Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
T ij =A x Y i x Y j / D ij
dove A è un termine costante, T è il valore di commercio tra il paese i e il paese j, Y è il PIL del
paese (i e j) e D la distanza tra i due paesi. Il valore del commercio tra i due paesi è proporzionale, a
parità di tutto il resto, al prodotto dei PIL dei due paesi, e diminuisce al crescere della distanza tra
questi (modello gravitazionale).
Una versione più generale del modello gravitazionale è la seguente:
T ij=A x Yia x Y jb /D c ij
Le tre determinanti del volume del commercio tra due paesi sono la dimensione dei loro PIL e la
distanza che intercorre tra essi, senza però assumere che il commercio sia esattamente proporzionale
al prodotto dei due PIL e inversamente proporzionale alla distanza; al contrario, a, b, c venfono
scelti in modo che il modello si adatti il più possibile a dati reali.
paese. Una trasformazione più recente è stata l'aumento delle esportazioni di manufatti dei paesi del
Terzo Mondo: i termini Terzo Mondo e paesi via di sviluppo si riferiscono alle nazioni più povere
del mondo, molte delle quali sono state colonie europee prima della Seconda guerra mondiale.
Fino agli anni Settanta questi paesi esportavano in prevalenza prodotti primari: da quel momento,
però, essi hanno iniziato rapidamente ad esportare manufatti (esempio: più del 90% delle
esportazioni della Cina consiste oggi di manufatti – inversione completa dell'importanza relativa).
invece coltivare rose d'inverno, trasferendo le risorse necessarie dall'industria dei computer.
La ragione per cui il commercio internazionale genera questo aumento della produzione mondiale
risiede nel fatto che esso consente a ciascun paese di specializzarsi nella produzione del bene
rispetto al quale ha un vantaggio comparato: un paese ha un vantaggio comparato nella produzione
di un bene se il costo-opportunità della produzione di questo rispetto ad altri beni è minore in quel
paese che in altri. L'intuizione fondamentale riguardo al vantaggio comparato e al commercio
internazionale cita: il commercio tra due paesi può portare benefici a entrambi se ciascun paese
esporta i beni nei quali ha un vantaggio comparato.
Tuttavia, questa affermazione fa riferimento a una possibilità: non c'è alcuna autorità che decida
quale paese debba produrre rose e quale computer, tantomeno qualcuno che distribuisca rose e
computer ai consumatori di entrambi i paesi; al contrario, produzione e scambi internazionali sono
determinati su un mercato dove vige la legge della domanda e dell'offerta.
Il primo a introdurre il concetto di vantaggio comparato fu David Ricardo, secondo cui il
commercio internaizionale è motivato soltanto da differenze internazionali nella produttività del
lavoro.
La frontiera delle possibilità produttive è determinata dalla quantità limitata di risorse di cui
l'economia dispone, in questo caso il lavoro. I limiti alla produzione sono descritti dalla
disuguaglianza:
Seguendo l'esempio qui riportato, la quantità totale di lavoro impiegata nella produzione è (1 x chili
di cibo prodotti) + (2 x metri di stoffa prodotti), e la quantità totale non deve essere maggiore delle
1000 ore di lavoro disponibile: si possono perciò produrre tutte le possibili combinazioni di stoffa e
cibo che giacciono sulla retta che connette questi due estremi.
Quando la frontiera delle possibilità produttive è una linea retta, il costo-opportunità del cibo in
termini di stoffa è costante: la produzione di un altro chilogrammo di cibo richierebbe aLC ore-
lavoro, ognuna delle quali potrebbe essere usata per produrre 1/ aLS metri di stoffa; dunque, il costo
opportunità del cibo in termini di stoffa sarà aLC/aLS. Come mostra la figura, questo costo-
opportunità è uguale al valore assoluto della pendenza della frontiera delle possibilità produttive.
La figura seguente rappresenta la domanda e l'offerta relative internazionali di cibo in funzione del
prezzo relativo internazionale del cibo:
– RD, rappresenta la curva di domanda relativa;
– RS, rappresenta la curva di offerta relativa;
– equilibrio generale internazionale, RD = RS, per cui
– il prezzo relativo internazionale è determinato dall'intersezione tra RD e RS.
Come è stato possibile costruire la curva RS (“a gradini”)?
1. Non vi può essere alcuna produzione di cibo se il prezzo internazionale scende al di sotto di
aLC/ aLS.
Il paese H si specializzerà nella produzione di stoffa qualora si abbia (Pc /Ps )INT < aLC/ aLS , e
lo stesso farà il paese F qualora (Pc /Ps)INT < a*LC/ a*LS . Poiché abbiamo ipotizzato che la
produttività relativa di H è maggiore nel settore che produce cibo rispetto a F, ovvero aLC/
aLS < a*LC/ a*LS , se il prezzo relativo del cibo scende al di sotto di aLC/ aLS , non si avrà
alcuna produzione di cibo.
2. Il paese H è disponibile a produrre qualunque quantità relativa dei beni (sezione piatta della
curva di offerta).
Quando il prezzo del cibo è uguale a aLC/ aLS, i lavoratori in H ottengono lo stesso guadagno dalla
produzione di cibo o di stoffa.
3. Se (Pc /Ps)INT > a*LC/ a*LS , sappiamo che H si specializzerà nella produzione di cibo, ma
finché (Pc /Ps)INT < a*LC/ a*LS , F continuerà a produrre solo stoffa (sezione verticale della
curva di offerta).
Quando H si specializzerà nella produzione di cibo, ne produce L/aLC chilogrammi; allo
stesso modo, quando F si specializza nella produzione di stoffa, ne produce L*/a*LS metri.
Quindi, il prezzo relativo compreso tra aLC/ aLS e a*LC/ a*LS , l'offerta relativa di cibo RS sarà:
(L/aLC) / (L*/a*LC )
4. Il paese F è disponibile a produrre qualunque quantità relativa dei beni (sezione piatta della
curva di offerta).
Quando il prezzo del cibo è uguale a a*LC/ a*LS, per i lavoratori di F sarà indifferente
produrre cibo o stoffa, poiché otterranno lo stesso guadagno.
5. Non vi può essere alcuna produzione di stoffa se il prezzo internazionale è superiore ad aLC/
aLS (offerta relativa di cibo infinita).
Se (Pc /Ps)INT > a*LC/ a*LS, sia H che F si specializzeranno nella produzione del cibo poiché
guadagnerebbero entrambi di più.
E per quanto riguarda la curva RD?
La costruzione della curva di domanda relativa RD non richiede un'analisi altrettanto dettagliata: la
sua inclineazione negativa riflette un effetto di sostituzione secondo cui all'aumentare del prezzo
relativo del cibo, i consumatori acquistano meno cibo e più stoffa, facendo diminuire la domanda
relativa di cibo.
A cosa corrisponde il prezzo relativo di equilibrio?
Il prezzo relativo di equilibrio del cibo è determinato dall'intersezione delle due curve: queste si
intersecano in corrispondenza di un prezzo intermedio, compreso tra i prezzi interni, precedenti
all'apertura del commercio internazionale (prezzo relativo di equilibrio = 1, compreso tra i prezzi
relativi precedenti ½ e 2). in questo caso, ogni paese si specializza nella produzione del bene in cui
ha un vantaggio comparato (H produce solo cibo e F solo stoffa).
