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Economia internazionale

Capitolo 1
L’economia internazionale si occupa dell’interazione che avviene tra paesi attraverso scambi di beni e servizi, flussi
monetari e flussi di investimenti ed è generalmente suddivisa in 2 sottoinsiemei: il commercio internazionale e
l’economia monetaria internazionale. In questo corso tratteremo soprattutto il primo aspetto, una materia antica che si
sviluppa man mano che l’interazione tra paesi diventa più forte.
Grafico: sull’asse delle ascisse, tempo dal 1960 al 2015; sulle ordinate Esportazioni e importazioni in % del reddito
nazionale USA. In prossimità delle recessioni, anche i flussi commerciali subiscono un declino (es. Crisi mutui sub
prime). In generale possiamo osservare un aumento delle imp. Ed esp. Degli Stati Uniti nel corso del tempo.
Ma anche per gli altri Stati la globalizzazione ha giocato lo stesso effetto?
Grafico 2: vediamo il grado di apertura nel 1970 e 2010 di alcune grandi economie. Il grado di apertura si ottiene dalla
somma fra importazioni ed esportazioni di un Paese normalizzate per il proprio PIL. Possiamo osservare che il
fenomeno non è esclusivo per gli Stati Uniti, ma anche per altri Stati che partono e arrivano a gradi di apertura più
elevati degli USA. Ci sono paesi che sono più integrati nell’economia globale, e un appunto che viene fatto è che le
economie grandi come Usa sono relativamente meno integrate col resto del mondo: i paesi più piccoli hanno più
bisogno di importare beni, sono più legati al resto del mondo, oppure come la Corea del Sud possono essere grandi
esportatori.
Ma perché i paesi commerciano fra loro?
Indubbiamente entrambi traggono vantaggi dallo scambio. I consumatori norvegesi possono acquistare le arance che
farebbero molta fatica a produrre internamente e il venditore trae vantaggi.
Vantaggi per i paesi coinvolti
1. Un paese più guadagnare dallo scambio anche se è il meno efficiente a produrre tutti i beni, attraverso un minor
costo del lavoro; oppure anche il più efficiente a produrre beni può guadagnare dallo scambio, l’incentivo a
importare alcuni beni che produrrebbe in maniera più efficiente perché migliorerebbe il suo livello di benessere.
2. Un altro aspetto fondamentale è dato dal ruolo fondamentale giocato dalle risorse abbondanti o dalle risorse
scarse, nel determinare le strutture di commercio tra paesi.
3. Infine fondamentale è il concetto di economia di scala, è possibile che sia interesse dei paesi, invece che produrre
tanti beni internamente, specializzarsi nella produzione di pochi di essi e il resto importarlo, perché ciò consente
di produrre su larga scala e abbassare molto i costi medi.
4. Importante il commercio tra beni presenti e futuri
5. Attività finanziarie tra paesi diversi per ridurre i rischi

I paesi possono tratte beneficio dall’apertura al commercio internazionale, tuttavia questo valore incrementale non
necessariamente è equamente distribuito in tutta la popolazione (possiamo avere un aumento di benessere di alcune
parti della popolazione e nella riduzione del benessere di altre)

La struttura dei flussi commerciali


Perché il Giappone esporta automobili e gli Usa esportano aerei, per esempio? Perché alcuni paesi esportano certi
prodotti?
2 motivi fondamentali:
1. Produttività del lavoro differenti (teoria ricardiana)
2. Dotazioni relative di capitale, lavoro e terra (teorie più recenti)
Gli effetti delle politiche pubbliche sui flussi commerciali
Spesso e volentieri prima della II guerra mondiale si è voluto limitare le importazioni, cosa che si è capovolta col
libero scambio. Nel 1999 un movimento in controtendenza, il No Global, ha riacceso la miccia dei sostenitori del
protezionismo, coloro che ritengono che la globalizzazione possa avere effetti molto gravi per le economie
domestiche.

Politica commerciale
Tutto il corso sarà permeato da una forte dose di politica, perché anche sui giornali leggiamo di guerre commerciale,
come tra Usa e Cina, cercheremo di valutare i costi di esse. Inoltre, l’insediamento di Trump ha portato alla
rinegoziazione dell’accordo NAFTA per rivalutare la posizione di USA nel trapporto con Cana da e Messico. Vi sono
poi altri accordi commerciali tra accordi commerciali: es. Tra UE e Giappone, in senso contrario rispetto ai segnali
protezionistici del governo statunitense.
Studieremo chi sta vincendo nella guerra dei dazi tra Cina e Usa e parleremo della Brexit.
Capitolo 2

Commercio internazionale
Grafico: esportazione e produzione mondiale (non più ottica Usa). Notare che i volumi di esportazione e produzione
mondiale normalizzati a 100 nel 1950 per osservare quale delle 2 variabili cresce in modo più ripido. Osserviamo che
l’esportazione ha una crescita molto più forte, che si divarica col passare del tempo dalla produzione. Anche la
produzione risente della crisi, ma le esportazioni rispondono verso il basso e verso l’alto in modo molto più forte.

Chi commercia con chi? Stati Uniti


Se prendiamo i dati del 2013, i principali partner commerciali erano Canada, Cina, Messico, Giappone e Germania. Il
commercio con i partner è rappresentato dal grafico (mld di dollari, paesi partner). Il paese con cui Usa commercia più
intensamente è il Canada, seguito dalla Cina.
Se consideriamo il commercio estero totale della UE, al primo posto ci sono gli Usa, poi Cina e Russia...

Osservazioni. I principali partner commerciali sia di UE che di Usa sono paesi relativamente grandi. Ad esempio l’UE
commercia molto con Stati Uniti, Cina, Russia, e poi una serie di paesi più piccoli come Svizzera. Al primo posto per
gli Usa c’è il Canada, non comune all’Unione Europea anche se molto grande. Quando andiamo a considerare i singoli
paesi della UE, i partner commerciali degli Usa sono quelli col Pil più elevato: Francia, Regno Unito, Germania.
Quando però pensiamo al Canada e al Messico ci vengono in mente altri incentivi a commerciare per gli Usa: ad
esempio il fattore distanza può essere un deterrente agli scambi commerciali. Se guardiamo i partner dell’UE, oltre
alla dimensione possiamo notare Svizzera e Norvegia, europei non UE che di loro sono piuttosto piccoli, con stimolo
molto forte ad aprirsi al commercio internazionale per importare. Ovviamente dobbiamo distinguere il grado di
apertura al commercio internazionale in base alle dimensioni del Pil.

La dimensione conta: il modello gravitazionale


Dunque il volume di importazioni ed esportazioni e correlato alle dimensioni di un paese. I paesi più grandi
producono di più e generano più reddito, dunque possono sia importare da che esportare verso altri paesi.
Grafico: Possiamo osservare sulle ascisse la % Pil dell’Unione europea, sulle ordinale la % di commercio Usa con UE.
Poi c’è la bisettrice con un ruolo fondamentale.
La posizione del paese sulle ascisse rappresenta quale % di Pil un Paese ha rispetto all’unione Europea considerata
interamente; sulle ordinate rappresenta quale percentuale del commercio degli Stati Uniti con l’UE di quel paese. Se
tutti i paesi fossero collocati sulla bisettrice, si avrebbe una corrispondenza perfetta tra dimensione del paese e
percentuale di commercio con un paese terzo. Tuttavia non siamo necessariamente a ridosso della bisettrice: nel caso
della Spagna, la dimensione del paese implicherebbe che l’8% rappresentato dal Pil dovrebbe riflettersi nell’8% di
commercio con gli USA. Ma in realtà registra un livello di commercio con gli USA molto più basso di quello
prevedibile sulla base della sua dimensione rispetto all’UE. Un caso opposto può essere qyello dell’Olanda, con un
livello di Pil rispetto all’UE di circa il 5%, ma commercia più con gli USA rispetto a quanto potremmo prevedere.
Allora tutti i paesi che stanno più o meno sulla bisettrice rispettano più o meno la previsione che facciamo, gli altri no.
Questo ci dice che esiste una proporzionalità, ma che non spiega tutto, entrano in gioco sicuramente altri fattori oltre
alla dimensione dei paesi.

Il modello gravitazionale
Ovviamente per commerciare bisogna spostare i beni e i costi di trasporto possono rendere importazioni e
importazioni meno vantaggiose. In più possono esserci altri fattori, come affinità culturale (che magari evita l’ostacolo
della lingua straniera), la geografia (legata a sbocchi sul mare e a minor numero di barriere). Un altro fattore
fondamentale è rappresentato dalle imprese multinazionali, che hanno bisogno di una grande quantità di beni per le
loro filiali. Anche il confine può essere importante, perché attraversarli può implicare la presenza di tariffe implicite o
esplicite (implicite come lingue diverse o valute diverse).
Il modello che cerca di rendere conto di quanto visto finora è quello che viene chiamato modello gravitazionale, che fa
esplicitamente riferimento al modello di gravitazione universale di Newton.
Quest’impostazione viene riproposta con la stessa logica: il flusso commerciale T fra un paese i e un paese j sia uguale
ad (A x Yi x Yj) / Di,j. A è una costante, Yi e Yj sono i Pil.
Questo modello funziona molto bene nell’interpretare i dati, perché distanza e dimensioni dei paesi spiegano molto
degli scambi che avvengono tra i paesi.
Per rendere più semplice la stima di a, b, c (seconda formulazione, più generale) si può fare il logaritmo a destra e
sinistra, che ci aiuterebbe a capire l’elasticità del paese importatore o esportatore rispetto alla distanza o alle
dimensioni dell’economie

Distanza e confini
Oltre a distanza e confini ci sono metodi che riducono tempo e costi degli scambi, come gli accordi commerciali, con
l’obiettivo di ridurre le formalità burocratiche fra i paesi. L’accordo commerciale va a incentivare, a parità di
dimensione e distanza, gli scambi fra i paesi.
Che cosa può dirci sugli scambi commerciali il modello gravitazionale? Ci può dire se gli accordi commerciali
aumentano significativamente il peso degli scambi a parità di distanza e dimensione dell’economia.
Nel 1994 gli USA firmano un accordo di libero scambio con Messico e Canada (NAFTA). La presenza di un accordo
commerciale può rendere il volume degli scambi fra USA e Messico maggiore rispetto al commercio tra usa e paesi
con pil simile, per esempio. Allora quale ruolo gioca l’accordo nell’aumentare il flusso di beni e servizi tra paesi che
stipulano?
Immaginiamo che anche A possa avere un esponente, pari a w. Allora quando stimiamo i coefficienti, c (coefficiente
della distanza) andrà da -1 a -0,7, gli altri avranno valore positivo. Se A= accordo commerciale, essa è una variabile
dicotomica (può essere 0 o 1), allora se w>0 l’accordo pesa in modo positivo a determinare il flusso di commercio.

