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PER TUTTI

Il

PIL
e la crescita
Luigi Moretti
.
Luigi Moretti

IL PIL
E LA CRESCITA
ECONOMIA PER TUTTI
N° 10 Il PIL e la crescita
Di Luigi Moretti

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I QUADERNI DE LA GAZZETTA DELLO SPORT – Anno 29


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INDICE

Prefazione 7
Il PIL e la crescita 15
Bibliografia 97
.
PREFAZIONE
DI ROSARIO CRINÒ

Nel 2021, l’Italia aveva un Prodot-


to Interno Lordo (PIL) di 1.782 mi-
liardi di euro, ed era l’ottava economia
più grande al mondo (dati a prezzi
correnti; fonte: Banca Mondiale). Dal
secondo dopoguerra a oggi, il nostro
Paese ha attraversato tredici cicli eco-
nomici, durante i quali si sono alter-
nate fasi di espansione e contrazione
del PIL. In alcuni casi – come dopo la
pandemia da COVID-19 – la cadu-
ta del PIL è stata fragorosa, ma a es-
sa è seguita una ripresa economica re-
pentina, in altri – in particolare, dopo
la crisi finanziaria del 2008 – la reces-

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ECONOMIA

sione è stata così profonda che il PIL


non ha ancora recuperato i livelli pre
crisi. Se rapportiamo il Prodotto In-
terno Lordo alla popolazione, ottenia-
mo una misura del reddito medio dei
cittadini, nota come «PIL pro capi-
te», che normalmente viene utilizzata
come indicatore della ricchezza di un
Paese. In Italia, il PIL pro capite era
pari a 30.200 euro nel 2021, circa tre
volte il valore del 1960 (considerando
l’andamento dei prezzi). Ciò significa
che il cittadino italiano medio posse-
deva nel 2021 circa tre volte il reddi-
to che aveva 60 anni fa. Questi esempi
mostrano come il PIL permetta – in
modo semplice e immediato – di mi-
surare la dimensione economica e la
ricchezza dei Paesi, e di studiarne la
variazione nel tempo anche in termi-
ni comparativi.
Gli economisti usano il termine
«crescita economica» per indicare un
aumento del PIL pro capite nel tempo

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Il PIl e la crescIta

(solitamente nel lungo periodo). Per


esempio, tenendo conto delle differen-
ze nel costo della vita, il PIL pro capi-
te italiano è 59 volte superiore a quel-
lo del Burundi, il Paese più povero al
mondo nel 2021. Questa differenza è
quasi raddoppiata nell’ultimo trenten-
nio (era pari a 31 volte nel 1990), il
che suggerisce che la crescita econo-
mica del Burundi sia stata molto più
lenta di quella dell’Italia. Al contrario,
la crescita della Cina è stata spettaco-
lare e ha portato il Paese a scalare la
classifica del PIL pro capite dal 145°
posto (su 160 Paesi con dati disponi-
bili) al 77° posto (su 190 Paesi).
Non servono altri esempi per di-
mostrare quanto importanti siano i
concetti di PIL e crescita. La loro ri-
levanza è confermata dal continuo ri-
chiamo che a essi viene fatto nel di-
battito economico e politico, e dallo
spazio che trovano quotidianamente
nei notiziari e sulle pagine dei gior-

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ECONOMIA

nali. A questo punto, a molti sarà ca-


pitato di interrogarsi sulla loro defini-
zione, su come essi vengano utilizzati
e interpretati, e su quali fattori pos-
sano spiegarne l’andamento nel tem-
po e le differenze tra Paesi. Sarà ca-
pitato spesso di chiedersi: che cos’è il
PIL e come viene misurato? Qual è
stato il suo andamento in Italia negli
ultimi decenni? E le principali carat-
teristiche dei cicli economici recenti?
Quali sono le determinanti del PIL
pro capite? Perché alcuni Paesi cre-
scono e diventano ricchi, mentre altri
non riescono a sfuggire alla povertà?
Gli economisti studiano da sempre
queste questioni, nel tentativo di affi-
nare la conoscenza dei fattori che de-
terminano la dimensione e la salute di
un’economia, la sua resilienza a even-
ti negativi nel breve periodo, e la sua
capacità di crescere e generare ric-
chezza nel lungo periodo. Ciò è fon-
damentale per informare le politiche

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Il PIl e la crescIta

pubbliche, sia in Paesi industrializza-


ti ma afflitti da crescita lenta – come
l’Italia – sia in nazioni in via svilup-
po dove un’ampia quota della popo-
lazione versa in condizioni di pover-
tà estrema.
La ricerca ha prodotto risposte in-
teressanti. Essa ci insegna, per esem-
pio, che alcuni fattori – come gli inve-
stimenti in capitale – sono importanti
determinanti del livello di ricchezza di
un Paese, ma da soli non possono ga-
rantire che essa continui a crescere nel
tempo. La crescita economica è invece
favorita dal progresso tecnico – la ca-
pacità di produrre nuove invenzioni e
di migliorare la qualità di beni e ser-
vizi. Il solo progresso tecnico potrebbe
non bastare, però. Affinché esso possa
essere efficace, infatti, è necessario che
altri fattori – come le istituzioni di un
Paese, le sue caratteristiche geografi-
che, l’incidenza di malattie endemiche
– siano favorevoli alla crescita.

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ECONOMIA

Ciò porta a una considerazione: di-


segnare politiche pubbliche che sti-
molino l’innovazione e il cambia-
mento tecnologico è teoricamente
possibile anche nel breve/medio pe-
riodo, ma modificare le istituzioni di
un Paese e superare gli impedimenti
geografici alla crescita richiede mol-
to più tempo. È probabile che anche
questi fattori, così lenti a mutare, spie-
ghino le ampie differenze internazio-
nali in termini di PIL e crescita eco-
nomica, oltre alla difficoltà che molti
Paesi incontrano nell’uscire dalla trap-
pola della povertà estrema.
Sebbene il PIL sia una fondamen-
tale variabile macroeconomica, esiste
un dibattito sulle sue possibili limi-
tazioni come misura di benessere. Da
una parte, il Prodotto Interno Lor-
do non tiene conto di dimensioni del
benessere che esulano dal mero valo-
re della produzione (si pensi al fat-
to che beni e servizi prodotti non si-

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Il PIl e la crescIta

ano nocivi per l’ambiente, le persone e


la società), né di aspetti non moneta-
ri come la soddisfazione delle perso-
ne per la propria vita o la loro felicità.
Dall’altra parte, è verosimile che que-
sti aspetti siano correlati con la ric-
chezza di un Paese. Inoltre, il PIL non
considera la distribuzione del reddito
e, dunque, non tiene conto dell’inci-
denza della diseguaglianza in una so-
cietà. Trovare il modo di affiancare al
PIL altri indicatori capaci di misurare
questi aspetti potrebbe aiutare a otte-
nere quantificazioni sempre più accu-
rate del benessere dei Paesi e a far-
si un’idea sempre più precisa del loro
processo di crescita e sviluppo.

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.
IL PIL E LA CRESCITA

In breve, cos’è il PIL?

Secondo i risultati di un’indagine pub-


blicata nel 2020 dall’Economic Statis-
tics Centre of Excellence di Londra, la
maggioranza del campione intervista-
to, rappresentativo del pubblico bri-
tannico, non ha saputo individuare la
definizione corretta del PIL. Questo
risultato non è sorprendente: siamo
esposti quotidianamente a informa-
zioni che contengono la parola «PIL»,
ma la sua definizione è piuttosto tecni-
ca e complessa.
Iniziamo quindi col chiarire che PIL
è l’acronimo di Prodotto Interno Lor-
do e col fornire una prima definizione

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ECONOMIA

approssimativa, in modo da fissare al-


cune basi: il PIL è una misura genera-
le e sintetica che riflette la dimensione
dell’attività economica di un Paese du-
rante un dato periodo. Quando leggia-
mo che nel 2019 i valori del PIL del
Regno Unito e della Francia sono sta-
ti entrambi di circa 3,300 miliardi di
dollari, possiamo approssimativamen-
te concludere che in quell’anno l’atti-
vità economica generata nei due Paesi
è stata simile. Se invece sentiamo di-
re che il PIL dell’Italia nel 2020 è sta-
to circa il 9 per cento più basso dell’an-
no precedente, significa che l’attività
economica prodotta in Italia durante il
primo anno di pandemia si è contrat-
ta di circa un decimo rispetto al 2019.
È bene fissare quindi almeno tre
aspetti preliminari, utili a comprende-
re il concetto di PIL:

1. si riferisce sempre a una specifi-


ca economia. Molto spesso, per la

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Il PIl e la crescIta

facilità di reperire l’informazione,


il territorio dell’economia in que-
stione corrisponde a quello di un
Paese. Tuttavia, si può parlare an-
che del PIL di un territorio più
vasto, come l’Area Euro (cioè quel
territorio che raggruppa gli Sta-
ti che hanno adottato l’Euro come
moneta comune);
2. il PIL viene misurato su un dato
periodo temporale. Spesso si tende
a usare l’anno solare, ma si posso-
no prendere in considerazione an-
che altri periodi, come un seme-
stre o un trimestre;
3. il PIL misura il valore monetario
di tutti i beni e servizi finali pro-
dotti all’interno di un Paese in un
dato periodo, dove il valore è de-
terminato ai prezzi di vendita sul
mercato.

Calcolare e conoscere il PIL ha mol-


teplici utilità. Quando le famiglie, le

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ECONOMIA

imprese e la Pubblica Amministrazio-


ne decidono quanto spendere, produr-
re o investire prendono in considera-
zione una lunga serie di fattori, tra cui,
più o meno esplicitamente, il PIL e la
sua tendenza. Per esempio, previsio-
ni di crescita futura del PIL potrebbe-
ro alimentare un clima di fiducia tra le
imprese e contribuire alla decisione di
intraprendere nuovi investimenti. Sul-
la base del PIL poggiano anche mol-
te scelte di politica economica: osser-
vando una flessione del PIL, la banca
centrale potrebbe decidere di ridurre i
tassi di interesse per stimolare consumi
e investimenti e limitare gli effetti ne-
gativi sulla produzione e l’occupazione.
Il PIL è anche utilizzato per rappor-
tare altre variabili economiche alla di-
mensione economica di un Paese. Per
esempio, per lungo tempo in Europa e
in Italia si è discusso sull’opportunità di
contenere la spesa pubblica per rispet-
tare i vincoli dei trattati europei espres-

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Il PIl e la crescIta

si, tra l’altro, come rapporto tra deficit


pubblico e PIL, o tra debito pubblico
e PIL.
In prima analisi, possiamo dire che
il PIL e le sue variazioni segnalano in
maniera sintetica la dimensione e lo
stato di salute dell’economia nel suo
complesso. Queste sono indicazioni
essenziali alle famiglie e alle impre-
se che operano sul territorio per effet-
tuare le loro scelte di consumo e in-
vestimento, così come per le scelte di
politica economica adottate dai go-
verni.

