concentrato nelle giurisdizioni in cui si effettuano le ope-
razioni di business.
Ciò sul presupposto che gli asset di carattere reale – lavoratori dipen-
denti, aziende, immobili, proprietà intellettuale e altri “intangibles” – siano
direttamente funzionali al business e, pertanto, diano luogo a redditi radi-
cati nella comunità in cui il business è svolto, ossia in quelle di cui, piutto-
sto che in quella in cui il bene è prodotto o la società ha sede. Ciò vale
anche per gli asset di carattere finanziario che danno luogo a redditi

( 99 ) Che non sia necessario supporre una “Destination-Based Cash Flow Tax”
(DBCFT), simile all’iva, è confermato da R.S. Avi-Yonah, Slicing the Shadow: A Proposal
for Updating U.S. International Taxation, in Tax Notes, 1993, 56, 1511 ss.; Id., Globalization,
Tax Competition, and the Fiscal Crisis of the Welfare State, cit., 1573 ss.; R.S. Avi-Yonah,
K.A. Clausing, M.C. Durst., Allocating Business Profits for Tax Purposes: A Proposal to
Adopt a Formulary Profit Split, cit. Per ulteriori considerazioni di carattere generale sul
“destination-based approach”, valide sia per l’applicazione di esso a un sistema di “cash flow
tax” che a un sistema d’imposta sul reddito tradizionale, cfr. M.P. Devereux, S. Bond, Cash
Flow Taxes in an Open Economy, in Centre for Economic Policy Research Discussion Paper,
2002, 3401; M.P. Devereux, P. Birch Sorensen, The Corporate Income Tax: international
trends and options for fundamental reform, in European Commission Economic Paper, 2006,
264; A.J. Auerbach, M.P. Devereux, H. Simpson, Taxing Corporate Income, in J. Mirrlees (a
cura di), Dimensions of Tax Design: The Mirrlees Review, Oxford, 2010, 837 ss.; A.J.
Auerbach, A Modern Corporate Tax, in The Hamilton Project, 2010; M.P. Devereux, Issues
in the Design of Taxes on Corporate Profit, in National Tax Journal, 2012, 65, 709 ss.; A.J.
Auerbach, M.P. Devereux M.P., Consumption and Cash– Flow Taxes in an International
Setting, in Oxford University Centre for Business Taxation Working Paper Series, 2014, 12; L.
Cerioni, The new “Google Tax”: The “Beginning of the end” for Tax Residence as a Connec-
ting Factor for Tax Jurisdiction, in Eur. Taxation, 2015, 55, 186; R. Tomazela Santos, S.A.
Rocha, Tax Sovereignty and Digital Economy in Post-BEPS Times, in S.A Rocha, A. Chri-
stians (a cura di), Tax Sovereignty in the BEPS Era, cit., 42-44.
(100) Per la relativa definizione cfr. Corte di giustizia, 7 agosto 2018, C-475/17, Viking
Motors SA v. Tallinna Linn, par. 39; 3 ottobre 2006, C-475/03, Banca popolare di Cremona c.
Agenzia Entrate, par. 28, sul noto caso dell’irap italiana, con riferimento alla quale cfr., per
tutti, A. Contrino, The ECJ’s Remarkable Decision on IRAP, in Int. VAT Monitor, 2007,
6 ss.
dottrina 563

inquadrabili essi stessi come operazioni di business, nella specie di “port-


folio income”.
Lo svilimento del tradizionale criterio dello stabilimento che contrad-
distingue tale approccio non determina una irrilevanza del collegamento
dell’asset con la comunità in cui esso è collocato, che permarrà centrale per
presupposti impositivi diversi dall’imposta sul reddito, secondo quanto già
osservato nel precedente par. 4.2. Per questo, non appare indispensabile
inserire nella formula di ripartizione un fattore che tenga specificamente
conto di variabili legate agli stabilimenti, come avviene ad esempio nel
secondo termine della formula di cui all’art. 24 della proposta di direttiva
CCCTB (101), chiaramente ispirata alla tradizionale “Massachussets formu-
la” utilizzata per ripartire la potestà impositiva tra i vari Stati degli USA.
La tendenziale indipendenza del criterio di collegamento qui in esame
rispetto alla collocazione territoriale degli asset dell’impresa della tassazio-
ne del cui reddito si discute risulta indubbiamente un punto di forza del
“destination-based approach”, poiché sotto il profilo pratico disinnesca un
importante “grilletto” – lo spostamento degli asset nelle giurisdizioni fi-
scalmente più favorevoli – che le multinazionali hanno in mano per effet-
tuare pianificazione fiscale aggressiva (cd. “aggressive tax planning”).
Per converso, specie laddove i criteri di individuazione del mercato cui
la vicenda si collega non siano sufficientemente dettagliati e debba ricor-
rersi al criterio residuale del collegamento della componente positiva al
Paese di residenza dell’acquirente, non può escludersi che il problema
dell’arbitraggio si sposti, dall’impresa dell’imposizione del cui reddito si
discute, al suo partner commerciale, che potrebbe essere indotto a sceglie-
re la propria localizzazione in ragione di variabili fiscali. In una prospettiva
di “destination-based approach”, tale eventualità dovrebbe rivelarsi tenden-
zialmente estranea rispetto alla capacità contributiva dell’impresa stessa,
per le ragioni che verranno più dettagliatamente a dimostrarsi nel succes-
sivo par. 5.2.1, mentre eventuali interposizioni fittizie o altre tipologie di
collusioni tra impresa e cliente che si ritengano meritevoli di disapprova-

(101) Sui profili problematici della formula di ripartizione della proposta di CCCTB
cfr., tra gli altri, M. De Wilde, Tax Competition Within the European Union – Is the CCCTB
Directive a Solution?, in Erasmus Law Review, 2014, 24 ss.; Id., Tax Competition within the
European Union Revisited – Is the Relaunched CCCTB a Solution?, in Erasmus Law Review,
SSRN, 2017; Id., The CCCTB relaunch: a critical assessment and some suggestions for modi-
fication, in P. Pistone (a cura di), European tax integration: law, policy and politics, Am-
sterdam, 2018, 35 ss.; Id, On the Future of Business Income Taxation in Europe, in World
Tax J., 2020, 12; J. Hundsdoerfer, J. Wagner, How accurately does the CCCTB apportion-
ment formula allocate profits? An evaluation of the European Commission proposal, in Journal
of Business Economics, 2020, 90, 495 ss.
564 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

zione potranno essere contrastate con gli strumenti indicati nei successivi
parr. 5.1.2.3. e 5.2.1.

5.1.2. - Fattispecie peculiari


Alcune considerazioni conclusive in tema di riparto della potestà im-
positiva sulle componenti positive di reddito meritano di essere effettuate
relativamente: da un lato, a possibili peculiari ipotesi di asset informatici;
dall’altro lato, alle royalties, agli interessi attivi, ai dividendi, ossia a quelli
che vengono sovente indicati con concetto unitario come “passive income”
o “portfolio income” (102); infine, alle ipotesi di “controlled foreign compa-
nies” (C.F.C.) e al contrasto di possibili forme di triangolazione.

5.1.2.1. - Gli asset informatici


Come anticipato nel precedente par. 4.2.2., occorre prendere atto che
la digitalizzazione del fenomeno imprenditoriale pone di fronte all’esisten-
za di forme di asset nuove, per le quali è dubbio che possa ragionevol-
mente sostenersi l’esistenza di un collegamento diretto con il business o
comunque con specifiche vicende negoziali che li valorizzino, collegamen-
to sul quale – come si è detto – si basa la concentrazione dell’imposizione
nel luogo di svolgimento del business secondo il sopra descritto “destina-
tion-based approach”.
È a tali nuove forme di asset che può esser necessario dare rilievo per
adeguare al meglio il “destination-based approach” alle nuove esigenze
dell’economia digitalizzata.
Se, infatti, il collegamento di tali asset con il business (generativo delle
componenti di cui al precedente punto i dello schema iniziale del prece-
dente par. 5.1.) o con specifiche vicende negoziali (generative delle compo-
nenti di cui al precedente punto ii dello schema iniziale del precedente par.
5.1.) è soltanto indiretto ed eventuale, ma se si ritiene che ugualmente essi
rappresentino un criterio di collegamento rilevante ai fini reddituali secondo
quanto prospettato nel precedente par. 4.2.2., perde ragionevolezza la pre-
sunzione di slittamento del reddito riconducibile agli asset verso la comunità
in cui il business viene effettuato – individuata a seconda delle fattispecie in
base ai criteri di cui ai punti (i) o (ii) del par. 5.1. – e, pertanto, torna
necessario valorizzare l’eventuale apporto reddituale degli asset direttamente
in seno alla comunità cui essi immediatamente si riferiscono (103).

(102) Sul punto cfr. R.S. Avi-Yonah, The Structure of International Taxation: A Proposal
for Simplification, cit., 1307 ss.
(103) Il problema è colto altresı̀ da M.P. Devereux, J. Vella, Implications of Digitaliza-
tion for International Corporate Tax Reform, cit., 555 ss., i quali ciononostante tendono a
dottrina 565

In questa prospettiva, nella formula di ripartizione una parte del ri-


sultato reddituale globale andrà destinato anche ai Paesi cui tali asset siano
ritenuti collegabili.
Al riguardo, i due problemi principali che si pongono sono quelli di
definire quali siano gli asset di questo genere cui si colleghi direttamente
una produzione di reddito razionalmente significativa, ossia atta a giusti-
ficare un collegamento con la comunità di riferimento prescindente dalla
conclusione del business dell’impresa o comunque di specifiche attività
negoziali che li riguardino (104), e quale “peso” attribuire a essi nella for-
mula di ripartizione rispetto alla quota di reddito globale da ripartire
secondo il criterio del mercato.
Per quanto attiene al primo profilo, la difficoltà definitoria vale in
particolar modo a fronte di processi produttivi complessi e, specialmente,
per quelli informatizzati o algoritmici.
Laddove la formazione e collocazione di tali asset si colleghi struttu-
ralmente a più collettività, è chiaro che debbano essere determinati criteri
per ripartirne tra esse la collocazione e, conseguentemente, i proventi,
nonché i costi afferenti. Dovrebbe essere la scienza economica e aziendale
a fornire indicazioni specifiche in ordine al contenuto dei due suddetti
criteri (105), ma occorre al riguardo tener conto di due aspetti. Anzitutto,
costituisce una utopia ritenere che la scienza economica e aziendale possa
fornire soluzioni oggettive, essendo i risultati di tali discipline sempre
condizionati dalle assunzioni su cui si basano i modelli teorici da esse
elaborate, assunzioni che inevitabilmente risentono degli aprioristici con-
vincimenti degli studiosi che li elaborano, quando non direttamente degli
interessi economici di chi li finanzia. Inoltre, quando si tratta di rapporti
tra Stati diversi le esigenze politiche sono ancor più forti di quanto già
avvenga per l’assunzione delle decisioni all’interno dei singoli Stati, con la
conseguenza che i criteri di riparto verranno ad essere influenzati ben più
dai rapporti di forza tra gli Stati interessati che non dalle riflessioni scien-
tifiche (106).

