Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Diritto Della Previdenza Sociale ( Università degli Studi di Bari Aldo Moro)
CAPITOLO PRIMO
L'EVOLUZIONE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
1. Considerazioni preliminari
La materia della previdenza sociale e le stesse fonti che la regolano si caratterizzano per una essenziale
ambiguità, che si spiega in considerazione del fatto che tutte le forme di tutela previdenziale sono state
istituite subito prima e durante l'ordinamento corporativo.
Al momento della loro istituzione tali forme di tutela costituivano espressione di una solidarietà limitata ai
datori di lavoro e ai lavoratori. Ciò non solo imponeva che la tutela previdenziale fosse limitata ai lavoratori
subordinati, ma consentiva anche che tale tutela venisse realizzata attraverso un complesso di rapporti
analoghi a quelli propri delle assicurazioni private. Si riteneva infatti che tra contributi e prestazioni
previdenziali intercorreva una relazione di corrispettività poiché l'ammontare della prestazione era
proporzionato ai contributi versati, mentre il mancato versamento di questi ultimi escludeva il diritto alle
prestazioni.
La Costituzione repubblicana invece considera la tutela previdenziale come espressione di una solidarietà
estesa a tutti i cittadini, la cui realizzazione corrisponde alla soddisfazione di un interesse di tutta la
collettività.
Secondo i principi costituzionali, il titolo per avere diritto alle prestazioni previdenziali risiede soltanto
nell'essere cittadini e i livelli di quelle prestazioni, debbono essere determinati soltanto in funzione delle
scelte politiche che ispirano il legislatore nella valutazione e nella individuazione delle esigenze di
liberazione dal bisogno alle quali occorre dare soddisfazione.
L’ambiguità di cui si è parlato, deriva anche dal fatto che dopo l'entrata in vigore della Costituzione è
mancato un disegno per una riforma organica, mentre la più recente legislazione risulta sempre più ispirata
ai principi costituzionali ma soltanto per alcuni aspetti.
Tale ambiguità ha finito per determinare un’alterazione del rapporto tra gettito contributivo e onere della
prestazione, soprattutto nelle gestioni previdenziali che si caratterizzano per l’erogazione di trattamenti
pensionistici e per il Servizio sanitario nazionale. Da tale alterazione è derivata la crisi finanziaria del sistema
alla quale è stato posto rimedio con una riduzione dei livelli di tutela.
L’ambiguità ora rilevata non è di per sé insuperabile. Infatti le leggi più recenti, ispirate ai principi
costituzionali, una volta inserite nell'ordinamento giuridico preesistente ne impongono la riconsiderazione in
una prospettiva diversa da quella originaria. Inoltre tutte le volte che si prospetti un’alternativa di soluzioni,
sia per la ricostruzione teorica del sistema previdenziale, per il superamento dei nodi interpretativi posti da
single disposizioni, la prevalenza spetta alla soluzione conforme ai principi costituzionali. Un limite esiste
deve essere individuato non tanto e non solo nell'impossibilità di superare l'enunciato legislativo ( art. 12,
disp. prel., c.c.), ma soprattutto nella stessa diversità di significati e di rilevanza che la giurisprudenza
attribuisce ai principi accolti dalla Costituzione.
L'evoluzione della previdenza sociale è rapida. Si accentua il carattere pubblicistico della tutela
previdenziale. Essa, nata volontaria, diventa dapprima obbligatoria, nel senso che la sua piena attuazione,
ancorché imposta dalla legge, è condizionata pur sempre dall’adempimento degli obblighi posti a carico
specialmente del datore di lavoro; diviene infine necessaria, nel senso che opera ex lege. La realizzazione
della tutela previdenziale viene affidata esclusivamente ad enti pubblici appositamente istituiti. Tuttavia
l’esperienza delle mutue di soccorso e la prima legge sugli infortuni sul lavoro lasciano un segno indelebile.
Da un lato lo strumento dell’assicurazione continua ad essere usato anche quando l’intervento pubblico ben
avrebbe potuto avvalersi di strumenti diversi; dall’altro la tutela resta essenzialmente limitata ai lavoratori
subordinati.
Se la necessarietà della tutela previdenziale, sta ad indicare che alla realizzazione di quest'ultimo corrisponda
l'interesse pubblico, la realizzazione di quella tutela continua ad essere considerato un compito proprio delle
categorie interessate sulla quale soltanto ricade l'onere di finanziarne l'attuazione.
Lo Stato si limita a dar vita a nuovi istituti, a dettare con legge la disciplina dei rapporti, ma raramente
interviene finanziariamente.
L’interesse dei lavoratori è soddisfatto mediante il contemperamento e la reciproca subordinazione degli
interessi individuali degli appartenenti alla categoria o mediante la subordinazione dell'interesse dei datori di
lavoro.
La dottrina del tempo è stata indotta a ritenere che tra all'obbligo degli istituti previdenziali di erogare
prestazioni e quella del pagamento dei contributi previdenziali intercorresse una relazione sinallagmatica
riducendo così tutta la tutela previdenziale entro schemi privatistici.
Durante il periodo corporativo il sistema delle assicurazioni sociali non solo viene completato con la
previsione della tutela di nuovi rischi, ma viene assumendo man mano caratteristiche che introducono la
successiva evoluzione.
Così all'originaria concezione del rischio professionale si viene affiancando una concezione più ampia:
quella della solidarietà corporativa tra datori e prestatori di lavoro ispirata alla realizzazione dell'interesse
pubblico dell'economia nel quale si pretendeva di risolvere autoritativamente il conflitto sociale.
Essa consentì l'estensione della tutela previdenziale, estendendola anche a rischi che non sono connessi con
l’attività lavorativa.
La disposizione 26 della Carta del Lavoro dice: " la previdenza è un'altra manifestazione del principio di
collaborazione. Il datore di lavoro e il prestatore d'opera devono concorrere proporzionalmente agli oneri di
essa. Lo Stato procurerà di coordinare ed unificare, quanto più è possibile, il sistema degli istituti di
previdenza".
Il compito di realizzare la tutela previdenziale resta attribuito essenzialmente agli stessi interessati, mentre il
fine pubblico posto a fondamento delle assicurazioni sociali nell’ordinamento corporativo continua ad avere
ad oggetto il mantenimento dell’ordine pubblico, al quale si aggiunge la sanità della razza e la potenza
nazionale, ma non certo la liberazione dal bisogno di chi vive del proprio lavoro.
L'evoluzione della previdenza sociale avviene nell'immediato secondo dopoguerra. Essa deve essere posta in
relazione con l'affermarsi dell'idea della sicurezza sociale.
L'idea sicurezza sociale esprime l’esigenza che venga garantita a tutti i cittadini la libertà dal bisogno, in
quanto questa libertà è ritenuta condizione indispensabile per l'effettivo godimento dei diritti civili e politici.
La libertà dal bisogno deve essere garantita a tutta la collettività organizzata nello Stato della quale essa
costituisce il fine da perseguire mediante ricorso ad una solidarietà che è generale quanto coinvolge tutti i
cittadini.
Nella varietà dei modi di attuazione si possono individuare due principi fondamentali e rappresentanti gli
elementi caratteristici è e determinanti devoluzione dei sistemi giuridici previdenziali in relazione all'idea
della sicurezza sociale:
il sempre più determinante intervento dello Stato, che assume direttamente tra i suoi fini la realizzazione
della tutela previdenziale
la progressiva estensione di questa nuove situazioni di bisogno e la nuova categoria di soggetti, anche oltre
l'ambito tradizionale del lavoro subordinato.
valore tassativo, tuttavia pone un vincolo al legislatore ordinario nel senso che rende irreversibile
l’evoluzione già realizzata.
Il sistema della previdenza sociale supera l'ambito del lavoro subordinato per estendersi a tutte le categorie di
lavoratori. Il sistema previdenziale ha superato anche tradizionale carattere territoriale che ne limitava
l’attuazione al criterio nazionale. La Corte Costituzionale ha esteso la tutela previdenziale anche ai lavoratori
italiani all'estero.
Le prestazioni previdenziali devono essere adeguate anche alle esigenze di vita della famiglia del lavoratore:
garanzia dei mezzi adeguati alle esigenze di vita e una retribuzione proporzionata e sufficiente.
L'art. 38 Cost., all'ultimo comma, afferma il principio della libertà della previdenza privata, come
manifestazione di quella specifica solidarietà che si esprime anche nelle formazioni sociali (art.2 Cost.).
Previdenza privata che non può essere che libera in quanto volontaria e destinata esclusivamente alla
soddisfazione di interessi privati. La previdenza privata non solo a libere, ma deve essere anche i
incoraggiata e tutelata costituendo una forma di risparmio (art.47 Cost.).
Il servizio sanitario nazionale è stato istituito dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833. Tale servizio è costituito
dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi, e delle attività destinate alla promozione, al
mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione, secondo modalità che
assicurino l’eguaglianza dei cittadini.
Con l'istituzione del servizio sanitario nazionale, non solo sono state radicalmente modificate
l’organizzazione e le strutture attraverso le quali la tutela previdenziale si realizza, ma è stata avvertita
l’esigenza di una funzione preventiva. Infatti il meccanismo mutualistico-assicurativo era idoneo a realizzare
la tutela di malattia, ma non poteva essere utilizzato quando si trattava di prevenirla.
Il servizio sanitario nazionale è chiamato a svolgere la funzione di concorrere alla formazione di una
moderna coscienza sanitaria. Esso è tenuto a provvedere alla prevenzione, alla diagnosi e alla cura delle
malattie fisiche e psichiche, accertamento e alla rimozione dei rischi presenti negli ambienti di lavoro e di
vita, alla riabilitazione.
Interventi di assistenza sanitaria garantiti dal servizio sanitario nazionale risultano efficacemente integrati
dagli interventi di servizio sociale realizzati dal sistema integrato di assistenza sociale di cui al legge n. 328
del 2001.
Non tutti questi interventi possono essere ricompresi nell’attuazione dell’idea della sicurezza sociale, almeno
se si voglia evitare di dare a quest’ultima un contenuto troppo vago. A ben guardare, il significato più
profondo di quell’idea può essere individuato proprio nel rilievo dato alla persona umana.
L'idea della sicurezza sociale ha avuto attuazione mediante quegli interventi che consistono nell'erogazione
di beni e servizi ai cittadini che si trovino in condizione di bisogno.
Tali sono gli interventi dello Stato che vanno dalla fornitura di cure gratuite agli indigenti, alla
predisposizione e alla integrazione di organi e istituti che assicurino ai cittadini inabili al lavoro e sprovvisti
dei mezzi necessari per vivere, il mantenimento e l’assistenza sociale e che assicurino ai lavoratori mezzi
adeguati alle esigenze di vita in caso di infortuni, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione
involontaria.
L'assistenza sociale assolveva ad una generica funzione di tutela degli indigenti.
La previdenza sociale assolveva alla funzione specifica di tutela dei lavoratori in quanto espressione di una
solidarietà imposta esclusivamente ai loro datori di lavoro.
Corrispondentemente, nell'assistenza sociale gli assistiti erano titolari di un interesse legittimo, mentre
soltanto nella previdenza sociale era riconosciuto ai lavoratori un diritto soggettivo alle prestazioni.
Sennonché i termini nei quali si pone la distinzione tra previdenza e assistenza sociale non sono più idonei a
comprenderne l’effettiva portata.
Nell’art. 38 Cost. viene mantenuta la distinzione tra cittadini e lavoratori, ma distinguere non significa
separare.
La distinzione tra previdenza e assistenza allora non può che ridursi alla diversità dell’ambito ed all’intensità
della tutela, giustificata dal diverso modo in cui l’ordinamento ha valutato le esigenze dei cittadini rispetto a
quelle dei lavoratori.
Significato del tutto diverso assumono le nozioni di previdenza e assistenza sociale, quando vengono
utilizzate per distinguere le prestazioni ancora finanziate su base contributiva e quelle finanziate soltanto a
carico dello Stato.
Le differenze dei metodi di finanziamento non influiscono sulla funzione propria delle varie forme di tutela.
Il richiamo a modi di finanziamento avviene, in realtà, in funzione delle preoccupazioni che inducono a
prevedere una limitazione dei livelli di tutela fin qui realizzati, come mezzo necessario per superare la crisi
finanziaria del settore, nell’ambito del necessario contenimento della spesa pubblica.
Esclusivamente in quella prospettiva quella limitazione trova riscontro nell’istituzione, nell’ambito
dell’INPS, della Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali, nella quale
sono stati riuniti quegli interventi il cui il finanziamento era stato posto a carico dello Stato. Ne deriva una
distinzione tra i settori ove il finanziamento è esclusivamente a carico del bilancio dello Stato e quelli in cui
continua ad essere a carico delle categorie interessate.
Infatti con la legge n. 328 del 8 novembre 2000, è stato abrogato il sistema assistenziale istituito nel 1890 ed
è stato sostituito da un sistema che attribuisce diritti soggettivi alle persone protette.
I principi generali e le finalità di tale legge confermano che la sicurezza sociale, in attuazione dei principi
espressi dall’art. 2 e 3 Cost., è destinata ad operare oltre l'ambito tradizionale della previdenza sociale.
popolazione in età di lavoro hanno ridotto inevitabilmente il gettito della contribuzione previdenziale. A ciò
si aggiunga che le contribuzioni versate nel tempo si sono rivelate inadeguate a compensare la costante
limitazione dei trattamenti pensionistici, se ragguagliati alle ultime retribuzioni.
Per il servizio sanitario nazionale la perdurante assenza di una coerente ed efficace programmazione e la
conseguente carenza di coordinamenti, hanno determinato costi sempre crescenti ai quali corrisponde una
tutela della salute inadeguata e incompleta. A questa situazione si tenta ora di porre rimedio affidando la
gestione della tutela della salute alle regioni e alle quali è stato imposto l'autofinanziamento.
I problemi recentemente posti dalla crisi finanziaria e di gestione dei vari regimi previdenziali si aggiungono
a quelli che devono essere considerati tradizionali.
Tra questi ultimi si pone il problema posto dalla disomogeneità dei criteri in base quali sono determinati i
livelli delle prestazioni e dalle conseguenti disparità delle condizioni.
Ciò ha determinato profonde differenze di trattamento a seconda della categoria di appartenenza dei soggetti
protetti. Al verificarsi del medesimo evento, a seconda del regime applicabile, possono essere erogate
prestazioni diverse sia in relazione all’ammontare, sia in relazione alle condizioni richieste per il sorgere del
relativo diritto. La liberazione dal bisogno sarebbe dovuta avvenire sulla base della valutazione che la legge
fa del bisogno in funzione delle esigenze di carattere generale che attendono di essere soddisfatte.
Una soluzione è stata data quando sono stati stabiliti gli stessi requisiti di età e di contributi per aver diritto
alla pensione, abolendo anche le differenze tra dipendenti pubblici e privati.
Un’ulteriore omogeneizzazione è prevista per i requisiti oggettivi e soggettivi di accesso alla pensione di
vecchiaia unificata e per i criteri di calcolo dell’ammontare dei trattamenti pensionistici e della contribuzione
previdenziale.
Al tempo stesso era avvertita da tempo l'esigenza di una riforma del sistema destinata a limitare la gestione
pubblica ai regimi destinati ad erogare trattamenti pensionistici che garantiscano la soddisfazione delle
esigenze essenziali e ad agevolare la volontaria costituzione di regimi previdenziali privatistici in funzione
integrativa di quelli pubblici destinati a perseguire interessi privati.
Il problema sotteso a tale esigenza è quello del rapporto che deve intercorrere tra le esigenze della tutela
previdenziale quelle di politica economica.
Problema per la soluzione del quale era necessario che la tutela previdenziale realizzi la funzione della
liberazione dal bisogno al fine di garantire godimento dei diritti civili e politici.
Per attenuare gli effetti della riduzione di tutela derivante dalla razionalizzazione, il legislatore ha tentato di
favorire il ricorso alla previdenza privata.
L'obiettivo della definitiva stabilizzazione del rapporto tra spesa previdenziale e P.I.L. è stato perseguito da
legge 8 agosto 1995, n. 335 , la quale ha introdotto modificazioni, tra cui la reintroduzione del sistema di
calcolo delle pensioni che assume come base la contribuzione versata, in luogo delle retribuzioni percepite
nell’intero arco dell’attività lavorativa.
A questa reintroduzione corrisponderebbe una vera e propria riforma, in quanto il principio di solidarietà
sarebbe stato sostituito con quello della corrispettività tra contributi versati e prestazioni pensionistiche.
La differenza tra la c.d. pensione retributiva e quella contributiva si riduce dicendo che nella pensione
retributiva, l'ammontare della pensione è determinato direttamente sulla base delle retribuzioni percepite;
nella pensione contributiva, si fa riferimento alla contribuzione previdenziale e all'età di ingresso in
pensione. Riferimento che non esclude la rilevanza delle retribuzioni percepite, in base alle quali è calcolata
e riscossa la contribuzione. Ne deriva che il diverso sistema di calcolo dell’ammontare delle pensioni non è
sufficiente, da solo, a modificare la funzione assegnata alla tutela previdenziale.
Anche con la reintroduzione del principio di corrispettività tra contributi e prestazioni il sistema
pensionistico continua ad essere ispirato al principio della solidarietà.
Il principio della corrispettività è contraddetto anche dalla regola per cui esiste diritto alla pensione soltanto
se l'ammontare di questa è superiore ad un importo determinato con la conseguente perdita della retribuzione
versata.
La legge n. 335 del 1995 ha introdotto una razionalizzazione riconducendo la funzione del sistema
pensionistico alla liberazione delle effettive situazioni di bisogno.
In questa prospettiva le modifiche apportate alla disciplina previgente possono essere considerate soltanto
come accorgimenti tecnici, destinati a realizzare un efficace controllo della spesa pensionistica e la sua
costate compatibilità con la situazione economica e finanziaria del Paese.
Tuttavia negli ultimi tempi è stata avvertita nuovamente la esigenza di una riforma o di una ulteriore
razionalizzazione del sistema pensionistico che concorresse a ristabilire l’equilibrio finanziario delle
gestioni. Tale esigenza è stata soddisfatta dalla legge 23 agosto 2004 n. 243 che ha introdotto nuovi elementi
di razionalizzazione. Con tale legge il legislatore ha delegato il Governo ad emanare norme aventi forza di
legge per liberalizzare l’età pensionabile, per eliminare il divieto di cumulo tra pensioni e redditi di lavoro,
per rivedere il principio di totalizzazione dei periodi assicurativi estendendone l’applicazione, per sostenere e
favorire lo sviluppo delle forme di previdenza complementare. Inoltre la legge n.243/2004 contiene
disposizioni che modificano la disciplina della pensione di anzianità. Ciò perché l’onere derivante
dall’erogazione delle pensioni di anzianità incide in modo determinante nella formazione del deficit dei
bilanci delle gestioni pensionistiche, soprattutto perché quella pensione viene erogata per notevoli periodi di
tempo in quanto spettante a soggetti che ancora sono in età relativamente giovane.
