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Perché non può funzionare l’aumento del debito?

Dario Cositore

A seguito dell’assemblea regionale del 25/03/20, il compagno Max ha inoltrato il giorno 27/03/20 due
ipotesi per le ‘politiche economiche di ridistribuzione e di sostegno al reddito dei lavoratori’. La prima
intesa come ‘radicale’ mentre la seconda definita ‘ottemperante’. Tuttavia, ambedue appaiono come
‘ottemperanti’. La prima dal punto di vista particolare, mentre la seconda dal punto di vista generale. Visto
che le regioni, viene detto, sottostanno alla nazione e, a sua volta, quest’ultima è subalterna alla UE, allora
vi è una interdipendenza tra le tre istanze. Tuttavia, sarebbe più opportuno parlare di dipendenza tout
court. Soprattutto alla luce del processo economico, e delle ipotesi messe in discussione.
Le misure previste dal governo è un finanziamento a deficit, cioè debito. Ciò, viene detto,
comporterà l’aumento della spesa di interessi da pagare ai creditori così da convogliare le risorse nelle
loro tasche, anziché spenderle per la ‘giustizia sociale’. Viene affermato che ‘nonostante le autorizzazioni
di spesa siano una tantum ... non è da escludere la riduzione strutturale della spesa’. In breve, se seguissimo
la via tracciata dal governo, ci viene detto da Max, l’interesse verrà potenzialmente pagato con i tagli
pubblici (definiti dal mainstream ‘austerità’ o ‘race to the bottom’). E visto che il trasferimento di valore
dalla forza lavoro al capitale impoverirebbe il primo a favore del secondo, allora la proposta è estendere la
possibilità di debito cosicché la forza lavoro non viene intaccata. Anzi, al contrario ne beneficerebbe, secondo Max,
perché quell’estensione di credito servirebbe proprio alla ‘giustizia sociale’. In altri termini, ciò equivale
non solo a curare gli effetti immediati per farli esplodere ancora più colossalmente nel futuro, ma anche
a conservarne squisitamente le cause.
Secondo Max, ‘alla spesa una tantum ... è necessario introdurre voci di spesa strutturale’. Cioè se
da un lato, viene detto, vi è la possibilità dell’austerità dall’altro, si continua, vi deve essere la necessità del
suo contrario, cioè della ‘giustizia sociale’. E su questa contrapposizione si gioca l’intera logica della
proposta. La proposta di Max è togliere, su base regionale, il pareggio di bilancio (da qui in poi PB), e
quindi rendere possibile l’indebitamento. Detto altrimenti, togliere il PB significherebbe che l’estensione
del debito dovrebbe poter penetrare nelle aree di ‘giustizia sociale’. La proposta, dal punto di vista
formale, sarebbe elidere gli articoli che ne impediscono l’attuazione (quelli della Costituzione modificati
nel 2012). A questa proposta si aggiungono tre ‘blocchi’ (spesa sanitaria convenzionata, ticket sanitari e il
patto per la salute) e la riconversione del principale strumento finanziario europeo, il fondo sociale
europeo (da qui FSE), per il sostengo del reddito dei poveri. Ovverosia, l’applicazione alla lettera del FSE
come strumento finanziario.
Le ipotesi presentate da Max, dicevamo, sono due. La prima prevede il ‘superamento o
quantomeno la sospensione per 3 anni del TFUE’ (ovvero il Trattato sul Funzionamento dell’Unione
Europea). Ma, a parte la formalità dell’espressione di ‘superamento’, non ci viene detto come superarlo,
né cosa lo sostituirebbe. Non fosse altro perché le misure adottate retroagiscono sulla causa da curare
acuendone gli effetti. In breve, le proposte conservano lo stato di cose presenti. La seconda ipotesi,
invece, prevede ‘ambiti di manovra nel rispetto del TFUE’. Ad ognuna di queste ipotesi vi sono agganciate
sette proposte che sono essenzialmente uguali. A parte, formalmente, la numero 2 della prima ipotesi e
la numero 1 della seconda ipotesi, rispettivamente. Sia nella prima che nella seconda proposta la struttura
di classe rimane inalterata. A mio avviso, il compito è acuire le contraddizioni, non stemperarle. La nostra
base, noi stessi, siamo forza lavoro, massa proletaria.
