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19.5 – LA SVOLTA CON LO SCOPPIO DELLA PANDEMIA: IL NGEU – La risposta allo shock
pandemico del 2020 è stata immediata con un rapporto deficit/Pil aumentato, per tutta l’Eurozona (ad
eccezione di Germania e pochi altri), rispetto all’anno precedente la pandemia in cui si era raggiunto quasi il
pareggio di bilancio, ma inferiore rispetto ai disavanzi di tre paesi extra-UE come Stati Uniti, Giappone e
Regno Unito. Stesso discorso anche per il rapporto debito/Pil con aumenti considerevoli (ovviamente con
differenze tra paesi dell’area euro) ma inferiori rispetto ai già menzionati paesi extra-UE. Il deterioramento
delle finanze pubbliche è stato il risultato di misure di politica monetaria espansiva. I governi nazionali, ma
anche l’UE nel suo complesso, questa volta hanno agito abbastanza velocemente dopo lo shock pandemico.
- INIZIO FOCUS su DEFICIT/PIL e DEBITO/PIL (differenze) - Deficit pubblico significa la differenza negativa
tra le entrate e le uscite di uno Stato che si genera in un anno. Si tratta di un disavanzo primario, misurato
al netto degli interessi che quello stesso Paese sostiene per finanziare il proprio debito pubblico. Questo
deficit è calcolato in rapporto al PIL (la misura del valore di tutte le merci ed i servizi finali di nuova
produzione all’interno dei confini di un paese in un anno) in modo da definire la possibilità di ripagare il
debito accumulato. Così facendo la misura è in grado di ignorare il processo inflativo. Il Pil non è mai
sufficiente quindi si ricorre al debito per finanziarie il proprio deficit (disavanzo). Il debito pubblico, invece,
indica l'ammontare complessivo del debito che uno Stato contrae (o ha già contratto) con soggetti pubblici
e privati, nazionali o esteri per far fronte al proprio fabbisogno. Lo strumento finanziario più utilizzato per
raccogliere denaro è l’emissione di Titoli di Stato. Appare evidente che, nonostante siano spesso
(erroneamente) utilizzati come due sinonimi, i termini deficit e debito pubblico indicano due concetti
distinti. N.B: È importante sottolineare che, per calcolare le uscite di uno Stato, si considera, oltre alla spesa
pubblica, anche l’interesse sul debito: ovvero l’importo totale che lo Stato deve corrispondere a titolo di
interesse, nell'arco di un singolo esercizio finanziario, ai soggetti con cui ha contratto il debito. Nel caso
dell’Italia a sbilanciare i conti verso il segno negativo è proprio l’ammontare dell’interesse sul debito:
considerando solo la spesa pubblica, messa a confronto con il totale delle entrate, il bilancio dello Stato
sarebbe infatti in attivo (avanzo primario). FINE FOCUS – Per quanto riguarda la politica di bilancio già nel
marzo del 2020 sono state sospese le regole del Patto di Stabilità e Crescita come pure le norme sugli aiuti
di Stato. Inoltre, la Commissione ha utilizzato subito fondi a propria disposizione con un pacchetto di
quattro misure. 1) presiti per un ammontare pari a 100 mld a sostengo dei sistemi nazionali di
ammortizzatori sociali (Sure). 2) prestiti a sostegno delle piccole e medie imprese per 200 mld a mezzo
interventi della Banca europea degli investimenti (Bei). 3) una linea “pandemica” del fondo Mes per 240
mld finalizzata a concedere prestiti a tassi agevolati per le spese nazionali di tipo sanitario. 4) il Next
Generation UE (NGEU) per un valore complessivo di 750 mld. Proprio il Next Generation EU (NGEU)
rappresenta il piano più importante, non solo per il suo aspetto quantitativo ma anche qualitativo quale
tappa fondamentale per il processo di integrazione. Nella sua versione finale è stato fissato l’importo
potenziale, come già detto pari a 750 Mld, ripartito in sussidi a fondo perduto e prestiti a bassissimo tasso
rimborsabili in 30 anni; ha una durata di 6 anni (dal 2021 al 2026). Lo strumento principale attraverso il
quale opera il piano è l’RRF “Recovery and Resilience Facility”; altri strumenti minori sono previsti, il
principale tra i secondi è il React-UE. Per quanto riguarda l’allocazione delle risorse tra i paesi, i principali
beneficiari sono l’Italia (con 191,5 mld dalla RRF e oltre 13,5 mld dal React-UE) seguita dalla Spagna in
seconda posizione, Francia, Polonia e paesi est-europei (la Germania è sottorappresentata tenuto conto
delle sue condizioni demografiche ed economiche). Per quanto riguarda la tipologia di spesa c’è abbastanza
discrezionalità nelle scelte dei paesi ma con vincoli del 37% per la green economy e il 20% per l’economia
digitale. Il NGEU è stato considerato una tappa cruciale lungo il cammino dell’integrazione non solo perché
si è deciso di ripartire i fondi in base alle necessità dei singoli paesi ma soprattutto perché prevede, per la
prima volta, l’emissione di debito comune. Inoltre, per rimborsare questo debito, è prevista anche
l’introduzione di nuove imposte sulle emissioni di CO2, sulla plastica, sulle società multinazionali e altro. Le
risorse sono elargite sotto una specifica condizionalità: controlli ex-ante, in itinere ed ex-post
sull’allocazione delle risorse decise dai singoli paesi e sui progetti di investimento. Innanzitutto, per
accedere al fondo Next Generation EU, i paesi hanno dovuto presentare entro aprile 2021 i “Piani nazionali