Grafico 2.4. Dimensione economica e commercio con gli Stati Uniti. Nel nuovo grafico abbiamo inserito il Messico e
il Canada; i paesi appartenenti alla UE sono rappresentati allo stesso modo del grafico precedente, ma non ho una
bisettrice, bensì una retta più piatta essendo cambiata la scala, perché Messico e Canada hanno un commercio molto
più intenso con gli USA rispetto alla UE. La posizione di Messico e Canada rispetto alle ascisse è puramente
rappresentativa del valore dei Paesi in termini di Pil, ovvio che non contribuiscono a quello dell’UE.
Il commercio che gli Usa hanno col Messico è pari al 75% del commercio che gli Usa hanno con tutta la UE. Mentre
quello col Canada è circa il 95% di quello con tutta la UE. Distanza e accordi commerciali fanno sì che ci siano
legami molto maggiori con alcuni Paesi a prescindere dalla dimensione

Distanza e confini
Abbiamo detto che il confine può fungere in qualche modo da ostacolo al commercio per una serie di motivi: lingua
diversa, valute diverse, costi di transazione...
Vi è un articolo che parla di border effect a proposito di Usa e Canada: viene spiegato il ruolo del confine nella
regione della British Columbia e si studia appunto la stratedia del border effect. Il paper identifica la provincia base, la
British columbia in Canada. Si cerca di capire quanto la regione commerci con le altre province canadesi; poi si
osservano i dati relativi al commercio di questa provincia con gli Stati degli USA che hanno distanza simile alle altre
province canadesi (California, Washington,Montana, Ohio...). La distanza tra le varie regioni viene indicata con dei
numeri: a British Columbia corrisponde lo 0, alle regioni accanto 1, poi 2, 3 ecc... Vi è un’identificazione a coppie
equidistanti.
Poi viene formulata una tabella che rappresenta il Commercio in rapporto al Pil della British columbia con le varie
regioni/stati statunitensi, vengono accoppiate quelle con distanza simile. Notare che il BC ha un commercio con
Alberta del 6,9% del Pil, mentre con Wahington del solo 2,6% del Pil, e lo stesso fenomeno possiamo osservarlo
anche con le altre coppie. Quest’analisi ci dice che, a parità di altre condizioni, esiste un effetto confine, anche tra
zone molto simile e molto integrate.

Il mondo è diventato più piccolo?


La tecnologia avanza, i trasporti diventano più efficienti, i costi di transazione si riducono. Tutto ciò dovrebbe
agevolare i flussi commerciali. Tuttavia, anche fattori politici e storici possono avere un effetto importante sul
commercio internazionale.
Infatti, dopo l’inizio del 1900 il commercio ha subito un forte rallentamento durante le 2 Guerre mondiali, e prima di
tornare ai livelli antecedenti il 1913 si è dovuto attendere sino al 1970.
Storicamente non osserviamo soltanto una variazione dei volumi di exp e imp, ma anche di composizione dei flussi
commerciali, che nel tempo è cambiata notevolmente. Oggigiorno si trasportano soprattutto beni manufatti, i servizi
rappresentano circa il 20% degli scambi commerciali, in ultimo ci sono materie prime e prodotti agricoli.
In passato, gran parte degli scambi era rappresentata da prodotti agricoli e minerari, anche senza pensare a pvs, ma per
esempio al Regno Unito, che importava prevalentemente prodotti agricoli e minerari ed esportava manufatti. Nel
2011, i beni manufatti rappresentano la maggior quota sia di importazioni che di esportazioni, per il Regno Unito e per
gli altri paesi (compresi gli Usa che prima non erano tanto sbilanciati verso i beni manufatti).
Anche i paesi del Terzo mondo e i pvs hanno modificato la composizione dei loro flussi commerciali a favore dei
manufatti. Nel tempo è cambiata la composizione delle esportazioni dei pvs.

Offshoring dei servizi


I servizi svolgono sempre più un ruolo importante nel determinare i flussi commerciali. Parliamo di offshoring o
outsorcing quando un’impresa trasferisce le proprie attività produttive all’estero, come ad esempio i servizi di call
center. Ci sono servizi difficilmente soggetti a offshoring, è difficile mandare lontano un servizio legato alla cura della
persona, all’assistenza sanitaria eccetera. L’offshoring ha come scopo la competitività sul mkt.
Valgono ancora le vecchie regole?
Abbiamo visto una serie di fattori che determinano i flussi commerciali, come dotazioni di un paese, dimensione
eccetera, così come l’innovazione tecnologica; questi fattori possono influenzare i flussi commerciale. Ci sono fattori
storicamente identificati come fattori chiave del commercio internazionale, riescono ad essere molto utili per spiegare
il commercio ma anche perché forniscono un’interpretazione strutturale di come funziona un modello di commercio
internazionale.

Capitolo 3

Produttività del lavoro e vantaggi comparati: il modello ricardiano


Se vogliamo suddividere le teorie sulle determinanti del commercio internazionale in 2, abbiamo:
1) Quelle che fanno riferimento a dotazioni di risorse o a divera efficienza tecnologica
2) Quelle che guardano le economie di scala
E ricardo cade nella prima categoria: i Paesi commerciano perché esistono vantaggi produttivi nei paesi (la seconda
versione viene molto più tardi). Alla prima versione ovviamente appartengono anche altri modelli.
Secondo Ricardo, i paesi vanno a specializzarsi nella produzione di un bene e quindi ad esportarlo perché hanno un
vantaggio comparato nella produzione di quel bene, legato a differenze nella specializzazione produttiva.
Secondo invece il modello di Heckscher-Ohlin, esiste una sorta di vantaggio comparato è legato a differenze nei
fattori produttivi, cioè nella dotazione relativa di lavoro, qualifiche lavorative, capitale fisico e terra.

Prima del vantaggio comparato: il vantaggio assoluto


Il punto di partenza è la filosofia economica del mercantilismo: essa sostiene che una nazione, per diventare forte ricca
e potente, deve cercare di importare il meno possibile ed esportare il più possibile. Ciò è l’effetto di una visiona
nazionalistica dell’economia, in cui gli interessi nazionali sono necessariamente in conflitto con quelli degli altri paesi.

Ricardo formula una reazione al mercantilismo.


Nel 1776, nella Ricchezza delle Nazioni, Adam Smith formula un concetto molto Lapalissiano: 2 paesi decidono di
commerciare soltanto se lo scambio è profittevole per entrambi. Un paese A e un paese B possono trarre beneficio
dallo scambio se si specializzano esclusivamente nella produzione del bene nel quale hanno vantaggio assoluto. Allora
A produce tutta la stoffa, e la stoffa che vende a B gli serve per comprare il cibo da B.

Come andiamo a catturare l’idea del vantaggio assoluto?


Immaginiamo 2 paesi e 2 beni, cibo e stoffa. Immaginiamo di calcolare la produttività dei 2 paesi attraverso la
produttività in un’ora di lavoro. Esempio. Gli USA in 1 ora producono 6 kg di cibo, UK 1 kg. Invece gli USA
producono 4 mq di stoffa, gli UK 5 mq.
Allora gli USA hanno vantaggio assoluto nella produzione di cibo, il UK ha vantaggio assoluto nella produzione di
stoffa.
Immaginiamo che UK e USA vogliano consumare 6C e 6S. Smith dice che quando gli Stati si aprono al commercio
internazionale, devono specializzarsi per trarre vantaggio dallo scambio stesso.

Cosa succede se gli USA producono il cibo per entrambi i paesi e scambiano i 6 kg di cibo eccedenti con 6 mq di
stoffa?
Dopo aver prodotto il cibo per entrambi i Paesi, avranno dopo 2 ore 6 mq di stoffa e 6 mq di stoffa. Se avessero
prodotto la stoffa internamente, avrebbero avuto bisogno di 2 h e mezza per produrre 6 mq di stoffa e 6 kg di cibo.
Allora possiamo misurare i guadagli degli USA in termini di stoffa (2 mq) o in termini di ore di lavoro risparmiate
(0,5 h)
E per gli inglesi?
UK riceve 6 kg di cibo, che riuscirebbero a produrre in autarchia in 6 ore di lavoro. Le 6 ore che avrebbe impiegato, le
usa per la produzione di stoffa e gli consentono di produrre 30 mq di stoffa. Allora gli inglesi scambiano 6 mq di
stoffa (che richiedono 1,2 ore) con 6 kg di cibo, guadagnando 24 mq di stoffa in più. Allora possiamo misurare il
risparmio di UK dal punto di vista del tempo: in autarchia, per produrre 6 S e 6 C servivano 1,2 ore + 6 ore = 7,2 ore.
Per produrre 6 S per sé e 6 S per gli USA hanno bisogno di 1,2 ore + 1,2 ore = 2,4 ore. Vengono risparmiate 4,8 ore.

Allora possiamo anche osservare che:


 Per Usa 3C = 2S (rapporto 6 a 4) in 0,5 ore risparmiate;
 Per UK 4,8 C = 24 S (rapporto 1 a 5) in 4,8 ore risparmiate.
Laddove 2 paesi hanno un vantaggio aasoluto nella produzione di un bene, ha senso specializzarsi nella produzione di
un bene e scambiare l’eccedenza. Allora il benessere dei 2 paesi migliora dall’autarchia al commercio internazionale.

Dal vantaggio assoluto al vantaggio comparato


Questa teoria appena vista è stata già un passo avanti rispetto alla filosofia mercantilistica. Questo tipo di teoria riesce
però a spiegare solo il commercio tra paesi avanzati e pvs, ma non spiega il commercio tra paesi avanzati. In
quest’ottica viene a delinearsi la teoria del vantaggio comparato di Ricardo (1817, Principi di politica economica e
tassazione). Anche nel caso in cui il paese A sia svantaggiato in entrambe le produzioni, è vantaggioso comunque per
entrambi i paesi scambiare beni specializzandosi nel settore nel quale il paese ha un vantaggio comparato. Nel caso
del paese meno produttivo, esso dovrà specializzarsi nel settore in cui ha lo svantaggio assoluto minore (sono meno
scarsi che nell’altro settore). In questo caso si dirà che, ad esempio, il UK avrà un vantaggio comparato nel settore
stoffa.
Esempio. Produttività di C 6 kg per USA, 1kg per UK. Produttività di S 4 mq per USA, 2 mq per UK.
Gli inglesi sono meno produttivi nel settore cibo, ma sono anche meno produttivi nel settore stoffa. Gli inglesi hanno
uno svantaggio assoluto in entrambi i beni. Però sono meno scarsi nel settore stoffa (2/4=1/2 contro 1/6). Allora gli
USA hanno vantaggio comparato in C, mentre UK ha un vantaggio comparato in S.
Secondo Ricardo i paesi guadagnano dallo scambio se UK si specializza in S, USA si specializza in C.
Come mai? Immaginiamo che UK e USA vogliono consumare un paniere di 6 C e 6 S, e immaginiamo che anche qui
lo scambio avvenga 1 a 1 (1 C lo scambio per 1 S).
Allora gli USA, in autarchia, per produrre 6 C e 6 S hanno bisogno di 2,5 ore. Gli UK invece hanno bisogno di 9 ore.
Immaginiamo che gli Stati si specializzino. Quante ore servono per 12 C per gli USA? 2 ore. Allora per ottenere 6 C e
6 S bastano 2 ore. Mezz’ora viene risparmiata, che in termini di guadagno sono 2 mq di stoffa in più.
Quante ore servono per 12 S per il UK? 6 ore. Quindi per ottenere 6 C e 6 S bastano 6 ore, vengono risparmiate 3 ore
e si guadagnano 6 mq di stoffa.

Vantaggio comparato
Ma quali sono le condizioni per le quali questi guadagni esistano? Ad esempio, come il tasso di scambio (in questo
caso 1 C per 1 S) può influire nel commercio internazionale.
Ad esempio, gli Stati Uniti scambiano 6 unità di cibo solo se guadagnano più di 4 unità di stoffa, perché in 2 ore al
massimo producono 6 C e 4 S. Lo scambio è vantaggioso se riescono ad ottenere, cedendo 6 C, più di 4 S.
L’Inghilterra guadagna solo se riesce ad ottenere 6 C cedendo meno di 12 S.
Gli scambi sono vantaggiosi per gli USA se 6C permette di ottenere più di 4 S, per gli UK se meno di 12 S permettono
di ottenere 6 C.
4 S < 6 C < 12 S

Allora l’intervallo che deve verificarsi è di 8 S, ovvero il guadagno totale identificato prima. 8 S è il vantaggio che
deriva dallo scambio commerciale dei 2 paesi, la torta che si possono spartire i 2 paesi che può essere variamente
allocata.