CAPITOLO SECONDO
IL SISTEMA GIURIDICO DELLA PREVIDENZA SOCIALE
Non per questo, però, si può continuare a parlare di corrispettività tra contributi e quest’ultime. In realtà, il
pagamento dei contributi previdenziali costituisce un elemento della fattispecie, dal completamento della
quale deriva come effetto giuridico il sorgere del diritto alle prestazioni previdenziali. Esso assume una
funzione sostanzialmente diversa da quella del corrispettivo del premio dell'assicurazione privata.
19. Il sistema giuridico della previdenza sociale come espressione della solidarietà nazionale
Nel sistema della previdenza sociale, sebbene il suo finanziamento non è interamente a carico della
collettività, trova attuazione un principio diverso e di portata più vasta rispetto a quello mutualistico.
Attraverso il sistema della previdenza sociale si realizza la solidarietà di quanti sono in grado di lavorare e di
quanti dall'altrui lavoro traggono utilità, nei confronti dei lavoratori divenuti incapaci di trarre dal proprio
lavoro i mezzi di sostentamento e di chi si trovi in condizione di bisogno.
Questa solidarietà non può essere espressa da una struttura mutualistica. In quest’ultima si realizza una
solidarietà limitata sia quantitativamente, all’ambito degli stessi esposti a un rischio, sia qualitativamente, per
l’essenziale caratteristica della reciprocità.
La solidarietà realizzata con la previdenza sociale è solidarietà è attuata dallo Stato. Questi garantisce
l'attuazione della solidarietà nazionale attraverso la realizzazione della tutela previdenziale anche con diretti
interventi finanziari.
La solidarietà che trova espressione del sistema giuridico previdenziale altro non rappresenta che una specie
di quella solidarietà che lo Stato realizza ogni volta che opera una redistribuzione del reddito.
L'obbligo contributivo è imposto al fine di attuare la solidarietà di tutta la collettività organizzata (art. 2
Cost.) ed esso ricade ancora su una parte soltanto della popolazione e, in sostanza, sui lavoratori. Quando tale
obbligo incombe, sia pure in parte, sugli stessi soggetti protetti deve ritenersi che questi siano tenuti al
pagamento dei contributi in quanto lavoratori e, pertanto, compresi nella parte attiva della popolazione.
Indicative a proposito sono due considerazioni: la prima è che le prestazioni previdenziali sono determinate
sulla base di scelte politiche che tengono conto non solo non tanto della contribuzione versata, ma anche e
sempre più intensamente dall'effettivo bisogno del soggetto protetto. La seconda è che, almeno formalmente,
dall'onere della metà del contributo previdenziale imposto al lavoratore ( art. 2115 cc), si è passati, da un
periodo in cui, nell'immenso dopoguerra, si era avuto l'esonero completo, a una contribuzione di gran lunga
inferiore rispetto a quella posta a carico del datore di lavoro, adeguando così alla realtà economica e sociale
la misura del contributo di chi lavora alla realizzazione della solidarietà nazionale.
Tutto ciò trova conferma nel finanziamento diretto a carico della collettività di quelle forme di tutela
previdenziale che sono estese a tutti i cittadini, anche ai cittadini appartenenti alla Unione Europea nonché
agli stranieri, ai profughi e agli apolidi.
Per converso, le prestazioni previdenziali trovano il loro scopo essenzialmente nell'interesse pubblico alla
loro erogazione, indipendentemente da ogni interesse patrimoniale degli enti previdenziali e della
economicità o meno del servizio.
previdenziale. Infatti, lo Stato, se affida agli enti previdenziali il perseguimento di fini che non sono suoi,
provvede anche al reperimento dei mezzi che sono necessari al loro raggiungimento.
Ciò avviene contribuendo direttamente al loro finanziamento o imponendo l'obbligo di contribuire ad alcuni
soggetti.
Il carattere della strumentalità non manca neanche per gli enti previdenziali privatizzati (d.lgs. 30 giugno
1994, n. 509 ). Infatti, la facoltà riconosciuta dalla legge ad alcuni enti pubblici previdenziali di trasformarsi
in associazioni o fondazioni è prevalentemente in funzione della privatizzazione della attività di gestione
delle loro risorse. Sia pure nella nuova veste di enti privati esercenti pubbliche funzioni, gli enti previdenziali
"privatizzati" devono soddisfare, oltre all'interesse individuale degli associati, anche il fine pubblico della
tutela previdenziale secondo l'art. 38 cost. Così la legge ha previsto che gli enti previdenziali privatizzati
possano accorparsi tra loro o includere altre categorie professionali di nuova istituzione che dovessero
risultare prive di una tutela previdenziale pensionistica.
tributi. Questa configurazione presupporrebbe che compito fondamentale dello Stato sia solo l’assistenza
sociale, e non anche la realizzazione della tutela previdenziale che resterebbe ancora affidata gli stessi
soggetti interessati. Piuttosto dovrebbe ritenersi che l'intervento finanziario dello Stato alla realizzazione
della tutela previdenziale avvenga in esecuzione di un preciso dovere imposto dalla Costituzione. Lo Stato è
tenuto a realizzare quella tutela intervenendo direttamente e a finanziare gli enti previdenziali. Tant'è che tali
enti non solo sono finanziati, ma sono anche stati ammessi al c.d. " tiraggio di tesoreria" onde lo stato
soddisfa direttamente anche alle loro esigenze di cassa, mentre sono tenuti a versare alla tesoreria dello Stato
le somme riscosse a titolo di contributi previdenziali. In definitiva il finanziamento dello stato rappresenta
una manifestazione della solidarietà di tutta la collettività verso chi si trova in condizione di bisogno.
CAPITOLO TERZO
IL RAPPORTO CONTRIBUTIVO
datore di lavoro per finanziare l'assistenza di malattia ai pensionati; con il contributo di fedeltà imposta
gestione pensionistica diversa da quella del regime generale gestito dall'INPS per il finanziamento
dell'assicurazione generale obbligatoria per la invalidità, vecchiaia e superstiti e per il contributo di
solidarietà che i datori di lavoro sono tenute a versare, sulle somme versate o destinate al finanziamento di
forme volontarie di previdenza integrativa o complementare.
Vi sono casi poi, in cui l'obbligo del pagamento dei contributi previdenziali grava su soggetti che non sono
datori di lavoro. Così, le società cooperative e le società, anche di fatto, sono tenute al pagamento dei
contributi per i loro soci impiegati nei lavori da esse assunti.
Allo stesso modo la tutela previdenziale dei lavoratori autonomi e in particolar modo quella dei liberi
professionisti, si realizza anche con i contributi posti a carico di soggetti che con i soggetti protetti si venga a
trovare in relazione occasionali e cioè dei committenti. Tale è la situazione dei clienti dei liberi
professionisti.
Contributi previdenziali sono posti a carico degli artigiani, dei commercianti e dei coltivatori diretti anche
per quei familiari che lavorino abitualmente dell'impresa artigiana o commerciale o nei fondi e per i familiari
viventi a carico. In questi casi, tra il soggetto obbligato a al pagamento dei contributi e il beneficiario delle
prestazioni previdenziali intercorre rapporto familiare o un rapporto associativo, sottratto alla disciplina del
diritto di lavoro e designato da dottrina come rapporto di lavoro familiare.
Dal 1 gennaio 1996 l’art.2, commi da 26 a 32 della legge n.335 del 1995, ha esteso l’area dei soggetti protetti
ricomprendendovi i lavoratori parasubordinati che sostengono in parte l’onere dei contributi previdenziali
messo a carico, per una quota, dei loro committenti.
È stata istituita una apposita Gestione separata presso l’INPS per l’estensione dell’assicurazione generale
obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti nei confronti dei soggetti che esercitano per
professione abituale attività di lavoro autonomo, dei titolari di rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa, degli incaricati della vendita a domicilio, dei soggetti che conferiscono prestazioni lavorative
nell’ambito di contratti di associazione in partecipazione e dei collaboratori a progetto.
Si deve escludere che tutti questi provvedimenti concorrano a realizzare la logica della sicurezza sociale.
Essi sono esclusivamente destinati al perseguimento di finalità di politica economica e tendono ad
incrementare la competitività delle imprese e i livelli occupazionali.
Sia il godimento degli sgravi contributivi sia quello dei benefici della fiscalizzazione sono stati condizionati
alla c.d. clausola sociale e, cioè, all'erogazione ai dipendenti di un trattamento economico e normativo non
inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali del settore.
Agli obiettivi di politica economica si è aggiunto quello di garantire ai lavoratori un trattamento economico e
normativo adeguato ed è stata perseguita una politica di sostegno all’azione sindacale che, tuttavia, potrebbe
costituire una alterazione della libera concorrenza contrastante con le regole dell’Unione Europea.
Il godimento degli sgravi e della fiscalizzazione è stato condizionato all'erogazione di trattamenti non
inferiori a quelli previsti dalla contrattazione collettiva nazionale. Di conseguenza, le imprese che non
avevano rispettato tali condizioni, da un lato, non avevano diritto agli sgravi fiscali e alla fiscalizzazione e
sarebbero state obbligate a restituire le somme corrispondenti ai benefici indebitamente goduti. Dall'altro,
quelle imprese erano anche inadempienti alle obbligazione contributive, posto che, la retribuzione minima
assoggettabile a contribuzione previdenziale è, dopo la legge 389/1989 quella prevista dalla contrattazione
collettiva nazionale.
In questa situazione, il legislatore ha presunto che l'erogazione dei trattamenti retributivi inferiori a quelli
previsti dalla contrattazione collettiva nazionale fosse un sintomo delle difficoltà economiche di quelle
imprese che avevano potuto sopravvivere e mantenere livelli di occupazione. Peraltro il legislatore ha
avvertito che quelle imprese, se fossero state escluse dai benefici degli sgravi e della fiscalizzazione,e
costrette a adempiere agli obblighi contributivi evasi, sarebbero entrate in crisi.
È stata così avvertita l'esigenza di salvaguardare i livelli occupazionali alleggerendo l'onere della
contribuzione previdenziale.
Esigenza è stata soddisfatta abitando l'autonomia sindacale a stipulare contratti di riallineamento e cioè
accordi territoriali o aziendali che prevedono programmi di graduale ( triennale e a volte quadriennale)
riallineamento dei trattamenti retributivi praticati a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro.
E per effetto dell’adesione ai contratti di riallineamento, da un lato le imprese continuano a beneficiare degli
sgravi contributivi e della fiscalizzazione; dall’altro quell’adesione comporta la sanatoria dei contributi evasi
per effetto dell’illegittima fruizione degli sgravi e della fiscalizzazione e delle relative sanzioni.
Peraltro, il legislatore, al fine di evitare facili elusioni, ha consentito quell’equiparazione a condizione che i
contratti di riallineamento siano soltanto stipulati da organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale.
Per il periodo anteriore alla presentazione della dichiarazione di emersione, l'imprenditore può chiedere un
concordato tributario e previdenziale che gli consente di regolarizzare gli inadempimenti fiscali e
previdenziali.
Regolarizzazione che avviene versando un'imposta sostitutiva, la quale è determinata nella misura dell'8%
del costo del lavoro irregolare utilizzato e dichiarato.
All'imprenditore che ha presentato la dichiarazione di emersione si applica, per i piani successivi quella
presentazione, un regime contributivo di grande favore. Egli è tenuto a versare una contribuzione
previdenziale determinata progressivamente in una misura che va del 7% all’11% e premi per
l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro ridotti progressivamente dal 75% al 65% rispetto al quelli
dovuti.
L’adesione del lavoratore al programma di emersione ha un’efficacia novativa del rapporto di lavoro emerso.
Infatti
Con effetto dalla data di presentazione della domanda di emersione, l’adesione del lavoratore costituisce
rinuncia non impugnabile relativamente ai diritti di natura retributiva e risarcitoria per il periodo pregresso.
tributi la corrispettività tra il sacrificio dell'imposizione e il vantaggio che ne deriva ai singoli è normalmente
esclusa.
Va anche respinta configurazione dei contributi previdenziali come tasse o come contributi speciali. La
caratteristica di ambedue queste figure di tributi sta in ciò che il fondamento della loro imposizione risiede
nell’esplicazione di un’attività pubblica dalla quale l’obbligato riceve un vantaggio specifico, distinto e
diverso da quello di cui tutta la collettività gode. Accogliendo una di queste configurazioni berrebbe esclusa
quella particolare coincidenza tra interesse pubblico e interesse dei soggetti protetti.
L'obbligo del pagamento dei contributi previdenziali sorge immediatamente al verificarsi delle condizioni
previste dalla legge.
La fattispecie da cui deriva come effetto giuridico il sorgere dell’obbligazione contributiva può essere
costituita dal fatto che il soggetto obbligato diviene parte di un rapporto di lavoro subordinato, di lavoro
autonomo o a volte familiare, oppure dallo svolgimento di una determinata attività in relazione all’iscrizione
ad un determinato albo professionale.
A volte l'obbligazione contributiva sorge solo quanto si verifichino fatti ulteriori: l'esercizio di una
determinata specifica attività rispetto alla generica prestazione del lavoro in posizione subordinata; lo
svolgimento di una attività lavorativa rispetto ad un rapporto associativo o il trarre un certo profitto dallo
svolgimento di una determinata attività. Quest'ultimo è il caso dei liberi professionisti che sono iscritti di
diritto alle rispettive casse di previdenza e quindi sono automaticamente obbligati alla contribuzione
previdenziale, se esercitano la professione con carattere di continuità.
L'obbligo contributivo si estingue con il venir meno delle condizioni per cui era sorto; ma anche per
prescrizione. Questa è divenuta quinquennale dal 1° gennaio 1996.
La legge n. 335 del 1995 ha ridotto a cinque anni la prescrizione per tutte le altre contribuzioni di previdenza
e assistenza sociale obbligatoria, restando, così, modificata anche la previgente prescrizione decennale per la
contribuzione dovuta per la tutela contro gli infortuni e le malattie professionali e per la tutela di malattia.
Questi obblighi accessori, assistiti a volte da sanzioni, sono imposti dalla legge al solo fine di fornire gli
elementi necessari per accertare l'esistenza dell'obbligazione contributiva e l'ammontare dei contributi
dovuti, deve ritenersi che il loro adempimento dia luogo a vere e proprie denunzie.
L'obbligazione contributiva non sorge per effetto dell'accertamento, ma è già venuta in essere nel momento
in cui si sono verificate le condizioni oggettive e soggettive previste dalla legge.
Più di recente il legislatore aveva affermato che sono escluse dalla retribuzione assoggettabile a
contribuzione previdenziale: le spese sostenute dal datore di lavoro per il funzionamento degli asili nido
aziendali; le spese per il finanziamento di circoli aziendali; le differenze tra il prezzo di mercato e quello
agevolato praticato per l'assegnazione ai dipendenti di azioni della società datrice di lavoro ovvero di società
controllanti o controllate.
Il legislatore aveva escluso dalla retribuzione assoggettabile a contribuzione previdenziale anche: le spese
sostenute dal datore di lavoro per colonie climatiche in favore di figli dei dipendenti, o universitari; il valore
dei generi prodotti azienda ceduti dipendenti.
Era stato assoggettato a contribuzione previdenziale il 50% della differenza tra il costo aziendale della
provvista relativa ai mutui e prestiti concessi dal datore di lavoro dipendenti e il tasso agevolato se inferiore
al predetto costo, applicato ai dipendenti stessi.
La contribuzione è determinata su retribuzione media convenzionale, non solo per i lavoratori italiani
all'estero, ma anche per i coltivatori diretti, mezzadri e coloni e sul reddito professionale netto imponibile ai
fini IRPEF per gli altri lavoratori autonomi.
Quando obbligato al versamento della contribuzione previdenziale è il datore di lavoro, e egli è responsabile
anche per la quota che la legge pone a carico del lavoratore ( art. 2115, 2 comma cc). Il datore di lavoro ha
diritto di rivalsa nei confronti del lavoratore ( art. 2115 , 2 comma cc).
L'omessa o irregolare contribuzione previdenziale può dar luogo ad una responsabilità penale e civile e
amministrativa del datore di lavoro.
L'omesso o irregolare versamento dei contributi previdenziali è stato lungo considerato dalla legge come
reato e come una contravvenzione. È punito con l'ammenda per la quale però era ammessa l'oblazione.
Successivamente però sono state abolite le sanzioni penali sostituendole con quelle amministrative (c.d.
depenalizzazione).
Sono ancora previste sanzioni penali per il datore di lavoro quando l'evasione contributiva e
quantitativamente rilevante a condizione non solo che l'evasione sia determinata dalla omessa o irregolare
tenuta delle scritture ( libro paga,) Ma sia anche qualificata dal dolo specifico.
Le sanzioni amministrative possono essere annullate, o ridotte, nei casi in cui il ritardo dell'adempimento del
datore di lavoro sia limitato nel tempo.
La legge prevede infine, ulteriori sanzioni, c.d. civili.
Oltre contributi non versati sono dovuti, eccezionalmente e in presenza di determinate situazioni, gli interessi
legali, ma di norma è dovuta una "somma aggiuntiva" il cui ammontare varia a seconda che si tratti di mera
omissione contributiva (mancato o tardivo pagamento di contributi in presenza di registrazioni e
documentazione aziendale regolarmente tenute) ovvero di evasione contributiva ( e conseguente ad omessa o
infedele registrazione). Nel primo caso non può superare il 40% dell'ammontare dei contributi omessi; nel
secondo caso l'ammontare massimo complessivo delle sanzioni è pari al 60%.
La sanzione della " somma aggiuntiva" è dovuta nella misura massima del 40% anche nel caso di evasione
ove il datore di lavoro denunci spontaneamente inadempimento contributivo e provveda a versare contributi
dovuti entro 30 giorni dalla denuncia.
Le sanzioni civili possono essere ridotte sino alla misura degli interessi legali, nel caso di oggettive, gravi
incertezze relative all'esistenza dell'obbligo contributivo nonché nel caso di aziende in crisi.