Trascuriamo la possibilità che uno dei due paesi non si specializzi completamente: con la sola
eccezione rappresentata, il risultato del commercio internazionale è che il prezzo di uno dei beni
scambiati espresso in termini dell'altro bene si troverà in una posizione compresa tra i prezzi interni
precedenti al commercio fra i due paesi; l'effetto di questa convergenza è che ogni paese si
specializzerà nella produzione del bene che richiede, in quel paese, la minore quantità relativa di
lavoro per unità prodotta. L'aumento delp rezzo del cibo in H porterà il paese a specializzarsi
completamente nella produzione di cibo e a produrne una quantità corrispondente al punto F, come
si può evincere dal grafico. La riduzione del prezzo relativo del cibo in F porterà F a specializzarsi
nella produzione di stoffa e a produrne una quantità corrispondente al punto F*.
di stoffa oppure la può impiegare per produrre 1/ aLC chilogrammi di cibo, i quali saranno
scambiati ricevendo (Pc /Ps)INT per ogni chilogrammo. Dunque, attraverso lo scambio, un'ora
di lavoro produrrà 1/ aLC (Pc /Ps)INT metri di stoffa. Questa quantità sarò maggiore di quanto si
sarebbe potuto produrre direttamente se il prezzo relativo internazionale fosse maggiore
della produtività relativa del paese H; tuttavia, sappiamo che perché vi sia un equilibrio
internazionale, se entrambi i paesi sono specializzati, deve valere la formula citata, per cui
H può produrre stoffa in modo più efficiente utilizzando una produzione indiretta mediata
dal commercio internazionale, idem il paese F.
2. Il commercio modifica le possibilità di consumo del paese:
In assenza di commercio, le possibilità di consumo coincidono con le possibilità di produzione;
quando però si considera anche quest'ultimo, ogni economia si trova a poter consumare
combinazioni dei due beni diverse da quelle che produce. Il commercio internazionale allarga la
gamma di scelte aperte ai consumatori, quindi migliora il tenore di vita che essi possono
raggiungere.
L'economia H impiega un numero minore di unità di lavoro, cioè ha una più alta probabilitù del
lavoro, in entrambi i settori: ha un vantaggio assoluto in entrambe le produzioni. Tuttavia, è
opportuno trascurare questo fatto per un momento e concentrarsi sulla struttura dei flussi del
commercio:
1. determinare il prezzo relativo del cibo Pc /Ps)INT, che dipenderà dalla domanda ma che in
ogni caso è collocato tra i valor idel costo-opportunità del cibo espresso in termini di stoffa
relativi a ciascun paese.
2. Se un chilo di cibo e un metro di stoffa sono venduti allo stesso prezzo, entrambi i paesi si
specializzeranno: per produrre un chilo di cibo, H avrà bisogno della metà delle ore di
lavoro che si impiegano per produrre un metro di stoffa. Di conseguenza i lavoratori
guadagneranno di più producendo cibo e il paese si specializzera nella produzione di cibo; lo
stesso varrà per il paese F, che si specializzerà nella produzione della stoffa.
3. H decide di produrre stoffa: nel caso di produzione diretta, un'ora di lavoro può produrre
solamente ½ metro di stoffa; la stessa ora potrebbe essere impiegata per produrre un
chilogrammo di cibo da scambiare con un metro di stoffa.
4. F decide di produrre cibo: nel caso di produzione diretta, un'pra di lavoro può produrre 1/6
chilogrammi di cibo, che, se utilizzate per produrre 1/3 metri di stoffa, potrebbero essere
utilizzate per ottenere tramite scambio 1/3 chilogrammi di cibo.
Il commercio internazionale, in questo esempio, consente a ogni paese di impiegare il porprio
lavoro con efficienza doppia rispetto alla situazione in cui tutti i beni devono essere prodotti
internamente.
produttività relative che ogni paese realizza un vantaggio di costo nella produzione di un bene:
riprendendo l'esempio precedente, grazie al suo minor salario, il paese F ha un vantaggio di costo
nella produzione di stoffa, nonostante la sua minor produttività, mentre il paese H ha un vantaggio
nella produzione di cibo, nonostante il suo maggior salario, perché tale maggior salario è più che
compensato dalla sua maggior produttività.
Il modello a un solo fattore risulta molto utile per affrontare parecchi fraintendimenti circa il
significato dei vantaggi comparati e la natura dei benefici generati dal commercio.
3.4.3 Sfruttamento.
Il commercio internazionale sfrutta un paese e ne diminuisce il benessere, se i suoi lavoratori
riceono salari molto inferiori rispetto ai lavoratori di altri paesi.
Può sembraer insensibile cercare di giustificare in qualche modo salari estremamente bassi pagati a
molti lavoratori del mondo; tuttavia, se siamo interessati a valutare la desiderabilità del libero
scambio, non dobbiamo chiederci invece se questi e i loro paesi stiano peggio esportando beni
grazie ai loro bassi salari di quanto non starebbero non esportando affatto. Qual è l'alternativa?
L'esempio precedente chiarisce che non è possibile sostenere che un basso salario generi
sfruttamente senza tenere conto della situazione alternativa che si realizzerebbe in assenza di
commercio internazionale: negare loro l'opportunità di esportare e di commerciare equivarrebbe a
condannarli ad una povertà ancor peggiore.
Se i salari fossero esattamente proporzionali alla produttività, tutti i punti nel grafico dovrebbero
trovarsi sulla bisettrice: in effetti, ciò è quanto approssimativamente si verifica; in particolare, i
bassi salari in Cina e India riflettono la bassa produttività di questi paesi. Secondo la teoria dei
vantaggi comparati, i paesi esportano beni nella cui produzione sono relativamente più produttivi,
quindi bisogna aspettarsi che la produttività relativa della Cina in quei settori sia significamente
maggiore della sua produttività media. Il grafico ci permette di capire che le previsioni degli
economisti secondo cui i salari riflettono la produttività dei paesi è effettivamente confermata dai
dati in un preciso istante nel tempo.
10
molto limitato nel caso di beni con un alto rapporto peso-valore. In generale, molti beni non
vengono scambiati sui mercati internazionali o per l'assenza di forti vantaggi di costo o per la
presenza di alti costi di trasporto. È importante notare che i paesi spendono una frazione elevata del
proprio reddito in beni non commerciati sui mercati internazionali.
Qs = Qs (Ks ; Ls)
Qc = Qc (Kc ; Lc)
Dove con Qs e Qc si intendono i livelli di produzione della stoffa e del cibo, Ks, Ls, Kc e Lc la quantitò
di capitale e lavoro impiegate nella produzione di stoffa e cibo; si noti come l’economia ha
un’offerta fissa di capitale e lavoro, occupata nei due settori.
Le due tecnologie di produzione sono espresse da:
- aKS = capitale impiegato per produrre un metro di stoffa;
- aLS = ore di lavoro necessarie per produrre un metro di stoffa;
- aKC = capitale impiegato per produrre una caloria di cibo;
- aLC = ore di lavoro necessarie per produrre una caloria di cibo.
In queste definizioni ci riferiamo alla quantità di lavoro usata per produrre un certo ammontare di
cibo o stoffa, non alla quantità richiesta per produrla: ciò avviene perché, rispetto al modello
ricardiano, con la presenza di due fattori ci può essere un certo margine di scelta nell’utilizzo degli
input.