La prima ipotesi prevede un finanziamento di 50 mld di euro dalla BCE concedendo uno scoperto
sul conto corrente di tesoreria (da qui in poi SCCT). Cioè un credito ad interesse. La differenza rispetto
ad un finanziamento ‘normale’ non sarebbe solo la forma dell’erogazione, ma anche quando gli interessi
saranno pagati. Nel primo caso vengono pagati a scadenze fisse (ad esempio come le rate del mutuo)
mentre nel secondo sull’effettivo utilizzo (ecco il perché l’interesse in questo caso sarà maggiore). Di
questo prestito ad interesse, il 40% va all’emergenza coronavirus (quota a cui andrebbe applicato
l’interesse) mentre il 60% alla citata ‘giustizia sociale’. Quest’ultima quota non prevede interessi nella
misura sarebbe in contributo in conto capitale (da qui in poi c/c), presumibilmente a fondo perduto, in
cui deve essere controbilanciata da una garanzia. Ma l’esistenza di un valore che corrisponda al fondo
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perduto mostra che esso è effettivamente un presto ad interesse. Di conseguenza, non è effettivamente
a fondo perduto nella misura in cui è prevista una garanzia. Al prestito di denaro deve corrispondere al
valore di qualcos’altro. È la classica, invalicabile contraddizione della forma del valore capitalistica. La
seconda proposta è l’emissione di titoli ad hoc per limitare, ancora una volta, che gli interessi blocchino le
spese di ‘giustizia sociale’. Cioè ancora una volta vi sarebbe bisogno di debito. Se la BCE compra tali titoli
alla scadenza, prevista come cinquantennale, verrà a battere cassa se per ‘ad hoc’ si è contrattato in c/c
oppure a quote intermedie se ciò che era previsto fosse un SCCT. La terza proposta è ancora l’aumento
del debito coperto, cioè garantito, da un’imposta patrimoniale ‘dello 0.45% sui patrimoni delle persone
fisiche, esclusa la prima casa, con un valore superiore di €200.000’.
Vi ricordo che il fatturato della Exor, controllata dagli Agnelli, per il 2018 era di oltre 166 mld di
euro oppure che il patrimonio netto di Ferrero, Luxottica (Del Vecchio) e Alliance (Pessina) è circa 55
mld. Senza contare che alcune produzioni sono socialmente improduttive e/o distruttive (ad esempio la
produzione di zucchero, cioccolato, armi, carri cingolati, polimeri, ecc.), il problema è evidentemente la
concentrazione privata della produzione sociale. Quella va colpita, quello va mostrato a chi via via si
aggregherà alla militanza. A questo si aggiunge che la patrimoniale non ha senso quando applicata ai
beni che non solo capitale costante (come le case o i conti correnti) nella misura in cui non producono
alcunché. Avremmo un trasferimento delle composizione della ricchezza sociale, ma i nessi causali che la
tengono impiedi come società parassitaria resterebbero.
La quarta proposta è aumentare il debito per garantire la ‘giustizia sociale’, in questo caso il patto
per la salute, i piani di rientro per il debito. Ovvero, l’assorbimento del debito con altro debito. La quinta
proposta prevede modificare il FSE per integrare il reddito dei poveri. La sesta è aumentare le tasse
regionali fintantoché la spesa di queste ultime sia vincolata alla ‘giustizia sociale’. L’ultima proposta è
l’eliminazione dell’equilibrio di bilancio regionale, cioè potersi indebitare.