In caso di assenza di vantaggio comparato, nessuno scambio internazionale si verifica, però è proprio impossibile a
livello pratico che ci sia uno stesso rapporto tra i settori. Nel caso in cui ci sia pochissima differenza tra i rapporti,
allora si introducono piccoli costi di transazione che rendono sconveniente lo scambio.

Vantaggio comparato con moneta


Introducendo salario e prezzo di vendita, andiamo a capire come mai l’Inghilterra pur essendo svantaggiata in
entrambi i settori riesce ad esportare stoffa negli USA. Tutte le volte in cui apriamo i paesi ai commerci internazionali,
deve succedere che deve essere più competitivo nella produzione di quel bene: la stoffa prodotta dagli inglesi deve
essere piazzara sui mkt internazionali a un prezzo inferiore degli USA, e lo stesso deve avvenire per il prezzo del cibo
degli USA. Deve crearsi una situa per cui il bene stoffa deve essere venduto dagli inglesi perché riesconpo a venderlo
a un prezzo e inferiore, e il bene cibo deve essere venduto dagli USA a un prezzo inferiore.
Immaginiamo che il salario orario sia pari a 6$ per gli USA, 1£ per gli UK. In autarchia, dovremmo fare in modo che
la remunerazione al lavoratore di un settore sia pari alla remunerazione di un lavoratore in un altro settore. Nel
modello ricardiano, l’idea è che il lavoratore devva procedere con stesse competenze dunque stesso salario, altrimenti
tutti cercherebbero di lavorare nel settore più remunerativo. In concorrenza perfetta, il salario sarà uguale al valore del
bene prodotto. Dunque, in conc. Perfetta:
W=P * PML
Dove W è il salario orario, pari al valore di tutti i beni prodotti in un’ora.
Se W negli USA è pari a 6$, allora nel settore cibo avrò: 6$=1$ * 6.
Anche per il bene stoffa il salario è 6$, allora il prezzo della stoffa sarà pari a P= W/PML dunque 6$/4= 1,5$.
Dato lo stesso salario, la struttura delle produttività determina il prezzo. L’idea è che nel momento in cui avremo un
paese più produttivo, esso riuscirà a collocare i beni a un prezzo più basso.

Per l’Inghilterra la relazione è la stessa.


Il salario orario in Inghilterra è di 1 £ e sappiamo che serve 1 h di lavoro per produrre un’unità di cibo, 1 h di lavoro
per produrre 2 unità di stoffa.
Allora per il cibo 1£ = 1£ * 1; per la stoffa 1£ = 0,5£ * 2.
Dobbiamo conoscere però il tasso di cambio. Immaginiamo che esso sia 1£= 2$. Esprimiamo il nostro prezzo in
termini di dollari, allora per il cibo 1£ = 2$, per la stoffa 0,5£ = 1$ così siamo in grado di confrontare qual è il prezzo
più basso relativo ai singoli beni.
Se io produco pochi beni in un’ora, ho bisogno di più costo dunque venederò il bene a un prezzo più alto, ma se il
salario è abbastanza basso, il guadagno va a compensare lo svantaggio in termini di minore efficienza. In UK i salari
sono talmente bassi che alla fine conviene comunque produrre e vendere la stoffa inglese.
Il motivo per cui gli inglesi riescono a vendere la stoffa è che i salari corrisposti ai lavoratori sono molto bassi
nonostante la minore produttività.
Se si modifica il tasso di cambio, es. 1£=1$, succede che il prezzo del cibo in UK diventa uguale al prezzo del cibo in
USA, mentre il prezzo della stoffa è maggiore per gli USA. Allora gli USA non saranno più in grado di esportare il
cibo, perché allo stesso prezzo di quello degli UK (1$). Nella situazione in cui il tasso di cambio è troppo basso, cioè
la sterlina è deprezzata, gli USA non riescono più a piazzare il proprio bene, scende la domanda di dollari, sale la
domanda di sterlina che ri apprezza di nuovo.
Se immaginiamo il caso in cui la sterlina raggiunga un prezzo troppo forte, ad esempio 1$=3£, allora Pc= 1 $ negli
USA, 3 $ in UK, mentre Ps= 1,5 $, sia in USA che in UK. Allora si riduce la domanda di sterlina ecc. Si ripristinano
gli scambi commerciali.

Vantaggio comparato e costo-opportunità


Haberler prende la teoria di Ricardo e fa una generalizzazione che ci aiuta a introdurre la teoria formalizzata di
Ricardo. Analizza la teoria del valore-lavoro e la generalizza in termini di costo-opportunità (il costo-opportunità di un
bene è pari all’ammontare di un secondo bene cui si deve rinunciare per rendere disponibili le risorse sufficienti a
produrre un’unità del primo bene).
Dobbiamo avere in mente che per produrre un’unità in più di un bene dobbiamo rinunciare a un altro bene, e le ore
lavoro che avremmo utilizzato per produrre un’altro bene le utilizziamo per produrre il primo.
Il paese che ha un minore costo-opportunità nel produrre un determinato bene allora avrà un vantaggio comparato
nella produzione del bene stesso.
Esempio. Qual è il costo opportunità del cibo negli USA? Se voglio produrre 6 unità di cibo in più mi serve un’ora,
quindi rinuncio a 4 unità di stoffa. Il costo opportunità di C in USA è 2/3 S. Il costo-opportunità di C in Inghilterra è
invece pari a 2S.

Costo-opportunità e frontiera delle possibilità produttive


Immaginiamo di considerare USA e UK, e la struttura produttiva che conosciamo.
USA UK
Cibo (Kg) 6 1
Stoffa (mq) 4 2
E cerchiamo di capire che ruolo gioca il costo-opportunità nel determinare la fpp.
Se tutte le ore le alloco al cibo, riduco la quantità di stoffa e viceversa.
Immaginiamo di avere 30 ore legate agli USA e 60 ore destinate a UK.
Per gli USA
Cibo (kg) Stoffa (mq)
180 0
150 20
120 40
90 60
60 80
30 100
0 120

Per gli UK
Cibo (kg) Stoffa (mq)
60 0
50 20
40 40
30 60
20 80
10 100
0 120

Questi dati danno luogo alla frontiera delle possibilità produttive, cioè la curva che ottengo sfruttando al massimo le
risorse che ho. Essendo il costo-opportunità dello scambio cibo-stoffa costante nel tempo, allora la curva di
trasformazione sarà sempre costante (retta con pendenza pari al costo-opportunità).
Dunque la combinazione stoffa-cibo dato un certo ammontare di ore negli USA può essere rappresentata da una retta
di inclinazione negativa con un valore assoluto della pendenza parti ai 2/3.
Per il Regno Unito abbiamo una retta di inclinazione -2.
Il saggio marginale di trasformazione SMT è pari al -2/3 negli USA, -2 in UK.
Ricordiamoci le condizioni di concorrenza perfetta: da un lato il salario in un settore deve essere uguale al valore dei
beni prodotti in quel settore. Il salario orario nel settore stoffa deve essere uguale alla produttività marginale del lavoro
per il prezzo di vendita di ogni unità.
Da questa relazione deriviamo un legame tra i prezzi relativi e le produttività marginali.
Per essere vero che Wc=Ws, allora -Pc/Ps= -(PMLs/PMLc)=SMT.
Gli scambi ci danno la possbilità di ottenere (ultimo grafico) un livello di benessere che prima non era possibile,
perché fanno perno sul punto di completa specializzazione.
Esempio 1: Vantaggio comparato, costo-opportunità e commercio
Immaginiamo che negli USA per produrre 10 mln di rose siano necessarie le stesse risorse che servono a produrre
100.000 computer; in Colombia per 10 mln di rose servono le risorse necessarie a produrre 30.000 computer.
Vuol dire che in Colombia i lavoratori sono meno produttivi per i computer, la Colombia ha un costo-opportunità più
basso associato alla produzione di rose.
Per gli USA, produrre 30.000 computer vuol dire rinunciare a produrre solo 3,3 mln di rose, non 10 mln.
Allora gli USA avranno un vantaggio comparato per i computer, mentre la Colombia ha un vantaggio comparato nella
produzione di rose.
Immaginiamo di essere in una situazione di anarchia, dunque USA e Colombia devono produrre entrambi i beni.

Milioni di rose Migliaia di computer

USA -10 +100

Colombia +10 -30

Totale 0 +70

Formalizzazione del modello ricardiano a un fattore


1. C’è un unico fattore produttivo (lavoro), la cui produttività differisce tra i vari paesi, in genere a causa di
differenze nelle tecnologie, ma è costante nel tempo nello stesso paese.
2. L’offerta di lavoro in ciascun paese è costante
3. Vengono prodotti e consumati solo 2 beni: stoffa (S) e cibo C
4. La concorrenza fa sì che ai lavoratori venga pagato un salario “concorrenziale”, funzione della loro
produttività e del prezzo del bene che essi producono, e consente anche ai lavoratori di venire impiegati nel
settore che paga i salari più alti: ecco perché i salari devono essere necessariamente identici tra i settori
5. Esistono solo 2 paesi: H e F
Attenzione: finora abbiamo definito la produttività come le unità del bene prodotto in 1 h di lavoro. La produttività
può essere anche normalizzata per unità di bene prodotto ovvero: posso chiedermi quanto tempo serve a produrre una
sola unità di bene. Così fa il modello ricardiano, che parla appunto di lavoro impiegato per unità di prodotto come il
numero costante di ore di lavoro necessarie a produrre un’unità di bene. Allora:
★ a l ,S è il lavoro impiegato per unità di prodotto nella produzione di stoffa in H. Per esempio, se a l ,S =2 vuol
dire che ci vogliono 2 ore di lavoro per produrre stoffa in H
★ a l ,C è il lavoro impiegato per unità di prodotto nella produzione di cibo in H. Se a l ,C =1, allora serve un’ora…
Chiamiamo:
● L il numero totale di ore lavorate nel paese H
● Qs indica quanti metri di stoffa vengono prodotti nel paese H
● Qc la quantità di kg di cibo prodotti in H
In modo più formale:
Lc Qc
★ a l ,C = = 1/( )= 1/ (produttività di lavoro nel settore C)
Qc Lc
Ls Qs
★ a l ,S = = 1/( )= 1/ (produttività di lavoro nel settore S)
Qs Ls

Poiché l’offerta di lavoro è costante, definiamo con L il numero totale di ore lavorate nel paese H, con: Lc+Ls=L, cioè
alla condizione di piena occupazione,(tutta la forza lavoro è impiegata nel settore cibo o nel settore stoffa).
Allora la tabellina USA/UK la rifaccio così:

USA (H) UK (F)

Cibo (kg) a l ,C =1/6 ∗


a l ,c =¿ 1

Stoffa (mq) a l ,S =1/4 ∗


a l ,s =¿1/2

Possibilità produttive
La fpp rappresenta la max quantità di beni che può essere prodotta dato un ammontare di risorse fisse (ore lavoro
fisse, in questo caso).
Se Qc rappresenta la quantità di cibo prodotta e Qs la quantità di stoffa, la fpp ha equazione:

a l ,C Qc+a l ,S Qs=L

Se a l ,S e a l ,C sono costanti e L costante, allora posso scegliere Qs e Qc, anche annullando una delle due risorse
prodotte. Dunque permane la relazione Qs ≤ L/a l ,S − ¿.
Esempio. L=1000, a l ,S =2 e a l ,C =1. Allora Qs ≤500 −1 /2 ⋅ Qc .
In questo caso, la produzione massima di stoffa è di 500 mq (la frontiera intercetta l’asse y), la produzione massima di
cibo è di 1000 kg (la frontiera interseca l’asse x).
La fpp dunque ci dice a quanta stoffa devo rinunciare per produrre un tot di cibo e viceversa.
In generale, l’ammontare di produzione domestica è definito da:

a l ,C Qc+a l ,S Qs≤L

Questa relazione descrive ciò che un’economia può produrre, ma per determinare cosa l’economia effettivamente
produca dobbiamo derivare i prezzi dei beni. Qual è dunque il punto della fpp per il quale la produzione è ottima?
Siano Pc e Ps i prezzi del cibo e della stoffa. Per l’ipotesi di concorrenza perfetta:
● I salari orari dei lavoratori di C sono uguali al valore prodotto in un’ora nel settore C: Pc/ a l ,C
● Stessa cosa vale nel settore stoffa
Poiché i lavoratori preferiscono salari elevati, essi lavoreranno nel settore che paga i maggiori salari orari.
Wc= Pc*PMLc, Wc=P*1/a l ,C , PMLc=1/a l ,C .
Se diciamo che il salario è in C è maggiore del salario in S, allora:

Pc/al,c>Ps/al,s, dunque Pc/Ps>al,c/al,s.