In generale, queste scelte dipendono dai prezzi dei fattori per lavoro e capitale; tuttavia,
consideriamo prima il caso particolare in cui esiste un’unica combinazione di input per produrre un
certo bene: tutte le quantità necessarie di input per unità di lavoro sono fisse e non è possibile
sostituire lavoro al capitale (o viceversa). In questo caso speciale senza possibilità di sostituire dei
11
fattori nella produzione, la frontiera delle possibilità produttive dell’economia può essere derivata
usando questi due vincoli di risorse per il capitale e per il lavoro:
- vincolo di risorse per il capitale, secondo cui le ore-macchina totali impiegate per la
produzione di stoffa e cibo non possono superare l’offerta totale di capitale:
aKS Qs + aKC QC ≤ K
- vincolo di risorse per il lavoro, secondo cui le ore-lavoro totali utilizzate nella produzione
non possono superare l’offerta totale di lavoro:
aLS Qs + aLC QC ≤ L
In questo caso, però, l’economia deve produrre rispettando entrambi I vincoli, per cui la frontiera
delle possibilità produttive è rappresentata da una linea spezzettata, come nel grafico che segue: se
l’economia si specializza nella produzione di cibo si avrà capacità inutilizzata di lavoro (1000 ore-
uomo su 2000 disponibili – punto 1), viceversa se l’economia dovesse specializzarsi nella
produzione di stoffa, generando una capacità inutilizzata di capitale (punto 2). Sarà nel punto di
produzione 3 che l’economia impiegherà tutte le risorse di lavoro e capitale disponibili.
12
V = PC QC + PS QS
dove Pc e Ps sono rispettivamente i prezzi di cibo e stoffa. Definiamo retta di isovalore la
linea lungo la quale il valore della produzione è costante; ha pendenza pari a – Ps/Pc e nel
punto Q, dato dall’incontro della frontiera delle possibilità produttive alla più alta retta di
isovalore, la pendenza della frontiera è pari a – Ps/Pc ed il costo opportunità della produzione
di un’ulteriore unità di stoffa in termini di cibo è uguale al prezzo relativo della stoffa.
13
Come si vede nel grafico, la curva SS si trova a destra della curva CC, a indicare che, per ogni
valore del prezzo relativo dei fattori, la produzione di stoffa richiede un lavoro lavoro-capitale
maggiore di quello richiesto dalla produzione di cibo. In questo caso, la produzione di stoffa è
intensiva in lavoro, mentre quella di cibo è intensiva in capitale. Si noti che la definizione di
intensità dipende dal rapporto lavoro-capitale utilizzato nella produzione non dal rapporto tra lavoro
e capitale e quantità prodotta. Pertanto, un bene non può essere al tempo stesso tempo intensivo in
capitale e lavoro.
Le curve rappresentate sono dette “curva di domanda relativa dei fattori” e sono molto simili alle
curve di domanda relativa per i beni. L’inclinazione negativa rappresenta l’effetto di sostituzione
nella domanda di fattori da parte dei produttori. Quando il salario w aumenta rispetto al rendimento
r, i produttori sostituiscono il capitale al lavoro nelle decisioni di produzione.
Mettendo assieme i due grafici, è facilmente intuibile un legame tra i prezzi dei beni e il rapporto
lavoro-capitale usato nella produzione di ciascun bene: se l’economia produce entrambi i beni (cibo
14
e stoffa), il prezzo relativo della stoffa sarà PS/PC1, il rapporto salario e rendimenti è pari al valore
w/r1 ed il rapporto lavoro-capitale impiegato nella produzione di quest’ultimi sia pari a LS/KS1 e
LC/KC1. Tuttavia, se il prezzo relativo della stoffa dovesse aumentare, aumenterà di conseguenza il
rapporto tra salario e rendimento; poiché il lavoro è relativamente più costoso, il rapporto lavoro-
capitale usato nella produzione di stoffa e cibo diminuirebbe. Un aumento del prezzo della stoffa
rispetto a quello del cibo farà aumentare il reddito dei lavoratori rispetto a quello dei proprietari di
capitale; tale variazione dei prezzi relativi farà certamente aumentare il potere di acquisto dei
lavoratori e diminuire invece quello dei proprietari del capitale, perché farà aumentare i salari reali e
diminuire il rendimento reale in termini di entrambi i beni: infatti, quando PS/PC aumenta, il
rapporto lavoro-capitale si riduce sia nella produzione di stoffa che nella produzione di cibo. Ma in
una economia concorrenziale i fattori di produzione sono pagati al loro prodotto marginale: il
salario reale dei lavoratori in termini di stoffa è uguale alla produttività marginale del lavoro nella
produzione di stoffa e così via. Quando il rapporto lavoro-capitale si riduce in entrambi i beni, il
prodotto marginale del lavoro in termini di ciascun bene aumenta, perciò i lavoratori vedono
aumentare il loro salario reale in termini di entrambi i beni, al contrario del prodotto marginale del
capitale, che finisce per diminuire in entrambi i settori (i proprietari di capitale subiscono una
riduzione del loro reddito reale in termini di entrambi i beni).
In conclusione, le variazioni dei prezzi relativi hanno effetti rilevanti sulla distribuzione del reddito
al punto che i proprietari di un fattore guadagnano mentre i proprietari dell’altro subiscono perdite.
15
Un’economia risponde all’apertura del commercio sulla base della direzione del cambiamento del
prezzo relativo dei beni, per cui H esporterà stoffa mentre F esporterà cibo, poiché in entrambi i
paesi il prezzo relativo nei settori citati aumenterà. H diventa un esportatore di stoffa poiché
abbondante di lavoro rispetto ad F e perché la produzione di stoffa è intensiva in lavoro; viceversa,
F diventa esportatore di cibo poiché relativamente ricco di capitale e perché la produzione di cibo è
intensiva in capitale. Tali previsioni sulla struttura del commercio possono essere generalizzate con
16
17
Supponiamo che il prezzo relativo della stoffa (PS/PC) aumenti: dopo il cambiamento deprezzo, la
retta di isovalore diventerà più inclinata, passando da VV1 a VV2; di conseguenza, il punto scelto
sulla frontiera delle possibilità produttive cambierà. Un aumento del prezzo relativo della stoffa
porta l’economia a produrre più stoffa e meno cibo, quindi l’offerta relativa di stoffa aumenterà in
seguito all’aumento del prezzo relativo della stoffa.
PS DS + PC DC = PS QS + PC QC = V
Dove Ds e DC indicano rispettivamente il consumo di stoffa e cibo. Questa equazione ci dice che la
produzione e il consumo devono giacere sulla stessa retta di isovalore.
La scelta del putto su cui collocarsi lungo la retta di isovalore dipende dalle preferenze dei
consumatori: assumendo i gusti di un solo individuo rappresentativo, è possibile rappresentare
graficamente questa serie di scelte per mezzo di curve di indifferenza (insieme di combinazioni di
bene che procurano all’individuo lo stesso livello di soddisfazione). Le curve di indifferenza
godono di tre proprietà:
- Hanno inclinazione negativa;
- Quando più una curva di indifferenza si colloca in alto e a destra, tanto maggiore è il livello
di benessere a essa associato;
- Le curve di indifferenza diventano più piatte quando ci si sposta a destra (sono concave
all’origine): quanto più S e quanto meno C un individuo consuma, tanto più preziosa sarà
per lui, al margine, una unità di C rispetto a un’unità di S.
