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Il Mulino - Rivisteweb

Gianfranco Viesti
L’economia italiana: dagli effetti della pandemia ad
una possibile ripresa?
(doi: 10.1430/98708)

L’industria (ISSN 0019-7416)


Fascicolo 4, ottobre-dicembre 2020

Ente di afferenza:
Università di Napoli Federico II (unina)

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Saggi/2

L’economia italiana: dagli effetti della pandemia


ad una possibile ripresa?
Gianfranco Viesti
The Italian Economy: From the Effects of covid-19 to a Possible Recovery?

This paper deals with the effects of the coronavirus pandemic on the Italian economy. It
documents how its economic impact will be severe and highly differentiated. It will be differ-
entiated among industries and firms, hitting more services than manufacturing, and some ser-
vices at most. Among people, hitting more less qualified workers than highly skilled; younger
workers more than older ones; women more than men. Among territories: hitting more touris-
tic areas; its long term effects on cities are still difficult to be quantified. The recovery plan un-
der definition by the Italian government will play a crucial role in reducing those effects and
relaunching the economy: however, planning and implementing public investments requires a
careful design.

Keywords: Macroeconomics, Italy, Public Investment


Classificazione JEL: E21; E 23; E62

1. introduzione

Le prospettive dell’economia italiana sono avvolte da un altissimo grado


di incertezza, connesso sia alle dinamiche della diffusione del coronavirus, sia
agli impatti economici di quella che ormai si configura come la più rilevan-
te crisi economica internazionale di tutti i tempi. Incertezza che già di per
sé determina effetti economici: rinvii dei piani di investimento delle imprese,
comportamenti di consumo più cauti da parte delle famiglie. Su questi ultimi
potrà poi pesare, in direzione e in misura difficile da prevedere, l’effetto psi-
cologico di medio-lungo periodo questa straordinaria pandemia.
Formulare precise previsioni è impossibile. Tuttavia, già con i dati e le
informazioni disponibili alla fine dell’estate 2020 è possibile costruire alcuni
scenari con una certa probabilità di realizzarsi. In base a questi scenari è pos-
sibile sostenere che il nostro paese è già davanti a grandi scelte sul proprio

Gianfranco Viesti, Dipartimento di Scienze Politiche, Università di Bari Aldo Moro, Piazza
Battisti 1, 70121 Bari, Italy, gianfranco.viesti@uniba.it

Received: July 31, 2020 | Revised: October 1, 2020 | Accepted: October 2, 2020

L’industria  /  n.s., a. XLI, n. 4, ottobre-dicembre 2020 629


futuro, che riguardano aspetti fondamentali: la crescita economica, le dispari-
tà sociali e territoriali, la sostenibilità dei conti pubblici.
La tesi che sarà argomentata in questo scritto è che esse richiedono una
significativa discontinuità rispetto alle politiche economiche seguite nel primo
ventennio di questo secolo, che garantisca una crescita economica maggiore e
più inclusiva e sostenibile.
Il più probabile scenario di breve-medio periodo (fino alla fine del 2021)
del nostro paese può essere riassunto nei seguenti punti. L’impatto della cri-
si legata alla pandemia sul pil italiano 2020 sarà severissimo, molto maggiore
di quello della recessione del 2009. Le previsioni 1 indicano una contrazione
dell’attività economica nell’ordine di 10 punti. Le stesse previsioni indicano
(con un livello di incertezza però ancora maggiore) una significativa ma par-
ziale ripresa nel 2021. Il ritmo di crescita dell’economia italiana, coerentemen-
te con quanto avviene dalla metà degli anni Novanta, ed in particolare nell’ul-
timo decennio, potrebbe essere fra i più lenti fra i paesi avanzati, tale da de-
terminare un livello del pil 2021 di diversi punti inferiore a quello del 2019;
il che lo riporterebbe su una dimensione comparabile con fine anni Novanta.
In secondo luogo questa crisi così ampia sarà molto selettiva: fra settori,
fra territori, fra imprese, fra lavoratori, fra generi e generazioni. L’impatto set-
toriale della crisi sarà fortemente diversificato, a causa delle differenti durate
delle chiusure delle attività, delle diverse possibilità di fronteggiare le esigenze
sanitarie di distanziamento inter-personale, dei vincoli alla ripresa di alcune at-
tività economiche, dei cambiamenti nei comportamenti collettivi. Certamente,
rispetto a precedenti episodi recessivi vi è una grande differenza: il terziario è
stato e sarà colpito in maniera ancor più sensibile dell’industria manifatturiera,
e non potrà certo svolgere un ruolo di «spugna» occupazionale e sociale. Al-
cuni dei comparti del terziario (in primo luogo le filiere della cultura-intratte-
nimento e del turismo-viaggi) saranno colpiti in maniera ampia e più duratura,
con tutto ciò che ne consegue in termini di impatti sulla sopravvivenza delle
imprese e sull’occupazione. L’impatto economico territoriale della crisi non
sarà correlato all’intensità dei problemi sanitari, ma alle chiusure e alle diverse
strutture produttive. Sarà dunque intenso in tutta Italia. Potrebbe differenziar-
si con il tempo, dato che nelle regioni relativamente più forti la ripresa sarà
più collegate alle performance della manifattura (e all’export) e in quelle più
deboli (incluse Liguria e Lazio) sarà più collegato all’andamento del terziario.
Problemi particolari potrebbero porsi per le aree/regioni a maggiore intensità
turistica, in tutto il paese, maggiori per le città d’arte. Nel Mezzogiorno, tutta-
via, la disoccupazione è già molto più grande; maggiore la quota di occupazio-

1
  Le previsioni sono in costante aggiornamento, anche se con variazioni relativamente
contenute. Ci si può riferire ai dati ufficiali contenuti in mef (2020).

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ne più deboli (occupati a termine) nei settori più a rischio; minore, la diffusio-
ne e la possibilità del lavoro a distanza.
L’impatto occupazionale della crisi potrebbe essere molto più forte delle
precedenti, anche a causa del ruolo del terziario, dell’incertezza delle prospet-
tive per alcuni suoi comparti e dei comportamenti di consumo. Le previsioni
sono molto diverse, ma vi è la possibilità che la riduzione del numero di occu-
pati, che si va ad aggiungere all’ampio numero di persone in cerca di occupa-
zione (circa 2,5 milioni), possa essere intorno al milione o più. Questo impatto
sarà fortemente selettivo all’interno del mondo del lavoro. Tutte le analisi fi-
nora disponibili, non solo per l’Italia (McKinsey 2020) mostrano che saranno
colpiti in misura relativamente più forte i lavoratori più deboli: dipendenti a
termine, lavoratori stagionali, occupati a più bassa qualifica e con meno pos-
sibilità di lavoro da remoto. Le difficoltà occupazionali saranno poi molto più
forti per i giovani: sia per quelli impiegati in posizioni precarie, sia per le nuo-
ve leve che si affacceranno sul mercato del lavoro e per le donne. Le stime
disponibili 2 concordano nel prevedere una risalita lenta, con un tasso di occu-
pazione a fine 2021 che potrebbe essere sensibilmente più basso di quello di
inizio 2019. Tenderanno quindi ad crescere le disuguaglianze sociali.
A fronte di questa situazione il Governo italiano ha preso provvedimen-
ti di grande dimensione finanziaria durante la fase più acuta della pandemia.
Essi miravano a contenere le ricadute economiche d’insieme, ad evitare feno-
meni irreparabili di crisi aziendale e di difficoltà sociale per i nuclei familiari
più deboli o più colpiti. Essi paiono essere stati per molti versi opportuni; allo
stesso sono stati molto più orientati alla difesa della società e delle imprese dal
primo impatto della crisi, che a costruire condizioni per una ripresa dell’eco-
nomia italiana più vivace che in passato. Ad esempio l’ampia strumentazione
di sostegno e di incentivazione alle imprese appare priva di condizionalità ed
incentivi che possano configurare indirizzi di politica industriale.
Essi inoltre produrranno un sensibile aumento del deficit pubblico, ben
oltre il 10 per cento nel 2020, con un incremento di almeno venti punti del
rapporto debito/pil: circostanza assai preoccupante nel quadro delle regole
fiscali europee, attualmente sospese ma non modificate. Fortunatamente la
Banca Centrale europea sta procedendo a massicci acquisti di titoli, in misura
tale da impedire, per il momento, un significativo aumento dello spread sulle
emissioni italiane, con le relative conseguenze sul carico di interessi passivi.
Contemporaneamente il Consiglio europeo ha varato nel luglio 2020 un am-
pio progetto di rilancio («Next Generation»), che potrebbe garantire ai paesi
più colpiti dalla crisi un sostanziale ammontare di risorse a titolo di contribu-
ti e di prestiti a tasso molto contenuto nell’ambito delle prossime Prospettive

