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Capitolo 1
L’economia internazionale si occupa dell’interazione che avviene tra paesi attraverso scambi di beni e servizi, flussi
monetari e flussi di investimenti ed è generalmente suddivisa in 2 sottoinsiemei: il commercio internazionale e
l’economia monetaria internazionale. In questo corso tratteremo soprattutto il primo aspetto, una materia antica che si
sviluppa man mano che l’interazione tra paesi diventa più forte.
Grafico: sull’asse delle ascisse, tempo dal 1960 al 2015; sulle ordinate Esportazioni e importazioni in % del reddito
nazionale USA. In prossimità delle recessioni, anche i flussi commerciali subiscono un declino (es. Crisi mutui sub
prime). In generale possiamo osservare un aumento delle imp. Ed esp. Degli Stati Uniti nel corso del tempo.
Ma anche per gli altri Stati la globalizzazione ha giocato lo stesso effetto?
Grafico 2: vediamo il grado di apertura nel 1970 e 2010 di alcune grandi economie. Il grado di apertura si ottiene dalla
somma fra importazioni ed esportazioni di un Paese normalizzate per il proprio PIL. Possiamo osservare che il
fenomeno non è esclusivo per gli Stati Uniti, ma anche per altri Stati che partono e arrivano a gradi di apertura più
elevati degli USA. Ci sono paesi che sono più integrati nell’economia globale, e un appunto che viene fatto è che le
economie grandi come Usa sono relativamente meno integrate col resto del mondo: i paesi più piccoli hanno più
bisogno di importare beni, sono più legati al resto del mondo, oppure come la Corea del Sud possono essere grandi
esportatori.
Ma perché i paesi commerciano fra loro?
Indubbiamente entrambi traggono vantaggi dallo scambio. I consumatori norvegesi possono acquistare le arance che
farebbero molta fatica a produrre internamente e il venditore trae vantaggi.
Vantaggi per i paesi coinvolti
1. Un paese più guadagnare dallo scambio anche se è il meno efficiente a produrre tutti i beni, attraverso un minor
costo del lavoro; oppure anche il più efficiente a produrre beni può guadagnare dallo scambio, l’incentivo a
importare alcuni beni che produrrebbe in maniera più efficiente perché migliorerebbe il suo livello di benessere.
2. Un altro aspetto fondamentale è dato dal ruolo fondamentale giocato dalle risorse abbondanti o dalle risorse
scarse, nel determinare le strutture di commercio tra paesi.
3. Infine fondamentale è il concetto di economia di scala, è possibile che sia interesse dei paesi, invece che produrre
tanti beni internamente, specializzarsi nella produzione di pochi di essi e il resto importarlo, perché ciò consente
di produrre su larga scala e abbassare molto i costi medi.
4. Importante il commercio tra beni presenti e futuri
5. Attività finanziarie tra paesi diversi per ridurre i rischi
I paesi possono tratte beneficio dall’apertura al commercio internazionale, tuttavia questo valore incrementale non
necessariamente è equamente distribuito in tutta la popolazione (possiamo avere un aumento di benessere di alcune
parti della popolazione e nella riduzione del benessere di altre)
Politica commerciale
Tutto il corso sarà permeato da una forte dose di politica, perché anche sui giornali leggiamo di guerre commerciale,
come tra Usa e Cina, cercheremo di valutare i costi di esse. Inoltre, l’insediamento di Trump ha portato alla
rinegoziazione dell’accordo NAFTA per rivalutare la posizione di USA nel trapporto con Cana da e Messico. Vi sono
poi altri accordi commerciali tra accordi commerciali: es. Tra UE e Giappone, in senso contrario rispetto ai segnali
protezionistici del governo statunitense.
Studieremo chi sta vincendo nella guerra dei dazi tra Cina e Usa e parleremo della Brexit.
Capitolo 2
Commercio internazionale
Grafico: esportazione e produzione mondiale (non più ottica Usa). Notare che i volumi di esportazione e produzione
mondiale normalizzati a 100 nel 1950 per osservare quale delle 2 variabili cresce in modo più ripido. Osserviamo che
l’esportazione ha una crescita molto più forte, che si divarica col passare del tempo dalla produzione. Anche la
produzione risente della crisi, ma le esportazioni rispondono verso il basso e verso l’alto in modo molto più forte.
Osservazioni. I principali partner commerciali sia di UE che di Usa sono paesi relativamente grandi. Ad esempio l’UE
commercia molto con Stati Uniti, Cina, Russia, e poi una serie di paesi più piccoli come Svizzera. Al primo posto per
gli Usa c’è il Canada, non comune all’Unione Europea anche se molto grande. Quando andiamo a considerare i singoli
paesi della UE, i partner commerciali degli Usa sono quelli col Pil più elevato: Francia, Regno Unito, Germania.
Quando però pensiamo al Canada e al Messico ci vengono in mente altri incentivi a commerciare per gli Usa: ad
esempio il fattore distanza può essere un deterrente agli scambi commerciali. Se guardiamo i partner dell’UE, oltre
alla dimensione possiamo notare Svizzera e Norvegia, europei non UE che di loro sono piuttosto piccoli, con stimolo
molto forte ad aprirsi al commercio internazionale per importare. Ovviamente dobbiamo distinguere il grado di
apertura al commercio internazionale in base alle dimensioni del Pil.
Il modello gravitazionale
Ovviamente per commerciare bisogna spostare i beni e i costi di trasporto possono rendere importazioni e
importazioni meno vantaggiose. In più possono esserci altri fattori, come affinità culturale (che magari evita l’ostacolo
della lingua straniera), la geografia (legata a sbocchi sul mare e a minor numero di barriere). Un altro fattore
fondamentale è rappresentato dalle imprese multinazionali, che hanno bisogno di una grande quantità di beni per le
loro filiali. Anche il confine può essere importante, perché attraversarli può implicare la presenza di tariffe implicite o
esplicite (implicite come lingue diverse o valute diverse).
Il modello che cerca di rendere conto di quanto visto finora è quello che viene chiamato modello gravitazionale, che fa
esplicitamente riferimento al modello di gravitazione universale di Newton.
Quest’impostazione viene riproposta con la stessa logica: il flusso commerciale T fra un paese i e un paese j sia uguale
ad (A x Yi x Yj) / Di,j. A è una costante, Yi e Yj sono i Pil.
Questo modello funziona molto bene nell’interpretare i dati, perché distanza e dimensioni dei paesi spiegano molto
degli scambi che avvengono tra i paesi.
Per rendere più semplice la stima di a, b, c (seconda formulazione, più generale) si può fare il logaritmo a destra e
sinistra, che ci aiuterebbe a capire l’elasticità del paese importatore o esportatore rispetto alla distanza o alle
dimensioni dell’economie
Distanza e confini
Oltre a distanza e confini ci sono metodi che riducono tempo e costi degli scambi, come gli accordi commerciali, con
l’obiettivo di ridurre le formalità burocratiche fra i paesi. L’accordo commerciale va a incentivare, a parità di
dimensione e distanza, gli scambi fra i paesi.
Che cosa può dirci sugli scambi commerciali il modello gravitazionale? Ci può dire se gli accordi commerciali
aumentano significativamente il peso degli scambi a parità di distanza e dimensione dell’economia.
Nel 1994 gli USA firmano un accordo di libero scambio con Messico e Canada (NAFTA). La presenza di un accordo
commerciale può rendere il volume degli scambi fra USA e Messico maggiore rispetto al commercio tra usa e paesi
con pil simile, per esempio. Allora quale ruolo gioca l’accordo nell’aumentare il flusso di beni e servizi tra paesi che
stipulano?
Immaginiamo che anche A possa avere un esponente, pari a w. Allora quando stimiamo i coefficienti, c (coefficiente
della distanza) andrà da -1 a -0,7, gli altri avranno valore positivo. Se A= accordo commerciale, essa è una variabile
dicotomica (può essere 0 o 1), allora se w>0 l’accordo pesa in modo positivo a determinare il flusso di commercio.
Grafico 2.4. Dimensione economica e commercio con gli Stati Uniti. Nel nuovo grafico abbiamo inserito il Messico e
il Canada; i paesi appartenenti alla UE sono rappresentati allo stesso modo del grafico precedente, ma non ho una
bisettrice, bensì una retta più piatta essendo cambiata la scala, perché Messico e Canada hanno un commercio molto
più intenso con gli USA rispetto alla UE. La posizione di Messico e Canada rispetto alle ascisse è puramente
rappresentativa del valore dei Paesi in termini di Pil, ovvio che non contribuiscono a quello dell’UE.
Il commercio che gli Usa hanno col Messico è pari al 75% del commercio che gli Usa hanno con tutta la UE. Mentre
quello col Canada è circa il 95% di quello con tutta la UE. Distanza e accordi commerciali fanno sì che ci siano
legami molto maggiori con alcuni Paesi a prescindere dalla dimensione
Distanza e confini
Abbiamo detto che il confine può fungere in qualche modo da ostacolo al commercio per una serie di motivi: lingua
diversa, valute diverse, costi di transazione...
Vi è un articolo che parla di border effect a proposito di Usa e Canada: viene spiegato il ruolo del confine nella
regione della British Columbia e si studia appunto la stratedia del border effect. Il paper identifica la provincia base, la
British columbia in Canada. Si cerca di capire quanto la regione commerci con le altre province canadesi; poi si
osservano i dati relativi al commercio di questa provincia con gli Stati degli USA che hanno distanza simile alle altre
province canadesi (California, Washington,Montana, Ohio...). La distanza tra le varie regioni viene indicata con dei
numeri: a British Columbia corrisponde lo 0, alle regioni accanto 1, poi 2, 3 ecc... Vi è un’identificazione a coppie
equidistanti.
Poi viene formulata una tabella che rappresenta il Commercio in rapporto al Pil della British columbia con le varie
regioni/stati statunitensi, vengono accoppiate quelle con distanza simile. Notare che il BC ha un commercio con
Alberta del 6,9% del Pil, mentre con Wahington del solo 2,6% del Pil, e lo stesso fenomeno possiamo osservarlo
anche con le altre coppie. Quest’analisi ci dice che, a parità di altre condizioni, esiste un effetto confine, anche tra
zone molto simile e molto integrate.
Capitolo 3
Cosa succede se gli USA producono il cibo per entrambi i paesi e scambiano i 6 kg di cibo eccedenti con 6 mq di
stoffa?
Dopo aver prodotto il cibo per entrambi i Paesi, avranno dopo 2 ore 6 mq di stoffa e 6 mq di stoffa. Se avessero
prodotto la stoffa internamente, avrebbero avuto bisogno di 2 h e mezza per produrre 6 mq di stoffa e 6 kg di cibo.
Allora possiamo misurare i guadagli degli USA in termini di stoffa (2 mq) o in termini di ore di lavoro risparmiate
(0,5 h)
E per gli inglesi?
UK riceve 6 kg di cibo, che riuscirebbero a produrre in autarchia in 6 ore di lavoro. Le 6 ore che avrebbe impiegato, le
usa per la produzione di stoffa e gli consentono di produrre 30 mq di stoffa. Allora gli inglesi scambiano 6 mq di
stoffa (che richiedono 1,2 ore) con 6 kg di cibo, guadagnando 24 mq di stoffa in più. Allora possiamo misurare il
risparmio di UK dal punto di vista del tempo: in autarchia, per produrre 6 S e 6 C servivano 1,2 ore + 6 ore = 7,2 ore.
Per produrre 6 S per sé e 6 S per gli USA hanno bisogno di 1,2 ore + 1,2 ore = 2,4 ore. Vengono risparmiate 4,8 ore.
Vantaggio comparato
Ma quali sono le condizioni per le quali questi guadagni esistano? Ad esempio, come il tasso di scambio (in questo
caso 1 C per 1 S) può influire nel commercio internazionale.
Ad esempio, gli Stati Uniti scambiano 6 unità di cibo solo se guadagnano più di 4 unità di stoffa, perché in 2 ore al
massimo producono 6 C e 4 S. Lo scambio è vantaggioso se riescono ad ottenere, cedendo 6 C, più di 4 S.
L’Inghilterra guadagna solo se riesce ad ottenere 6 C cedendo meno di 12 S.
Gli scambi sono vantaggiosi per gli USA se 6C permette di ottenere più di 4 S, per gli UK se meno di 12 S permettono
di ottenere 6 C.
4 S < 6 C < 12 S
Allora l’intervallo che deve verificarsi è di 8 S, ovvero il guadagno totale identificato prima. 8 S è il vantaggio che
deriva dallo scambio commerciale dei 2 paesi, la torta che si possono spartire i 2 paesi che può essere variamente
allocata.
In caso di assenza di vantaggio comparato, nessuno scambio internazionale si verifica, però è proprio impossibile a
livello pratico che ci sia uno stesso rapporto tra i settori. Nel caso in cui ci sia pochissima differenza tra i rapporti,
allora si introducono piccoli costi di transazione che rendono sconveniente lo scambio.
Per gli UK
Cibo (kg) Stoffa (mq)
60 0
50 20
40 40
30 60
20 80
10 100
0 120
Questi dati danno luogo alla frontiera delle possibilità produttive, cioè la curva che ottengo sfruttando al massimo le
risorse che ho. Essendo il costo-opportunità dello scambio cibo-stoffa costante nel tempo, allora la curva di
trasformazione sarà sempre costante (retta con pendenza pari al costo-opportunità).
Dunque la combinazione stoffa-cibo dato un certo ammontare di ore negli USA può essere rappresentata da una retta
di inclinazione negativa con un valore assoluto della pendenza parti ai 2/3.
Per il Regno Unito abbiamo una retta di inclinazione -2.
Il saggio marginale di trasformazione SMT è pari al -2/3 negli USA, -2 in UK.
Ricordiamoci le condizioni di concorrenza perfetta: da un lato il salario in un settore deve essere uguale al valore dei
beni prodotti in quel settore. Il salario orario nel settore stoffa deve essere uguale alla produttività marginale del lavoro
per il prezzo di vendita di ogni unità.
Da questa relazione deriviamo un legame tra i prezzi relativi e le produttività marginali.
Per essere vero che Wc=Ws, allora -Pc/Ps= -(PMLs/PMLc)=SMT.
Gli scambi ci danno la possbilità di ottenere (ultimo grafico) un livello di benessere che prima non era possibile,
perché fanno perno sul punto di completa specializzazione.
Esempio 1: Vantaggio comparato, costo-opportunità e commercio
Immaginiamo che negli USA per produrre 10 mln di rose siano necessarie le stesse risorse che servono a produrre
100.000 computer; in Colombia per 10 mln di rose servono le risorse necessarie a produrre 30.000 computer.
Vuol dire che in Colombia i lavoratori sono meno produttivi per i computer, la Colombia ha un costo-opportunità più
basso associato alla produzione di rose.
Per gli USA, produrre 30.000 computer vuol dire rinunciare a produrre solo 3,3 mln di rose, non 10 mln.
Allora gli USA avranno un vantaggio comparato per i computer, mentre la Colombia ha un vantaggio comparato nella
produzione di rose.
Immaginiamo di essere in una situazione di anarchia, dunque USA e Colombia devono produrre entrambi i beni.
Totale 0 +70
Poiché l’offerta di lavoro è costante, definiamo con L il numero totale di ore lavorate nel paese H, con: Lc+Ls=L, cioè
alla condizione di piena occupazione,(tutta la forza lavoro è impiegata nel settore cibo o nel settore stoffa).
Allora la tabellina USA/UK la rifaccio così:
Possibilità produttive
La fpp rappresenta la max quantità di beni che può essere prodotta dato un ammontare di risorse fisse (ore lavoro
fisse, in questo caso).
Se Qc rappresenta la quantità di cibo prodotta e Qs la quantità di stoffa, la fpp ha equazione:
a l ,C Qc+a l ,S Qs=L
Se a l ,S e a l ,C sono costanti e L costante, allora posso scegliere Qs e Qc, anche annullando una delle due risorse
prodotte. Dunque permane la relazione Qs ≤ L/a l ,S − ¿.
Esempio. L=1000, a l ,S =2 e a l ,C =1. Allora Qs ≤500 −1 /2 ⋅ Qc .
