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Debito sovrano estero, tutela dei diritti umani e salvaguardia degli

interessi essenziali dello Stato debitore- Mauro

La gestione del debito sovrano


La crisi finanziaria globale ha acutizzato il problema del debito sovrano estero per numerosi
stati, che ha continuato a crescere.
Il quadro giuridico internazionale riguardante la ristrutturazione del debito sovrano appare
carente a causa di due fattori:
1. assenza di un sistema unitario di gestione e soluzione della crisi del debito
2. tutela dei diritti umani delle popolazioni direttamente interessate
Infatti, se da una parte, lo Stato debitore è tenuto ad adempiere i propri impegni finanziari
nei confronti dei creditori; dall'altra, tale adempimento ha un impatto negativo sulla collettività
dello Stato, sia perché parte della ricchezza nazionale viene trasferito a soggetti estranei, sia
in quanto la necessità di una ristrutturazione del debito potrebbe incidere sul godimento dei
diritti umani della popolazione. La crisi del debito può frustrare le prospettive di sviluppo, sia
economico sia sociale, di un paese.
In passato le crisi del debito esponevano lo Stato debitore a rischio gli interventi esterni, dal
momento che gli altri stati potevano richiedere al primo l'adempimento dei propri impegni
finanziari anche tramite l'uso della forza bellica.
Il caso più noto è rappresentato dall’intervento militare della Francia, della Gran Bretagna e
dell'Italia, nel 1902-1903, contro il Venezuela che aveva sospeso il pagamento del proprio
debito estero. L'allora ministro degli esteri argentino Drago formulò la celebre dottrina, che
porta il suo nome, secondo cui un paese non può ricorrere all'uso della forza per costringere
un altro Stato a onorare i debiti contratti. La dottrina Drago ha poi ispirato la convenzione
Drago- Porter nel 1907.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale il problema della soluzione del debito estero ha
cominciato ad avere una dimensione interna allo Stato debitore stesso. Questo
cambiamento è dovuto a due fattori principali:
1. la Dichiarazione Universale sui Diritti Umani, nel 1948 da parte dell'ONU, secondo
cui lo Stato sovrano è tenuto a tutelare gli interessi di natura civile ed economica
degli individui. A questo si aggiunge il patto internazionale dell'ONU sui diritti
economici, sociali e culturali del 1966.
2. una variazione nelle attività di credito a favore degli Stati e di soluzione delle crisi del
debito sovrano, sia per l'affermarsi di un sistema internazionale di prestito, affidato ad
altri Stati e organizzazioni internazionali, piuttosto che obbligazionisti privati; sia per il
susseguirsi di rinegoziazione del debito estero degli Stati nell'ambito di nuovi fuori,
come il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e il Club di Parigi.
Le crisi di debito tendono a determinare una riduzione del PIL e una contrazione della
crescita economica dello Stato interessato, mettendo in questo modo a rischio il concreto
rispetto dei diritti sociali ed economici fondamentali dell'individuo.