2
  Ci si riferisce sempre a mef (2020), ma anche a svimez (2020).

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Finanziarie 2021-27 dell’Unione, da investire per accelerare e potenziare la
ripresa economica. Se certamente si tratta di circostanze positive nell’imme-
diato e nel breve termine, esse però nulla consentono di prefigurare relati-
vamente al medio e lungo termine, ai vincoli e alle necessità di intervento, in
materia di finanza pubblica, che varranno per il prossimo decennio.
Tutto questo porta a concludere che per il nostro paese sia indispensabile
uscire dalla trappola della stagnazione che ha caratterizzato i primi due de-
cenni di questo secolo, garantirsi una forte ripresa nel 2021-22 e poi assestarsi
su di un profilo di crescita migliore rispetto al passato. Lo è per far fronte ai
forti impatti occupazionali e sociali della crisi; lo è per garantire una maggiore
sostenibilità al debito pubblico futuro; più in generale, per assicurare migliori
prospettive di vita alle generazioni più giovani e creare un clima di progres-
siva fiducia nei destini del paese. Stime della Banca d’Italia presentate nella
Relazione per il 2019 (Banca d’Italia 2020) prefigurano come possibile, anche
tenendo conto delle sfavorevoli condizioni demografiche, un tasso di crescita
almeno dell’1,5 per cento all’anno per il prossimo decennio, in grado di con-
tribuire alla ripresa occupazionale e, in un quadro di tassi di interesse ancora
molto bassi, ad una riduzione nel tempo del debito senza il ricorso a prolun-
gate misure di austerità. Ma tale tasso di crescita sarà possibile solo a condi-
zione di ottenere un aumento della produttività di almeno un punto all’anno.
In questo quadro d’insieme la finalità del presente contributo è in primo
luogo (par. 2) quello di presentare alcuni dati e riflessioni sull’impatto econo-
mico in Italia della crisi covid; successivamente di argomentare che l’aumen-
to della produttività cui si è appena fatto cenno richiede politiche economi-
che molto diverse da quelle del passato ventennio, in particolare attraverso
la definizione del Piano di Rilancio previsto dall’iniziativa Next Generation
dell’Unione europea (par. 3); questo richiede scelte di politica economica di
lungo periodo, come esemplificato dalle dinamiche, dalla situazione e della
possibili prospettive degli investimenti pubblici (par. 4). È chiuso (par. 5) da
alcune sintetiche conclusioni.
Non sarà certamente un percorso facile. Nei prossimi mesi emergeran-
no ostacoli: le pressioni, anche legittime, a proseguire nel tempo le misure
di intervento prettamente difensive, utili per la coesione sociale, ma che sot-
traggono risorse e attenzione alle iniziative per la crescita; l’azione di interes-
si costituiti, di natura settoriale, aziendale, territoriale, per la definizione di
interventi a proprio prevalente vantaggio; l’opposizione preconcetta ad un
ruolo maggiormente esteso ed incisivo delle politiche economiche. In parti-
colare per questi ultimi aspetti di tratta di questioni centrali. Dal punto di
vista della teoria economica e dei diversi approcci di politica economica: un
terreno sul quale si stanno fortunatamente indebolendo le posizioni estreme
che hanno prevalso per un lungo periodo. E dal punto di vista della concreta
traduzione di nuove linee di politica economica, più attente al fondamentale

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ruolo dell’azione pubblica nel favorire le trasformazioni strutturali, in inter-
venti concreti, individuando soggetti e precise azioni 3.
Tuttavia l’iniziativa «Next generation» chiede al nostro paese proprio di
definire un ambizioso ma realistico Piano di Rilancio. Ma soprattutto, non
vi è alternativa. L’acronimo inglese tina (There Is No Alternative) è stato a
lungo utilizzato per promuovere nei paesi avanzati un approccio politico di
natura prettamente liberista, volto a ridurre il perimetro dell’azione pubblica.
Per una possibile «vendetta della storia» ora quell’acronimo è l’argomento
più forte per giustificare un Piano di Rilancio basato su alcune grandi po-
litiche pubbliche: le forze del mercato, in un quadro di enorme incertezza,
non sono certamente in grado di garantire quegli investimenti necessari per il
rilancio dell’economia; mancare l’obiettivo di un aumento strutturale del tas-
so di crescita significherebbe fronteggiare scenari davvero preoccupanti sotto
il profilo occupazionale e sociale, e il grave rischio per il nostro paese, di un
nuovo ciclo di politiche di austerità basate su rilevanti avanzi primari, tali da
deprimere ulteriormente – come già avvenuto nel passato decennio – la velo-
cità di sviluppo.

2. come e perché la crisi sta colpendo molto, ma in misura molto dif-


ferenziata, l’italia

Le difficoltà economiche conseguenti alla crisi sanitaria covid, sono


di dimensione e di caratteristiche mai viste in precedenza (un 2020, oecd
2020a). La crisi sanitaria (collegata a quella economica attraverso le chiusure
delle attività e i provvedimenti di divieto di circolazione) ha progressivamen-
te raggiunto tutti i paesi del mondo, ha fermato i lavoratori di tutto il mondo
quasi nello stesso momento, tanto nei paesi avanzati quanto negli emergenti
(fmi 2020). Si tratta di una crisi contemporanea di offerta e di domanda, con
forti impatti di finanza pubblica e con una componente decisiva di carattere
psicologico-comportamentale 4.
È una crisi di offerta perché impatta sull’organizzazione delle catene del
valore di beni e servizi, sugli approvvigionamenti, sulla produzione (ma in
misura molto diversa per settori), sulla distribuzione (oecd 2020b). È una
crisi di domanda perché comporta una caduta dell’occupazione e dei redditi,
e quindi dei consumi. La crisi di domanda interagisce con quella di offer-
ta, la prima può aggravare la seconda (riduzione dei consumi e quindi della

3
  Su questi temi si rinvia in particolare a Cardinale e Scazzieri (2018) e a Di Tommaso,
Tassinari, Barbieri e Marozzi (2020).
4
  Su molti aspetti della crisi covid si vedano anche gli ampi e approfonditi materiali resi
disponibili in tempo reale sul sito www.voxeu.org.

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produzione) e la crisi di offerta può aggravare quella di domanda (riduzione
dell’occupazione). In tutto il mondo ci sono stati colossali interventi da par-
te delle autorità pubbliche 5 per contrastare la crisi sanitaria e per mitigare
quella economica, interventi di dimensioni mai visti in precedenza e di durata
ignota; le banche centrali sono intervenute a sostegno degli interventi fiscali.
Ciò produrrà un forte aumento degli indebitamenti pubblici  –  su livelli pa-
ragonabili ai periodi bellici  –  con conseguenze al momento imprevedibili sia
sulla loro sostenibilità (dimensione e carico di interessi) sia sugli sviluppi fu-
turi: nessun paese è mai uscito dall’indebitamento bellico solo attraverso mi-
sure di austerità 6.
La crisi ha poi una fondamentale e nuova componente psicologico-com-
portamentale. A differenza del passato, tutti i cittadini ne sono stati imme-
diatamente e fortemente interessati attraverso le misure di sospensione delle
attività lavorative e soprattutto attraverso la chiusura fisica e le limitazioni del-
le libertà di movimento. Si tratta di un esperimento di psicologia comporta-
mentale, di un «trauma» mai visto in precedenza. Che cosa penseranno, come
si comporteranno, e che cosa desidereranno e chiederanno alla politica e alle
politiche i cittadini è totalmente imprevedibile, ma orienterà profondamente le
scelte pubbliche; intensa è la partecipazione alla discussione collettiva (Piketty
2020; Rodrik 2020; Sen 2020; Stiglitz 2020). Resterà comunque la paura di un
ripetersi degli eventi, che con tutta probabilità determinerà modifiche strut-
turali nei comportamenti delle imprese e dei consumatori: si pensi al lavoro a
distanza, all’utilizzo degli acquisti online, alla mobilità nelle aree urbane.
Inoltre, l’attuale crisi, a differenza di quelle precedenti (Tooze 2018), non
origina dalla finanza e poi dai settori manifatturieri/esportatori diffondendosi
nell’economia. La crisi economica conseguente alla pandemia è partita con-
temporaneamente in tutti i settori: il terziario tradizionale non potrà, come in
passato, giocare un ruolo di ammortizzatore occupazionale. Il comparto dei
servizi si configura, quindi, non come parte della soluzione ma parte del pro-
blema, anche per la sua colossale dimensione occupazionale, e per la circo-
stanza che alcuni dei suoi comparti sono quelli più colpiti.
Ancora non è chiaro come evolverà il profilo sanitario, domina l’incertez-
za (rischio non calcolabile) tanto sulle sue evoluzioni (territoriali e stagionali)
quanto sulla sua durata complessiva (possibili «seconde ondate», sviluppo di

5
  Tutti gli interventi sono presentati e aggiornati in tempo reale su un apposito Policy
Tracker sul sito del Fondo Monetario Internazionale: https://www.imf.org/en/Topics/imf-and-
covid19/Policy-Responses-to-covid-19.
6
  Nei paesi che conservano la propria sovranità monetaria, ad esempio negli Stati Uniti, in
Giappone, nel Regno Unito, la sostenibilità dell’aumento dell’indebitamento pubblico derivan-
te da questi interventi è garantita dalla possibilità delle Banche Centrali di assorbire i titoli di
debito che dovessero restare inoptati sui mercati, riducendo maggiormente questa imprevedi-
bilità rispetto alla situazione dell’Unione europea.