In questo caso, la produzione massima di stoffa è di 500 mq (la frontiera intercetta l’asse y), la produzione massima di
cibo è di 1000 kg (la frontiera interseca l’asse x).
La fpp dunque ci dice a quanta stoffa devo rinunciare per produrre un tot di cibo e viceversa.
In generale, l’ammontare di produzione domestica è definito da:
a l ,C Qc+a l ,S Qs≤L
Questa relazione descrive ciò che un’economia può produrre, ma per determinare cosa l’economia effettivamente
produca dobbiamo derivare i prezzi dei beni. Qual è dunque il punto della fpp per il quale la produzione è ottima?
Siano Pc e Ps i prezzi del cibo e della stoffa. Per l’ipotesi di concorrenza perfetta:
● I salari orari dei lavoratori di C sono uguali al valore prodotto in un’ora nel settore C: Pc/ a l ,C
● Stessa cosa vale nel settore stoffa
Poiché i lavoratori preferiscono salari elevati, essi lavoreranno nel settore che paga i maggiori salari orari.
Wc= Pc*PMLc, Wc=P*1/a l ,C , PMLc=1/a l ,C .
Se diciamo che il salario è in C è maggiore del salario in S, allora:
C’è una specializzazione nel settore C. C’è una specializzazione nel settore S dunque se Ws>Wc.
Quindi, solo quando c’è un’uguaglianza del prezzo relativo del cibo rispetto alla stoffa con il costo-opportunità del
cibo rispetto alla stoffa, allora vengono prodotti entrambi i beni.
➔ Esempio slide. I lavoratori sarebbero disposti solo a produrre cibo, perché il prezzo relativo del cibo è
superiore al suo costo-opportunità rispetto alla stoffa.
Ci aspettiamo una fpp in F più ripida nel paese H, con stoffa sulle ordinate e cibo sulle ascisse, e inclinazione data
dalla SMT (vedi sopra).
Ma allora cosa succede al prezzo nel momento in cui apro le barriere? Dovrò avere un prezzo solo, mondiale relativo
del cibo rispetto alla stoffa.
Dobbiamo prendere in considerazione il concetto di domanda relativa e offerta relativa dei beni. Si effettua un’analisi
di equilibrio generale, che prende in considerazione l’andamento di un mercato (es. C) congiuntamente all’andamento
di un altro mercato.
In generale abbiamo detto che i prezzi relativi determinano l’offerta relativa di un bene sul mercato. Il fatto di dover
produrre necessariamente entrambi i beni (condizione di autarchia), determina una condizione vincolante su quanto
debbano valere i prezzi relativi (uguali al costo-opportunità del bene rispetto all’altro).
Nel commercio internazionale calcoliamo l’offerta relativa di cibo come quantità di cibo offerta da tutti i paesi diviso
la quantità di stoffa offerta da tutti i paesi.
∗ ∗
RS=(Qc +Qc )/(Q s +Qs )
Questo ci dice quanto cibo su stoffa viene prodotto in totale nel mondo.
Però ricordiamo che, quando avviene che Pc/Ps < costo-opportunità di C rispetto a S, allora il prezzo del cibo è troppo
basso e in un determinato paese tutti produrrebbero stoffa, poiché Wc<Ws e nessuno produce cibo.
Se il prezzo relativo è troppo basso (più basso del costo-opportunità di H, che è il paese col costo-opportunità più
basso), allora né H né F producono cibo.
Quando il prezzo relativo del cibo è uguale al costo opportunità nel paese H. Per i lavoratori in H sarà indifferente
produrre cibo o stoffa, ma siccome in F il costo-opportunità è maggiore, allora non sarà ancora conveniente produrre
cibo, e in H verrà prodotta solo stoffa.
Cosa succede invece se il prezzo relativo internazionale è compreso fra i costi opportunità del 2 paesi?
➔ Per il paese H, il prezzo relativo internazionale sarà maggiore del costo-opportunità del cibo rispetto alla
stoffa; il salario di C sarà superiore a quello di S e H si specializzerà in C.
➔ Per il paese F, il prezzo relativo internazionale sarà inferiore al costo-opportunità del cibo rispetto alla stoffa;
allora il salario di C sarà ancora minore a quello di S e F sarà ancora specializzato completamente nella
produzione di stoffa.
Questa è la condizione di completa specializzazione, in cui l’offerta mondiale di cibo sarà uguale a quanto cibo potrà
essere prodotto totalmente in H, diviso tutta la prod.ne massima di stoffa nel paese F. La produzione massima di cibo
dipende dalla forza di lavoro in H e da quante ore servono per ogni unità di cibo nel paese H.
La quantità di stoffa prodotta in totale nel mondo sarà uguale solo a quella prodotta dal paese F, che dipenderà dalla
forza lavoro in F e da quante ore servono per ogni unità di stoffa al paese F.
Se il prezzo relativo di C rispetto a F è maggiore del costo opportunità in H ma uguale al costo opportunità in F,
dunque per i lavoratori in F sarà indifferente produrre cibo o stoffa, per quelli in H bisognerà produrre solo cibo.
Quando il prezzo relativo del cibo è più alto del costo-opportunità in entrambi i paesi, allora il prezzo relativo è troppo
alto e la stoffa non verrà prodotta in nessun paese. Sia i lavoratori in H che quelli in F saranno disposti a produrre solo
cibo (dove i salari sono più alti).
La curva di offerta relativa ci dice quanta quantità di cibo e stoffa viene offerta dato il prezzo relativo mondiale.
Andiamo ad aggiungere l’offerta la domanda relativa e troviamo l’equilibrio. Tutto ciò che ci interessa è che la
domanda relativa di cibo dipenderà inversamente dal prezzo del cibo. Se il prezzo del cibo rispetto alla stoffa aumenta,
si riduce la domanda di cibo.
Ci sono 2 possibilità (2 domande): la domanda interseca l’offerta relativa nel tratto verticale (completa
specializzazione dei 2 paesi) oppure nel tratto orizzontale. Se la domanda relativa è posizionata sul tratto verticale,
avremo un prezzo compreso sul tratto verticale.
Se invece la domanda intersecasse il primo tratto orizzontale (ad esempio, quello in cui il paese H è indifferente nel
produrre cibo o stoffa), avremmo una domanda non così alta.
Se la domanda intersecasse il secondo tratto orizzontale, le preferenze dei consumatori a livello mondiale portano più
verso il cibo.
Salari relativi
Il salario relativo dei lavoratori di un paese è definito come il rapporto tra quanto percepiscono all’ora nel paese stesso
e quanto viene percepito in un altro paese. Sappiamo che può esserci un salario relativo diverso da uno solo quando
confronto paesi diversi, non settori diversi!
Qual è il salario orario se i paesi si specializzano completamente nel cibo o nella stoffa?
Se il prezzo dei beni è pari a 12$ per unità, il salario orario per i produttori di cibo sarà:
(1/al,c)*Pc= (1/1)*12$=12$=W
Dunque il salario relativo dei lavoratori di H sarà (12$/4$)=3 (rapporto tra salario domestico e quello estero).
Il paese H è più produttivo nel settore cibo di 6 volte, mentre è più produttivo nella produzione di stoffa di soli 3/2. E’
importante notare il confronto tra produttività e salario relativo.
Nel modello di Ricardo più produttivo è un settore, più ci saranno differenza salariali. Ogni paese realizza un
vantaggio di costo, un’altra faccia del vantaggio comparato, solo nella produzione di un bene. Perché H non potrebbe
produrre in modo più efficiente stoffa e venderla a livello internazionale? Perché è più produttivo di 1,5 volte, mentre
ha uno svantaggio salariale pari a 3. Per il cibo, nonostante lo svantaggio salariale, ha un vantaggio di costo perché è 6
volte più produttivo del paese F.
Il punto fondamentale è che il salario relativo deve essere compreso fra i rapporti delle produttività in ciascun settore.
Dato che i lavoratiri nel paese F percepiscono un salario pari a 1/3 rispetto al salario dei lavoratori di H, essi riescono
a realizzare un vantaggio di costo nella produzione di stoffa, i lavoratori di H riescono ad avere un vantaggio
nonostante i maggiori salari.
Se W/W*=3 (es.: W=3, W*=1), il paese H ha salari più alti del paese F. Per mele, banane e caviale è vero che il
salario relativo è minore, quindi vengono prodotti da H, altrimenti da F.
Come si determina il salario relativo? Attraverso l’offerta relativa e la domanda relativa (derivata) dei servizi di
lavoro.
La domanda relativa di lavoro in H diminuisce al crescere di W/W*. Quando il lavoro in H diventa più cari
relativamente al lavoro in F:
I beni prodotti in H diventano più cari e la domanda di questi beni, e del lavoro necessario a produrli, si riduce;
Meno beni vengono prodotti in H, il che riduce ulteriormente la domanda di lavoro nel paese.
Infine, supponiamo che l’offerta relativa sia fissa al livello determinato dalla popolazione di H e F
La domanda relativa ha una struttura molto paricolare. In generale ha un andamento decrescente, però ha dei
gradini. I numeri sulle ordinate fanno riferimento alla produttività relativa (ultima colonna della tabella sopra,
vantaggio relativo nella produzione del bene da parte del paese H rispetto ad F). Sul grafico abbiamo una
comparazione tra salario relativo e quantità relative di lavoro L/L*.
Grafico: immagino che il salario relativo sia pari a 3. Finché è minore delle produttività relative (mele, banane,
caviale), H produce quei beni. Se il salario relativo sale (es a 3,5), la domanda relativa di lavoro si riduce (il salario
sale, il prezzo del bene aumenta). Se il prezzo sale, si riduce la domanda di beni e consequenzialmente si riduce la
domanda di lavoro (aumenta il salario, ci spostiamo verso sx).
Se il salario relativo passa da 3,99 a 4,01, si passa da sotto il gradino del caviale a dopra il gradino del caviale. Un
incremento del salario, non determina una riduzione della domanda di lavoro nel paese L, ma va ad incidere in
maniera discreta: la domanda di lavoro relativa si riduce di molto.
Esattamente nel tratto orizzontale nel gradino, vale l’uguaglianza tra salario relativo e coefficienti di costo, quindi si è
in una condizione di indifferenza rispetto alla produzione da parte di H oppure F (non so se verranno richiesti più
lavoratori da H o da F)
Caviale: senza costi di trasporto F importa da H: 3*3=9<12, con costi di trasporto 9*2>18, F produce
internamente. Non commerciabile.
Datteri: senza costi di trasporto H importa da F: 12<18=6*3; con costi di trasporto: 12*2=24>18, H produce
internamente. Non commerciabili.
Dato che 6<10, il bene mele continua ad essere prodotto ed esportato da H.
I datteri, che prima erano prodotti ed esportati da F, con l’aumento di prezzo non vengono più esportati. Il bene
focacce invece viene continua ad essere importato dal paese H al paese F.
E’ cambiata soltanto la situazione di caviale e datteri, che sono diventati beni non commerciabili, perché i costi di
trasporto sono talmente alti da rendere inefficiente il loro trasporto appunto.
Generalmente i beni non commerciabili sono quelli molto a ridosso della soglia.
Evidenza empirica
I paesi esportano quei beni in cui la loro produttività è relativamente alta?
Il rapporto tra le esportazioni statunitensi e britanniche nel 1951, confrontato con il rapporto tra la produttività del
lavoro negli USA e nel UK in 26 settori manufatturieri, suggerisce di sì. A quel tempo gli USA avevano un vantaggio
assoluto in tutti i 26 settori, ma il rapporto tra le esportazione era basso nei settori meno produttivi degli USA.
Le principali implicazioni del modello di Ricardo sono ben supportate dall’evidenza empirica. Le differenze nella
produttività del lavoro tra paesi giocano un ruolo chiave del commercio internazionale. Il concetto di vantaggio
comparato (e non vantaggio assoluto) è importante per spiegare il commercio internazionale.
Confrontando Cina e Bangladesh (lavoro del 2012), due pvs, vediamo che otteniamo risultati molto simili.
Il modello a fattori specifici e distribuzione del reddito è stato formulato da Samuelson e Jones.
Nel corso della storia i governi hanno protetto dalla concorrenza delle importazioni, gli USA stessi limitano e hanno
limitato le importazioni di molti beni.
Questo tipo di atteggiamento ha una matrice fortemente politica.
Gia quando analizziamo il modello a fattori specifici ci preoccupiamo di come questi eventuali benefici che arrivano
al commercio internazionale vanno a distribuirsi all’interno della popolazione, perché laddove la distribuzione non sia
equa allora spetta alla politica negare o sostenere l’apertura commerciale.
Nel corso dei cicli elettorali negli USA vengono introdotti dei dazi punitivi per alcuni beni, prodotti dai cosiddetti
swing States, quelli in cui non c’è una netta predominanza di repubblicani o democratici all’interno (esempio in Ohio).
Ad esempio vengono posti dei dazi sull’importazione dalla Cina di pneumatici e acciaio, che vengono prodotti
principalmente in Ohio.
Il commercio è positivo per l’economia, però ha degli effetti significativi sulla distribuzione del reddito.
Nel breve periodo, quando un settore viene identificato come quello in cui il Paese ha un vantaggio comparato, non è
immediato che la forza lavoro si trasferisca immediatamente da un settore all’altro.
In una prospettiva di lungo periodo, i settori sono diversi in termini di fattori produttivi richiesti. Il commercio non
necessariamente sarà vantaggioso come indicato da Ricardo perché potrebbe avere delle conseguenze in modo
negativo permanente.
Nel breve periodo i fattori di produzione non si possono trasferire senza incorrere in costi ingenti.
Qs=Qs(K,Ls)
Dove:
Qc è la produzione totale di cibo;
T è l’offerta di terra coltivabile;
Lc è la forza lavoro dedicata alla produzione di cibo.
Come cambia il mix produttivo (quanto produco di cibo e quanto produco di stoffa) quando sposto il lavoro da un
settore all’altro?
Esiste una relazione positiva tra produzione di stoffa e lavoro impiegato, ma esistono rendimenti decrescenti del
fattore lavoro. Cioè, per uno stesso incremento di lavoro, la produzione continua a salire con incrementi produttivi
sempre più piccoli. L’aggiunta di un lavoratore aumenta la produzione in misura sempre inferiore.
Ciò non implica assolutamente rendimenti di scala decrescenti, il singolo fattore produttivo ha rendimenti decrescenti,
ciò che succede ai rendimenti di scala non è immediato dirlo (magari sono costanti nei 2 fattori produttivi). Qui stiamo
considerando K costanti.
A destra abbiamo poi aggiunto un altro grafico, che rappresenta la funzione di produzione in funzione del lavoro
impiegato. Il prodotto marginale del lavoro è la derivata prima della funzione di produzione rispetto al lavoro stesso:
infatti l’inclinazione è prima più ripida, poi si riduce.
Il prodotto marginale del lavoro è decrescente (infatti ho rendimenti decrescenti del fattore lavoro).
Le possibilità produttive
Abbiamo 2 fattori produttivi a produrre il bene, tra cui il lavoro che è un fattore mobile.
L=Lc+Ls
Quindi Lc=L-Ls
Grafico: siccome stiamo considerando la stoffa, ragioniamo in maniera invertita (assi invertiti) rispetto ai grafici del
capitolo 3.
La funzione di produzione della stoffa è concava e sta nel IV quadrante. Nell’altra parte grigia ho un’altra funzione di
produzione, ma relativa al settore cibo.
Abbiamo disegnato le fdp in modo da avere su un asse la stoffa, sull’altro il cibo.
Il terzo quadrante ci dice che il lavoro è una risorsa scarsa e possiamo decidere dove allocarlo. Rappresenta L=Lc+Ls
o Lc=L-Ls e ci dice che ho una retta di inclinazione -1 e un termine noto pari a L, stessa cosa se la leggiamo in termini
di Ls=L-Lc.
W=MPLs*Ps
(il salario è uguale al valore del prodotto marginale del lavoro nel settore tessile.
Graficamente, avendo in mente queste interazioni abbiamo sull’asse delle ascisse l’offerta totale di lavoro L
(=Lc+Ls), sulle ordinate il salario W.
Dobbiamo tenere presente ciò che abbiamo detto in merito al prodotto marginale del lavoro, una funzione inclinata
negativamente rispetto alla quantità di lavoro impiegata. La MPL va moltiplicata per il prezzo P.