di ripresa e resilienza” (PNRR) definendo un pacchetto coerente di riforme e investimenti per il periodo
2021-2026, dettagliando i progetti e le misure previste finalizzate alla modernizzazione del paese, nonché la
calendarizzazione degli interventi. Il PNRR italiano è articolato in sei missioni che riguardano: M1)
Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo. M2) Rivoluzione verde e trasformazione
ecologica. M3) Infrastrutture per una mobilità sostenibile. M4) Istruzione e ricerca. M5) Inclusione e
coesione. M6) Salute. Come già detto si compone principalmente di RRF (per 191,5 mld) ma raggiunge i 235
mld se si includono anche gli altri fondi. Con l’approvazione del nostro PNRR da parte del Consiglio Europeo
(13 luglio 2021) sono state definite 527 condizioni distribuite nel tempo fino al 2026, suddivise in 213
traguardi qualitativi (“millestones”) e 314 obiettivi quantitativi (“targets”) da rispettare nella tempistica
prevista per ottenere l’erogazione delle rate semestrali. Per il 2022 dovranno essere rispettate 100
condizioni (di cui 83 traguardi e 17 obiettivi) inclusa l’approvazione di un nuovo codice dei contratti
pubblici, la riforma sulla legge sulla concorrenza e quella sull’istruzione primaria e secondaria. L’attuazione
del PNRR dovrebbe portare ad un buon aumento del Pil nei prossimi anni ma il problema di fondo per
l’Italia non è solo realizzare una buona ripresa ma elevare la tendenza di crescita di lungo periodo rispetto a
quello tendenzialmente nullo dell’ultimo ventennio. Per quanto riguarda l’UE il rischio da evitare è quello
che si torni all’assetto pre-shock pandemico. Per la politica monetaria, un graduale abbandono delle
politiche ultra-espansive è forse reso inevitabile dal riaccendersi dell’inflazione, ma la Bce non può certo
abbandonare l’obiettivo della sostenibilità dei debiti pubblici nazionali e la stabilità finanziaria. In tema di
politica fiscale, bisogna evitare che si torni ai vincoli precedenti del Patto di Stabilità e Crescita, come già
chiedono i paesi “frugali” (paesi molti piccoli con poco peso come Olanda, Austria, Danimarca, Svezia, con
Finlandia e Repubbliche baltiche a supporto in posizione leggermente più defilata). Il processo di riforma
del PSC dovrebbe concludersi entro la fine del 2022 e una qualche forma di golden rule (ossia la possibilità
di effettuare in disavanzo almeno gli investimenti pubblici che, se produttivi, creano nel tempo il loro
finanziamento) parrebbe fattibile, così come sembrerebbe fattibile il superamento dell’obiettivo di medio
termine basato sul controverso e poco robusto calcolo sul deficit strutturale (il deficit strutturale è la
componente del deficit pubblico che ha a che fare con le decisioni assunte da responsabili e dirigenti o
dovute a situazioni strutturali e normali della vita economica quotidiana; in altre parole, non è legato a
fattori ciclici nella vita economica o a spese straordinarie) e dell’output gap (indica la distanza tra prodotto
interno lordo effettivo e potenziale; dunque rappresenta la differenza tra l''economia reale, la crescita, e le
sue stime). Mentre appare molto improbabile che non si ribadisca la necessità di una dinamica decrescente
del rapporto debito/Pil per i paesi più indebitati. L’auspicio è che l’emissione di debito comune, avviata con
l’NGEU, non resti un episodio isolato ma sia seguito da altri interventi. Alcune riforme istituzionali nella
governance della UE sono auspicabili, a cominciare dal superamento del voto unanime del Consiglio
europeo, anche se è vero che alcune riforme sono complesse sul piano giuridico perché richiedono la
modifica dei Trattati. Di sicuro le politiche più espansive attuate dal 2020 hanno stimolato la crescita anche
nei paesi dove era stata sempre debole e, migliorando il quadro economico-sociale attraverso una
diminuzione della disoccupazione e degli indici di povertà, si riuscirebbe forse ad intaccare anche quel
sentimento anti UE ed antieuro che si era diffuso in molti paesi con i movimenti sovranisti. In questo modo,
un po’ alla volta, potrebbe diventare più realistico quel processo di riforma radicale nella governance e
nelle politiche europee. Un processo che non deve essere imposto dall’alto ma deve nascere all’interno,
rendendo partecipi i cittadini, i gruppi sociali e il mondo civile e conquistando un crescente supporto che
favorisca l’integrazione europea e contrasti l’attuale disaffezione dei cittadini europei. Lo scenario
alternativo sarebbe un “tirare a campare” con il rischio che si arrivi all’implosione dell’euro e all’involuzione
del processo di integrazione con conseguenze drammatiche sul piano economico, sociale e politico.
Un’Europa disunita tenderebbe ad essere schiacciata da Stati Uniti, Cina, Russia e in futuro da India e paesi
emergenti; il destino dei singoli paesi europei (Germania e Francia inclusi) sarebbe di un progressivo declino
economico (e non solo). Un’UE più integrata potrebbe contribuire sia ad allentare le tensioni tra Stati Uniti,
Russia e Cina che nel favorire uno sviluppo sostenibile (in termini economici, sociali e ambientali) e più
attento alle libertà personali e democratiche nonché all’equità delle opportunità e alla giustizia sociale.