Le categorie di attività economiche


incluse ed escluse dal PIL

In generale, per il calcolo del PIL vie-


ne considerata qualsiasi attività eco-
nomica che genera una transazione
commerciale e viene registrata. So-
lo il valore finale dei beni o dei ser-
vizi viene registrato nel PIL mentre,

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ECONOMIA

per evitare di contare lo stesso valore


più volte, non si tiene conto del valore
dei beni intermedi necessari alla pro-
duzione dei beni finali. Per esempio,
se per ogni pagnotta di pane contas-
simo sia il valore della vendita al con-
sumatore sia il valore della farina ac-
quistata dal fornaio, calcoleremmo la
farina due volte, in quanto il suo valo-
re è già incluso nel prezzo pagato dal
consumatore.
Si è detto che i beni e i servizi con-
siderati nel PIL di un Paese sono pro-
dotti sul territorio del Paese in que-
stione. Non si considera la nazionalità
o la residenza di chi produce i beni o
offre i servizi, ma si tiene conto del
luogo di produzione. Per esempio,
se un ex ciclista francese produces-
se e vendesse biciclette in Italia, il va-
lore di quelle biciclette rientrerebbe
nel PIL dell’Italia. Così come il va-
lore del servizio di taglio offerto dal
nostro parrucchiere di quartiere. Allo

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Il PIl e la crescIta

stesso modo, se un imprenditore ita-


liano producesse e vendesse ruote tu-
bolari per biciclette in Germania, il
valore di questi beni rientrerebbe nel
PIL tedesco.
Altre precisazioni sono importan-
ti. Prima di tutto, nel calcolo del PIL
viene conteggiata anche l’attività del-
la Pubblica Amministrazione, come le
spese per l’istruzione, la sanità, la giu-
stizia, e così via. In secondo luogo, al-
cune attività economiche illegali, co-
me il traffico di droga, la prostituzione
o il contrabbando di tabacco, solo da
una decina d’anni rientrano nel cal-
colo del PIL dei Paesi dell’Unione
Europea e sulla base di valori stimati
(poiché, per ovvie ragioni, il loro valo-
re non viene ufficialmente dichiarato
o registrato). Lo stesso accade per la
cosiddetta economia sommersa, cioè
per le transazioni economiche che per
motivi fiscali vengono nascoste al fi-
sco e agli uffici statistici.

21
ECONOMIA

Esistono poi altre categorie di at-


tività che, seppur nella piena legalità,
non vengono prese in considerazione.
Tra queste ci sono le attività di lavo-
ro domestico. Un famoso esempio è
quello di una signora che assume un
domestico e quest’ultimo viene rego-
larmente pagato in base al lavoro svol-
to, in questo caso lo stipendio rientra
nel calcolo del PIL. Se a un certo pun-
to i due decidono di sposarsi, il dome-
stico non è più un lavoratore ma un
coniuge i cui servizi domestici, anche
assumendo che rimangano gli stessi,
non vengono registrati nel PIL.
Un’altra categoria di attività che
non rientra nel PIL è la produzione
per autoconsumo, come i frutti o gli
ortaggi raccolti nel proprio giardino
e consumati per uso personale. Allo
stesso modo, non si considerano le al-
tre attività che non implicano transa-
zioni commerciali come, per esempio,
quelle legate al volontariato.

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Il PIl e la crescIta

Calcolare il PIL

I metodi per calcolare il PIL sono


tre e sono tutti equivalenti, nel sen-
so che forniscono all’incirca lo stesso
valore monetario, ma mettono in ri-
salto componenti differenti di questa
grandezza macroeconomica. Vedia-
mo le loro caratteristiche di massi-
ma attraverso un esempio relativo al
processo (qui molto semplificato) di
produzione e commercializzazione di
un singolo bene: un tavolo di legno.
L’impresa A si occupa del taglio
e della produzione delle assi di le-
gno. Per produrre le assi necessarie
quest’impresa affitta macchinari per
un costo di 5 euro e utilizza due ore
di lavoro per un costo totale del lavo-
ro di 20 euro. Le assi grezze vengono
poi vendute per 40 euro all’impresa B,
facendo registrare un profitto lordo di
15 euro all’impresa A (40 - 20 - 5 =
15). Per lavorare le assi e produrre il

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ECONOMIA

tavolo l’impresa B impiegherà sei ore


di lavoro, a un costo totale di 60 euro,
e macchinari per un costo di 5 euro. Il
tavolo sarà poi venduto direttamente
dall’impresa B a un consumatore fina-
le per 205 euro. L’impresa B registra
quindi un profitto lordo di 100 euro
(205 - 60 - 5 - 40 = 100).
Un primo metodo per calcolare il
PIL tiene in considerazione il valore ag-
giunto durante le varie fasi di produzio-
ne, cioè il valore della produzione meno
il costo dei beni intermedi. In questo ca-
so l’impresa A ha apportato un valore di
40 euro (40 - 0), mentre l’impresa B di
165 euro (205 - 40). Il valore da consi-
derare nel PIL è quindi 205 euro (40 +
165). Un aspetto utile di questo metodo
di misurazione è che permette di capi-
re il contributo di vari settori industria-
li all’economia nazionale. In questo caso
consente di vedere il contributo del set-
tore di prima lavorazione del legno e del
settore dei mobilifici.

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Il PIl e la crescIta

Un secondo metodo si basa sul red-


dito. Nell’esempio citato, i redditi ge-
nerati dal processo di produzione sono:
10 euro per i proprietari dei macchina-
ri (5 + 5), nessuna entrata per lo Sta-
to (abbiamo assunto l’assenza di impo-
ste), 80 euro di salari per i lavoratori
(20 + 60) e 115 euro di profitti lor-
di per gli imprenditori (15 + 100). La
somma dei redditi da considerare nel
PIL è 205 euro (10 + 80 + 115). Il va-
lore è equivalente a quello ottenuto col
metodo precedente ma, in questo caso,
permette di avere informazioni su co-
me viene ripartito il reddito.

Infine, un terzo metodo si basa sul-


la spesa. In questo caso, il tavolo vie-
ne venduto a un prezzo di 205 euro a
un consumatore privato e rappresenta
il valore per il bene finale che viene re-
gistrato nel PIL.
Sebbene l’esempio fatto trascuri al-
tri fattori, è importante sottolinea-

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ECONOMIA

re che i tre metodi producono lo stes-


so risultato poiché la circolazione di
denaro nell’economia può essere rap-
presentata come un flusso circolare: la
spesa per l’acquisto di un bene finale
(il tavolo) è interamente redistribuita
sotto forma di redditi.

Le componenti della spesa nazionale

La contabilità nazionale è il sistema


che permette a un Paese di misura-
re nel corso di un anno ciò che vie-
ne prodotto e classificare l’ammontare
equivalente di spesa in beni e servi-
zi finali in differenti categorie. Guar-
dare a queste ultime ci permette di ca-
pire come viene impiegato il reddito.
La spesa per il tavolo precedentemen-
te illustrata, per esempio, ricadrebbe
nel consumo privato. Questa catego-
ria include infatti la spesa delle fami-
glie per l’acquisto di beni e servizi: dal
cibo alle bollette della luce, dai nuo-

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Il PIl e la crescIta

vi capi d’abbigliamento al servizio di


toelettatura del proprio cane. Un’al-
tra componente sono gli investimenti,
cioè la spesa delle imprese per nuovi
macchinari e nuovi edifici (rientra-
no in questa categoria anche le nuo-
ve abitazioni residenziali acquistate).
Oltre alle famiglie e alle imprese, l’al-
tro attore importante da considerare è
lo Stato, o meglio gli enti della Pub-
blica Amministrazione. La spesa pub-
blica viene registrata in una categoria
a sé stante e comprende sia le spese
per beni e servizi, sia quelle per gli in-
vestimenti pubblici (dall’asfaltatura
di una strada alla costruzione di una
nuova scuola o ai computer per i di-
pendenti).
Infine, c’è un aspetto che finora non
abbiamo considerato: dato che i Paesi
commerciano tra di loro, per uguagliare
la produzione nazionale alla spesa bi-
sogna sommare le esportazioni nette,
cioè la spesa delle famiglie, imprese e

27
ECONOMIA

amministrazioni pubbliche estere, per i


beni e servizi nazionali (le esportazio-
ni) meno la spesa effettuata dagli atto-
ri economici nazionali per i beni e ser-
vizi esteri (le importazioni).
In definitiva, la spesa aggregata som-
ma i consumi privati, gli investimenti,
la spesa della Pubblica Amministrazio-
ne e le esportazioni nette.

PIL nominale e PIL reale

Abbiamo definito il PIL come la som-


ma del valore monetario dei beni e ser-
vizi prodotti in un Paese in un determi-
nato periodo. Se il valore monetario è
misurato ai prezzi correnti, cioè ai prez-
zi che vengono applicati al momen-
to della transazione di vendita, allora
parliamo più precisamente di PIL no-
minale. Questa misura però ha dei li-
miti che non la rendono ideale per ef-
fettuare confronti nel tempo o tra Paesi
(o entrambe le cose). Infatti, poiché il

28
Il PIl e la crescIta

PIL nominale è una misura moneta-


ria, il cambiamento dei prezzi si riflette
sul valore del PIL stesso. Per esempio,
supponiamo che una persona consumi
tutti gli anni 2 kg della stessa qualità
di mozzarelle. Ipotizziamo che lo scor-
so anno le abbia pagate 4 euro al kg,
facendo registrare 8 euro nel PIL. Se
quest’anno il costo salisse a 6 euro al kg,
la stessa quantità dello stesso bene con-
tribuirebbe a registrare 12 euro nel PIL.
Lo stesso aumento di 4 euro di PIL no-
minale si registrerebbe se il prezzo ri-
manesse fisso a 4 euro al kg ma la stes-
sa persona aumentasse il suo consumo
di mozzarelle da 2 a 3 kg. Un aumento
del PIL nominale da un anno a quello
successivo potrebbe quindi riflettere sia
un aumento dei prezzi, sia una crescita
della produzione di beni e servizi.
Per l’economia nel suo complesso, il
ragionamento è lo stesso: per valutare
se il volume dell’economia di un Pae-
se è realmente aumentato, il confronto

29
ECONOMIA

tra il PIL di due anni deve tenere conto


del cambiamento dei prezzi, altrimenti
potremmo mal interpretare le differen-
ze. Supponiamo ora che il PIL nomi-
nale di un Paese in un anno sia di 100
miliardi di dollari, mentre l’anno suc-
cessivo il valore salga a 105 miliardi. Il
PIL nominale del Paese è cresciuto del
5 per cento e saremmo tentati di con-
cludere che l’attività economica è au-
mentata. Tuttavia, se anche il livello dei
prezzi fosse cresciuto del 5 per cento,
in realtà il volume di attività economica
sarebbe rimasto invariato tra i due anni.
Per confrontare il PIL tra diversi an-
ni si usa quindi il PIL reale, cioè il PIL
calcolato con il livello dei prezzi fissato
a un anno base. Tenendo sempre con-
to dell’esempio precedente, per otte-
nere il PIL reale del secondo anno ai
prezzi del primo anno, avremmo dovu-
to dividere il PIL nominale del secon-
do anno per il cosiddetto deflatore del
PIL, dove quest’ultimo è un indice che

30
Il PIl e la crescIta

rappresenta la variazione generale dei


prezzi rispetto all’anno base; in questo
caso, data una variazione dei prezzi del
5 percento, il valore del deflatore sareb-
be stato uguale a 1,05.
Quando si vogliono effettuare con-
fronti tra PIL di diversi Paesi c’è un’ul-
teriore complicazione: le differenze nel
costo della vita. Per esempio, uno stesso
bene o servizio può costare cifre mol-
to differenti in nazioni diverse, anche
dopo aver convertito i prezzi in un’uni-
ca valuta utilizzando i tassi di cambio.
Tuttavia, è possibile ottenere stime del
PIL in grado di tenere conto delle dif-
ferenze del costo della vita e poter quin-
di comparare il PIL di diversi Paesi cat-
turando il più possibile le differenze di
volume di attività economica prodotta.