Notare che il salario rispetto a L è composto al contrario sulle ordinate rispetto a Ws.
Ci manca solo un ultimo passo: mentre terra e capitale sono fattori specifici, il lavoro è un fattore mobiel: ciò è
importante, perché i lavoratori possono indifferentemente scegliere dove essere impiegati.
Se entrambi i beni sono prodotti deve valere l’uguaglianza dei salari. L’allocazione di lavoro tra stoffa e cibo deve
avvenire la curva del prodotto marginale del settore cibo incontra quella del settore stoffa (l’incontro tra le 2 curve
raffigura l’allocazione di lavoro ottimale nel paese, ma anche il salatio ottimale).
Ci manca l’ultimo passaggio: cosa vuol dire Wc=Ws? Siccome Wc=Pc*PMLc, Ws=Ps*PMLs, dunque
Pc*PMLc=Ps*PMLs, o anche Ps/Pc=PMLc/PMLs.
PMLC
− è l’inclinazione della frontiera delle possibilità produttive!
PMLS
Ps
Quindi impiegheremo i lavoratori per i quali l’inclinazione della FPP sarà pari a − .
Pc
Se i prezzi della stoffa e del cibo cambiano, cambia il numero di lavoratori impiegati e tutti il resto. Nel momento in
cui i Paesi si aprono al commercio internazionale, avviene una convergenza dei prezzi relativi. Nel momento in cui
apriremo i paesi al commercio internazionale i prezzi commerceranno, e così l’allocazione del lavoro.
Cambia l’allocazione del lavoro e la distribuzione del reddito (fine ultimo del modello). Abbiamo 2 casi:
Il cambiamento è proporzionale (raddoppia sia prezzo di stoffa che di cibo, Ps/Pc resta invariato)
Si verifica un cambio nei prezzi relativi.
Pc*PMLc=Ps*PMLs
Siccome W è aumentato, Pc*PMLc è aumentato, quindi PMLc è aumentato (Lc si è ridotto). Essendo il prezzo della
stoffa aumentato ma in misura maggiore di quanto è aumentato il salario, allora PMLs è diminuito (Ls è aumentato).
Cosa succede all’allocazione di lavoro e della distribuzione del reddito quando il prezzo del cibo e della stoffa
cambiano?
Abbiamo 2 casi:
1. Il cambiamento è proporzionale: la variazione del prezzo della stoffa e di quello del cibo si muovono insieme (es.
Raddoppiano entrambi)
2. Si verifica una variazione dei prezzi relativi (Ps/Pc non rimane costante, ma cambia)
E ciò ha implicazioni diverse a seconda dei casi.
Ricapitolando:
I proprietari di capitale stanno sicuramente meglio;
I proprietari di terra stanno sicuramente peggio;
I lavoratori stanno subendo un effetto ambiguo, perché per capirlo bisogna sapere quanto cibo e quanta stoffa
consumano. Se consumano tanta stoffa stanno peggio, perché il prezzo della stoffa è aumentato troppo rispetto
all’aumento di salario, viceversa se consumano tanto cibo, e così via. Bisogna capire quanta stoffa e quanto cibo
ci sia nel loro paniere di bene, e quale sia la loro importanza relativa nei consumi.
In generale possiamo dire che:
Il fattore specifico al settore tessile per cui il prezzo relativo aumenta sta meglio
Il fattore specifico al settore alimentare per cui il prezzo relativo si riduce sta peggio
Il fattore mobile (lavoro) ha una variazione di benessere ambigua per i motivi specificati.
All’apertura del commercio internazionale: avrò un paese H e un paese F, ciascuno con la propria domanda e offerta
relativa dei due beni. Quando apriremo le frontiere non esisteranno più prezzi interni ed esteri, e quantità interne ed
estere, ma sara tutto internazionale.
Per semplificare, RD e R*D sono uguali. Ciò non significa che consumino la stessa quantità, ma che consumano cibo
e stoffa nella stessa proporzione. Allora avremo una RD mondiale uguale alle altre due.
Per quanto riguarda la curva di offerta, le due curve saranno diverse, perché è dato da come la quantità prodotta
reagisce all’aumento del prezzo.
Avremo una curva di offerta mondiale che si troverà in una posizione che terrà conto della curva di offerta domestica
e della curva di offerta estera, che sono diverse tra di loro.
Immaginiamo di considerare una curva mondiale che si va a collocare necessariamente tra R*S e RS, sarà RSW.
L’equilibrio prima dell’apertura del commercio internazionale è diverso dal nuovo equilibrio.
Dalla prospettiva del paese domestico H, i prezzi relativi Ps/Pc sono saliti; dalla prospettiva di H i prezzi relativi
Ps*/Pc* sono scesi.
Allora succederà esattamente quanto descritto in precedenza per i singoli fattori specifici.
Tutte le volte in cui il prezzo di un bene sale, il settore del bene che ha visto il prezzo aumentare sta meglio e
viceversa, a livello internazionale avviene una cosa speculare cioè un settore aumenta il proprio prezzo relativo in un
paese e lo riduce nell’altro.
Figura 4.10: L’offerta relativa del paese domestico era maggiore dell’offerta mondiale, vuol dire che il paese
domestico offriva più stoffa rispetto al cibo di quanto non facesse l’economia mondiale. Cioè il paese H aveva più
offerta di stoffa in proporzione al cibo.
Figura 4.11. Osservo che Dc=-(Ps/Pc)Ds+(Ps/Pc)Qs+Qc, con Ds che è la x e il resto a dx è il termine noto. Invece
Qc=-(Ps/Pc)Qs+Dc+(Ps/Pc)*Ds, con tutto ciò che c’è a dx di Qs come termine noto. Osservo che non varia
l’inclinazione tra produzione e domanda. Ecco perché nel grafico troviamo, sia dal lato della domanda che
dell’offerta, la medesima inclinazione. Infatti sull’asse y mettono Dc e Qc.
Il punto 2 nel grafico lo immaginiamo come il punto in cui produciamo in autarchia, perché lì il prezzo della stoffa
rispetto al prezzo del cibo era uguale al costo opportunità. Non potevamo che consumare la quantità di stoffa e di cibo
volute dal punto 2, e anche domandare quelle quantità.
Dato che la fpp rappresenta ciò che possiamo produrre, in autarchia rappresenta anche tutto quello che possiamo
consumare.
Il punto 1 è quello in cui siamo in una condizione di apertura al commercio internazionale: Ps/Pc aumenta, allora mi
trovo in un punto più ripido della curva.
Noi possiamo collocarci con la nostra produzione in uno qualsiasi del punti del vincolo di bilancio: il grafico vuole
dirci che l’apertura al commercio internazionale consente di avere dei guadagni dagli scambi, che sono gli stessi
guardani che osservavamo nel modello ricardiano. Facendo perno sulla produzione, possiamo raggiungere
combinazioni di consumo che vanno oltre la fpp.
In ogni caso il commercio internazionale consente di avere dei guadagni dallo scambio aggregato. Qual è il problema
in un modello come quello osservato? Che questi guadagni possono essere non equamente non distribuiti socialmente.
Il problema è che quando c’è una torta da spartire, a scegliere come farlo deve essere la classe politica, ed è difficile
da concordare perché quelli che guadagnano dal commercio internazionale non sono disposti a dividere il loro
guadagno con quelli che invece ne risulterebbero danneggiati. Quindi, anche se tutti volendo potrebbero risultarne
avvantaggiati, la redistribuzione non sempre avviene.
Le migrazioni in Europa.
Secondo le Nazioni Unite nel 2010 gli immigrati nel mondo erano circa 14 mln (3,1% della popolazione mondiale).
Gli Stati Uniti erano la prima nazione (42,8 mln di immigrati), seguiti dalla Federazione Russa (12,3 mln) e dalla
Germania, con uno stock di immigrati in Europa di circa 60 milioni.
Prima del 1914 le migrazioni europee erano verso le Americhe e l’oceania. Dopo la Seconda Guerra Mondiale le
migrazioni avvengono dal Sud verso i paesi dell’Europa del Nord e dell’Ovest. Successivamente, anche i paesi del
Sud Europa iniziano a diventare destinazione di flussi migratori provenienti principalmente dall’Africa e dall’Asia.
Paesi piccoli con strutture finanziarie di rilievo attirano molti lavoratori transfrontalieri, ad esempio Lussemburgo e
Svizzera.
I tassi elevati in termini di % di immigrati li osserviamo in Francia, Belgio e Regno Unito.
Nel 2000 vediamo un ulteriore incremento di immigrati in Francia Belgio e Olanda, mentre il regno unito attraversa
una fase di stabilizzazione. Anche i paesi del nord europa iniziano ad attrarre grandi flussi migratori; e
successivamente il sud dell’Europa vede un forte incremento di immigrati soprattutto nordafricani e asiatici.
Con questo si conclude l’analisi del modello a fattori specifici, che va a rimuovere alcune delle ipotesi molto forti di
Ricardo, tra cui:
1. La presenza di un unico fattore produttivo
2. Il fatto che il lavoro abbia rendimenti fattoriali costanti
3. Il fatto che non ci siano implicazione sulla distribuzione del reddito
Abbiamo visto che quelli che sono effetti ovvi in termini di guadagni dal commercio internazionali, osserviamo effetti
controversi, in particolare mentre il fattore mobile ha un effetto ambiguo in termini di benessere, mentre gli altri fattori
hanno vantaggio o svantaggio a seconda di quale sia il fattore specifico del settore che compete con le esportazioni e
viceversa.
Esistono dei motivi che vengono addotti dalle politiche commerciali che possono dire di no all’apertura dei confini e
alla libera concorrenza, ovvero il rischio nel breve periodo di grossi aumenti di disoccupazione, per esempio.
In realtà, nel prossimo capitolo vedremo che il commercio internazionale può avere delle conseguenze e delle
implicazioni più di lungo periodo, che possono essere delle motivazioni per i fautori del protezionismo per evitare che
ci sia un libero scambio di beni tra paesi diversi.
Analizzeremo un modello che considera come ause del commercio internazionale le differenze di dotazione di risorse
tra Paesi, e non solo i diversi livelli di tecnologia, come visto da Ricardo.
Ci muoviamo partendo dall’ipotesi che i paesi abbiano gli stessi livelli di produttività del lavoro. Ipotizzeremo che
tutti i fattori produttivi saranno mobili tra settori, allora i problemi saranno più strutturali.
I vantaggi comparati sono dati dall’interazione tra le risorse disponibili tra paesi e le tecniche di produzione che ci
dicono qual è l’intensità relativa con cui i fattori sono utilizzati tra i veri settori (interazione tra abbondanza e
intensità).
Introduzione.
Sebbene il commercio sia in parte spiegato dalle differenze nella produttività del lavoro, esso dipende anche dalle
differenze nelle dotazioni di risorse fra paesi.
Il modello Heckscher-Ohlin, o teoria della proporzione dei fattori, afferma che differenze internazionali nelle
dotazioni di lavoro, qualifiche lavorative, capitale fisico e terra (fattori di produzione) creano differenze produttive che
spiegano perché esiste commercio.
I paesi hanno diversa abbondanza relativa dei fattori di produzione (quanto lavoro, quanta terra e quanto capitale è
presente in un paese rispetto all’altro) e i processi produttivi utilizzano fattori di produzione con intensità relative
diverse.
È detto modello 2x2x2, perché considera 2 Paesi H e F, 2 beni (stoffa e cibo), due fattori della produzione (lavoro e
capitale).
L’offerta di lavoro e di capitale in ciascun paese è costante e varia fra paese. Sia lavoro sia capitale possono muoversi
liberamente fra settori, implicando che andranno ad uguagliarsi i rendimenti del determinato fattore di produzione (la
remunerazione del capitale, ad esempio, deve essere uguale fra i settori).
Possibilità produttive
La frontiera delle possibilità produttive non è più una retta perché ho più di un fattore produttivo.
Prima la frontiera era concava, con una PML decrescente e un costo-opportunità che variava in base alla quantità di
stoffa o cibo prodotta. Qui considero invece il caso in cui abbiamo due fattori produttivi (K e L), ma la possibilità di
impiegarli in una combinazione fissa, cioè per produrre cibo e stoffa K e L devono essere sempre combinati nello
stesso modo. Indipendentemente dal fatto che stiamo producendo con un costo del lavoro e del capitale più o meno
alto, sappiamo che ad esempio dobbiamo associare a 3 unità di capitale 1 unità di lavoro e tale combinazione deve
rimanere fissa.
Esempio numerico:
K=3000
L=2000
Utilizziamo una combinazione fissa di capitale e lavoro in ogni settore:
Nel settore stoffa...
Aks=2, capitale impiegato per produrre un metro di stoffa. È il coefficiente di costo che misura quante ore
macchina sono necessarie per produrre un metro quadro di stoffa.
Als=2, ore di lavoro necessarie per produrre un metro di stoffa
Qs metri di stoffa richiedono 2Qs ore di K e 2Qs ore di L
Nel settore cibo...
Akc=3, capitale impiegato per produrre una caloria di cibo;
Alc=1 ore di lavoro necessarie per produrre una caloria di cibo;
Qc calorie di cibo richiedono 3Qc ore di K e Qc ore di L.
Le possibilità produttive sono influenzate dalle quantità sia di lavoro sia di capitale necessarie a produrre un’unità di
bene:
Vincolo legato all’ammontare di capitale disponibile, che sarà
akc*Qc+aks*Qs ≤ K
Dove il primo addendo costituisce il capitale necessario a produrre cibo, il secondo il capitale necessario a produrre la
stoffa. Inoltre, per quanto riguarda l’ammontare di lavoro:
Alc*Qc+als*Qs ≤ L
K L
Stoffa 2 2
Cibo 3 1
Con in tabella i coefficienti di costo per produrre cibo e stoffa, K=3000, L=2000.
Dobbiamo considerare i coefficienti del lavoro col vincolo sul lavoro (2000) e i coefficienti del capitale col vincolo sul
capitale (3000). Allora si avrà la relazione:
Per il capitale
2Qs+3Qc ≤ 3000
Per il lavoro:
2Qs+Qc ≤ 2000
Allora Qc sarà:
Qc ≤ (3000/3)-(2/3)Qs
Qc ≤ 1000-(2/3)Qs (vincolo del capitale)
E per il lavoro avrò il vincolo:
Qc ≤ 2000-2Qs (vincolo del lavoro)
Si tratta di due rette che avranno come coefficiente angolare del vincolo di capitale -2/3 e come coefficiente angolare
del vincolo del lavoro -2.
Al di là dei vincoli non si può produrre: non solo in quelle in cui non vengono rispettati entrambi i vincoli, ma anche
quelle in cui uno solo dei due vincoli non viene rispettato. L’area in cui posso produrre sono quelle a sx di entrambe le
curve, perché rispettano entrambi i vincoli. Tuttavia per avere il massimo della produzione non mi muovo dentro
l’area, ma lungo i vincoli più interni, e la fpp sarà data esattamente dai tratti dei vincoli che rappresentano tratti che
appartengono ai vincoli ma sono compatibili con entrambi di essi.
Questi vincoli assomigliano molto alla fpp in Ricardo, che andavano a catturare il costo-opportunità, col problema
adesso che il costo-opportunità non è più costante, perché in una parte del grafico il costo-opportunità del produrre
cibo rispetto a stoffa apparterrà al vincolo del capitale, l’altra parte apparterrà al vincolo del lavoro.
In particolare, il costo opportunità aumenta all’aumentare della quantità di stoffa prodotta, perché man mano che
produciamo più stoffa, il costo di produrre un’unità in più di stoffa diventa maggiore. Finché siamo nel tratto in cui
rispettiamo il vincolo per il capitale allora la derivata rimane costante, ma oltre il punto di non derivabilità il costo-
opportunità varia direttamente da 2/3 a 2.
Dunque l’economia deve produrre rispettando entrambi i vincoli, cioè deve avere abbastanza capitale e lavoro.
In assenza di sostituibilità tra fattori, la funzione delle prossibilità produttive è determinata dai due vincoli di
produzione.
La fpp ci dice che il nostro valore massimo di cibo prodotto sarà uguale a 1000, perché quando la quantità di stoffa
prodotta è zero, al massimo riusciamo a produrre una quantità di cibo pari a 1000, così come la quantità di stoffa
quando il cibo è zero.