C’è una specializzazione nel settore C. C’è una specializzazione nel settore S dunque se Ws>Wc.
Quindi, solo quando c’è un’uguaglianza del prezzo relativo del cibo rispetto alla stoffa con il costo-opportunità del
cibo rispetto alla stoffa, allora vengono prodotti entrambi i beni.
➔ Esempio slide. I lavoratori sarebbero disposti solo a produrre cibo, perché il prezzo relativo del cibo è
superiore al suo costo-opportunità rispetto alla stoffa.

Commercio nel modello ricardiano


Come possiamo determinare un vantaggio comparato in un settore in un paese rispetto ad un altro?
Immagino che il paese H abbia un vantaggio comparato nella produzione di C. Allora il costo opportunità nel produrre
C è inferiore che nel paese F.

al,c/al,s < a*l,c/a*l,s

Ci aspettiamo una fpp in F più ripida nel paese H, con stoffa sulle ordinate e cibo sulle ascisse, e inclinazione data
dalla SMT (vedi sopra).
Ma allora cosa succede al prezzo nel momento in cui apro le barriere? Dovrò avere un prezzo solo, mondiale relativo
del cibo rispetto alla stoffa.
Dobbiamo prendere in considerazione il concetto di domanda relativa e offerta relativa dei beni. Si effettua un’analisi
di equilibrio generale, che prende in considerazione l’andamento di un mercato (es. C) congiuntamente all’andamento
di un altro mercato.
In generale abbiamo detto che i prezzi relativi determinano l’offerta relativa di un bene sul mercato. Il fatto di dover
produrre necessariamente entrambi i beni (condizione di autarchia), determina una condizione vincolante su quanto
debbano valere i prezzi relativi (uguali al costo-opportunità del bene rispetto all’altro).
Nel commercio internazionale calcoliamo l’offerta relativa di cibo come quantità di cibo offerta da tutti i paesi diviso
la quantità di stoffa offerta da tutti i paesi.
∗ ∗
RS=(Qc +Qc )/(Q s +Qs )
Questo ci dice quanto cibo su stoffa viene prodotto in totale nel mondo.

Per ipotesi, immaginiamo:


al,c/al,s < a*l,c/a*l,s

Però ricordiamo che, quando avviene che Pc/Ps < costo-opportunità di C rispetto a S, allora il prezzo del cibo è troppo
basso e in un determinato paese tutti produrrebbero stoffa, poiché Wc<Ws e nessuno produce cibo.
Se il prezzo relativo è troppo basso (più basso del costo-opportunità di H, che è il paese col costo-opportunità più
basso), allora né H né F producono cibo.
Quando il prezzo relativo del cibo è uguale al costo opportunità nel paese H. Per i lavoratori in H sarà indifferente
produrre cibo o stoffa, ma siccome in F il costo-opportunità è maggiore, allora non sarà ancora conveniente produrre
cibo, e in H verrà prodotta solo stoffa.

Cosa succede invece se il prezzo relativo internazionale è compreso fra i costi opportunità del 2 paesi?
➔ Per il paese H, il prezzo relativo internazionale sarà maggiore del costo-opportunità del cibo rispetto alla
stoffa; il salario di C sarà superiore a quello di S e H si specializzerà in C.
➔ Per il paese F, il prezzo relativo internazionale sarà inferiore al costo-opportunità del cibo rispetto alla stoffa;
allora il salario di C sarà ancora minore a quello di S e F sarà ancora specializzato completamente nella
produzione di stoffa.
Questa è la condizione di completa specializzazione, in cui l’offerta mondiale di cibo sarà uguale a quanto cibo potrà
essere prodotto totalmente in H, diviso tutta la prod.ne massima di stoffa nel paese F. La produzione massima di cibo
dipende dalla forza di lavoro in H e da quante ore servono per ogni unità di cibo nel paese H.
La quantità di stoffa prodotta in totale nel mondo sarà uguale solo a quella prodotta dal paese F, che dipenderà dalla
forza lavoro in F e da quante ore servono per ogni unità di stoffa al paese F.

Se il prezzo relativo di C rispetto a F è maggiore del costo opportunità in H ma uguale al costo opportunità in F,
dunque per i lavoratori in F sarà indifferente produrre cibo o stoffa, per quelli in H bisognerà produrre solo cibo.

Quando il prezzo relativo del cibo è più alto del costo-opportunità in entrambi i paesi, allora il prezzo relativo è troppo
alto e la stoffa non verrà prodotta in nessun paese. Sia i lavoratori in H che quelli in F saranno disposti a produrre solo
cibo (dove i salari sono più alti).

La curva di offerta relativa ci dice quanta quantità di cibo e stoffa viene offerta dato il prezzo relativo mondiale.

L’offerta relativa mondiale è una funzione “a gradini”.


● Nel primo gradino il prezzo relativo del cibo è uguale al costo-opportunità in H al,c/al,s ed è uguale as ½ nel
nostro esempio
● Abbiamo un salto quando l’offerta relativa mondiale del cibo è uguale alla produzione massima di cibo in H
diviso la produzione massima di stoffa in F (L/al,c)/(L*al,s); il prezzo relativo è uguale a 1 nell’esempio
● Nel secondo gradino il prezzo relativo del cibo è uguale al costo-opportunità in F a*l,c/a*l,s che è uguale a 2
nel nostro esempio.
Grafico 3.3. In x=0 nessuno produce cibo perché in entrambi i paesi Wc<Ws, prima del secondo gradino il paese F
continua a non produrre cibo perché il prezzo del cibo per lui è ancora troppo basso.
Nel secondo tratto verticale sono in una situazione di completa specializzazione, il prezzo del cibo è alto per il paese
H, mentre continua ad essere troppo basso per il paese F. Quando arriviamo al gradino accade che per il paese H
avremo sempre che il prezzo del cibo è più alto (vi è solo produzione di cibo), per il paese F siamo in condizione di
indifferenza e vengono prodotti sia cibo che stoffa.
Per valori di prezzo relativo > 2 la curva non è più definita perché tutti vorrebbero produrre solo cibo: il prezzo è
talmente alto rispetto alla stoffa che in queste condizioni non riesco a definire l’offerta di cibo rispetto alla stoffa, il
denominatore tende a zero.

Andiamo ad aggiungere l’offerta la domanda relativa e troviamo l’equilibrio. Tutto ciò che ci interessa è che la
domanda relativa di cibo dipenderà inversamente dal prezzo del cibo. Se il prezzo del cibo rispetto alla stoffa aumenta,
si riduce la domanda di cibo.
Ci sono 2 possibilità (2 domande): la domanda interseca l’offerta relativa nel tratto verticale (completa
specializzazione dei 2 paesi) oppure nel tratto orizzontale. Se la domanda relativa è posizionata sul tratto verticale,
avremo un prezzo compreso sul tratto verticale.
Se invece la domanda intersecasse il primo tratto orizzontale (ad esempio, quello in cui il paese H è indifferente nel
produrre cibo o stoffa), avremmo una domanda non così alta.
Se la domanda intersecasse il secondo tratto orizzontale, le preferenze dei consumatori a livello mondiale portano più
verso il cibo.

Guadagni dallo scambio


Si pensi al commercio come un metodo di produzione indiretta o a una nuova tecnologia che trasforma il cibo in stoffa
e viceversa. Senza il commercio lo stato dovrebbe allocare tutte le risorse disponibili nella produzione di tutti i beni.
Visivamente, la frontiera passa (grafico) da PF ad FT per il paese H, da FP* a FT* per il paese F.
Esercizio 2 slide. Notare in questa situazione la convergenza dei prezzi relativi dei 2 paesi (si ottiene un prezzo di
equilibrio tra i 2 costi-opportunità).

Salari relativi
Il salario relativo dei lavoratori di un paese è definito come il rapporto tra quanto percepiscono all’ora nel paese stesso
e quanto viene percepito in un altro paese. Sappiamo che può esserci un salario relativo diverso da uno solo quando
confronto paesi diversi, non settori diversi!
Qual è il salario orario se i paesi si specializzano completamente nel cibo o nella stoffa?
Se il prezzo dei beni è pari a 12$ per unità, il salario orario per i produttori di cibo sarà:
(1/al,c)*Pc= (1/1)*12$=12$=W

Il salario dei lavoratori di F sarà:


(1/a*l,s)*Ps=(1/3)*12$= 4$=W*

Dunque il salario relativo dei lavoratori di H sarà (12$/4$)=3 (rapporto tra salario domestico e quello estero).
Il paese H è più produttivo nel settore cibo di 6 volte, mentre è più produttivo nella produzione di stoffa di soli 3/2. E’
importante notare il confronto tra produttività e salario relativo.
Nel modello di Ricardo più produttivo è un settore, più ci saranno differenza salariali. Ogni paese realizza un
vantaggio di costo, un’altra faccia del vantaggio comparato, solo nella produzione di un bene. Perché H non potrebbe
produrre in modo più efficiente stoffa e venderla a livello internazionale? Perché è più produttivo di 1,5 volte, mentre
ha uno svantaggio salariale pari a 3. Per il cibo, nonostante lo svantaggio salariale, ha un vantaggio di costo perché è 6
volte più produttivo del paese F.

Il punto fondamentale è che il salario relativo deve essere compreso fra i rapporti delle produttività in ciascun settore.
Dato che i lavoratiri nel paese F percepiscono un salario pari a 1/3 rispetto al salario dei lavoratori di H, essi riescono
a realizzare un vantaggio di costo nella produzione di stoffa, i lavoratori di H riescono ad avere un vantaggio
nonostante i maggiori salari.

I salari riflettono la produttività?


Nel modello ricardiano, i salari relativi riflettono le produttività relative dei due paesi. Questa ipotesi è realistica?
L’evidenza mostra che bassi salari sono associati a bassa produttività.
Il rapporto fra il salario di molti paesi e quello statunitense è simile al rapporto fra le loro produttività.
Inoltre, da un punto di vista temporale, più aumenta la produttività più i salari crescono.
Infatti, alla fine della guerra di corea, la Corea del sud era uno dei paesi più poveri al mondo; quando la produttività è
aumentata a partire dal 1975, fino ad arrivare nel 2007 ad essere più della metà di quello statunitense.