Si ritiene che la sanzione della somma aggiuntiva è abbia natura di sanzione civile e costituisca il
risarcimento del danno liquidato dalla legge in misura diversificata a seconda del ritardo del pagamento e a
seconda che la evasione contributiva derivi o meno dalla mancata esecuzione delle registrazioni o denunce
obbligatorie o da registrazioni non conformi al vero.
Sanzioni amministrative sono previste per la violazione da parte del datore di lavoro degli obblighi accessori
che hanno lo scopo di fornire al lavoratore l'indicazione della retribuzione denunciata e assoggettata a
contribuzione previdenziale e di fornire agli enti previdenziali gli elementi per accertare l'esistenza
dell'obbligo contributivo e l'ammontare dei contributi dovuti e delle retribuzioni individuali.
41. Responsabilità del datore di lavoro nei confronti del lavoratore per omessa o irregolare
contribuzione previdenziale
Nei limiti in cui non trova compiuta applicazione il principio dell'automaticità delle prestazioni, e il datore di
lavoro e anche responsabile nei confronti del lavoratore del danno che a questo sia derivato dalla mancata o
irregolare contribuzione previdenziale ( art. 2116, 2 comma cc).
Responsabilità che deriva dalla violazione del diritto soggettivo del lavoratore alla posizione contributiva.
Questa viene configurata come entità patrimoniale. come un bene giuridico produttivo di effetti economici,
la cui lesione concretizza un danno certo, suscettibile di immediato risarcimento. E infatti, il lavoratore, a
ragione del divieto di versare contributi prescritti, può subire un danno.
Danno che può derivare dal fatto che l’accreditamento a suo favore di un certo numero di contributi
costituisce, uno dei requisiti soggettivi richiesti per il perfezionamento del diritto alla pensione e dal fatto che
la retribuzione, o la contribuzione versata costituiscono la base di calcolo per determinare l’ammontare delle
pensioni sul quale influisce l’omessa o irregolare contribuzione.
Il diritto risarcimento dei danni per omessa o irregolare contribuzione è riconosciuto anche superstiti del
lavoratore.
La giurisprudenza della corte di cassazione ritiene che lavoratore possa far valere le sue ragioni esercitando
due azioni:
a) trova fondamento nell'art. 2116 cc e ha ad oggetto il risarcimento dei danni. Azione esperibile nel
momento in cui l'ente previdenziale ha verificato le prestazioni o le abbia concesse in misura minore di
quella dovuta per effetto del mancato o irregolare versamento dei contributi previdenziali dovuti. Il termine
di prescrizione di questa azione è di dieci anni dalla data del provvedimento di rifiuto della pensione o di
quello che la determina in misura inferiore di quella dovuta.
b) deriva dalla lesione del diritto del lavoratore alla sua posizione contributiva. Azione che non solo sarebbe
esperibile sin dal momento in cui si è verificata l' omissione contributiva, ma sarebbe anche imprescrittibile.
Questa azione può avere ad oggetto la condanna del datore di lavoro ad adempiere l'obbligazione
contributiva non ancora prescritta nei confronti dell'ente previdenziale che però deve essere chiamato in
giudizio in quanto unico legittimato a far valere il credito contributivo. Ove quest'ultimo sia prescritto,
l'azione non potrà avere altro oggetto che il risarcimento del danno.
La legge prevede una liquidazione in forma specifica del danno derivante da omessa o irregolare
contribuzione previdenziale.
La costituzione della rendita avviene con il pagamento all'ente previdenziale di un capitale corrispondente
alla riserva matematica necessaria per erogare le prestazioni che sarebbero state dovute e se non si fosse
verificata l'omissione contributiva. Ne consegue che il versamento di quel capitale comporta la
regolarizzazione della posizione contributiva del lavoratore.
Il rapporto di lavoro deve risultare da documentazione di data certa.
Il lavoratore, quando non possa ottenere la costituzione della rendita dal datore di lavoro, può sostituirsi a
quest'ultimo.
La giurisprudenza della corte di cassazione ammette anche che il lavoratore possa chiedere al giudice la
condanna del datore di lavoro alla costituzione della rendita.
CAPITOLO QUARTO
IL RAPPORTO GIURIDICO PREVIDENZIALE
presso l’INPS, il “casellario centrale delle posizioni previdenziali attive” per la raccolta, la conservazione e
la gestione dei dati relativi ai lavoratori iscritti ad ogni regime previdenziale obbligatorio, generale e
speciale. Compito del Casellario centrale è quello di emettere l’estratto conto contributivo annuale e di
calcolare, su richiesta del soggetto protetto, l’ammontare della pensione ai fini della presentazione della
relativa domanda.
Tali obblighi esistono nei confronti dello Stato e anche nei confronti dei soggetti protetti, i quali in tal modo
sono titolari di un diritto ad una prestazione, consistente nella emanazione di un atto amministrativo, dovuta
da un ente pubblico in attuazione di un pubblico servizio.
La Corte Costituzionale ha ritenuto che in presenza di un'esigenza determinata dalla limitatezza delle
disponibilità finanziarie, è consentita una modificazione legislativa che possa determinare un irrimediabile
vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione
della propria attività.
Nonostante ciò l'aspettativa del lavoratore al conseguimento del diritto alla pensione ha una tutela oggettiva
realizzata sia attraverso i limiti posti alla discrezionalità legislativa che ad opera dello stato.
Lo stato provvede direttamente alla realizzazione di quella tutela sia con il controllo che esercita sugli enti
previdenziali sia perché garantisce la pienezza del diritto alle prestazioni. Ciò avviene sia con
l'accreditamento dei contributi figurativi, sia con l'accreditamento dei contributi omessi. Conseguenza
dell’adempimento di quegli obblighi è soltanto la realizzazione di uno dei presupposti di quello che sarà
l’atto di ammissione al godimento delle prestazioni previdenziali. Non si tratta quindi del rapporto giuridico
previdenziale ma soltanto di un rapporto ad esso preliminare e strumentale.
L'attività svolta dagli enti previdenziali inadempimento degli obblighi suddetti a una pluralità di effetti: ad
costituisce l'adempimento dell'obbligazione esistente anche nei confronti dei soggetti protetti (effetto
immediato); dall’altro viene in rilevanza come un mero fatto il sorgere del diritto alle prestazioni
previdenziali (effetto mediato).
considerato l'ente previdenziale che abbia lasciato cadere in prescrizione i contributi dovuti, ovvero abbia
dato comunicazioni errate su una situazione contributiva..
Un'ulteriore tutela della posizione contributiva è stata realizzata dalla legge che prevede la ricongiunzione e,
cioè, consente di cumulare le contribuzioni effettuate in regimi diversi ai fini del diritto e della misura di
un'unica pensione, ed è stato stabilito dalla Corte Costituzionale un "doppio canale" per i liberi professionisti
che non abbiano maturato il diritto a pensione in nessuna delle gestioni cui sono o sono stati iscritti ed ai
quali è data la facoltà di scegliere tra il sistema della ricongiunzione dei periodi assicurativi e quello della
totalizzazione degli stessi e, poi, dalla legge che ha disciplinato la totalizzazione.
I familiari del lavoratore sono titolari di un autonomo diritto alle prestazioni previdenziali nei casi in cui
queste siano previste dalla legge a loro favore.
Quanto alla portata delle prestazioni nessun dubbio esiste per le prestazioni dovute, in caso di morte del
lavoratore capofamiglia; ma neanche può dubitarsi per quanto riguarda l’erogazione delle prestazioni
sanitarie dovute in caso di malattia o di tubercolosi- queste prestazioni infatti sono destinate alla tutela della
salute dei soggetti protetti e corrispondono al principio costituzionale sancito nell’art. 32 Cost.
I familiari del lavoratore sono titolari di un autonomo diritto alle prestazioni previdenziali, poiché l’interesse
che è direttamente ed immediatamente tutelato con l’erogazione di quelle prestazioni è l’interesse del
familiare protetto.
La tutela previdenziale si estende anche tutti cittadini ultrasessantacinquenni che si trovino in disagiate
condizioni economiche.
Tanto le prestazioni economiche e quelle sanitarie assolvono a loro funzioni soddisfare, insieme con
interesse del soggetto protetto, anche uno pubblico.
Non può accogliersi la configurazione delle prestazioni previdenziali come parte della retribuzione o come
risarcimento del danno sofferto dal lavoratore.
La configurazione della natura retributiva delle prestazioni previdenziali va respinta con riferimento alle
prestazioni sanitarie e all’ipotesi in cui esse siano dovute a soggetti protetti che non sono lavoratori
subordinati.
Anche se a volte le prestazioni previdenziali si sostituiscono alla retribuzione, ciò non significa che abbiano
natura retributiva. Infatti per esempio, l'assegno per il nucleo familiare, per la funzione cui assolve, per il
sistema con cui viene erogato, per il modo con cui vengono reperiti i mezzi necessari la sua erogazione,
presenta caratteristiche diverse dalla retribuzione, nonostante l’esplicito richiamo alle esigenze della famiglia
del lavoratore contenuto nell’art. 36 Cost.
La teoria del salario familiare, al pari di quella del salario previdenziale, si risolve in una considerazione di
politica sociale.
Allo stesso modo le prestazioni previdenziali non possono essere qualificate come risarcimento del danno; la
loro principale funzione è quella di reintegrare le perdute energie di lavoro.
Anche nel caso delle prestazioni economiche, la loro funzione è unicamente quella di fronteggiare situazioni
di bisogno al quale sono a volte proporzionate. Il bisogno eliminato con le prestazioni previdenziali è quello
derivante dalla mancanza dei beni essenziali, necessari alla vita del soggetto protetto; mentre il danno che
consegue al verificarsi degli eventi può riguardare beni che accedono quelli necessari.
Il bisogno può avere come presupposto un danno, ma ciò non significa necessariamente che le prestazioni
previdenziali abbiano una funzione indennitaria.
Infine la mancanza di un nesso di interdipendenza tra pagamento dei contributi e erogazione delle prestazioni
previdenziali, vediamo che quest'ultime non possono essere configurate nemmeno come il corrispettivo di
quelli; il loro ammontare è proporzionale ai contributi versati. Ciò se mai si spiega o con l’esigenza di
garantire l’economicità della gestione, ovvero con la considerazione che quella proporzionalità è riferita a
quest’ultimi.
La natura delle prestazioni previdenziali viene in rilievo con esattezza dove si faccia riferimento alla nozione
di prestazione amministrative rese ai privati; di una prestazione cioè erogata dallo stato o da un altro ente, in
esecuzione dell'obbligo specifico, per la tutela montante dell'interesse del singolo beneficiario quanto
dell'interesse pubblico generale.
Deve infatti ritenersi che lo Stato non può far venir meno, neanche con legge ordinaria, il diritto delle
prestazioni previdenziali, per cui ove venisse leso l'interesse del singolo a quelle prestazioni, l'ordinamento
reagirebbe sia predisponendo una tutela oggettiva, sia attribuendo al singolo il potere di provocare un
giudizio incidentale di legittimità costituzionale del provvedimento lesivo del suo interesse.
Tale conclusione non impedisce al legislatore di intervenire con provvedimenti diretti a utilizzare in modo
più efficace le risorse finanziarie disponibili.
Sotto un ulteriore profilo si ritiene che la posizione giuridica attiva del soggetto faccia riscontro, accanto alla
posizione giuridica passiva degli enti previdenziali, anche quella dello Stato, in quanto questi, in virtù
dell’art. 38 Cost., ha l’obbligo di integrare gli istituti da lui predisposti per le prestazioni.
Anche per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro deve ritenersi attualmente superato il principio del
rischio professionale. Questa forma di tutela previdenziale è espressione del più elevato principio della
solidarietà sociale.
Gli eventi al verificarsi dei quali è prevista l'erogazione di prestazioni e sono eventi, per la natura delle cose
o per il modo in cui la società è organizzata, normalmente inevitabili che determinano per chi vive del
proprio lavoro una situazione di bisogno.
Se si volesse fornire una qualificazione di questi eventi che servisse a caratterizzare il rischio che rileva nella
previdenza sociale, ben si potrebbe parlare di rischi sociali.
CAPITOLO QUINTO
LA TUTELA PER GLI INFORTUNI SUL LAVORO E
LE MALATTIE PROFESSIONALI
Una tutela contro gli infortuni sul lavoro fu prevista per la prima volta alla fine del XIX secolo. La legge 80
del 1898, impose ai datori di lavoro dell’industria l’obbligo di assicurarsi per la responsabilità civile dei
danni derivanti dagli infortuni sul lavoro di cui fossero rimasti vittima i loro operai, al fine di garantire questi
ultimi contro l’ulteriore rischio dell’insolvenza del datore di lavoro, responsabile dell’infortunio. Si trattava
di una vera e propria assicurazione che poteva essere stipulata da qualsiasi assicuratore, anche privato. La
tutela era estesa anche agli infortuni derivanti dal caso fortuito, forza maggiore o cola non grave de
lavoratore, il lavoratore infortunato quindi non doveva più provare, per aver diritto alla prestazione, che
l’infortunio fosse derivato da colpa del datore di lavoro. Successivamente la tutela contro gli infortuni sul
lavoro venne estesa ai lavoratori dell’agricoltura, ed ad essa si affiancò quella contro le malattie
professionali. La tutela contro gli infortuni assunse caratteristiche pubblicistiche più nette, e se ne affidò la
gestione a un ente pubblico, l’attuale Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli infortuni sul Lavoro
(INAIL).
I tratti pubblicistici vennero accentuati con il t.u. del 1935 n. 1935 che, da un lato ha introdotto il principio
dell’automaticità delle prestazioni, per cui i lavoratori infortunati o affetti da malattia professionali hanno
diritto alle prestazioni anche se il datore di lavoro non abbia adempiuto ai suoi obblighi e non abbia versato i
contributi; dall’altro venne dato più cospicuo rilievo alle prestazioni sanitarie tendenti a conservare o a
recuperare la capacità di lavoro dell’infortunato. Attualmente la fondamentale disciplina che regola la
materia è contenuta nel t.u. 1124 del 1965, di recente modificato e integrato dal d.lgs. 23 febbraio 2000 n. 38,
mentre la tutela sanitaria è regolata dalla legge n. 833 del 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale.
diritto dei lavoratori a che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di
infortunio, non diversamente come negli altri eventi considerati generatori di bisogno.
Nella prospettiva indicata dai principi costituzionali, il fondamento della tutela contro gli infortuni sul lavoro
è espressione della solidarietà di tutta la collettività organizzata nello Stato a favore di chi si viene a trovare
in situazione di bisogno; e la sua funzione non è più quella di risarcire un danno, ma quella eliminare le
situazioni di bisogno che impediscono l’effettivo e il pieno godimento dei diritti civili e politici.
56. Il significato della tutela per gli infortuni sul lavoro nel sistema della previdenza sociale
Nella tutela per gli infortuni sul lavoro trova piena applicazione (e non parziale, come accade nella tutela per
l’invalidità e la vecchiaia e superstiti) il principio della automaticità delle prestazione e si prescinde
dall’esistenza di requisiti di contribuzione.
Questa maggiore effettività si spiega con la particolare valutazione che l’ordinamento ha del bisogno in cui si
trova chi è vittima di un infortunio sul lavoro. In questo caso, alla valutazione meramente oggettiva del
bisogno che deve essere eliminato, si aggiunge una valutazione soggettiva che attiene alla causa generatrice
di esso. Chi si trova in condizioni di bisogno a causa del proprio lavoro merita una considerazione particolare
e una tutela più intensa, quasi a compensare la circostanza che in si è venuto a trovare in quelle condizioni
per aver contribuito al benessere di tutta la collettività. Questa valutazione ha già trovato riscontro nella
istituzione della pensione per invalidità o per morte per causa di servizio, e ad essa corrisponde l’estensione
della tutela contro gli infortuni sul lavoro a soggetti che non sono lavoratori subordinati.
Se la particolarità della tutela per gli infortuni sul lavoro sta nella intensità della sua efficienza, e se questa si
giustifica con il rilievo attribuito alla causa generatrice del bisogno, appare inevitabile una conclusione: tutte
le limitazioni di quella tutela, disposte in funzione della presunta pericolosità di certi lavori, e tutti gli aspetti
della disciplina legislativa che ancora rispecchiano l’originaria funzione di assicurazione della responsabilità
civile dei datori di lavoro, costituiscono palesi incongruenze rispetto alla funzione che ormai è propria di
questa forma di tutela previdenziale. La Corte Costituzionale, in riguardo a tali limitazioni della tutela, ha
affermato l’esistenza di una presunzione juris et de jure della pericolosità del lavoro, destinata ad operare
anche in assenza di un rischio effettivo e concreto.
58. L’ambito di applicazione della tutela per gli infortuni sul lavoro nell’industria: a) le lavorazioni
pericolose
La tutela per gli infortuni sul lavoro trova applicazione a tutti i lavoratori subordinati e non, come in origine,
solo a quelli dell’industria. È significativo che la tutela infortunistica sia stata estesa anche ai lavoratori
dell’area dirigenziale, ai lavoratori parasubordinati e a progetto, agli sportivi professionisti dipendenti,
nonché, mediante l’istituzione di un fondo autonomo speciale presso l’INAIL, anche a ciascun componente
del nucleo familiare che svolge lavoro domestico in via esclusiva. Sennonché nei fatti la tutela per gli
infortuni sul lavoro resta limitata soltanto ai lavoratori la cui attività comporti una più intensa esposizione al
rischio dell’infortunio.
L’ambito di applicazione della tutela è delimitato dalla legge in base a due criteri che devono trovare
applicazione in concorrenza tra loro:
il primo attiene alle lavorazioni considerate pericolose e quindi protette,
il secondo attiene alle persone ammesse alla tutela
Le lavorazioni sono definite a loro volta secondo due criteri diversi:
in primo luogo la legge fa riferimento alla pericolosità derivante sia dall’attività svolta, sia dall’ambiente in
cui l’attività si svolge. Così la legge considera pericolosi tutti i lavori che comportino l’uso di macchine
mosse non direttamente dalla persona che le usa, l’uso di apparecchi a pressione. La pericolosità della
macchina, intesa come qualsiasi meccanismo utilizzato per ottenere un maggiore rendimento con sforzo
minore, sta nel fatto che, essendo il suo funzionamento determinato da una forza estranea all’operatore,
sfugge al controllo di questo. La legge considera pericoloso anche il lavoro di quanti siano addetti a lavori
che siano complementari o sussidiari a quelli che comportino l’uso delle macchine.
in secondo luogo la legge ha riguardo alla pericolosità del lavoro svolto, indipendentemente
dall’utilizzazione o no di macchine o impianti. La stessa legge detta un elenco di 28 lavorazioni che sono
considerate lavorazioni pericolose. La legge assimila a queste, anche quelle ad esse complementari o
sussidiarie a condizione che non si svolgano in locali diversi e separati da quelli nei quali si svolge la
lavorazione principale.
dipendenze e sotto la direzione altrui opera manuale retribuita, qualunque sia la forma di retribuzione”. Con
tale formula (in modo permanente o avventizio) si ritiene che la legge abbia voluto dichiarare l’irrilevanza
della continuità del rapporto di lavoro.