includere l’apporto reddituale di tali asset sulla base di una definizione ampia del concetto di
“destinazione”, affermando ivi, 558 che “this issue tests the notion of ‘destination’”. Sul tema
cfr. altresı̀ U. Schreiber, L.M. Fell, International Profit Allocation, Intangibles and Sales-
Based Transactional Profit Split, in World Tax J., 2017, 9, 1 ss.
(104) Cfr., per considerazioni analoghe, R.S. Avi-Yonah, Splitting the Unsplittable:
Toward a Formulary Approach to Allocating Residuals Under Profit Split, in Michigan Law
Papers, 2013, 378.
(105) M.P. Devereux, J. Vella, Implications of Digitalization for International Corporate
Tax Reform, cit., 555, 558 e 559; G. Bizioli, op. cit., 59.
(106) Come sottolineato da S. Picciotto, The Current Context and a Little History, cit.,
566 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

Per quanto attiene al secondo profilo, anch’esso dovrebbe essere va-


lutato in base a quanto la scienza economica e aziendale ritiene tali asset
fondamentali rispetto allo sviluppo del business.
Il problema è che essa non è giunta affatto a risultati univoci sul punto.
Si pensi, ad esempio, al tema della rilevanza dei big data nella forma-
zione del profitto delle imprese del web, di cui si è già detto nel precedente
par. 4.2. Sebbene le stesse imprese auto-valutino in modo eccezionalmente
elevato tale valore, essendo disposte a sborsare ingenti somme di denaro
per acquisirli o per acquisire piattaforme che li contengano, è indubbio
che la loro incidenza sia soltanto indiretta ed eventuale: è esperienza
quotidiana che molti internauti non hanno mai seguito i suggerimenti
dei banner inseriti grazie all’elaborazione dei big data.
Inoltre, studi economici dimostrano che, in realtà, la suddetta stima di
valore è frutto di una sopravvalutazione e il relativo apporto alla forma-
zione del profitto d’impresa è obbiettivamente ben più contenuto di quan-
to ipotizzato (107). Non è da escludersi, anzi, che laddove la sopravvaluta-
zione della pubblicità su internet non si traduca in un apprezzabile incre-
mento del business reale per le aziende sponsorizzate, gli attuali super-
profitti delle multinazionali dei servizi digitali si rivelino una vera e propria
bolla speculativa la cui esplosione causerebbe conseguenze molto perico-
lose per l’economia mondiale.
Per questo motivo, il “peso” da attribuire a questa tipologia di asset
nella formula di ripartizione dovrebbe essere molto ridotto rispetto a
quello da attribuire al dato principale costituito dal mercato.

5.1.2.2 - Royalties, interessi e dividendi


Dalle osservazioni svolte in apertura del presente paragrafo 5.1. do-
vrebbero discendere, con riferimento ai cd. “passive income”, due conse-

18 e Id., Unitary Alternative and Formulary Apportionment, cit., 34, in tale contesto non
sembrano soddisfacenti né i criteri vigenti ispirati alle “Transfer Pricing Guidelines” del-
l’OCSE (parr. 1.67 e 6.56), né il tradizionale criterio di ripartizione della potestà impositiva
rappresentato dalla “Massachussets formula” e basato sui tre fattori dell’impiego di lavora-
tori, della presenza fisica di asset e delle vendite effettuate.
(107) V. Marotta, V. Abhishek, A. Acquisti, Online Tracking and Publishers’Revenues:
An Empirical Analysis, draft paper, May 2019.
In materia tributaria, il problema è stato opportunamente sollevato da G. Corasaniti,
La creazione di valore secondo i principi internazionali, in C. Buccico, S. Ducceschi, S.
Tramontano, L’evoluzione della fiscalità internazionale. Le venti “primavera” di Napoli, Pa-
dova, 2020, 92 ss.; Id., La tassazione della digital economy: evoluzione del dibattito interna-
zionale e prospettive nazionali, in Dir. prat. trib. int., 2020, 1409 ss.; A. Bal, (Mis)guided by
the value creation principle – Can new concepts solve old problems?, in Bull. Int. Tax., 2018,
72, 1 ss.
dottrina 567

guenze: (i) per un verso, che le royalties e gli interessi dovrebbero in linea
di principio essere considerati imponibili nel Paese in cui ha luogo il
business che li genera, ovvero dove si colloca il soggetto al quale il pro-
prietario concede l’utilizzo del bene o del denaro dietro pagamento della
royalty o dell’interesse: in sintesi, nel Paese del “pagatore”, per individuare
il quale può tornare in rilievo il residuale concetto di residenza o stabile
organizzazione del soggetto stesso; (ii) per altro verso, che il provento
derivante dall’asset costituito in una partecipazione societaria, ossia il di-
videndo, dovrebbe essere assoggettato a imposizione in capo al percettore
nel Paese in cui si colloca la società che lo distribuisce, ossia ancora una
volta nel Paese del “pagatore”.
(i) Quanto alla prima conclusione, la circostanza che essa si ponga in
contrasto con quanto attualmente previsto dall’attuale diritto internazio-
nale tributario (108) non deve meravigliare (109), ma piuttosto conferma la
matrice vetero-capitalistica che lo informa. La royalty, invero, è la più
tipica forma di remunerazione dell’investimento capitalistico iniziale, insie-
me al dividendo, e considerazioni analoghe possono essere svolte per gli
interessi di remunerazione del capitale prestato (110). Per converso, posso-
no apparire in tal senso quali utili punti di riferimento normative interne,
come l’art. 23, comma 1, lett. b) e comma 2, lett. c) del t.u.i.r. italiano, che
– pur riferendosi alle ipotesi in cui tali componenti non siano qualificate
come redditi d’impresa – già contemplano per una parte dei proventi
derivanti dall’impiego di capitali (111) e per le royalties criteri di collega-
mento informati al principio del Paese del “pagatore”.
(ii) Quanto alla seconda conclusione, da essa deriverebbe che, collo-
cando le residenze delle società in paradisi fiscali, l’imposizione dei divi-
dendi potrebbe essere sostanzialmente sterilizzata. Tale conclusione non

(108) Si pensi ai primi paragrafi degli articoli 11 e 12 del modello OCSE contro le
doppie imposizioni, in corrispondenza dell’originario modello della Lega delle Nazioni del
1928. Ma si pensi anche al principio generale dell’art. 1 della direttiva cd. interessi-royal-
ties n. 2003/49/CE.
(109) Sul tema, M.J. Graetz, Technological Innovation, International Competition, and
the Challenges of International Income Taxation, in Id., Follow the Money, cit., 155 ss.
osserva che il sistema internazionale di tassazione delle royalties dovrebbe essere basato
essenzialmente sulla localizzazione dell’utilizzatore del bene, piuttosto che sul luogo dove
la proprietà intellettuale è detenuta o prodotta.
(110) R.S. Avi-Yonah, The Structure of International Taxation: A Proposal for Simplifi-
cation, cit., 1308-1309.
(111) Rispetto all’art. 19, comma 1, n. 2) del d.p.r. n. 597 del 1973, infatti, l’art. 23,
comma 1, lett. b) del d.p.r. n. 917 del 1986 (t.u.i.r.) si distingue per aver escluso l’applica-
zione del principio dello Stato del “pagatore” per quella speciale tipologia di redditi di
capitale rappresentata dagli interessi.
568 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

deve considerarsi di per sé aberrante, specie considerando che il dividendo


rappresenta la distribuzione di un risultato imprenditoriale già sottoposto
a tassazione (112) e che, soprattutto laddove la potestà impositiva su tale
risultato imprenditoriale sia adeguatamente ripartita tra gli Stati dove il
business si svolge nel senso anzidetto, la collocazione della sede societaria
in un paradiso fiscale si presta a incidere in misura limitata sull’effettiva
imposizione di tale risultato economico.
Sennonché, è ragionevolmente possibile sostenere anche che il mero
fatto di detenere una partecipazione in un altro soggetto societario non
determina, di per sé, un collegamento sufficiente con la comunità in cui
tale soggetto ha sede e che, pertanto, tale asset non possa considerarsi
localizzato in tale contesto.
In conseguenza di ciò, il reddito da esso generato sarebbe in via
residuale collegabile al contesto nel quale la partecipante forma il proprio
bilancio: ciò almeno nei casi in cui per tale ultimo contesto non ricorra una
situazione di paradiso fiscale assimilabile a quella di cui si dirà nel succes-
sivo paragrafo per le C.F.C. o comunque non si ritenga di applicare il
“look through principle” per tassare il dividendo in capo al beneficiario
effettivo dello stesso. Al di fuori di queste ultime ipotesi, appare quindi in
casi del genere possibile se del caso utilizzare in tutto o in parte anche un
criterio di collegamento territoriale residuale assimilabile a quello della
residenza del percettore, consentendo la tassazione del dividendo anche,
o eventualmente soltanto, allo Stato di residenza del percettore o, even-
tualmente, del beneficiario effettivo.
D’altra parte, come già si è detto, la rinuncia al criterio della tassazione
dell’utile mondiale non implica un abbandono totale del criterio di colle-
gamento rappresentato dalla residenza dell’impresa: senza bisogno di ri-
correre al postulato per cui “who earns most of ‘passive incomes’ are

(112) R.S. Avi-Yonah, op. ult. cit., 1309. Contro la tradizionale questione della doppia
imposizione economica, che ricorrerebbe considerando tassabili sia gli utili della società sia i
dividendi distribuiti agli azionisti, e la cui logica si pone alla base anche della direttiva cd.
“madre-figlia” n. 2011/96/UE, una parte della dottrina sostiene, in prospettiva opposta, la
necessità di abolire l’imposizione sui redditi d’impresa. Cfr., ad esempio, Y. Brauner, Cor-
porations Should Not Be Taxpayers, Especially Post-BEPS, in J. Monsenego, J. Bjuvberg (a
cura di), International Taxation in a Changing Landscape, Alphen aan der Rijn, 2019; Id.,
Should corporations be taxpayers?, in A.C. Infanti (a cura di), Controversies in Tax Law,
Londra, 2016; Id., Whither Choice of Entity?, in SSRN, 2013; G. Lideikyte Huber, Con-
ceptual Problems of the Corporate Tax, Amsterdam, 2019, par. 7.2.3.3.. Al contrario, l’op-
portunità del mantenimento dell’imposta sul reddito d’impresa è dimostrata efficacemente
da R.S. Avi-Yonah, Hanging Together: A Multilateral Approach to Taxing Multinationals, in
T. Pogge K. Mehta (a cura di), Global Tax Fairness, cit., par. III.; Id., Corporations, Society,
and the State: A Defense of the Corporate Tax, in Virginia L. Rev., 2004, 90, 1193 ss.
dottrina 569

individuals” (113), non più condivisibile nell’attuale contesto finanziario,


tale criterio residuale rimarrà validamente utilizzabile per tutte le vicende
che alla residenza direttamente si colleghino, come sono appunto quelle
della decisione finanziaria di mantenere una partecipazione.
Ciò può valere, a finalità invertite, anche per i fini esposti nel prece-
dente punto (i), ossia per l’individuazione del contesto cui ricondurre il
soggetto che richiede la concessione di un bene o di un capitale verso
pagamento di una royalty o di un interesse, con conseguente attribuzione
di potestà impositiva a tale Stato.