L’economia sceglierà il punto sulla retta di isovalore che da luogo al massimo benessere; tale punto
coinciderà con il punto di tangenza fra la retta di isovalore e la curva di indifferenza più alta tra
quelle che l’economia può raggiungere. Ciò accade, nel grafico in basso, nel punto D, nel quale
l’economia esporta stoffa e importa cibo.
Quando il prezzo relativo della stoffa aumenta, l’economia produrrà più stoffa e meno cibo,
modificando la produzione, da Q1 a Q2, la retta di isovalore, che si sposterà da VV1 a VV2, e la scelta
di consumo, da D1 a D2. Lo spostamento della combinazione di scelta di consumo è effetto di due
effetti causati dall’aumento del prezzo relativo, quali l’effetto reddito, associato ad un aumento di
benessere (spostamento ad una curva di indifferenza più alta), e l’effetto sostituzione, associato alla
modifica del consumo ad un dato livello di benessere (la stoffa, relativamente più costosa, comporta
la scelta di un maggior consumo di cibo a scapito della stoffa). Mentre l’effetto reddito tende ad
aumentare il consumo di entrambi i beni, l’effetto sostituzione fa si che l’economia consumi meno
S e più C.
18
Il grafico mostra come l’aumento del prezzo relativo della induca ad un aumento della produzione
relativa della stoffa e una diminuzione del consumo relativo della stoffa. Questa variazione del
consumo relativo cattura l’effetto di sostituzione della variazione del prezzo. Se l’effetto reddito
della variazione di prezzo è sufficientemente forte, allora i livelli di consumo di entrambi i beni
potrebbero aumentare (DS e DC aumentano), ma l’effetto sostituzione della domanda ci dice che il
consumo relativo di stoffa, DS/DC, diminuisce. Se l’economia non può commerciare, consuma e
produce nel punto 3.
19
Riportando la seguente tabella è possibile compiere un esempio pratico: ipotizziamo che un bene
venga prodotto utilizzando solo un fattore, ovvero il lavoro; la tabella mostra come l’ammontare di
lavoro impiegato dipenda dal numero di unità prodotte. La presenza di economie di scala si rileva
dal gatto che raddoppiando l’impiego del lavoro, la produzione più che raddoppia e, in modo
equivalente, l’impiego di lavoro diminuisce. Possiamo utilizzare questo esempio per capire perché
le economie di scala offrono un incentivo al commercio internazionale. Immaginiamo un modo in
cui esistono il paese H e F e di concentrare tutta la produzione nel paese H; l’economia mondiale di
questo paese potrebbe aumentare del 25%, continuando però a utilizzare la stessa quantità di lavoro.
Per poter espandere la produzione di alcuni beni, tuttavia, H dovrebbe contrarre o abbandonare la
produzione di altri beni, che saranno di conseguenza prodotti dal paese F, utilizzando il fattore
lavoro prima occupato nel settore che si sta espandendo in H. Per sfruttare le economie di scala,
ogni paese deve concentrare la propria attività produttiva su un numero limitato di beni. Se ogni
paese producesse solo alcuni beni, ogni bene potrebbe essere prodotto in una scala più ampia di
quanto non sarebbe se ogni pase tentasse di produrli tutti: l’economia mondiale può dunque ottenere
maggiori quantità di bene. I consumatori di ogni paese vogliono ancora consumare una pluralità di
prodotti e, in questo caso, il commercio internazionale ricopre un ruolo cruciale: permette a ogni
paese di produrre un insieme limitato di beni e quindi di trarre vantaggio dalle economie di scala,
senza sacrificare la varietà dei beni consumati. Il nostro esempio suggerisce che possono emergere
scambi mutualmente vantaggiosi come risultato delle economie di scala. Ogni paese si specializza
nella produzione di un insieme limitato di beni e li produce in modo più efficiente rispetto al caso di
produzione di tutti i tipi di beni; queste economie specializzate commerciano tra di loro per poter
consumare l’insieme completo di beni.
20
vengono definite economie esterne. La loro analisi è opera dell’economista inglese Alfred Marshall,
che rimase colpito del fenomeno dei “distretti industriali”, concentrazioni spaziali di imprese che
non potevano essere facilmente spiegate dalla disponibilità di risorse naturali.
Vi sono molti esempi di industrie dove sembrano operare potenti economie esterne: tra questi è
possibile citare Hollywood e l’industria dell’intrattenimento, Silicon Valley e l’industria dei
semiconduttori, la Cina e le numerose città industrie (biancheria intima, accendini). Marshall
sosteneva che ci sono tre ragioni principali per un gruppo di imprese geograficamente concentrato
(cluster) può essere più efficiente di un’impresa isolata: la capacità del cluster di attirare fornitori
specializzati, di generare un bacino di lavoratori con qualifiche adatte e di promuovere spillover
di conoscenza.
21
Sia in Cina che negli Stati Uniti i prezzi e la produzione di equilibrio saranno determinati
dall’intersezione tra la curva di offerta nazionale e la curva di domanda nazionale. Nel caso
rappresentato, il prezzo dei bottoni in Cina in assenza di commercio internazionale sarebbe inferiore
rispetto al corrispondente prezzo negli Stati Uniti. Ora supponiamo che i due paesi si aprano al
commercio di bottoni: il settore cinese si ingrandirà al contrario di quello statunitense, e questo
processo si autoalimenterà; all’aumentare della produzione del settore cinese, i costi si ridurranno
ulteriormente, viceversa al contrarsi della produzione statunitense, i costi di questo settore
aumenteranno. Alla fine, ci possiamo attendere che tutta la produzione di bottoni si concentri in
Cina. Con l’apertura al commercio, la Cina rifornisce il mercato mondiale, producendo i bottoni sia
22
per i consumatori cinesi che per i consumatori statunitensi e la curva di offerta, inclinata
negativamente, all’aumento della produzione per effetto del commercio porta a un prezzo dei
bottoni inferiore al prezzo che vigeva prima del commercio (il commercio internazionale porta a
prezzi dei bottoni inferiori ai prezzi che vigevano in autarchia in entrambi i paesi, al contrario di ciò
che avveniva nei modelli senza rendimenti crescenti – modello classico e neoclassico).
Prendiamo il caso di Cina e Vietnam nella produzione di bottoni: il costo di produzione nel primo
paese è ACC mentre in Vietnam è ACV. DW rappresenta la domanda mondiale di bottoni e assumiamo
che possa essere soddisfatta da entrambi. Le economie di scala nella produzione di bottoni sono
esterne alle imprese e, dato che non vi sono economie di scala a livello di impresa, il settore dei
bottoni in ciascun paese consiste di molte imprese in concorrenza perfetta, che spinge quindi il
prezzo dei bottoni verso il costo medio. Assumiamo che la curva di costo del Vietnam sia al di sotto
di quella della Cina (salari inferiori), comportando una produzione di bottoni in modo più
economico in Vietnam piuttosto che in Cina, sperando che ciò porti ad una situazione in cui il
23
Vietnam soddisfi completamente la domanda mondiale: tuttavia, la Cina, per ragioni storiche,
organizza per prima il settore di bottoni. Se dovesse produrli anche il Vietnam, l’equilibrio si
sposterebbe in un punto più basso, ma con produzione iniziale nulla, ogni impresa che desidera
produrre bottoni in Vietnam ha un costo pari a C0. Questo costo è maggiore del prezzo al quale le
imprese cinesi possono produrre bottoni: così, sebbene il Vietnam possa produrre bottoni a un costo
più basso della Cina, il vantaggio iniziale della Cina consente a quest’ultima di conquistare l’intero
settore.