Più complesso è il requisito della manualità del lavoro. Esso continua ad essere richiesto dalla legge in
relazione alla concezione per cui pericolose sarebbero soltanto le lavorazioni che impegnano fisicamente la
persona che lavora. Non se ne può trarre però la conclusione per cui tutti gli impiegati sarebbero sempre e
comunque esclusi dalla tutela per gli infortuni sul lavoro. Occorre far riferimento al tipo di mansioni
effettivamente svolte; quindi si potrebbe riscontrare l’esistenza di impiegati ai quali si estende la tutela per
gli infortuni sul lavoro e di operai che ne potrebbero restare esclusi. Nel valutare a questo effetto le mansioni
svolte, non sembra possibile utilizzare il criterio che conduce a distinguere a seconda che l’attività manuale
sia soltanto lo strumento per l’esplicazione di un’attività intellettuale oppure l’oggetto stesso dell’attività
dedotta in contratto. Appare quindi chiaro che il criterio della manualità del lavoro è superato. Peraltro tale
requisito non è richiesto per i sovraintendenti al lavoro altrui, per i lavoratori che pur non essendo addetti
direttamente a macchine, si trovino nel luogo di lavoro in cui vengono usate, per gli sportivi professionisti.
La tutela infortunistica si estende agli sportivi dilettanti, ai lavoratori italiani all’estero, e ai lavoratori in
aspettativa sindacale che svolgono attività comportante esposizione a rischio professionale.
61. L’ambito di applicazione della tutela per gli infortuni sul lavoro nell’agricoltura
Anche l’ambito di applicazione della tutela per gli infortuni sul lavoro in agricoltura è limitato dalla legge
mediante due criteri che devono essere applicati in concorrenza tra loro: l’esercizio di determinate attività
pericolose e la posizione in cui sono svolte.
Per l’agricoltura la legge non determina le attività che ritiene pericolose, bensì quelle che ritiene agricole,
per cui si ritiene che tutte le attività agricole siano pericolose.
Sono considerate agricole tutte le attività dirette alla coltivazione dei fondi, alla silvicoltura, all’allevamento
del bestiame ed attività connesse, anche se i lavori siano eseguiti con uso di macchine e non per conto e
nell’interesse dell’azienda conduttrice del fondo. Sono altresì considerate agricole le lavorazioni connesse,
complementari ed accessorie dirette alla trasformazione e all’alienazione dei prodotti agricoli, purché siano
svolte sul fondo dell’azienda o nell’interesse e per conto di un’azienda agricola o forestale.
La legge ha accolto una nozione particolarmente ampia di attività agricola. Questa ampiezza della nozione
deve essere spiegata in relazione ai bassi regimi contributivi imposti all’agricoltura anche per questa forma di
tutela previdenziale, per cui, la funzione della tutela previdenziale viene, in realtà, deformata a realizzare più
generali scopi di politica economica.
Ai fini della tutela infortunistica agricoltura, le persone protette sono tutti i lavoratori fissi o avventizi addetti
ad aziende agricole e forestali. Sono altresì considerate persone protette i proprietari, i mezzadri, gli
affittuari, le loro mogli e figli che prestino opera manuale abituale nelle rispettive aziende.
I requisiti di della manualità e dell’abitualità sono specificati dalla legge.
Tra i soggetti protetti, rientrano anche gli operai, assunti a tempo determinato o indeterminato, da pubbliche
amministrazioni o imprese per lavori di forestazione, irrigazione, miglioramenti fondiari, sistemazione
montana e rimboschimento. Infine, i dirigenti e gli impiegati, tecnici e amministrativi, dipendenti da aziende
agricole e forestali godono di una specifica tutela per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali
dall’ENPAIA.
Al tempo stesso la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità dell’art. 4 del d.p.r. n. 1124 del 1965,
nella parte in cui non prevede l’obbligo assicurativo per quanti siano costretti all’uso dell’automobile per
raggiungere il posto di lavoro.
Sennonché il legislatore ha delegato il Governo ad estendere la tutela infortunistica agli infortuni in itinere
ispirandosi al più recente orientamento giurisprudenziale.
La delega ha esteso la tutela a:
gli infortuni occorsi durante il percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro;
gli infortuni occorsi durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più
rapporti di lavoro;
agli infortuni occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di
consumazione abituale di pasti.
Non è indennizzabile l’infortunio occorso in caso di interruzione o deviazione del percorso del tutto
indipendenti dal lavoro o non necessitate e inoltre qualora l’infortunio in itinere risulti cagionato dall’abuso
di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti o allucinogeni, nonché quando il
conducente sia sprovvisto della abilitazione di guida.
A ben guardare, l’estensione apportata con la delega, esclude ogni rilevanza dell’occasione di lavoro.
Infatti soltanto la rilevanza attribuita all’occasione di lavoro consente di giustificare la limitazione della
tutela infortunistica ai lavoratori addetti a lavorazioni pericolose. Per contro tutti i lavoratori sono
egualmente esposti al rischio della strada, onde vi è una violazione del principio costituzionale di
eguaglianza. Si aggiunga inoltre che ai datori di lavoro è imposto l’onere della contribuzione destinata a
finanziare anche la tutela dell’infortunio in itinere senza che possano approntare alcuna specifica attività di
prevenzione dei quel rischio.
dispone che il grado di riduzione permanente dell’attitudine al lavoro debba essere rapportato non
all’attitudine al lavoro normale, ma a quella ridotta per effetto della preesistente inabilità.
Le concause sopravvenute di lesioni o di inabilità si hanno quando alla lesione o all’inabilità derivanti da un
infortunio si assomma una lesione o un’inabilità ad esso successiva. In questo caso la legge riconosce il
diritto del soggetto protetto a chiedere la maggiorazione della rendita di inabilità in caso di peggioramento
soltanto ove l’aggravamento sia derivato dall’infortunio.
Anche il danno estetico, dunque, quando per la ripugnanza che suscita crei difficoltà ad un’occupazione o
costringa il lavoratore a accettarne qualcuna in condizioni sfavorevole, può dar luogo a prestazioni
previdenziali.
Più complessa è la questione della rilevanza del danno biologico, e cioè del danno alla persona del
lavoratore.
La Corte Costituzionale aveva affermato la contrarietà ai principi costituzionali delle disposizioni che
determinano prestazioni che non tengono conto anche del danno inferto alla salute del lavoratore.
La Corte si era astenuta dal dichiarare l’illegittimità delle norme esaminate ed aveva invitato il legislatore a
disporre una riforma della disciplina vigente.
In tal modo la Corte aveva confermato l’indirizzo secondo il quale il diritto alla salute deve trovare
realizzazione nei rapporti tra privati, e la lesione di quel diritto provoca un danno in sé, danno che deve
essere risarcito indipendentemente dal danno economico.
Tuttavia il presupposto dal quale i giudici costituzionali avevano preso le mosse, e cioè che le prestazioni
economiche hanno una funzione risarcitoria limitata al danno economico, era errato almeno per due ragioni.
Da un lato perché presupponeva che la tutela infortunistica continuasse ad assolvere ad una funzione
risarcitoria, come se ancora fosse da ricondurre esclusivamente ad una assicurazione per la responsabilità
civile dei datori di lavoro e non assolvesse, invece, ad una funzione previdenziale.
Dall’altro perché non teneva conto dei criteri che presiedono alla determinazione dell’ammontare delle
prestazioni economiche alle quali l’infortunato ha diritto. E infatti, la riduzione permanente dell’attitudine al
lavoro è soltanto teorica. Il lavoratore infortunato o affetto da malattia professionale ben può continuare a
svolgere la stessa attività o a svolgerne un’altra, con produzione di reddito, nonostante che l’inabilità debba
essere riferita a qualsiasi lavoro genericamente proficuo e non soltanto a quello svolto al momento
dell’infortunio.
Tutto ciò esclude che le prestazioni di cui si tratta avessero una funzione esclusivamente risarcitoria. In realtà
quelle prestazioni prescindevano dal danno effettivo, ed erano condizionate da una valutazione complessiva
della situazione in cui si viene a trovare il lavoratore che ha subito un infortunio o ha contratto una malattia
professionale.
Anche la tutela previdenziale contro gli infortuni e le malattie professionali si realizzava mediante
l’erogazione di prestazioni che devono garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita, e quindi erogazione di
prestazioni che sono esclusivamente destinate a realizzare la liberazione dal bisogno che si presume derivare
dall’infortunio o dalla malattia professionale, al fine di consentire l’effettivo esercizio dei diritti civili e
politici.
Speciale disciplina perché provvisoria in quanto in attesa della definizione di carattere generale di danno
biologico, e perché la prestazione prevista nell’ambito del sistema d’indennizzo e sostengo sociale
sostituisce, e non si aggiunge, alla rendita per inabilità permanente.
Il danno biologico dà luogo ad un indennizzo sotto forma di capitale per danni fino al 15%, e per i danni
ulteriori sotto forma di rendita, determinata in base ad una tabella delle menomazioni di cui al decreto
ministeriale 12 luglio 2000.
Deve quindi ritenersi che il diritto all’indennizzo di cui trattasi sorge quando cessa il diritto all’indennità
giornaliera per inabilità temporanea.
Quando al menomazione conseguente a danno biologico, applicando la tabella risulta essere superiore al
16%, l’indennizzo è integrato da una ulteriore quota di rendita commisurata in base alla tabella dei
coefficienti, alla retribuzione percepita, al tipo di attività lavorativa svolta e alla ricollocabilità del soggetto
protetto.
Al finanziamento di questo aspetto della tutela infortunistica si fa fronte con un’addizionale dei premi e
contributi assicurativi.
formulazione di un unico concetto di malattia da lavoro, ricomprendente, in modo più aderente alla realtà,
tutte le alterazioni psicofisiche che trovano nel lavoro la loro genesi.
In questo quadro la Corte Costituzionale ha dichiarato la incostituzionalità delle norme che limitavano la
tutela delle malattie professionali a quelle indicate tassativamente nelle tabelle. Ne consegue che anche
malattie non ricomprese nella tabella danno luogo alla tutela previdenziale a seconda che venga provato che
si sono verificate a causa del lavoro prestato da chi ne è stato colpito. Da qui deriva l’attuale sistema
cosiddetto misto, in base al quale alcune malattie danno luogo alla tutela senza che sussiste per il lavoratore
l’onere di provare che sono state causate dall’attività lavorativa svolta; quelle non tabellate invece danno
luogo a tutela solo se il lavoratore prova che sono state causate dall’attività di lavoro.
Anche al fine di agevolare questa prova, è previsto che nell’elenco di malattie professionali denunciate dai
medici che ne riconoscono l’esistenza, siano inserite anche liste di malattie di probabile e possibile origine
lavorativa, da tenere sotto osservazione ai fini della revisione delle tabelle delle malattie professionali.
Infine, la Corte Costituzionale ha rimosso le limitazioni della tutela che derivano dalla regola secondo la
quale le prestazioni erano dovute soltanto quando la malattia professionale si fosse manifestata entro un
determinato periodo di tempo dall’abbandono delle lavorazioni considerate morbigene. Il diritto alle
prestazioni previdenziali economiche sorge soltanto quando la riduzione permanente della capacità
lavorativa è superiore al 10%.
professionale. Nessuna innovazione è stata portata alle disposizioni contenute nel t.u. 1124 del 1965 e
concernenti le prestazioni di assistenza sanitaria, curativa e riabilitativa, che devono essere comunque
garantite agli invalidi del lavoro.
La legge di riforma sanitaria ha, invece, disposto che con legge regionale dovrà essere disciplinato il
coordinamento, anche mediante convenzioni, fra l’erogazione delle prestazioni e gli interventi che l’INAIL è
tenuto a porre in essere in favore degli infortunati e tecnopatici compresi gli accertamenti e le relative
certificazioni.
Le prestazioni sanitarie consistono nell’erogazione delle cure mediche e chirurgiche necessarie per tutta la
durata dell’inabilità temporanea ed anche dopo la guarigione clinica, in quanto occorrano a recuperare la
capacità lavorativa.
Tuttavia, anche quando la lesione si sia definitivamente consolidata, l’INAIL può chiedere che la erogazione
delle prestazioni sanitarie continui in favore del soggetto protetto.
Sennonché la tutela della salute fisica e psichica del lavoratore infortunato o che abbia contratto una malattia
professionale, debba ormai avvenire nel rispetto della dignità e della piena libertà del medesimo. Pertanto in
caso di rifiuto del soggetto protetto di sottoporsi a tali cure, non si ha né la perdita del diritto all’indennità per
inabilità temporanea, né la riduzione della rendita alla misura presunta alla quale sarebbe stata ridotta ove si
fosse sottoposto alle cure prescritte.
nel secondo caso invece le rendite sono calcolate allo stesso modo dell'indennità giornaliera, sempre
relazione grado di inabilità
Anche tali rendite sono revisionate ogni anno; e anche all'agricoltura si aggiungono le quote integrative per il
le carico di famiglia.
Infine è da ricordare come dopo il primo decennio di erogazione della rendita per inabilità permanente se
questa è di grado superiore al 10 e inferiore al 16% per i lavoratori industria e di grado inferiore al 20% per i
lavoratori dell'agricoltura, è data la facoltà soggetto protetto di chiedere il riscatto.
75 d) la rendita ai superstiti.
Ove dall'infortunio sul lavoro o dalla malattia professionale sia derivata la morte del soggetto protetto, la
legge attribuisce ai superstiti il diritto ad una rendita ragguagliata al 100% della retribuzione annua goduta
dal defunto.
Tale rendita compete al coniuge superstite, nella misura del 50%, fino alla morte o al nuovo matrimonio,
anche se in questo secondo caso è corrisposta una somma pari a tre annualità di rendita.
Nei casi in cui tra i superstiti ci siano figli, la rendita spetta ad essi nella misura del 20%, fino alla
raggiungimento di 18 anni o in raggiungimento del ventunesimo anno di età ,se studenti di scuola media o
professionale e per tutta la durata normale corso, ma non oltre il ventiseiesimo anno se studenti universitari.
Sono equiparati ai figli gli altri discendenti viventi a carico del defunto, se orfani di ambedue i genitori o se
inabili al lavoro.
Spetta invece il 40% ai figli orfani di entrambi genitori anche adottanti. La corte costituzionale ha accolto
l'interpretazione della cassazione che ha equiparato all'orfano originario di entrambi genitori anche il minore
che diventa orfano per successivo decesso del genitore sopravvissuto.
In mancanza del coniuge o dei figli, la rendita spetta ciascuno degli ascendenti e dei genitori adottanti, in
ogni caso però la somma complessiva delle rendite ai superstiti non può superare l'importo dell'intera
retribuzione percepita dal soggetto protetto.
Ove l'importo sia superiore, ciascuna delle rendite viene proporzionalmente ridotta entro il limite. Peraltro la
Corte costituzionale con la sentenza 544 delle 90 ha stabilito che la prescrizione triennale dell'azione
giudiziaria degli eredi decorre dal momento della morte. Successivamente ha mantenuto fermi gli articoli
112 e 135 delle t.u.n. 1124 della 65 nella parte in cui individuano il momento in cui la malattia si è
consolidata,nel minimo indennizabbile.
Infine la legge prevede l'erogazione coniuge superstite o ai figli anche di un assegno una tantum
Quella tecnica inoltre ostacola l'estensione di questa forma di tutela previdenziale a tutti i lavoratori e
costituisce la ragione delle resistenze dei datori di lavoro ad una disciplina meno rigorosa dei limiti di
applicazione di quella tutela.
78 l'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per l'infortunio e la malattie professionali.
La legge esonera espressamente datori di lavoro dalla responsabilità civile derivante dall'infortunio salvo che
l'infortunio sia avvenuto per il fatto stessoi che costituisce il reato o attuato dallo stesso datore di lavoro o da
un altro lavoratore.
Tale disposizione nega al lavoratore il diritto di ottenere dal suo datore di lavoro il risarcimento dei danni
eccedenti le prestazioni previdenziali, anche nei casi in cui l'infortunio si sia verificato per colpa di
quest'ultimo.
Per capire la portata di questo limite è da considerare:
- da un lato che il diritto a queste ultime sorge solo quando dall'infortunio sia derivata la perdita o
la riduzione delle attitudine al lavoro.
- dall'altro come le prestazioni economiche siano comunque mantenute entro certi massimali.
La corte costituzionale ha ritenuto che principio della parità di trattamento sancito dall'art 3 della cost. non
sia affatto violato dalla norma che esonero il datore di lavoro dalla responsabile civile dell'infortunio occorso
dai suoi dipendenti, infatti è stato ritenuto che la disparità di trattamento che si determina trovi una
ragionevole giustificazione nella circostanza che le disposizioni che regolano la tutela infortunistica
prevedano un sensibile beneficio per i lavoratori .
Inoltre la Corte costituzionale ha ritenuto che quell' esonero non contrasti neppure con l'art 38 dalla cost.
Appare così evidente come la Corte:
da un lato abbia continuato ad accogliere la concezione tradizionale per cui tutela previdenziale e
risarcimento dei danni vanno considerati sullo stesso piano,
dall'altro abbia compreso la sostanziale differenza che vi è tra prestazioni previdenziali e il
risarcimento dei danni: infatti le prime sono erogate nell'interesse pubblico e non realizzano la
liberazione dal bisogno del lavoratore infortunato,mentre le seconde invece prescindono dal bisogno
e mirano a restaurare il pregiudizio patrimoniale arrecato dall'autore di un semplice fatto illecito a
chi ne è rimasto vittima.
Nel complesso però la giustificazione dell'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile di
infortunio data la corte costituzionale, è la stessa che veniva formulata circa settant' anni fà. E’ poi da
osservare come la corte ha limitato l'esonero: da un lato intervenendo ripetutamente sul disposto di articoli
10.11 del d.p.r. 1124 del 65, dall'altro facendone applicazione alla sola responsabilità per danni economici
derivanti dall'inabilità.
Per il cosiddetto danno biologico e per quella la vita di relazione la Corte ha ritenuto invece che sussista una
responsabilità del datore di lavoro, nell'errato presupposto che i risarcimenti di tali danni sarebbero
riconducibili ad una responsabilità del datore di lavoro diversa da quella espressa dall'obbligo di risarcire il
danno economico.