Mettendo a sistema i due vincoli con l’uguaglianza, andremo a trovare un Qs*=750 e un Qc*=500, come punto in cui
entrambe le risorse sono sfruttate in termini di capitale e lavoro.
In tal caso Kc= 3*500=1500, Lc=1*500=500; Ks=1500, Ls=1500. K=1500+1500=3000; L=500+1500=2000.
L’unico punto che non sottoutilizza le risorse è il punto 3 del grafico, perché non sottoutilizza né il lavoro
singolarmente né il capitale singolarmente.
Il costo-opportunità di produrre un metro in più di stoffa, in termini di cibo, non è costante (può valere 2/3 oppure 2).
Questo accade perché quando l’economia utilizza molte risorse per la produzione di un bene, la produttività marginale
di quelle risorse tende a diminuire e quindi il costo-opportunità aumenta.
La fpp costruita non permette la sostituibilità tra fattori nella produzione; se potessimo farlo, invece di aver eun costo-
opportunità costante nei due tratti, avremmo una frontiera curva quindi concava in cui il costo-opp. Varia muovendoci
da un punto all’altro, e non in modo discreto come appena esaminato.
La fpp ci dice cosa l’economia può produrre, non ciò che deciderà di produrre. Per capirlo ci serve sapere quali sono
Pc e Ps.
Infatti, l’economia produce in corrispondenza del punto che massimizza il valore della produzione, V. Esso è dato da:
V=Pc*Qc+Ps*Qs
Dove Ps è il prezzo della stoffa e Pc il prezzo del cibo.
La relazione rappresenta un valore V dato, e per ogni V avremo una retta di isovalore.
L’inclinazione dell’isovalore è -(Ps/Pc).
In questa relazione:
Qc=(V/Pc)-(Ps/Pc)*Qs
Ci rendiamo conto del fatto che, se V aumenta o diminuisce, il termine noto della retta aumenta o diminuisce.
Le rette di isovalore saranno via via più alte man mano che V aumenta. Queste rette, poste sul grafico della fpp, quale
combinazione Qs,Qc è ottimale.
Figura 5.3 Prezzi e produzione. Dati i prezzi relativi, massimizziamo i valori di produzione (dobbiamo andare nella
retta di isovalore più alta). I punti più bassi non sono ottimali perché noi possiamo produrre di più, finché non
troviamo la tangente (punto Q). Il costo opportunità nel punto Q coinciderà col prezzo relativo della stoffa rispetto al
cibo Ps/Pc.
La fpp riflette la possibilità di scegliere la combinazione di fattori produttivi necessaria a produrre stoffa e cibo.
Abbiamo visto in passato un caso in cui vi era la possibilità di avere una combinazione fissa di lavoro e capitale: la fpp
era fatta in 2 tratti, non era una curva. Però anche in questa situazione (figura 5.1) la nostra frontiera non è lineare e il
costo-opportunità non è costante, come in Ricardo, ma cambia da un tratto discreto all’altro.
Il punto di ottimo quando ho una combinazione fissa di lavoro e capitale è comunque data dalle rette di isovalore (e
quindi dai prezzi relativi). I prezzi relativi saranno compresi tra -2 e -2/3, perché in caso contrario la retta di isovalore
sarà troppo piatta o troppo ripida, e ci sarà una completa specializzazione del paese in Qc (troppo piatta) o in Qs
(troppo ripida).
Se il prezzo relativo è = -2/3 o -2, ci troviamo in una condizione in cui, tipo se ho -2/3 posso produrre o tutto cibo, o
una qualunque combinazione presente sulla frontiera prima del punto 3: ci troviamo in una situazione di indifferenza.
Se i prezzi relativi sono =-2, allora potrò produrre tutta stoffa oppure qualunque combinazione presente sulla frontiera
dopo il punto 3.
Allora non è ovvio che andremo a produrre nel punto 3! Ciò accadrà solo quando
-2 < -(Ps/Pc) < -2/3
La scelta della combinazione che verrà prodotta non è ovvia nemmeno nel caso di combinazione fissa dei fattori
produttivi: anche qui dipende dai prezzi relativi.
Combinazioni possibili di fattori produttivi nella produzione di cibo (isoquanto), figura 5.4
Consideriamo che il grafico rappresenti l’isoquanto relativo a un’unità di cibo prodotta. Sugli assi abbiamo la quantità
di capitale che serve a produrre un’unità di cibo. Sulle ascisse abbiamo il lavoro necessario a produrre un’unità di
cibo.
La curva raffigura le combinazioni di input che producono una caloria di cibo, ad esempio potremmo avere akc=6,
alc=4. Prima avevano una combinazione fissa di capitale e lavoro per un’unità di bene: ‘isoquanto ci dice che esistono
infinite combinazioni di capitale e lavoro per produrre la stessa quantità di cibo.
L’idea dell’isoquanto è che, dato che possiamo scegliere quanto K e quanto L inserire, sceglieremo in base al costo di
K e di L. Isoquanto vuol dire che tutti i punti della curva producono la stessa quantità.
Dato che l’isoquanto è inclinato negativamente, nel sento che all’aumentare di K posso impiegare meno L e viceversa.
Ciò ci permette di scegliere la combinazione K,L ottimale per la quantità di beni che vogliamo produrre (ci sono
infiniti isoquanti, uno per ciascun livello di produzione).
Per scegliere la combinazione ottimale andiamo a vedere il prezzo dei fattori, e lo raffiguriamo attraverso la curva di
domanda relativa dei fattori nel settore cibo. La quantità domandata non è una domanda di lavoro, ma una domanda
relativa dei fattori, che considera sulle ascisse il rapporto lavoro/capitale L/K e prezzo relativo del lavoro legato al
salario/rendita, w/r. Se il salario è molto alto rispetto alla rendita, cercherò di usare meno lavoro e più capitale
possibile e viceversa. Posso rappresentare nello stesso grafico anche la curva relativa al settore stoffa, che sarà
anch’essa inclinata negativamente. Interessante è notare che per ogni livello di w/r la quantità L/K impiegata nel
settore stoffa sarà sempre maggiore della corrispondente nel settore cibo. Ciò accade perché SS è collocata a destra di
CC. In altre parole, la produzione di stoffa è intensiva in lavoro. Ciò vuol dire che (L/K)s>(L/K)c.
Immaginiamo la situazione in cui, dato w/r:
K L
Stoffa 5 3
Cibo 16 6
L’intensità fattoriale la calcoliamo come rapporto L/K, che sarà 3/5 per la stoffa, 3/8 per il cibo.
3/5>3/8, dunque (L/K)s > (L/K)c, il settore cibo usa più lavoro del settore stoffa. La conseguenza dell’intensità
fattoriale del lavoro più forte, è che necessariamente il settore cibo deve essere intensivo in capitale (Basta che
capovolgo i rapporti, che diventano rispettivamente 8/3 e 5/3).
Quando c’è possibilità di avere sostituibilità di fattori, quindi combinazione di K e L variabile, ho una serie di
soluzioni disponibili che dipendono da w/r. Se non c’è sostituibilità dei fattori (ho una combinazione fissa di K e L), le
curve di domanda relativa dei fattori le avremmo rappresentate come due rette verticali, per le quali la quantità di L/K
nel settore cibo era data indipendentemente dal valore di w/r.
Abbiamo dunque la relazione che ci dice che all’aumentare di w/r aumenta Ps/Pc, e il grafico di costo relativo w/r dei
fattori. Possiamo unire i 2 grafici ruotando il primo dei 2 di 90° verso sinistra, ottenendo il grafico della figura 5.7,
con w/r sulle ordinate. In corrispondenza di un prezzo (Ps/Pc)1 osserveremo (w/r)1, e un rapporto L/K (Lc/Kc)1 e
(Ls/Ks)2.
Se aumenta Ps/Pc, allora w/r a sua volta subisce un incremento, e sui mercati di cibo e stoffa andremo a ridurre la
quantità di lavoro impiegata in cibo e stoffa a favore della quantità di capitale, perché il salario rispetto alla rendita è
diventato relativamente alto. L/K sta scendendo in entrambi i settori. Ma anche in termini reali aumentano i salari reali
e diminuiscono i rendimenti reali.
Sappiamo che in un’economia concorrenziale sono pagati al loro prodotto marginale: W=P*PML, allora W/P=PML.
Avendo un altro fattore produttivo che è il capitale, tale relazione varrà anche per la remuneratività del capitale:
R=P*PMK, allora r/P=PMK.
Possiamo osservare che se facciamo il rapporto tra salario reale e rendimento reale troveremo che:
(W/P)/(r/P)=PML/PMK
Allora, semplificando osserviamo che PML/PMK aumenta.
Dato che in concorrenza perfetta l’effetto della riduzione della produttività marginale ha effetto sul salario reale,
possiamo dire che il salario reale aumenterà (W/P aumenta), sia che la rendita reale diminuità (r/P scende), e ciò
accade, come abbiamo visto, in entrambi i settori.
→ Quando i prezzi relativi aumentano, avviene una ricombinazione di lavoro e capitale tale per cui i lavoratori
vedono aumentare il loro reddito reale, i capitalisti vedono ridursi il loro reddito reale.
Qui non si tratta più di settori, perché non stiamo studiando il breve periodo in cui ci si può spostare da un settore
all’altro.
Nel momento in cui apriamo i paesi al commercio internazionale, variano i prezzi relativi. Il legame fra prezzi relativi
è distribuzione del reddito è importante perché comporta una certa desiderabilità per i fattori produttivi interessati.
Risorse e produzione: l’effetto offerta di risorse su allocazione e fattori di produzione
Ci concentriamo sul ruolo che svolgono le risorse. Il modello H-O mette in relazione l’intensità fattoriale con
l’abbondanza relativa dei fattori. Per ora abbiamo studiato la parte relativa all’intensità fattoriale, ma non abbiamo
parlato del ruolo che riveste la variazione fattoriale.
Hp: L aumenta (K cost, L/K aumenta).
La relazione tra prezzi relativi e intensità fattoriale ci dice che per un dato livello di prezzi relativi avremo una data
intensità fattoriale o rapporto L/K, che non cambia se Ps/Pc resta invariato. Dato che il rapporto L/K è maggiore nel
settore stoffa rispetto al settore cibo, l’economia allocherà una maggiore quantità di lavoro rispetto al capitale nel
settore S che è più intensivo in L.
Stiamo dicendo che dato un certo livello dei prezzi relativi, sappiamo che dovremo produrre cibo e stoffa con una data
intensità fattoriale. Immaginiamo di avere un ammontare di lavoro e capitale totali L=3000 e K=2000. Immaginiamo
che, a seguito di uno shock, avvenga qualcosa ad L e L’ diventi 4000.
Allora L/K aumenta perché abbiamo maggiore intensità di forza lavoro. Se i prezzi non variano, L’/K deve restare
costante in entrambi i settori.
Come si assorbe la maggiore quantità di L?
Dato che L/K è maggiore in S che in C, l’economia allocherà più L e più K (per produrre più stoffa devo
accompagnare la maggiore quota di lavoro a una maggiore quota di capitale, che vado a togliere al settore cibo) nel
settore S che è più intensivo in L. Trasferendo fattori da C a S, l’economia produrrà più S e meno C.
Osserviamo un aumento nella dotazione del lavoro, allora dobbiamo investire necessariamente nel settore intensivo in
quel fattore. Non potendo stravolgere i rapporti L/K, l’unica cosa che possiamo variare è la quantità di stoffa prodotta,
togliendo capitale al settore cibo.
Qui ci interessa vedere cosa va a produrre un paese che ha una certa dotazione di L rispetto a K rispetto ad altri paesi
con diverse dotazioni di L e K. Assumiamo che i prezzi relativi restino fissi perché sono i prezzi relativi mondiali che
convergono all’apertura al commercio internazionale.
Variazioni nelle risorse (l’offerta totale di un fattore) influenzano l’allocazione tra settori e di conseguenza le quantità
prodotte. Quando una frontiera si sposta in modo sbilanciato verso un bene piuttosto che verso un altro, si verifica una
espansione distorta delle possibilità produttive (TT 2)
Un’economia tenderà ad essere relativamene efficiente nella produzione di beni intensivi nei fattori di cui è
relativamente ben dotata (effetto Rybczynksi).
Figura 5.8. Mi concentro sulla fpp (ci dice quanto produciamo data la quantità di fattori che abbiamo a disposizione)
già disegnata prima, per cui avevano disegnato la retta di isovalore. La nuova frontiera TT2 rappresenta un’espansione
della fpp in corrispondenza dell’aumento del fattore Lavoro. La nostra frontiera si è traslata verso destra. Si può notare
come però questa translazione verso destra della frontiera non è simmetrica, bensì vi è uno spostamento maggiore
rispetto alle ascisse rispetto alle ordinate. L’espansione distorta è legata al fatto che ho sottratto fattori al settore cibo
per produrre più stoffa.
Se immagino un’espansione parallela (non distorta) della frontiera, è perché ho avuto un’espansione non distorta di K
e L. A parità di prezzi relativi, andremo a produrre un quantitativo di S/C che in termini relativi resta uguale: il
rapporto fra nuovo livello di stoffa e nuovo livello di cibo resta uguale, la nostra offerta relativa di stoffa/cibo resta
uguale.
Quando l’espansione della frontiera è distorta, a parità di prezzi relativi (inclinazione), intercettiamo la frontiera in un
punto in cui stiamo producendo più stoffa di cibo (non necessariamente ridurremo la quantità di cibo, ma
relativamente produrremo più stoffa rispetto a cibo. Ciò perché abbiamo avuto un incremento nel lavoro
proporzionalmente maggiore rispetto all’incremento del fattore K, per cui l’espansione della frontiera è tale da
favorire il settore intensivo nel settore che si è espanso.
Questo può essere non solo il confronto temporale di una stessa economia, bensì anche un confronto tra paesi in cui la
frontiera TT1 sarà quella del paese F e quella TT2 sarà quella del paese H. Vedremo che il paese H, con maggiore
dotazione di lavoro, produrrà più stoffa, il bene intensivo in lavoro, mentre F produrrà più cibo, il bene intensivo in
capitale.
Così possiamo attribuire al commercio internazionale la disuguaglianza salariale. Vediamo se nei dati osserviamo
l’aumento dei prezzi high tech rispetto ai prezzi dei beni low tech.
L’evidenza empirica sembra rigettare questa supposizione, quella dell’aumento di Ph/Pl. Nei paesi emergenti deve
essere avvenuto che Ph/Pl è sceso, dunque dovremmo osservare che wS/wU è sceso, invece è aumentato. La
disuguaglianza salariale è aumentata anche in quei paesi emergenti in cui in realtà la direzione di variazione dei prezzi
relativi dovrebbe essere opposta a seguito dell’apertura al commercio internazionale.
Emerge che per osservare un aumento della disuguaglianza salariale come quello che si osserva negli USA
bisognerebbe osservare un commercio internazionale tra USA e paesi emergenti molto molto più elevato di quello che
si osserva realmente. Dunque non è plausibile che la disuguaglianza salariale sia generata dal vatto che gli USA
commerciano con paesi in cui c’è molto lavoro unskilled.
Una spiegazione alternativa può discostarsi da quella legata al commercio internazionale.
L’ipotesi alternativa è riconosciuta nel progresso tecnologico skill-biased, un progresso tecnologico che è facilitato
dalla presenza di una forma di lavoro qualificata. La diffusione del progresso stesso dipende in modo cruciale dalla
presenza di lavoratori qualificati. Dunque, anche a parità di prezzo, i produttori saranno propensi a concedere un
salario più alto ai lavoratori skilled perché rendono più produttivo il processo e il progresso tecnologico. Osserveremo
una disuguaglianza salariale anche a parità del prezzo relativo del bene high tech rispetto al bene low tech.
Il fatto di avere un progresso tecnologico skill-biased transla la curva di domanda di lavoro: con una capacità diversa
della forza lavoro di filtrare il progresso tecnologico all’interno del processo produttivo, avremo uno spostamento
della domanda dei lavoratori qualificati sia nel settore H che nel settore L. La curva di domanda di lavoro si trasla a
favore del lavoro skilled e a seguito dell’incremento salariale entrambi i settori si troveranno ad adottare delle tecniche
più a favore del lavoro skilled, sia in H che in L la curva si trasla verso destra (quella di H si sposta di più di L ma
comunque si spostano entrambe).