Il PIL italiano negli ultimi 20 anni

L’andamento dell’economia italiana


negli ultimi 20 anni è stato caratteriz-

31
ECONOMIA

zato da fasi di debole crescita e da tre


crisi economiche importanti.
Innanzitutto, bisogna capire come
le componenti della spesa aggrega-
ta contribuiscano alla formazione del
PIL nel nostro Paese: i consumi del-
le famiglie sono circa il 59 per cento,
gli investimenti il 20 per cento, la spe-
sa della Pubblica Amministrazione il
19 per cento, e il restante 2 per cen-
to circa è dato dalle esportazioni net-
te (le esportazioni sono circa il 32 per
cento e le importazioni il 30 per cento
del PIL). Questa composizione non è
cambiata radicalmente negli ultimi 20
anni, ma ha comunque visto delle flut-
tuazioni così come il PIL aggregato.
Dal 2000 al 2007, il PIL italiano è
cresciuto a tassi positivi ma comun-
que deboli, con una crescita più ele-
vata nei primi due anni del millennio,
per poi flettere nel 2002 e 2003 e ri-
prendere fino a tassi di circa l’1,5 per
cento nel 2006-2007. In questo perio-

32
Il PIl e la crescIta

do, i tassi di crescita dei consumi pri-


vati e della spesa pubblica sono stati
altrettanto moderati (per quest’ulti-
ma componente l’aumento è rallenta-
to soprattutto dopo il 2003), mentre
l’incremento delle esportazioni nette è
stato piuttosto altalenante nel periodo
(sebbene sia le esportazioni sia le im-
portazioni siano cresciute). Lo stesso
è valido per gli investimenti che han-
no alternato tassi di crescita positi-
vi a negativi (la maggior volatilità de-
gli investimenti rispetto ai consumi è
una caratteristica tipica che si osserva
non solo in questo periodo e non so-
lo in Italia).
La crisi finanziaria globale del
2008-2009 non ha risparmiato l’Ita-
lia, il cui PIL ha registrato tassi nega-
tivi dell’1 per cento nel 2008 e di oltre
il 5 per cento nel 2009 (valori peggio-
ri rispetto agli Stati Uniti, dove la cri-
si si era generata, e anche alla media
dell’Area Euro). Il valore del PIL re-

33
ECONOMIA

ale italiano non è ancora tornato allo


stato pre crisi del 2007. In quegli anni
tutte le componenti della spesa aggre-
gata hanno registrato dei tassi di cre-
scita negativi.
Nell’Area Euro in generale e in par-
ticolare in alcuni Paesi, tra cui l’Italia,
la reazione alla crisi in termini di au-
mento della spesa pubblica e degli in-
vestimenti è però stata debole rispet-
to agli Stati Uniti. Inoltre, all’inizio
del 2010 la ripresa si è bloccata nuo-
vamente a causa della crisi del debito
pubblico nell’Area Euro che ha porta-
to di nuovo a tassi di crescita negativi
nel 2012-2013, oltre che a una serie di
misure di austerità volte a contenere il
deficit pubblico. Anche da questa cri-
si l’Italia è uscita lentamente, con tassi
di crescita del PIL che oscillavano tra
lo 0,5 per cento e l’1,5 per cento cir-
ca negli anni 2015-2019. Di nuovo la
spesa pubblica è rimasta imbrigliata e
ha avuto tassi di crescita negativi, ma

34
Il PIl e la crescIta

i consumi e gli investimenti hanno se-


gnato variazioni annuali positive, seb-
bene inferiori alla media dell’Eurozo-
na. Le esportazioni sono cresciute ma
le importazioni ancora di più, risul-
tando in tassi di crescita negativi della
bilancia commerciale di beni e servizi
a eccezione del 2019.
Nel 2020 la crisi innescata dalla
pandemia da COVID-19 e dalle con-
seguenti necessarie misure contenitive
dei contagi ha colpito nuovamente l’I-
talia e gran parte del mondo. La fles-
sione del PIL del nostro Paese è sta-
ta del -9 per cento nel 2020 rispetto al
2019. I consumi privati e gli investi-
menti si sono ridotti di circa il 10 per
cento, le esportazioni sono calate del
13 per cento e più delle importazioni,
la spesa pubblica in questo caso però
è aumentata come conseguenza del-
le misure di sostegno alle attività pri-
vate e ai lavoratori messe in atto dal
governo.

35
ECONOMIA

In estrema sintesi, la dinamica del


PIL italiano, già debole all’inizio di
questo millennio, è stata messa a du-
ra prova da tre gravi crisi che si sono
susseguite nell’arco di poco più di un
decennio.

Il PIL pro capite è una buona misura del


benessere economico medio?

Il PIL pro capite misura il rapporto


tra il PIL e la popolazione di un dato
Paese. Fornisce l’indicazione del valo-
re dei beni e servizi prodotti in una
nazione disponibili in media per ogni
abitante in un anno. Dato che abbia-
mo detto che il PIL può essere defini-
to in maniera equivalente come pro-
duzione, spesa o reddito, possiamo
usare come sinonimi PIL pro capite
o reddito pro capite. Probabilmente,
questa è la misura aggregata più uti-
lizzata in economia per rappresenta-
re il livello di benessere medio di uno

36
Il PIl e la crescIta

Stato. In quanto approssimazione, es-


sa è necessariamente una misura im-
perfetta.
Si pensi ad alcune delle attività che
non vengono misurate nel PIL ma che
potrebbero ben incidere sul benesse-
re medio delle persone. Per esempio,
si potrebbe argomentare che un Pae-
se con una più diffusa attività di vo-
lontariato abbia un livello di benesse-
re migliore di altri, anche a parità di
popolazione e valore di beni e servizi
prodotti. Oppure, sarebbe ragionevole
dire che gli standard di vita medi sia-
no più elevati in un Paese dove la di-
stribuzione del reddito è più equa ri-
spetto a una nazione dove la ricchezza
è concentrata nelle mani di pochi abi-
tanti, anche a parità di valore di PIL
pro capite. Si potrebbe poi riflette-
re sul fatto che l’aumento della pro-
duzione industriale accresca il volume
e il valore dei beni e servizi prodot-
ti in un Paese, ma allo stesso è molto

37
ECONOMIA

probabile che aumenti l’inquinamen-


to. Mentre la crescita della produzio-
ne si riflette nel PIL, il costo generato
in termini di impatto ambientale non
viene direttamente preso in conside-
razione (astraendo dalla spesa o tassa-
zione per contenere l’inquinamento).
In generale, il PIL pro capite non
tiene direttamente conto anche di fat-
tori come, per esempio, la facilità d’ac-
cesso e la qualità dei servizi sanita-
ri e dell’ambiente, il tempo libero di
cui possono godere gli individui. Tutti
questi fattori possono in realtà conta-
re molto per il benessere dei cittadini.
Tante sono state le riflessioni fat-
te negli ultimi decenni per superare
i limiti del PIL (come la cosiddetta
commissione «Stiglitz-Sen-Fitoussi»
insediatasi in Francia nel 2008) e im-
portanti sono stati gli sforzi e i risul-
tati per ottenere una serie di indica-
tori che nel misurare il benessere di
un Paese prendessero in considera-

38
Il PIl e la crescIta

zione altri aspetti oltre il reddito pro


capite. L’indice di sviluppo umano
proposto una trentina di anni fa dal-
le Nazioni Unite è uno degli esem-
pi. Questo indicatore è una sintesi
di una serie di altri indici che cerca-
no di misurare il benessere catturan-
do, oltre il reddito pro capite, il livel-
lo di conoscenza, istruzione, salute e
aspettativa di vita nei singoli Paesi.
L’uso del PIL pro capite rimane
tuttavia largamente diffuso. Uno dei
motivi è forse legato al fatto che, a
differenza dei nuovi indici di benes-
sere, per il PIL e la popolazione esi-
stono delle statistiche storiche che
permettono di andare anche molto
indietro nel tempo nella comparazio-
ne dei Paesi. Un’altra ragione potreb-
be risiedere nel fatto che, sebbene sia
una misura parziale, il PIL pro ca-
pite è fortemente associato a mol-
te delle dimensioni non prettamente
monetarie del benessere. Per esem-

39
ECONOMIA

pio, livelli di PIL pro capite più al-


ti sono mediamente associati a livelli
di istruzione più elevati, aspettati-
ve di vita più lunghe e, in generale, a
una maggiore facilità d’accesso a una
gamma più ampia di beni e servizi.
Nel resto di questo volume, am-
mettendone qui i limiti, utilizzere-
mo principalmente il PIL pro capite
per effettuare confronti tra Paesi e nel
tempo, interpretando questa misura
come un’approssimazione del benes-
sere medio dei cittadini.

Cosa si intende per crescita economica?