L'estensione della tutela previdenziale per gli infortuni professionali al danno biologico pone però il
problema di sapere se l'esonero della responsabilità civile dei datori di lavoro riguardi ormai anche il danno
biologico quale componente delle conseguenze lesive dell'infortunio.
79-ORIGINE ED EVOLUZIONE
Il primo intervento pubblico volto a realizzare una tutela previdenziale per la vecchiaia si ebbe con
l’istituzione della Cassa nazionale di previdenza.
Ossia la cassa doveva potevano iscriversi volontariamente tutti i cittadini italiani che svolgessero lavori
manuali.
La cassa era finanziata dai contributi degli iscritti, nonché anche da una quota di concorso da parte dello stato
e anche da versamenti di terzi.
Si trattava cosi di una vera e propria mutua assicuratrice che provvedeva alla tutela della vecchiaia ed
eventualmente alla invalidità.
Tale previdenza volontaria si trasformò in obbligatoria solo dopo l’istituzione della Cassa nazionale per le
assicurazioni sociali,dove la tutela vene estesa per la 1° volta anche agli impiegati, a condizione però che
non ricevessero retribuzioni superiori a 350 lire al mese.
Al finanziamento si provvedeva attraverso contributi posti a carico sia dei datori di lavoro che dei prestatori
mentre lo stato interveniva con un contributo di 100 lire annue per ogni pensione liquidata.
La Cassa nazionale per le assicurazioni sociali erogava pensioni, determinate in proporzioni ai contributi
versati in caso di vecchiaia e anzianità.
Il sistema poi venne perfezionato con L. 1827/1935 e con Decreto Legge 636/1939 che portarono a
Innovazioni:
da un alto: all’introduzione del principio di automaticità delle prestazioni anche nella tutela previdenziale
per l’invalidità,vecchiaia e superstiti. Cosi l’originaria concezione assicurativa era stata superata
dall’introduzione della regola per cui l’ammontare delle pensioni doveva essere determinato in funzione
delle ultime retribuzioni.
Dall’altro: la tutela per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti ha avuto un’estensione notevole, infatti non
riguarda più solo i lavoratori subordinati, ma tutte le categorie di lavoratori autonomi. Anzi una particolare
tutela fu data alle persone in disagiate in condizioni economiche anche se non lavoratori.
Ciò naturalmente avvenne con l’istituzione di nuovi enti o nuove gestioni autonome nell’ambito di quelle
gia esistenti.
La grossa varietà di strutture e di situazioni impone una limitazione della trattazione sul regime di
invalidità,vecchiaia e superstiti subordinati, gestiti dall’Istituto Nazionale della previdenza sociale (INPS)
Che è un istituto determinante non solo da un punto di vista quantitativo (per il gran numero dei sogg. per il
quale si applica) ma anche da un punto qualitativo, dato che ha caratteristiche tali da indurre a considerarlo
come la più interessante manifestazione di forma di tutela previdenziale.
La conferma di ciò si può trarre:
da un lato, dalla previsione della pensione unica erogata da regime generale gestito dall’INPS x i lavoratori
subordinati
dall’altro, dall’adempimento del dir. alla posizione contributiva conseguente alla generalizzazione
dell’istituto
Per i lavoratori dipendenti da privato o enti pubblici economici, la tutela previdenziale è realizzata dal
regime generale gestito dall’INPS.
La tendenza all’espansione del regime generale è stata realizzata anche con l’adozione del regime sostitutivo
dei dirigenti di azienda industriali gestito dall’INPDAI (istituto nazionale di previdenza dei dirigenti
industriali) che è stato ormai soppresso. Quindi anche i dirigenti delle azienda industriali sono iscritti al
regime generale.
All’INPS non è però affidata la tutela dei lavoratori subordinati dipendenti da privarti.
Esistono infatti regimi speciali gestiti da enti diversi dall’INPS, che riguardano particolari categorie di
lavoratori subordinati, per i quali la tutela è disciplinata in maniera parzialmente diversa.
I regimi speciali possono infatti essere: esclusivi,sostitutivi o integrativi.
Cosi ad es un regime esclusivo è INPDAP, che realizza una tutela per l’invalidità,vecchiaia e superstiti dei
dipendenti civili e militari dello stato, nonché del personale degli enti locali e degli enti di dir pubblico.
Ma la diversità rispetto all’INPS è ormai molto attenuata dato la tendenza all’omogeneizzazione delle tutele
previdenziali,che comporta l’assoggettamento di tutte le prestazioni per invalidità,vecchiaia e superstiti alle
stesse regole dettate per l’INPS.
Sono poi anche per effetto dell’omogeneizzazione stati soppressi i regimi sostitutivi di quello generale
istituiti per singole aziende.
Restano invece i regimi sostitutivi dei giornalisti iscritti nell’INPGI (istituto nazionale di previdenza dei
giornalisti professionali) , e per i lavoratori dello spettacolo iscritti nell’ENPALS (ente nazionale di
previdenza e assistenza lavoratori dello spettacolo).
Altri regimi speciali sono gestiti dall’INPS per i lavoratori autonomi , mentre per i liberi professionisti
abbiamo una tutela gestita da casse di previdenza categoriale.
A questi va aggiunto EPAP ossia l’ente di previdenza assistenza pluricategoriale che gestisce la tutela dei
professionisti per i quali non vi era un apposito regime.
I regimi integrativi realizzano invece una tutela che si aggiunge a quella generale e cosi rappresentano una
mutualità.
Una organizzazione amm. cosi articolata e la diversità di discipline non sempre sono giustificate da esigenze
obiettive, ma spesso derivano da ragioni contingenti.
Passi imp. Verso una unificazione dei trattamenti sono stati compiuti dalla eliminazione dei regimi
pensionistici esclusivi dei banchi meridionali (banco di Sicilia e banco di Napoli)
Quei regimi e fondi sono stati trasformati in regimi e fondi integrativi a seguito del trasferimento nel regime
generale gestito dall’INPS di tutte le posizioni già accese presso di loro.
Ed infatti quando in tali regimi non si verificano i presupposti per il sorgere del dir a prestazioni
previdenziali , la posizione del sogg. protetto viene riconosciuta nel regime generale.
Detto principio è rafforzato dall’art 1 L.29/1979 e dall’art 1 D.Lg 184/97, che prevedono il ricongiungimento
dei contributi versati nei regimi speciali sostitutivi,senza oneri per gli interessati, nonché dalla
totalizzazione .
La totalizzazione infatti consente di utilizzare le anzianità contributive non coincidenti e di durata non
inferiore a 6 anni, per il raggiungimento dei requisiti contributivi richiesti per il sorgere del diritto a pensione
di anzianità ,vecchiaia,inabilità o superstiti.
Ma la corte pur dichiarando l’illegittimità della mancata previsione della facoltà di scelta fra ricongiunzione
e totalizzazione ha escluso che nel nostro ordinamento la totalizzazione abbia carattere generale (poiché la
scelta spetta al legislatore).
L’esercizio di essa non richiede oneri per chi lo esercita. Il lavoratore cosi dovrà presentare la domanda
all’ente previdenziale dove è iscritto (è punto di riferimento per determinare la decorrenza dei trattamenti
pensionistici).
L’art 2 l L. 29/79 prevede anche la ricongiunzione dei periodi contributivi risultanti nel regime generale a
quelli maturati nei regimi special, ma in tal caso esso è a titolo oneroso.
Stessa facoltà è prevista dalla L. 45/90 per consentire ai liberi professionisti di ricongiungere le varie attività
lavorative svolte.
Ciò colma il vuoto lasciato dalla L. 29/79.
83 – I SOGGETTI PROTETTI
La tutela previdenziale realizzata dal regime generale dell’invalidità, si estende a tutti coloro che abbiano
compiuto la l’età di 14 anni e prestino lavoro retributivo alle dipendenze altrui.
Peraltro la Corte cost. ha ravvisato un contrasto delle norme di legge, che limitavano la tutela del
previdenziale ai lavoratori che prestano la loro attività in Itali,con l’art 35 cost.
Il vuoto determinato da tali sent. è stato poi colmato con dalla L. 198 /1987 che disciplina anche gli aspetti
previdenziali del lavoro italiano all’estero,quando viene svolto in paesi non comunitari e con i quali siano
state stipulate convenzioni.
Quella dell’invalidità è una forma di tutela che ha estensione generale ,senza limitazioni.
Cosi si puo capire come l’unica limitazione posta, ossia il compimento dei 14 anni, non sia in realtà un vero
e proprio limite alle tensione della tutela.
Ed infatti la legge,vieta il lavoro ai minori di 14 anni, però stabilisce che se hanno effettivamente lavorato,
hanno diritto alle prestazioni assicurative, attribuendo agli enti previdenziali cosi il dir di esercitare rivalsa
verso il datore .
Allo stesso modo la legge dispone che i contributi previdenziali siano dovuti anche per i lavoratori che
continuino o inizino a svolgere un’attività lavorativa.
Cosi anche chi inizia a tarda età a lavorare puo maturare diritti per l’invalidità,vecchiaia e superstiti.
La corte infatti ha chiarito come l’obbligo dell’assicurazione alla prestazione dell’attività lavorativa e alla
relativa retribuzione sussiste indipendentemente dal raggiungimento di ogni limite di età del lavoratore.
Va tenuto conto pii che i requisiti di contribuzione assicurazione si possono realizzare anche senza che vi sia
stato un versamento di contributi da parte del datore di lavoro.
La legge dispone che in casi in cui il rapporto di lavoro rimane sospeso (malattia, infortunio, maternità etc)
contributi figurativi possono essere accreditati d’ufficio o su domanda dell’interessato.-
Questi contributi sono dati anche durante i periodi di disoccupazione e di ricovero a seguito di:
tubercolosi,aspettative per funzioni pubbliche o cariche sindacali, causa di persecuzione politica o razziale.
Oggi la disciplina dettata dalla L. 155 /81 è stata ridisciplinata con L.355/95 che ha introdotto disposizioni
di immediata a attuazione in tema di contribuzione figurativa per maternità.
Poi vi sono state le modifiche introdotte dalla D.Lgs 278 /98 (ha alzato i i periodi di contribuzione figurativa
per malattia e infortunio sul lavoro) e dalla L. 53 /2000 (estende la copertura da contribuzione figurativa
anche per i periodi di gestione facoltativa in favore della lavoratrice madre (figlio da 3 a 8 anni), con
possibilità di avvalersi della contribuzione da riscatto).
Poi in attuazione dell’ art 15 L.53/00 è stato emanato il testo unico delle, disp legisl imìn materia di sostegno
della maternità.
La contribuzione figurativa è stata estesa ai permessi in favore dei genitori con figli portatori di handicap
gravi.
Una particolare forma è stata poi data ai centralinisti non vedenti inclusi in det elenchi, ma oggi estesa a tutti
i lavoratori non vedenti. Si assegna infatti al centralinista non vedente, 4 mesi di contribuzione figurativa
utili ai soli fini del dir. alla pensione e alla anzianità contributiva.
Analoga tutela per i sordomuti e gli invalidi oltre al 74% in ragione di 2 mesi di contributi figurativi per ogni
hanno di lavoro svolto e fino ad un max di 5 anni.
Inoltre la legge consente l’accredito dei contributi omessi, ponendone l’ammontare a carico della gestione
dell’invalidità,vecchiaia e superstiti. Cosi anche in tali casi i lavoratori possono realizzare i requisiti di
contribuzione e di assicurazione,se sia mancato l’effettivo versamento dei contributi previdenziali.
Dall’altra parte il lavoratore una volta estinto il rapporto è autorizzato a proseguire il versamento volontario
dei contributi, che cosi sono considerati utili sia ai fini del diritto e sia per il calcolo dell’ammontare delle
pensioni.
Tale contribuzione volontaria è autorizzata anche nella disciplina del lavoro intermittente quando il
lavoratore voglia integrare i contributi obbligatori versati con riguardo ai periodi nei quali ha ottenuto una
contribuzione + bassa o ha avuto una indennità di disponibilità.
La corte ha dichiarato l’illegittimità cost dell’art 3 L.297/82 nella parte in cui faceva derivare dalla
contribuzione volontaria una diminuzione,e non ujn incremento della trattamento pensionistico spettante. La
corte ha affermato il princ. per cui nella fase successiva al perfezionamento del requisito minimo,l’ulteriore
contribuzione è destinata a incrementare il livello di pensione già consolidato. Ha dichiarato infine
l’illegittimità dell’art 14 L.153/69,nella parte in cui prevedeva un criterio di calcolo della pensione che ne
diminuisce l’importo.
Dall’altra parte il rilievo dato ai requisiti della contribuzione è stato mitigato con l’introduzione del princ. di
automaticità delle prestazioni anche nelle tutela per l’invalidità,vecchiaia e superstiti.
La legge ha disposto che il requisito di contribuzione stabilito per il dir alle prestazioni di vecchiaia,invalidità
e superstiti, si intende verificato anche quando i contributi non siano effettivamente versati .
Altra garanzia è data per il caso in cui il datore sia assoggettato a procedure concorsuali. La legge consente
al lavoratore di chiedere che quei contributi siano considerati utili a tutti gli effetti.
,attribuendo all’istituto previdenziale azione di regresso verso il datore per un importo corrispondente alla
liquidazione.
Il princ dell’automaticità delle prestazioni non trova invece applicazione rispetto al lavoro autonomo.
La parzialità con cui il princ. di automaticità ha travato attuazione sta in cio che non è assegnata rilevanza a
tutti i contributi non versati, ma solo a quelli che non siano prescritti. Questi però sono esigibili all’INPS,
dato che la nuova disciplina suìi limita a trasferire all’ente il rischio dell’inadempimento del datore.
Cosi sis deve ritenere che l’ente previdenziali sia tenuto ad impedire tale prescrizione e che ne risponda nei
confronti del sogg. protetto, almeno se questo attua denuncia.
Del resto la legge impone all’INPS anche l’obbligo di inviare a ogni lavoratore un estratto conto contente
l’indicazione della retribuzione denunciata dal datore, consentendo cosi un controllo costante.
A partire dal 1° gen 96 è stato introdotto un nuovo sistema di calcolo delle pensioni detto contributivo. Il
calcolo in questo sistema ha il suo punto di partenza nell’accantonamento annuale di un ammontare di
contributi pari al 33% della retribuzione imponibile .la somma dei singoli importi annuali è il montante
individuale.
L’ammontare annuo si ottiene moltiplicando il montante contributivo individuale per il coefficiente
determinato dalla legge.
Tale criterio non rappresenta certo un ritorno al passato,dato che prima la pensione si determinava solo in
base alla contribuzione versata, mentre l’attuale varia a seconda della durata residua della vita. La pensione
peraltro non sorge come una rendita ma come capitale produttivo di una rendita variabile con l’età di
accesso.
Peraltro la sostituzione del sistema retributivo con il nuovo, andrà a regime con gradualità.
La legge ha infatti previsto che la liquidazione della pensione avvenga:
interamente con il nuovo sistema retributivo(per coloro che avranno maturato un anzianità di almeno 18 anni
entro il 31 dic 95)
ed esclusivamente con il sistema contributivo (per coloro che non rientrano nei precedenti parametri e per
chi opti volontariamente per tale sistema)
l’adozione integrale del sistema contributivo a seguito di opzione è stata prima sospesa, e poi disciplinata in
modo piu restrittivo, essendo troppo oneroso.
L’art 59 L.449/97 ha reso però piu veloce il ritmo delle modifiche della L. 335/95
Senonchè la legge ha abolito l’integrazione al trattamento minimo per le pensioni liquidate con il sistema
contributivo, dopo il 1° gennaio 1996. Dovuto da un lato al mantenimento della spesa previdenziale e
dall’latro per valorizzare periodi contribuivi che prima erano infruttiferi.
Peraltro il legislatore ha disposto l’incremento del trattamento pensionistico per i pensionati con + di 70
anni,alla data 31 dic 01, se inferiore a 1 milione di lire per tredici mensilità.
A partire dal 1°gen 02, la cosiddetta pensione minima è integrata sino al raggiungimento di un importo pari
a 516,46 euro rivalutato annualmente secondo gli indici ISTAT.
L’integrazione spetta anche: ai titolari di assegno sociale, titolari di pensione sociale, titolari trattamenti
pensionistici trasferiti all’INPS, ai cechi civili con pensione; nonché ai 60enni, agli invalidi civili,
ciechi,sordomuti con pensione etc.
Per avere diritto all’incremento, il pensionato non deve fruire di redditi propri (salvo la casa) pari o superiori
a 11,339 euro e se cumulati con il coniuge allo stesso importo incrementato dell’importo annuo dell’assegno
sociale.
L4 stesse esigenze di solidarietà avevano spinto a un massimo anche che però era stabilito solo in modo
indiretto. Con la legge si disponeva che non si dovevano prendere in considerazione le retribuzioni che
avessero superato il limite massimo della tabella in vigore, aumentata del 5%..
Piu recentemente si fissava una cifra di 68.000.000 lire nel 2001,da adeguare annualmente in base alla
perequazione economia.
Poi gli art 21 L.67/88 e art 3 L.160/88 hanno disposto che anche le retribuzioni eccedenti il limite massimo
di retribuzione pensionabile vengano considerate,solo con coefficenti minori.
La corte poi con alcune sentenze ha esteso cio anche quelle pensioni liquidate prima del 88.
Per i lavoratori che al 31 dic 95 non avessero maturato alcuna anzianità contributiva e chi esercita la
ripristinata opzione per il nuovo sistema contributivo, la legge ha previsto un nuovo massimale di
132.000.000 lire rivalutabili annualmente e cosi pari a 87.000 euro circa.
Mentre per contro va osservato che si tratta di uno pseudo problema sia perché dalla soluzione che è data non
derivano rilevanti conseguenze pratiche e sia perché le maggiorazioni per i familiari avevano la stessa
funzione della pensione, adeguandone l’ammontare alla situazione di bisogno.
Peraltro tale atteggiamento va man tenuto.
Infatti :
da un lato va osservato come anche degli assegni per il numero familiare costituiscano una prestazione
previdenziale
dall’altro come tutte le prestazioni previdenziali siano funzionalizzate al perseguimento dello stesso fine, e
cioè alla liberazione del bisogno.
All’inizio la legge aveva disposto il divieto totale di cumulo delle pensioni d’invalidità e vecchiaia con
retribuzione e con altri redditi.
In seguito il divieto di cumulo è stato limitato alla parte eccedente i trattamenti minimi e ha previsto la non
cumulabilità della quota di pensione di vecchiaia con la retribuzione nella misura del 50% e fino alla
concorrenza della stessa retribuzione.