Andremo a vedere come l’evidenza empirica come il modello di H-O trova conferma o viene smentito dai dati.
Il commercio mancante
Un punto che fece l’economista Ttrefler degli anni ‘90: il modello di H-O può essere usato per fare delle previsioni sul
volume di commercio di un paese sulla base delle differenze della dotazione fattoriale di quel paese rispetto al resto
del mondo. Se ha una dotazione fattoriale molto diversa, ci aspettiamo che scambi molti beni: in realtà emerge che il
commercio indiretto di fattori (commercio internazionale) è molto più limitato di quanto non sia previsto dal modello
di H-O.
Se gli USA rappresentano il 25% del reddito mondiale ma solo il 5% dei lavoratori mondiali, allora la nostra teoria
dovrebbe far sì che non solo gli USA dovrebbero importare beni ad alta intensità di lavoro, ma con flussi molto
abbondanti perché la dotazione relativa di lavoratori USA rispetto al resto del mondo non è così elevata come previsto
dalla teoria di dotazione tra fattori.
Allora Trefler mette in evidenza che un’hp forndamentale che determina il commercio mancante nel modello H-O è il
livello tecnologico. Il problema è che i lavoratori non possono essere confrontati così come sono nei vari paesi: se
ogni lavoratore usa vale il doppio degli altri in termini di produttività, allora dobbiamo tenere conto che il lavoratore
di per sé non è confrontabile con altri lavoratori, di conseguenza questo squilibrio nelle dotazioni fattoriali viene ad
attenuarsi.
Tabella 5.3. Efficienza tecnologica stimata
Viene preso un campione di paesi e viene normalizzata a 1 l’efficienza tecnologica Usa. La tabella ci dice che, ad
esempio, un lavoratore del Bangladesh ha efficienza di circa 3% di un lavoratore Usa.
Un lavoro del 2001 ha poi mostrato che se si rimuovono successivamente le hp più forti e poco realistiche del modello
H-O allora le hp del test del segno si allineano molto meglio con la predizione del modello e edanno risultati coerenti
coi dati.
Tabella 5.4 Vengono messe in linea le 3 ipotesi escluse dal modello e vengono misurati le previsioni corrette del
modello H-O e il commercio mancante.
Più ci avviciniamo ad 1 in entrambi i casi, più ci stiamo avvicinando alle ipotesi del modello.
Quando rimuoviamo tutte le 3 ipotesi, osserviamo che il test del segno dà risultati molto soddisfacenti (sembra quasi
che i paradosso di Leontief sia diventato un’anomalia) e il commercio mancante rappresenti circa il 70% di quello
previsto.
Quando rimuoviamo le 3 ipotesi molto restrittive possiamo osservare un riscontro molto positivo dei dati.
Struttura delle esportazioni tra paesi sviluppati e in via di sviluppo: analisi cross-country
Nel grafico confrontiamo 3 Paesi sviluppati e 3 PVS analizzando 4 gruppi di settori. Osserviamo che i PVS perlopiù
esportano beni con bassa intensità di lavoro qualificato, mentre i paesi sviluppati esportano perlopiù beni ad alta
intensità di lavoro qualificato.
Allora si porta avanti l’analisi anche a livello temporale: nel caso della Cina, prima la quota di esportazione negli Usa
era di lavoro poco qualificato, ma col passare del tempo e la crescita della Cina aumenta la percentuale di beni
esportati ad alta intensità di lavoro qualificato.
I modelli visti finora giustificavano il commercio internazionale sulla base dei vantaggi comparati.
In questa parte analizzeremo dei modelli che vanno a considerare l’altra motivazione che giustifica il commercio
internazionale: i rendimenti di scala, che rendono vantaggiosa la produzione in un paese di una gamma limitata di beni
e servizi.
Finora abbiamo considerato mercati perfettamente concorrenziali, in cui non vi erano interessi monopolistici. In
presenza di rendimenti crescenti possiamo essere in presenza di imprese in condizioni di monopolio, oligopolio o
anche tante imprese che però godono di potere di mercato (concorrenza monopolistica).
Anche nel caso in cui esistano economie di scala, non sempre siamo in presenza di concorrenza imperfetta, ma
possiamo anche essere in presenza di economie esterne.
Consideriamo tra le ragioni del commercio internazionale le economie di scala o rendimenti crescenti:
Economie di scala interne, in cui i rendimenti crescenti saranno relativi alle singole imprese, quindi avremo
situazioni non concorrenziali
Economie di scala esterne, in cui è il settore che ha necessità di concentrarsi in distretti industriali per ridurre i
costi di produzione
I modelli considerati erano caratterizzati da rendimenti di scala costanti o addirittura decrescenti (i rendimenti
fattoriali erano decrescenti, in particolare). In quel contesto però di sicuro non si parlava di rendimenti crescenti.
Per rendimenti di scala, osserviamo che la produzione è tanto più efficiente quanto più è grande la scala produttiva:
Quando raddoppiano gli input, la produzione più che raddoppia.
Possiamo dire che per produrre una certa quantità di output ci servirà una quantità media di lavoro inferiore, e quindi
costi medi inferiori. Se un output triplica, i fattori devono meno che triplicare.
Tabella 7.1 Mettiamo in relazione input (fattori produttivi) e produzione. Abbiamo in tabella input crescenti, ma i
rapporti tra input e produzione partono da 2 quando la produzione è bassa, mentre la quantità necessaria di input per
produzione si riduce all’aumentare delle unità produttive prodotte.
Quando aumentiamo la scala, avremo dei costi medi decrescenti.
Per capire perché ciò offre un incentivo al commercio internazionale, immaginiamo che esistano 2 paesi che
producono ciascuno 10 unità di bene (2° riga), quindi servono 15 ore lavoro. Da una prospettiva mondiale, avremo
bisogno di 30 ore di lavoro per produrre 20. Se tutta la produzione fosse concentrata in un unico paese quindi
verrebbero impiegate 30 ore di lavoro da un unico paese, che, osservando la tabella, produrrebbe 25 unità del bene (5
unità in più che senza commercio).
Allora, per poter espandere la produzione di alcuni beni, gli USA devono rinunciare alla produzione di altri beni, che
verrebbero dunque prodotti da UK.
Per espandere le economie di scala bisogna dunque ridurre la quantità di beni prodotta in un paese.
Primo fattore: Servizi e attrezzature specializzate possono essere necessarie alla produzione del settore, ma vengono
forniti dalle altre imprese solo se il settore è grande e concentrato.Quando abbiamo un gruppo localizzato di
imprese, questo può costituire un mercato abbastanza ampio per i fornitori specializzati, che decidono dunque di
localizzarsi lì. Per esempio, nella Silicon Valley in California c’è una grande concentrazione di imprese produttrici di
microchip, che sono rifornite da imprese che producono macchinari speciali necessari alla loro realizzazione. Questi
macchinari sono meno costosi e più facilmente reperibili per le imprese della Silicon Valley che per quelle di qualsiasi
altra regione. Così le imprese avanzate che vogliono entrare nella produzione di semiproduttori non deve produrre da
sé beni intermedi, che sono direttamente reperibili da altre imprese nalla Silicon Valley.
Secondo fattore. Concentrazione del mercato del lavoro che ha delle qualifiche necessarie allo sviluppo del bene
del distretto stesso o del servizio: tale concentrazione è vantaggiosa sia per produttori (che corrono meno rischi di non
avere manodopera sufficiente) che per lavoratori (che rischiano meno di essere disoccupati)
Terzo fattore. Spillover di conoscenza: è molto importante che la conoscenza possa essere attinta dal lavoratore
stesso. Ciò accade imparando dai concorrenti, facendo ricerca e sviluppo, facendo scambio informale di informazioni
e di idee che avviene a livello personale. Questo flusso di informazioni rende più facile restare sulla frontiera
tecnologica alle imprese della Silicon Valley rispetto a imprese che sono localizzate altrove.
Ciò fa sì che non sempre le produzioni saino localizzate nel settore “giusto”, cioè ottimale per tutti: spesso un paese
mantiene il vantaggio anche se un altro paese potrebbe produrre lo stesso bene in maniera più vantaggiosa per tutto il
mondo.
Ad esempio, assumiamo che la curva di costo del Vietnam sia al di sotto di quella della Cina perché, per esempio, i
salari vietnamiti sono inferiori a quelli cinesi.
Però, se la Cina ha stabilito un vantaggio iniziale ciò non avverrà.
Figura 7.4 La figura mostra il costo di produzione dei bottoni in funzione della quantità dei bottoni prodotti per Cina e
per Vietnam. Quella sopra è la curva di costo medio per la cina, quella sotto per il Vietnam. Quella del Vietnam è
sempre inferiore a quella della Cina, quindi il costo è inferiore a quello cinese. Viene poi rappresentata Dw (curva di
domanda mondiale): dato che esistono solo economie di scala esterne, abbiamo imprese in concorrenza perfetta,
quindi P=Cm (costo medio). Accade che potenzialmente il Vietnam potrebbe produrre i bottoni a prezzo inferiore e il
mondo lo vorrebbe: ciò non necessariamente accade perché se la Cina, per ragioni storiche, ha organizzato prima il
proprio settore, quella che vediamo per il Vietnam è la curva che il Vietnam potrebbe avere se entrasse nel mercato.
Ma se entrasse, non potrebbe subito vendere il bene al prezzo P2, ma inizialmente dovrebbe vendere al prezzo C0,
altrimenti andrebbe subito in perdita.
Ma P1<C0, allora nessuno comprerebbe i bottoni vietnamiti perché sono più cari: allora il Vietnam non riuscirebbe a
muoversi lungo la sua curva di offerta e mettere in difficoltà l’economia cinese.
Il vantaggio iniziale della Cina allora le consente di conquistare tutto il settore: allora gli eventi storici hanno un ruolo
molto importante nella determinazione di chi produce un determinato bene.
Si potrebbe pensare che le economie di scambia esterne portino guadagni aggiuntivi a quelli del vantaggio comparato:
la specializzazione in settori diversi consente di abbassare i costi medi e i paesi possono consumare più beni.
Allora dovremmo poter sommare i vantaggi esterni ai vantaggi comparati. In realtà, il commercio basato sulle
economie esterne potrebbe peggiorare il benessere di un paese (non necessariamente l’esistenza delle economie
esterne migliora il benessere di un paese).
Com’è possibile che un paese peggiori la propria condizione col commercio internazionale se esistono economie
esterne?
Esempio: mercato di orologi, la Svizzera produce orologi anche se la Tailandia possa produrre orologi a livello
mondiale.
Tuttavia, la Tailandia potrebbe produrre orologi a un prezzo più basso in assenza di un commercio internazionale. In
questo caso c’è un incentivo per la Tailandia a proteggere il settore degli orologi della concorrenza straniera.
Questo ragionamento può giustificare il protezionismo?
Abbiamo identificato le due curve di costo medio (Svizzera e Tailandia). La curva di domanda mondiale è a dx e
quella della Tailandia a dx. Se confrontiamo la curva di domanda della Tailandia con quello di equilibrio mondiale,
vediamo che la Svizzera produce a P1>P2 che i consumatori avrebbero pagato se avessero deciso di produrre
internamente orologi.
Allora la Tailandia avrebbe un motivo per attuare una politica protezionistica: i consumatori Tailandesi pagano un
prezzo maggiore a livello internazionale.
Quindi, non solo tutto il mondo starebbe meglio se il mercato fosse interamente concentrato nelle mani della
Tailandia, ma anche solo per soddisfare la propria domanda interna la Tailandia avrebbe vantaggio di produrre, pure
se in autarchia.
Si ha il caso in cui in effetti l’apertura al commercio internazionale produce svantaggi.
Per il mondo nel suo insieme è meglio che questo settore sia concentrato da qualche parte, preferibilmente nel paese in
cui i costi sono più bassi.
Le forme di mercato non concorrenziali generano incentivi alla specializzazione del commercio internazionale. I
rendimenti crescenti all’interno dell’impresa determina incentivi alla specializzazione e quindi al commercio
internazionale.
In presenza di economie di scala interne, le imprese grandi riescono a produrre a un costo medio inferiore di quelle
piccole: la struttura di mercato non è più concorrenziale. Le economie di scala interne portano a un regime non più
concorrenziale
Nella maggior parte dei settori i beni sono simili ma differenziati: le imprese più efficienti prosperano e si
ingrandiscono.
La presenza di economie di scala interna genera una fonte ulteriore (oltre al guadagno dallo scambio) di vantaggio tra
lo scambio internazionale: se la produzione si concentra nelle imprese più efficienti, migliora l’efficienza complessiva
nel settore.
Monopolio
Un monopolio puro si ha quando un’impresa non è in concorrenza con le altre; un oligopolio è un settore composto da
poche imprese.
Una caratteristica del monopolio e dell’oligopolio è che il ricavo marginale generato dalla vendita di un’unità
addizionale del bene è inferiore al prezzo del bene
In assenza di discriminazione di prezzo, il monopolista deve ridurre il prezzo di tutte le altre unità vendute fino a quel
punto e non solo dell’unità addizionale di bene venduta.
La curva del ricavo marginale si trova sotto la curva di domanda (che determina il prezzo delle unità vendute).
Dal fronte dei costi, se il costo marginale è costante e c’è un costo fisso, allora CM=C’, ma man mano che il costo
fisso viene spalmato su un numero crescente delle unità prodotte il costo medio decrescerà, riflettendo l’ipotesi delle
economie di scala.
Figura 8.1 Curva di domanda, ricavo marginale, costo marginale, costo medio.
Il monopolista sceglie un livello di produzione in cui R’=C’ (costo di produrre un’unità in più) per produrre. Per
sapere il prezzo a cui venderà Qm, andiamo sulla curva di domanda D. I profitti del monopolista sono dati dal
rettangolino verde.
Concorrenza monopolistica
Si ha concorrenza monopolistica quando il numero di imprese in equilibrio sul mercato è grande e nessuna di esse
raggiunge una quota di mercato significativa; tuttavia ogni impresa è price-maker e vende prodotti differenziati. Tale
differenziazione permette alle imprese di fissare il prezzo della propria varietà.
Immaginiamo che la curva D fronteggiata da un’impresa verrà traslata verso sinistra maggiore è il numero di
concorrenti (e ci saranno meno profitti per l’impresa stessa). Ogni impresa fissa il proprio prezzo sapendo che la
risposta di altre imprese, all’interno siamo in condizioni di gioco strategico all’interno di un oligopolio.
In concorrenza monopolistica un’impresa:
Venderà di più quanto maggiore è la domanda totale del settore (S) in cui opera e quanto maggiore è il prezzo
praticato dai suoi concorrenti (P*)
Venderà di meno quanto maggiore è il numero di imprese nel settore (n) e quanto maggiore è il prezzo da essa
stessa praticato (P)
Il costo medio dipende dalla dimensione del mercato e dal numero delle imprese presenti: più alto è il numero di
imprese nel settore, maggiore sarà il costo megio di ogni impresa; il costo medio dipenderà anche dalle vendite del
settore, maggiori sono le dimensioni del settore, minore sarà il costo medio.
Figura 8.3 Equilibrio in un mercato in concorrenza monopolistica Più alto è il valore sulle ascisse, minore è il valore
della curva PP (domanda), mentre aumenta il costo medio CC del settore.
L’incontro tra CC e PP ci dà esattamente il numero delle imprese, che continueranno ad aumentare fino al punto E,
dove i profitti sono nulli (prezzo=costo medio).
min(esportazioni ,importazioni)
I=
(esportazioni+ importazioni)/ 2❑
I=0 se exp=0 oppure imp=0, in generale 0≤ I ≤ 1. Se in un settore gli usa sono completamente esportatori o
completamente importatori, allora non ci sarà commercio intrasettoriale. Se imp=exp, al numeratore potrò mettere
solo imp o solo exp e a denominatore la stessa cosa, allora I=1. Infatti se i flussi di imp ed exp sono analoghi, ci sarà
molto commercio intrasettoriale.
Notiamo che vi sono settori (i più sofisticati, con macchinari molto avanzati) che hanno un commercio intrasettoriale
molto alto.