Guardando all’andamento del PIL


italiano negli ultimi due decenni ab-
biamo visto come questa misura abbia
avuto un andamento fluttuante da un
anno all’altro. Letteralmente, quan-
do questi cambiamenti di breve perio-
do sono positivi, si registra un tasso di
crescita positivo del PIL. All’opposto,

40
Il PIl e la crescIta

se i cambiamenti sono negativi, si di-


ce che il Paese sta avendo una crescita
negativa. Tuttavia, spesso in economia
quando si parla di crescita econo-
mica si fa riferimento all’andamen-
to del PIL pro capite e altre variabi-
li nel lungo periodo. Si prende quindi
in considerazione un orizzonte tem-
porale sufficientemente lungo per po-
ter ragionevolmente sostenere che la
variazione del reddito pro capite sia
accompagnata anche da cambiamen-
ti negli standard di vita medi.
Le fluttuazioni economiche da un
anno all’altro, o comunque di breve
periodo, sono in qualche misura viste
come delle deviazioni dalla tenden-
za di crescita di lungo periodo. Ov-
viamente, i due aspetti non sono indi-
pendenti. Per esempio, durante le fasi
di boom economico è plausibile che le
imprese investano maggiormente in
tecnologie innovative o che gli indi-
vidui cerchino di acquisire più cono-

41
ECONOMIA

scenze e competenze rispetto a perio-


di di recessione. Questi sono fattori
che discuteremo come al centro del
processo di crescita economica di lun-
go periodo.
In generale, gli effetti delle fasi del
ciclo economico, tra espansioni e con-
trazioni, sul trend di crescita di lungo
periodo di un Paese possono dipende-
re da una serie di fattori, tra cui l’in-
tensità, la durata e la natura delle flut-
tuazioni. Vi è per esempio evidenza
che le crisi finanziarie siano accompa-
gnate da effetti negativi più forti sul-
la crescita di lungo periodo rispetto ad
altre tipologie di crisi.

L’economia della crescita

L’economia della crescita è la branca


delle scienze economiche interessata a
misurare e a comprendere le differen-
ze negli standard di vita dei Paesi e la
loro evoluzione nel corso del tempo.

42
Il PIl e la crescIta

Gli economisti cercano di rispondere


a domande come: Perché alcuni Pae-
si sono ricchi e altri poveri? Perché in
alcuni Stati lo standard di vita cresce
a un ritmo sostenuto, mentre in altri
non cresce? Perché alcune nazioni so-
no diventate ricche dopo lunghi pe-
riodi di povertà, mentre altre (in pas-
sato ricche) si sono impoverite?
L’importanza di queste domande
è evidente. Notando come in passa-
to alcuni Paesi fossero riusciti a regi-
strare tassi di crescita molto più ele-
vati rispetto ad altri, il premio Nobel
per l’economia Robert E. Lucas Jr.
scrisse che «le conseguenze per il be-
nessere umano coinvolte in questio-
ni come queste sono semplicemente
sbalorditive: una volta che si inizia a
pensarci, è difficile pensare a qualsia-
si altra cosa».
Gli economisti della crescita cerca-
no di spiegare le dinamiche passate
della crescita dei Paesi, i casi di succes-

43
ECONOMIA

si e insuccessi, per trarne lezioni utili e


fornire indicazioni su «cosa» e «come»
i governi e gli individui possano cam-
biare per migliorare nel tempo il be-
nessere proprio e della società in cui
vivono. Non sorprendentemente, la
difficoltà è che non esiste un’unica ri-
cetta e non tutte le indicazioni di po-
litica economica funzionano necessa-
riamente in ogni contesto. È anche per
questo che la ricerca delle cause della
crescita continua a raffinarsi, elaboran-
do nuove tesi e sfruttando la sempre
maggiore disponibilità di dati e di tec-
niche statistiche per analizzarli.

Da quando le economie crescono?

In una prospettiva di lunghissimo pe-


riodo, guardando all’evoluzione degli
standard di vita nel corso dei millenni,
possiamo notare che la crescita eco-
nomica duratura è un fenomeno rela-
tivamente recente che ha preso piede

44
Il PIl e la crescIta

all’incirca due secoli fa in alcuni Paesi


precursori, come il Regno Unito.
Prima di fornire un quadro quan-
titativo rispetto alle dinamiche di
crescita nel corso della storia, una
premessa è tanto ovvia quanto ob-
bligatoria: l’accuratezza dei dati a di-
sposizione per misurare la produzio-
ne e il reddito pro capite peggiora
man mano che ci si spinge indietro
nel tempo. Questo accade sia perché
i confini dei Paesi sono cambiati nel
tempo a causa dei molteplici eventi
politici che si sono susseguiti, sia per
la mancanza, per gran parte della sto-
ria, di sistemi strutturati e accurati di
contabilità nazionale in grado di for-
nirci statistiche comparabili tra Pae-
si. Tuttavia, alcuni economisti hanno
ricostruito in maniera ritenuta at-
tendibile le serie storiche del reddito
pro capite nel corso dei secoli. Una di
queste è il lavoro effettuato dall’eco-
nomista britannico Angus Maddison

45
ECONOMIA

e del suo gruppo di ricerca all’Uni-


versità di Groningen che ci fornisce
informazioni sul PIL pro capite a
partire dall’anno 1 d.C. (aggiustando
i valori sia per l’effetto dell’inflazio-
ne nel tempo, sia per le differenze dei
prezzi tra Paesi).
Secondo le cifre a disposizione, fi-
no all’anno 1500 circa, il reddito pro
capite a livello mondiale non ha avu-
to una crescita significativa e duratu-
ra nel tempo. È solo dopo questo pe-
riodo che si iniziano a registrare tassi
di sviluppo positivi per lunghi perio-
di, ma comunque ancora prossimi al-
lo zero (0,04 per cento medio annuo
tra il 1500 e il 1700) o molto bassi
(0,2 per cento dal 1700 al 1879). La
rivoluzione industriale in Inghilter-
ra e il seguente processo di industria-
lizzazione che iniziò a prendere pie-
de hanno segnato in qualche modo
uno spartiacque: è infatti dalla secon-
da metà del XIX secolo che si osserva

46
Il PIl e la crescIta

una netta accelerazione nella crescita


mondiale (1,1 per cento fino al 1950),
con un’impennata soprattutto nel se-
condo dopoguerra (2,2 per cento fino
al 2008).
L’Italia ha sperimentato una dina-
mica simile. Sebbene ci siano state
delle oscillazioni, sia in positivo sia in
negativo, si può osservare un valore del
reddito pro capite nel 1880 piuttosto
simile a quello del 1300, con una cre-
scita reale di fatto nulla nell’orizzon-
te di quasi sei secoli. Dall’industrializ-
zazione di fine XIX secolo, avvenuta
con ritardo rispetto ad altri Paesi, il
reddito pro capite italiano ha inizia-
to a crescere anche se con ritmi alta-
lenanti (1 per cento annuo in media
fino alla Prima guerra mondiale, sta-
gnante durante il ventennio fascista,
per poi esplodere nel secondo dopo-
guerra e rallentare di nuovo negli ul-
timi decenni). Il reddito reale pro ca-
pite odierno in Italia è circa 12 volte

47
ECONOMIA

(1229 per cento) più grande di quel-


lo del 1880.
Quello che è utile tenere a men-
te è che i Paesi hanno iniziato a regi-
strare una crescita duratura negli ul-
timi due secoli con ritardi differenti
rispetto ai Paesi precursori (la Figu-
ra 1 mostra alcuni esempi). I ritardi
a volte sono molto importanti, tanto
che alcuni Stati a tutt’oggi non han-
no ancora avuto una fase di transizio-
ne verso periodi di crescita significa-
tiva e duratura.

Differenze nel reddito pro capite

Secondo la classificazione dei Pae-


si per gruppo di reddito pro capite
creata dalla Banca Mondiale, tenen-
do conto del differente potere d’ac-
quisto, nel 2019 le nazioni più ricche
mostrano in media un reddito pro ca-
pite circa 25 volte più grande di quel-
lo del gruppo degli Stati più pove-

48
Il PIl e la crescIta

Figura 1: Evoluzione del PIL pro capite per un


campione di Paesi
Note: I valori sono aggiustati per le differenze
nel costo della vita tra Paesi e per l’inflazione. Il
PIL pro capite è in dollari internazionali a prezzi
costanti 2011.
Fonte: Maddison Project Database, versione 2020

ri, e quasi tre volte il reddito medio


di quelli considerati con redditi me-
dio-alti.

49
ECONOMIA

Queste differenze sono ancora più


marcate se confrontiamo i singoli Pa-
esi. Supponiamo di ordinarli in base al
loro reddito pro capite su due colon-
ne, come per la classifica delle squadre
di calcio, con il Paese più ricco in te-
sta alla colonna di sinistra e quello più
povero in coda alla colonna di destra.
Nel 2019, il Lussemburgo (lo Stato
più ricco) mostra un reddito pro ca-
pite 150 volte più grande di quello del
Burundi (il più povero). La differen-
za tra l’Italia (che è tra il 20 per cento
delle nazioni più ricche) e il Burundi
è di circa 55 volte. Il Paese a metà del-
la parte sinistra della classifica (il Por-
togallo) ha un reddito di circa 6 vol-
te più grande di quello a metà della
parte destra della classifica (il Ghana).
L’aspetto che qui si vuole sottolinea-
re è che le differenze tra Paesi in ter-
mini di reddito pro capite medio sono
«grandi», nel senso che possono essere
anche nell’ordine di 20-30 volte o più.

50
Il PIl e la crescIta

Distribuzione del reddito pro capite

Le informazioni precedentemente ri-


portate confrontano i Paesi tra loro
ma senza tenere in considerazione le
enormi differenze in termini di nume-
rosità della popolazione. Per avere una
prima idea di come è distribuito il red-
dito pro capite considerando anche la
popolazione dei Paesi, possiamo pro-
vare a fare il seguente esercizio. Sup-
poniamo di assistere alla partenza di
una cronometro di ciclismo con 182
partecipanti, dove ogni partecipante
rappresenta un Paese. I ciclisti sfila-
no uno alla volta dalla linea di parten-
za, dall’atleta con il reddito pro capite
più basso a quello appartenente al Pa-
ese più ricco. Ogni ciclista parte dopo
aver aspettato un numero di secondi
uguale al numero di milioni di abitan-
ti del Paese precedente. Il primo cicli-
sta a sfilare sarà quello del Burundi.
Poiché lo Stato ha una popolazio-

51
ECONOMIA

ne di circa 12 milioni di abitanti, do-


po 12 secondi partirà il ciclista del-
la Repubblica Centrale Africana che
ha un reddito appena superiore. I ci-
clisti/Paesi continuano a sfilare e do-
po un’ora e mezza, con il passaggio del
ciclista del Brasile, siamo arrivati a
metà. Visto che mancano esattamente
la metà dei ciclisti, pensiamo di dover
attendere un’altra ora e mezza prima
di veder passare il ciclista lussembur-
ghese. Ma non è così. Infatti, questi
primi 91 ciclisti rappresentano Paesi
che contano in totale circa tre quarti
della popolazione mondiale. Nei suc-
cessivi dieci minuti passano una ven-
tina di ciclisti e dopo solo altri venti
minuti sfila anche l’ultimo ciclista del
Lussemburgo.
Anche senza tenere conto dell’al-
trettanto importante differenza nel-
la distribuzione del reddito interna ai
Paesi, questo esempio ci fornisce una
prima idea di come la ricchezza sia

52
Il PIl e la crescIta

tutt’altro che equamente distribuita a


livello mondiale. Tenendo conto che il
Brasile ha un reddito pro capite di cir-
ca 15.000 dollari e il Lussemburgo di
113.000 dollari, vuol dire che circa i
tre quarti della popolazione mondiale
vive in Paesi con un reddito pro capi-
te inferiore a poco più di un decimo di
quello del Paese più ricco.