24
È necessario determinare la relazione fra ricavo marginale e il prezzo deciso dai monopolisti.
Questa relazione dipende da due fattori, quali la quantità di bene che l’impresa sta già vendendo e
l’inclinazione della curva di domanda, che ci dice quanto il monopolista deve diminuire il prezzo
per vendere un’unità addizionale di prodotto. Se la curva è molto piatta, il monopolista può vendere
un’unità addizionale diminuendo di poco il prezzo del bene e quindi non deve ridurre
significativamente il prezzo sulle altre unità vendute, per cui il ricavo marginale sarà molto vicino al
prezzo unitario. Se invece la domanda è molto inclinata, la vendita di un’ulteriore unità di prodotto
richiede una diminuzione notevole del prezzo, facendo sì che il ricavo marginale sia molto più
basso del prezzo. La relazione tra le vendite complessive dell’impresa e il prezzo da essa firmato
più essere rappresentata dall’equazione:
Q=A–BxP
Per cui le quantità vendute dall’impresa sono pari al rapporto tra prezzo unitario e costante B meno
costante A.
Il ricavo marginale in questo caso è pari a:
MR = P - Q/B
Ciò implica che:
P – MR = Q/B
La differenza fra il prezzo e il ricavo marginale dipende dalle vendite iniziali dell’impresa Q e dal
parametro che misura l’inclinazione della domanda B. Se le vendite sono maggiori, il ricavo
marginale è inferiore, perché la diminuzione del prezzo necessaria per vendere una quantità
maggiore costa più all’impresa (maggiore è la diminuzione delle vendite per ogni dato aumento del
prezzo, più vicino è il ricavo marginale al prezzo del prodotto).
La curva AC rappresenta il costo medio di produzione dell’impresa, ovvero il rapporto tra costi
totali e numero di unità prodotte. La sua inclinazione negativa riflette l’ipotesi di economie di scala,
che riducono il costo medio di produzione al crescere delle dimensioni dell’impresa. MC
rappresenta il costo marginale dell’impresa (il costo per produrre un’unità addizionale). Abbiamo
25
ipotizzato che il costo marginale dell’impresa sia costante, ovvero che la curva sia piatta. Dunque,
le economie di scala devono avere origine dalla presenza di un costo fisso, che implica che il costo
medio sia maggiore del costo marginale costante; tuttavia la differenza tra i due si riduce man mano
che il costo fisso viene distribuito su un numero crescente di unità di prodotto.
Se indichiamo con c il costo marginale dell’impresa e con F i costi fissi, possiamo scrivere il costo
totale dell’impresa C come:
C=F+cxQ
AC = C/Q = (F/Q) + c
Questo costo medio è sempre maggiore del costo marginale c e si riduce all’aumentare della
produzione Q. il costo medio cresce all’infinito al tendere della produzione a zero e tende al costo
marginale per livelli produttivi molto alti.
Il livello di produzione che permette al monopolista di massimizzare i profitti viene individuato
dalla condizione di uguaglianza tra ricavo marginale e costo marginale, in altre parole nel punto di
intersezione delle curve MC e MR. Il prezzo al quale viene domandata la quantità QM è PM, che è
maggiore del costo medio; quando P > AC, il monopolista ottiene un profitto monopolistico.
Q = S x [1/n – b x (P – P*)]
26
Al tempo stesso, si suppone che tutte le imprese siano simmetriche anche se producono beni
differenziati (ovvero fronteggiano la stessa curva di domanda e la stessa funzione di costo).
Tutto ciò che è necessario per comprendere e descrivere il settore in concorrenza monopolistica è il
numero di imprese e il prezzo fissato dalla tipica impresa, nonché del prezzo medio P*. Il metodo
per determinare n e P* richiede tre passaggi:
- Il numero di imprese e il costo medio. In che modo il costo medio dell’impresa dipende dal
numero delle imprese del settore? Dato che in questo modello tutte le imprese sono
simmetriche, il prezzo in equilibrio sarà lo stesso, per cui P=P*. In questo caso, Q = S/n e il
livello di produzione di ogni impresa è una quota 1/n delle vendite complessive del settore;
abbiamo visto dall’equazione di costo medio che quest’ultimo dipende inversamente dalla
quantità prodotta dall’impresa, per cui è constatato che il costo medio dipende dall’ampiezza
del mercato e dal numero di imprese nel settore.
AC = F/Q + c = (n x F/S) + c
A parità di alter condizioni, maggiore è il numero delle imprese nel settore, maggiore è il
costo medio (maggiore è il numero delle imprese, meno esse producono).
- Il numero di imprese e il prezzo. In generale, maggiore è il numero delle imprese, più intensa
è la concorrenza e quindi più basso sarà il prezzo. È utile ipotizzare in questo caso che la
curva di domanda di ogni impresa sia lineare e che, nel modello di concorrenza
monopolistica, le imprese prendono come dati i prezzi fissati dalle imprese (P*). Possiamo
riscrivere la curva di domanda nella forma:
Q = [(S/n) + S x b x P*] – S x b x P
Dove b misura la sensibilità della quota di mercato dell’impresa al prezzo da essa fissato.
Adesso la funzione di domanda ha la stessa forma dell’equazione di domanda del monopolio
puro, con [(S/n) + S x b x P* al posto del termine costante A e S x b al posto del coefficiente
di inclinazione B.
Inserendo i seguenti valori nella formula per il ricavo marginale avremo:
MR = P – Q/(S x b)
MR = P – Q/(S x b) = c
27
P = c + Q/(S x b)
P = c + 1/(b x n)
Maggiore è il numero di imprese presenti nel settore, minore è il prezzo fissato da ogni
impresa. Infatti, il markup sul costo marginale di ciascuna impresa, P – c = 1/(b x n),
diminuisce all’aumentare del numero di imprese concorrenti. L’equazione di prezzo
corrisponde alla curva inclinata negativamente PP.
28
varietà. L’integrazione dei mercati tramite il commercio internazionale ha lo stesso effetto della
crescita all’interno di un singolo paese.
AC = F/Q + c. = n x F/S + c
Secondo questa equazione, un aumento delle vendite totali S reduce i costi medi per ogni dato
numero di imprese n. La ragione è che, se il mercato cresce mentre il numero delle imprese rimane
costante, le vendite di ciascuna impresa aumentano e il costo medio diminuisce. Perciò, la curva CC
per il mercato più ampio si troverà al di sotto della curva relativa al mercato più piccolo.
Al tempo stesso, la curva PP che mette in relazione il prezzo fissato dalle imprese al numero delle
imprese non si muove:
P = c + 1/(b x n)
La dimensione del mercato non entra in questa equazione, per cui un aumento di S non causa alcuno
spostamento della curva PP. L’aumento dell’ampiezza del mercato, misurata dalle vendite del
settore, causa uno spostamento verso il basso della curva, da CC1 a CC2, mentre non ha effetti su
PP. Il nuovo equilibrio si trova nel punto 2: il numero delle imprese aumenta da n1 a n2, mentre il
prezzo diminuisce da P1 a P2; di conseguenza, i consumatori preferirebbero far parte di un mercato
grande, dai prezzi più bassi, che di un mercato più piccolo e con i prezzi maggiori.