Supponiamo che esistano N beni, indicizzati da i= 1, 2, ..., N


L’ammontare di lavoro per unità di bene i nel paese H è ali, mentre nel paese F è a*li.
Sia W il salario nel paese H e W* il salario nel paese F, ricordando che W=Pi/ali quindi Pi= W x ali.
 Se P1=Wal1 < W*a*l1=P1*
 Solo H produrrà il bene 1, perché il prezzo del bene è inferiore in H;
 Equivalentemente (1/al1)/(1/a*l1)>W/W*
 Oppure a*l1/al1>/W/W*
 Cioè: se la produttività relativa di un paese nella produzione di un bene è maggiore del salario relativo, il bene
sarà prodotto in quel paese.
a*l1/al1 se alto, vuol dire che F è poco produttivo (ci dice quante ore servono ad F rispetto ad H per produrre un
determinato bene). Se il salario relativo è minore di fatto della produttività di H, vuol dire che il salario relativo è
sufficientemente piccolo per far sì che sia H a produrre il bene.

Bene Lavoro necessario Lavoro necessario Vantaggio relativo di


per unità di prodotto per unità di prodotto produttività del paese
in H (ali) in F (a*li) H (a*li/ali)
Mele 1 10 10
Banane 5 40 8
Caviale 3 12 4
Datteri 6 12 2
Focacce 12 9 0,75

Se W/W*=3 (es.: W=3, W*=1), il paese H ha salari più alti del paese F. Per mele, banane e caviale è vero che il
salario relativo è minore, quindi vengono prodotti da H, altrimenti da F.
Come si determina il salario relativo? Attraverso l’offerta relativa e la domanda relativa (derivata) dei servizi di
lavoro.
La domanda relativa di lavoro in H diminuisce al crescere di W/W*. Quando il lavoro in H diventa più cari
relativamente al lavoro in F:
 I beni prodotti in H diventano più cari e la domanda di questi beni, e del lavoro necessario a produrli, si riduce;
 Meno beni vengono prodotti in H, il che riduce ulteriormente la domanda di lavoro nel paese.
 Infine, supponiamo che l’offerta relativa sia fissa al livello determinato dalla popolazione di H e F
 La domanda relativa ha una struttura molto paricolare. In generale ha un andamento decrescente, però ha dei
gradini. I numeri sulle ordinate fanno riferimento alla produttività relativa (ultima colonna della tabella sopra,
vantaggio relativo nella produzione del bene da parte del paese H rispetto ad F). Sul grafico abbiamo una
comparazione tra salario relativo e quantità relative di lavoro L/L*.
Grafico: immagino che il salario relativo sia pari a 3. Finché è minore delle produttività relative (mele, banane,
caviale), H produce quei beni. Se il salario relativo sale (es a 3,5), la domanda relativa di lavoro si riduce (il salario
sale, il prezzo del bene aumenta). Se il prezzo sale, si riduce la domanda di beni e consequenzialmente si riduce la
domanda di lavoro (aumenta il salario, ci spostiamo verso sx).
Se il salario relativo passa da 3,99 a 4,01, si passa da sotto il gradino del caviale a dopra il gradino del caviale. Un
incremento del salario, non determina una riduzione della domanda di lavoro nel paese L, ma va ad incidere in
maniera discreta: la domanda di lavoro relativa si riduce di molto.
Esattamente nel tratto orizzontale nel gradino, vale l’uguaglianza tra salario relativo e coefficienti di costo, quindi si è
in una condizione di indifferenza rispetto alla produzione da parte di H oppure F (non so se verranno richiesti più
lavoratori da H o da F)

Costi di trasporto e beni non commerciabili


Il modello ricardiano prevede che i paesi si specializzino completamente nella produzione del bene in cui hanno un
vantaggio comparato. Nella realtà ciò si verifica raramente, per 3 ragioni:
 La presenza di più di un fattore produttivo riduce la tendenza alla specializzazione completa (nei capp. 4 e 5
introdurremo infatti altri fattori di produzione)
 Esistono misure protezionistiche messe in atto dai vari paesi, i governi impongono dazi alle importazioni di beni
esteri ad esempio
 Esistono dei costi di trasporto che riducono i flussi commerciali tra paesi, rendendo non conveniente
l’importazione anche se in base alla legge di vantaggio comparato quel paese ha effettivamente un vantaggio di
costo nella vendita del bene stesso
Esistono beni e servizi (es. Taglio di capelli, riparazione di automobili) che non sono commerciabili per via degli alti
costi di trasporto. In realtà quello che conta è quanto incide il costo di trasporto sul totale del costo del bene/servizio
importato. Se introduco costi di trasporto pari al 100%:
Bene Prezzo no costi (P= W*al) Prezzo con costi (aggiungo il costo del
trasporto che ne raddoppia il prezzo)
H F H F
Mele 3 10 3*2=6 10
Banane 15 40 30 40
Caviale 9 12 18 12
Datteri 18 12 18 12*2=24
Focacce 36 9 36 18

 Caviale: senza costi di trasporto F importa da H: 3*3=9<12, con costi di trasporto 9*2>18, F produce
internamente. Non commerciabile.
 Datteri: senza costi di trasporto H importa da F: 12<18=6*3; con costi di trasporto: 12*2=24>18, H produce
internamente. Non commerciabili.
Dato che 6<10, il bene mele continua ad essere prodotto ed esportato da H.
I datteri, che prima erano prodotti ed esportati da F, con l’aumento di prezzo non vengono più esportati. Il bene
focacce invece viene continua ad essere importato dal paese H al paese F.
E’ cambiata soltanto la situazione di caviale e datteri, che sono diventati beni non commerciabili, perché i costi di
trasporto sono talmente alti da rendere inefficiente il loro trasporto appunto.
Generalmente i beni non commerciabili sono quelli molto a ridosso della soglia.

Evidenza empirica
I paesi esportano quei beni in cui la loro produttività è relativamente alta?
Il rapporto tra le esportazioni statunitensi e britanniche nel 1951, confrontato con il rapporto tra la produttività del
lavoro negli USA e nel UK in 26 settori manufatturieri, suggerisce di sì. A quel tempo gli USA avevano un vantaggio
assoluto in tutti i 26 settori, ma il rapporto tra le esportazione era basso nei settori meno produttivi degli USA.
Le principali implicazioni del modello di Ricardo sono ben supportate dall’evidenza empirica. Le differenze nella
produttività del lavoro tra paesi giocano un ruolo chiave del commercio internazionale. Il concetto di vantaggio
comparato (e non vantaggio assoluto) è importante per spiegare il commercio internazionale.
Confrontando Cina e Bangladesh (lavoro del 2012), due pvs, vediamo che otteniamo risultati molto simili.

Fraintendimenti sui vantaggi comparati


1. Il commercio è vantaggioso solo se un paese abbastanza forte? No, perché quello che conta non è il vantaggio
assoluto ma il vantaggio comparato
2. Se basata su bassi salari, la concorrenza estera è scorretta e danneggia altri paesi. I paesi dei vari paesi
beneficiano perché riescono a consumare a prezzi inferiori, il problemi è che i salari sono molto bassi
indipendentemente dal commercio internazionale. Purtroppo i salari sono bassi per la bassa produttività
3. Il grande problema è legato alla scarsità di benessere che vi è un questi paesi a bassa produttività. Il commercio
internazionale aumenta il benessere dei lavoratori: col reddito che deriva dalla vendita dei beni, possono
comprare i beni che avrebbero prodotto internamente a un costo ancora maggior in termini di ore.

Limiti del modello ricardiano


 Beni non commerciabili: la specializzazione prevista da Ricardo in realtà è meno estrema
 Ignora gli effetti distributivi sul reddito, non sappiamo cosa accade ai vari fattori produttivi
 Ignora il ruolo delle risorse, il fatto che alcuni paesi dispongono di più/meno risorse rispetto ad altri in
determinati settori
 Ignora il ruolo delle economie di scala, che riducono i costi medi.

Capitolo 4. Fattori specifici e distibuzione del reddito

Il modello a fattori specifici e distribuzione del reddito è stato formulato da Samuelson e Jones.
Nel corso della storia i governi hanno protetto dalla concorrenza delle importazioni, gli USA stessi limitano e hanno
limitato le importazioni di molti beni.
Questo tipo di atteggiamento ha una matrice fortemente politica.
Gia quando analizziamo il modello a fattori specifici ci preoccupiamo di come questi eventuali benefici che arrivano
al commercio internazionale vanno a distribuirsi all’interno della popolazione, perché laddove la distribuzione non sia
equa allora spetta alla politica negare o sostenere l’apertura commerciale.
Nel corso dei cicli elettorali negli USA vengono introdotti dei dazi punitivi per alcuni beni, prodotti dai cosiddetti
swing States, quelli in cui non c’è una netta predominanza di repubblicani o democratici all’interno (esempio in Ohio).
Ad esempio vengono posti dei dazi sull’importazione dalla Cina di pneumatici e acciaio, che vengono prodotti
principalmente in Ohio.
Il commercio è positivo per l’economia, però ha degli effetti significativi sulla distribuzione del reddito.
Nel breve periodo, quando un settore viene identificato come quello in cui il Paese ha un vantaggio comparato, non è
immediato che la forza lavoro si trasferisca immediatamente da un settore all’altro.
In una prospettiva di lungo periodo, i settori sono diversi in termini di fattori produttivi richiesti. Il commercio non
necessariamente sarà vantaggioso come indicato da Ricardo perché potrebbe avere delle conseguenze in modo
negativo permanente.

Nel breve periodo i fattori di produzione non si possono trasferire senza incorrere in costi ingenti.

Breve periodo: modello a fattori specifici


Il modello a fattori specifici (1971, Samuelson-Jones) prevede un impatto del commercio sulla distribuzione del
reddito. Ipotesi del modello:
 Due beni: C e S
 Tre fattori di produzione: lavoro (L), capitale (K) e terra (T)
 I mercati sono perfettamente concorrenziali
Il lavoro è un fattore mobile, può liberamente spostarsi fra i due settori. Per il settore stoffa, il fattore specifico è il
capitale, non abbiamo bisogno di terra; per il settore cibo abbiamo bisogno solo di lavoro e terra. Non possiamo usare
il capitale per produrre cibo e la terra per produrre stoffa: K e T sono considerati immobili nel bene periodo.
In questo nuovo modello, qual è la quantità di bene prodotta dall’economia?
La fdp della stoffa ci dice quanta stoffa sarà prodtta data la combinazione di capitale e lavoro

Qs=Qs(K,Ls)
Dove:
 Qc è la produzione totale di cibo;
 T è l’offerta di terra coltivabile;
 Lc è la forza lavoro dedicata alla produzione di cibo.
Come cambia il mix produttivo (quanto produco di cibo e quanto produco di stoffa) quando sposto il lavoro da un
settore all’altro?
Esiste una relazione positiva tra produzione di stoffa e lavoro impiegato, ma esistono rendimenti decrescenti del
fattore lavoro. Cioè, per uno stesso incremento di lavoro, la produzione continua a salire con incrementi produttivi
sempre più piccoli. L’aggiunta di un lavoratore aumenta la produzione in misura sempre inferiore.
Ciò non implica assolutamente rendimenti di scala decrescenti, il singolo fattore produttivo ha rendimenti decrescenti,
ciò che succede ai rendimenti di scala non è immediato dirlo (magari sono costanti nei 2 fattori produttivi). Qui stiamo
considerando K costanti.
A destra abbiamo poi aggiunto un altro grafico, che rappresenta la funzione di produzione in funzione del lavoro
impiegato. Il prodotto marginale del lavoro è la derivata prima della funzione di produzione rispetto al lavoro stesso:
infatti l’inclinazione è prima più ripida, poi si riduce.
Il prodotto marginale del lavoro è decrescente (infatti ho rendimenti decrescenti del fattore lavoro).