Quanto sono grandi le differenze nei


tassi di crescita dei Paesi?

Oltre che nei livelli di reddito pro ca-


pite, i Paesi differiscono nei tassi di
crescita. Negli ultimi sei decenni, al-
cune nazioni hanno sperimentato tas-
si di crescita medi addirittura negativi,
arretrando rispetto alla loro ricchez-
za pro capite del 1960. Ne sono un
esempio il Venezuela, la Repubbli-
ca Democratica del Congo, il Niger.
Un piccolo gruppo di Stati ha invece
avuto tassi di crescita medi del reddito

53
ECONOMIA

pro capite superiori al 5 per cento an-


nuo. Tra questi si possono menzionare
la Corea del Sud, Singapore, Taiwan,
il Botswana. Altri esempi di Paesi che
nello stesso periodo sono cresciuti a
ritmi medi molto sostenuti, tra il 4 per
cento e il 5 per cento annuo, sono la
Cina, l’Irlanda, la Thailandia, l’Indo-
nesia, l’Egitto. Molte altre nazioni eu-
ropee, tra cui l’Italia, e gli Stati Uniti
hanno registrato tassi di crescita medi
del 2-3 per cento annuo.
Su quale base possiamo qualitativa-
mente definire queste differenze come
«grandi»? Potrà apparire sorprenden-
te ma differenze anche di solo qualche
punto percentuale di crescita, se man-
tenute per lunghi periodi, possono
implicare importanti diversità nei li-
velli di reddito. Per esempio, dal 1870
al 2010, il Regno Unito è cresciuto
a un tasso medio annuo di 0,4 punti
percentuali in meno degli Stati Uni-
ti. Questa discrepanza può sembrare

54
Il PIl e la crescIta

molto piccola ma ha in realtà influi-


to molto sul livello di reddito pro ca-
pite del Regno Unito rispetto a quel-
lo degli Stati Uniti: nel 1870, il primo
Paese aveva un reddito pro capite di
circa il 20 per cento più alto di quello
del secondo, mentre nel 2010 era sce-
so a circa il 30 per cento sotto quello
degli USA.

Il reddito pro capite relativo dei Paesi


cambia nel tempo?

Abbiamo appena visto come nell’arco


di un secolo e mezzo il Regno Unito
è passato dall’essere il Paese più ric-
co a uno relativamente più povero, ri-
spetto ad alcuni Stati (sebbene ancora
relativamente ricco rispetto ad altri).
Possiamo menzionare altri esem-
pi tenendo gli Stati Uniti come me-
tro di paragone, non solo perché gli
USA possono in qualche maniera es-
sere considerati la frontiera tecnolo-

55
ECONOMIA

gica, ma anche perché dalla fine del


XIX secolo il tasso di crescita medio
del reddito pro capite del Paese è ri-
masto piuttosto costante a un valore
appena sotto il 2 per cento annuo. Per
esempio, dal 1870 a oggi il Giappone
ha più che dimezzato il suo divario ri-
spetto agli Stati Uniti. La Francia in-
vece ha mantenuto una posizione re-
lativa abbastanza stabile rispetto agli
Stati Uniti, mentre l’Argentina ha vi-
sto peggiorare la propria situazione
relativa. Quest’ultima nazione era in-
fatti un Paese relativamente ricco al-
la fine dell’Ottocento. Sebbene già
all’epoca fosse meno ricco degli Stati
Uniti, era tra gli Stati nella fascia me-
dio-alta della distribuzione dei redditi
pro capite mondiali, con una ricchez-
za pro capite pari a più del doppio di
quella del Giappone. Durante i primi
due decenni del Novecento, l’Argenti-
na ha continuato a crescere a ritmi ab-
bastanza sostenuti, ma poi il tasso si

56
Il PIl e la crescIta

è progressivamente ridotto rispetto a


quello degli USA e di altri Paesi avan-
zati, portando il Paese all’inizio degli
anni Novanta ad avere un reddito pro
capite pari a solo un terzo rispetto a
quello statunitense.
Soffermandoci sugli ultimi sei de-
cenni, possiamo menzionare esem-
pi di Paesi che hanno accelerato la lo-
ro crescita rispetto ad altri che hanno
subìto un rallentamento. L’Italia in
questo senso è un Paese che ha spe-
rimentato un declino nel tempo dei
propri tassi di crescita. Da valori supe-
riori al 5 per cento durante i decenni
del miracolo economico, successivi al-
la Seconda guerra mondiale, il reddi-
to pro capite ha rallentato la crescita:
negli anni Ottanta si è arrivati a po-
co più del 2 per cento annuo in media,
durante il decennio successivo è tor-
nato al 3 per cento, negli ultimi ven-
ti anni il tasso di crescita medio è sta-
to inferiore all’1 per cento.

57
ECONOMIA

La Cina ha visto invece un forte au-


mento della crescita a partire dagli an-
ni Ottanta, quando il tasso di crescita
del reddito pro capite è salito al 4 per
cento annuo rispetto al 2,5 per cen-
to nel decennio precedente. Tale cre-
scita è aumentata notevolmente nei
due decenni successivi (oltre il 5,5 per
cento annuo negli anni Novanta e 9
per cento annuo negli anni Duemila),
per poi diminuire seppur rimanen-
do sempre tra le più alte al mondo. In
maniera simile, anche l’India ha regi-
strato un’accelerazione a partire dagli
anni Novanta, raggiungendo tassi di
crescita medi annui del 7,5 per cento
negli anni Duemila, per poi subire una
flessione nell’ultimo decennio (4,5 per
cento annuo). La crescita importante
sperimentata da questi due grandi Pa-
esi ha necessariamente avuto un im-
patto rilevante sulla distribuzione del
reddito a livello globale, dato che Ci-
na e India rappresentano insieme cir-

58
Il PIl e la crescIta

ca il 30 per cento della popolazione


mondiale.
Sebbene i livelli di reddito pro ca-
pite relativi e i tassi di crescita dei Pa-
esi cambino nel tempo, considerando
tutti i Paesi del mondo, non sembra
esserci una forte regolarità nella rela-
zione tra il reddito pro capite inizia-
le e i tassi di crescita futuri. Gli eco-
nomisti interpretano questa evidenza
come assenza sistematica di una con-
vergenza assoluta. In altre parole, dal-
la fine dell’Ottocento (o dal 1960) a
oggi, non sembra esserci stata siste-
maticamente una tendenza dei Paesi
più poveri a crescere a tassi più eleva-
ti rispetto ai Paesi più ricchi e quindi
a colmare la distanza in termini di ric-
chezza pro capite.

Il ruolo dell’accumulazione del capitale

Cerchiamo quindi di capire come gli


economisti spiegano queste differenze

59
ECONOMIA

di reddito pro capite e di crescita. Pri-


ma di tutto è interessante guardare al
ruolo del capitale fisico, che compren-
de fattori come gli strumenti e i mac-
chinari per la produzione. Per esempio,
se per ogni lavoratore aumenta la do-
tazione di macchinari negli impianti
produttivi industriali, di mezzi di tra-
sporto per commercializzare le merci
prodotte o di numero di computer, an-
che la produzione per lavoratore tipi-
camente aumenta. È quindi utile ca-
pire l’importanza di questo fattore di
produzione per spiegare i differenziali
di benessere e crescita tra i Paesi.
Negli anni Cinquanta, il premio
Nobel Robert Solow propose un im-
pianto teorico che cercava di spiega-
re le differenze di livelli di reddito e
crescita tra Paesi mettendo al cen-
tro il ruolo del risparmio e degli in-
vestimenti necessari all’accumulazio-
ne del capitale. Il risparmio, inteso
come quella parte di reddito che non

60
Il PIl e la crescIta

viene consumata, può essere investi-


to in nuovo capitale fisico. Una par-
te di questi investimenti non aumenta
la dotazione di capitale dei lavorato-
ri. Infatti, bisognerà prima rimpiazza-
re una quota del capitale già esisten-
te che si è deteriorata nel tempo e poi
ci sarà da assegnare gli strumenti e i
macchinari ai nuovi lavoratori che so-
no entrati nel processo produttivo.
Ma se gli investimenti sono sufficien-
temente alti, una parte del nuovo ca-
pitale contribuirà anche ad aumentare
la dotazione di capitale fisico utile al-
la produzione per ogni lavoratore im-
piegato. L’accumulazione di nuovo ca-
pitale per lavoratore a sua volta porta
un’espansione della produzione e del
reddito pro capite.
Tuttavia, questo aumento potreb-
be non essere perpetuo e a un certo
punto potrebbe arrestarsi. Infatti, se
accettiamo il fatto che ogni unità di
capitale addizionale data in dotazio-

61
ECONOMIA

ne al lavoratore produce una crescita


sempre più piccola della produzione,
all’accumularsi del capitale per lavo-
ratore anche il reddito e gli investi-
menti aggiuntivi generati da questa
crescita diventano sempre più picco-
li. Questo significa che il tasso di cre-
scita dello stock di capitale per lavo-
ratore diminuisce fino ad annullarsi
quando gli investimenti sono appe-
na sufficienti a rimpiazzare il capita-
le che si è logorato con l’uso e a do-
tare di capitale i nuovi lavoratori. A
questo punto, l’economia si stabiliz-
za, lo stock di capitale e il reddito per
lavoratore rimangono costanti. Vista
in altri termini, secondo questa teo-
ria all’aumentare degli investimenti
in capitale fisico, il capitale e il red-
dito per lavoratore crescono ma nel
lungo periodo si stabilizzano, a livel-
li più alti.
Queste predizioni teoriche sono
supportate dall’evidenza empirica? In

62
Il PIl e la crescIta

parte si trova riscontro nei dati, ma


non totalmente.
Si nota in effetti che Paesi che in-
vestono una quota più alta del reddi-
to hanno, in media, anche un reddi-
to pro capite più alto. Tuttavia, questa
associazione positiva è debole ed esi-
stono molte eccezioni. Inoltre, diffe-
renze di risparmi e investimenti non
riescono a spiegare le grandi discre-
panze che abbiamo visto in preceden-
za. Questo fa pensare che il risparmio
e gli investimenti siano solo una parte
della spiegazione, e che esistano quin-
di altri fattori che devono essere presi
in considerazione.
Un’altra questione è legata al ruo-
lo della dotazione iniziale di capitale.
Nell’impianto precedentemente sug-
gerito, a parità di altri fattori, inclusa
la quota di reddito che viene investi-
ta in capitale, Paesi con una dotazio-
ne iniziale di capitale per lavoratore
più bassa dovrebbero mostrare tas-