Il parziale divieto di cumulo è stato poi esteso a tutti i regimi previdenziali.
Per le pensioni di anzianità maturate dopo il 30 sett 96 la legge ha vietato il cumulo con i redditi da lavoro di
qualsiasi natura, eccetto il caso del pensionato che avesse maturato i requisiti di età per la pensione di
vecchiaia.
Allo stesso modo è stato vietato il cumulo tra retribuzione e pensione di invalidità.
La L. 335/95 ha anche stabilito il divieto parziale di cumulo di trattamenti pensionistici ai superstiti con
reddito del beneficiario.
Infine la stessa legge ha disposto per i titolari (con - di 63 anni) di pensione di vecchia unificata, il divieto
totale del cumulo con la retribuzione. Il cumulo è consentito nel limite del 50% della parte eccedente il
trattamento minimo ,solo a condizione che sia stata raggiunta un età pari o superiore a 63 anni e
indipendentemente dall’età se i rediti derivano da lavoro autonomo.
La disciplina è stata modificata con L. 388/00 che ha revocato all’art 72 il divieto di cumulo tra prestazioni
pensionistiche e redditi da lavoro autonomo e dipendente.
Dal 1° genn 2001 le pensioni di vecchiaia sono divenute cumulabili con i redditi da lavoro autonomo e
dipendente..
Se invece l’anzianità contributiva è inferiore a 40 anni, resta il divieto del cumulo con i redditi da lavoro
subordinato, mentre la pensione è cumulabile per intero con i redditi da lavoro autonomi fino al limite del
trattamento minimo e parzialmente (70%) per la parte eccedente il trattamento m minimo.
Stessa disciplina era stata dettata per le pensioni di anzianità,ma la legge poi ha previsto la totale
cumulabilità tra reddito di lavoro dipendente e pensione di anzianità quando questa sia conseguita con 37
anni di retribuzione e 58 anni di età ed stendendo tale disciplina ai gia pensionati.
Resta invece il divieto parziale di cumulo dei trattamenti pensionistici ai superstiti con i redditi del
beneficiario,per la parte eccedente il trattamento minimo.
Mentre per tornare ai requisiti , bisogna ricordare che la legge ha stabilito che le prestazioni di invalidità
debbano essere ugualmente erogate anche quando i requisiti richiesti risultano posseduti prima della sua
definizione o della decisione del successivo ricorso in via amministrativa.
In questo caso però, la decorrenza è spostata al 1° giorno del mese successivo a quello in cui quei requisiti si
sono verificati.
La corte cost. ha dichiarato l’illegittimità della norma nella parte in cui escludeva da tale possibilità i
lavoratori dipendenti.
La legge dispone anche che il giudice deve tener conto dell’eventuale aggravamento della malattia, e dispone
per le persone in stato di bisogno la possibilità di una liquidazione della pensione da parte dell’INPS.
Invalidità e inabilità non solo costituiscono eventi diversi a ragione delle diverse caratteristiche, ma danno
luogo all’erogazione di prestazioni previdenziali diverse.
L’invalido ha dir ad un assegno,che è erogato per un periodo di 3 anni,ma su domanda dell’interessato può
essere prorogato, se è mantenuto lo stato di invalidità.
Dopo 3 riconoscimenti consecutivi, però la legge prevede che l’assegno di invalidità sia confermato
automaticamente, e cosi assume il carattere di erogazione permanente tipico della pensione,salva la
possibilità di una revisione.
L’assegno è calcolato secondo la disciplina vigente per il regime generale per i lavoratori dipendenti che
regola l’ammontare della pensione .
Ne deriva che l’integrazione dell’assegno non puo essere superiore all’importo dell’assegno sociale,sempre
che non superi i trattamenti minimi di pensione.. puo cosi accedere che nonostante l’integrazione,l’assegno
di invalidità risulti inferiore all’importo del trattamento minimo di pensione.
Tale disciplina ha fatto sorgere dubbi di legittimità cost. con l’art 3 e 38 cost.
Tale assegno non spetta ai sogg. che posseggono redditi propri assoggettabili all’imposta sul reddito delle
persone fisiche per un importo superiore a 2 volte l’ammontare annuo della pensione sociale e di 4 volte se
cumulato col, coniuge.
Anche la disciplina che fa riferimento al cumulo dei redditi familiari è sospetta di illegittimità cost sempre
per contrasto all’art3 e 38 cost. ma la corte ha ritenuto infondata la questione.
Durante il godimento dell’assegno, il beneficiario puo proseguire lo svolgimento di una attività lavorativa ,
ma si applica però la disciplina del cumulo fra pensione e redditi da lavoro subordinato.
La L. 22/ 84 infine prevede che al raggiungimento dell’età pensionabile l’assegno di invalidità si trasformi in
pensione da vecchiaia. Non è possibile invece la conversione della pensione di invalidità in pensione di
anzianità
Questa non potrà comunque essere inferiore all’assegno di invalidità, mentre si considerano utili anche i
periodi in cui vi è stato il godimento dell’assegno di invalidità.
La pensione di inabilità non poteva essere liquidata a quei lavoratori che avessero presentato domanda dopo
aver raggiunto l’età pensionabile. Questa disp. è stata sospettata di illegittimità cost per contrasto con art 3 e
38 cost. La corte cost. ha ritenuto infatti fondati questi sospetti e ha dichiarato l’illegittimità cost. dell’art 3 L.
222 / 84. Mentre ha ritenuto legittima l’art 2 sempre di tale legge che non consentiva il conseguimento della
pensione di inabilità a coloro che siano titolari i pensione di invalidità, pur essendo affetti da inabilità
assoluta.
La Corte dopo aver ritenuto dapprima infondata la questione ha poi risolto il problema stabilendo
l’illegittimità cost. dell’art 10 del r.d.l. 636/39 che consentiva il sorgere del diritto a pensione di invalidità in
caso di rischio precostituito.
Ora invece ola legge stabilisce che il dir all’assegno preesiste al rapporto assicurativo,purchè vi sia stato un
successivo aggravamento o siano intervenute nuove infermità
La dispone, che prevedeva che la pensione decorre dal 1° giorno dl mese successivo a quello nel quale il
sogg protetto ha compiuto l’età pensionabile o al mese in cui risultano soddisfatti i requisiti di assicurazione
e di contribuzione, è stata poi modificata quando la si è condizionata alla cessazione del rapporto do lavoro
Ed infatti quella pensione ha decorrenza dal mese successivo a quello in cui è cessato il rapporto di lavoro. È
fatta salva la facoltà del sogg. protetto di ottenere la pensione di vecchia con decorrenza dal mese successivo
a quello della presentazione della domanda.
Se i requisiti per aver diritto alla pensione si realizzano dopo la domanda, ma prima della sua definizione, la
pensione è corrisposta con decorrenza dal mese successivo a quello in cui il diritto è stato maturato.
È anche prevista la facoltà di richiedere di continuare a lavorare fino a 65 anni.,anche se si è gia raggiunta
l’anzianità contributiva necessaria, con quindi incremento del trattamento pensionistico.
In questi casi la legge prevede degli incentivi per il proseguimento dell’attività lavorativa.
Le facoltà di opzione però risulteranno superate dalla disciplina della pensione di vecchiaia unificata, che ne
condiziona il diritto: fino al 2007 al compimento di un età compresa tra 57 e 65 anni; e dal 2008 al
raggiungimento di 65 anni per gli uomini e 60 per le donne.
Diversa è invece la situazione per i prepensionamenti dove si consente che il dir alla pensione maturi in
anticipo di 5 o + anni, purchè sussistano set. Requisiti di contribuzione e assicurazione.
Tale previsione è finalizzata a favorire l’esodo del personale esuberante da aziende, è una misura cosi anti
congiunturale.
105 – b) LA VECCHIAIA
L’età pensionabile era fissata a 60 anni per gli uomini e 55 per le donne.
La legge ha stabilito che l’età pensionabile aumenti progressivamente fino a raggiungere 65 anni per gli
uomini e 60 per le donne.
Questo trova giustificazione nell’esigenza di far fronte alla crisi finanziaria delle gestioni previdenziali
prescindendo cosi da politiche dell’occupazione,ritardando cosi l’erogazioni delle pensioni.
Peraltro,se questa è la regola, per alcune categorie di lavoratori vi sono regole particolari.
per i lavoratori non vedenti, l’età pensionabile è di 55 per uomini e 50 per le donne
per gli invalidi + del 80%, si rimane a 60 uomini e 55 donne.
Al raggiungimento dell’età pensionabile, le legge presume che il lavoratore si trovi nell’incapacità di
continuare a svolgere attività proficua.
Trattasi in questi 2 casi, di circostanze contingenti ed eventuali, disciplinate da una normativa ispirata a
valutazioni diverse da quelle sulla capacità di svolgere un’attività proficua.
Inizialmente però il legislatore aveva previsto un regime della pensione di vecchiaia unificata, in cui le
diversità dell’età pensionabile sparissero (anche uomini e donne), stante la possibilità di raggiungere il
diritto alla pensione tra i 57 e i 65 anni d’età o comunque con i 40 di contribuzione.
Senonchè quelle diversità sono state ripristinate. Infatti la legge ha previsto che, dal gen 08, il dir alla
pensione unificata si consegue con i 60 anni per donne e 65 uomini o con 40 anni di contribuzione.
In mancanza del coniuge e dei figli, la pensione spetta ai genitori ultra sessantacinquenni. In mancanza
anche di questi spetta ai fratelli cecili e alle sorelle nubili,purchè inabili al lavoro.
Mentre ha dichiarato poi illegittima l’esclusione del dir alla pensione ha favore dei nipoti minori affidati al
nonno.
Per tutti gli altri familiari è necessario la prova che il defunto sostentava in modo continuativo a loro.
Le prestazioni sono costituite da una quota della pensione già liquidata al capo della famiglia defunto, tale
quota puo essere ridotta in relazione ai redditi goduti dal beneficiario.
Per contro i superstiti che non godano di rendita infortunistica e si trovino nelle condizioni di reddito per
l’assegno sociale, hanno diritto a una indennità una tantum.
Anche per il trattamento di reversibilità è necessario adempiere all’onere della presentazione di una
domanda. Ma ha diff della pensione di invalidità, quella di reversibilità decorre dal 1° giorno del mese
successivo a quello della morte del defunto.
Contro l’estensione a questi ultimi milita soprattutto la circostanza che la legge fa esplicito riferimento alla
disciplina dettata per i lavoratoti subordinati.
Ma l’estensione ai lavoratori autonomi di tale tutela trova validi sostegni:
da un lato: essa si fonda sulla genericità della prestazione legislativa che si riferisce agli assicurati e non ai
lavoratori e alla causa di servizio e non alla causa di lavoro.
Dall’altro: essa si giustifica in relazione ai collegamenti esistenti tra le gestione dei contributi e le prestazioni
previdenziali
Poi infine trova sostegno dagli stessi principi costituzionali.
Se la pensione è invece liquidata col sistema contributivo, il dir si acquista con; 40 anni di contributi a
qualunque età; 35 anni di contributi se donna ha 60 anni o l’uomo 65 anni.
Mentre dal 2014 i requisiti di età sono incrementati di 1 anno,salvo decisone contrario del ministro
dell’economia.
Sono esclusi in base all’art 1 L.243/04 dalla nuova disciplina: lavoratori iscritti agli enti previdenziali
privatizzati; i lavoratori che nel marzo 04 erano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria e le lavoratrici
che optano per la liquidazione di anzianità, nonché ai lavoratori iscritti presso la gestione dell’INPS.
Inoltre sempre per contenere gli oneri della spesa il legislatore ha cercato di ritardare l’inizio dell’erogazione
delle pensioni attraverso la previsione di vantaggi verso i lavoratori che decidono volontariamente di
ritardare il godimento.
Tali lavoratori godono cosi di un trattamento retributivo maggiore se decidono il posticipo del
pensionamento.
Ma si deve notare come:
da un lato: il lavoratore avrà solo diritto ad una pensione calcolata sulla base dell’anzianità contributiva
maturata al momento in cui ha chiesto il posticipo .
dall’altro: non è dato sapere se la diminuzione del gettito contributivo conseguente all’esercizio della facoltà
è compensata o no dal minor onere delle prestazioni. Infatti la l. 232/04 prevede che il governo verifichi i
risultati del sistema di incentivazione per valutarne l’impatto sulla sostenibilità finanziaria del sistema
pensionistico. L’esito potrebbe determinare l’eventuale modifica dei requisiti di accesso alla pensione di
anzianità.
In questo contesto, la 1° forma di tutela previdenziale di malattia ad essere istituita fu quella della
tubercolosi, e ciò in quanto quest’ultima venne considerata una malattia sociale.
Nella stessa epoca, una tutela previdenziale di malattia venne prevista e realizzata per alcune categorie di
lavoratori.
Per la generalità di lavoratori il passaggio verso una forma di tutela obbligatoria si realizzo per effetto della
contrattazione collettiva corporativa.
A questa il 2°c. della dichiarazione XXVIII della Carta del lavoro demandava la costituzione di casse di
mutue malattie con il contributo dei datori di lavoro e dei prestatori di opera.
Le casse realizzarono cosi per la prima volta una tutela generalizzata di malattia per quasi tutti i lavoratori
subordinati.
Senonchè il fatto che tale tutela fosse regolata da contratti collettivi determinò una estrema frammentarietà e
diversità di discipline tra le varie categorie professionali.
Nel 1943 poi tali casse furono assorbite nell’Ente mutualità, che poi diventerà l’INAM (istituto naz contro le
malattie).
Tuttavia questa unificazione rimase molto limitata dato la mancanza di una disciplina legislativa e
regolamentare.
Comunque con l’INAM non si realizzò nemmeno l’unificazione organizzativa della tutela della malattia.
Infatti rimasero in funzione enti a cui era affidata la tutela di singole categorie di lavoratori subordinati.
Tutto cio ha reso necessaria una altra evoluzione, qual’è quella realizzata con lo scioglimento dell’INAM e
degli altri enti gestori e con l’istituzione del servizio sanitario nazionale.
riservati allo stato, conferire delega al governo per rivedere il sistema dei trasferimenti erariali alle regioni
con la soppressione del fondo sanitario nazionale.
Cosi la generalità delle funzioni sanitarie è conferita alle regioni, e anzi è previsto un autofinanziamento
della tutela della salute alle regioni stesse per il loro territorio.
L’essenza di tale decentramento trova espressione anche nella definizione che la legge dà del servizio
sanitario nazionale come “il complesso delle funzioni e delle attività dei servizi sanitari regionali e degli enti
e istituzioni di rilievo nazionale”.
Peraltro l’organizzazione del servizio sanitario è solo pubblico.
è previsto infine che i comuni possano finanziarie con risorse proprie,livelli aggiuntivi di assistenza erogati
dalle aziende sanitarie locali.
Ne deriva l’abrogazione della disposizione della legge che definiva l’area di intervento dal vecchio INAM
con la formula che prevedeva l’erogazione dell’assistenza per i casi di malattia.
Si deve poi ritenere supertata la distinzione delle malattie in : comuni,infettive e contagiose,mentali e
tubercolari.(qui la gestione è affidata solo all’INPS sulla erogazione prestazioni economiche).
Cosi l’evento da ritenere protetto da tale forma di tutela è non tanto la malattia ma il bisogno soggettivo di
cure mediche.
La legge poi detta una disciplina specifica per la certificazione di malattia e per il suo tempestivo invio
all’INPS e al datore di lavoro,tenuto ad anticipare le prestazioni economiche.
Per contro alla legger regionale è dato il compito di disciplinare i casi in cui è ammesso il ricovero in
ospedali pubblici.
Sono invece posti a carico del servizio nazionale i servizi di assistenza e le prestazioni sanitarie donne a
realizzare la tutela della salute.
La corte ha dichiarato illegittima la mancata previsione del concorso nelle spese per l’assistenza indiretta
avente ad oggetto prestazioni di comportava gravità e urgenza,quando non sia possibile ottenere la
preventiva autorizzazione e sussistano le condizioni per il rimborso.
Il medico puo consentire il rinnovo della prescrizione farmaceutica anche su richiesta del familiare,quando
ritenga non serbava un’altra visita.
La legge prevede e disciplina la partecipazione dell’assistito alla spesa per le prestazioni sanitarie ma esclude
ogni forma di partecipazione degli assistiti affetti da malattie a carattere cronico,invalidante o di rara
incidenza.
125 - IL FINANZIAMENTO
Il finanziamento della tutela della salute era affidato al fondo sanitario nazionale ed è ora affidato alle regioni
che sono chiamate a gestire quella tutela.
Con l’0attuzione del federalismo fiscale la disciplina del finanziamento del servizio è cambiata per effetto
dell’affidamento alle regioni di una potestà impositiva.
Invero il processo di decentramento fiscale iniziato con il dlg 446797 è stato abolito.
Poi il legisl. ha mitigato le conseguenze dell’abolizione del fondo mantenendo il finanziamento a carico dello
stato per alcune voci della spesa sanitaria.
Margini di autonomia fiscale sono attribuiti alle regioni anche per effetto della soppressione del vincolo di
destinazione delle risorse in relazione alle loro caratteristiche socio economiche
Alo stato resta affidato affidato il compito di controllare la finanza regionale.
I datori sono tenuti a versare i contributi di malattia nel rispetto di certe modalità. Anche i cittadini non
lavoratori subordinati sono tenuti a versare annualmente anche per i loro familiari,un contributo per
l’assistenza di malattia,detto anche tassa della salute.
Allo stesso modo i titolari di pensione di importo annuo superiore a 18 milioni di lire.
I contributi di malattia per i lavoratori subordinati,sono accertati e riscossi dall’INPS,mentre per gli altri
obbligati, la competenza è del fisco.
Infine la legge ha previsto un tetto max di spesa farmaceutica e la partecipazione degli assistiti alle spese per
l’acquisto di farmaci,per le prestazioni diagnostiche strumentali e di laboratorio e per quelle specialistiche.
CAPITOLO 8
LA TUTELA CONTRO LA TUBERCOLOSI E LA DISOCCUPAZIONE VOLONATRIA.
L’ASSEGNO PER IL NUCLEO FAMILIARE.
le prestazioni sanitarie sono erogate dalle strutture servizio sanitario nazionale, senza limiti di tempo e fino a
quando permane alla necessità di cure per guarigione o stabilizzazione clinica.