5.1.2.3. - C.F.C., paradisi fiscali e dintorni


Considerazioni in parte analoghe valgono per le C.F.C. Il relativo
regime impositivo, infatti, si fonda sul rifiuto da parte dell’ordinamento
in cui ha sede la controllante di riconoscere il collegamento territoriale tra
la controllata e l’ordinamento in cui essa ha sede: da ciò consegue l’impo-
nibilità dei redditi della controllata direttamente nell’ordinamento dove ha
sede la controllante.
Fermo restando che il criterio di riparto qui proposto dovrebbe limi-
tare l’interesse alla collocazione della sede della controllata in un paradiso
fiscale, visto che il suo business sarà comunque assoggettato a imposizione
essenzialmente nei Paesi in cui si svolge, e non dove essa ha sede, appare
evidente che la valutazione compiuta dall’ordinamento della sede della
controllante dà vita a un esercizio di sovranità tributaria che poggia, da
un punto di vista fattuale, sulla maggior forza dello Stato della sede della
controllante rispetto all’altro (114): da un punto di vista pratico, tale eser-
cizio di sovranità avrà tanta più possibilità di essere accettato dagli ope-
ratori (che altrimenti saranno liberi di spostare la propria sede altrove) in
quanto poggi sulla tendenziale condivisione, da parte della comunità degli
Stati, della ragionevole possibilità di escludere per un dato Paese la sussi-
stenza di un collegamento apprezzabile con le strutture economiche che in
esso fissano la propria sede, ossia di considerare tale Paese come un
paradiso fiscale (115).

(113) R.S. Avi-Yonah, The Structure of International Taxation: A Proposal for Simplifi-
cation, cit., 1310 e 1316.
(114) Il carattere essenzialmente “politico” della disciplina delle C.F.C. è riconosciuto
anche da R.S. Avi-Yonah, Back to the Future? The Potential Revival of Territoriality, in
Univ. of Michigan Public Law Working Paper, 2008, 114.
(115) Sul fatto che la formazione di un paradiso fiscale sia essenzialmente una questione
politica e che tali paradisi costituiscano il frutto inevitabile del “focus of the international tax
laws of wealthier countries ... on capital neutrality” cfr. A.H. Rosenzwieg, Why Are There
Tax Havens?, in Wim. & Mary L. Rev., 2010, 52, 23 ss. Sul collegamento di molti dei
570 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

Principi analoghi possono essere applicati in generale alle conduit


companies, ad esempio per evitare operazioni circolari consistenti nell’in-
troduzione di un distributore residente in un paradiso fiscale e poi inca-
ricato di rivendere, con basso margine di profitto, nello Stato di residenza
del produttore: se il prodotto oggetto dell’operazione non subisce cambia-
menti sostanziali nel passaggio, infatti, rimarrà pur sempre applicabile il
“look through principle”, mediante il quale attribuire le vendite nel Paese
di residenza direttamente al produttore (116).
Alla stessa maniera possono essere unilateralmente contrastate forme
di collusione tra impresa multinazionale e suoi partner commerciali volte a
concentrare in determinate giurisdizioni – ritenute insuscettibili di dar vita
a ragionevoli criteri di collegamento impositivo – le attività dei partner
stessi e, correlativamente, la potestà impositiva sui componenti positivi
prodotti dalla multinazionale nei rapporti con essi: ciò che potrà avvenire
per tutti i componenti derivanti da tali rapporti o anche soltanto per
alcune tipologie considerate particolarmente sensibili, come potrebbero
essere ad esempio alcune delle vicende negoziali occasionali di cui al punto
(ii) dello schema introduttivo del presente par. 5.1. oppure le vicende
inerenti ad alcuni “passive income”.

5.2. - Le componenti negative di reddito


Individuato il radicamento territoriale delle componenti positive di
reddito, la determinazione dell’imponibile dovrebbe essere semplificata
in un contesto di unitary approach.

5.2.1. - La ripartizione dei costi nella classificazione contabile per natura


Più in particolare, essa dovrebbe avvenire ripartendolo fra i vari Paesi
le componenti negative complessive della corporation in proporzione alla
collocazione delle componenti positive nei vari Paesi. Ciò vale, in partico-
lare, nel caso in cui il bilancio sia redatto in base alla classificazione dei
costi per natura, di cui allo IAS-1.
Cosı̀, se il totale delle componenti positive della multinazionale Alfa è
pari a 200, di cui secondo i criteri esposti nel precedente par. 5.1. un
ammontare pari a 100 (cioè il 50%) è tassabile nel Paese X, un ammontare
pari a 60 (cioè il 30%) nel Paese Y e un ammontare pari a 40% (cioè il

paradisi fiscali con altri Stati, spesso rappresentativi dei Paesi più ricchi (si pensi al legame di
Curaçao con i Paesi Bassi o del Jersey con il Regno Unito), cfr. la precedente nota 33.
(116) R.S. Avi-Yonah, The Case for a Destination-Based Corporate Tax, in SSRN, 2015;
Id., Three Steps Forward, One Step Back? Reflections on “Google Taxes” and the Destination-
Based Corporate Tax, cit., 74.
dottrina 571

20%) nel Paese Z, e se il totale delle componenti negative è pari a 120, il


reddito imponibile nel Paese X sarà pari a 40 (100 –120 x 50%), il reddito
imponibile nel Paese Y sarà pari a 24 (60 – 120 x 30%) e il reddito
imponibile nel Paese Z sarà pari a 16 (40 – 120 x 20%). Su ogni porzione,
ciascun Paese applicherà le aliquote da esso stabilite per l’imposta sul
reddito d’impresa. Lo stesso varrà, naturalmente, in caso di formazione
di una perdita, che sarà ripartita pro quota tra i vari Paesi, con conse-
guente utilizzabilità di essa in futuro per compensare i redditi imponibili in
ciascuno dei Paesi stessi.
Un meccanismo del genere, se combinato con un adeguato sistema di
ritenute sul reddito lordo da parte del Paese di destinazione, si manifesta
inoltre, come già anticipato in apertura, idoneo a stemperare anche possi-
bili interessi della multinazionale a porre in essere comportamenti evasivi.
Sulla premessa della permanenza di uno Stato – o più d’uno – che
abbia un ruolo di coordinamento degli obblighi contabili e dichiarativi
della multinazionale, e che può certamente essere individuato nel Paese
della sede o più in generale della residenza, l’impresa avrà interesse a
dichiarare tutti i redditi percepiti a livello mondiale, Paese per Paese (117),
solo che si abbia cura di configurare un meccanismo che colleghi la scom-
putabilità nello Stato della dichiarazione delle imposte pagate all’estero, o
l’esenzione di tale parte di reddito, alla necessità di imputare agli Stati del
mercato una parte dei costi sostenuti dall’impresa, al fine di nettizzare i
redditi ivi assoggettati a imposizione, previa ovviamente la presentazione
di una apposita dichiarazione anche negli Stati stessi, che recepisca i nu-
meri emergenti dalla dichiarazione presentata nel primo Stato.
Rimarrà in questo naturalmente l’eventualità che l’impresa cerchi di
sottrarre dei redditi a dichiarazione, eventualità che, d’altronde, sussiste
per ogni fenomeno fiscale.
Tale eventualità dovrebbe essere contrastata articolando controlli in-
ternazionali efficaci, ma si potrebbe anche pensare di ammetterla nelle
ipotesi de minimis, ossia quando sia considerato tollerabile il differenziale
tra maggiore imposta computata per effetto della mancata utilizzazione
dell’esenzione o del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero
(nel caso in cui non si dichiari il reddito generato all’estero) e minor
imposta computata nel Paese della dichiarazione per effetto della maggior
deduzione di costi goduta (per effetto della mancata imputazione di una