63
ECONOMIA

si di crescita futuri più elevati. Si pre-


suppone quindi di osservare una sorta
di convergenza nel livello di ricchez-
za tra i Paesi inizialmente più poveri
di capitale per lavoratore e quelli più
ricchi. Questa convergenza è in par-
te confermata dalle evidenze empiri-
che. Per esempio, prendiamo in esa-
me il gruppo di Paesi appartenenti
all’OCSE (Organizzazione per la co-
operazione e lo sviluppo economico).
Gli Stati in questione non hanno ov-
viamente caratteristiche perfettamen-
te omogenee, ma hanno in comune il
fatto di essere nazioni relativamente
avanzate, le cui economie si basano sul
mercato. Se cerchiamo di capire cosa è
successo in questo gruppo di Paesi in
termini di crescita del PIL pro capi-
te tra il 1960 e oggi, possiamo nota-
re che gli Stati che nel 1960 presen-
tavano un livello di reddito più basso
(e verosimilmente anche un livello di
capitale per lavoratore più basso) so-

64
Il PIl e la crescIta

no cresciuti di più di quelli che ini-


zialmente erano più ricchi. C’è stata
una tendenza a convergere nei livel-
li di reddito, dove i Paesi inseguitori
si sono quindi messi su una dinami-
ca di crescita che ha ridotto le distan-
ze dalle nazioni in testa. Tuttavia, co-
me detto in precedenza e in linea con
le predizioni di questo impianto teori-
co, questa convergenza non si è verifi-
cata se prendiamo in esame tutti i Pa-
esi del mondo, poiché le differenze tra
questi sono molto più marcate (inclu-
sa la differenza nella quota di reddito
che viene investita).
Un altro modo per comprendere se
la dotazione di capitale iniziale conta
per la crescita futura è quello di guar-
dare ad alcuni esempi storici, come il
caso del Giappone dopo la Seconda
guerra mondiale. Così come altri Pa-
esi, a causa della distruzione generata
dalla guerra, il Giappone si è ritrova-
to con una bassa dotazione di capita-

65
ECONOMIA

le per lavoratore rispetto a quello che


avrebbe avuto senza la guerra. Il PIL
pro capite del Giappone nel 1950 era
di circa il 18 per cento di quello de-
gli Stati Uniti. I dati mostrano che
nei decenni successivi il Giappone ha
in effetti sperimentato una crescita
importante, maggiore di quella degli
USA, riducendo la distanza in termi-
ni di reddito pro capite: nel 2019, era
del 63 per cento rispetto a quello sta-
tunitense. Ovviamente, questo non
vuol dire che la dotazione di capita-
le iniziale sia l’unica causa della cre-
scita futura. Anzi, molti altri fatto-
ri devono essere considerati. Alcuni
di questi a volte però prendono cam-
po contemporaneamente all’accumu-
lazione del capitale, rendendo quindi
complicato interpretare gli effetti ge-
nerati dal capitale fisico sulla cresci-
ta. Nell’esempio precedente riguardo
il Giappone nel secondo dopoguerra,
una serie di cambiamenti importan-

66
Il PIl e la crescIta

ti, come riforme istituzionali ed eco-


nomiche, hanno trasformato profon-
damente il Paese, contribuendo alla
crescita. È possibile che parte di que-
sti cambiamenti istituzionali abbiano
contribuito all’accumulazione del ca-
pitale fisico, ma potrebbero allo stes-
so tempo essere stati attivati anche
altri fattori, come l’aumento dell’at-
tività in ricerca e sviluppo o il ruolo
dell’istruzione.

Il ruolo del capitale umano

In un quadro come quello appena de-


scritto, se l’aumento del tasso di cresci-
ta della popolazione non viene accom-
pagnato da sufficienti investimenti per
dotare la nuova forza lavoro di stru-
menti necessari alla produzione, si ha
una diminuzione dello stock di capi-
tale per lavoratore. Nel lungo perio-
do l’economia tenderà a stabilizzarsi
verso un reddito pro capite più basso.

67
ECONOMIA

Tuttavia, è piuttosto riduttivo consi-


derare il ruolo della popolazione e del
lavoro nei processi di crescita senza
tener conto che le conoscenze e le ca-
pacità dei lavoratori sono differenti tra
Paesi ed evolvono nel tempo. Infatti,
il cosiddetto capitale umano, gioca un
ruolo importante nei processi di cre-
scita. Una forza lavoro che abbia un
bagaglio di conoscenze maggiori dif-
ficilmente può portare a un livello di
produzione comparabile a una forza
lavoro composta da un medesimo nu-
mero di persone, ma con conoscenze
più basiche. Sia l’istruzione scolastica
e accademica ai vari livelli, sia l’istru-
zione professionale e l’apprendimento
durante tutto l’arco della vita contri-
buiscono a creare condizioni più favo-
revoli all’applicazione di innovazioni
tecnologiche e nuovi modi di organiz-
zare la produzione. In maniera simi-
le all’istruzione, una popolazione che
vive in condizioni più sane e con mi-

68
Il PIl e la crescIta

gliori aspettative di vita può apportare


un contributo maggiore ai processi di
produzione rispetto a una popolazio-
ne ugualmente numerosa ma con con-
dizioni di salute peggiori.
È interessante soffermarci anche
su un altro aspetto relativo alle ca-
pacità e alle conoscenze degli indivi-
dui: in un mondo globalizzato dove
vi è diffusione della tecnologia tra di-
versi Paesi, una forza lavoro più pre-
parata e istruita può portare ulteriori
vantaggi derivanti da una più rapida
ed efficace applicazione delle nuove
tecnologie. Questo anche quando le
innovazioni prendono campo in al-
tri Paesi.
Da un punto di vista empirico, ci
sono evidenze di associazioni positi-
ve e robuste tra il capitale umano e il
reddito pro capite. Per esempio, Pae-
si che hanno un maggiore livello me-
dio di istruzione tendono a mostrare
un reddito pro capite più alto.

69
ECONOMIA

Il ruolo del progresso tecnologico

Se le differenze tra Paesi in termi-


ne di capitale fisico e umano riesco-
no a spiegare solamente parte del-
le dinamiche di crescita dei Paesi, il
motore della crescita di lungo perio-
do può essere ricercato nella produt-
tività, cioè nella capacità tecnologica
di combinare i fattori di produzio-
ne (capitale e lavoro). Per esempio,
se dotiamo due imprese simili dello
stesso capitale fisico e lavoratori ne-
cessari per produrre un determinato
bene e una delle due riesce a produrre
più unità del bene dell’altra, è verosi-
mile che questa impresa sia riuscita
a trovare un modo per impiegare la-
voro e strumenti in maniera miglio-
re. In generale, si ha una produttività
più alta quando si ottiene una mag-
giore produzione per date quantità di
capitale fisico e lavoro impiegati nel
processo di produzione.

70
Il PIl e la crescIta

L’innovazione, la ricerca e svilup-


po e i miglioramenti tecnologici ov-
viamente incidono sulla produttività.
Se il progresso tecnologico continua a
crescere, la produttività e la produzio-
ne si muovono di pari passo, e il mo-
dello di crescita di Solow ne rende
chiara l’importanza: i limiti dell’accu-
mulazione di capitale fisico nello spie-
gare una crescita sostenuta nel lungo
periodo sono superati dal contribu-
to del progresso tecnologico e dall’au-
mento della produttività. Tuttavia,
quel modello non ci spiega perché i
Paesi differiscono per produttività e le
ragioni economiche del progresso tec-
nologico.
Un filone di studi sviluppatosi dagli
anni Ottanta ha cercato di evidenzia-
re come la continua ricerca dei profitti
e la volontà di mantenere e ampliare le
quote di mercato incentivino costan-
temente a investire in ricerca e svilup-
po. Idee e tecnologie nuove contribu-

71
ECONOMIA

iscono a creare beni e servizi inediti e


differenti che si aggiungono o sosti-
tuiscono ai prodotti esistenti, creando
fatturato per gli imprenditori e com-
pensi per chi ha prodotto l’opera di in-
gegno alla base. Allo stesso tempo, più
si amplia il campo delle innovazioni,
più si aprono nuovi orizzonti di mi-
glioramenti e possibilità di ulteriori
scoperte, così da migliorare ancora la
produttività dei fattori di produzione
e far crescere il reddito pro capite.
Ovviamente, in questo quadro, al-
cuni dibattiti non sono trascurabi-
li. Un primo aspetto riguarda il ruo-
lo dello Stato. Non tutte le attività
di ricerca e sviluppo possono verosi-
milmente emergere dal mercato. Una
parte dei benefici delle opere d’inge-
gno produce un vantaggio sociale che
va oltre i confini dell’impresa e che
non necessariamente può essere preso
in considerazione dalle attività priva-
te nel momento in cui decidono quan-

72
Il PIl e la crescIta

to investire in innovazione. C’è quin-


di il rischio di avere un investimento
non adeguato nelle attività di ricerca.
Si pensi per esempio a tutta la ricer-
ca di base che non ha un’applicazione
immediata e diretta nell’organizzazio-
ne o nella produzione delle attività in-
dustriali. È qui che lo Stato può inter-
venire finanziando direttamente parte
della ricerca.
Un secondo aspetto riguarda il
ruolo della popolazione. Nel qua-
dro concettuale in cui l’innovazione
viene espressamente presa in consi-
derazione nei processi di crescita, le
persone assumono un ruolo chiave
e positivo: una maggiore popolazio-
ne implica sia un numero più elevato
di individui che può essere impiegato
nell’attività di ricerca, aumentando la
probabilità di ottenere nuove scoper-
te, sia un mercato più ampio di con-
sumatori a cui poter vendere i nuovi
prodotti, incentivando quindi la co-

73
ECONOMIA

stante ricerca di ulteriori innovazio-


ni. All’ampliarsi della popolazione
aumenta quindi il progresso tecnolo-
gico, che a sua volta è al cuore della
crescita economica sostenuta anche
nel lungo periodo. Guardando ai da-
ti, la spesa per ricerca e sviluppo e la
quota di persone impegnate in queste
attività sono positivamente associate
al reddito pro capite.

Le cause ultime della crescita:


geografia, cultura e istituzioni

Abbiamo visto che l’accumulazione di


capitale fisico e umano, così come la
ricerca costante dell’innovazione, con-
tribuiscano a spiegare la crescita eco-
nomica e le differenze di reddito tra
Paesi. La prossima domanda da por-
si è: perché questi fattori differiscono
tra Paesi? In altre parole, quali sono le
cause più profonde della crescita eco-
nomica?