Le possibilità produttive
Abbiamo 2 fattori produttivi a produrre il bene, tra cui il lavoro che è un fattore mobile.

L=Lc+Ls
Quindi Lc=L-Ls

Grafico: siccome stiamo considerando la stoffa, ragioniamo in maniera invertita (assi invertiti) rispetto ai grafici del
capitolo 3.
La funzione di produzione della stoffa è concava e sta nel IV quadrante. Nell’altra parte grigia ho un’altra funzione di
produzione, ma relativa al settore cibo.
Abbiamo disegnato le fdp in modo da avere su un asse la stoffa, sull’altro il cibo.
Il terzo quadrante ci dice che il lavoro è una risorsa scarsa e possiamo decidere dove allocarlo. Rappresenta L=Lc+Ls
o Lc=L-Ls e ci dice che ho una retta di inclinazione -1 e un termine noto pari a L, stessa cosa se la leggiamo in termini
di Ls=L-Lc.

Come facciamo da ciò a ricavare la fpp?


Scelgo il punto 2 sulla retta Lc=L-Ls. Andiamo a vedere, in corrispondenza di questo lavoro, quanto produciamo. In
base a ciascuna allocazione di lavoro, trovo i punti corrispondenti delle funzioni di produzione. Intercetto così i punti
1, 2 3, e così via fino a disegnare la fpp o curva di trasformazione.
In ricardo la fpp era una retta perché avevano un unico fattore produttivo e una produttività marginale costante (Ho un
unico saggio marginale di trasformazione SMT).
Qui abbiamo una produttività marginale del lavoro decrescente: nei vari punti non avremo la stessa inclinazione.
L’inclinazione di questa frontierà è -(PMLc/PMLs).
La produttività marginale del lavoro nel settore cibo / quella nel settore stoffa è il contrario del costo-opportunità (il
reciproco del coefficiente di costo), al crescere di uno aumenta la produttività, per il secondo la produttività decresce
al crescere dell’indice.
Attenzione: quando l’inclinazione della frontiera cambia, cambia anche il costo-opportunità del fattore produttivo.
Il fatto che i rendimenti fattoriali siano decrescenti determinano un aumento del c-o se produco un’unità aggiuntiva di
quel bene.
La pendenza aumenta quando l’economia produce più stoffa. Perché?
Quando la frontiera diventa più ripida, il costo-opportunità della stoffa rispetto al cibo aumenta (e non è più costante
come nella teoria del vantaggio comparato ricardiano!)
Se passo dal punto 1 al punto 2: aumento l’ammontare di lavoro impiegato nella stoffa, riduco quello impiegato nel
cibo. Ogni volta che aumento la quantità di stoffa, quest’unità ci costerà un numero di lavoratori in più, perché questi
diventeranno sempre meno produttivi.
La stoffa diviene quindi via via più costosa.
Se il costo-opportunità aumenta anche PMLc/PMLs aumenta, se tolgo lavoratori al settore cibo, i lavoratori che
rimangono nel settore cibo diventano più produttivi.

Prezzi, salari e allocazione del lavoro


Come faccio a scegliere quanti lavoratori impiegare per settore?
Sempre dall’incontro tra offerta e domanda di lavoro.
La curva di domanda di lavoro nel settore tessile sarà:

W=MPLs*Ps
(il salario è uguale al valore del prodotto marginale del lavoro nel settore tessile.

La curva di domanda di lavoro nel settore alimentare:


MPLc*Pc=W
(il salario è uguale al valore del prodotto marginale del lavoro nel settore alimentare)

Graficamente, avendo in mente queste interazioni abbiamo sull’asse delle ascisse l’offerta totale di lavoro L
(=Lc+Ls), sulle ordinate il salario W.
Dobbiamo tenere presente ciò che abbiamo detto in merito al prodotto marginale del lavoro, una funzione inclinata
negativamente rispetto alla quantità di lavoro impiegata. La MPL va moltiplicata per il prezzo P.
Notare che il salario rispetto a L è composto al contrario sulle ordinate rispetto a Ws.
Ci manca solo un ultimo passo: mentre terra e capitale sono fattori specifici, il lavoro è un fattore mobiel: ciò è
importante, perché i lavoratori possono indifferentemente scegliere dove essere impiegati.
Se entrambi i beni sono prodotti deve valere l’uguaglianza dei salari. L’allocazione di lavoro tra stoffa e cibo deve
avvenire la curva del prodotto marginale del settore cibo incontra quella del settore stoffa (l’incontro tra le 2 curve
raffigura l’allocazione di lavoro ottimale nel paese, ma anche il salatio ottimale).
Ci manca l’ultimo passaggio: cosa vuol dire Wc=Ws? Siccome Wc=Pc*PMLc, Ws=Ps*PMLs, dunque
Pc*PMLc=Ps*PMLs, o anche Ps/Pc=PMLc/PMLs.

PMLC
− è l’inclinazione della frontiera delle possibilità produttive!
PMLS

Ps
Quindi impiegheremo i lavoratori per i quali l’inclinazione della FPP sarà pari a − .
Pc
Se i prezzi della stoffa e del cibo cambiano, cambia il numero di lavoratori impiegati e tutti il resto. Nel momento in
cui i Paesi si aprono al commercio internazionale, avviene una convergenza dei prezzi relativi. Nel momento in cui
apriremo i paesi al commercio internazionale i prezzi commerceranno, e così l’allocazione del lavoro.
Cambia l’allocazione del lavoro e la distribuzione del reddito (fine ultimo del modello). Abbiamo 2 casi:
 Il cambiamento è proporzionale (raddoppia sia prezzo di stoffa che di cibo, Ps/Pc resta invariato)
 Si verifica un cambio nei prezzi relativi.

 Caso 1: variazione proporzionale di Ps e Pc per cui Ps/Pc=cost.


In termini grafici vuol dire che: sono aumentati il prezzo della stoffa e quello del cibo del 10%, la funzione di
prodotto marginale va moltiplicata per i nuovi prezzi: le curve si spostano verso l’alto, in modo che (essendo
cambiata solo una costante) ci sia la stessa allocazione di lavoro di prima nei due settori.
Ciò che cambia è il valore nominale dei salari, che è a sua volta aumentato del 10% (W=P*PML). Se W e P sono
aumentati del 10% allora W/P=PML rimane costante e si chiama salario reale. Inoltre la quantità di cibo e di
stoffa prodotte sono rimaste identiche, perché il lavoro impiegato è lo stesso.
 Caso 2: variazione dei prezzi relativi Ps/Pc
Ipotizziamo Pc costante e Ps che aumenta del 7%. Aumenta l’ammontare di lavoro impiegato nel settore stoffa: la
curva che rappresenta il salario nel settore stoffa sale.
Cambia dunque l’allocazione del lavoro, Ls aumenta e Lc si riduce.
Il valore del salario sarà W2, è diventato più alto, ma l’incremento del salario non è uguale all’incremento del
prezzo (non ci siamo mossi lungo la verticale come nel caso precedente). Sicuro l’incremento salariale percepito
sarà minore del 7%, perché Ls è aumentato, PMLs è scesa, Lc è diminuito, PMLc è aumentata. Ma Pc è rimanto
costante, Ps no.

Pc*PMLc=Ps*PMLs

Siccome W è aumentato, Pc*PMLc è aumentato, quindi PMLc è aumentato (Lc si è ridotto). Essendo il prezzo della
stoffa aumentato ma in misura maggiore di quanto è aumentato il salario, allora PMLs è diminuito (Ls è aumentato).

Perché la frontiera delle possibilità produttive è curva?


Ricapitolando, abbiamo visto che la fpp non è più lineare, è concava, ha un’inclinazione che dipende dal
costo.opportunità della stoffa in termini di cibo che aumenta all’aumentare della produzione di stoffa. L’inclinazione è
data da -(PMLc/PMLs) e quando vogliamo produrre più stoffa e meno cibo dobbiamo ridurre l’occupazione nel
settore alimentare e aumentarla nel settore tessile.
Quante persone dobbiamo impiegare in ciascun settore?
Dobbiamo analizzare l’offerta e la domanda nel mercato del lavoro.
La domanda di lavoro è sempre una domanda derivata, dunque i datori di lavoro domandano di lavoro fin quando il
valore prodotto da un’ora di lavoro è uguale al costo di quell’ora. In caso di settori concorrenziali, bisogna dare al
lavoratore quanto è stato apportato dal lavoratore stesso in termini di prodotto.
Allora la curva di domanda di lavoro nel settore tessile vale:
W= PMLs*PMLs
(il salario è uguale al valore del prodotto marginale del lavoro nel settore tessile)
E nel settore alimentare:
W=PMLc*Pc
Graficamente: sull’asse x ho l’offerta totale di lavoro (l’ammontare totale di lavoro in un paese è L=Lc+Ls); sull’asse
delle ordinate ho il salario W (a dx Wc, a sx Ws).
Il prodotto marginale del lavoro, come abbiamo visto, è inclinato negativamente rispetto al lavoro impiegato nel
settore: tale curva va moltiplicato per la costante positiva P, che non farà variare la sua inclinazione negativa.
Dobbiamo ricordarci, a proposito del modello a fattori specifici, che il lavoro, rispetto a terra e capitale, è un fattore
mobile: i lavoratori possono scegliere in quale settore essere impiegati. Allora, se entrambi i beni sono prodotti, deve
valere l’uguaglianza dei salari. L’allocazione di lavoro tra stoffa e cibo deve valere dove la PMLc incontra la PMLs,
identificando il salario ideale del paese Wc=Ws e il numero di lavoratori impiegati nel paese. Allora l’allocazione di
lavoro garantirà necessariamente la condizione Wc=Ws.
Ricordiamo che:
Wc= Pc*PMLc, Ws=Ps*PMLs
Allora:
Pc*PMLc=Ps*PMLs
PMLc/PMLs=Ps/Pc
Ma se metto un meno davanti, ho l’inclinazione della frontiera delle possibilità produttive -PMLc/PMLs.
Vuol dire che se i prezzi della stoffa e del cibo cambiano, cambia l’inclinazione del punto di ottimo, la quantità di
stoffa e la quantità di cibo che andremo a produrre e la quantità di lavoro impiegata nei settori.
Dunque, al variare dei prezzi relativi, variano tutte queste curve.
Questo tipo di esercizio ci serve perché, una volta aperti i due paesi al commercio internazionale, avviene una
convergenza dei prezzi relativi, che cambiano in entrambi i paesi.

Cosa succede all’allocazione di lavoro e della distribuzione del reddito quando il prezzo del cibo e della stoffa
cambiano?
Abbiamo 2 casi:
1. Il cambiamento è proporzionale: la variazione del prezzo della stoffa e di quello del cibo si muovono insieme (es.
Raddoppiano entrambi)
2. Si verifica una variazione dei prezzi relativi (Ps/Pc non rimane costante, ma cambia)
E ciò ha implicazioni diverse a seconda dei casi.

Caso 1. Variazione proporzionale di Ps e Pc, dunque Ps/Pc resta costante.