Le imprese nel commercio internazionale
La maggiore concorrenza tende a danneggiare più duramente le imprese con le performance peggiori, che sono
costrette a lasciare il mercato.
Le imprese con le migliori performance ottengono i vantaggi maggiori dalle nuove opportunità di vendita e si
espandono maggiormente. Quando le imprese con le migliori performance crescono e quelle con le peggiori
prestazioni si contraggono o escono dal mercato, la performance generale del settore migliora.
Queste variazioni nella composizione in termini dell’efficienza delle imprese generano una sorta di “miglioramento
tecnologico” a livello settoriale.
Se rimuoviamo l’impotesi di simmetria tra le imprese (non fronteggiano più la stessa curva di costo), cosa accade?
Figura 8.6 a). Equilibri di imprese con stessa curva di domanda ma diversa curva di costo. Quali previsioni derivano
da queste diverse imprese che fronteggiano condizioni differenti?
Sul grafico a sx c’è la curva di domanda inclinata negativamente tra prezzo e quantità prodotta e curva di ricavo
marcinale che sta al di sotto della curva del prezzo. Poi raffiguro impresa 1 con costo marginale MC1 e impresa 2 con
MC2. MC1 è relativamente più efficiente di MC2. Le imprese scelgono il loro livello di produzione nel punto in cui
CM=RM. Allora l’impresa 1 produrrà Q1 a un prezzo P1, l’impresa 2 produrrà Q2 a un prezzo P2.
Possiamo osservare che l’impresa 1 fisserà un prezzo che ha un markup sul costo marginale maggiore. Il markup è la
differenza tra prezzo e costo marginale P-MC. Allora il markup dell’impresa 1 è maggiore di quello dell’impresa 2
perché la curva di ricavo marginale è più ripida:
P1-MC1>P2-MC2
Profitti operativi:
Profitti operativi= ricavi-costi variabili
= P1*Q1-(MC1*Q1) = (P1-MC1)*Q1,
Cioè i profitti operativi dell’impresa 1 sono dati da Markup dell’impresa - quantità prodotta dall’impresa
Ciò ci interessa perché:
I profitti operativi sono legati all’efficienza delle imprese, in particolare osserviamo che:
L’impresa più efficiente (costo marginale più basso) fissa un prezzo più basso, ma con un markup maggiore
sul costo più alto
L’impresa più efficiente produce di più
I profitti operativi dell’impresa più efficiente saranno maggiori a causa delle due condizioni precedenti. In
particolare, questi saranno una funzione decrescente del costo marginale (cioè sono legati negativamente ad
esso).
PrOp1>PrOp2, e li andiamo a leggere nel grafico di costo marginale (figura a destra).
B) Esiste un limite, C*, che è il punto in cui la curva di domanda incontra l’asse delle ordinate (intercetta), perché
quando arrivo a C* avrò profitti nulli (prezzo che coincide esattamente con C*). Tutte le imprese con costi maggiori di
C* sono fuori dal mercato.
Dopo aver dimostrato come diverse imprese hanno profitti operativi diversi, cerchiamo di capire come l’apertura al
commercio internazionale cambia i profitti delle imprese e il loro comportamento.
Figura 8.7 Come cambia la curva di domanda all’apertura del commercio internazionale
D è la curva di domanda iniziale, quando apro al commercio internazionale aumentano la dimensione del settore e il
numero di imprese concorrenti. Allora n sale sia in H che in F.
Allora il primo effetto che vediamo è una riduzione dell’intercetta, perché a causa dell’aumento del numero delle
imprese n in corrispondenza di un certo prezzo avremo una quantità inferiore che riusciremo a vendere (a parità di
dimensione del settore S).
Dopodiché introduco l’aumento della dimensione del settore (seconda conseguenza dell’apertura al commercio
internazionale), che in base al modello ridurrà l’inclinazione della curva di domanda: se aumenta la dimensione del
settore, la curva di domanda ha avuto un effetto di rotazione verso l’esterno; a parità di prezzo ho la possibilità di
vendere una maggiore quantità.
Osservando il movimento da D a D’ osserviamo una sorta di rotazione della curva di domanda ha come conseguenza
un’innalzamento della parte destra e un abbassamento della parte sinistra. Se immaginiamo il punto in cui D e D’ si
incrociano, osserviamo che i punti a sx di esso sono quelli che corrispondono alle imprese che producevano
relativamente poco, quelli a sx corrispondono alle imprese che producevano relativamente di più. Osserva che
l’impresa che ha il costo marginale più basso è quella che produce di più col prezzo più basso (si trova relativamente
in basso a dx sulla curva di domanda).
Allora succede che le imprese poco efficienti (a sx sulla curva di domanda D, prima dell’incrocio) stanno peggio di
prima, perché è come se la loro domanda fosse diminuita, a parità di prezzo vendono una minore quantità; e viceversa
succede alle imprese più efficienti.
Alle imprese meno efficienti è successo che a parità di prezzo si trovano a produrre meno che in D, mentre se
consideriamo ciò che succede a parità di quantità, il prezzo è sceso.
Ma i profitti operativi sono dati da:
(P-MC)*Q
Allora sono scesi, mentre nel caso dell’altra impresa saranno aumentati.
La nuova funzione di profitti operativi ci dice che le imprese vincenti migliorano la loro posizione sul mercato; quelle
con un costo marginale alto risultano perdenti perché o hanno profitti operativi minori di prima o addirittura escono
dal mercato perché adesso abbiamo una nuova soglia di costo marginale C*’ che è diversa dalla precedente C*.
Questo grado ci rappresenta alla fine che le imprese migliori diventano ancora più grandi, le imprese mediocri
diventano ancora meno efficienti e stanno ancora sul mercato solo finché il loro costo marginale permette loro di
rimanere sul mercato.
Infatti nei dati empirici osserviamo che negli USA in un tipico settore manifatturiero un’impresa esportatrice è in
media grande più del doppio rispetto ad un’impresa che npn esporta. L’impresa esportatrice media produce l’11% in
più di valore aggiunto (valore della produzione - valore input intermedi) per lavoratore dell’impresa media non
esportatrice.
Queste differenze tra esportatori e non esportatori sono addirittura superiori in molti paesi europei.
Dumping
Il dumping consiste nel praticare un prezzo più basso (al netto dei costi del commercio) per le esportazioni che per i
beni venduti a livello domestico. Da molti paesi (USA, UE, altre nazioni) è commerciata una pratica commerciale
sleale e ci sono delle autorità che sanzionano tale comportamento a livello nazionale. Si può ricorrere alle autorità
preposte (per esempio negli USA al Dipartimento del Commercio e alla Commissione per il Commercio
Internazionale). Se è il caso, le autorità possono imporre un dazio anti-dumping che compenserebbe la differenza di
prezzo dell’impresa (pari alla differenza tra prezzo giusto e prezzo effettivamente praticato dall’impresa estera).
È difficile tuttavia identificare il prezzo equo a cui applicare il dazio, in particolare vertenze di questo tipo sono salite
molto a causa della concorrenza cinese. Spesso la Cina è considerata come economia non di mercato, cioè distorta da
sussidi pubblici, controllo pubblico di mercati ecc., e non vanno a vedere il prezzo in cui viene venduto quel bene in
Cina, ma viene guardato il prezzo dello stesso bene i dati di PVS con economie di mercato per praticare il dazio anti-
dumping. Però così si trovano dazi anti dumping molto elevati, perché ad esempio in India il prezzo di un televisore è
molto elevato perché l’India è poco competitiva sul mercato di televisori.
Per questa ragione questa politica è molto criticata, perché spesso rappresenta una barriera molto forte
all’importazione di beni da paesi come la Cina, è considerata una pratica protezionistica camuffata.
Imprese multinazionali e outsourcing
Gli investimenti diretti all’estero (IDE) rappresentano quegli investimenti in cui un’impresa di un paese controlla
direttamente o possiede una sussidiaria (quota di controllo di un’impresa) in un altro paese. Un’impresa è considerata
una multinazionale se possiede più del 10% di un’impresa estera. L’idea è che il 10% del capitale sia un pacchetto
azionario sufficiente per avere un controllo effettivo.
Gli IDE possono essere:
Greenfield, quando un’impresa costruisce un nuovo stabilimento produttivo all’estero
Brownfield (fusioni, acquisizioni internazionali) quando un’impresa acquista una quota di controllo in un’impresa
straniera già esistente
Gli IDE greenfield sono generalmente più stabili, mentre le fusioni-acquisizioni internazionali cono caratterizzate da
ampie fluttuazioni.
Storicamente i maggiori destinatari di questi investimenti diretti sono stati i paesi più avanzati dell’OCSE. Questi
flussi sono molto più volatili (oscillano molto di più) di quelli rivolti a PVS e alle economie in transizione, che
prendono tipicamente la forma degli investimenti greenfield.
Tuttavia c’è stata una crescita nella quota di IDE verso i PVS e i paesi in transizione. In particolare, nel 2009 questi
flussi rappresentavano più della metà dei flussi di IDE mondiali ed erano aumentati di 20 volte, in particolare verso i
BRICS.
Figura 8.9. Flussi in entrata di investimenti diretti esteri dal 1970 al 2002. Le oscillazioni sono molto molto ampie
nei paesi OECD; alla fine del periodo la metà degli investimenti è effettivamente destinata a paesi non OCED.
Figura 8.10 Investimenti diretti esteri in uscita per i primi 25 paesi, media annuale 2009-2011. Rappresenta i paesi
che investono direttamente, e si vede che ciò dipende in gran parte dalla ricchezza del paese (I primi sono USA,
Franciam Giappone, Hong Kong). Alcuni di essi (come isole vergini britanniche e Hong Kong) in realtà sono paradisi
fiscali per cui molte risorse transitano in quei paesi, anche se in realtà dietro ce ne sono altri.
Per questi investimenti diretti quindi abbiamo una società controllante che è la casa madre, e le controllate che sono le
<<filiali>> multinazionali. Gli investimenti nelle sussidiarie possono essere di due tipi:
1. IDE orizzontali in cui la filiale replica in altre parti del mondo il processo che la casa madre realizza in patria.
Sono più diffusi tra i paesi avanzati;
2. IDE verticali in cui la catena di produzione viene frammentata e parte dei processi produttivi viene trasferita
presso le filiali. È la principale fonte di IDE in ingresso nelle economie emergenti. Spesso le economie avanzati
hanno interesse a demandare parte della produzione intermedia in paesi in cui la forza lavoro costa molto meno.
Ma l’aspetto più interessante è legato ai benefici che il dazio reca ai paesi che lo introducono.
Ricordiamo che il surplus o la rendita del consumatori indica quanto un consumatore è disposto a pagare per un’unità
di bene e quanto paga effettivamente. Cioè differenza Pmax-P*.
Il dazio determina delle variazioni nel surplus del produttore e del consumatore: grafico foglio.
Rendita del produttore: in libero scambio vale (10*1)/2=5, con dazio vale (20*2)/2=20. La rendita del produttore è
cambiata di 15 dopo il dazio.
La rendita del consumatore invece si riduce: prima del dazio vale 122,5, dopo vale 62,5, la differenza vale 60.
La perdita del consumatore è data dal guadagno del produttore + gettito fiscale + perdita netta dovuta alla distorsione.
Si registra una perdita dunque pari all’area b generata dalla distorsione produttiva, per cui i produttori del paese H
stanno producendo più bene x (cibo) rispetto ad un altro bene y (stoffa), perché il prezzo è stato gonfiato dalla
presenza del dazio.
Ho una distorsione del bene cibo a danno della riduzione della produzione di stoffa.
La perdita d è invece data da una riduzione del consumo: i consumi H consumano meno x e più y rispetto a una
condizione di libero scambio. Le distorsioni sono dati dall’effetto del dazio su produzione e consumo.
Possiamo dire che di per sé il dazio ha un effetto redistributivo dai consumatori ai produttori. Inoltre si passa dal
fattore abbondante al fattore scarso. Il paese H era il paese che aveva un’abbondanza relativa di lavoro ed esportava
stoffa mentre importava cibo. Inoltre la stoffa è il bene intensivo in lavoro, il cibo il bene intensivo in capitale. Nel
momento in cui imponiamo il dazio, esso è imposto sulle importazioni, quindi tecnicamente lo impongo sulle
importaziondi di cibo.
Allora accade che vi è un aumento del prezzo del bene importato (quindi cibo): ciò è molto rilevante in termini
redistributivi, perché quando aumenta il prezzo del cibo aumenta la remunerazione del fattore utilizzato
intensivamente nel cibo, cioè il capitale perché il cibo è il bene intensivo in capitale. Quindi secondo H-O aumenta la
remunerazione del fattore capitale. Dato che il paese H ha un’abbondanza relativa di lavoro, poiché esporta stoffa, L è
il fattore che guadagna dal commercio internazionale, mentre K perde dal commercio internazionale perché è il fattore
scarso. Questo effetto distributivo è detto effetto Stolper-Samuelson del dazio, che compensa il teorema di Stolper-
Samuelson, per cui i proprietari dei fattori abbondanti traggono un beneficio dall’apertura del commercio
internazionali.
L’aumento del prezzo relativo di un bene aumenta il rendimento del fattore usato in modo intensivo nella produzione
del bene. Un dazio all’importazione, aumentando il prezzo relativo del neme importato, aumenta la remunerazione del
fattore produttivo scarso.
Il reddito nazionale si riduce con il dazio, perché la perdita che subisce il fattore lavoro è maggiore del guadagno
ricavato dal fattore capitale.
Ma non esiste solo un effetto di remunerazione del fattore scarso, ma anche un effetto in termini occupazionali, perché
l’introduzione dei dazi consente di proteggere l’occupazione nel settore scarso, che vede aumentare l’occupazione.
Tabella 8.3 Effetti economici dei dazi sulle importazioni di alcuni prodotti specifici negli USA.
Vediamo come per le piastrelle in ceramica la perdita netta è pari a 139-92-95=2 milioni di dollari legati ai dazi.
L’aver aumentato la produzione nel settore ha determinato anche una salvaguardia dei posti di lavoro nel settore. Quei
2 milioni sono serviti a preservare posti di lavoro. Se dividiamo la perdita netta per il numero di posti di lavoro
presentati, otteniamo quanto è stato costoso per i consumatori ciascuno dei posti di lavoro preservati: 401000 dollari
per il settore ceramiche.
Il tasso effettivo di protezione (g) misura l’aumento percentuale nel valore aggiunto per unità di bene a seguito
dell’applicazione dei dazi.
g=(Vt-Vw)/Vw
Con Vw= valore aggiunto in libero scambio
Vt=valore aggiunto con dazi, pari a Pa(1+ta)-Pc(1+tc)
Pa= prezzo del bene finale
Pc= prezzo dell’input intermedio
Ta=dazio sul bene finale importato; tc=dazio sull’input intermedio importato
g=ta+Pc(ta-tc)/(Pa-Pc)
Esempio slide: 80$ è il prezzo della lana, 100$ è il prezzo dell’abito in libero scambio, il dazio sull’abito è del 10%. Il
prezzo dell’abito per i consumatori è di 110$. Otteniamo un’aliquota effettiva g=50%. Ciò perché il valore aggiunto
interno è di 20$ e il dazio vale 10$, molto elevato rispetto al contributo della produzione del settore: è pari al 50% del
valore dell’abito prodotto all’interno del paese. In questo caso non abbiamo alcun dazio imposto sull’input. In
generale osserviamo che:
Se il dazio sull’input è minore del dazio sul bene finale, il tasso effettivo di protezione è maggiore dell’aliquota
nominale.
Se l’aliquota nominale sull’input è del 5% e sul bene finale è del 10%. Allora g=30%, perché il settore paga di più
l’input in entrata, allora il grado di protezione del settore è sceso.
Se l’aliquota sul bene intermedio è maggiore rispetto al dazio imposto sull’abito, il settore ha una protezione negativa:
stava meglio quando non era imposto alcun dazio.
In generale, possiamo dire che il dazio sugli input importati è una tassa per i produttori nazionali e riduce l’effetto
positivo del dazio nominale sui beni finali. Se g è negativo, anche con ta positivo, i produttori producono meno
rispetto a una condizione di libero scambio.