74
Il PIl e la crescIta

La geografia e il clima sono pro-


babilmente parte di questa spiegazio-
ne. Paesi che per loro collocazione ri-
sentono di un clima troppo freddo o
troppo arido hanno evidentemente
una ridotta possibilità di diversificare
e intensificare la produzione. Nazioni
invece che si trovano in una posizio-
ne geografica più centrale hanno og-
gi, e hanno avuto in passato, la possi-
bilità di partecipare più intensamente
a scambi commerciali internaziona-
li, traendo benefici non solo dall’ac-
cumulazione di capitale fisico neces-
sario a espandere la produzione, ma
anche dalle interazioni commerciali
stesse che ne hanno arricchito il ca-
pitale umano e i livelli di tecnologia.
Altre cause profonde che hanno
contribuito a marcare le differenze
nella crescita economica sono da at-
tribuire alla cultura e ai valori del-
le diverse società. Si pensi per esem-
pio all’attitudine degli individui verso

75
ECONOMIA

la fiducia. Società in cui per questio-


ni culturali le persone tendono a fi-
darsi maggiormente le une delle al-
tre, poiché per norme morali radicate
si aspettano ragionevolmente che la
controparte di una transazione ri-
spetti i propri impegni, sono quelle in
cui è plausibile che i processi di pro-
duzione e commercializzazione tro-
vino meno ostacoli. La fiducia gioca
un ruolo importante nelle transazio-
ni commerciali e finanziarie, e anco-
ra di più in quelle dove il pagamento
non è immediato. Un contesto socia-
le che incentiva la fiducia, in cui cioè
l’attitudine diffusa tra gli individui è
quella di cooperare, è un contesto che
favorisce le transazioni di lungo pe-
riodo, come quelle relative agli in-
vestimenti in attività innovative, che
molto spesso hanno un ritorno non
immediato e operano su orizzonti di
lungo periodo ma, allo stesso tempo,
come abbiamo detto, possono porta-

76
Il PIl e la crescIta

re un maggior contributo alla cresci-


ta duratura.
Si potrebbe argomentare che in re-
altà la fiducia per la controparte non
sia poi così necessaria: la gran par-
te delle transazioni è protetta da con-
tratti che possono essere impugnati
nel momento in cui gli accordi pat-
tuiti non vengono rispettati. Questo
è vero solo se le istituzioni funziona-
no. Quando per esempio la giustizia
non garantisce l’imparzialità o i tempi
per ottenere una sentenza sono estre-
mamente lunghi, la mancanza di fidu-
cia unita all’inefficienza della giustizia
potrebbero porre un freno preventivo
a intraprendere la transazione o l’in-
vestimento stesso.
La natura e il funzionamento effi-
ciente delle istituzioni sono tra i fatto-
ri ultimi che spiegano perché in alcu-
ni Paesi si accumula più capitale fisico
e umano, perché in alcuni si investe di
più in ricerca e sviluppo, e quindi in

77
ECONOMIA

definitiva perché alcuni Paesi cresco-


no più di altri.
Si pensi per esempio a un’impresa
altamente innovativa che ha intenzio-
ne di aprire un nuovo stabilimento di
produzione e commercializzazione in
un Paese estero. Assumiamo che l’a-
pertura di questo stabilimento porti
benefici in termini di crescita: verreb-
bero assunti nuovi lavoratori; le im-
prese locali potrebbero essere coinvol-
te nella filiera, non solo aumentando
la propria produzione ma traendo an-
che benefici tecnologici che posso-
no durare nel tempo; lo Stato incas-
serebbe più entrate da poter spendere
in beni pubblici o trasferimenti ecce-
tera. L’impresa in questione sta valu-
tando se aprire il nuovo stabilimento
nel Paese A o nel Paese B. Entrambe
le nazioni hanno lavoratori altamen-
te qualificati per le necessità dell’im-
presa, il costo del capitale fisico per la
produzione è simile, così come lo so-

78
Il PIl e la crescIta

no i livelli di tecnologia disponibili in


loco, le posizioni geografiche e il con-
testo sociale. Insomma, supponiamo
che tutto sia uguale sia nel Paese A
sia nel Paese B, eccetto il fatto che nel
secondo l’amministrazione pubblica
è più lenta e complicata, infatti, per
aprire un’impresa sono necessari 200
giorni, mentre nel primo solo 10. La
scelta dei manager dell’impresa è ov-
via: il nuovo stabilimento sarà aperto
nel Paese A, il quale ne trarrà vantag-
gio in termini di crescita, sia di breve
sia di lungo periodo, grazie al contri-
buto che l’impresa darà alla conoscen-
za e all’innovazione.
Ovviamente questo è un esem-
pio artificioso, ma quello che si vuo-
le estremizzare è che tra la miriade di
aspetti istituzionali di un Paese anche
le differenze nei regolamenti e proce-
dure per aprire un’impresa potrebbe-
ro contribuire a creare un differenziale
di crescita. Infatti, le procedure buro-

79
ECONOMIA

cratiche relative alle attività produtti-


ve, le leggi anticorruzione, la tutela dei
diritti di proprietà o la buona orga-
nizzazione e l’efficienza della giustizia
sono solo alcuni aspetti del contesto
istituzionale di uno Stato. In generale,
quando ci si riferisce al buon funzio-
namento delle istituzioni necessario
per la crescita economica si intende
tutto l’enorme insieme di organismi,
leggi, regolamenti e la loro certa e cor-
retta applicazione che di fatto vanno a
intaccare quasi tutti gli aspetti dell’at-
tività economica.
Uno degli esempi più diffusi ma an-
che più convincenti del ruolo profon-
do delle istituzioni e del loro ampio
spettro è rappresentato dalle due Co-
ree. Prima della divisione tra Nord e
Sud a seguito della Seconda guerra
mondiale, la Corea era un unico Paese.
La parte settentrionale e quella me-
ridionale sono state sottoposte a una
storia simile, hanno una posizione ge-

80
Il PIl e la crescIta

ografica simile e alla fine della guerra


avevano livelli di istruzione e di red-
dito simili. Negli ultimi 70 anni cir-
ca, la Corea del Sud ha organizzato e
riformato le proprie istituzioni attor-
no a un’economia di mercato, mentre
la Corea del Nord ha sperimenta-
to un’economia centralmente piani-
ficata di stampo sovietico. A una sti-
ma approssimativa, la Corea del Nord
ha oggi un reddito pro capite circa 60
volte più piccolo di quello della Corea
del Sud. Lo sviluppo di quest’ultima
è stato straordinario, con un tasso di
crescita medio annuo del reddito pro
capite di oltre il 5 per cento dal 1955
a oggi. (Se si inserisce su un qualsi-
asi motore di ricerca la frase «Corea
vista dal satellite», si può notare che
a nord tra la Corea del Sud e la Ci-
na sembra esserci mare; in realtà, c’è
un territorio: è la Corea del Nord, che
però è per la gran parte non illumi-
nata durante le ore notturne, a segna-

81
ECONOMIA

lare la scarsa presenza di attività pro-


duttive…).

Le scelte pubbliche quindi


contano per la crescita?

Il fatto che tra le determinanti ultime


della crescita ci sia la qualità e il buon
funzionamento delle istituzioni è sia
una buona sia una cattiva notizia per
chi cerca di capire «come» migliorare
la crescita di un Paese.
La buona notizia è che le istitu-
zioni si possono cambiare. Abbiamo
appena visto l’esempio della Corea:
cambiamenti istituzionali contrappo-
sti nel Nord e nel Sud del Paese sono
tra le cause alla base delle due dinami-
che di crescita contrapposte. La catti-
va notizia è che il cambiamento non
è sempre facile da attuare e il retag-
gio passato può perpetuarsi nel tempo.
Le istituzioni infatti riflettono le pre-
ferenze, la cultura e i rapporti di po-

82
Il PIl e la crescIta

tere che si sono sviluppati e trasmes-


si nel tempo all’interno di una società.
I cambiamenti sono quindi complessi
e richiedono tempo, non solo perché
è necessario un adeguamento ammi-
nistrativo, ma anche perché ci posso-
no essere grandi resistenze da parte di
chi ha consolidato il proprio status quo
attraverso il potere politico o econo-
mico all’interno dell’esistente contesto
istituzionale. Così come può richiede-
re tempo cambiare istituzioni che si
sono consolidate nelle norme sociali o
nella cultura di una società. Le scelte
politiche volte a cambiare profonda-
mente un contesto istituzionale, seb-
bene possibili, richiedono quindi tem-
po e un allineamento di volontà da
vari fronti della società.
Dall’altro lato, scelte e politiche
pubbliche possono contribuire co-
munque in maniera significativa a cre-
are nuove opportunità di crescita e ri-
durre i vincoli allo sfruttamento delle

83
ECONOMIA

opportunità esistenti. Riforme e in-


vestimenti volti a creare un conte-
sto socio-istituzionale che garantisca
maggiore certezza nelle transazioni
economiche e nella salvaguardia del-
la concorrenza, nonché la promozio-
ne della qualità e diffusione dell’istru-
zione e della conoscenza, degli stili di
vita sani e dell’assistenza sanitaria, o
riforme volte all’efficienza degli ap-
parati burocratici sono solo alcuni dei
possibili campi di azione. Questi tipi
di interventi possono creare un con-
testo istituzionale più favorevole non
solo per l’accumulazione dei fattori di
produzione e della tecnologia, ma an-
che per l’allocazione delle risorse stes-
se, portando quindi a un sistema pro-
duttivo più efficiente e sostenibile nel
suo complesso.
Si pensi per esempio a un Paese in
cui si decida attraverso riforme e cam-
biamenti di regolamentazione di per-
mettere agli intermediari finanzia-

84
Il PIl e la crescIta

ri di operare in maniera più efficiente


e a costi più bassi. L’allocazione del-
le risorse finanziarie per nuovi inve-
stimenti in capitale fisico e innova-
zione diverrà anch’essa più efficiente,
promuovendo lo sviluppo di attività
innovative e dinamiche a discapito di
imprese meno efficienti.

Perché per gran parte della storia


non c’è stata crescita economica?