Tale prestazioni sanitarie rilievo particolare deve essere assegnata ricovero nelle strutture ospedaliere. Ove la
malattia non sia in fase attiva il ricovero può essere sostituito dalla cura ambulatoriale o dalla cura a
domicilio.
Infine la legge ha previsto che tutti cittadini non iscritti alla regime generale gestito dall'Inps se colpiti da
tubercolosi e risulti che il loro reddito sia di importo tale da non essere assoggettabile all'imposta sul reddito
delle persone fisiche, abbiano diritto a prestazioni economiche a carico del servizio sanitario nazionale.
tali prestazioni sono erogate con le stesse modalità di quelle erogate dal Inps agli assistiti ammessi alla
relativa tutela.
In questo modo, la tutela che si realizza con l'erogazione di prestazioni previdenziali economiche per la
tubercolosi é stata estesa a tutti i cittadini di disagiate condizioni economiche, non diversamente da quanto
accaduto per l'estensione del diritto a pensione ai cittadini ultra 65 anni.
129. premessa
Vari e sempre più complessi sono gli interventi dello Stato a favore del lavoratore disoccupato.
Tale varietà e complessità è da mettere in relazione alla particolare situazione economica del nostro paese nel
quale la disoccupazione sia venuta ulteriormente caratterizzando a ragione della profonda crisi che afflitto
negli ultimi anni il settore delle grandi industrie.
Alcuni di questi interventi corrispondono direttamente alla attuazione della sicurezza sociale.
si tratta di interventi che vanno dall'istituzione dei cantieri scuola, dei corsi di qualificazione e di
riqualificazione professionale, al collocamento, alle assunzioni obbligatorie, ai particolari trattamenti previsti
per i contratti solidarietà, per i contratti di formazione lavoro o per quelle adorar ridotto e alla partecipazione
ai cosiddetti lavori socialmente utili.
Altri interventi si caratterizzano per le l'erogazione di prestazioni previdenziali economiche in caso di
disoccupazione conseguente all'estinzione o alla sospensione del rapporto di lavoro.
Ai fini interessa particolarmente quest'ultimo tipo di intervento, corrispondente appunto alla realizzazione
della tutela previdenziale per l'ipotesi di disoccupazione e per quella di sospensione, di riduzione dell'orario
di lavoro.
Peraltro, osservato come l'ambito di applicazione di queste forme di tutela previdenziale si è limitato ai soli
lavoratori subordinati.
Va anche detto come la gestione di queste forme di tutela previdenziale è affidata al Inps ed è finanziata
esclusivamente con i contributi posti a carico dei datori di lavoro per la disoccupazione e le integrazioni
salariali ordinari, mentre per le integrazione salariale straordinaria è previsto un contributo a carico dei datori
di lavoro e dei lavoratori.
ragione di tale esclusione è che non sussisterebbe il rischio tutelato, mancando la possibilità stessa di una
disoccupazione involontaria.
Tuttavia poiché le prestazioni possono essere erogate anche nel caso di disoccupazione volontaria e poiché
deve ritenersi che sia quasi del tutto abbandonato il meccanismo assicurativo, quella esclusione dovrebbe
ormai ritenersi priva di una ragionevole fondamento.
È certo che la garanzia della stabilità del posto non è quella realizzata dalla legislazione limitatrice del
recesso del datore di lavoro. Quella garanzia infatti si ha soltanto quando la perdita del posto possa derivare
esclusivamente da un notevole inadempimento del lavoratore. Per contro la stabilità si deve considerare
realizzata anche quando non esista un vero e proprio organico.
Allo stesso modo appaiono prive di ragionevole fondamento l'esclusioni previste dalla legge di tutela per la
disoccupazione.
1974. Peraltro la corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di quella disposizione che non
consentiva di assicurare l'adeguatezza delle prestazioni previdenziali all'esigenza di vita del lavoratore
garantita dall'articolo 38 dalla costituzione.
Il legislatore ha stabilito che l'ammontare dell'indennità di disoccupazione sia determinato in percentuale
della media delle retribuzioni percepite nei tre mesi precedenti al limite del disoccupazione o della salario
medio di riferimento.
L'articolo quattro comma 16 della legge 608 del 1996 aveva stabilito che la percentuale sulla quale calcolare
l'indennità fosse levata al 30% della retribuzione. L'articolo 78 della legge 388 del 2000 prevede che quella
percentuale si è incrementata al 40% ed è applicata sulla media delle retribuzioni assoggettate a
contribuzione.
In ogni caso, la misura della retribuzione non può essere inferiore all'ammontare medio delle retribuzioni
previste dalla contrattazione collettiva della categoria, ma non può essere superiore ai massimali previsti per
l'indennità corrisposta dalla cassa di integrazione guadagni.
Il diritto alle prestazioni in caso di disoccupazione è condizionato ad un anzianità contributiva di almeno due
anni e ad un anno di contribuzione nel biennio precedente l’inizio della disoccupazione.
Il diritto alle prestazioni è riconosciuto anche a favore dei lavoratori che abbiano prestato nell'anno solare
almeno 78 giornate di lavoro, pur non avendo maturato un'anzianità contributiva di due anni.
Trova però piena applicazione principio delle automaticità delle prestazioni. L'indennità decorre dall'ottavo
giorno successivo a quello della cessazione del lavoro o del quinto giorno successivo alla domanda se è
presentata dopo l'ottavo giorno del dalla cessazione del lavoro, ed è erogata per un periodo massimo di 180
giorni o per un numero di giornate pari a quelle lavorate nell'anno solare sino al massimo di 312 tra giornate
lavorate e quell'indennizzate.
Per il periodo dal 1 aprile del 2005 al 31 dicembre 2006, la legge ha previsto un incremento sia della
percentuale della retribuzione sulla quale calcolare l'indennità di disoccupazione, sia della durata della sua e
erogazione.
In particolare, la percentuale sulla quale calcolare l'indennità di disoccupazione è stata ulteriormente
incrementata 50% delle retribuzioni, dei primi 6 mesi di erogazione del trattamento, con una progressiva
riduzione fino al 30% per i mesi successivi. La durata dell'erogazione invece è stata elevata a 7 mesi, per i
lavoratori con età inferiore a 50 anni, e a 10 mesi, per quelle con età appare superiore a 50 anni.
Tali incrementi non si applicano all'indennità di disoccupazione con requisiti ridotti di cui all'articolo 7 della
legge 160 del 1988. Disposizioni particolari vengono per il settore agricolo. Ai lavoratori è erogata per un
periodo appare quella delle giornate di effettiva occupazione per fare dell'anno, ma comunque non superiore
a 180 giorni e nella medesima percentuale del 40% di cui già si è detto.
Anche in questo settore, dal 1 gennaio 1999, indennità ma spetta ai lavoratori il cui rapporto sia cessato a
causa di dimissioni.
Le indennità di disoccupazione non sono cumulabili con quelle della tubercolosi, con i trattamenti di
pensione diretta e erogati sia dal regime generale sia dagli ordinamenti sostitutivi ed esclusivi, nonché dalle
gestioni previdenziali non lavoratori autonomi.
All'indennità di disoccupazione si aggiunge l'assegno per il nucleo familiare. È da aggiungere poiché la legge
ha previsto un trattamento speciale di disoccupazione, detti indennità di mobilità, a favore dei dipendenti di
imprese industriali non edili e delle imprese commerciali non più di 200 dipendenti, per le quali trova
applicazione la disciplina dell'intervento di integrazione salariale straordinaria.
L’indennità di mobilità è erogata per un periodo variabile da uno a 3 anni ai lavoratori licenziati che possono
far valere un anzianità aziendale di almeno 12 mesi e che siano stati assunti a tempo indeterminato.
L'ammontare di quest'indennità è successivamente ridotta 60% della retribuzione globale. In via transitoria
per alcuni settori e per alcune aree del mezzogiorno e per quelle di maggiore crisi occupazionale o di
reindustrialuzzazione, l'indennità di mobilità è corrisposta sino raggiungimento delle pensioni di vecchiaia di
anzianità.
Trattamenti speciali di disoccupazione sono poi previsti a favore di lavoratori licenziati da imprese edili ed
affini e per i lavoratori agricoli a tempo determinato
Infine, legge prevede che lavoratori decadono dal diritto del trattamento di mobilità, all'indennità di
disoccupazione e ad ogni altra indennità o sussidio quando: rifiutano di essere avviati ad un protetto non
progetto individuale di inserimento nel mercato del lavoro o rifiutano di partecipare a un corso di formazione
professionale o non lo frequentano regolarmente; non accettano l'offerta di un lavoro che comporta un livello
retributivo non inferiore del 20% rispetto a quello di provenienza; non accettano di essere impiegati in opere
servizi di pubblica utilità.
Ciò sempre che il corso di formazione e l'attività lavorativa si svolgono in un luogo che non visti più di 50
km dalla residenza del lavoratore o che sia raggiungibile in 80 minuti con i mezzi di trasporto.
Le prestazioni sono erogate soltanto nei casi in cui sia da ritenere certa la riammissione lavoratori sospesi
dell'attività produttiva dell'impresa.
Queste condizioni sono sempre state interpretate con una certa larghezza nella pratica.
L’integrazione salariale è stata estesa anche agli impiegati nei quadri.
Le prestazioni sono erogate ai lavoratori sospesi temporaneamente dal lavoro, nonché ai lavoratori che
effettuano l'orario di lavoro inferiore all'orario contrattuale settimanale, con conseguente riduzione delle
retribuzioni proporzione alle ore non lavorate.
Le prestazioni soltanto economiche, sono commisurate al 80% della retribuzione globale che sarebbe spettata
per le ore non lavorate tra le ore zero e il limite dell'orario contrattuale e comunque non superiore alle ore 40.
Senonché, l'ammontare di queste prestazioni non può eccedere il limite massimo mensile previsto dalla legge
e indicizzato annualmente misura pari all'80% dell'indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie degli
operai e degli impiegati.
Tale limite è stato stabilito in misura più elevata per i lavoratori la cui retribuzione supera determinati
importi con l'integrazione corrisposta direttamente dal datore di lavoro per conto dell'Inps.
Il datore che fa decadere i lavoratori del diritto all'integrazione è tenuto a corrispondere ad essi una somma
equivalente.
I lavoratori che durante la riduzione del lavoro si dedicano ad altre attività remunerate non hanno diritto alla
integrazione. È, ormai, avvertita l’esigenza di una riforma della disciplina della materia che consenta una
organica politica attiva del lavoro e di sostegno del reddito.
Il finanziamento della gestione ordinaria avviene mediante contribuzione posta carico dei datori di lavoro, in
proporzione anche al numero di tutti i dipendenti occupati.
La funzione appare evidente ove si tenga presente che ne è stata prevista l'utilizzazione anche: alle imprese
assoggettate a procedure concorsuali, in caso di calamità naturali, in caso di gravi crisi occupazionali del
mezzogiorno.
Conferma di quella funzione si ha anche ove si consideri che la disciplina della materia è collocata nel più
ampio contesto della legislazione mercato di lavoro e della riforma organica degli ammortizzatori sociali
avviata con la legge 17 maggio 1999 n. 144, tendente a razionalizzare la disciplina dell'integrazione salariale.
Pertanto, al fine di semplificare l'ammissione al trattamento integrativo, alcuni proventi provvedimenti hanno
coordinato le procedure di accesso al integrazione salariale straordinaria con quelle previste dal o assetto
amministrativo in materia di servizi all'impiego.
La nozione di crisi aziendale è rimessa la valutazione dell'autorità governativa. A questa era attribuita
un'ampia discrezionalità, ora limitata mediante la determinazione a priori dei criteri dei quali bisogna tener
conto.
Tali criteri sono bastati sostanzialmente sulle situazioni occupazionali nell'ambito territoriale e sulla
situazione produttiva dei settori.
L'integrazione salariale straordinaria, in caso di ristrutturazione, riorganizzazione lo conversione aziendale,
non può superare la durata di due anni.
Sono previste al massimo due proroghe, ma ciascuna di essa non può avere durata comunque superiore a 12
mesi. Le proroghe possono essere concesse solo per quei programmi di ristrutturazione che prestino
particolare complessità.
Per le crisi aziendali, la durata del programma non può essere superiore a 12 mesi. Per ciascuna unità
produttiva comunque i trattamenti non possono superare complessivamente i 36 mesi nell'arco di un
quinquennio indipendentemente dalle cause per le quali sono stati concessi.
Va notato peraltro come fini della concessione dei trattamenti straordinari di integrazione salariale non sia
sufficiente se si verificano le condizioni previste dalla legge, essendo necessario che essi siano accertate con
decreto del ministero del lavoro e delle politiche sociali.
A tal fine, la richiesta di intervento straordinario deve contenere il programma che l'impresa intende attuare e
le indicazioni sulla causa, la durata della sospensione e il numero dei lavoratori interessati, criteri di
rotazione o i motivi della eventuale mancata adozione.
La procedura per l'adozione del decreto prevede la consultazione preventiva dei rappresentanti delle
organizzazioni sindacali più rappresentative e il parere della direzione regionale del lavoro.
Le consultazioni riguardano anche l'individuazione di criteri di rotazione tra lavoratori che espletano le
medesimi mansioni.
L'impresa autorizzata al ricorso alla cassa integrazione ha altresì l'onere di comunicare i nominativi dei
lavoratori sospesi che non siano impegnati in attività formative o di orientamento. La comunicazione deve
essere fatta ai sindaci dei comuni nonché alla commissione regionale per l'impiego. Da questo punto di vista,
la tutela previdenziale si caratterizza in quanto la sua realizzazione dipende da una valutazione da parte degli
organismi del governo; valutazione che riconferma la funzione dell'intervento di politica economica.
Dall'altra parte va notato come la nozione dell'evento protetto in questa forma di tutela si è dilatata sino al
punto da ricomprendere anche situazioni che non determinano certo l'impossibilità di svolgere attività
lavorative e sono imputabili solo a scelte compiute dal datore di lavoro.
Il decreto del ministero del lavoro e delle politiche sociali legittima l'erogazione delle integrazioni salariale
per il numero di lavoratori previsto e attribuisce al datore di lavoro il potere unilaterale di sospendere il
rapporto di lavoro di un eguale numero di lavoratori. Questi non sono che obbligati a lavorare e non hanno
diritto retribuzione, ma beneficiano dell'integrazione salariale.
La legge non dette una specie di radicale dei criteri ai quali il datore di lavoro deve attenersi per la scelta dei
lavoratori da spendere, e da porre in cassa integrazione guadagni.
Prevede soltanto che quei criteri formino oggetto di comunicazione ed esame congiunto con le
rappresentanze sindacali. Peraltro l'obbligo obbligazione non comporta l'obbligo di concludere un accordo.
L'autorità governativa potrà trarne indicazioni dal comportamento delle parti.
In particolare, il datore di lavoro non è obbligato ad adottare la rotazione tra lavoratori che esplichino la
medesima mansione.
Devono tuttavia essere individuate nel programma aziendale le ragioni della mancata rotazione, e se queste
non sono ritenute adeguate, il ministero del lavoro invita le parti a raggiungere un accordo e dispone
l'adozione della rotazione o le modalità determinate tenendo conto delle proposte formulata dalle parti.
Le scelte del datore sono soggette al controllo del giudice non solo per il caso in cui siano state poste in
essere discriminazioni vietate, ma anche per il caso di violazione dei criteri previsti dagli accordi sindacali
eventualmente intervenuti.
Le prestazioni erogate dalla gestione straordinaria della cassa sono determinate in misura analoga a quelle
della gestione ordinaria e sono assoggettate allo stesso limite massimo.
Anche il trattamento straordinario è anticipato dal datore di lavoro ma, a differenza di quello ordinario, deve
anche essere richiesta l'erogazione a carico dell'Inps ove risulti che il datore versi in difficoltà finanziarie.
La giurisprudenza ha escluso che il datore di lavoro, quando sia intervenuto il decreto del ministero del
lavoro delle politiche sociali, versi in mora, e ha quindi escluso l'esistenza di un obbligo di erogare al
lavoratore la differenza tra retribuzione che avrebbe percepito se non fosse stato sospeso e le prestazioni
della cassa per guadagni.
Quest'ultime sono ritenute idonee a garantire mezzi adeguati di vita.
Per contro, le prestazioni della cassa integrazione guadagni, sia della gestione ordinaria che di quella
straordinaria, sono assoggettate a ritenute fiscali e a ritenute previdenziali.
I lavoratori decadono dal diritto all'integrazione salariale straordinaria quando rifiutano di partecipare ad un
corso di formazione di riqualificazione professionale, o non lo frequentano regolarmente, non accettano di
essere impiegati per servizi di propria utilità. Anche in questo caso è necessario che il luogo non disti più di
50 Km dalla residenza del lavoratore. I responsabili dell'attività formativa hanno l’onere di comunicare
all'Inps i nominativi dei soggetti che possono essere ritenuti decaduti dalle prestazioni previdenziali..
Attraverso tale provvedimento, i lavoratori possono fare ricorso, entro 40 giorni, alle Direzioni provinciali
del lavoro territorialmente competenti, le quali devono decidere, in via definitiva entro 30 giorni dalla data di
presentazione del ricorso
Disposizioni particolari sono dettate per i settori l'edilizia e dell'agricoltura.
In passato il finanziamento degli interventi straordinari è a carico dello Stato che era tenuto a versare un
contributo annuo alla gestione ordinaria.
Attualmente gli interventi straordinari della cassa sono invece finalizzati anche contro contributi posti a
carico dei datori di lavoro e dei lavoratori.
Le prestazioni sono erogate dalla gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni
previdenziali e così via presso di sé con la legge 88 del 1989.
familiare che ha mantenuto in vita la struttura operativa preesistente, per quanto attiene sia ai profili
contributivi, sia alle modalità di erogazione della prestazione.
La prestazione assume a parametro il reddito familiare accentuando il processo della redistribuzione del
reddito secondo il bisogno che caratterizza un moderno sistema di tutela previdenziale.
Soggetti protetti sono i prestatori di lavoro subordinato nel territorio italiano, i titolari delle pensioni, i titolari
delle prestazioni economiche previdenziali derivanti da lavoro subordinato, i lavoratori assistiti
dall'assicurazione contro la tubercolosi, il personale statale in attività di servizio ed in quiescenza, i
dipendenti e i pensionati degli enti pubblici anche non territoriali
Sono invece esclusi i lavoratori autonomi ai quali il diritto agli assegni sia stato riconosciuto da specifiche
normative, quali: i compartecipanti familiari e i piccoli coloni, i coltivatori diretti, i coloni, i mezzadri, i
pensionati delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, i caratisti imbarcati sulla nave armata da loro
stessi, gli armatori imbarcati ai quali continua ad applicarsi la pregressa normativa.