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vaccini o di cure). Ciò fa sì che non sia possibile dire se vi sarà un rimbalzo
dell’attività economica (con un andamento del pil a V, al momento l’ipotesi
meno probabile); una ripresa più debole e diluita nel tempo (con un anda-
mento a U); o una persistente stagnazione (con un andamento a L). La cadu-
ta della produzione italiana, stando a tutte le previsioni disponibili (Commis-
sione europea 2020; mef 2020), per quanto soggette a rapida obsolescenza,
sarà fra le più forti: il pil italiano potrebbe tornare su livelli del secolo scor-
so; la ripresa potrebbe essere, in comparazione internazionale, relativamente
lenta.
La crisi sarà molto selettiva fra imprese e settori, fra persone, fra territori,
con modalità in parte già prevedibili, in parte incerte.
Per poter comprendere le conseguenze settoriali della crisi in Italia è ne-
cessario utilizzare strumenti e misure non tradizionali: le disposizioni di chiu-
sura/sospensione e la loro durata 7, la necessità di rivedere l’organizzazione
produttiva a seguito del distanziamento sociale (all’interno delle aziende e
nelle relazioni con l’esterno), ad esempio in base a parametri di prossimità fi-
sica e rischio di esposizione, e alla possibilità di utilizzo del telelavoro. Quan-
to a quest’ultimo tema, va ricordato che possibilità del suo utilizzo è molto
diversa fra i settori, in una situazione italiana in cui (per composizione delle
attività economiche e capacità di innovazione organizzativa) la sua diffusione
è inferiore che negli altri paesi europei. Tanto più queste necessità dureranno
nel tempo, tanto più influenzeranno l’organizzazione e lo svolgimento delle
attività produttive. Difficile dire quanto queste circostanze potranno essere
dei cambiamenti congiunturali o se diverranno in parte strutturali: ciò dipen-
derà dall’accettazione sociale dei nuovi comportamenti, dagli investimenti ir-
recuperabili che si faranno nel pubblico e nel privato, dalla spinta all’innova-
zione tecnologica-organizzativa che essi produrranno.
L’inapp (2020) ha fornito molti elementi utili per prime analisi. Nell’indu-
stria manifatturiera è possibile forse immaginare un impatto contenuto delle
chiusure 8 e delle riorganizzazioni interne; al contrario si possono riscontrare
possibili rilevanti cambiamenti nell’organizzazione delle catene globali del va-
lore e un forte impatto della caduta della domanda interna e internazionale.
Si è verificato, in ogni caso, un sensibile calo di produzione. Quanto questo
sia parzialmente recuperabile con un incremento di attività nei prossimi mesi
è largamente incerto, ma non impossibile: i primi dati sull’andamento della

7
  Già durante le chiusure le riduzioni del valore aggiunto sono state estremamente diver-
sificate: a fronte di diffuse cadute, si riscontrano ad esempio andamenti positivi per le indu-
strie alimentari e farmaceutiche, per le attività di informatica, comunicazione, informazione; e
appena negative per agricoltura, banche/finanza.
8
  Le chiusure delle attività sono durate circa 45 giorni, ma non è chiaro quanta parte del-
le imprese sia rimasta attiva nonostante le chiusure sulla base di disposizioni prefettizie.

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produzione industriale (Istat 2020c) sono meno negativi si quanto si temesse.
Rispetto alle modalità organizzative, in alcune attività produttive le disposizio-
ni sul distanziamento sociale possono avere degli impatti. Nell’insieme l’indice
di prossimità fisica fra i lavoratori nell’industria è vicino alle media dell’eco-
nomia; l’indice di esposizione al rischio di contagio è relativamente limitato.
Nell’insieme, queste criticità potrebbero forse essere assorbite, data la maggio-
re disponibilità di spazi fisici nei luoghi dell’industria rispetto ai servizi; po-
trebbero comportare riduzioni di efficienza/produttività, ma anche riorganiz-
zazioni che potrebbero incrementarle. In alcune attività produttive (alimenta-
re, abbigliamento, componentistica) queste criticità sembrano potenzialmente
maggiori. Per le imprese manifatturiere sono emersi e possono emergere pro-
blemi per le catene di fornitura; le imprese possono soffrire di blocchi produt-
tivi a causa della loro interruzione, specie per l’approvvigionamento di parti e
componenti da fornitori extra-europei. Su un piano più strutturale, le imprese
possono percepire un aumento permanente di rischiosità nelle catene di for-
nitura più lunghe, a maggiore distanza (oecd 2020b). Nelle decisioni sull’or-
ganizzazione internazionale delle catene del valore i vantaggi nei costi di pro-
duzione garantiti dai paesi emergenti andranno comparati con una percezione
del rischio del ripetersi di interruzioni ormai strutturalmente più alto che in
passato. Nei prossimi mesi ed anni si vedrà se questo potrà portare ad una
loro diversa organizzazione, anche attraverso forme di re-shoring (produzioni
riavvicinate geograficamente o riportate in patria/nell’azienda) e di riorganiz-
zazione produttiva spaziale a più ridotta distanza. Certamente vi è e vi sarà un
impatto dalla caduta della domanda internazionale (oecd 2020c).
Parallelamente possono registrarsi effetti sulle importazioni. Nell’imme-
diato esse possono soffrire degli stessi problemi di organizzazione produttiva
e logistica di cui si è detto per l’export. In un’ottica più lunga, le autorità
pubbliche europee ed italiane possono percepire molto più che in passato i
rischi collegati alla non-autosufficienza nella produzione di alcuni beni, come
reso evidente durante la pandemia dalla mancanza dei dispositivi di protezio-
ne individuale. Potrebbero aprirsi spazi produttivi per attività manifatturiere
già oggetto di importazione. Sempre all’interno del manifatturiero, la reces-
sione e l’incertezza comporteranno certamente un rinvio dei piani di accu-
mulazione delle imprese, in Italia e all’estero: con effetti anche sui fornitori
di beni capitali. La recessione ovviamente impatta molto sulla domanda di
beni di consumo. Tuttavia per i beni durevoli (mezzi di trasporto, elettrodo-
mestici, arredamento e le relative catene di fornitura) non può essere escluso
un recupero di domanda in caso di rapida conclusione, o quantomeno di una
forte attenuazione della crisi sanitaria. Rimbalzo o recupero più difficile da
prevedere per i non durevoli.
Forti poi sono le differenze per gli specifici settori. Alcuni possono es-
sere relativamente favoriti dai cambiamenti della domanda: si pensi all’indu-

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stria farmaceutica, alle produzioni di apparecchiature sanitarie, dei beni per
l’igiene personale e delle abitazioni. Altri, come la filiera agroalimentare sono
stati colpiti in misura assai modesta dalla crisi. Le conseguenze della pande-
mia sull’organizzazione della vita sociale potrebbero comportare un aumento
della domanda in altri casi, come per i cicli e motocicli. Al contrario, settori
come la cantieristica e la produzione di aerei civili e dei loro componenti po-
trebbero soffrire nel medio periodo di una possibile forte caduta di ordini;
tuttavia, i loro cicli di produzione sono molto lunghi e l’impatto dipenderà
dall’evoluzione sanitaria e della riorganizzazione dei trasporti.
Nell’industria delle costruzioni, colpita negli ultimi anni da un calo fortis-
simo di domanda e di occupazione, vi sono certamente necessità di riorganiz-
zazioni delle attività per garantire il distanziamento fra i lavoratori; tuttavia i
limitati contatti con il pubblico determinano un contenuto rischio di espo-
sizione alle malattie. Piuttosto, è possibile che possa esservi un impatto po-
sitivo di domanda collegato alle misure di difesa e di stimolo dell’economia
tanto nell’edilizia privata (anche grazie ai forti incentivi previsti nel Decreto
Rilancio per le ristrutturazioni) quanto nei lavori pubblici (collegati al Piano
di Rilancio), già a partire dal secondo semestre 2020.
Impatti più forti, più incerti, estremamente selettivi si registrano nel set-
tore dei servizi. Le chiusure sono state più lunghe; le necessità di riorganiz-
zazione sono forti, anche se molto differenziate; l’andamento dei consumi è
certamente influenzato dall’aumento del risparmio precauzionale collegato
alla percezione di incertezza, dalle nuove norme sul distanziamento sociale,
da possibili modifiche nei comportamenti di acquisto. Anche nei servizi vi
sono settori favoriti dalla crisi, in primo luogo l’e-commerce, il commercio
all’ingrosso e al dettaglio di farmaci, i servizi televisivi; è assai probabile an-
che un forte e strutturale incremento di domanda per i servizi informatici, ed
in particolare per quelli per le telecomunicazioni: alcune modalità di comu-
nicazione adottate nella crisi potrebbero divenire in parte strutturali, come i
collegamenti in teleconferenza. Il forte incremento registrato nel commercio
elettronico potrebbe almeno in parte persistere nel tempo, con conseguenze
negative rilevanti sul commercio al dettaglio, specie per i beni non alimentari.
Molti sono i comparti fortemente colpiti. Tra di essi certamente la filiera
cultura, intrattenimento, spettacolo, eventi, sport, e la filiera viaggi, traspor-
ti ferroviari, marittimi e aerei, alberghi e servizi collegati (agenzie, congressi,
fiere). In questi casi si sommano difficoltà congiunturali molto forti (le chiu-
sure sono proseguite molto più a lungo e vi sono state profonde riorganizza-
zioni delle attività) e possibili, sensibili, cambiamenti strutturali, in grado di
modificare radicalmente gli assetti di alcuni comparti. Molte attività cultura-
li, sia di produzione che di fruizione/rappresentazione sono ferme a tempo
indeterminato, mentre il settore congressi/fiere potrebbe conoscere una tra-
sformazione strutturale, con un maggior utilizzo delle connessioni digitali (e