Ipotizziamo anche che la funzione di costo per produrre le auto sia descritta con un costo fisso F
pari a 750.000.000 ed il costo marginale c = 5.000 per ogni automobile. Il costo totale è:
C = 750.000.000 + (5.000 x Q)
AC = (750.000.000/Q) + 5.000
Supponiamo che vi sono due paesi, H e F: il primo ha vendite annuali per 900.000 automobili,
mentre il secondo per 1,6 milioni. In assenza di scambi, H avrebbe sei imprese, che venderebbero al
prezzo unitario di 10.000; per confermare che questo è l’equilibrio di lungo periodo, dobbiamo
dimostrare che è soddisfatta l’equazione del prezzo e che il prezzo è uguale al costo medio.
Sostituendo i valori effettivi del costo marginale c, del parametro della domanda b e del numero di
imprese nel paese H nell’equazione, troviamo:
Per cui la condizione di massimizzazione del profitto (ricavo marginale uguale al costo marginale) è
soddisfatta. Ogni impresa vende 900.000 unità/6 imprese = 150.000 unità per impresa. Il costo
medio è quindi:
Dato che il costo medio di 10.000 è uguale al prezzo, tutti i profitti di monopolio sono stati
eliminati. Quindi 6 imprese, che vendono al prezzo di 10.000 e che producono 150.000 automobili
ciascuna, è l’equilibrio di lungo periodo nel mercato del paese H.
Per quanto concerne il paese F, in assenza di scambi, il mercato di F ospita 8 imprese ciascuna delle
quali produce 200.000 automobili e vende al prezzo di 8.750.
Adesso supponiamo che sia possibile per H e F commerciare automobili senza costi: questo crea un
nuovo mercato integrato con un ammontare di vendite complessive di 2.5 milioni di automobili. Il
mercato ospita in equilibrio 10 imprese, ognuna delle quali produce 250.000 auto e le vende al
prezzo unitario di 8.000. Le condizioni di massimizzazione del profitto e di uguaglianza dei profitti
a zero sono ancora una volta soddisfatte.
Il mercato integrato ha più imprese, ognuna delle quali produce di più e vende a un prezzo più basso
di quanto facciano le economie nazionali per conto loro. Chiaramente ognuno sta meglio in seguito
all’integrazione: in un mercato più ampio, i consumatori hanno un insieme di scelta maggiore ed
ogni impresa produce di più offrendo i suoi prodotti a un prezzo più basso. Per realizzare questi
benefici, i paesi devono instaurare rapporti commerciali internazionali. Per sfruttare le economie di
scala, ogni impresa deve concentrare la produzione in un unico paese e deve vendere ai consumatori
di entrambi i mercati, di modo che il bene venga prodotto solo in un paese ed esportato nell’altro.
30
Questo esempio numerico evidenzia due importanti caratteristiche del commercio internazionale
con concorrenza monopolistica:
- la differenziazione di prodotto e le economie di scala interne portano al commercio
internazionale tra paesi simili, senza alcuna differenza di vantaggio comparato; si ha in
questo caso un tipo di commercio diverso da quello basato sul vantaggio comparato.
Entrambi i paesi esportano lo stesso bene, pagando le importazioni di alcuni modelli prodotti
in un paese con le esportazioni di altri modelli prodotti nel proprio paese, e viceversa
(commercio intra-settoriale, lo scambio reciproco di beni simili);
- nel mercato integrato dopo l’apertura agli scambi, i consumatori di H e F ricevono benefici
da una maggiore varietà di modelli di automobili a un prezzo inferiore grazie al fatto che le
imprese sono in grado di consolidare la propria produzione destinata a entrambi i mercati e
di sfruttare le economie di scala.
31
producono con diversi livelli di costo marginale, ci. supponiamo che tutte le imprese continuino a
fronteggiare la stessa curva di domanda. I grafici che seguono illustrano le differenze di
performance tra due imprese quando c1<c2.
La curva del ricavo marginale è più ripida rispetto alla curva di domanda. Le imprese 1 e 2 scelgono
il proprio livello di produzione, rispettivamente Q1 e Q2, per massimizzare i propri profitti
(massimizzati quando le rispettive curve di costo marginale si intersecano con la curva comune del
ricavo marginale), ed i prezzi P1 e P2, dove il primo è minore del secondo prezzo (e produrrà un Q1
maggiore di Q2). Poiché la curva del ricavo marginale è più inclinata della curva di domanda,
vediamo anche che la prima impresa fisserà un markup sul costo marginale maggiore della seconda
impresa: P1-c1 > P2-c2.
Le aree in grigio rappresentano i profitti operativi per le due imprese, pari ai ricavi PiQi meno i costi
variabili ciQi. poiché i profitti operativi possono essere riscritti come il prodotto tra il markup e il
numero di unità di bene vendute, possiamo determinare che l’impresa 1 guadagnerà profitti più
elevati rispetto all’impresa 2. Rispetto a un’impresa con un costo marginale più elevato, un’impresa
con un costo marginale minore:
- fisserà un prezzo minore ma con un markup maggiore sul costo marginale;
- produrrà di più;
- otterrà profitti maggiori.
Il secondo grafico mostra come i profitti operativi saranno una funzione decrescente del corso
marginale; un’impresa può ottenere profitti operativi positivi finché il costo marginale è inferiore
all’intercetta della curva di domanda sull’asse verticale, P* - [1/(b+n)]. Indichiamo con c* il costo
limite. Un’impresa con un costo marginale ci maggiore del limite ha prezzi effettivamente troppo
elevati per rimanere sul mercato e otterrà profitti operativi negativi se dovesse produrre, per cui tale
impresa sceglierebbe di chiudere e di non produrre.
32
La diminuzione della domanda per le imprese più piccole si traduce in un nuovo inferiore limite di
costo, c*: alcune imprese con costi elevati superiori a c* non possono sostenere la diminuzione
della domanda e sono costrette all’uscita. D’altra parte, la curva di domanda più piatta rappresenta
un vantaggio per quelle imprese che hanno livelli di costo bassi: possono adattarsi alla maggiore
concorrenza riducendo il loro markup e ottenere una quota di mercato aggiuntiva. Ciò si traduce in
maggiori profitti per le imprese con migliori prestazioni, ovvero per quelle con i minori livelli di
costo ci. Le imprese con un basso costo prosperano e incrementano i profitti e le quote di mercato,
mentre le imprese ad alto costo si contraggono e quelle con i costi più alti escono.
33
La decisione sugli IDE orizzontali. Introduciamo la possibilità di scegliere per uno Stato di
diventare una multinazionale attraverso gli IDE orizzontali: un’impresa potrebbe evitare il costo del
commercio t attraverso la costruzione di un impianto produttivo in F. Naturalmente, la costruzione
di questo impianto produttivo è costosa e implica un costo fisso per la filiale estera. Manteniamo
l’ipotesi di paesi simili in modo che questa impresa possa produrre un’unità del bene allo stesso
costo marginale nell’impianto estero.