(117) Pur nella diversità dei fini e dei contenuti, già adesso è richiesto qualcosa di simile
con il Country-by-Country Reporting (CbCR), prospettato dall’Action 13 del Piano anti-
BEPS dell’OCSE e già recepito in molti Paesi. In Italia, come noto, ciò è avvenuto mediante
l’art. 1, commi 145 e 146 della legge di stabilità per il 2016, n. 208/2015.
572 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

parte dei costi al Paese estero non dichiarato). Ciò specialmente nelle
ipotesi in cui il reddito prodotto in un certo Stato estero debba conside-
rarsi marginale, secondo la prospettiva ben nota dal diritto internazionale
tributario delle deroghe previste per gli scostamenti de minimis (118).
Tuttavia, al di là di questi aspetti, il sistema configurato ha in sé gli
anticorpi per far sorgere nell’impresa stessa un interesse a dichiarare tutti i
redditi, ciò che appare la migliore garanzia di funzionamento del sistema
stesso.
Si ipotizzi, ad esempio, che il ricavato complessivo della multinazionale
Beta sia pari a 1.000 di cui 50 generato nel Paese X, dove su esso è
applicata la ritenuta del 30% (con imposta pagata di 15), e il restante
950 nel Paese della prima dichiarazione, che può individuarsi in quello
della residenza. Si ipotizzi altresı̀ che i costi complessivi di Beta siano pari a
900 e che non vi siano altre componenti positive rispetto al ricavato. Nel
caso in cui nel Paese di residenza la società non dichiari la porzione (50)
prodotta nel Paese X essa maturerà un reddito di 50, mentre nel caso in
cui dichiari il reddito prodotto nel Paese X maturerà, per effetto della
imputazione proporzionale dei costi (95% nel Paese di residenza, 5% nel
Paese X), nel Paese di residenza, un reddito di 950 – 95% x 900 = 95 e,
nel Paese X un reddito di 50 – 5% x 900 = 5. Il differenziale tra le due
ipotesi è imputabile alla doppia considerazione nei due Paesi della vicenda
transfrontaliera e deve essere sterilizzato, ai fini fiscali, mediante esenzione
o credito d’imposta. Ipotizzando che in entrambi i Paesi l’aliquota del-
l’imposta sul reddito delle società sia pari al 30%, nel primo caso la società
dovrà pagare 15 nel Paese X (ritenuta sul reddito lordo di 50) e 15 nel
Paese di residenza (ossia il 30% della differenza tra 950 e 900), mentre nel
secondo caso la società dovrà pagare 1,5 nel Paese X, previa presentazione
anche in esso di una dichiarazione per nettizzare il reddito portandolo da
50 a 5, e 28,5 nel Paese di residenza (119).
Come ben si vede, a parità di aliquota tra i sistemi l’imposizione
complessiva rimane la medesima sia che la società dichiari tutti i redditi,
sia che non li dichiari, talché nessun interesse avrà la società stessa a

(118) Cfr. da ultimo, in relazione alla proposta di global minimum tax di cui si dirà nel
successivo par. 6, D. Calderón Manrique, op. cit., 53.
(119) Pari al 30% di 1.000 – 900, con successivo scomputo di 1,5 di imposte conclu-
sivamente dovute nel Paese X, se il Paese di residenza applica il sistema del credito d’impo-
sta; e pari al 30% del differenziale tra 950 e 855, a sua volta pari alla quota di costi
imputabili al Paese di residenza, se esso adotta il sistema dell’esenzione. Sul tema, cfr.
ampiamente A. Contrino, Contributo allo studio del credito per le imposte estere, Torino,
2012, passim; Id., Il foreign tax credit, in A. Vicini Ronchetti (a cura di), Fiscalità della
internazionalizzazione delle imprese, cit., 113 ss.
dottrina 573

rendere una dichiarazione infedele, stante il rischio di sanzioni che non è


razionale correre a parità di importo complessivo di imposte dovute.
Sotto altro profilo, se il Paese del mercato (Paese X) adotta un livello
di imposizione più elevato del Paese di residenza, a motivo dell’applica-
zione di un’aliquota più elevata (si ipotizzi, nel presente esempio, il 40%)
ovvero di norme speciali tributarie che aggravano il trattamento di alcune
componenti emergenti dalla contabilità, nel primo caso (omessa dichiara-
zione nel Paese di residenza dei redditi generati nel Paese X e ivi assog-
gettati a ritenuta sul reddito lordo) l’imposta complessivamente dovuta
sarebbe pari a 35 mentre nel secondo caso (dichiarazione) l’imposta glo-
bale ammonterebbe a 30 (con il sistema del credito d’imposta) o a 30,5
(con il sistema dell’esenzione), con la conseguenza che l’omessa dichiara-
zione del reddito generato nel Paese del mercato risulterebbe sconveniente
dal punto di vista dell’onere fiscale complessivo.
Rimarrebbe, cosı̀, comunque sterilizzato l’interesse alla concorrenza
fiscale tra Stati, poiché le imposte nel Paese del mercato sarebbero co-
munque dovute e il volume d’affari effettuato dall’impresa nel Paese po-
trebbe ragionevolmente essere considerato sostanzialmente indipendente
rispetto al regime fiscale ivi applicato ai redditi dell’impresa stessa: infatti,
anche ad assumere una forma di traslazione economica dell’onere dell’im-
posta sul reddito, è lecito ipotizzare una sostanziale anelasticità della pro-
pensione della maggior parte degli operatori allo spostamento territoriale
per l’effettuazione degli acquisti (120), mentre laddove essa si verificasse
difficilmente la concorrenza fiscale potrebbe dirsi dannosa, in quando pur
sempre supportata dall’aggancio a dati sostanziali ed effettivi come il vo-
lume d’affari concretamente svolto in ciascun Paese, fermi restando natu-
ralmente accorgimenti del tipo di quello indicato in conclusione del par.
5.1.2. per evitare triangolazioni o simili manovre elusive. Cosı̀, l’eventuale
collocazione della residenza in Paesi a fiscalità privilegiata, o che comun-
que applichino aliquote inferiori a quelle dei Paesi del business, ridonde-
rebbe a svantaggio esclusivo dei Paesi stessi senza compromettere il gettito
degli altri che, anzi, risulterebbe aumentato nel caso in cui la multinazio-
nale non dichiarasse nel Paese di residenza alcuni redditi prodotti all’e-
stero precludendosi cosı̀ di imputare ad essi una parte dei costi da essa
complessivamente sostenuti a livello globale. Ulteriore effetto benefico,
questo, nel senso di favorire la trasparenza dei comportamenti fiscali delle
multinazionali.

(120) In tal senso cfr. anche M. De Wilde, C. Wisman, OECD Consultations on the
Digital Economy: “Tax Base Reallocation” and “I’ll Tax If You Don’t”?, cit., 25.
574 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

Per converso, l’applicazione da parte del Paese di residenza di un’ali-


quota più elevata rispetto ai Paesi del mercato comporterebbe naturalmen-
te un maggior carico fiscale nel caso in cui in esso si concentri la maggior
parte dei redditi (121), ma il dato viene a dipendere dalle componenti
positive generate dall’impresa nel Paese stesso: esse, tuttavia, sono soltanto
relativamente disponibili alle scelte fiscali dell’impresa stessa, che può
scegliere di privilegiare un mercato rispetto a un altro, ma che in un
regime concorrenziale difficilmente potrà imporre agli operatori di quel
mercato se e quanto acquistare dei propri beni e servizi.
In questa prospettiva, l’eventuale scelta di una società di spostare la
propria residenza nel Paese in cui ha il business maggiore per godere ivi
del minor trattamento fiscale non potrebbe dirsi elusiva, in quanto in ogni
caso agganciata al dato sostanziale della composizione geografica del suo
volume d’affari; al contrario, lo spostamento della residenza in un Paese a
bassa fiscalità risulterebbe sterile, poiché laddove in esso si svolga un
business scarsamente significativo sotto il profilo sostanziale si otterrebbe
unicamente di pagare poche imposte, o di non pagarle affatto maturando
se del caso ampi crediti, in un Paese con cui il legame è minimo, ma
rimarrebbe fermo il pagamento della giusta imposta nei Paesi con cui il
business dell’impresa è effettivamente collegato, mentre laddove in esso si
svolga un business significativo si tornerebbe nella fattispecie di cui al
capoverso precedente. Sicché anche sotto questo profilo lo schema sopra
tratteggiato appare idoneo a sterilizzare l’interesse delle imprese al compi-
mento di manovre di “profit splitting”, mentre gli ibridi risultano mini-
mizzati per effetto della determinazione unitaria delle componenti alloca-
bili nei vari Paesi secondo i principi internazionali, salvo poi l’intervento
soltanto successivo di eventuali norme speciali tributarie che incidano sul
relativo livello di imposizione.
Sotto altro profilo, sarà invece opportuna l’introduzione di specifiche
misure di verifica (122) e, se del caso, di limiti all’utilizzo delle perdite, per
limitare il rischio che l’impresa, residente in un Paese ad elevata fiscalità,
possa aver convenienza a omettere di dichiarare in tutto o in parte i redditi
prodotti all’estero, e ivi assoggettati a ritenuta, al fine di poter dedurre nel

(121) Nell’esempio fatto nel testo, assumendo un’aliquota del 40% nel Paese di resi-
denza, omettendo la dichiarazione dei redditi generati nel Paese X l’imposta globale com-
plessiva sarebbe pari a 35, dichiarandoli sarebbe pari a 40 con il sistema del credito d’im-
posta o a 39,5 con il sistema dell’esenzione.
(122) Sul tema cfr. le interessanti considerazioni di C. Garbarino, The Use of Cross-
Border Corporate Profits and Losses and “Global Corporate Tax Information”: A Game
Theory Approach, in Columbia Journal Of Tax Law, 2014, 5, 133 ss.
dottrina 575

Paese della dichiarazione principale tutti i costi o comunque una parte


sufficiente a formare una perdita atta a sterilizzare il prelievo in esso
gravante, al prezzo di rendere definitive le ritenute subite negli altri Paesi.
Tali meccanismi di verifica, in particolare, risulteranno efficaci anche nel
contrastare eventuali tentativi di evasione dichiarativa di componenti red-
dituali derivanti da specifiche vicende negoziali inerenti i beni d’impresa,
come le plusvalenze (cfr. il punto ii dello schema riportato in apertura del
par. 5.1.). Stante l’ordinario collegamento di tali vicende con rilevazioni
riguardanti anche lo stato patrimoniale, sarà possibile per tale via indivi-
duare in modo relativamente agevole i casi di sottrazione di materia im-
ponibile, limitando il rischio che eventuali collusioni tra impresa e acqui-
rente per localizzare l’operazione in giurisdizioni privilegiate ridondino in
violazioni dei criteri di collegamento su cui si basa il sistema.
Al riguardo è utile precisare come rimanga fermo, naturalmente, che
eventuali accertamenti produrranno effetti soltanto per lo Stato che li
emette, salva ovviamente l’opportunità che gli Stati concludano accordi
per coordinarsi tra di loro in modo adeguato in caso di accertamenti che
coinvolgano elementi rilevanti a livello globale. Tra questi, in particolare,
vanno annoverati non soltanto quelli attinenti ai costi da ripartire propor-
zionalmente tra i vari Paesi, ma anche quelli attinenti alle componenti
positive eventualmente sottratte a dichiarazione e imposizione: invero,
una volta accertate nel Paese della dichiarazione, in mancanza di accordi
con le autorità dello Stato cui spetterebbe la potestà impositiva sulla base
degli ordinari criteri “destination-based”, esse risulteranno ivi assoggettate
a imposizione in via residuale, con il rischio che successivi accertamenti da
parte dell’altro Stato producano forme di doppia imposizione da affron-
tare in una più complessa prospettiva ex post.
L’alternativa, rappresentata dalla competenza unica dell’Amministra-
zione finanziaria del Paese in cui l’impresa ha sede e presenta la dichiara-
zione principale, sul modello della “autorità tributaria principale” prevista
per i gruppi dall’art. 56 della proposta CCCTB, richiederebbe un livello di
compenetrazione – e reciproca fiducia – tra Amministrazioni finanziarie
dei diversi Paesi elevatissimo e tale per cui il recupero d’imposta da parte
di Stati diversi da quello di residenza dovrebbe transitare inevitabilmente
da un accertamento da esso compiuto, se del caso su segnalazione del
diverso Stato interessato: ed appare evidente come, a livello globale, ma
forse anche europeo, un sistema del genere appaia difficilmente concepi-
bile.
576 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