Capiamo così perché i dazi hanno una struttura “a cascata” (tariff escalation): affinché si garantisca una protezione
del settore maggiore dell’aliquota nominale deve succedere che il paese imponga un dazio sul bene intermedio minore
del dazio sul bene finale. I dazi su beni intermedi devono essere minori del dazio sui beni che hanno un livello di
lavorazione maggiore.
Tabella 9.2 Dazi a cascata o <<tariff escalation>> Se guardiamo come sono articolati i dazi, possiamo osservare che
essi vanno a salire. Man mano che andiamo verso il prodotto finito, il dazio sale.
Effetti di un dazio
Pertanto, il dazio specifico fa aumentare il prezzo del bene nel paese domestico e fa diminuire il prezzo del bene nel
paese estero fino a che la differenza fra i due mercati è uguale al dazio stesso.
Pt-P*t= t
Pt=P*t+t
Il prezzo del bene sul mercato estero (mondiale) deve diminuire, se si verifica una riduzione significativa della
domanda del bene (paese grande) a causa del dazio imposto dal paese estero.
Nel caso di paese piccolo, l’introduzione del dazio si rifletteva su un aumento del prezzo interno. Il paese piccolo è
price-taker, dunque il prezzo aumentava del valore del dazio. Nell’equilibrio finale del paese grande H non è price-
taker, il prezzo aumenta ma non dell’ammontare del dazio: se l’ammontare del dazio è 2, il prezzo sale in H di 1 e
scende in F di 1. Il prezzo mondiale è indotto a scendere perché siamo grandi e influenziamo quantità e prezzo di
equilibrio sui mercati mondiali.
Inoltre, poiché il prezzo sul mercato domestico aumenda da Pw a Pt:
I produttori domestici saranno incentivati a produrre di più, mentre i consumatori saranno incentivati a consumare
meno
La quantità di importazioni si riduce da Qw a Qt
Poiché il prezzo sul mercato estero diminuisce, ci sarà meno grano da esportare.
Sussidi all’esportazione
Anche i sussidi all’esportazione possono essere specifici o ad valorem.
Un sussidio specifico è un pagamento su ogni unità esportata.
Un sussidio ad valorem è un pagamento in proporzione al valore del bene esportato.
Il sussidio all’esportazione aumenta il prezzo del bene nel paese esportatore, facendo ridurre il surplus del
consumatore (peggiorando la condizione dei consumatori) e facendo aumentare il surplus del produttore.
Inoltre, il sussidio implica un esborso da parte del governo.
Figura 9.11 Ora siamo un paese esportatore di un bene. Con il dazio ci collocavamo a un prezzo autarchico era
superiore al prezzo mondiale, per cui il paese importatore decideva di acquistare dall’estero. In questo caso, noi siamo
in grado di soddisfare anche la domanda mondiale perché il nostro prezzo è vantaggioso.
Se introduciamo un sussidio pari ad S i produttori, al Prezzo Pw saranno incentivati a vendere tutti i beni all’estero,
perché se riescono a venderli all’estero Pw incasseranno Pw+S, con S che è un trasferimento che va nelle tasche di chi
esporta, mentre ovviamente se vendessero internamente percepirebbero solo Pw.
Allora accade quello che accadeva all’introduzione del dazio ma al contrario. Si crea una situazione di eccesso di
offerta del bene all’estero al prezzo P=Pw. Ciò perché il prezzo all’estero P*s si riduce. In H siamo nella condizione
opporta, perché c’è un eccesso di domanda e nessuno vuole vendere. Allora il Ps aumenta.
Abbiamo una pressione verso l’alto del prezzo in H, una pressione verso il basso del prezzo in F.
A fronte di una diminuzione di benessere dei consumatori domestici, siamo in una situazione in cui la nostra politica
non sta migliorando la nostra condizione rispetto al resto del mondo.
Il meccanismo di aggiustamento tra prezzo estero e prezzo domestico si arresterà quando Ps=P*s+S, cioè il sussidio
non ricade completamente come aumento di prezzo al consumatore domestico, ma viene ripartito in termini di
riduzione del bene venduto all’estero.
Osserviamo dal grafico che il saldo tra perdita del consumatore e il guadagno del produttore vede un incremento di
benessere legato ad dazio. Tuttavia, mentre il dazio determina introiti nelle casse del governo; il sussidio rappresenta
soldi che escono dalle casse del governo. Costo sussidio: S*EXP (valore sussidio*quantità esportata).
La perdita netta è data da (b+d)+(e+f+g). b è la distorsione di consumo, d è la distorsione della produzione; e+f+g
rappresenta il peggioramento nelle ragioni di scambio. Siccome:
Ragioni di scambio= Pexp/Pimp
Se il prezzo del bene esportato è abbassato dall’introduzione del sussidio, perché essendo un paese grande ho
introdotto un sussidio che ha aumentato l’offerta del bene all’estero, portando il prezzo a ridursi, riducendo la nostra
competitività sul mercato.
Abbbiamo un peggioramento delle nostre condizioni nei confronti del resto del mondo in termini di ragioni di
scambio.
Ovviamente stiamo considerando finora un paese grande, che influisce sul prezzo estero.
Se fossimo un paese piccolo, il sussidio si rifletterebbe completamente sul prezzo domestico, mentre il prezzo estero
non verrà abbassato e rimarrà Pw: è una cosa positiva, perché non avremmo il peggioramento nelle ragioni di
scambio.
Comunque il costo del sussidio prevarrebbe sui guadagni, e sarebbe pari questa volta a b+d.
Tabella 9.3 Guardando all’evoluzione del grado di protezionismo complessivo, osserviamo che la protezione
complessiva si suddivide tra dazi e altre protezioni (barriere non tariffarie), vediamo che col passare del tempo di dazi
vanno via via diminuendo, mentre l’altra colonna diventa sempre maggiore.
Caso studio: i guadagni del ‘92. Nel ‘92 nella Comunità europea vi era già l’unione doganale, non vi erano dazi né
restrizioni al commercio. Tuttavia, i sostenitori delle misure sostenevano che vi erano barriere ancora restrittive al
commercio: i camion dovevano fermarsi con lunghe attese per espletare le formalità legali. Inoltre la
regolamentazione limitava l’integrazione dei mercati. Eliminare queste ulteriori barriere è stato un processo molto
difficile di armonizzazione in centinaia di aree, con negoziati molto difficili.
Esempi significativi sono legati al cibo: molti paesi hanno regolamentazione molto rigida per quanto riguarda la
colorazione artificiale, che creerebbe problemi alla salute dei consumatori. Nel Regno Unito la questione fu molto
complessa perché la perdita di colore portava anche un po’ la perdita dell’identità nazionale, in Germania si sarebbe
dovuto acquistare birra non secondi gli standard nazionali, ecc.
I vantaggi si sarebbero derivati dal fatto che un’eliminazione delle barriere avrebbe portato una scala di produzione
più efficiente. Alcuni studi erano più scettici di altri in merito ai guadagni delle imprese da quest’integrazione.
In realtà alcuni beni che venivano prodotti a livello nazionale sono trasmigrati verso altri paesi senza grossi problemi,
tuttavia vi era più segmentazione nei consumatori per i beni importati.
I guadagni registrati alla fine sono risultati pari a un aumento dell’1,8% del Pil, un guadagno considerevole anche se
inferiore alle aspettative.
Ma le scelte di politica economica sono dettate solo dall’interesse per il benessere nazionale?
È giusto considerare il benessere nazionale, ma esistono anche modelli in cui l’obiettivo da massimizzare è il successo
politico di chi mette in campo questi elementi, e sono:
i. Il modello dell’elettore mediano
ii. L’azione collettiva
iii. Modelli della politica commerciale che combinano i 2 elementi
Ma secondo questo modello la politica dovrebbe essere scelta in base al numero di elettori che soddisfa: abbiamo però
visto che spesso e volentieri vengono introdotti dazi che infliggono perdite a tutti i consumatori e guadagni a pochi
produttori (come il dazio sullo zucchero USA).
Altro esempio USA è quello del settore caseario, che presenta un complesso settore di dazi e contingentamenti a danni
di tutte le famiglie degli stati uniti. Allora quale può essere una spiegazione alternativa al modello visto?
L’azione collettiva
L’attività politica di un gruppo rappresenta un bene pubblico: i benefici di tale attività politica vanno a tutti. È il
problema dell’azione collettiva di Ohlson.
Se un consumatore scrivesse una lettera al congresso chiedendo un abbassamento del dazio dei prodotti caseari, tutti i
consumatori che acquistano i prodotti vi guadagnano.
Però, per 3$ in meno un consumatore potrebbe non essere sufficientemente motivato a fare pressione al proprio
rappresentante al congresso da solo, perché i benefici che riceverebbe non sarebbero sufficientemente elevati da
coprire i costi (monetari e di tempo) che dovrebbe sopportare.
Allora, pur essendo negli interessi del gruppo, nessun individuo ha interesse a farlo.
Quando il gruppo è piccolo e gli incentivi sono elevati (come i produttori nel settore caseario), è più facile far
pressione (con una lobby) nel settore.
Le politiche che impongono perdite elevate per la società nel suo complesso, ma perdite limitate per i singoli
individui, potrebbero dunque non fronteggiare forte opposizione.
Lavoro di Baldwin e Majin, 2 voti cruciali negli USA. La legge degli USA fa sì che si conosca l’ammontare dei
contributi ricevuti per la campagna elettorale e i voti ricevuti al congresso. Voto del 1993 sul NAFTA e quello del
1994 per l’accordo finale GATT.
Gli imprenditori erano a favore della liberalizzazione, mentre i lavoratori erano contrari. La posizione del libero
scambio favorita dagli imprenditori fu in entrambi i casi soddisfatta.
Gli autori trovano che c’è stato un forte impatto dei contributi monetari sui voti. Per valutarne l’impatto, gli autori
hanno fatto previsioni, e visto in quali condizioni NAFTA E GATT sarebbero passati.
L’esempio sottolinea che le teorie della politica commerciale che enfatizzano l’importanza di gruppi di interesse e di
pressione sulle scelte politiche sono fondate.
La liberalizzazione commerciale successiva alla IIGM è stata ottenuta tramite negoziati internazionali. Vi è un ruolo
importante degli esportatori nazionali, che sono interessati alla riduzione dei vincoli alle importazioni per poter avere
libero accesso alle esportazioni (è lo stesso interesse dei consumatori, ma con un gruppo meglio organizzato). Allora
fungono da contrappeso agli importatori, vogliono vedere ridotti i contingentamenti.
I negoziati multilaterali evitano l’insorgere le guerre commerciali, nelle quali ciascun paese mette in atto restrizioni
agli scambi (tensioni molto alte oggi tra USA e Cina e USA e UE).
Illustriamo un esempio basato sul dilemma del prigioniero:
Tabella 10.4 Ho usa e giappone che possono sceglier o libero scambio o protezionismo. I payoff sono stati scelti in
base al fatto che un paese sceglie protezionismo in base alla scelta dell’altro paese. Se l’altro paese sceglie libero
scambio, osserviamo che per il Giappone è sempre ottimale scegliere protezionismo (payoff di 20 contro 10). Se USA
sceglie protezionismo, il Giappone sceglierà di nuovo protezionismo.
Se il Giappone sceglie libero scambio, gli USA scelgono protezionismo; se Giappone sceglie protezionismo gli USA
scelgono comunque protezionismo.
Allora, data la scelta dell’altro paese, il protezionismo è sempre comunque meglio del libero scambio.
L’equilibrio di Nash andrebbe allora a finire in una situazione in cui entrambi scelgono protezionismo; scegliendo in
maniera concordata libero scambio raggiungerebbero il miglior risultato possibile, in cui entrambi i paesi traggono
vantaggi dallo scambio e migliorano il loro benessere.
Il Doha Round
Nel 2001 inizia il nono round con risultati meno importanti: la maggior parte delle forme di protezione ancora esistenti
sono legate ai settori di agricoltura e abbigliamento, che hanno gruppi di pressione molto forti. Nonostante
l’agricoltura rappresenti circa il 10% del commercio totale, gran parte dei guadagni potenziali dall’incremento della
libertà del commercio proviene dalla riduzione dei dazi e dai sussidi all’esportazione nell’agricoltura.
Tabella 10.5 Distribuzione percentuale dei guadagni potenziali dal libero scambio. A fronte del 10% di commercio
internazionale rappresentato da flussi di beni agricoli e alimentari, gran parte dei benefici del libero scambio verrebbe
proprio dal settore agricolo. Gran parte dei vantaggi li avrebbero i PVS.
Tabella 10.6 Scenario ambizioso: forte liberalizzazione; meno ambizioso: settori più sensibili risparmiati alla
liberalizzazione.
Vediamo che per i paesi ad alto reddito i guadagni dal mettere in campo un’operazione di tagli nei dazi nei settori
profondamente organizzati sono contenuti; per i paesi a basso reddito ancora meno.
Cerchiamo di capire perché paesi a medio-basso reddito e Cina potevano essere danneggiati o poco aiutati dai
negoziati di Doha.
I paesi ricchi continuavano a mettere in pratica sussidi elevati all’esportazione e alla produzione di beni, ad esempio il
sussidio al cotone degli USA che deprimeva i prezzi mondiali del cotone, danneggiando i coltivatori dell’africa
occidentale.
Dall’altro lato, i consumatori possono acquistare il bene a prezzi più economici: ecco perché dal punto di vista dei
consumatori dei pvs era una politica vantaggiosa. Il successo del Doha Round avrebbe danneggiato la Cina che
esporta cibo e prodotti agricoli, abbattendo i dazi. In generale i cittadini del terzo mondo ricevono benefici dai prezzi
bassi nelle esportazioni di cibo, però ciò danneggia gli agricoltori dei paesi sviluppati.
In molti casi, per molti paesi africani, se il Doha round avesse rimosso i sussidi ai prodotti agricoli avrebbe prodotto
un effetto negativo sui consumatori rispetto al guadagno dei produttori.
A seguito di altri negoziati del Doha round si è raggiunto un accordo per garantire cibo e agevolazioni commerciali
per i paesi meno sviluppati (Bail Package e Nairobi Package)
Accordi commerciali preferenziali
Riduzione di dazi reciproci tra gruppi di paesi, ma non verso il resto del mondo. Nel sistema WTO queste pratiche
sono proibite perché ritenute discriminatorie, e ogni paese membro accetta di far pagare a ogni altro paese dazi non
più alti di quelli pagati dal paese con dazi minori secondo il principio della nazione più favorita.
Unica eccezione è quella in cui il dazio che si vuole applicare con un dato paese è pari a zero. È possibile solo in
questo caso se viene applicato l’abbattimento di un dazio con un altro paese.
In generale, due o più paesi che si accordano per liberalizzare gli scambi reciproci possono:
Creare un’area di libero scambio all’interno della quale però i paesi possono mantenere ciascuno una propria
politica commerciale nei confronti degli altri paesi. Un esempio è il NAFTA stipulato tra Canada Usa e Messico.
Il Nafta è stato modificato nel 2018 con enfasi su prodotti agricoli, lattiero-caseari, autoveicoli, protezione della
proprietà intellettuale (USMCA)
Un’unione doganale, che liberalizza gli scambi tra paesi membri e li obbliga ad adottare una politica commerciale
comune nei confronti degli altri paesi (ad esempio l’Unione Europea). Tutti i paesi che vi appartengono
applicano, ad esembio, uno stesso dazio su un bene importato dagli USA.
Esempio.
Immaginiamo di avere UK, Francia, USA. USA produce frumento a 4$ al quintale, Francia a 6$/Q, UK a 8$/Q.
UK forma unione doganale con la Francia, viene abolito il dazio sul frumento francese ma non su quello USA.
UK ci guadagna o meno in termini di benessere dall’unione doganale?
Hp 1: Il dazio è di 5$/Q. è un dazio probitivo perché proibisce l’importazione di frumento da USA, perché il grano
domestico costerebbe meno ai consumatori UK e Francesi.
Abolito il dazio con la Francia, agli inglesi conviene consumare il grano francese che costa meno.
Hp 2. Prima dell’istituzione dell’unione doganale UK applicava un dazio di 3$, dunque non proibitivo. A questo dazio
UK preferisce consumare grano USA (che a loro costa 4+3=7$ invece di 8$).