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ripercussione sulle strutture di offerta e immobiliari). Anche per i trasporti il
quadro risulta assai diversificato. Il trasporto aereo è e sarà caratterizzato da
massima incertezza, con possibili crisi/fallimenti/salvataggi delle compagnie
aeree; quello marittimo di passeggeri (crociere) ha prospettive assi incerte;
quello ferroviario passeggeri a medio-lunga distanza è già contraddistinto da
difficoltà connesse al distanziamento, ma con possibilità maggiori di progres-
siva ripresa, anche grazie ad incentivi pubblici; quello ferroviario di passeg-
geri a breve distanza e urbano richiederà grandi interventi di potenziamento.
È possibile che la crisi si riveli molto selettiva anche fra le imprese, con
dinamiche molto differenziate e riallocazioni di quote di mercato. Nell’in-
sieme, il sistema produttivo nazionale dopo la grande crisi degli anni Dieci
è divenuto più piccolo dimensionalmente, attraverso la scomparsa di molte
imprese marginali; appare tuttora caratterizzato da grandi differenze di com-
petitività e di performance fra le imprese. Le imprese dei servizi sono tenden-
zialmente più piccole, meno capitalizzate, più soggette a problemi di liqui-
dità. La probabilità di mancata riapertura o di rapida scomparsa di imprese
è più alta che non nell’industria, in particolare nella piccola distribuzione
commerciale, nei comparti dei bar e ristoranti, dei piccoli alberghi, degli altri
alloggi. Potrebbero determinarsi fusioni ed acquisizioni, sensibili riallocazioni
di quote di mercato.
La crisi sarà molto selettiva fra le persone. In primo luogo il suo impat-
to è già stato assai diverso fra i nuclei familiari a seconda dalla certezza dei
flussi di reddito (che per molti si sono interrotti a causa delle chiusure e delle
sospensioni di attività); della disponibilità di un patrimonio (in particolare in
forma liquida) per ammortizzare variazioni di reddito, anche per primissime
necessità; per la disponibilità di strumentazioni e servizi per le connessioni
a distanza (tanto per l’istruzione quanto per il lavoro); di servizi sanitari di
prossimità, specie per la popolazione più anziana. L’interruzione dei flussi di
reddito ha quindi già provocato, e potrà ancor più provocare nel futuro diffi-
coltà sensibili per ampie fasce sociali.
L’impatto sulle disuguaglianze sociali dipenderà molto dall’andamento
dell’occupazione. McKinsey (2020) stima che la crisi possa mettere a rischio
(in termini tanto di riduzioni di paga e di orario quanto di licenziamento) 59
milioni di occupati in Europa, il 26 per cento del totale. Fra di essi sono pre-
senti in misura più che proporzionale i lavoratori a bassa qualifica e a basso
livello di istruzione. L’impatto potrebbe essere particolarmente forte nei set-
tori degli alberghi e ristoranti, cultura e divertimento, commercio al dettaglio.
I lavoratori già più colpiti sono quelli dei settori sottoposti a provvedimen-
ti di sospensione 9, con maggiori necessità di riorganizzazione, con più inten-

9
  Secondo le stime inapp (2020), le sospensioni hanno riguardato 7,2 milioni di addetti,
di cui 4,9 milioni di occupati dipendenti. I 7,2 milioni addetti sono per 2,4 milioni nel mani-

638
se incertezze sulla ripresa della domanda; e in questi settori i lavoratori con le
qualifiche professionali più basse, e più giovani 10; gli occupati a tempo deter-
minato 11. I dati sul mercato del lavoro italiano nel primo semestre 2020 (Istat
2020d) confermano, come era facile attendersi, una forte riduzione dell’oc-
cupazione  –  per circa mezzo milione di persone  –  concentrata fra i lavoratori
con contratti a termine, non rinnovati durante il periodo di maggior diffusione
della pandemia. Il rischio di perdere il lavoro per i dipendenti a tempo deter-
minato è altissimo 12; assai incerto è quanto potrà accadere in autunno, con la
rimozione del divieto di licenziamento dei dipendenti a tempo indeterminato:
svimez (2020) stima una possibile caduta complessiva dell’occupazione a fine
anno intorno al milione di unità. L’occupazione potrà poi essere influenzata
dalla mortalità delle imprese, soprattutto piccole e nei servizi, che sono state
maggiormente interessate dai provvedimenti di chiusura 13 e che in Italia rap-
presentano una frazione, come noto, ampia dell’economia: le imprese sotto i 10
addetti producono il 25 per cento del valore aggiunto.
Queste dinamiche convergono nell’indicare che la crisi potrebbe essere
molto selettiva da un punto di vista generazionale, colpendo maggiormente i
più giovani (Istituto Toniolo 2020). Essi stanno subendo già significative con-
seguenze sul mercato del lavoro, dato il loro peso assai maggiore negli impie-
ghi a termine: da metà 2019 a metà 2020 nella classe di età 15-34 anni (che
rappresenta poco più di un quinto dell’occupazione complessiva) si è concen-
trata metà della riduzione degli occupati (Istat 2020d). Vi saranno certamente
difficoltà per la prima occupazione di quanti si affacceranno sul mercato del
lavoro, con conseguenze sulle possibilità reddituali, date anche le loro minori

fatturiero, 0,8 nelle costruzioni, 1,6 nel commercio (metà nell’ingrosso, metà nel dettaglio), 1,3
negli alloggi e ristorazione (di cui 1,2 nella ristorazione), 1,1 nelle altre attività dei servizi.
10
  Fra i 4,9 milioni di occupati dipendenti sospesi, la percentuale di quelli interessati ai
provvedimenti di sospensione è stata diversa per qualifica professionale: sono stati sospesi il 47
per cento degli operai/apprendisti (3,3 milioni), il 32 per cento degli impiegati (1,5 milioni), il
25 per cento dei quadri e dirigenti (135 mila); e per età: sono stati sospesi il 48 per cento degli
occupati fino a 29 anni (940mila), il 40 per cento degli occupati 30-49 anni (2,8 milioni), il 36
per cento degli occupati con più di 50 anni (1,1 milioni).
11
  L’Istat (2020a) indica in 5,5 milioni i dipendenti sospesi; tra di essi 1,1 sono a tempo
determinato; principalmente negli alberghi e ristoranti (307 mila), nell’industria manifatturiera
(305 mila), nel commercio (165 mila) nelle costruzioni (92 mila) e 82 mila nei servizi professio-
nali.
12
  l’inapp (2020) ricorda che nel 2009, quando il pil è caduto del 5,3 per cento, l’occupa-
zione a tempo indeterminato è scesa solo dello 0,1 per cento (molto di più poi l’anno successi-
vo), quella a termine del 7,3 per cento.
13
  Nei settori privati non agricoli le sospensioni hanno riguardato circa 2,2 milioni di im-
prese (il 47 per cento del totale); la percentuale di imprese sospese è stata molto maggiore fra
le piccole (67 per cento di quelle senza addetti) che fra le grandi (34 per cento sopra i 250
addetti).

639
disponibilità patrimoniali (Morelli 2020). Subiranno le conseguenze del per-
durare dell’incertezza sui propri progetti di vita, di lavoro, di mobilità; forse
anche sui comportamenti riproduttivi (Blangiardo 2020). La crisi potrebbe
peggiorare anche la condizione femminile. Le donne sono maggiormente rap-
presentate nelle attività economiche e nelle figure professionali più colpite; in
tutto il mondo l’occupazione femminile si è ridotta più di quella maschile. In
Italia, da metà 2019 a metà 2020 l’occupazione femminile si è ridotta del 2,2
per cento, quella maschile delll’1,6 per cento (Istat 2020d). Vi saranno inoltre
difficoltà di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ad esempio collegate
all’incerta attività delle istituzioni scolastiche, e del forte carico di cura, verso
bambini e anziani, a cui sono soggette le donne italiane (Saraceno 2020).
L’impatto economico sui diversi territori del paese non sarà collegato
all’intensità della crisi sanitaria, ma tenderà ad essere piuttosto omogeneo fra
le grandi circoscrizioni del paese, ed in parte fra le regioni. La svimez (2020)
ha fornito una stima sugli andamenti territoriali del 2020-21 con un calo del
pil nel 2020 nel Centro-Nord lievemente maggiore che nel Mezzogiorno, ma
con una possibile ripresa 2021 decisamente più intensa al Nord 14, e un possi-
bile, forte impatto occupazionale nel Mezzogiorno.
Gli andamenti territoriali dipendono dalla composizione settoriale delle
economie, dalla dimensione delle imprese, dalle necessità e dall’adattamento
delle organizzazione aziendali al distanziamento sociale, dalle caratteristiche
dell’occupazione, da specifiche specializzazioni settoriali. Il quadro risulta
quindi particolarmente articolato. In generale, rispetto alla composizione set-
toriale, l’andamento delle regioni del Nord (e di Toscana e Marche) è e sarà
più legato alle sorti della manifattura, andamento di quelle del Sud (e di La-
zio, Liguria, Trentino Alto Adige) al terziario. I singoli indicatori forniscono
un quadro complesso. La quota di lavoratori sospesi è stata lievemente mag-
giore al Centro-Nord (ma non in Trentino Alto Adige, Liguria, Lazio), ma
questo dipende dalle chiusure nell’industria, che sono state complessivamente
più brevi. Rispetto alla caratteristiche dell’occupazione (inapp 2020) la quota
degli occupati deboli (autonomi o a termine nei settori sospesi) è invece più
alta in Valle d’Aosta, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, seguite da Ligu-
ria, Umbria e Campania. La quota dei lavoratori più esposti alla prossimità
fisica è invece più alta in Valle d’Aosta, Liguria, Toscana costiera, Lazio e in
tutto il Mezzogiorno. Molto interessante è la geografia relativa alla quota di
lavoratori che possono lavorare a distanza (e quindi, da questo punto di vi-
sta, sono più protetti degli altri). Vi è un chiara differenza fra il Centro-Nord
(dove è più alta) e il Mezzogiorno. Tuttavia emergono non poche aree del
Centro-Nord con percentuali piuttosto contenute; parallelamente, la quota di