5.2.2. - La ripartizione dei costi nella classificazione contabile per desti-


nazione
Accanto a tale possibile criterio di allocazione dei costi secondo con-
tabilizzazione per natura e ripartizione proporzionale ai fini fiscali, rimane
naturalmente possibile anche la classificazione dei componenti negativi
secondo il criterio della destinazione, pur sempre consentito dallo IAS-1.
In questa prospettiva, l’operazione si rivela più semplice soltanto dal
punto di vista concettuale, a condizione che la destinazione sia determi-
nata in coerenza con l’impostazione di fondo del “destination-based ap-
proach”, ossia in relazione al business e non agli stabilimenti.
Sul piano operativo, tuttavia, l’applicazione del criterio risulta più
delicata. Esso si tradurrebbe, invero, nella deduzione, in ciascun Paese
in cui si formano componenti positive, delle componenti negative ad esse
direttamente afferenti, mentre i costi generali dovrebbero comunque esse-
re calcolati unitariamente e suddivisi tra i Paesi ove si formano i compo-
nenti positivi (123).
Come evidente, la principale difficoltà risiede nel fissare criteri appro-
priati, e condivisi tra gli Stati, per qualificare un costo come direttamente
inerente a un componente positivo. L’intrinseca maggior discrezionalità
del presente criterio di imputazione dei costi appare evidente, per cui
dovranno naturalmente essere presi in considerazioni anche accorgimenti
per limitare gli arbitraggi degli operatori.
In questa prospettiva, gli schemi di regolamentazione del transfer pricing
infragruppo assumono rilevanza centrale e, pertanto, la regolamentazione di
essi può ragionevolmente assumere valenza generalizzata anche come crite-
rio di ripartizione della potestà impositiva tra Stati (124). Invero, laddove
opportunamente calibrata, la regolamentazione del transfer pricing non in-
troduce necessariamente elementi di disomogeneità tra “independent entity

(123) Su questo aspetto, peraltro e come osservato da S. Picciotto, The Current Context
and a Little History, cit., 13, il Rapporto sulle Azioni 8-10 del piano anti-BEPS dell’OCSE
del luglio-settembre 2018 già prevedeva revisioni del capitolo VII delle “Transfer Pricing
Guidelines” (TPGs) nel senso di indicare un metodo semplificato per concentrare e allocare
i servizi centralizzati di un gruppo societario.
(124) In questa prospettiva, del resto, la regolamentazione dei prezzi di trasferimento
tra le società del medesimo gruppo localizzate in diversi Paesi non è altro che una risposta
alla necessità di regolamentare l’allocazione della potestà impositiva tra detti Paesi: cosı̀, per
tutti, M. Olbert, C. Spengel, International Taxation in the Digital Economy: Challenge
Accepted?, in World Tax J., 2017, 9, 3 ss. In questo senso, si comprende l’interesse al tema
del piano anti-BEPS dell’OCSE, che ha ad esso dedicato le proposte di cui alle Azioni 8-10,
già menzionate nella precedente nota.
dottrina 577

approach” e “unitary approach” (125) e, pertanto, essa non dovrebbe rite-


nersi razionalmente incompatibile con un sistema di tassazione basato
sullo “unitary approach” (126).

6. - La global minimum tax come estremo (e vacuo) tentativo di salva-


guardia dello status quo.
A distanza di quasi un secolo dai fatti di Ginevra del 31 ottobre 1928,
la comunità internazionale ha annunciato trionfalmente che il criterio della
destinazione o del mercato è stato, finalmente, recepito e posto alla base di
una rivoluzione gli assetti del diritto internazionale tributario.
Dopo l’accordo di massima del G7 di Cornovaglia del giugno 2021,
ottenuto con il beneplacito dei colossi del web cd. big tech o GAFA
(Google, Amazon, Facebook, Apple), il G20 del 9 luglio 2021, svoltosi
a Venezia con la presidenza italiana, ha annunciato che, dopo molti anni di
discussione, si è raggiunto uno storico accordo su una più stabile e giusta
architettura dell’imposizione internazionale sinteticamente indicato come
“global minimum tax” (127). Esso si basa sull’imponente lavoro svolto dal-
l’OCSE nell’ambito del piano anti-BEPS (Base Erosion and Profit Shifting)
e, in particolare, sul rapporto conclusivo del cd. Inclusive Framework,
elaborato in stretta sinergia con il G20 fin dal 2019 e approvato nell’otto-
bre 2020.
La notizia è immediatamente rimbalzata tra gli squilli di tromba di
tutti i media a livello mondiale, che l’hanno annunciata come l’alba di un
nuovo giorno per l’umanità a ben vedere ancor prima che essa fosse
ufficializzata e tanto meno concretizzata. La decisione del G7/G20, d’al-
tronde, ha trovato la strada politica facilitata dal fatto che uno dei princi-
pali Paesi che si erano fatti da decenni sostenitori dello status quo, ossia gli
Stati Uniti d’America, aveva annunciato alcuni mesi addietro un cambio di
rotta nella propria politica fiscale internazionale con il piano cd. “Made in
America”.

(125) Dato sottolineato da S. Picciotto, op. ult. cit., 6, 7, 10.


(126) Picciotto S., op. ult. cit., 13, 17, 20, 21; R.S. Avi-Yonah, Unitary Taxation and
International Rules, cit.
(127) Il comunicato recita testualmente: “After many years of discussions and building
on the progress made last year, we have achieved a historic agreement on a more stable and
fairer international tax architecture. We endorse the key components of the two pillars on the
reallocation of profits of multinational enterprises and an effective global minimum tax as set
out in the ‘Statement on a two-pillar solution to address the tax challenges arising from the
digitalisation of the economy’ released by the OECD/G20 Inclusive Framework on Base
Erosion and Profit Shifting (BEPS) on July 1”.
578 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

Trattasi di un cambio di rotta determinato essenzialmente da interessi


politici nazionali, come dimostrano non soltanto le motivazioni con cui
esso è stato presentato (128), ma anche e sostanzialmente il fatto che, nel
programma di lavoro stilato dall’OCSE e approvato dal G20, si pongono
come condizioni due aspetti, l’abolizione di ogni imposta sulle transazioni
digitali verso imprese non residenti (cd. “equalization levy”) (129) e il coor-

(128) Esse risultano ben indicate nel rapporto del Tesoro USA The Made in America
Tax Plan, aprile 2021, ove si illustrano le ragioni per cui la riforma Tax Cut and Jobs Act
(TCJA) del 2017 necessitasse di revisioni sia per quanto attiene alla GILTI, che per un
difetto di formulazione ha prodotto un effetto di aumento del profit shifting (come eviden-
ziato pressoché unanimemente dalla dottrina: D. Kamin, D. Gamage, A. Glogower, R.
Kysar, D. Shanske, R.S. Avi-Yonah, L. Batchelder, J.C. Fleming, D. Hemel, M. Kane, D.
Miller, D. Shaviro, M. Viswanathan, The Games They Will Play: Tax Games, Roadblocks
and Glitches Under the 2017 Tax Overhaul, in Minn. L. Rev., 2019, 103, 1439 ss.; K.
Clausing, Profit Shifting Before and After the Tax Cuts and Jobs Act., in National Tax Journal,
2020, 73, 1233-12; M. Herzfeld, Can GILTI + BEAT = GLOBE?, in Intertax 504, 2019, 47,
504 ss.), sia per quanto attiene alla BEAT, dimostratasi inefficace alla prova dei fatti (avendo
prodotto un gettito di neppure 1/3 rispetto all’atteso e avendo prodotto effetti distorsivi
verso alcune tipologie di imprese, come evidenziato a pag. 12 del citato rapporto del Tesoro
USA dell’aprile 2021). In questa prospettiva, gli USA sono giunti a conclusione che i propri
interessi nazionali fossero tutelati più adeguatamente con misure analoghe a quelle proposte
dall’OCSE e hanno, cosı̀, ritenuto di cogliere l’occasione per intestarsi un ruolo di guida
nella riforma dell’imposizione internazionale. Si legge, ad esempio, alle pagg. 12 e 17 del
rapport citato: “The Made in America tax plan’s proposed replacement of the ineffective
BEAT would be transformative in that regard by incentivizing other large economies to join
the United States in taking the first step to adopt strong minimum taxes on corporations and
leveling the playing field between the taxation of domestic and foreign corporations ... The
plan would also lead the world toward the creation of a modernized, stable, and coordinated
international tax regime that is premised on multilateral cooperation, thereby addressing
collective action problems among nations”. Ancor più esplicite le dichiarazioni del Presidente
del 1˚ luglio 2021, alla vigilia dell’approvazione del piano OCSE da parte del G20: “It took
American vision, as well as a commitment to closely cooperate with our partners around the
world. It’s a testament to how leadership rooted in our values can deliver important progress
for families everywhere”.
(129) “The removal of all Digital Service Taxes and other relevant similar measures”. Sul
futuro delle Digital Service Tax e, più in generale, delle equalization levy si interrogavano, già
prima degli accordi del 2021, G. Kofler, The Future of Digital Service Taxes, in EC Tax
Review, 2021, 50 ss.; L. Del Federico, La tassazione nell’era digitale. Genersi, diffusione ed
evoluzione dell’equalisation levy, in Dir. prat. trib. int., 2020, 1431 ss.; Y. Brauner, Taxing
the Digital Economy Post-BEPS, Seriously, in Intertax, 2018, 46, 464, il quale icasticamente
osservava quanto segue: “There are many good reasons not to support an equalization tax, but
the main fault of such a tax is that it avoids the core problem, being external to the income tax
system that is at the heart of the debate, and hence cannot be seriously viewed as a solution,
perhaps only a political pacifier of an arbitrary set of countries ... Inappropriate interim
measures, such as the equalization tax, are necessarily undesirable, and cannot be supported
since they do not bring us closer to a solution. Beyond the legal problems presented by the
equalization tax, that would serve solely as distractions from a consensus building effort, such a
measure can strategically only harm that effort”. Sul tema cfr. altresı̀ A. Báez Moreno, Y.
Brauner, Tax policy for the digitalized economy under Benjamin Franklin’s rule for decision-
dottrina 579

dinamento con una specifica misura fiscale americana (la “Global Intangi-
ble Low-Taxed Income”, cd. GILTI) (130), da tempo punti fermi della
politica fiscale statunitense (131). Tuttavia, al di là delle ragioni effettive
di convenienza nazionale, trattatasi pur sempre di un cambio di rotta
idoneo a sbloccare l’impasse anche a livello internazionale (132).
Sennonché, esaminata nel merito, la realtà della proposta sostenuta dal
G20, che ricalca come detto gli studi predisposti dall’OCSE, appare sen-
sibilmente diversa rispetto ai proclami e si appalesa ben lungi dal rispon-
dere in modo efficace ai bisogni di reimpostazione dei criteri di collega-
mento dell’imposizione sul reddito transnazionale che si sono sopra evi-
denziati. Ciò anche senza contare che la proposta approvata dal G20 non è
ancora definita in ogni suo dettaglio, che l’OCSE si riserva di mettere a
punto entro la fine del 2021, e che naturalmente nessuna di queste pro-
poste diverrà effettiva se non nella misura in cui approvata mediante le
procedure democratiche previste dalle Costituzioni nazionali di ciascuno
Stato coinvolto.