L’unione doganale abolisce di nuovo il dazio con la Francia e i consumatori UK ora preferiscono il grano francese che
costa 6$.
Questo implica che i consumatori UK non importeranno più grano USA ma dalla Francia sì.
In realtà però il grano USA costava davvero 4$, perché i 3$ in più sarebbero rimasti sotto forma di introito per il
governo nelle tasche degli inglesi, non di perdita netta.
Allora, se dal lato del consumatore il grano è più costoso, dal punto di vista del benessere l’unione doganale genera
delle perdite.
Ciò è una prova della teoria di second best: all’unizio UK aveva adottato 2 politiche distorsive, ovvero i dazi sia per
USA che per Francia.
Il dazio sul frumento francese in realtà però contribuisce a compensare la distorsione prodotto dal dazio sul grano
americano: l’abolizione del dazio sul grano francese può peggiorare il benessere.
UK trae vantaggio dall’unione doganale se determina nuovi flussi commerciali (grano francese rimpiazza grano UK),
è danneggiato dall’unione se flussi interni all’unione rimpiazzano flussi con paesi esterni all’unione.
Allora gli accordi commerciali preferenziali aumentano il benessere nazionale quando contribuiscono a creare nuovo
commercio, ma non quando flussi commerciali dal resto del mondo vengono sostituiti da flussi commerciali con gli
altri paesi membri.
Abbiamo invece una deviazione di flussi commerciali quando importazioni a basso costo da paesi terzi vengono
sostituite da importazioni ad alto costo dai paesi membri (es. Grano francese).
Paesi in via di sviluppo sono paesi a basso-medio reddito, tra questi l’ONU ne ha individuati 50:
Con basso reddito pro capite;
Con scarso sviluppo umano;
Con un’elevata vulnerabilità economica.
In particolare (tabella 11.1) si ordinano i paesi per PIL pro capite, e si osservano i paesi ultimi in classifica.
Non si possono seguire entrambe le vie parallelamente, perché riducendo le importazioni col dazio l’economia interna
produce di più del bene che altrimenti sarebbe importato; e ciò va a scapito del bene che il paese esporta. Scegliere di
attuare una strategia di sostituzione equivale al mancato incoraggiamento alla crescita delle esportazioni.
Dagli anni ‘50 e ‘60 un gruppo di baesi decide la strada della sostituzione delle importazioni. La produzione interna di
beni nei paesi più grandi riesce a sostituire quasi interamente le importazioni. Inizialmente è protetta la produzione di
beni di consumo finali (fasi finali del ciclo produttivo), poi viene protetta anche la produzione di beni intermedi.
I pvs ridussero le importazioni a livelli molto bassi (caso estremo India, con esportazioni non petrolifere pari al 3%
all’inizio degli anni ‘70).
Tale atteggiamento ha portato a un aumento della produzione di manufatti in percentuale al pil comparabile con quella
dei paesi avanzati.
Tuttavia l’obiettivo era di colmare il gap nello sviluppo economico, e in questi termini l’evidenza in realtà è ambigua.
I motivi di questo parziale insuccesso sono:
L’argomentazione dell’industria nascente non ha validità universale, proteggere un settore industriale non
necessariamente lo rende competitivo sul mkt internazionale. La difficoltà dei pvs ha spesso ragioni più profondi che
la mancanza di esperienza industriale: mancanza di imprenditori, competenze manageriali, organizzazione sociale,
lavoro qualificato.
Un contingentamento delle importazioni non può rendere un settore di colpo più efficiente; in particolare le politiche
commerciali adottate sono state oggetto di critica e dibattito; pare che le politiche protezionistiche hanno poi avuto
l’effetto di limitare lo sviluppo del paese. Invece di imporre semplicemente dei dazi si è ricorso a BNT, per cui non
era ben chiaro nemmeno per gli stessi governi quale fosse il vero grado di protezione applicato (difficile da calcolare).
Questi problemi hanno fatto sì che settori troppo piccoli e imprese che in altri contesti non si sarebbero trovate a
produrre per CM troppo altri si trovano in condizioni distorte.
Liberalizzazione commerciale
A partire dalla metà degli anni ‘80 un gruppo di PVS inizia a ridurre le limitazioni al commercio: si attua una nuova
politica a favore di scambi più liberi. Drastica è la riduzione dei dazi in India e Brasile (Figura 11.1).
Il primo effetto è evidente nel grafico 11.2 che mostra la crescita dell’ammonmtare del volume degli scambi.
Inoltre, è cambiata la natura del commercio internazionale dei paesi: prima i PVS esportavano prodotti agricoli e
minerari; dopo il 1980 la quota di manufatti su esportazioni totali è aumentata notevolmente.
Anche in questo caso ci chiediamo se effettivamente la liberalizzazione commerciale abbia promosso lo sviluppo
economico: anche qui l’evidenza è ambigua.
I tassi di crescita di Brasile e altri paesi dell’America latina si sono addirittura abbassati; l’India ha avuto un tasso di
crescita molto elevato ma non necessariamente ciò può essere attribuito alla liberalizzazione.
Caso studio: Messico. Il Messico dopo la IIGM alza le barriere commerciali fino agli anni ‘70. L’industria messicana
produceva molto poco dunque sulle esportazioni: accade che dalla fine degli anni ‘70 iniziano le difficoltà economiche
e ad inizio anni ‘80 deve cambiare strategia: ridurre i dazi, rimuovere le BNT, convertirsi in esportatore di beni
manufatti integrati con l’economia USA, con incentivi legati all’accordo del NAFTA.
In realtà il NAFTA non riduce tantissimo le barriere commerciali perché di fatto il messico aveva abbattuto molto le
barriere di per sé. Il settore manufatturiero messicano raggiunge l’obiettivo di essere parte di un sistema integrato
nordamericano, non più circoscritto al mkt interno.
In termini di sviluppo però gli effetti sull’economia messicana sono stati deludenti, il PIL pro capite è aumentato ma il
tasso di crescita è stato più basso di quello del periodo di sostituzione delle importazioni. Allora la liberalizzazione
non ha migliorato molto gli standard di vita messicani.
Caso studio: India. Fino agli anni ‘80 tasso di crescita molto basso perché vi era poca integrazione nel commercio
mondiale. Inizia una forma molto estrema basata sulla sotituzione delle importazioni. Negli anni ‘70 esportazioni ed
importazioni rappresentavano circa il 5% del PIL. Tuttavia dall’inizio 1990 l’India inizia a rimuovere dazi e
contingentamenti per integrarsi nell’economia mondiale. Benché sia un paese ancora molto povero, si sta sviluppando
e sta iniziando a competere con la cina in termini di tassi di crescita. Ma alcuni sono molto scettici all’eventualità che
sia stata la liberalizzazione commerciale a far crescere l’India, perché l’India ha iniziato a crescere molto prima.
Anche in questo caso le conclusioni sono difficili da interpretare.
Il decollo dell’Asia
Alcuni paesi del sud est asiatico hanno dato luogo a politiche commerciali basati sullo sviluppo delle esportazioni:
Corea del Sud, Hong Kong, Taiwan. In seguito il fenomeno si è esteso anche a Cina e India. Figura 11.4: a partire
dagli anni ‘80 notevole crescita.
Un alto volume di exp-imp ha determinato anche una forte crescita economica. È possibile raggiungere lo sviluppo
anche con una crescita mirata all’esportazione dunque; la sostituzione delle importazioni non è l’unica via per lo
sviluppo economico.
Tuttavia la liberalizzazione è solo un aspetto delle politiche che hanno portato al decollo asiatico: l’abbattimento dei
dazi in Messico e Brasile non hanno infatti comportato una crescita simile a quella del sud-est asiatico.
Consideriamo 3 controversie:
1. Tecnologia ed esternalità (la teoria della politica commerciale strategica prevede l’intervento pubblico nel
commercio estero dei paesi avanzati, in particolare nelle industrie dell’high tech)
2. Effetti della globalizzazione sul lavoro
3. Interazione tra questioni ambientali e politica commerciale
Tecnologia ed esternalità
Abbiamo visto che se esiste un fallimento di mkt, allora può esistere una difficoltà nell’appropriazione della
conoscenza. Se un’impresa genera conoscenza, esiste una produzione aggiuntiva che non si rifletta sugli incentivi
delle imprese nello scegliere quanto produrre. Esistono le condizioni per fornire dei sussidi al settore in questione.
Nelle economie avanzate il settore high tech vede al centro dell’attività imprenditoriale la ricerca. Mentre le imprese
sono in grado di appropriarsi dei vantaggi legati agli investimenti in conoscenza, le leggi sui brevetti costituiscono una
protezione non completa: le imprese follower con reverse engineering possono comunque appropriarsi di parte
dell’investimento in R&S dell’impresa leader. Senza intervento pubblico le imprese ad alta tecnologia possono non
essere abbastanza incentivate a innovare.
Allora i governi potrebbero voler incoraggiare gli investimenti attraverso sussidi.
I sussidi rappresentano un costo ingente, per cui bisogna fare una serie di valutazioni:
L’importanza economica delle esternalità. È difficile stabilire quanto sussidiare.
Le esternalità possono esistere anche tra paesi diversi
Bisogna saper individuare l’attività corretta da sussidiare; alcune di esser non hanno a che fare la creazione di
conoscenza (es. Acquisto di attrezzature o assunzione di lavoratori non specializzati)
Inoltre talvolta anche un settore non high tech potrebbe generare conoscenza ed essere meritorio di sussidio.
La necessità si è rilevata soprattutto dal fatto che negli anni ‘80 gli USA si preoccuparono di un dominio giapponese
sul settore informatico; col timore che la crisi usa potesse estendersi sull’intero settore high tech.
Il Giappone entra nel mkt dei semiconduttori alla fine degli anni ‘70 e inizia a sostenere il settore con sussidi non
molto elevati; la componente principale del sostegno al settore era il cd protezionismo tacito, meccanismo per il
quale quando veniva prodotto il primo semiconduttore, i semiconduttori USA venivano importati poco. Taluni
sostengono che si trattase di una scelta nazionalistica per cui le imprese giapponese preferissero semiconduttori
domestici.
Tale produzione era caratterizzata da una curva di apprendimento molto ripida: avendo un ampio mkt nazionale, il mkt
nazionale faceva sì che i produttori jappo di semiconduttori si spostavano lungo la curva di apprendimento facendo
scendere il costo medio e quindi potevano investire anche in impianti per l’esportazione.
C’erano anche caratteristiche del settore giapponese che avrebbero prodotto dei vantaggi: un elevata attenzione sul
controllo qualità rispetto agli USA, per esempio.
Si credeva fosse fondamentale il settore dei semiconduttori, perché si credeva che sviluppando il settore delle RAM si
sarebbero create forti esternalità verso settori contigui (es. Quello dei microprocessori) e che sarebbe stato possibile
generare extraprofitti grazie alle economie di scala interne.
Negli anni ‘90 si capì che le ragioni sul sostegno al settore delle RAM erano infondate: le imprese USA mantennero il
primato sui microprocessori, inoltre il numero di produttori di RAM andò aumentando (Corea del Sud e altri paesi
emergenti), così il settore perse di rilevanza strategica.
È difficile a priori stabilire il settore da mantenere dunque, perché con questo esempio si capisce che gli effetti voluti
non furono realizzati.
Recentemente sono riemerse le preoccupazioni negli USA nei settori ICT: si osserva l’ampio deficit commerciale dei
beni ICT negli USA (stanno importando più servizi ICT di quanto non si esportino) e il declino dell’occupazione USA
rispetto all’occupazione manifatturiera.
Alcuni ritengono che ciò sia legato all’esternalizzazione di fasi del processo produttivo, altri sostengono che
l’innovazione non può crescere se gli innovatori non sono vicini a coloro che le trasformano in beni fisici.
Negli anni ‘80 nasce la teoria della politica commerciale strategica. In un settore non perfettamente concorrenziale
la presenza di un sussidio pubblico può trasferire gli extraprofitti da imprese estere a imprese domestiche.
Una politica del genera è detta politica commerciale strategica: il governo può indirizzare gli extraprofitti in un
impresa nazionale anziché in un’impresa estera. Attraverso l’erogazione di un sussidio a favore delle imprese
nazionali si può creare una sorta di deterrente per i paesi esteri, perché aumenta i profitti dell’impresa a danno degli
altri paesi.
Esempio: Analisi di Brander-Spencer. Esistono 2 imprese: boeing e airbus, localizzate rispettivamente in USA e UE.
Entrambe producono areoplani, pa i profitti di ciascuna dipendono dalle scelte dell’altra. Allora c’è un payoff a
seconda delle decisioni di boeing e airbus su se produrre o non produrre (Tabella 12.1).
Ogni impresa, se opera da sola, ottiene profitti positivi dalla produzione dell’aereo; se entrambe operano sul mkt
registrano una perdita.
Se nessuna delle due produce, finiamo in una situazione di profitti nulli per entrambe le imprese. Se solo una delle 2
produce, allora chi produce ottiene 100. Se entrambe producono, avranno un profitto negativo pari a -5.
Se immaginiamo che Boeing sia in grado di procurarsi un vantaggio iniziale ed entrare per prima sul mkt, sarà
ottimale per airbus non produrre. Il risultato finale in tal caso sarà quella in alto a destra.
Il ragionamento di Brander-Spencer comporta che il governo UE può intervenire pagando un sussidio a Airbus pari a
25 unità, e ciò cambia la distribuzione di payoff: tabella 12.2.
A questo punto sommo 25 ai profitti di airbus se dovesse produrre. In questo caso Airbus ha convenienza a entrare sul
mkt indipendentemente dalla scelta di Boeing.
Dobbiamo prendere ora in esame la reazione di Boeing a questo intervento: Boeing sarà consapevole che Airbus
entrerà perché è la sua scelta ottimale. Allora Boeing sceglierà di non produrre. Il sussidio UE ha cancellato il
vantaggio iniziale e spostato l’equilibrio in basso a sx.
Airbus ha un vantaggio comparabile al vantaggio strategico alla posizione iniziale, cioè di essere presente sul mkt da
prima del concorrente.
Più facile per i pvs è la costituzione di un sistema di monitoraggio delle condizioni salariali e lavorative.
In generale il movimento No global è contrario all’OMC, che è più volte intervenuta, anche se in forma non
vincolante, in controversie internazionali.
Per concludere...
Gli shock del commercio e il loro impatto sulle comunità
Abbiamo analizzato finora, grazie ai modelli, i guadagni dal commercio internazionale. Tuttavia il libero scambio non
è positivo per tutti, perché ha effetti distributivi all’interno di un paese
In questo lavoro vediamo su quali fasce della popolazione il commercio può avere gli effetti più negativi: la rapida
crescita delle esportazioni cinesi ha creato molti più problemi in USA di quanto precedentemente stimano. La crescita
delle esportazioni è stata molto diseguale tra settori; la Cina ha sostituito la produzione di calzature femminili non
sportivi, al contrario il settore dei mobili è stato colpito molto meno.
Molti settori manifatturieri erano concentrati geograficamente in USA, dunque l’impatto delle esportazioni cinesi ha
creato effetti su alcune aree specifiche. Inoltre i lavoratori USA sono meno mobili del previsto quando si tratta di
migliorare la propria condizione. L’idea è che, data un’eterogeneità degli effetti, non riusciamo a cogliere gli effetti in
termini di settore o geografici. Questo shock cinese ha cancellato un milione di posti di lavoro, che essendo
concentrati in un numero contenuto di settori e di regioni hanno creato un impatto molto critico su alcune comunità.
Il problema della disomogeneità degli effetti rende conto anche della reazione No Global osservata in alcuni paesi per
gli effetti molto più forti di quelli previsti della Globalizzazione: ciò può spiegare da un lato la scelta della Brexit in
UK, dall’altro la scelta di un candidato protezionista come Donald Trump.
Inoltre, se è vero che gli USA hanno perso occupazione, sono un grande paese esportatore, con peso delle esportazioni
sul pil aumentato tra il ‘95 e il 2011, il problema è che esistono sacche di poverà concentrate che sono state
proporzionalmente maggiori e possono osteggiare tutte le politiche di libero scambio e di apertura e sostenere le
politiche protezionistiche.