Debito sovrano e tutela dei diritti umani


La concreta attuazione dei diritti umani richiede che vi sia uno Stato in grado di assicurare
almeno un livello minimo di servizi pubblici essenziali, quali istruzione, sanità e sicurezza.
Infatti lo Stato debitore, costretto a impiegare ingenti risorse per poter rimborsare il servizio
di debito, si trova costretto a ridurre al minimo la spesa dedicata a settori essenziali. Inoltre
tale Stato può essere obbligato, su richiesta delle istituzioni finanziarie internazionali (IFI) ad
adottare misure che incidono sui diritti economici e sociali della popolazione, come ad
esempio il blocco dei salari. Dal momento che le misure di austerità possono avere un
impatto sulla tutela dei diritti umani dei cittadini dello Stato debitore, potrebbero rivelarsi
incompatibili con gli obblighi internazionali in materia di diritti umani di cui tale Stato e
destinatario. Le norme della Carta dell'ONU afferma che la tutela dei diritti umani
prevarrebbe, in caso di incompatibilità, su altri obblighi contratti dagli Stati membri.
Viene dunque evidenziato sempre più frequentemente il bisogno di individuare un principio
di proporzionalità cui ispirarsi nel contemperare esigenze di natura diversa. Tale questione è
stata presa in considerazione dal Comitato Europeo dei Diritti Sociali, che si è pronunciato in
relazione alla compatibilità di alcune misure di austerità adottate dalla Grecia tra 2010 e
2011, con gli obblighi derivanti dalla Carta Sociale Europea del 1961. Tali provvedimenti
hanno comportato riforme strutturali del diritto del lavoro e del diritto previdenziale, nel
rispetto delle condizionalità imposte dall'Unione Europea e dal FMI per l'erogazione di
prestiti a sostegno del debito pubblico.
In aggiunta va valutato se si possa sostenere l'esistenza di una responsabilità delle
organizzazioni internazionali, derivante da una violazione delle norme internazionali sui diritti
umani, a causa delle conditionalities da esse richieste allo Stato debitore. Infatti la
ristrutturazione del debito sovrano implica, di solito, la negoziazione di un pacchetto di
misure che include l'erogazione di prestiti da parte delle IFI (Istituzioni finanziarie
internazionali) subordinatamente a specifiche condizionalità e l'attuazione di programmi di
aggiustamento strutturale. Le condizionalità sono specifiche politiche economiche e sociali,
come la privatizzazione di imprese o servizi pubblici, che potrebbero incidere in modo
favorevole sulla vita dei cittadini e hanno a lungo termine un effetto negativo sull'attuazione
dei diritti umani. Perciò le misure imposte agli stati debitori possono incidere sul rispetto dei
diritti umani nello Stato debitore, aumentando talvolta le ineguaglianze sociali.
Le organizzazioni internazionali sarebbero quantomeno obbligate a non frustrare i tentativi
degli Stati di rispettare i propri obblighi in materia di diritti.
Il FMI e la BM furono invitati dalla Commissione sui Diritti Umani dell'ONU a prendere parte
alla stesura del patto sui diritti economici, sociali e culturali, rifiutandosi però di partecipare in
quanto i diritti umani non rientravano nel loro mandato. Essi hanno infatti fatto appello alla
neutralità politica, d'altronde in nessuna occasione le IFI sono state ritenute responsabili, sul
piano internazionale, per eventuali violazioni dei diritti umani derivati dalla loro attività di
assistenza finanziaria.
I diritti, il cui rispetto può essere maggiormente compromesso da crisi del debito sovrano,
sono quelli di carattere economico-sociali. Essi sono sempre stati ritenuti quelli più
problematici in quanto l'effettiva attuazione di questi diritti dipende dalle condizioni di
sviluppo delle diverse società statuali, si caratterizzano infatti per un’attuazione progressiva
che dipende dalle risorse dello Stato. Vengono messi a rischio nel momento in cui lo Stato
potrebbe destinare le sue risorse al pagamento del debito piuttosto che alla realizzazione di
tali diritti. I diritti che rischiano di essere limitati sono: quella al lavoro, alla sicurezza sociale,
a un livello di vita adeguato, alle migliori condizioni di salute fisica e mentale e all'istruzione.
Ogni Stato deve infatti impegnarsi a garantire degli standard minimi, che non possono
essere compromessi. Il consiglio sui diritti umani dell'ONU ha espresso l'esigenza di
nominare un esperto indipendente, incaricato di formulare apposite linee guida per gli Stati,
le IFI e le istituzioni private. Nel 2012 sono stati elaborati dall'esperto Chepas Lumina e
adottati poi dal Consiglio sui Diritti Umani, i Guiding Principles On Foreign Debt and Human
Rights; che pur non avendo un valore giuridicamente vincolante, hanno grande rilevanza
poiché confermano la necessità di valutare le relazioni tra diritti umani e programmi di
austerity.

Circostanze che consentono allo Stato la sospensione del pagamento del debito estero
Sul piano internazionale sono stati previsti diversi strumenti per la gestione del debito
sovrano estero e sviluppate specifiche iniziative volte ad alleggerire l'onere.
Tuttavia per molti paesi tale fardello è diventato ormai insopportabile, costituendo un serio
ostacolo a qualsiasi possibilità di crescita economica. Lo Stato che non adempie ai propri
impegni finanziari è responsabile sia sul piano interno sia su quello internazionale. Il diritto
internazionale contempla alcune cause di esclusione dell'illecito che, pur non estinguendo
l'obbligazione di cui un determinato Stato è destinatario, ne giustificano l'inadempimento
fintanto che la condizione sussiste.
Invero più volte gli stati debitori hanno fatto appello al concetto di Stato di emergenza o a
quello di necessità.
Occorre chiedersi dunque se uno Stato possa legittimamente sospendere il pagamento del
debito, quando venga a trovarsi in una situazione economica particolarmente grave.
Secondo alcuni autori l'impossibilità di adempiere andrebbe valutata sulla base di parametri
più flessibili. A tale proposito si è osservato che lo scopo principale per uno Stato è proprio
quello di assicurare l'espletamento delle funzioni che gli competono, obiettivo che risulta
essere predominanti rispetto all'adempimento di impegni finanziari. Secondo tale
impostazione se uno Stato versa in condizioni economiche drammatiche dovrà stabilire una
gerarchia tra gli obblighi di cui al destinatario, e andrà valutata la capacity to pay dello Stato
debitore. Peraltro secondo la giurisprudenza internazionale risulta che, per giustificare
l'inadempienza dello Stato, occorre che sia in pericolo l'esistenza stessa di tale Stato.
Occorre dimostrare inoltre che lo Stato in default non abbia contribuito con il suo
comportamento a creare la situazione di necessità. Ciò ha limitato molte volte la possibilità
di invocare la situazione di necessità, in quanto il default di frequente è determinato anche
dalle decisioni errate dello Stato interessato. Vi sono anche altri aspetti, come ad esempio il
fatto che il principio dello Stato di necessità non si applica nei rapporti tra stati e privati
stranieri. Invero molto difficilmente si riesce a dimostrare l'esistenza dello Stato di necessità
e a farla valere on riferimento al debito estero.