14
  Prime riflessioni sugli impatti territoriali sono anche in Cersosimo e Viesti (2020)

640
lavoratori che possono lavorare a distanza è vicina alle medie nazionali in al-
cune delle province delle maggiori città del Sud, come Pescara, Bari, Palermo
e Cagliari e, in misura minore, Napoli, Lecce e Cosenza.
Certamente sarà molto rilevante il peso del turismo nelle economie re-
gionali. La quota dei lavoratori del turismo sul totale è particolarmente alta
per Trentino Alto Adige, Val d’Aosta, Liguria, Toscana, Lazio, Sicilia, Sarde-
gna. Ma le attività turistiche sono fortemente concentrate geograficamente, e
possono esservi effetti su territori specifici all’interno di queste e delle altre
regioni. È il caso della riviera romagnola, ma anche di alcune province del
Mezzogiorno 15 Molto forte può essere poi l’impatto della riduzione del tu-
rismo su alcune economie urbane, a cominciare da Venezia, Firenze e Roma,
ma anche Napoli. A seconda del peso della componente internazionale po-
trebbero esservi maggiori problemi per le località con una maggiore quota
di turisti stranieri (come Venezia), rispetto a quelle con un turismo prevalen-
temente nazionale (l’Abruzzo). A seconda delle modalità di arrivo, potreb-
bero esserci maggiori problemi per le aree con una quota maggiore di arrivi
in aereo (come Sicilia e soprattutto Sardegna), rispetto a quelle raggiungibili
anche da parte di turisti stranieri in auto (Lago di Garda) o comunque al
centro di un vasto bacino di domanda, come la Riviera Ligure. Ancora, po-
trebbero esservi differenze a seconda delle tipologie di turismo. Forse minori
per il turismo montano o nei piccoli centri dell’interno; con tutta probabi-
lità maggiori per le città d’arte, nelle quali è già stato forte l’impatto delle
limitazioni alla circolazione sulla stagione primaverile, sia per le possibilità di
arrivo (con un rilevante peso dell’aereo), sia per le necessarie riorganizzazioni
interne, ad esempio sui trasporti urbani o sulla fruizione dei musei.
Le città sono state particolarmente colpite dalla crisi sanitaria. In partico-
lare, ciò potrebbe essere dovuto alle evidenze (ma ancora non conclusive) sul
ruolo dell’inquinamento urbano nell’accrescere la gravità dei contagi. Difficile
dire se la crisi avrà un impatto più forte, nel breve e nel medio periodo, sulle
città. Si possono evidenziare quattro aree di particolare interesse, i cui effetti
non risultano ovvi: 1) nelle aree urbane è strutturalmente maggiore la quota di
occupati più forti (per settore e qualifica) e che possono lavorare a distanza,
ma il lavoro a distanza potrebbe comportare sia un riorganizzazione di spazi e
tempi nelle città, sia fenomeni di allontanamento dalle grandi città; 2) l’effetto
selettivo fra settori e di possibile aumento delle disuguaglianze potrebbe deter-
minare l’aumento, anche sensibile, delle disparità interne alle città; 3) il nuo-
vo funzionamento di molti settori economici potrebbe forse ridurre il grande e
crescente nel XXI secolo vantaggio delle città, e cioè la densità e la possibilità
di ripetute interazioni, anche casuali, per i suoi abitanti (oecd 2020); 4) la mo-

15
  Ad esempio Foggia (Gargano), Lecce (Salento), Salerno (Costiera), Matera (costa joni-
ca), Vibo (Tropea), Messina (Taormina).

641
bilità all’interno delle aree urbane potrebbe essere radicalmente e molto rapi-
damente ridisegnata, con grandissimi problemi, ma anche con grandi possibili-
tà di innovazione tecnica e sociale. Una primissima analisi (Florida, Rodriguez-
Pose e Storper 2020) valuta che difficilmente la pandemia potrà ridurre il ruolo
delle città nell’economia contemporanea, ma potrebbe produrre effetti anche
rilevanti al loro interno, accrescendo il ruolo delle politiche pubbliche.

3. perché l’italia può uscire dalla crisi solo con una crescita econo-
mica molto maggiore rispetto al passato

La dimensione degli interventi fiscali messi in campo in tutti i paesi avan-


zati è stata senza precedenti. Si tratta di azioni necessarie per ridurre gli im-
patti immediati della crisi economica, tanto sulle persone, quanto sulle im-
prese, per evitare conseguenze irreparabili. Non è questa la sede per entrare
nel merito della vasta gamma di decisioni prese dal governo italiano con i
decreti di emergenza 16. Esse paiono essere stati complessivamente adegua-
te alla gravità e all’incertezza della situazione che si era creata; e soprattutto
vanno valutate tenendo conto delle conoscenze e delle prospettive disponibili
al momento in cui sono state prese. Si è trattato di misure prettamente difen-
sive, volte tanto ad assicurare minime condizioni di reddito alle vaste fasce
di popolazione colpita dalle conseguenze economiche della pandemia, quanto
ad evitare una catena di crisi e fallimenti aziendali, specie se dovuti a caren-
za di liquidità. Vi è il rischio che, persistendo condizioni di debolezza dell’e-
conomia, mancando una ripresa dei consumi, o peggio e malauguratamente,
aggravandosi nuovamente le condizioni sanitarie, tali misure debbano essere
prorogate. Proroghe che, per quanto del tutto comprensibili in particolare
sotto il profilo della coesione sociale, tenderanno ad accrescere ulteriormente
lo sforzo pubblico, e le difficoltà prospettiche dei relativi conti. Questi inter-
venti faranno crescere molto, e ovunque, l’indebitamento pubblico, che rag-
giungerà i livelli più alti mai visti in tempo di pace, molto superiori a quelli
della crisi del 2008-09. Per l’Italia si prevede un incremento di almeno venti
punti del rapporto fra debito pubblico e pil (mef 2020): previsione che po-
trebbe rivelarsi persino ottimistica.
Alle decisioni dei singoli stati si sono poi affiancate diverse iniziative co-
munitarie 17. Molto importante è l’azione della Banca Centrale europea, che
sta procedendo ad acquisti di titoli pubblici degli stati membri tramite il Pan-

16
  Essi sono riassunti e aggiornati sul sito web del Governo: http://www.governo.it/it/
coronavirus-misure-del-governo.
17
  Un’ottima ricostruzione, costantemente aggiornata, delle decisioni europee è in Servizio
Studi del Senato (2020)

642
demic Emergency Purchase Program (pepp) in una scala senza precedenti, e
trascurando la normale chiave nazionale di allocazione. Dopo poche settimane
dallo scoppio della crisi sanitaria, in cui erano emerse già pericolose tensioni
sui rendimenti dei titoli di alcuni paesi europei, in primo luogo italiani, l’azio-
ne della bce ha contribuito notevolmente a stabilizzare i mercati finanziari.
In secondo luogo quelle normative della Commissione, con la sospensio-
ne – ma non la modifica – dei criteri del Patto di Stabilità sulle finanza pub-
blica, della normativa sugli aiuti di Stato, dei regolamenti per l’utilizzazione
dei Fondi Strutturali: il tutto per consentire agli stati membri di agire con
la massima flessibilità e tempestività nel contrasto sia alla crisi sanitaria che
a quella economico-sociale. Poi quelle economiche: tanto quelle definite at-
traverso l’attivazione di canali privilegiati di finanziamento a debito, ma con
tassi di interesse molto contenuti, come la nuova linea di credito del Mecca-
nismo europeo di Stabilità per la sanità, l’intervento denominato sure per il
finanziamento dei sussidi ai lavoratori, e i prestiti della bei alle imprese. Della
massima importanza è l’iniziativa «Next Generation», lanciata con una ambi-
ziosa intesa fra il Presidente francese Macron e la cancelliera tedesca Merkel,
e poi recepita, pur con modifiche imposte da quattro paesi europei, nel Con-
siglio europeo del luglio 2020. Si è trattato di un’iniziativa di grande rilevan-
za politica ed economica, tale da configurare una svolta nelle modalità di ge-
stione delle crisi economiche, ed in particolare nelle posizioni della Germania
(Saraceno 2020).
Tale programma comporterà sia ulteriori prestiti a tassi agevolati, sia
contributi diretti, su risorse generate da un’emissione obbligazionaria euro-
pea garantita dai futuri versamenti degli Stati Membri; ma con la possibile
prospettiva di farvi fronte anche con un ampliamento delle risorse proprie
dell’Unione in sostituzione dei contributi degli stati membri al bilancio.
L’importanza del «Next Generation» è indubbia: esso può accelerare il rit-
mo di ripresa dell’economia e intervenire su alcuni dei nodi strutturali che
nel passato ventennio hanno determinato un aumento molto modesto della
produttività. Vi sono tuttavia dubbi e incertezze che vanno tenuti in debito
conto 18. In primo luogo vi è un problema di tempistiche: la definizione dei
programmi sarà nel 2021, con risorse che dovranno essere impegnate antro
il 2023 e spese entro il 2026; è quindi incerto il profilo temporale dell’im-
patto sull’economia. In secondo luogo la definizione del programma andrà
concordata con la Commissione europea; esso dovrà tenere conto delle pri-
orità europee contenute nelle raccomandazioni al nostro paese; ciò potreb-
be forse lasciare alcuni ambiti fondamentali di intervento fuori dal finanzia-
mento. Ancora, vi è un meccanismo di controllo sull’effettivo impiego delle