making, in W. Haslehner, G. Kofler, K. Pantazatou, A. Rust (a cura di), Tax and the digital
economy: challenges and proposals for reform, cit., 67 ss.; P. Pistone, Y. Brauner, Adapting
Current International Taxation to New Business Models: Two Proposals for the European
Union, in Bull. Int. Tax., 2017, 71, 12.
(130) “Consideration will be given to the conditions under which the US GILTI regime
will co-exist with the GloBE rules [ossia con il secondo pilastro della proposta OCSE, di cui
si dirà nel successivo par. 6.2.], to ensure a level playing field”.
(131) Il 26 luglio 2019, a fronte dell’approvazione da parte di uno Stato straniero di una
Digital Service Tax destinata a colpire imprese residenti negli Stati Uniti, il Presidente degli
Stati Uniti emetteva il seguente tweet prospettante rappresaglie fiscali: “France just put a
digital tax on our great American technology companies. If anybody taxes them, it should be
their home Country, the USA. We will announce a substantial reciprocal action on Macron’s
foolishness shortly. I’ve always said American wine is better than French wine!”. In prece-
denza, secondo l’aneddoto riportato da M.J. Graetz, Bringing International Tax Policy into
the 21st Century, in Tax Notes Int., 2016, 83, 316, i negoziatori statunitensi in sede OCSE
hanno affermato di sentirsi, durante le trattative per il MLI, “like everyone in the room
wanted the U.S. to pay for all the drinks”. Sulla sostanziale irrazionalità di questo punto della
politica fiscale statunitense contro l’imposizione all’estero di Digital Service Tax cfr. R.S. Avi
Yonah, The New International Tax Framework: Evolution or Revolution?, in Insights, 2021,
25, 11, 4 (“the critique that DSTs are discriminatory towards U.S. Big Tech is baseless, or
perhaps even ironic”); T.A. Kaye, U.S. Tax Sovereignty and the BEPS Project, in S.A. Rocha,
A. Christians (a cura di), Tax Sovereignty in the BEPS Era, Alphen aan der Rijn, 2017, 279
ss. Sul punto, A.P. Dourado, Digital Taxation Opens the Pandora Box: The OECD Interim
Report and the European Commission Proposals, in 46 Intertax, 2018, 565 sottolineava che
“these unilateral measures are legitimate and have the positive effect of exerting pressure on
international coordination” e non può negarsi, alla luce degli eventi del 2021, che tale
previsione fosse prossima al vero.
(132) Come esattamente rilevato da L. Carpentieri, La proposta fiscale dell’Amministra-
zione Biden e l’ambizione di cambiare le regole del gioco: sarà davvero il tramonto del profit
shifting delle multinazionali?, in Riv. telem. dir. trib., 2021, 594 ss.
580 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

6.1. - Il primo pilastro


Il primo pilastro della proposta OCSE, approvata dal G20 nel luglio
2021, consiste nell’allocazione di una parte del reddito delle multinazionali
in capo agli Stati dove si svolge il business (133). Trattasi di una proposta
che si fonda su principi da salutare certamente con favore, che muovono
indubbiamente nella direzione del “destination-based approach”. Sennon-
ché, la proposta stessa delimita il proprio ambito applicativo in un modo
talmente cervellotico da ingenerare, da una parte, ulteriori prospettive di
elusione e, dall’altra parte, irragionevoli disparità di trattamento.
L’allocazione di una parte del reddito verso i Paesi del mercato, infatti:
dovrebbe riguardare esclusivamente un numero limitato di imprese,
ossia quelle con fatturato globale superiore ai venti miliardi di Euro e tasso
di profitto superiore al 10%, e un numero limitato di Paesi, essendo fissate
soglie, al di sotto delle quali il fatturato in un certo Paese comunque non
rileva ai fini dell’applicazione del nuovo regime, che appaiono probabil-
mente oltre a un criterio de minimis obiettivamente inteso (1 milione di
Euro o 250.000 per i Paesi più piccoli);
riguarderebbe esclusivamente una frazione minima del reddito della
multinazionale, poiché verrebbe calcolata nella percentuale del 20-30%
dell’extraprofitto eccedente la soglia del 10%.
Cosı̀, le novità apportate dalla proposta dovrebbero avere una portata
applicativa estremamente limitata. Lo dimostrano i dati di gettito attesi per
i Paesi importatori di capitali: appena l’1% in più di imposte (134). Lo

(133) Cfr. sul tema M.J. Graetz, A Major Simplification of the OECD’s Pillar 1 Pro-
posal, in Tax Notes Federal, 2021, 213 ss.; J. Li, The Legal Challenges of Creating a Global
Tax Regime with the OECD Pillar One Blueprint, in Bull. Int. Tax., 2021, 75, 84 ss.; J.
Martin, Leaked copy of US proposal for Pillar One and Pillar Two multinational group tax
reforms available, in MNE Tax, 12 aprile 2021; S. Chatel J. Li, Repurposing Pillar One into
an Incremental Global Tax for Sustainability: A Collective Response to a Global Crisis, in
Bull. Int. Tax., 2021, 75, 230 ss.; P. Pistone, J. Nogueira, B. Andrade, A. Turina, The OECD
Public Consultation Document “Secretariat Proposal for a ‘Unified Approach’ under Pillar
One”: An Assessment, in Bull. Int. Tax., 2020, 74, 14 ss.; A.P. Dourado, The OECD Report
on Pillar One Blueprint and Article 12B in the UN Report, in Intertax, 2021, 49, 3 ss.; A.W.
Oguttu, A Critique from a Developing Country Perspective of the Proposal to Tax the Digital
Economy, in World Tax J., 2020, 12, 799 ss.; V. Chand, A. Turina, L. Ballivet, Profit
Allocation within MNEs in the Light on the Ongoing Digital Debate on Pillar I – A “2020
Compromise”? From Using a Facts and Circumstances Analysis or Allocation Keys to Prede-
termined Allocation Approaches, in World Tax J., 2020, 12, 565 ss.; C. Elliffe, International
Tax Frameworks: Assessing the 2020s Compromise from the Perspective of Taxing the Digital
Economy in the Great Lockdown, in Bull. Int. Tax., 2020, 74, 532 ss.; S. Greil, T. Eisgruber,
Taxing the Digital Economy: A Case Study on the Unified Approach, in Intertax, 2021, 49,
53 ss.
(134) OCSE/G20, Addressing the tax challenges arising from the digitalization of the
dottrina 581

dimostra la stima del numero di imprese che dovrebbero essere coinvolte,


inferiore a ottocento a livello planetario (135). Se a ciò si aggiunge che le
modalità con cui dovrà avvenire tale allocazione sono del tutto incer-
te (136), essendo l’unico punto fermo che esse non possono tradursi nel
trasferimento di gettito da parte dello Stato della residenza ma devono
passare per l’imposizione di una forma di prelievo da parte dello Stato del
mercato, agevolmente si comprende la scarsa pregnanza del primo pila-
stro. Come è stato scritto, nessuno sembra soddisfatto del primo pilastro e
la promessa di ottenere da esso risultati certi è una chimera (137).
In verità, come dovrebbe emergere con sufficiente chiarezza dalle
considerazioni esposte nei precedenti paragrafi, non solo per le grandi
imprese multinazionali il binomio “residenza – stabile organizzazione” è
divenuto inadeguato come criterio di tassazione del reddito d’impresa
transnazionale.
Gli stessi fenomeni elusivi, che tale binomio ha fatto prosperare, sono
soltanto più semplici per le grandi multinazionali, ma rappresentano una
criticità che agevolmente può riguardare la generalità delle imprese ope-
ranti a livello transnazionale, come già evidenziato nel precedente par. 3.2.
L’introduzione delle suddette soglie, pur formalmente motivate da ragioni

economy, luglio 2021, pag. 12. Per questa via, Y. Brauner, Lost in Construction: What Is the
Direction of the Work on the Taxation of the Digital Economy, cit., 272, evidenzia che
“absent a clear new allocation norm it is doubtful that the less powerful economies would
benefit from the reform”. Sul tema cfr. altresı̀ M. Herzfeld, Selling a digital Brooklyn Bridge,
Tax Notes Federal, 2020, 169, 1230 ss.
(135) OCSE, Tax Challenges Arising from Digitalisation – Report on Pillar One Blue-
print, 2020, 123. Secondo alcune letture, il numero sarebbe addirittura limitato a un centi-
naio: cfr. BEPS Monitoring Group (coordinato da Picciotto S.), Statement on a Two-Pillar
Solution to Address the Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy, luglio
2021. Ciò senza considerare che, come esattamente ricordato, “the OECD’s reports of 2015
and 2018 under Action 1 of the BEPS project (OECD 2015, OECD 2018) showed cogently
that digitalisation has affected the whole economy and any solution should not be ring-fenced”,
per cui pensare di affrontare le sfide della digitalizzazione dell’economia limitando l’appli-
cazione delle misure a soltanto alcune delle multinazionali operative sul web appare strategia
inadeguata alla radice (A. Cobham, T. Faccio, J. Garcia-Bernardo, P. Janskyı̀, J.M. Kadet, S.
Picciotto, A Practical Proposal to End Corporate Tax Abuse: METR, a Minimum Effective
Tax Rate for Multinationals, Oxford University Working Paper, 2021).
(136) Come pudicamente si esprime OCSE, Tax Challenges Arising from Digitalisation
– Report on Pillar One Blueprint, cit., 199, “the development of the implementation frame-
work for Pillar One is at an earlier stage than other work streams”.
(137) “No one seems happy with the OECD’s pillar 1 ... Its promise of certain outcomes is
a chimera”: cosı̀ Graetz M.J., A Major Simplification of the OECD’s Pillar 1 Proposal, cit.
224. In senso analogo R.S. Avi Yonah, The New International Tax Framework: Evolution or
Revolution?, cit., 4: “it is doubtful that the Pillar One proposal will succeed as the July
statement envisages because countries are unlikely to give up on an established tax instru-
ment”.
582 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