Infine, Abbiamo detto che l’ipotesi due prevede ‘ambiti di manovra nel rispetto del TFUE’, essa
ha proposte essenzialmente analoghe alla prima ipotesi che non è necessario ripetere. Basta far emergere
l’unica differenza, ovvero la prima proposta della seconda ipotesi. La proposta è l’emissione di titoli ad
hoc, cioè debito, a scadenza trentennale. Il meccanismo resta invariato rispetto alla seconda proposta della
prima ipotesi. La seconda proposta della seconda ipotesi, infatti, prevede l’emissione di titoli ad hoc per
limitare, ancora una volta, che gli interessi blocchino le spese di ‘giustizia sociale’. Cioè sarebbe ancora
una volta ‘bisogno di debito’ che, detto altrimenti, significa indebitare i bisogni dei lavoratori e le massi
proletarie. L’unica differenza sarebbe che la BCE non può comprare (almeno non direttamente) tali titoli.
Tale proposta la ritengo errata dal punto di vista teorico, e non corrispondente con i fatti storici,
con la produzione, con l’economia. Qui mi limiterò a dire il perché economico mentre per una spiegazione
più politica della questione vi allego la mia risposta al compagno Marco Morra (PaP Na) sul tema di
Eurobond e SME, sul quale si pronunciava con posizioni analoghe a quelle di Max. In primo luogo, la
proposta di Max non tiene conto dei tassi di profitto. Tassi che determinano l’andamento dell’economia
capitalistica nella misura in cui veicolano gli investimenti. Questi ultimi iniziano a calare a partire dalla
fine degli anni ’40 (Carchedi 2011, Roberts 2013).

Figura 1: World Rate of Profit in % (Simple means). Source: Roberts (2015)

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Neppure l’immensa distruzione e svalutazione di capitale della seconda guerra mondiale risanò il capitale
dal decomporre la composizione organica a tal punto da attutire i colpi dell’aumento della produttività
sulla produzione di plusvalore. Ecco che lo Stato borghese inizia a gonfiare le spese (debito) e inizia il
processo di globalizzazione del capitale in generale (penetrazione in aree dove la composizione organica
del capitale è bassa o, dal punto di vista inter-imperialistico, penetrazione di merci nei paesi avanzati). Ciò
che per molti appare come boom (1945-1973), è in realtà un collasso. Capitali inattivi (idle capitals secondo
la letteratura Marxista anglofona e francofona come ad esempio Harman e Mandel) iniziano a prevalere
nella sfera della valorizzazione del capitale, cioè nei consumi (anziché nella sfera propriamente produttiva
di plusvalore). La penetrazione delle merci nella sfera dei consumi permette al capitale di assorbire in
parte la sovrapproduzione che non è più solo sovrapproduzione di merci, ma sovrapproduzione di
capitale. Gli permette, cioè, di trasformare in profitto almeno un parte di plusvalore passato (ciò che gli
umanisti conoscono come lavoro passato, lavoro morto o lavoro oggettivato).
Ecco che da qui i debiti iniziano a gonfiarsi. Il Welfare appare come la salvezza delle masse,
quando è invece una misura o, se volete, una controtendenza alla caduta dei profitti. Non solo non era
vero per oltre l’80% della popolazione mondiale, mentre il capitale aveva ancora il proprio dominio
coloniale sul mondo intero, ma neppure in occidente era vero. Lo sviluppo diseguale si è riprodotto anche
nelle sfere più avanzate solo per scoppiare alla fine degli anni ’60. Nell’economia più potente della terra,
gli US, il 20% della popolazione non aveva accesso all’acqua corrente mentre la segregazione di classe
(coperta dal mito della razza), colpiva ovunque in US quanto in Italia (basti ricordare i miglia di
spostamenti dal Sud al Nord o, in generale, fuori dall’Italia). Il sud, ancora una volta, fu il più colpito.
Napoli aveva da pochi decenni superato le piaghe del colera, e si ritrova con problemi dei paesi periferici
con l’aggravante della malnutrizione. Fino alla fine degli anni ’50, al sud, ma soprattutto a Napoli, i
bambini soffrivano di Kwashiorkor.

Perché non può funzionare l’aumento del debito?

Secondo Keynes, la domanda aggregata deve essere aumentata per risolvere il problema della caduta dei
profitti. Cioè, i profitti dipendono dalle spese sia dei lavoratori che dello Stato, se i primi non lo fanno.