Se aumentano entrambi, ad esempio, del 10%, il loro rapporto non varierà.
Vuol dire che le rispettive produttività marginali devono essere moltiplicate per i nuovi prezzi incrementati del 10%.
Ciò andrà a determinare delle curve spostate verso l’alto (PMLs e PMLc non sono cambiate!) che andranno a
determinare un incrocio in corrispondenza della stessa allocazione di lavoro L. Ciò che cambia è il salario, che
aumenta del 10% in virtù dell’aumento dei prezzi (diventa W2).
Siccome W aumenta del 10% e P aumenta del 10%, allora W/P, cioè il salario reale, rimane costante, dunque
rimangono costante PML, Ls, Lc.
Inoltre, le quantità prodotte as e ac rimarranno costanti, perché cadiamo sullo stesso punto della fpp, perché
l’inclinazione resta la stessa e dunque il punto di ottimo resta lo stesso.

Caso 2. Variazione dei prezzi relativi.


Varia Ps/Pc. Per semplicità, assumiamo che Pc resti costante e Ps aumenti del 7%.
(Errore di stampa grafico MPLs in realtà è MPLc).
La curva di PMLc è rimasta invariata: questo shock a livello dei prezzi determina ora una diversa allocazione del
lavoro, in cui vi è una nuova quantità di lavoro impiegata nel settore stoffa, mentre la quantità impiegata nel settore
cibo si è ridotta (una parte si è spostata al settore stoffa).
Il nuovo salario è più alto, ma il suo incremento non è pari all’incremento del prezzo, altrimenti ci saremmo mossi
lungo la verticale. L’incremento che registriamo, è sicuramente inferiore al 7%. Questo grafico spiega molto bene ciò
che sta dietro al modello a fattori specifici, perché abbiamo avuto un incremento nel lavoro nel settore stoffa. Siamo in
una situazione in cui se aumento il lavoro nel settore stoffa, la PMLs scende. Se riduciamo l’ammontare del lavoro nel
settore cibo, allora la PMLc aumenta.
Siccome Wc=Ws, allora Pc*PMLc=Ps*PMLs. Dato che W2>W1, e W2=Wc, allora W2=Pc*PMLc, con PMLc che
aumenta. Ma è anche vero che W2=Ws= Ps*PMLs, con Ps che è aumentata.
Il nuovo salario è frutto della variazione delle PML dovute al fatto che le quantità di lavoro registrate sono cambiate.
Abbiamo visto che avviene una variazione dei prezzi relativi Ps/Pc: siamo passati da un equilibrio nel Punto 1,
all’equilibrio nel punto 2. Abbiamo dunque in questo caso una variarione del salario reale, e una variazione della
quantità di lavoro impiegata.
Prendiamo ad esempio il settore stoffa: se il prezzo della stoffa è salito del 7% ma il salario solo del 3%, allora
abbiamo per forza avuto una riduzione della PMLs. Questo perché:
Ws/Ps=PMLs
Dunque se il rapporto si riduce, anche PMLs si riduce.
Abbiamo osservato una PML decrescente, dunque un rapporto tra salario e prezzo nel settore stoffa che si è ridotto.
Nel settore cibo invece, la PML aumenta perché si riduce la quantità di lavoratori, allora Wc/Pc è aumentato, perché
Pc è rimasto costante, allora se Wc è aumentato, anche di poco, anche PMLc è aumentata.
Per quanto riguarda la fpp, sappiamo che nel punto in cui avviene l’allocazione ottima, l’inclinazione della frontiera
sarà uguale alla variazione dei prezzi relativi -(Ps/Pc). Siccome Ps cresce, allora cerchiamo un punto in cui la curva è
più ripida: in questa situazione vedremo una maggiore produzione di stoffa rispetto a prima e una minore produzione
di cibo rispetto a prima. Questo movimento lungo la curva lo possiamo interpretare anche in termini di aumento di
quantità relativa di stoffa prodotta (offerta di stoffa). Allora vi è una relazione positiva tra prezzo relativo della stoffa e
quantità di stoffa offerta.
Dall’incontro tra curva di domanda relativa e la curva di offerta relativa, andiamo ad identificare il punto di ottimo
dato il valore dei prezzi relativi.

Prezzi, salari e allocazione del lavoro.


Quale effetto ha l’aumento del prezzo della stoffa sul reddito di lavoratori, proprietari del capitale e proprietari
terrieri?
In tema di globalizzazione, vediamo quali sono gli effetti, perché all’apertura del commercio internazionale i prezzi
cambiano, e la variazione dei prezzi ha degli effetti concreti sulle tre categorie osservate.
Appendice: come viene distribuito il reddito a seguito della variazione del prezzo relativo.
(Errore figura 4A.4: sulle ordinate prodotto marginale del lavoro NEL SETTORE CIBO).
Sul grafico è rappresentata la produttività marginale di lavoro nel settore stoffa e il Lavoro nel settore stoffa.
Ricordo che PMLs=Ws/Ps, e ciò è nient’altro che l’andamento del salario reale. Abbiamo osservato in passato che la
funzione di produzione è concava e crescente, e le sue tangenti costituiscono il prodotto marginale (che è la derivata
della funzione di produzione). Ma allora l’integrale della curva di prodotto marginale rappresenta esattamente la
funzione di produzione.
Quale sarà il reddito che spetterà ai lavoratori? La parte grigia spetta ai lavoratori, ma non tutto spetta ai lavoratori,
perché anche il capitale viene remunerato.
La quantità di reddito prodotto dai lavoratori è dato dal salario reale*Ls (numero di ore dedicate alla produzione della
stoffa oppure numero di lavoratori, a seconda di come è espresso il salario). Nella produzione resta la parte relativa a
ciò che finisce nelle mani dei detentori del settore fisso, che per quanto riguarda la stoffa corrisponde ai detentori di
capitale (mentre nel settore cibo quella parte corrisponderebbe alla remunerazione del fattore terra e spetterebbe ai
detentori di terra).
Allora è importante capire quale parte va a finire nelle mani dei lavoratori e quale nelle mani di capitalisti e proprietari
terrieri.
Nel caso in cui abbiamo che Ps/Pc aumenta, avevamo che W/Ps si riduceva, perché W aumentava meno di Ps.
Nel settore stoffa il salario reale deve dunque ridursi, ma la forza lavoro aumenta e ci spostiamo lungo la curva della
PMLs. Così possiamo vedere qual era il reddito distribuito ai lavoratori prima e dopo lo shock dei prezzi (vedi
grafico).
Possiamo dedurre che sicuramente in questo caso i detentori di capitale hanno visto un aumento del proprio reddito: il
reddito al fattore K (capitale) è aumentato.
Per quanto riguarda il reddito al fattore lavoro, non possiamo definire a priori l’effetto sui lavoratori.
Quale effetto ha questo stesso shock sul settore cibo?
All’aumento del prezzo relativo della stoffa, aumenta il salario, ma il prezzo del cibo è rimasto costante. Il rapporto
W/Pc è aumentato. Il salario reale in questo caso è aumentato. Com’è cambiato il reddito che spetta ai lavoratori e
quello che spetta ai proprietari terrieri?
In questro caso l’ammontare di lavoro si è ridotto, il prezzo del cibo è aumentato: possiamo dire che sicuramente il
reddito che arriva al proprietario terriero si è ridotto, mentre anche qui non è ovvio sapere quali effetti ci saranno sui
lavoratori.

Ricapitolando:
 I proprietari di capitale stanno sicuramente meglio;
 I proprietari di terra stanno sicuramente peggio;
 I lavoratori stanno subendo un effetto ambiguo, perché per capirlo bisogna sapere quanto cibo e quanta stoffa
consumano. Se consumano tanta stoffa stanno peggio, perché il prezzo della stoffa è aumentato troppo rispetto
all’aumento di salario, viceversa se consumano tanto cibo, e così via. Bisogna capire quanta stoffa e quanto cibo
ci sia nel loro paniere di bene, e quale sia la loro importanza relativa nei consumi.
In generale possiamo dire che:
 Il fattore specifico al settore tessile per cui il prezzo relativo aumenta sta meglio
 Il fattore specifico al settore alimentare per cui il prezzo relativo si riduce sta peggio
 Il fattore mobile (lavoro) ha una variazione di benessere ambigua per i motivi specificati.

All’apertura del commercio internazionale: avrò un paese H e un paese F, ciascuno con la propria domanda e offerta
relativa dei due beni. Quando apriremo le frontiere non esisteranno più prezzi interni ed esteri, e quantità interne ed
estere, ma sara tutto internazionale.
Per semplificare, RD e R*D sono uguali. Ciò non significa che consumino la stessa quantità, ma che consumano cibo
e stoffa nella stessa proporzione. Allora avremo una RD mondiale uguale alle altre due.
Per quanto riguarda la curva di offerta, le due curve saranno diverse, perché è dato da come la quantità prodotta
reagisce all’aumento del prezzo.
Avremo una curva di offerta mondiale che si troverà in una posizione che terrà conto della curva di offerta domestica
e della curva di offerta estera, che sono diverse tra di loro.
Immaginiamo di considerare una curva mondiale che si va a collocare necessariamente tra R*S e RS, sarà RSW.
L’equilibrio prima dell’apertura del commercio internazionale è diverso dal nuovo equilibrio.
Dalla prospettiva del paese domestico H, i prezzi relativi Ps/Pc sono saliti; dalla prospettiva di H i prezzi relativi
Ps*/Pc* sono scesi.
Allora succederà esattamente quanto descritto in precedenza per i singoli fattori specifici.
Tutte le volte in cui il prezzo di un bene sale, il settore del bene che ha visto il prezzo aumentare sta meglio e
viceversa, a livello internazionale avviene una cosa speculare cioè un settore aumenta il proprio prezzo relativo in un
paese e lo riduce nell’altro.
Figura 4.10: L’offerta relativa del paese domestico era maggiore dell’offerta mondiale, vuol dire che il paese
domestico offriva più stoffa rispetto al cibo di quanto non facesse l’economia mondiale. Cioè il paese H aveva più
offerta di stoffa in proporzione al cibo.

Il commercio internazionale nel modello a fattori specifici


Il prezzo relativo della stoffa prima dell’apertura al commercio internazionale è determinato dall’intersezione della
curva di domanda e di offerta di stoffa dell’economia nazionale.
Il prezzo relativo della stoffa in presenza di commercio internazionale è determinato dall’intersezione della curva di
domanda e di offerta di stoffa mondiale.
L’apertura al commercio internazionale aumenta il prezzo relativo della stoffa in un paese se la sua offerta relativa di
stoffa è più grande di quella mondiale.
Se il prezzo sale, la produzione della stoffa sale ma il consumo scende perché il prezzo relativo è maggiore rispetto a
quello del cibo, quindi il paese esporta stoffa e importa cibo. C’è un delta di produzione che non viene consumato
internamente per la riduzione dei consumi, allora quel delta viene esportato, mentre importa cibo la cui produzione si è
ridotta.