di semplificazione per le piccole imprese, appaiono in realtà come un


estremo tentativo di salvaguardare lo status quo, dando l’impressione di
un clima gattopardesco in cui deve sembrare che tutto cambi affinché
niente cambi davvero (138).
Cionondimeno, non vi è dubbio che l’accoglimento da parte della
comunità internazionale dell’esistenza di un adeguato collegamento del
reddito transnazionale con lo Stato di destinazione vale ad aprire una
prima fessura nella “diga” dei tradizionali criteri di collegamento territo-
riali consolidati fin dal 1928. E, come si sa, da una fessura possono aprirsi,
se e quando le condizioni politiche, economiche e sociali lo consentiranno,
spiragli ben più ampi per mettere in discussione la tenuta complessiva
della “diga” stessa.

6.2. - Il secondo pilastro


Il secondo pilastro della proposta OCSE, approvata dal G20 nel luglio
2021, consiste nell’introduzione di un pacchetto di misure che sono quelle
a cui, più propriamente, si addice il concetto specifico di “global minimum
tax” (139). In sintesi, le prime due misure del pacchetto, costituenti un
sottoinsieme unitariamente indicato come “GloBE” (Global anti-Base Ero-
sion), si traducono, da un lato, nella tassazione in capo all’impresa (con
una imposta aggiuntiva, cd. “top-up tax”) dei redditi delle entità del grup-
po (“Constituent Entities”, CE, comprendenti società e stabili organizza-
zioni) che non scontino un adeguato livello di imposizione indicato come
“Effective Tax Rate”, ETR (secondo un modello in certa misura affine a
quello delle C.F.C. e indicato come “Income Inclusion Rule”, IIR) e, dal-
l’altro lato, nella negazione della deduzione dei componenti reddituali
sostenuti verso società del gruppo che non scontino un adeguato livello
d’imposizione e che non rientrino nell’applicazione dell’IIR (secondo il

(138) A costo di creare quelli che parte della dottrina ha espressivamente definito dei
veri e propri mostri: cfr. M. De Wilde, On the OECD’s ‘Unified Approach’ as Frankenstein’s
Monster and a Dented Shape Sorter, in Intertax, 2020, 48, 9 ss.; M. De Wilde, C. Wisman,
OECD Consultations on the Digital Economy: “Tax Base Reallocation” and “I’ll Tax If You
Don’t”?, cit., 23 ss.
(139) Sul tema cfr., per tutti, P. Pistone, J. Nogueira, B. Andrade, A. Turina, The
OECD Public Consultation Document “Global Anti-Base Erosion (GloBE) Proposal – Pillar
Two”: An Assessment, in Bull. Int. Tax., 2020, 74, 62 ss.; Devereux M., The OECD Global
Anti Base Erosion (Globe), Oxford, 2020; A.P. Dourado, The Global Anti-Base Erosion
Proposal (GloBE) in Pillar II, in Intertax, 2020, 48, 152 ss.; U. Schreiber, Remarks on the
Future Prospects of the OECD/G20 Programme of Work – Profit Allocation (Pillar One) and
Minimum Taxation (Pillar Two), in Bull. Int. Tax., 2020, 74, 338 ss.; K. Ming Ho, C. Turley,
Globe – Overriding the value creation principle as lodestone of international tax rules?, in
Intertax, 12, 2019, 47, 1070 ss.
dottrina 583

sistema della “Undertaxed Payments Rule”, UTPR). Abbandonata dal G20


la proposta di introdurre una nuova specifica “Switch-Over Rule” (SOR),
originariamente ricompresa nella proposta del Secondo Pilastro, l’ulteriore
misura che si accompagna al “GloBE” è la “Subject to Tax Rule”, STTR, in
base alla quale lo Stato della fonte è abilitato ad applicare una ritenuta sui
pagamenti effettuati dalla società in esso stabilito verso altre società del
gruppo stabilite in Paesi a bassa fiscalità.
Al di là della “zuppa d’alfabeto” (140) e della estrema complessità tec-
nica cui danno vita, che renderà probabile il rinvenimento da parte delle
multinazionali di meccanismi per eluderle (141), e al di là del livello parti-
colarmente basso che assume la ETR, avendo il G20 concordato che è
sufficiente un’imposizione sul reddito d’impresa pari al 15%, tutte le
misure suddette presuppongono la permanente centralità del binomio
“residenza – stabile organizzazione”. Come esattamente rilevato, anzi, l’e-
ventuale futura riallocazione della potestà impositiva verso i Paesi del
mercato ridurrebbe di molto fin quasi ad azzerare il senso della “global
minimum tax” (142).
Alla base della IIR, invero, sta il principio di “tassare da qualche parte,
purché si tassi”, indipendentemente da ogni considerazione di equità di
distribuzione del gettito tra Paesi (143): difatti, la “top-up tax” in cui si
sostanzia l’IIR verrà applicata tendenzialmente nel Paese di residenza del-

(140) Per riprende l’efficace espressione (“alphabet soup”) utilizzata da D. Shaviro,


Fixing US International Taxation, Oxford, 2014, 24 per descrivere la generale tendenza
all’abuso degli acronimi nel diritto internazionale tributario.
(141) Sul tema cfr. J. Hey, The 2020 Pillar Two Blueprint: What Can the GloBE Income
Inclusion Rule Do That CFC Legislation Can’t Do?, in Intertax, 2021, 49, 13; S. Picciotto,
J.M. Kadet, A. Cobham, T. Faccio, J. Garcia-Bernardo, P. Janskyı̀, For a Better GLOBE: A
Minimum Effective Tax Rate For Multinationals, in Tax Notes Int., 2021, 101, 863 ss.; BEPS
Monitoring Group (coordinato da Picciotto S.), Statement on a Two-Pillar Solution to
Address the Tax Challenges Arising from the Digitalisation of the Economy, cit.; B.J. Arnold,
The evolution of controlled foreign corporations rules and beyond, in Bull. Int. Tax., 2019, 73,
631 ss.; J. Lammers, The dark side of pillar 2, in Tax Notes Federal, 2020, 169, 1491.
(142) J. Englisch, J. Becker, International Effective Minimum Taxation – The GloBE
proposal, cit., par. 7: “An eventual future reallocation of taxing rights towards the market
jurisdiction, i.e. the country where customers or users are resident, should reduce the scope of
application of the international minimum tax. As long as such a reform does not fundamental-
ly alter the tectonics of the international taxation of business profits, however, the internatio-
nal minimum tax remains a promising tool of international tax reform to address some of the
deficiencies and excesses of the current system”.
(143) F. De Lillo, Introducing Pillar Two: Towards a Global Minimum Effective Tax
Rate, in A. Perdelwitz, A. Turina, Global Minimum Taxation? An Analysis of the Global
Anti-Base Erosion Initiative, cit., 28; V. Agianni, R. Offermanns, M. Schellekens, The Inco-
me Inclusion Rule, ibid., 96; L. Parada, Taxing somewhere, no matter where: what is the
globe proposal really about, in MNE tax, 2 settembre 2020; A. Fedan, Case Study Analysis of
584 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

l’impresa capogruppo (“Ultimate Parent Entity”, UPE) (144), qualunque


esso sia, a meno che essa non sia a sua volta collocata in un Paese a fiscalità
privilegiata, nel qual caso si percorre in discesa la “piramide” di gruppo
secondo il cd. “top-down approach” finché non si rinviene una entità del
gruppo localizzata in un Paese che rispetti il livello adeguato di fiscali-
tà (145). Analogamente, il calcolo dell’imponibile imputabile alle varie en-
tità del gruppo (società controllate o stabili organizzazioni), necessario al
fine di calcolare il livello d’imposizione subito nei vari Paesi e, quindi, a
verificare il rispetto o meno dell’“Effective Tax Rate”, è previsto avvenire
secondo i criteri tradizionali recepiti nelle attuali convenzioni contro le
doppie imposizioni (146).
Considerazioni analoghe valgono per la misura, complementare, dalla
UTPR. Abbandonata, infatti, l’idea originaria di attuarla mediante il siste-
ma delle ritenute (147), essa ha assunto un carattere meramente ancillare e
complementare rispetto alla IIR (148).
Mentre le precedenti misure si collegano specificamente al versante
della residenza, la “Subject to Tax Rule”, STTR si collega più direttamente
al criterio della stabile organizzazione (149), ma conferisce comunque pre-
valenza al livello di tassazione applicato dal Paese di residenza (150) e, in
ogni caso e al di là dei rigidi limiti applicativi in cui essa è destinata a