La scelta dell’impresa tra esportazioni e IDE implicherà un trade-off tra il costo unitario di
esportazione t e il costo fisso F necessario per costruire uno stabilimento produttivo aggiuntivo. Se
l’impresa vende Q unità nel mercato estero, sostiene un costo dovuto al commercio internazionale
pari a Q x t per esportare; questo costo deve essere confrontato con l’alternativa del costo fisso F.
Se Q > F/t, allora le esportazioni sono più costose e la scelta che massimizza i profitti è l’IDE.
Maggiori costi del commercio da una parte e minori costi fissi di produzione dall’altra riducono la
soglia degli IDE. La scala dell’impresa, tuttavia, dipende dalle prestazioni. Un’impresa con un costo
ci sufficientemente basso vorrà vendere più Q unità sul mercato estero. Il modo più efficiente dal
punto di vista dei costi per fare ciò è costruire una filiale nel paese F e diventare una
multinazionale.
La decisione sugli IDE verticali. Quando si considerano gli IDE verticali, il risparmio di costo
principale è collegato alle differenze nei costi di produzione per le parti della catena del valore che
sono state trasferite. Queste differenze di costo traggono origine principalmente dalle forze di
vantaggio comparato. Perché tutte le imprese non scelgono di aprire delle filiali nei paesi a basso
salario per realizzare attività più intensive in lavoro tra quelle che possono essere realizzate in altre
località? Gli IDE verticali richiedono un significativo costo fisso di investimento nella filiale estera
in un paese con le caratteristiche appropriate. Ci sarà quindi una dimensione soglia per gli IDE
verticali che dipende dal differenziale nei costi di produzione da una parte e dal costo fisso per il
funzionamento di una filiale estera dall’altro.
8.6.2 L’outsourcing.
La casa madre sceglie di possedere la filiale estera e operare come un’unica impresa multinazionale
secondo dei vantaggi legati alla internalizzazione. In sostituzione all’IDE orizzontale, un’impresa
piò dare in licenza a un’impresa indipendente la produzione e la vendita dei propri prodotti in una
località estera; in sostituzione degli IDE verticali, può firmare un contratto con un’impresa
indipendente per la realizzazione di parti specifiche del processo produttivo nel paese sfruttando il
vantaggio di costo. Tale sostituto degli IDE verticali è noto con il termine di outsourcing o
esternalizzazione all’estero.
L’offshoring rappresenta la ricollocazione di parti della catena all’estero e comprende sia
l’outsourcing che gli IDE verticali. Quando i beni intermedi sono prodotti all’interno di un gruppo
multinazionale, le spedizioni di questi beni intermedi sono classificate come commercio intra-
impresa. Tra gli elementi principali che determinano la scelta di internazionalizzazione rientra
sicuramente il controllo sulla tecnologia di proprietà dell’impresa, che offre un forte vantaggio al
paese dominato (perciò l’IDE orizzontale è largamente preferito rispetto a concedere in licenza la
tecnologia per replicare il processo produttivo).
Il trade off tra outsourcing e IDE verticale è molto meno netto: un’impresa indipendente può
specializzarsi in una parte ristretta del processo produttivo, di conseguenza può anche trarre benefici
dalle economie di scala se realizza tali processi per diverse imprese; inoltre, evita costose
rinegoziazioni in caso di conflitto, che tarderebbe inevitabilmente la produzione, dopo che l’accordo
iniziale è stato raggiunto.
La descrizione di quale tipo di impresa scelta un’opzione di offshoring piuttosto che l’altra dipende
dai dettagli delle ipotesi di modello. Tuttavia, emerge una previsione robusta da quei modelli
quando si confronta la possibilità di spostare all’estero la produzione con quella di non farlo.
Rispetto alla scelta di non spostare all’estero le attività, sia gli IDE verticali che l’outsourcing
all’estero implicano costi di produzione inferiori insieme a un costo fisso più elevato. Ciò implica
una sogna dimensionale per un’impresa che sceglie una delle possibili opzioni di offshoring.
34
Quindi, solo le imprese più grandi sceglieranno una delle due opzioni di offshoring e importeranno
alcuni beni intermedi.
Solo un sottoinsieme di imprese relativamente più produttive (costi inferiori) sceglierà l’offshoring
(ovvero importare beni intermedi) e l’esportazione (fornendo i propri beni ai clienti esteri), perché
sono tali imprese che operano con una scala sufficientemente grande da preferire la soluzione con
costi fissi maggiori e costi unitari inferiori (che siano di produzione o di commercio).
35
I dati nella tabella forniscono solo informazioni di prima approssimazione sul grado di protezione:
spesso si usa una media ponderata dei dazi in cui i pesi sono dati dalle importazioni del bene su cui
è stato applicato il dazio. I dati con media ponderata confermano il carattere protezionistico dei
paesi in via di sviluppo rispetto a quelli industrializzati, nonché la presenza di picchi di
protezionismo nei paesi sviluppati in settori di vantaggio comparato per i paesi in via di sviluppo.
Un’altra caratteristica dell’attuale sistema di protezione è la tariff escalation, cioè la pratica da parte
di molte nazioni di fissare livelli di protezione più alti per i beni che sono a uno stadio di
lavorazione più avanzata; questo fenomeno è caratteristico sia per i paesi industrializzati che per
quelli in via di sviluppo e viene utilizzata per incoraggiare la localizzazione sul territorio nazionale
di produzioni di beni più a valle nella catena di creazione del valore.
36
In corrispondenza del prezzo P1 i produttori di F offrono una quantità pari a S*1, mentre i
consumatori domandano solamente la quantità D*1. Le quantità disponibili per l’esportazione sono
quindi pari a S*1 – D*1. Ad un prezzo maggiore l’offerta dei produttori di F sale mentre la domanda
dei consumatori scende, per cui l’offerta di esportazioni aumenterà al livello S*2 – D*2. Poiché
l’offerta di beni per l’esportazione aumenta all’aumentare del prezzo, la curva di offerta di
esportazioni di F è inclinata positivamente. Al prezzo P*A offerta e domanda in F sono uguali in
assenza di commercio internazionale; pertanto, la curva di offerta di esportazioni interseca l’asse
delle ordinate al prezzo P*A (offerta di esportazioni = zero al prezzo P*A).
ossia:
37
In assenza del dazio, il prezzo del grano in entrambi i paesi sarebbe uguale a quello mondiale, Pw;
tuttavia, quando il dazio viene imposto, nessun operatore sarà disposto a trasferire il grano da F a H,
se non in presenza di una differenza positiva di almeno t dollari tra il prezzo in H e quello in F. se i
due paesi non commerciassero in grano, ci sarà un eccesso di domanda di grano nel primo paese e
un eccesso di offerta di grano nel secondo ed il prezzo aumenterà in H e diminuirà in F, fino al
punto in cui la differenza tra i due prezzi sarà di t dollari.
Il dazio crea una differenza tra i prezzi praticati nei due mercati:
- In H il dazio fa aumentare il prezzo a PT, spingendo i produttori in questo paese a offrire una
quantità maggiore, inducendo i consumatori dello stesso paese a domandare una quantità
minore (domanda inferiore di importazioni).
- In F il dazio fa diminuire il prezzo a PT - t, comportando una minore offerta e una maggiore
domanda nel suddetto paese (offerta inferiore di esportazioni).