Le iniziative per una gestione più equa ed efficace delle crisi del debito estero degli Stati
all'esigenza di un Right Based Approach
La complessità del problema della gestione del debito sovrano sul piano internazionale è
dovuta alla difficoltà di contemperare le esigenze e gli interessi diversi dei vari attori
coinvolti, ma anche all'incertezza del regime giuridico applicabile e alla frammentarietà del
quadro istituzionale di riferimento.
A partire dagli anni Settanta sono state avanzate proposte volte a sviluppare un sistema
internazionale in grado di gestire meglio problemi correlati al debito sovrano estero e al
default degli Stati. Nel 1979 paesi in via di sviluppo proposero l'istituzione di un foro
internazionale per la ristrutturazione del debito,la International Debt Commission, che
avrebbe dovuto sostituire il Club di Parigi e quello di Londra; tuttavia tale proposta fu
avversata fortemente dagli stati industrializzati e non si riuscì a raggiungere un accordo.
Nel 2002 il FMI ha avanzato ufficialmente la proposta dell'istituzione del Sovereign Debt
Restructuring Mechanism, un meccanismo che avrebbe dovuto consentire la ristrutturazione
del debito dei singoli stati all'interno di un unico comune contesto, attraverso l'adozione di
decisioni a maggioranza che sarebbero state vincolanti per tutti i creditori. Si è ipotizzata poi
l'istituzione dell’ European Crisis resolution mechanism. secondo tale proposta il
meccanismo dovrebbe operare tramite le istituzioni dell'Unione Europea e fondarsi su tre
pilastri:
1. un organismo finanziario, quale il Meccanismo Europeo di Stabilità
2. un organismo economico, ad esempio la Banca Centrale Europea o la Commissione
Europea
3. un organismo giuridico competenze per la soluzione delle controversie, come la
Corte di Giustizia della UE
Nel 2003 il FMI ha abbandonato i disegni di predisposizione di un foro internazionale per la
trattazione del debito estero e si è orientato verso un approccio differente che si limitava a
prevedere un mediator tra le parti in causa.
Tuttavia si sta gradualmente affermando anche l'idea di una corresponsabilità dei creditori e
dei debitori nell'assicurare un finanziamento responsabile ed impedire debiti sovrani
insostenibili. Tale tendenza trova conferma nell'adozione dei Principles On Promoting
Sovereign Lending and borrowing. I principi nascono come come iniziativa promossa
dall’UNCTAD ( United Nations conference on Trade and Development) di predisposizione di
un set di regole sul finanziamento responsabile, a seguito della grave crisi finanziaria globale
del 2008-2009. Ciononostante i principi non hanno natura giuridica vincolante. Essi
prevedono che nel caso in cui uno Stato non sia in grado di ripagare il proprio debito, tutti i
lenders hanno il dovere di agire in buona fede e in maniera cooperativa al fine di
raggiungere un nuovo accordo.

Possibili evoluzioni nella gestione internazionale della crisi del debito sovrano
Lo sviluppo a lungo termine di un paese e il rispetto effettivo dei diritti umani possono
essere gravemente compromessi dall'assenza di un sistema di gestione della crisi del debito
efficace ed equo e di regole giuridiche certe applicabili in tale settore.
Il regime giuridico internazionale applicabile appare incerto, ad esempio non è chiaro se e
quando uno Stato passa invocare lo Stato di necessità. Peraltro nonostante l'impatto
negativo dell'onere del debito estero sui diritti umani, non è Stato attribuito finora grande
peso a tale aspetto nella gestione e nella soluzione della crisi del debito sovrano. Inoltre
occorrerebbe prevedere anche meccanismi di valutazione dell'impatto sui diritti umani dei
piani di ristrutturazione del debito e sui programmi di aggiustamento strutturale, che
dovrebbero consentire la partecipazione, diretta o rappresentativa, degli individui
potenzialmente colpiti dal processo. Ciò inoltre rafforzerebbe la legittimità. Il problema
principale è dovuto all’inesistenza di un organismo internazionale indipendente e
competente, capace di gestire la ristrutturazione del debito. Vi sono state varie proposte di
istituzione di meccanismi, organi amministrativi e tribunali che però sono rimaste inattuate.
Poi sembra essersi diffusa la convinzione che la flessibilità dei meccanismi e delle regole sia
preferibile alla rigidità. Tale fenomeno è dovuto a due aspetti:
1. i creditori sono eterogenei e l'attività creditizia può assumere numerose forme,
potendo coinvolgere sia altri paesi, sia organizzazioni internazionali, sia privati
2. la mancanza di regole giuridiche ha dato vita a una sorta di governance a livello
globale

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