the OECD Pillar One and Pillar Two Allocations to Developing Countries, in Bull. Int. Tax.,
2021, 75, 8.
(144) V. Agianni, R. Offermanns, M. Schellekens, op. cit., 55; T. Morales, O. Popa, The
Undertaxed Payments Rule, in A. Perdelwitz, A. Turina, op. cit., 135-136; B. Andrade
Rodrı́guez, L. Nouel, Interaction of Pillar Two with Tax Treaties, ibid., 247; R.S. Avi Yonah,
The New International Tax Framework: Evolution or Revolution?, cit., 4 (“the Pillar Two
proposal is quite complex and possibly flawed since it accords primacy to the country of
residence”).
(145) V. Agianni, R. Offermanns, M. Schellekens, op. cit., 74-75.
(146) V. Agianni, R. Offermanns, M. Schellekens, op. cit., 67.
(147) T. Morales, O. Popa, op. cit., 137-138.
(148) T. Morales, O. Popa, op. cit., 136, 165. Si conferma, cosı̀, che in definitiva anche
la UTPR finisce per privilegiare i Paesi di residenza: T. Morales, O. Popa, op. cit., 136; B.
Andrade Rodrı́guez, L. Nouel, op. cit., 247.
(149) Sul tema cfr., specificamente, A. Dolezel, C. Höchtl, Paragr. 14KStG, Bestriebs-
stätten und Subject-to-Tax Klauseln nach Pillar Two der OECD, in Steuer und Wirtschaft
International, 2019, 29, 589 ss.
(150) M. Alvarado, R. Offermanns, op. cit., 167, 169, specie nota 8, 198; B. Andrade
Rodrı́guez, L. Nouel, op. cit., 248; J.F. Pinto Nogueira, A. Turina, Pillar Two and EU Law,
in A. Perdelwitz, A. Turina, op. cit., 283 nota 3; F. De Lillo, The implementation of Pillar
Two, ibid., 412: P. Pistone, A. Turina, The Way Ahead: Policy Consistency and Sustainability
of the GloBE proposal, ibid., 420, 421 note 24 e 25; P. Pistone, Diritto tributario interna-
zionale, Torino, 2021, 40.
dottrina 585

operare (151), rimane organicamente inserita nell’ambito dei criteri tradi-


zionali fondati sul binomio “residenza – stabile organizzazione”.
Diversamente dal Primo Pilastro, che affronta il problema dell’appro-
priatezza dei criteri di collegamento del reddito transazionale, pur offren-
do soluzioni inadeguate, il sistema disegnato dal Secondo Pilastro è essen-
zialmente disinteressato a esso e, pertanto, si manifesta strutturalmente
inidoneo a soddisfare le esigenze esposte nei precedenti paragrafi: anzi,
esso porrà anche problemi di coordinamento sotto questo profilo con lo
stesso Primo Pilastro (152). Il Secondo Pilastro, in poche parole e ancor più
del Primo Pilastro, sembra dar vita a un ennesimo tentativo di aggiusta-
mento del secolare acquis del diritto internazionale tributario, radicato nel
rapporto della Lega delle Nazioni del 1928 (153), venendo a costituire un
estremo tentativo di conservazione della situazione preesistente, in cui i
difensori di essa si sono visti costretti a effettuare alcune “concessioni” a
fronte del dilagare delle criticità, evidenziate nel precedente par. 3, e,
soprattutto, della crescente percezione sociale a livello globale delle ini-
quità cui il sistema in essere sta dando corso (154).

(151) A cominciare da quella relativa all’essere l’operazione avvenuta tra parti correlate.
Cfr., sul tema, M. Alvarado, R. Offermanns, op. cit., 178 ss.; B. Andrade Rodrı́guez, L.
Nouel, op. cit., 248.
(152) P. Pistone, A. Turina, op. ult. cit., 421; J. Englisch, J. Becker, International
Effective Minimum Taxation – The GloBE proposal, cit., par. 4.
(153) Come sintetizzato da R.S. Avi-Yonah, The New International Tax Framework:
Evolution or Revolution?, cit., 5: “Pillars One and Two ... both build on the past. In fact, the
Single Tax Principle can be traced back to the origins of the international tax regime in the
early 20th century”. A.P. Dourado, The OECD Unified Approach and the New International
Tax System: A Half-Way Solution, in Intertax, 48, 3 ss. definisce il sistema delineato dai due
Pilastri, e successivamente approvato con alcune modifiche da G7 e G20, come una riforma
lasciata a metà. Più in generale in tema BEPS cfr. A. Contrino, Brevi osservazioni sulla
(in)efficacia delle attuali azioni di contrasto alle politiche fiscali di delocalizzazione del reddi-
to, in Bocconi Legal Papers, 2016, 8; Id., BEPS: Is International Tax Planning Over?, in Tax
Notes Int., 2014, 841 ss.
(154) Come osservato da M.J. Graetz, Bringing International Tax Policy into the 21st
Century, cit., 315, “tax avoidance by multinational companies has come to be seen by the
public in the U.S. and throughout Europe as a prime symptom of the unfairness of today’s
global and technologically sophisticated economy. As one key Australian tax official has put it,
multinational tax avoidance has become a topic of barbeque conversations. It is perceived as an
important symptom of a global economy gone wrong”. Sul tema cfr., ampiamente, C. Peters,
On the Legitimacy of International Tax Law, cit., il quale evidenzia che la percezione sociale
dell’inadeguatezza dell’attuale sistema di imposizione delle multinazionali, per esempio in
materia di doppia non imposizione, è una delle principali dimostrazioni della necessità di
accrescere il livello di legittimazione del sistema del diritto internazionale tributario nel suo
complesso.
586 diritto e pratica tributaria internazionale n. 2/2022

7. - Conclusioni
Giungono momenti, nella storia, in cui il cambiamento dello status quo
risulta inevitabile, per ragioni assiologiche, per ragioni sociali, per ragioni
economiche, per ragioni politiche.
Per la tassazione del reddito transnazionale, quel momento sembra
davvero esser giunto.
A quasi cento anni dalla sua ideazione, in questo ambito il binomio
“residenza – stabile organizzazione” non risponde più in modo adeguato
ai valori di equità distributiva internazionale, privilegiando in modo eccessivo
i Paesi più ricchi a danno dei Paesi in via di sviluppo; dando vita ad ampie
sacche di elusione da parte delle multinazionali, non risponde più in modo
adeguato alla percezione di giustizia fiscale che le moderne società hanno
acquisito; dando vita a pianificazioni fiscali aggressive da parte delle imprese,
non risponde più in modo adeguato alle esigenze di gettito degli Stati; dando
vita a una concorrenza fiscale spietata tra Stati, non risponde più in modo
adeguato alle esigenze di tutela della sovranità popolare degli Stati stessi.
In altre parole, il binomio “residenza – stabile organizzazione” è ormai
giunto al tramonto, come al tramonto sono giunte innumerevoli realtà che
in quello stesso 1928 furono ideate o si realizzavano, dai cortometraggi
muti agli imperi coloniali.
Il fatto che tale binomio sia giunto al tramonto non vuol dire, natural-
mente, che esso sia destinato alla scomparsa: salvi casi eccezionali, il diritto,
come la storia, è fatto di stratificazioni, non di improvvise cesure. Anche dopo
il tramonto, questo binomio potrà continuare ad avere una forma di rilievo in
materia di imposizione del reddito transnazionale, ad esempio nel senso indi-
cato di centro di concentrazione degli adempimenti strumentali o di criterio
residuale: ma si tratterà, come avviene per una “luna” sorta dopo il tramonto,
di una luce riflessa, mentre il “sole” cui guardare come allo “zenit” dei criteri
di collegamento del reddito transnazionale si dirigerà verso nuovi orizzonti,
come in particolare quelli della destinazione e del mercato sopra tratteggiati.
In questi passaggi di svolta della storia del diritto e, nel caso di specie,
del diritto internazionale tributario, fondamentale è il ruolo di guida che i
giuristi possono e devono svolgere sulle istituzioni. Più che l’economista o
il tecnico, è il giurista “l’ultimo anello di una catena bimillenaria di tradi-
zioni culturali, quale percettore di valori universali e altresı` capace di tradurli
in regole, il personaggio cui può essere confidato l’ufficio impegnativissimo di
tessere quella rete di cui abbiamo bisogno” (155). Ciò in quanto, “nel pro-

(155) P. Grossi, La formazione del giurista e l’esigenza di un odierno ripensamento


metodologico, in Quaderni Fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 2003,
32, 52-53.
dottrina 587

cesso accelerato dello sviluppo, si moltiplicano le possibilità e si rendono


attuabili i sogni più avveniristici. Ma per ciò stesso il ventaglio delle scelte
si amplifica a dismisura e diventa sempre più arduo stabilire i fini da perse-
guire” (156): ed è proprio compito del giurista, in quanto “esperto della
ragionevolezza, per non dire della giustizia, sociale” (157), conoscere e valu-
tare “non soltanto i mezzi e la loro efficacia, ma anche e soprattutto i fini e il
loro valore” (158), in modo tale da realizzare “quell’equilibrio tra durata ed
evoluzione ... [, tra] conservazione e innovazione, ... che è proprio di un
diritto vivente” (159).
Il contributo dei giuristi può e deve quindi essere fondamentale anche
nel campo del diritto tributario internazionale, per fornire quel sostrato
assiologico che costituisce il vero valore aggiunto da apportare alla società
in trasformazione.
È anzitutto il giurista che può e deve fornire quello sprone, “tormen-
toso ma stimolante” (160), per affrontare le sfide che ogni fase di cambia-
mento pone senza essere remorati dalla tentazione sistematica di dirigersi
verso la proposizione delle soluzioni più conservative, anche se meno
giuste, e per superare l’inveterato scetticismo sulla possibilità di raggiun-
gere il consenso politico necessario per tradurre in regole quelle che, nel
rispetto del pluralismo delle idee, si ritengano più giuste, ancorché più
audaci. In realtà, come esattamente è stato scritto, “che cosa vi è di facile –
fuorché il subire passivamente gli eventi – nell’avventura in cui l’uomo è
gettato?” (161).
Riprendendo un’espressione degli antichi, “iuris professores per orbem
terrarum facit [scientia iuris] solemniter principari” (162). Anche per il di-
ritto internazionale tributario è giunta l’ora che ciò si realizzi pienamente.

FRANCESCO FARRI

(156) S. Cotta, Il giurista e la società in trasformazione, in Jus, 1967, 25.


(157) S. Cotta, Il compito del giurista nell’ora presente, in Iustitia, 1966, 171.
(158) S. Cotta, Il giurista e la società in trasformazione, cit., 25.
(159) S. Cotta, Il compito del giurista nell’ora presente, cit., 171 e 181.
(160) Per riprendere le parole che, pur in una lettura orientata essenzialmente alla
prospettiva de iure condito, utilizza P. Calamandrei, La certezza del diritto e le responsabilità
della dottrina, in Riv. dir. comm., 1942, I, 353.
(161) S. Cotta, Il giurista e la società in trasformazione, cit., 25. Sul piano dell’economia
e fiscalità internazionale, cfr. già A. Fantozzi, E. Narduzzi, Il mercato globale, Milano, 1997,
146, ove si invita il giurista ad “avere sempre il coraggio di cercare soluzioni nuove e di non
accontentarsi di quanto, anche se sicuramente importante, già ottenuto”.
(162) Cosı̀ il frammento di Azzone da Bologna, databile fra il 1208 e il 1210, riportato
in Summa Institutionum, Pavia, 1506, Prohemium.

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