Il volume degli scambi internazionali di grano si riduce, passando dalla quantità QW alla quantità QT
registrata in presenza di un dazio: in corrispondenza di quest’ultima, la domanda di importazioni di
H eguaglia l’offerta di esportazioni di F se PT – P*T = t. L’aumento del prezzo in H è inferiore al
dazio: una parte di quest’ultimo si riflette nella diminuzione del prezzo all’esportazione in F, e non
viene quindi sopportato dai consumatori del paese H. Questo è il risultato normale di un dazio e di
ogni politica commerciale volta a limitare le importazioni.
Nella maggior parte dei casi la dimensione di questo effetto si rivela assai contenuta e ciò è in parte
dovuto al fatto che, nel caso in cui a imporre un dazio sia un paese piccolo, la quota sul mercato
mondiale del bene importato sia poco rilevante nella situazione iniziale ed infine sul prezzo
mondiale.
38
dazio del 10% sulle relative importazioni, facendo aumentare il costo dei componenti per gli
assemblatori nazionali a 6.600 dollari (anche se non sono intervenute variazioni nei dazi, una
politica di questo genere rende la produzione all’interno più costosa): un dazio sui componenti
comporta un livello negativo di protezione per il settore dell’assemblaggio, provocando un tasso
effettivo pari al -30%.
Il surplus del produttore è un concetto analogo e la stessa procedura utilizzata per derivare il
surplus del consumatore dalla curva di domanda può essere utilizzata per derivare il surplus del
produttore dalla curva di offerta. In corrispodenza del prezzo P1, la quantità offerta è S1 e il surplus
del produttore è misurato dall’area c; se il prezzo e la quantità aumentano, il surplus del produttore
aumenta diventando uguale alla somma dell’area c e dell’area aggiuntiva d.
39
I produttori interni percepiscono un prezzo maggiore e vedono aumentato il proprio surplus: prima
dell’introduzione del dazio il surplus del produttore era pari all’area sotto PW e sopra la curva di
offerta, ma quando il prezzo aumenta, il surplus aumenta dell’area indicata con a.
I consumatori interni si trovano di fronte a un aumento del prezzo, per cui la loro situazione
peggiora: con l’introduzione del dazio, il prezzo aumenta da PW a PT, ed il surplus si riduce dell’area
pari alla somma a, b, c, d.
Bisogna considerare la posizione del Governo, che gode di un vantaggio, dal momento che il dazio
è associato a un gettito fiscale pari al dazio stesso moltiplicato per il volume delle importazioni.
Dato che t = PT – P*T, l’introito percepito dal Governo risulta pari alla somma delle due aree c ed e.
I vantaggi e gli svantaggi considerati si riferiscono a gruppi diversi di operatori e la valutazione dei
costi benefici dipende perciò dal peso attribuito a ciascun dollaro di beneficio relativo a ciascun
gruppo. È prassi comune tra gli economisti tentare un calcolo degli effetti netti di un dazio sul
benessere nazionale.
Consideriamo l’effetto netto di un dazio sul benessere complessivo; il costo netto è dato da:
40
(a + b + c + d) – a – (c + e) = b + d – e
Abbiamo due triangoli che misurano le perdite del paese e un rettangolo che misura il guadagno;
un’interpretazione utile dei guadagni può essere la seguente: i primi rappresentano le perdite di
efficienza, dovute al fatto che un dazio genera una distorsione negli incentivi al consumo e alla
produzione, mentre il secondo illustra i benefici in termini di ragioni di scambio, associati alla
diminuzione dei prezzi esteri all’esportazione indotta dal dazio stesso.
Il vantaggio del dazio dipende dalla capacità del paese che lo impone di far diminuire i prezzi esteri
all’esportazione; se il paese non può modificare i prezzi mondiali (per esempio è un “paese
piccolo”) l’area associata ai benefici associati alla ragione di scambio (ovvero e) scompare e
provoca una riduzione del benessere nazionale. Il dazio distorce gli incentivi sia dei produttori che
dei consumatori, inducendo entrambi ad agire come se le importazioni fossero più costose di quanto
siano in realtà; il costo di una unità addizionale di consumo per l’economia nel suo complesso
corrisponde al prezzo di un’unità addizionale importata, ma poiché il dazio fa aumentare il prezzo
interno al di sopra di quello mondiale, i consumatori riducono il proprio consumo fino al punto in
cui il benessere relativo all’unità marginale è pari al prezzo interno, che include il dazio.
Analogamente, il valore di un’unità addizionale prodotta all’interno è pari al prezzo dell’unità
importata di cui si fa a meno, tuttavia i produttori interni espandono la propria attività fino al punto
in cui il costo marginale eguaglia il prezzo interno, comprensivo del dazio. Pertanto, il paese
produce internamente unità addizionali del bene che avrebbero potuto essere acquistate all’estero a
un prezzo inferiore.
L’effetto negativo è misurato dai due triangoli b e d: il primo rappresenta una perdita dovuta alla
distorsione nella produzione, derivante dal fatto che il dazio induce i produttori interni a produrre
una quantità troppo elevata del bene. Il secondo rappresenta una perdita interna dovuta a una
distorsione nel consumo: il dazio induce i consumatori a consumare una quantità troppo limitata
del bene. Queste perdite devono essere comparate con un vantaggio in termini di ragioni di
scambio, che risulta dalla diminuzione del prezzo estero all’esportazione indotta dal dazio. I costi
del dazio superano i relativi benefici.
41
comporta un’esportazione all’estero fino al punto in cui il prezzo interno eccede il prezzo estero di
un ammontare pari al sussidio stesso. Il prezzo nel paese esportatore aumenta, ma dato che il prezzo
nel paese importatore diminuisce, l’aumento risulterà inferiore al sussidio; nel paese esportatore, i
produttori guadagnano, mentre i consumatori e il governo perderanno, i primi un’area pari a + b,
mentre il secondo b + c+ d + e + f + g (di cui i produttori guadagnano l’area b e c). Tra queste, b e
d rappresentano distorsioni nel consumo e nella produzione analoghe a quelle generate da un dazio.
Il sussidio peggiora le ragioni di scambio, poiché provoca una diminuzione del prezzo del benessere
esportato nel mercato estero, da PW a P*S. questo effetto è alla base del termine addizionale e + f +
g nella perdita, pari al prodotto tra PW – P*S e la quantità esportata in virtù del sussidio. Un sussidio
all’esportazione genera dunque costi che eccedono sicuramente i corrispondenti benefici.
42
ogni anno. È importante evitare l’idea che il contingentamento limiti le importazioni senza
provocare aumenti dei prezzi interni: infatti, un contingentamento delle importazioni ha sempre
l’effetto di innalzare i prezzi interni dei beni importati. Quando si introducono limitazioni alle
importazioni, il risultato immediato e che in corrispondenza del livello iniziale del prezzo, la
domanda per il bene eccede la somma di offerta interna e importazioni. Ciò fa si che il prezzo
aumenti fino al raggiungimento dell’equilibrio di mercato. Alla fine, un contingentamento genera un
aumento dei prezzi interni uguale a quello di un dazio che i limiti le importazioni nella stessa
misura.
La differenza tra un contingentamento e dazio sta nel fatto che nel primo caso il governo non
percepisce alcun introito: la somma di denaro che con un dazio si sarebbe manifestata nella forma di
reddito per il governo viene percepita dai destinatari delle licenze governative; i profitti realizzati
dai possessori delle licenze di importazione sono noti come rendite da contingentamento.
43