18
  Si vedano ad esempio le articolate argomentazioni di Pastrello (2020)

643
risorse e sugli obiettivi raggiunti. Infine il tema più importante, ma per il
quale non vi è certezza: se e quanto anche le erogazioni a valere sul Next
generation possano essere soggette a «condizionalità macroeconomiche» e
cioè al rispetto da parte del nostro paese delle complesse regole europee su
deficit e debito pubblico. Va ricordato che tali regole sono al momento so-
spese, e che una loro reintroduzione in tempi relativamente rapidi indiche-
rebbe una direzione politica di marcia assai diversa da quella su cui ci si è
incamminati nel 2020; tuttavia, come già ricordato, l’Italia registrerà certa-
mente un netto peggioramento dei propri indicatori, e questo la renderebbe
ancora più esposta ad una eventuale ripresa dell’indirizzo dell’«austerità»
comunitaria.
In questo quadro, gli scenari a più lungo termine sono assai incerti, legati
al forte aumento del debito italiano e la necessità di rifinanziarlo; alla neces-
sità di restituzione delle eventuali risorse comunitarie ottenute a titolo di pre-
stito; alla circostanza che le norme del Patto di Stabilità sono solo sospese, e
non abrogate. Gli atteggiamenti a medio termine tanto della Banca Centrale
europea, quanto dei partner comunitari sono tutti da verificare. Il rischio che
il nostro paese possa essere sottoposto nuovamente a politiche di «austerità»,
con forti avanzi primari per migliorare il deficit pubblico e portare il debito
su un percorso di riduzione, non può essere escluso. Come hanno mostrato
le vicende del decennio appena trascorso tali politiche potrebbero determina-
re un prolungamento della recessione e un avvitamento del debito (con tassi
di crescita nominali del pil inferiori al tasso di interesse), una riduzione del-
la capacità di risposta delle politiche pubbliche. Né va dimenticato che sulla
crisi covid e sulle condizioni del conseguente indebitamento si gioca una
grande partita politico-ideologica in Italia, nella quale vi sono forze politico-
culturali ed economiche che spingono affinché il nuovo indebitamento sia ac-
compagnato da condizionalità, preferibilmente esterne (come potrebbe forse
accadere nel caso di un ricorso al mes) per determinare una riduzione strut-
turale della presenza e dell’intervento pubblico.
Riepiloghiamo dunque gli elementi del quadro finora emersi, al netto dei
pericoli di una recrudescenza dei problemi sanitari. Nell’incertezza vi sono
alcuni punti fermi: la crisi economica produrrà impatti molto forti sull’occu-
pazione, con un probabile aumento delle disuguaglianze sociali; renderà assai
più difficile la condizione delle finanze pubbliche. I rischi per la tenuta socia-
le ed economica del paese non possono essere quindi sottaciuti.
L’implicazione è semplice. Una ripresa dell’economia italiana ai tassi di
crescita dell’ultimo decennio, con una disoccupazione e un debito pubblico
molto maggiore sarà del tutto insufficiente. Alla politica economica spetta
dunque un compito particolarmente importante e arduo.
In primo luogo determinare il prima possibile e con la maggiore veloci-
tà possibile un rimbalzo delle tendenze dell’economia, con un progressivo

644
recupero della produzione persa già nel corso del 2020, ed evitare un au-
mento delle disuguaglianze personali, generazionali, di genere, territoriali.
Tempi e velocità della ripresa saranno molto importanti anche per modifi-
care il clima psicologico del paese, stimolando tanto una riduzione del ri-
sparmio precauzionale e una ripresa dei consumi da parte delle famiglie,
quanto un riavvio degli investimenti da parte delle imprese. Difficile ma
non impossibile.
Ma il vero problema di problema di politica economica del nostro paese
sarà passare da una fase di emergenza a una di rilancio. Ciò significa passa-
re da interventi di limitazione del danno a interventi di ricostruzione socio-
economica del paese, da interventi per la salute a interventi per l’economia,
da interventi per la liquidità a interventi per la redditività, da interventi di
assistenza sociale a interventi per creare lavoro e da spesa corrente anche a
spesa di investimento.
Nell’autunno 2020 l’Italia dovrà predisporre un vero e proprio Piano
di Rilancio, con l’indicazione dei grandi obiettivi da raggiungere, degli in-
terventi da finanziare, delle loro modalità attuative. Sarà quella l’occasione
per definire le priorità. Anche questo non sarà facile. per più motivi (Viesti
2020c): la modestia della discussione degli ultimi anni, tanto in sede scien-
tifica quanto in sede politiche su possibili prospettive di lungo termine del
paese; l’azione di gruppi di interesse economici, politici, territoriali, per
orientare il più possibile a proprio vantaggio le risorse disponibili; le ne-
cessità di proseguire con interventi prettamente difensivi, di cui si è appena
detto. Ma sarà indispensabile: per ottenere un più rapido recupero e so-
prattutto per rendere possibile un incremento del pil di almeno l’1,5 per
cento nel prossimo decennio, sarà indispensabile che la produttività in Ita-
lia torni a crescere, dopo la stasi dell’ultimo ventennio, di almeno un pun-
to percentuale all’anno (Banca d’Italia 2020). Per ottenere questo risultato,
non vi è che una strada: tornare ad investire, tanto nel privato quanto nel
pubblico. Ma occorrerà farlo facendo tesoro delle esperienze del nostro pa-
ese negli ultimi decenni.

4. come una intelligente strategia di investimenti pubblici può acce-


lerare il tasso di crescita dell’economia italiana

Per il rilancio dell’economia italiana occorrerà una politica economica


molto diversa da quella seguita nell’ultimo ventennio. Molto più orientata
sulla sostenibilità ambientale, l’economia circolare, la lotta al cambiamento
climatico. Molto più capace di accrescere, fra i cittadini e le imprese, la diffu-
sione di grandi innovazioni trasversali, a cominciare da quelle a matrice digi-
tale; in grado di ridurre le disuguaglianze e di accrescere l’inclusione sociale.

645
Le politiche industriali dovranno tornare ad avere un ruolo centrale nelle po-
litiche di sviluppo 19.
In questo quadro sarà centrale un sensibile rilancio, dopo la forte ridu-
zione dell’ultimo decennio, degli investimenti pubblici. Proprio questo caso,
che sarà brevemente illustrato in quest’ultimo paragrafo, bene può illustrare
alcune rilevanti questioni relative al Piano di Rilancio, alle difficoltà per la
sua definizione e agli effetti positivo che esso può determinare. Vi è ampio
consenso tra gli studiosi e le grandi organizzazioni internazionali: una politica
economica volta ad accrescere la spesa in deficit in investimenti pubblici può
generare un effetto positivo particolarmente consistente sulla crescita econo-
mica (Cerniglia e Saraceno 2020); tale anche da comportare una riduzione del
rapporto fra debito pubblico e pil grazie alla crescita più intensa del denomi-
natore rispetto a quella del numeratore. Ciò accade per due insiemi di motivi:
nel breve periodo, la spesa accresce la domanda aggregata e crea effetti positi-
vi sull’occupazione e sul reddito; nel lungo periodo, la migliorata dotazione di
capitale pubblico può creare nuove opportunità di investimento per le impre-
se, accrescere l’efficienza nell’utilizzo dei fattori produttivi e determinare un
incremento della produttività. Il primo effetto può essere assai significativo in
fase di profonda depressione economica; il secondo effetto è di gran lunga più
importante per il benessere di lungo periodo delle economie. La dimensione
effettiva di questi impatti può variare moltissimo nel tempo e nello spazio:
dipende dalle condizioni nelle dotazioni di capitale pubblico e del ciclo eco-
nomico, dai meccanismi di finanziamento della spesa e dalle condizioni delle
finanze pubbliche; dipende moltissimo dalla rapidità nella realizzazione degli
investimenti e dalla loro tipologia e qualità. Un vasto insieme di studi consen-
te di concludere che «il moltiplicatore fiscale di un aumento degli investimenti
pubblici in deficit è elevato (in media compreso fra 1 e 2 nel medio periodo)
sotto le ipotesi che i premi al rischio sovrano rimangano invariati e vi sia una
elevata efficienza nella spesa delle risorse stanziate» (Busetti et al. 2019); po-
trebbe essere ancora più elevato nelle attuali circostanze.
Servono investimenti pubblici? Misurare le dotazioni di capitale pubblico
di una economia, in termini quantitativi e qualitativi, e quindi stimare se e
in che misura possa essere definito un gap di dotazione e la necessità di un
incremento del flusso degli investimenti pubblici è operazione assai comples-
sa 20. Si può ricorrere alla stima del valore del capitale pubblico in base all’ac-