Questa ideologia non è solo falsa dal punto di vista teorico, ma non trova alcuna corrispondenza storica.
Le crisi del 1974-1975, del 1980-1982, del 1990-1991, del 2000-2001 o del 2007-2009 non si sarebbero
verificate se il keynesianesimo fosse stato praticamente vero. In realtà, non sono stati preceduti da una
mancanza di domanda aggregata, ma piuttosto da un aumento. L’ideologia alla base di Keynes è il
tentativo di curare le contraddizioni del capitalismo, e in particolare l’ineguaglianza della ricchezza, da un
lato, e garantire la sussistenza della classe media oppressa e proletaria, dall’altro. Stiamo parlando della
ridistribuzione pro-lavoro indotta dallo Stato, cioè un trasferimento di ricchezza dal capitale alla forza
lavoro. Ciò può essere conseguito, ad esempio, attraverso la tassazione progressiva, l'aumento dei sussidi
(sconti, ticket, ecc.) o leggi che aumentano il salario minimo, reddito di cittadinanza, reddito universale o
di quarantena, ecc.
L’effetto sarebbe che il proletariato ha più soldi da spendere cosicché più beni sono venduti. Ciò
potrebbe indurvi a credere che all'aumentare delle vendite hanno generato profitti maggiori rispetto
all'aumento dei costi salariali (cioè che l’economia si stia riprendendo). Quindi con una bacchetta magica
ne trarrebbero beneficio sia il capitale che la forza lavoro e l'economia spicca il volo. Ma questo
ragionamento è valido? Per vederlo basta dividere l'economia in due settori. Da un lato il settore che
produce mezzi di produzione e dall'altro il settore che produce mezzi di sussistenza. Ciò che nella
letteratura marxista è definito come dipartimento I e dipartimento II (Capitale, Vol. III).
Nella migliore delle ipotesi, l'aumento dei salari non viene accumulato, ma speso. Infatti, il salario
non essendo altro che il produzione necessaria del valore prodotto, non è mai risparmio ma sempre
consumo frazionato. Non è forse vero che noi per sopravvivere dobbiamo venderci come forza lavoro?
Il Dipartimento II può vendere i suoi prodotti ai suoi lavoratori, quindi vengono vendute più merci.
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Tuttavia, ha una perdita di profitto a causa dell'aumento dei salari per consentire l'acquisto della merce.
L'importo totale del plusvalore rimane invariato, ma aumenta il costo del capitale variabile (cioè dei salari).
Il tasso di profitto nel dipartimento II diminuisce.
Lo stesso vale per il dipartimento I. I salari più alti nel Dipartimento I significano più spese per il
Dipartimento II. Ciò che guadagna il secondo viene perso dal primo. Il saggio di profitto non cambia in
questo caso perché c'è solo un trasferimento di valore da una parte all'altra. Ma poiché i costi salariali
aumentano sia nel primo che nel secondo, il tasso di profitto crolla. Con l'aumentare dei salari e dei
consumi, il tasso di profitto diminuisce. L'aumento keynesiano della domanda piuttosto che aumentare i
profitti li abbassa. Crea il cosiddetto race to the bottom, cioè non risolve le contraddizioni. Al contrario,
le acuisce aumentando il saggio di sfruttamento (in particolare l’aumento della produzione di plusvalore
assoluto visto che il plusvalore relativo non può essere sfruttato senza che questo non dia colpi di coda
ancora più colossali alla forza lavoro).
Inoltre, se questi aumenti penetrano nei settori non produttivi di plusvalore, accelerano la
formazione di bolle speculative (i paesi avanzati contano circa l'80% del loro PIL su settori improduttivi
di plusvalore, chiamato ‘servizi’). Se il tasso medio di profitto sta diminuendo, i capitalisti tagliano la
produzione nonostante l'aumento della domanda. Anche in questo caso, i nodi vengono al pettine. Il
fondamento di base di tale ideologia, quello dell'equilibrio, mostra tutte le sue contraddizioni.