Uno degli aspetti più affascinanti nel-


lo studio della crescita economica è la
ricerca delle ragioni per le quali du-
rante la gran parte della storia dell’u-
manità non c’è stata un’evoluzione
continua e importante del reddito pro
capite. Abbiamo visto infatti che una
crescita sostenuta del reddito pro ca-
pite è un fenomeno che osserviamo
solamente negli ultimi due secoli.
Nei millenni precedenti alla Ri-
voluzione industriale ci sono sta-

85
ECONOMIA

te ovviamente importanti scoper-


te tecnologiche. Si pensi per
esempio all’avvento dell’agricoltura
che ha rivoluzionato il modo di con-
cepire l’esistenza dell’uomo facendo-
lo progredire rispetto a una società
di raccoglitori-cacciatori, oppure alle
innovazioni tecnologiche che hanno
reso l’agricoltura stessa più produt-
tiva, come l’irrigazione o la selezio-
ne delle sementi. Per quale motivo
quindi il reddito pro capite è rima-
sto stagnante, nonostante questi e
moltissimi altri miglioramenti? Una
possibile spiegazione è la seguente.
Nel corso di gran parte della storia
dell’umanità, le sporadiche innova-
zioni tecnologiche aiutavano a mi-
gliorare e aumentare la produzione
di un’economia basata prevalente-
mente sull’agricoltura. Una maggiore
disponibilità di cibo e in generale un
miglioramento degli standard di vi-
ta della popolazione, insieme alla ne-

86
Il PIl e la crescIta

cessità di più forza lavoro per appro-


fittare di una più elevata produttività
della terra, portavano a un aumento
della natalità e a una riduzione del-
la mortalità infantile, facendo quindi
crescere la popolazione.
Prima di proseguire, sono necessa-
rie alcune precisazioni. In generale,
per una data quantità prodotta, l’in-
cremento della popolazione riduce la
quota di prodotto per abitante. Per
ottenere una crescita che sia duratu-
ra nel tempo, la produzione deve au-
mentare in misura maggiore rispet-
to alla popolazione. Inoltre, è utile
ricordare che, nel contesto preindu-
striale che stiamo cercando di spie-
gare, esistevano limiti all’espansione
della produzione agricola. Il primo
limite è ovvio e sempre vero: gli et-
tari di terra coltivabile sono limitati
(non è possibile farlo sulle rocce o su
altri pianeti – almeno per il momen-
to). Il secondo limite risiede nel fat-

87
ECONOMIA

to che, nonostante i progressi, in pas-


sato la produttività nell’agricoltura
era ancora più ridotta rispetto a og-
gi. Basti pensare al fatto che molti in-
terventi che ne hanno aumentato la
produttività, come, per esempio, l’uso
dei fertilizzanti, dei trattori a moto-
re o le bonifiche dei terreni nelle zo-
ne malariche, sono stati relativamen-
te recenti, se rapportati alla storia di
millenni.
Nelle fasi di espansione quindi sia
la popolazione sia la produzione cre-
scevano ma quest’ultima non riusciva
a espandersi in maniera sufficiente da
sostenere l’aumento della prima. Ne
risultava una riduzione della produ-
zione pro capite nel lungo periodo.
Vista in altri termini, i migliora-
menti tecnologici, non continui ma
eventuali, permettevano di produr-
re più cibo. La maggiore disponibi-
lità di cibo per abitante portava a un
aumento della popolazione, ma que-

88
Il PIl e la crescIta

sta ulteriore produzione di cibo non


era capace di andare di pari passo
con l’aumento della popolazione. La
quantità di cibo per abitante quindi
diminuiva, spingendo gli standard di
vita medi verso le condizioni inizia-
li, nell’attesa di un nuovo shock che
avrebbe attivato lo stesso processo
di espansione che, di nuovo, sarebbe
stato solo temporaneo.
Un corollario di questa spiegazione
della stagnazione dei redditi in epo-
ca preindustriale è che una riduzione
della popolazione avrebbe dovuto au-
mentare gli standard di vita tempora-
neamente, per poi, nel lungo periodo,
tornare di nuovo verso i livelli inizia-
li. Questo è ciò che in effetti si os-
serva guardando al caso in cui la po-
polazione subisce uno shock negativo
come, per esempio, la peste nera che
si diffuse in Europa intorno alla metà
del XIV secolo. Si stima che in tutta
Europa più di un terzo della popola-

89
ECONOMIA

zione sia rimasta vittima della pan-


demia e che in Inghilterra la popo-
lazione si sia dimezzata. Nel secolo e
mezzo successivo, i salari reali in In-
ghilterra raddoppiarono. Con queste
migliori condizioni di vita però an-
che la popolazione riprese ad aumen-
tare. Il numero di persone tra cui ri-
partire la produzione divenne sempre
più grande e, col passare del tempo,
il reddito pro capite iniziò a ridursi.
Nel XVI secolo, i salari reali in In-
ghilterra infatti erano di nuovo a un
livello simile a quello precedente la
pandemia.
Il ruolo centrale della popolazione
nella spiegazione della stagnazione
secolare fu discusso dal filosofo bri-
tannico Thomas Malthus già alla fi-
ne del XVIII secolo. La sua visione
pessimistica poteva essere una buona
rappresentazione dei secoli preceden-
ti ma, per fortuna, si rivelò una previ-
sione tutt’altro che accurata di quello

90
Il PIl e la crescIta

che sarebbe successo di lì a pochi de-


cenni in giro per il mondo: l’avvento
di un continuo progresso tecnologi-
co che permise una crescita dei red-
diti pro capite importante e sostenu-
ta nel tempo.

Come si è passati a una crescita


sostenuta?

Una delle spiegazioni possibili è che


durante il periodo di stagnazione
economica, le sporadiche innovazio-
ni tecnologiche che presero campo
permisero all’economia di sostene-
re un numero più ampio di persone.
In altre parole, alla fine di ogni ciclo
(innovazione - aumento degli stan-
dard di vita - crescita della popola-
zione - riduzione degli standard di
vita - riduzione del tasso di crescita
della popolazione), il numero di per-
sone si ritrovava in realtà a essere un
po’ più grande. Nei due o tre secoli

91
ECONOMIA

precedenti la Rivoluzione industriale


la popolazione iniziò ad aumentare a
ritmi lenti ma più intensamente che
in passato, anche se il reddito pro ca-
pite rimaneva ancora stagnante.
Abbiamo discusso nei paragrafi
precedenti che la popolazione stes-
sa è una causa del progresso tecno-
logico: un numero più alto alimenta
le innovazioni e la produttività che,
a loro volta, sostengono la possibili-
tà di avere una dimensione più ampia
della popolazione. La crescita del-
la popolazione potrebbe quindi con-
tribuire a spiegare l’aumento conti-
nuo del progresso tecnologico che,
con la Rivoluzione industriale e le
grandi innovazioni tecnologiche de-
rivate, ha causato poi la rottura defi-
nitiva rispetto alla fase di grande sta-
gnazione.
Le innovazioni, che si autoalimen-
tarono – nel senso che le scoper-
te appena fatte furono determinan-

92
Il PIl e la crescIta

ti per le future scoperte –, portarono


quindi all’aumento del reddito pro
capite. I grandi vantaggi di questa
crescita continua del progresso tec-
nologico non vennero più solamente
assorbiti dall’espansione della popo-
lazione ma anche dai miglioramen-
ti degli standard di vita che, a loro
volta, iniziarono a incidere sulle scel-
te verso una riduzione della natali-
tà e un maggior investimento in ca-
pitale umano. Quest’ultimo aspetto,
a sua volta, contribuì a una maggiore
produttività e a un aumento del red-
dito. È in questa fase che si instaura-
rono una crescita positiva e sostenu-
ta sia del reddito pro capite sia della
popolazione.
Ovviamente tale spiegazione di
processi di cambiamento epocali ba-
sata sul ruolo chiave della popolazio-
ne per il progresso tecnologico e la
transizione verso una fase di crescita
sostenuta da un lato è estremamen-

93
ECONOMIA

te stilizzata, dall’altro non è la sola


possibile. Alcuni economisti consi-
derano infatti anche il ruolo dei di-
ritti di proprietà (compresa quella in-
tellettuale) tra i fattori determinanti
del passaggio da una lunghissima fa-
se di stagnazione a una di progresso
tecnologico e crescita. Lo sviluppo di
istituzioni volte a proteggere i bene-
fici privati derivanti dalle opere d’in-
gegno avrebbe in qualche modo in-
centivato lo sforzo innovativo.
Infine, un ultimo aspetto riguarda
il cambiamento strutturale della pro-
duzione. Abbiamo visto che in epo-
ca preindustriale l’espansione della
produzione agricola era limitata dal
fatto che il principale fattore di pro-
duzione (la terra) era ed è fisso. Seb-
bene questi limiti rimangano, con
l’industrializzazione la quota dell’a-
gricoltura sulla produzione totale si è
ridotta gradualmente a favore dell’in-
dustria. Quest’ultima è invece basata

94
Il PIl e la crescIta

su un fattore di produzione (il capi-


tale fisico) che può essere esso stes-
so prodotto e aumentare, facilitando
quindi l’evoluzione verso un mondo
ad alta crescita del reddito pro capite.

95
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Finito di stampare nel mese di marzo 2023
a cura di RCS MediaGroup S.p.A.
presso Grafica Veneta , Trebaseleghe (PD)
Printed in Italy
Rosario Crinò è Professore Ordinario di Economia
Politica presso il Dipartimento di Scienze Eco-
Cos’è il PIL e che
nomiche dell’Università degli Studi di Bergamo. differenza c’è con il
È laureato in Economia delle Amministrazioni
Pubbliche e delle Istituzioni Internazionali pres-
PIL pro capite?
so l’Università Bocconi di Milano, dove ha anche Cosa si intende per
conseguito il Master in Economics, e ha ottenu-
to il Dottorato di Ricerca in Scienze Economiche crescita economica?
presso l’Università degli Studi di Milano. I suoi Cos’è accaduto in
interessi di ricerca riguardano principalmente gli
effetti del commercio internazionale e della fram- passato e quali sono
mentazione internazionale della produzione su i fattori fondamentali
produttività e scelte d’innovazione delle imprese,
mercato del lavoro, benessere aggregato e distri- per lo sviluppo di una
buzione del reddito.
nazione? Questi e altri
interrogativi sono
Luigi Moretti è Professore Associato di Econo-
mia Politica presso il Dipartimento di Scienze
ormai rilevanti nel
Economiche dell’Università di Bergamo. In pre- dibattito economico
cedenza ha insegnato all’Université Paris 1 Pan-
théon-Sorbonne, dopo aver svolto attività di
e politico quotidiano
ricerca post-dottorato presso le università di Pa- e nella nostra vita di
dova e di Bologna. I suoi interessi di ricerca si con-
centrano su temi all’intersezione tra l’economia tutti i giorni.
delle istituzioni, l’economia pubblica e la politi- Per questa ragione è
ca economica. I suoi lavori sono stati pubblicati,
tra gli altri, su «Journal of Monetary Economics», così importante
«American Economic Journal: Microeconomics», conoscerli.
«The Journal of Law, Economics, and Organiza-
tion», «The Scandinavian Journal of Economics»,
«European Journal of Political Economy».

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