19
  Sulla vivace discussione in corso sulle politiche industriali, anche nel nostro paese, si
possono segnalare alcuni contributi apparsi recentemente su questa rivista: Mosconi (2019), Di
Tommaso (2020), Cardinale e Scazzieri (2020), Arrighetti e Bottani (2020), Buccellato e Corò
(2020).
20
  In Cerniglia e Rossi (2020) viene ad esempio citata una stima di larga massima del Glo-
bal Infrastructure Outlook secondo la quale nell’arco temporale 2016-2040 per l’Italia sarebbe

646
cumularsi degli investimenti del passato, così come ad indicatori specifici di
dotazione, in termini più facilmente misurabili e comparabili a scala interna-
zionale: ad esempio lunghezza e dotazione tecnologica delle rete ferroviaria o
disponibilità di banda larga nelle diverse tecnologie. È possibile sinteticamen-
te affermare che «l’Italia si trova in una posizione non favorevole in termini
di qualità e quantità dello stock di infrastrutture, e che la situazione è peg-
giorata negli ultimi anni relativamente agli altri paesi» (Busetti et al. 2019),
circostanza confermata anche dalle più recenti comparazioni fra le regioni eu-
ropee (Annoni e Dijkstra 2019).
Questa situazione non sorprende certo, soprattutto alla luce della fortissi-
ma riduzione dei flussi di investimenti pubblici nell’ultimo decennio. In una
prospettiva temporale più lunga, lo sforzo di infrastrutturazione del paese è
rallentato da tempo; la ricostruzione presentata in svimez (2019) della spe-
sa in «investimenti in opere pubbliche» negli ultimi cinquanta anni, mostra
che l’ammontare pro-capite (in euro costanti) che si era mantenuto intorno
ai mille euro per cittadino negli anni Settanta e Ottanta era già sceso sotto gli
800 euro negli anni Novanta e all’inizio del nuovo secolo. Ma la caduta dopo
il 2008 è stata particolarmente forte, di intensità e durata mai vista nella sto-
ria del paese: per restare al valore degli «investimenti in opere pubbliche»
pro-capite si arriva nell’ultimo quinquennio a meno di 400 euro per cittadi-
no. Sull’ultimo ventennio è disponibile una ampia documentazione quantita-
tiva. Cerniglia e Rossi (2020) ad esempio documentano come la formazione
lorda di capitale sia scesa fino al 2018 dal 2,8 per cento al 2,1 per cento del
pil. A partire dal 2011 le manovre di finanza pubblica hanno particolarmente
penalizzato la componente in conto capitale della spesa pubblica; si tratta di
una tendenza non sorprendente, data la maggiore difficoltà, tecnica e politi-
ca, nel comprimere la spesa corrente. Tuttavia proprio alla luce di quanto si è
appena detto, questo indirizzo prolungato su un lungo arco di tempo appare
particolarmente deleterio per le prospettive di lungo periodo. Come ha tra-
gicamente dimostrato la vicenda del Ponte Morandi di Genova, vi è anche
un sensibile problema di manutenzione, di garanzia di sicurezza ed efficienza
delle infrastrutture già da tempo realizzate.
È molto interessante, ed importante per il futuro, notare che gli investi-
menti del settore pubblico inteso nella sua dimensione più ampia in Italia
vengono realizzati tanto dalle amministrazioni, prevalentemente a livello co-
munale, quanto da imprese nazionali e locali a capitale pubblico; le prime
particolarmente nelle infrastrutture stradali, nell’istruzione e sanità, nell’edili-
zia pubblica, nell’ambiente; le seconde, nelle altre infrastrutture di trasporto,
nell’energia, nelle telecomunicazioni. Il calo della spesa è stato particolarmente

necessario, per sette principali ambiti infrastrutturali, un flusso di investimenti annuo pari a 67
miliardi di dollari all’anno, ben superiore agli attuali livelli di spesa.

647
ampio per le pubbliche amministrazioni, specie locali, soggette a progressivi e
forti vincoli a seguito delle sensibili misura di austerità degli ultimi anni, con-
cretizzatesi ad esempio nelle norme del Patto di Stabilità interno. Al contrario,
gli investimenti delle imprese a capitale pubblico hanno registrato tendenze
meno sfavorevoli. Fortunatamente nel periodo più recente, ed in particolare a
partire dal 2018, le norme di finanza pubblica locale sono state un po’ riviste,
lasciando maggiore spazio che in passato per programmi di investimento.
Gli effetti della riduzione degli investimenti sono stati già evidenti proprio
con la crisi sanitaria legata al covid. Una recente ricostruzione (Viesti 2020 b)
consente di verificare che la spesa per investimenti nel settore sanitario (edifici,
impianti, macchinari) è stato fino al 2007 intorno a 2,8 miliardi di euro all’an-
no; poi cresciuto per un breve periodo fino al 2010 (3,4), ma successivamente
costantemente ridotto fino al fino al valore minimo di 1,4 miliardi nel 2017, del
60 per cento più basso rispetto al 2010. Stando al rapporto annuale della Corte
dei Conti (2019) sulla finanza pubblica, la spesa pe rinvestimenti pubblici nel
settore sanitario era nel 2016 molto inferiore a quella degli altri paesi europei:
lo 0,3 per cento del pil contro importi più che doppi nelle principali economie
europee (Germania 1,1 per cento; Francia 0,6 per cento), ma anche negli Iberi-
ci. A giudizio dell’Istat (2020b) ciò ha avuto conseguenze sull’obsolescenza del-
le apparecchiature disponibili nella crisi, con le strutture sanitarie che si sono
trovate a lavorare con un parco tecnologico «non sempre al passo con i tempi».
È importante anche sottolineare come i flussi di spesa in conto capitale,
ed in particolare gli investimenti pubblici diretti verso le regioni più deboli
del paese e con una minore dotazione di capitale pubblico, si siano ridotti
in misura particolarmente sensibile 21. Sulla base dei dati dei conti pubblici
territoriali (cpt 2019), Cerniglia e Rossi (2020) confermano che il peso del
Mezzogiorno sul totale della spesa è stato sempre significativamente inferiore
al 34 per cento, percentuale obiettivo della politica economica recentemente
riconfermata, e pari al peso dell’area sul totale della popolazione. In valori
assoluti, a prezzi costanti, la spesa in conto capitale nel Mezzogiorno si è cir-
ca dimezzata (da 20 a 10 miliardi all’anno), confrontando il primo triennio
del nuovo secolo con i più recenti dati disponibili. Tali cifre e tale confronto
includono anche la spesa finanziata da risorse «straordinarie» (fondi struttu-
rali europei e fondo sviluppo e coesione), confermando come esse siano solo
parzialmente compensative di una spesa ordinaria, riveniente dalle politiche
pubbliche in atto nell’intero paese, che al Sud è particolarmente contenuta.
La forte contrazione della spesa non è tuttavia l’unico problema. I pro-
cessi di investimento pubblico in Italia si caratterizzano per tempi partico-
larmente lunghi per le realizzazioni. Essi dipendono da una combinazione

21
  Ciò vale anche per gli investimenti pubblici in sanità appena citati: cfr. Viesti (2020b).

648
di cause: certamente dalla difficoltà e dalla irregolarità nella disponibilità di
finanziamenti; ma anche da norme e comportamenti che rendono il «ciclo
delle opere pubbliche», (inteso come il tempo che intercorre fra la decisione
di realizzare un’opera pubblica e la sua effettiva entrata in funzione) partico-
larmente lungo: quasi 16 anni, in media, per interventi di grandi dimensione,
di importo superiore a 100 milioni di euro; tali tempi paiono essere peraltro
divenuti ancora più lunghi nell’ultimo decennio (cpt 2019). Essi attengono
sia alle durate necessarie per il completamento delle diverse singole fasi del-
le opere (progettazione, appalto, realizzazione, collaudo), quanto a quelli che
sono stati definiti «tempi di attraversamento», cioè fra il termine di una fase
e l’avvio della successiva. Tali ritardi appaiono anche legati alla disponibilità
di personale qualificato all’interno delle pubbliche amministrazioni, in parti-
colare dei Comuni (Carlucci et al. 2019): carenze che con i successivi e inten-
si blocchi del turnover nelle amministrazioni si sono acuite, particolarmente
nel Mezzogiorno (Rizzica 2020). Vi sono poi, come ricostruito da Cerniglia
e Rossi (2020) sulla base di dati ance e Ministero delle Infrastrutture molte
centinaia di opere, anche di rilevante importanza, bloccate, sospese, incom-
piute. Tali circostanze divengono ancora più rilevanti dato che il Piano di Ri-
lancio dovrebbe auspicabilmente comportare un raddoppio del flusso annuo
degli investimenti pubblici, dai circa 40 miliardi del 2018-19 a circa 80 mi-
liardi dal 2021 in poi (Balassone 2020).
Queste tempistiche sono rilevanti, dato che diluiscono nel tempo l’effetto
di breve periodo, di stimolo dell’economia, della spesa per investimenti pub-
blici; e soprattutto perché spostano in un futuro lontano gli importantissimi
effetti di medio e lungo periodo di cui si è detto. A riguardo va anche nota-
to che gli impatti positivi degli investimenti in infrastrutture si determinano
solo se poi il loro utilizzo è intenso; questo dipende, a seconda dei casi, da
altre politiche pubbliche tanto di finanziamento della spesa corrente necessa-
ria per il loro funzionamento, quanto dalla eventuale regolazione dei mercati
dei servizi. Illuminante a riguardo, nel bene e nel male, il caso delle infra-
strutture ferroviarie in Italia in questo secolo (Cascetta 2019, Viesti 2019). La
realizzazione dell’alta velocità ferroviaria è stata assai lunga e complessa, ma
quando l’infrastruttura è divenuta disponibile, essa ha consentito lo svilup-
po di servizi di trasporto di notevole qualità e a prezzi decrescenti, fornen-
do un notevole contributo alla mobilità delle persone in una importante fa-
scia del paese, con i conseguenti riflessi anche sul piano economico. Tuttavia
nello stesso periodo, infrastrutture ferroviarie già realizzata in un’altra ampia
parte del paese, sono state utilizzate sempre meno, a causa dei notevoli tagli
al finanziamento pubblico dei servizi di mobilità ferroviaria interregionale e
regionale; con effetti simmetrici di riduzione della mobilità, e con possibili
impatti economici di segno negativo. Gli stessi problemi del trasporto urbano
e regionale intorno alle città servite dall’alta velocità ne ha ridotto il possibile