L'offerta e la domanda non tendono a un certo prezzo dove poi si incontrano. Ma anche se lo
facessero, il calo del saggio medio di profitto (industriale) farebbe saltare in aria l'equilibrio e, se fosse
raggiunto, sarebbe a un tasso medio di profitto decrescente. Ma se il tasso medio di profitto, e quindi
l'accumulo di capitale, non può essere stimolato dalla ridistribuzione statale né dagli investimenti indotti
dallo Stato (indipendentemente dal fatto che sia pagato dal fondo di consumo non produttivo o dagli utili
dal capitale, o se è finanziato con ulteriori pressioni sulla forza lavoro), è possibile farlo con il quantitative
easing, cioè iniettando denaro nell'economia come hanno fatto la Fed e la BCE nell'ultima crisi? Dato che
per la religione keynesiana il problema è la ‘mancanza di una domanda effettiva’ (un problema che in
realtà sorge per la prima volta con il reverendo Malthus), l'introduzione di denaro nel processo di
circolazione colmerebbe il divario.
Come si può supporre che la stampa di denaro produca più valore di quanto sia già presente come
prodotto della forza lavoro? L'introduzione di più pezzi di carta nell'economia non aumenta il valore e il
plusvalore prodotto così come la recitazione di più Ave Maria non ci trasformano in santi. Iniettare più
denaro significa semplicemente aumentare l'immagine, la forma, la rappresentazione del valore, ma il
contenuto rimane invariato. Di conseguenza, l'immissione di più biglietti in circolazione non fa altro che
ridistribuire il valore già prodotto (le aree meno produttive vengono letteralmente saccheggiate). Inoltre,
l'aumento di questi pezzi di carta con un numero di una o due cifre scritto su di essi è presunto come
un'espansione del credito. Ma nonostante la grande quantità "stampata" essa rimane sempre piccola
rispetto alla crescita del credito (vale a dire, debito). Mentre il denaro è aumentato dal 4% nel 1980 all'11%
nel 2011, le forme di credito hanno avuto un aumento esponenziale. Nello stesso periodo il credito è
partito dal 150% per raggiungere oltre il 350%.
Se il denaro rappresenta valore, il credito rappresenta un debito. Nel primo caso c'è un
trasferimento di ricchezza, cioè come abbiamo visto una ridistribuzione di valore e plusvalore. Nel
secondo caso, invece, abbiamo un rinvio del pagamento, e quindi non risolve i problemi della crisi, ma
semplicemente ne ritarda l'avvento. Un avvento della prima condizione, cioè del trasferimento! Visto che
il saggio di profitto basse frenava gli investimenti! Ma questo rinvio piuttosto che una condizione per la
ripresa economica diventa un ostacolo a quest'ultimo.
Le politiche keynesiane che posticipano la crisi, non solo non trovano una soluzione alla ripresa
economica e trascinano con sé aziende piccole e meno produttive 1, ma fermano la distruzione e
l'ammortamento del capitale necessario per questa ripresa. Che, tuttavia, metterebbe in evidenza le stesse
contraddizioni ma a livelli ancora più vertiginosi. Ecco la necessità di ristagno del coronavirus. L'alto
grado di centralizzazione e concentrazione del capitale, infatti, implicherebbe un collasso

1Questa è una delle condizioni del saccheggio da parte delle aziende più produttive le quali hanno un tempo di lavoro medio
socialmente necessario per produrre più basso rispetto a queste ultime, e quindi lucrano sulla differenza.
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proporzionalmente massiccio che comporterebbe il rischio di superare il modo di produzione
capitalistico. Quindi, se il capitale è stato prima un ostacolo a se stesso nella fase ascendente, ora deve
imporsi su se stesso come ostacolo nel processo di declino. Questa protezione che il capitale, la classe
dominante, fa a se stessa mediante il debito deve essere prevenuta, distrutta. Soprattutto perché è pagata
con l'ulteriore sfruttamento della forza lavoro e la distruzione della natura.

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