Si deve rilevare quindi un netto privilegio attribuito alla posizione di lavoratore subordinato, sia attivo che
pensionato; infatti l'assegno non spetta se la somma dei redditi da lavoro dipendente, da pensione o da altra
prestazione previdenziale, è inferiore al 70% del reddito complessivo del nucleo familiare.
Ciò che va messo in evidenza è il fatto che si è addivenuti ad una omogeneizzazione della tutela tra
lavoratori pubblici e lavoratori privati. La tutela è ora anche estesa ai lavoratori stranieri occupati in Italia e
per i familiari residenti all'estero.
La legge esclude dalla tutela i lavoratori stranieri extracomunitari, o gli apolidi titolari di permesso di
soggiorno per lavoro stagionale, anche se deve rilevarsi che questi soggetti possono beneficiare dei assegni
di cura e di altri interventi a sostegno della maternità e della paternità responsabile.
L'evento protetto deve essere individuato nelle esigenze del nucleo familiare connesse alla insufficienza della
reddito e non più in relazione al carico di famiglia
Infatti, l'assegno prende in considerazione unicamente il nucleo familiare in senso stretto, composto cioè dal
richiedente l'assegno, dal coniuge, dai figli e ed equiparati di età inferiore ai 18 anni, o se inabili anche
maggiorenni, dai fratelli, sorelle e i nipoti di età sempre inferiore ai 18 anni solo se orfani di entrambi
genitori e senza diritto a pensione ai superstiti.
Nel caso di nuclei familiari con più di 3 figli o equiparati di età inferiore 26 anni la legge, ai fini della
determinazione dell'assegno, prende in considerazione anche i figli di età superiore a diciott'anni, ma
inferiori a 21 anni poiché studenti o apprendisti.
La funzione assolta dall'assegno per il uno familiare, conduce a ritenere che questo spetti anche per i nipoti
linea retta, minori e viventi a carico dell’ascendente, stante l'equiparazione di essere figli legittimi operato
dalla corte costituzionale in materia di pensioni di reversibilità.
Alla corresponsione dell'assegno per il nucleo familiare provvede Inps attraverso la gestione per le
prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti.
Per i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici, in attività di servizio o in quiescenza provvedono le
amministrazioni di appartenenza o le strutture che gestiscono la tutela pensionistica.
A decorre dal 1 gennaio del 2005 infine la legge prevede che l'assegno per il nucleo familiare venga
corrisposto direttamente al coniuge dell’avente diritto.
137. Le prestazioni.
Le prestazioni sono esclusivamente economiche. L'importo spetta in misura differenziata in rapporto al
numero dei componenti, al numero dei figli e al reddito familiare.
Questo è costituito dall’ ammontare dei redditi complessivi, assoggettabili all'imposta sul reddito delle
persone fisiche, conseguiti dai componenti il nucleo stesso, nell'anno solare precedente al 1 luglio di ciascun
anno, e al valore per la corresponsione dell'assegno fino al 30 giugno dell'anno successivo.
Alla formazione del reddito concorrono i redditi di qualsiasi natura. Sono esclusi trattamenti di fine rapporto
e le anticipazioni sui trattamenti stessi nonché ovviamente l'assegno qui discorso. L'importo dell'assegno
erogato non concorre a formare la base imponibile dell'imposta sul reddito delle persone fisiche. Il nucleo
familiare può essere anche composto da una sola persona qualora la stessa sia titolare di pensione ai
superstiti liquidata su posizione assicurativa derivante da lavoro dipendente ed abbia età inferiore agli anni
18 e si trovi nell'assoluta impossibilità di dedicarsi al lavoro proficuo.
138. Il finanziamento.
La tutela previdenziale per il carico di famiglia è finanziata con contributi posti esclusivamente a carico del
datore di lavoro, ciò in relazione all'origine storica dell'istituto che conduceva a qualificare come una vera e
propria integrazione salariale.
Tuttavia va ricordato come la tutela delle esigenze del nucleo familiare riconnesse all'insufficienza di reddito
continua ad estendersi anche a soggetti che non sono lavoratori subordinati; onde quel contributo costituisce
l'espressione di un'ampia solidarietà che si realizza anche in questa sede.
Peraltro al contributo dei datori di lavoro si aggiunge un contributo che la legge pone a carico dello Stato.
Ciò conferma la tesi secondo cui anche l'assegno per il nucleo familiare è funzionalizzato al perseguimento
di un interesse di tutta la collettività ed avente ad oggetto la liberazione dal bisogno conseguente all'esistenza
di un carico di famiglia. Anche in questa forma di tutela previdenziale trova applicazione principio
dell'automaticità delle prestazioni.
CAPITOLO NONO
INTRVENTI E SERVIZI SOCIALI PER CONTRASTARE A POVERTA’ E IL RISCHIO DI
MARGINALITA’ SOCIALE
Nella prospettiva segnata dalla progressiva realizzazione dell'idea di sicurezza sociale, era da tempo avvertita
l’esigenza di una radicale riforma del sistema assistenziale, che realizzasse la razionalizzazione delle misure
di intervento già esistenti.
Tale esigenza e stata soddisfatta dalla legge quadro 328 del 8 novembre 2000, che ha abrogato i
provvedimenti che avevano previsto e regolato le varie forme di assistenza sociale e ha attribuito diritti
soggettivi perfetti ai soggetti protetti e alle loro famiglie.
Interventi previsti da questa legge sono destinati a contrastare fenomeni di povertà e di esclusione sociale, a
valorizzare e sostenere le responsabilità familiari,ad incentivare i misure di sostegno per le persone anziani
non autosufficienti, a promuovere progetti individuali per le persone disabili.
Al tempo stesso, la legge costituzionale 18 ottobre 2003 ha modificato l'articolo 117 della costituzione e ha
quindi ridistribuito la competenza legislativa tra Stato e regioni. La nuova ripartizione tende a realizzare
anche una razionale ripartizione sul territorio di interventi assistenziali.
Gli interventi previsti e coordinati a livello centrale, sono gestiti dalle autonomie locali, che possono anche
demandare alcune funzioni a soggetti privati accreditati
L'estensione dell'ambito soggettivo della tutela di cui trattasi e l'intensificazione degli interventi che realizza
costituiscono adempimento del dovere di solidarietà sociale e tendono alla realizzazione del diritto alla salute
e a garantire le condizioni economiche sociali che condizionano l'effettivo esercizio dei diritti civili e politici
Diritti che trovano inevitabile espressione anche nell'ambito delle formazioni sociali in cui si realizza la
personalità dell’individuo.
140. Le finalità del servizio integrato di interventi servizi sociali e gli eventi protetti.
Il nuovo sistema assistenziale completa la riforma realizzata con l’istituzione del servizio sanitario
nazionale. Ed infatti il sistema assistenziale ha applicazione generalizzata al pari della tutela della salute e
anzi per degli aspetti, ne riproduce le modalità operative.
Alle competenze dello Stato, delle regioni e degli enti locali si affiancano quelle affidate privati appartenenti
al cosiddetto terzo settore.
Trattasi degli organismi non lucrativi di utilità sociale, es. onlus.
Gli eventi per i quali sono previste prestazioni hanno riguardo a situazioni caratterizzate dall’inadeguatezza
del reddito dei soggetti protetti e dal bisogno o disagio individuare o familiare
Il legislatore ha previsto progetti individuali per le persone disabili; misure a sostegno delle responsabilità
familiari quale l'assegno al nucleo familiare.
A queste prestazioni se ne affiancano altre a carattere fiscale e tariffario.
142. L'organizzazione amministrativa della servizio integrato nella carta dei servizi sociali
la struttura destinata a realizzare il sistema assistenziale si ispira al principio dell'efficiente decentramento e
sociale degli interventi.
La legge attribuisce allo stato i compiti di programmazione degli interventi e riparazione delle risorse
mediante la determinazione dei principi e degli obiettivi della politica sociale, la programmazione della rete
di interventi, la determinazione dei criteri per la ripartizione delle risorse del fondo nazionale per le politiche
sociali.
A queste competenze si aggiungono quelle derivanti dall'attuazione del principio di sussidiarietà,
cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità.
Alle regioni spetta la programmazione, il coordinamento e l'indirizzo degli interventi sociali sul territorio,
con un monitoraggio del livello di attuazione.
infine ai comuni compete la programmazione degli interventi del loro ambito.
Anche altri elementi concorrono alla programmazione del sistema integrato di interventi programmati e i
servizi sociali disponibili.
Interventi programmati sono resi possibili all'utenza mediante la predisposizione della carta dei servizi
sociali.
143. Le prestazioni: a) in progetti individuali per le persone disabili e di sostegno domiciliare per le
persone non autosufficienti.
La varietà degli interventi corrisponde all'esigenza di tener conto della pluralità di ragioni che determinano
fenomeni di povertà e di esclusione sociale.
Esigenza della quale già si era tenuto conto con i provvedimenti legislativi emanati negli ultimi anni.
Tali prestazioni sono erogate sulla base di progetti pilota e individuano come destinatari: i cittadini stranieri
presenti sul territorio italiano per motivi di lavoro e i loro congiunti, le persone esposte al rischio della
marginalità sociale.
In particolare: per i soggetti che si trovano in situazione di marginalità era previsto un reddito minimo di
inserimento, per i propri familiari con almeno tre figli minori era previsto l'assegno ai nuclei familiari
numerosi, per le madri cittadini italiani residenti in Italia era previsto un assegno di maternità.
La legge 328 del 2000 non solo ha confermato le prestazioni ma ha proceduto anche ad apportarne delle altre
con il dichiarato fine di completare la riforma dell'assistenza sociale.
In particolare meritano attenzione la previsione di progetti individuali per le persone disabili con
menomazioni fisiche e psichiche o sensoriali per favorirne la integrazione sociale e lavorativa.
La funzione previdenziale affidata dalla legge alle strutture pubbliche trova necessariamente un limite per
quanto attiene al livello delle prestazioni.
Il livello delle prestazioni previdenziali infatti tiene anche conto che la loro funzione è quella di realizzare:
la soddisfazione dell'interesse pubblico alla liberazione dalle situazioni di bisogno,determinata tenendo conto
delle risorse disponibili.
Ne consegue che le prestazioni erogate dai regimi di previdenziali pubblici non sono commisurate solo a
quei bisogni che il legislatore considera tipici della generalità degli assistiti.
E' per questo che è stata sempre avvertita l'esigenza di provvedere alla soddisfazione del interesse privato a
più elevati livelli di protezione.
Ed infatti i lavoratori hanno avvertito l'interesse a mantenere il tenore di vita consentito dalle retribuzioni
percepite mentre lavorano.
Interessi che molto probabilmente sarà sempre meno soddisfatto dei regimi previdenziali pubblici.
Ciò perché il livello delle pensioni pubbliche non coincide mai con l'ultima retribuzione o con l'ultimo
reddito. Al tempo stesso, i meccanismi di perequazione delle pensioni non sono idonei a garantire una
dinamica corrispondente a quella del costo della vita o delle retribuzioni.
Da tempo l'interesse dei lavoratori a vedersi garantiti trattamenti pensionistici idonei a mantenere
immodificato il tenore di vita è sempre più frequente.
I regimi istituiti della contrattazione collettiva erogano prestazioni previdenziali integrative rispetto a quelle
dei regimi pubblici, erogano anche prestazioni sostitutive, in situazioni per le quali non vi è diritto a pensione
a carico del regime pubblico.
È per questo che sembra corretto parlare di previdenza complementare anziché solo di previdenza
integrativa.
149 i regimi previdenziali sostitutivi e la loro trasformazione in regimi integrativi di quelli pubblici.
In passato la legge aveva consentito l'istituzione di regimi previdenziali aziendali esonerativi di quello
generale gestito dall'Inps.
Tali regimi, da un lato realizzavano una tutela limitata ai dipendenti di aziende ché garantivano una notevole
stabilità dei rapporti di lavoro e retribuzioni superiori alla media, dall'altro non erano tenuti a realizzare una
solidarietà ridotta nei confronti di tutti gli altri collaboratori
Di conseguenza, potevano erogare trattamenti pensionistici più elevati di quelli dei regimi pubblici e
garantire una dinamica uguale a quella delle retribuzioni dei dipendenti in servizio.
Peraltro quei regimi sono stati ora soppressi e trasformati nei regimi integrativi di quelli pubblici, destinati ad
erogare prestazioni pensionistiche, che avrebbero dovuto garantire, il livello di tutela originaria.
L'operazione dunque ha avuto un doppio significato: da un lato ha ricondotto alla solidarietà generale aree
che ad essa erano state sottratte, dall'altro ha costituito l'inizio di una nuova considerazione da parte del
Quella giurisprudenza tra l'altro escludeva la rilevanza della funzione previdenziale, che la
retribuzione,anche se differita, assolve.
Conseguentemente alterava gli equilibri tra previdenza privata e previdenza pubblica, sia perché imponeva
alla prima di finanziare la seconda, sia perché dilatava ulteriormente le funzioni di quest'ultima.
Ora legge interpretativa aveva risolto la questione escludendo che le somme destinate alla finanziamento
della previdenza privata dovessero essere assoggettate a contribuzione previdenziale.
Aveva anche previsto l'assoggettamento di quei finanziamenti ad un contributo di solidarietà a favore dei
regimi previdenziali pubblici.
Ma la corte costituzionale ha ritenuto illegittima quella legge in quanto prevedeva l'esonero delle somme
erogate dal datore di lavoro per il finanziamento della previdenza complementare dalla contribuzione
previdenziale ordinaria.
Venne cioè confermata la natura retributiva di quei finanziamenti e la irrilevanza della loro funzione
previdenziale
Tuttavia i giudici costituzionali hanno condiviso l'esigenza di favorire il ricorso alla previdenza privata e di
conseguenza hanno giustificato l'esonero del suo finanziamento dalla contribuzione previdenziale ordinaria
Accogliendo l'indicazione della corte costituzionale l'art 1 della L. 23 dicembre 96 num.662 ha introdotto
una più elevato contributo di solidarietà per il le quinquennio precedente all'entrata in vigore della legge del
1991.
La corte costituzionale con le sentenze 178 del 2000 e 121 del 2002 ha ritenuto legittima tale imposizione.
entrasse in vigore dal primo gennaio 2008 ma oggi è stata anticipata al primo gennaio del 2007.
Per i lavoratori assunti in dopo il 28 aprile 1993 è obbligatoria la integrale destinazione al fondo pensione dei
suddetti accantonamenti.
A partire dal 1° gen 2007 il finanziamento delle forme di previdenza complementare può avvenire si a
tramite 'versamento di contributi a carico del lavoratore e del datore, sia tramite conferimento del trattamento
di fine rapporto maturato.
I lavoratori assunti dopo il 1 gennaio 2007, entro sei mesi dall'assunzione possono scegliere la forma di
previdenza complementare alla quale destinare l'interno trattamento di fine rapporto; scelta che può essere
poi successivamente anche revocata .
Il conferimento del trattamento di fine rapporto è tacito quando il lavoratore non esprime alcun tipo di
volontà, ed è destinato alla forma pensionistica.
In presenza di più fondi pensioni sindacali, il trattamento di fine rapporto è trasferito nel fondo nel quale
sono iscritti il maggior numero di lavoratori dell' azienda.
Altrimenti li destinerà alla speciale forma pensionistica complementare a contribuzione definita presso
l'INPS e deominata FONDINPS.
Per i lavoratori già assunti alla data di entrare in vigore del decreto legislativo 152 e 2005, e alla primo
gennaio del 2007 il termine di sei mesi decorre dal stesso primo gennaio 07.
La legge prevede anche che nel caso in cui lavoratori decidano di mantenere il trattamento di fine rapporto
presso il datore di lavoro, quest'ultimo quando occupa più di 50 lavoratori, deve conferire l'intero
accantonamento annuale per il trattamento di fine rapporto al fondo per l'erogazione ai lavoratori dipendenti
del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile.
In questo modo non solo ha il compito di sostituirsi al datore di lavoro nella erogazione del trattamento di
che rapporto, ma deve anche utilizzare le sue risorse per finalità di carattere pubblico, specie per sostenere
investimenti infrastrutturali.
Pe garantire ai lavoratori di scegliere con consapevolezza, il datore di lavoro deve preventivamente fornire
loro,adeguate informazioni sulle diverse scelte disponibili. E se il lavoratore non ha manifestato alcuna
volontà, deve anche fornirgli le necessarie informazioni sulla forma pensionistica complementare alla quale
sarà destinato il trattamento di fine rapporto.
In ogni caso il conferimento del trattamento comporta l'automatica adesione del lavoratore alla forma di
previdenza complementare alla quale è destinato.
Inoltre, nuova disciplina prevede che:
in caso di conferimento del trattamento di fine rapporto secondo modalità tacite, gli statuti e
regolamenti devono prevedere l'investimento delle somme conferite nella linea a contenuto più
potenziale;
l'adesione una forma di previdenza complementare tramite il conferimento del trattamento non
comporta che quella forma abbia diritto alla contribuzione a carico del lavoratore e del datore,i quali
possono decidere, anche in assenza di accordi collettivi, di erogare contributi stabilendo l'importo
la contribuzione volontaria le forme di previdenza complementare può proseguire anche olte
159 la tutela degli iscritti alle forme di previdenza complementare: ha il sistema della capitalizzazione
e la commissione di vigilanza sui fondi pensione
La legge tutela in vario modo la posizione di iscritti ai fondi pensione. Prima di tutto la legge impone
l'adozione del sistema della capitalizzazione che offre garanzie di conservazione degli importi accreditati sui
conti individuali
Allo stesso modo non offre però di garanzie sull'entità dei rendimenti e sull'accumulazione di un capitale
sufficiente ad erogare prestazioni adeguate.
Inoltre, le gestione dei fondi pensioni sono asspgettate alla vigilanza della commissione di vigilanza sui fondi
pensione istituita presso il ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Il legislatore del 2005 ha ulteriormente rafforzato i poteri di controllo di vigilanza della COVIP, e
estendendoli a tutte le forme di previdenza complementare
Sono anche previste forme di responsabilità aggravata degli amministratori.
dolore di lavoro, dev'essere intesa anche come facoltà di escludere tale portabilità.
In questo caso però la contrattazione dovrebbe evitare che il trasferimento del lavoratore all'altra forma di
previdenza complementare si risolva in una estinzione del datore di lavoro dall'obbligo di contribuzione.
Quindi sarebbe ragionevole che il contratto collettivo prevedesse che la contribuzione del datore continui ad
essere versata al fondo pensione sindacale.