649
impatto, riducendo il bacino di utenza in grado di avere tempi di percorren-
za origine-destinazione più bassi.
Quanto detto consente di comprendere come definire una strategia ri-
chieda significative discontinuità rispetto al passato. Non corrisponde certo
allo stilare semplici elenchi di grandi opere. L’esperienza fallimentare della
«legge Obiettivo», ricostruita nei periodici Rapporti del Servizio Studi della
Camera dei Deputati (2020) è a riguardo eloquente.
Essa richiede al contrario la definizione di condizioni legislative e opera-
tive tali da superare le criticità cui qui si è fatto cenno. Condizioni legislative
che progressivamente riducano le tempistiche delle diverse fasi e i «tempi di
attraversamento»; e condizioni operative, ad esempio legate al rafforzamento
qualitativo e quantitativo del persone tecnico delle amministrazioni comunali,
o delle strutture sanitarie.
Essa richiede una assai intelligente individuazione degli interventi. Molti
di essi devono essere in grado di produrre gli effetti positivi di rilancio dell’e-
conomia in tempi ragionevoli; e devono cercare di creare sinergie con le ope-
re già realizzate o in corso di realizzazione in modo da accrescerne l’impatto.
Per riprendere l’esempio precedente, interventi di potenziamento del traspor-
to pubblico urbano possono consentire di ampliare la fruizione dei servizi
di media e lunga distanza già disponibili, anche attraverso l’intermodalità, e
quindi di aumentare gli effetti positivi degli investimenti realizzati 22. Supera-
mento di colli di bottiglia, potenziamenti tecnologici mirati, applicazione del-
le innovazioni rese possibili dalle connessioni digitali possono produrre effetti
economici assai più ampi, con costi estremamente più contenuti, rispetto a
meri, indistinti, interventi di spesa in grandi opere pubbliche. Molto impor-
tante sarà anche destinare una rilevante quota degli investimenti alle aree più
deboli del paese, sia in funzione perequativa della loro assai più modesta do-
tazione 23, sia per stimolarne la crescita.
Il raccordo fra una strategia di investimenti pubblici e composizione e
qualità della spesa corrente è poi cruciale. Si prevede ad esempio che sia-
no necessari cospicui investimenti tanto nei sistemi ospedalieri e nei presidi
socio-assistenziali territoriali, quanto nelle strutture scolastiche per ridurre le
persistenti criticità legate alla pandemia e per prevenire meglio future, malau-
gurate, nuove crisi. Essi tuttavia, per produrre i propri affetti, necessitano di
una diversa organizzazione dei servizi, e quindi di una revisione degli inter-
venti e della spesa corrente: i presidi socio-assistenziali territoriali si determi-
nano con investimenti pubblici ma funzionano con personale qualificato. La

22
  Elementi tecnici di sostegno a queste considerazioni, oltre che veri e propri elenchi di
possibili interventi, sono in Legambiente (2019).
23
  Perequazione ad esempio prevista dalla legge 42/2009 sul federalismo fiscale, ma mai
avviata.

650
complementarità fra spesa in conto capitale e spesa corrente, fra dotazioni e
servizi va accuratamente considerata, assai più che nel recente passato. Anche
in questo caso la chiave territoriale è della massima importanza, perché un
adeguato livello di finanziamento deve consentire, a differenza di quanto è
sempre accaduto, di soddisfare i livelli essenziali delle prestazioni dei princi-
pali servizi pubblici in tutte le aree del paese
Infine, una strategia di investimenti pubblici dovrebbe essere vista come
una componente di una complessiva strategia di politica industriale. Si è
sottolineato come nella realtà italiana dalle grandi imprese a partecipazione
pubblica, dall’enel all’eni alle Ferrovie all’anas a Poste Italiane, scaturisca
circa la metà degli investimenti. Si tratta di aziende sovente di elevata qualità
manageriale e tecnologica. I loro piani di investimento debbono certamente
rispondere a logiche di sostenibilità economica aziendale. Ma essi potrebbe-
ro essere anche inquadrati in grandi missioni di modernizzazione, sviluppo e
sostenibilità ecologica del paese, come recentemente proposto dal ForumDD
(2020): affidando loro ad esempio obiettivi di lungo termine nel comparto
energetico, nelle dotazioni e nei servizi di connettività digitale, nel trasporto
efficiente e a bassa emissione. Essi potrebbero determinare effetti di incre-
mento dell’efficienza del sistema economico nazionale particolarmente inten-
si, nonché produrre con le loro realizzazioni, effetti, significativi, tempestivi,
diretti, sulle aspettative e quindi sui comportamenti di ricerca, innovazione
e investimento delle imprese private; nonché determinare flussi di domanda
pubblica di lungo termine di interesse per il sistema produttivo.

5. alcune considerazioni conclusive

Come si è provato ad argomentare, per accrescere le probabilità di usci-


ta dalla crisi per il nostro paese occorreranno politiche economiche non solo
particolarmente intense sotto il profilo quantitativo, ma anche assai ben di-
segnate sotto il profilo qualitativo; e che segnino una profonda discontinuità
rispetto al passato. Gli impatti economici della pandemia covid-19 saranno
certamente molto intensi, e provocheranno un forte arretramento del livello
di produzione e di occupazione nel nostro paese nel 2020. Essi saranno poi
fortemente selettivi: in generale tenderanno a colpire maggiormente i più de-
boli, accrescendo le già significative disuguaglianze sociali e territoriali; ren-
dendo più precarie le condizioni di lavoro e di vita delle generazioni più gio-
vani, più difficili i processi di partecipazione femminile alla vita collettiva.
Il profilo di uscita dalla crisi è gravato da una fortissima incertezza. Essa
è certamente legata alle tendenze sanitarie. Sarà influenzata dalle necessarie
riorganizzazioni di molte attività economiche, dai comportamenti collettivi,
dal ricostruirsi della fiducia e dal venir meno delle comprensibili paure. Ma

651
dipenderà moltissimo anche dalle risposte della politica economica. Le scelte
dei governi nazionali e soprattutto le decisioni prese nel Consiglio europeo del
luglio 2020 potrebbero prefigurare una risposta assai diversa di quella fornita
alla crisi internazionale del 2008-09 e a quella dell’euro del 2010-11, che ha
prodotto un decennio di stagnazione economica e di crisi sociale in diverse
aree europee, fra cui l’Italia. I leader europei, così come la stessa Banca Cen-
trale, sotto la oggettiva guida della Germania, sembrerebbero aver intrapreso
una strada molto diversa. Nella quale la priorità sembrerebbero essere le con-
dizioni di vita e di lavoro dei cittadini europei e le loro prospettive di lungo
termine, assai più che la condizione di breve periodo della finanza pubblica.
Impossibile dire se questa intonazione delle politiche si manterrà nel tem-
po, e porterà ad una profonda revisione delle regole europee attualmente
sospese, ma non cancellate; ovvero se tornerà a prevalere il più miope ap-
proccio del passato. Come che sarà, la crisi covid, insieme ai suoi gravissimi
danni umani, sanitari, sociali, psicologici, economici, ha determinato l’aper-
tura di una «finestra di opportunità» del tutto inattesa per il nostro paese.
La possibilità  –  che scaturisce da una esplicita richiesta del Consiglio e della
Commissione – di disegnare un Piano di Rilancio.
Non sarà semplice. Vi saranno preconcette, forti opposizioni a questa
nuova centralità dell’iniziativa della politica economica; tentativi di frammen-
tare le risorse per soddisfare le esigenze più varie. Come la breve analisi de-
gli investimenti pubblici ha provato a mostrare, vi sono difficoltà tecniche ed
operative molto rilevanti. Una mera lista di obiettivi ed interventi non potrà
mai configurare un vero Piano di Rilancio, se essi non saranno ricompresi in
un complessivo ridisegno del paese, in una prospettiva di insieme, per fine
anni Venti, dell’Italia come potrebbe essere. Quadro difficilissimo anch’esso
da disegnare.
Tutto ciò pone anche agli economisti italiani, forse in modo particolare
proprio agli economisti applicati, nell’ambito delle loro attività scientifiche,
responsabilità nuove; chiama alla partecipazione ad uno sforzo collettivo (co-
gnitivo, interpretativo, propositivo) particolarmente importante; e che richie-
de senso civico, pragmatismo, precisione analitica, disponibilità ad una di-
scussione senza preconcetti.

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