Distribuzione del reddito e guadagni dallo scambio


L’apertura al commercio internazionale favorisce il fattore che è specifico nella produzione del bene esportato, ma
danneggia il fattore che è specifico nel settore importatore.
Formalizziamo quali possono essere i vantaggi dallo scambio all’apertura del commercio internazionale.
In autarchia, il consumo dell’economia di un bene deve corrispondere alla produzione di quel bene.
Un’economia aperta agli scambi può consumare quantità maggiori e un mix diverso di entrambi i beni rispetto a
quanto potrebbe fare in assenza di scambi.
Se questo è vero (non deve esserci necessariamente corrispondenza necessariamente tra quanto cibo e quanta stoffa si
produce), tuttavia il valore del consumo deve essere uguale al valore della produzione. Deve valere il vincolo:
Ps*Ds+Pc*Dc=Ps*Qs+Pc*Qc
Dove a destra ho la quantità domandata, a sx quella offerta.
In autarchia vale invece Ps*Ds*Ps*Qs, allors Ds=Qs, non abbiamo altre possibilità se non consumare esattamente
quanto viene prodotto.
Qui invece i consumatori possono consumare un ammontare diverso da quello prodotto, tuttavia deve essere rispettato
il vincolo di cui sopra.
Posso avere una domanda di 2 mld di stoffa e 8 mld di cibo con un’offerta di 5 mld di stoffa e 5 mld di cibo (il totale
deve essere 10 mld). A questo punto ci sarà un’esportazione di stoffa e un’importazione di cibo.
Da questa relazione possiamo rilevare direttamente un’altra relazione, portando i termini in Qc a sx dell’uguale e
quelli in Qs a dx dell’uguale. Allora scriviamo che:
Pc(Dc-Qc)=-Ps(Ds-Qs)
Allora:
Dc-Qc=-(Ps/Pc)(Ds-Qs)
Tale quantità rappresenta l’importazione di cibo, mentre Ds-Qs rappresenta la domanda di stoffa dell’altro paese, dato
che Ds<Qs (ciò che verrà richiesto dal paese F sotto forma di esportazione.
Quanto noi possiamo importare dipende positivamente dal flusso che esportiamo, ma anche dai prezzi relativi, perché
se il prezzo del bene esportato è alto ci conviene maggiormente importare. In tal caso, più alto è Pc, più basso sarà il
flusso dei beni importati.
Quello che ossierviamo è che il paese, grazie al commercio internazionale, si apre a un paniere di consumo che non
avrebbe potuto raggiungere in autarchia.
Notiamo che il vincolo di bilancio che abbiamo determinato ha come inclinazione Ps/Pc, che è l’inclinazione della
FPP nel punto in cui PMLc/PMLs è uguale al costo-opportunità della stoffa rispetto al cibo e individua quando è
ottimale produrre.

Figura 4.11. Osservo che Dc=-(Ps/Pc)Ds+(Ps/Pc)Qs+Qc, con Ds che è la x e il resto a dx è il termine noto. Invece
Qc=-(Ps/Pc)Qs+Dc+(Ps/Pc)*Ds, con tutto ciò che c’è a dx di Qs come termine noto. Osservo che non varia
l’inclinazione tra produzione e domanda. Ecco perché nel grafico troviamo, sia dal lato della domanda che
dell’offerta, la medesima inclinazione. Infatti sull’asse y mettono Dc e Qc.
Il punto 2 nel grafico lo immaginiamo come il punto in cui produciamo in autarchia, perché lì il prezzo della stoffa
rispetto al prezzo del cibo era uguale al costo opportunità. Non potevamo che consumare la quantità di stoffa e di cibo
volute dal punto 2, e anche domandare quelle quantità.
Dato che la fpp rappresenta ciò che possiamo produrre, in autarchia rappresenta anche tutto quello che possiamo
consumare.
Il punto 1 è quello in cui siamo in una condizione di apertura al commercio internazionale: Ps/Pc aumenta, allora mi
trovo in un punto più ripido della curva.
Noi possiamo collocarci con la nostra produzione in uno qualsiasi del punti del vincolo di bilancio: il grafico vuole
dirci che l’apertura al commercio internazionale consente di avere dei guadagni dagli scambi, che sono gli stessi
guardani che osservavamo nel modello ricardiano. Facendo perno sulla produzione, possiamo raggiungere
combinazioni di consumo che vanno oltre la fpp.

In ogni caso il commercio internazionale consente di avere dei guadagni dallo scambio aggregato. Qual è il problema
in un modello come quello osservato? Che questi guadagni possono essere non equamente non distribuiti socialmente.
Il problema è che quando c’è una torta da spartire, a scegliere come farlo deve essere la classe politica, ed è difficile
da concordare perché quelli che guadagnano dal commercio internazionale non sono disposti a dividere il loro
guadagno con quelli che invece ne risulterebbero danneggiati. Quindi, anche se tutti volendo potrebbero risultarne
avvantaggiati, la redistribuzione non sempre avviene.

Economia politica del commercio internazionale: un’analisi preliminare


Abbiamo capito che il commercio internazionale genera vincitori e vinti. Una politica commerciale ottimale dovrebbe
valutare i guadagni di un gruppo rispetto alle perdite di un altro e andare a mettere in campo iniziative che aiutino a
superare i problemi relativi ai vari settori. Alcuni gruppi potrebbero necessitare di speciali politiche di sostegno al
reddito, dato che sono già relativamente poveri (per esempio, i lavoratori nel settore dell’abbigliamento negli Stati
Uniti).
La maggior parte degli economisti è favorevole a promuovere il commercio internazionale.
Un punto di coloro a favore del commercio internazionale è che mutamenti alla distribuzione del reddito non
avvengono solo a causa del commercio internazionale, ecco perché le economie avanzate hanno pensato a programmi
di protezione dei redditi per cercare di venire inconto alle fasce della popolazione danneggiate da eventi di questo tipo,
compreso il commercio internazionale.
Il problema è che coloro che corrono il rischio di subire perdite in seguito agli scambi internazionale sono
generalmente meglio organizzati di coloro che potrebbero trarne beneficio, e riescono a volte a limitare l’apertura di
alcuni settori al commercio internazionale nonostante gli altri individui potrebbero trarne vantaggio.
Un esempio tipico è quello legato al settore dello zucchero degli USA: per molti anni gli USA hanno limitato le
importazioni di zucchero, che per molti anni hanno registrato prezzi quasi doppi e uno studio degli inizi anni 2000
della corte dei conti ha registrato perdite annue ci circa 2 miliardi di dollari per i consumatori statunitensi, che in uno
studio del 2013 in aggregato ha prodotto una perdita di 3 miliardi di dollari all’anno.
Se produttori e consumatori fossero stati in grado di far sentire i propri interessi, avrebbero fatto sentire la propria
critica, ma 10 dollari all’anno in più non erano in grado di far sì che i consumatori si rivoltassero. Dal lato dei
produttori, i rofitti che derivano dal contingentamento delle importazioni sono fortemente concentrati nelle mani di
pochi produttori (meno di 20 in tutti gli USA), quindi per loro è molto più facile organizzarsi e creare campagne
politiche. I gruppi che riescono a organizzarsi meno non riescono ad influenzare troppo le politiche commerciale. A
causa degli elevati prezzi dello zucchero, molte aziende produttive di dolci hanno spostato le proprie sedi in Canada, a
discapito dei lavoratori del settore dolciario negli USA che hanno visto un aumento della disoccupazione nel proprio
settore.
Il fatto di avere una restrizione alle importazioni di zucchero determina che i dipendenti dei proprietari delle
piantagioni di canna da zucchero che non perdono lavoro perché riescono a sostenere i dipendenti grazie ai prezzi
molto elevati. Il settore riesce a difendere la necessità di avere una protezione dalle importazioni estere è proprio a
difesa dei lavoratori in quel settore, perché l’apertura al commercio comporta lo spostamento dei lavoratori verso
settori esportatori.
Tale processo non è immediato e impone alcuni costi effettivi: alcuni lavoratori nei settori che competono con le
importazioni perdono il lavoro e hanno difficoltà nel trovarne un altro nei settori esportatori in espansione.
Quanta disoccupazione può essere imputata al commercio?
Le chiusure di impianti a causa della concorrenza delle importazioni o della rilocalizzazione dell’impianto stesso
all’estero rappresentano una piccola proporzione dei licenziamenti involontari.
Andremo a vedere quanto sono correlate disoccupazione e penetrazione delle importazione negli Stati Uniti: se il
ragionamento fila, all’aumentare delle importazioni dovremmo osservare una riduzione dell’occupazione.
Sembra più ovvio constatare che in corrispondenza delle fasce grigie (periodi di recessione) abbiamo una
concomitanza di riduzione delle importazioni e di un’aumento della disoccupazioni legata a una condizione
macroeconomica.

Mobilità internazionale del lavoro


Ipotizziamo che sia possibile una migrazione di lavoro a livello internazionale. Se i lavoratori fossero liberi di
spostarsi da un paese all’altro, ci aspettiamo che anche il salario sia eguagliato dai paesi. I lavoratori si spingono vrso
paesi che hanno salari più alti fino a quando il salario del paesi non sarà identico.
Immaginiamo che sia prodotto un unico bene non commerciabile utilizzando due fattori di produzione: la terra, che è
immobile fra paesi, e il lavoro che invece è mobile.
Grafico: sulle ascisse ho la forza lavoro totale nel mondo, sulle ordinate le PML prima di H poi di F. Ci ricordiamo
che per la PML deve valere che W=P*PML, cioè, W/P=PML. Allora le PML rappresentate raffigurano il salario reale
nei due paesi.
Immaginiamo di partire in una situazione iniziale in cui il paese H e il paese F stiano corrispondendo ai lavoratori un
salario reale differente.
Il salario reale corrisposto al paese estero è maggiore di quello del paese H. Accade che prima che sia consentita la
migrazione della forza lavoro, succede che nel paese F sono presenti lavoratori da O* a L1, mentre nel paese H da O a
L1. Data la dotazione di lavoro tra i due paesi, il salario corrispondente sarà B in F, C in H.
Nel momento in cui arpiamo al commercio internazionale, i lavoratori si spostano dal paese H al paese F. Entrano più
lavoratori nel paese F ed escono lavoratori dal paese H dove il salario è più alto. Nel paese F avremo un salario che
ora va a ridursi perché è aumentata la quantità di lavoratori, mentre il paese H vedrà aumentare il proprio salario reale.
Questa situazione va avanti finché non verrà annullata la differenza salariale. A queste condizioni, non c’è nessun
incentivo per i lavoratori in H a muoversi in F e viceversa. È avvenuta una variazione di lavoro che ha fatto
convergere i salari.

Mobilità internazionale del lavoro


Nella realtà non è libera la circolazione delle persone, sono presenti barriere alla circolazione del lavoro quali politiche
di controllo all’immigrazione e una bassa propensione delle persone a spostarsi (legata ai costi di mobilità).
Ciò impedisce che il salario sia effettivamente uguale tra paesi: tuttavia si è registrata una convergenza dei salari reali
come previsto dal modello:
 La tabella 4.1 mostra che i salari reali nel 1870 erano molto più alti nei paesi di destinazione che in quelli di
origine dei flussi migratori. Il salario reale USA è immaginato come 100 e ha il ruolo di riferimento. Al di là
dell’anomalia del Canada, quello che ci aspettiamo in termini di convergenza si è verificato: i paesi che hanno
visto ridursi la forza lavoro hanno avuto una crescita molto accelerata del salario reale rispetto ai paesi di origine
della forza-lavoro;
 Fino alla prima Guerra Mondiale (1913), i salari sono aumentati molto più velocemente nei paesi di origine che in
quelli di destinazione.
I flussi migratori hanno causato effettivamente una convergenza (seppur non completa) nei salari.
Vediamo che all’inizio del XX secolo la percentuale di immigrati negli USA è aumentata drasticamente per la vasta
immigrazione. Forti restrizioni all’immigrazione sono state introdotte negli anni ‘20, anche a seguito della Grande
Depressione. Negli anni ‘60 gli immigrati erano una minoranza sulla scena americana, successivamente una nuova
ondata di immigrazioni iniziò intorno agli anni ‘70, principalmente dall’America Latina e dall’Asia.
Nel 2014 i lavoratori stranieri rappresentavano il 13% della forza lavoro statunitense. L’andamento del grafico 4.14
non è monotona, ma rappresenta una sorta ci ciclicità nell’andamento dei flussi stessi.
Popolazione straniera e statunitense sopra i 25 anni per livello di istruzione.
Figura 4.15. Sull’asse a sx abbiamo la popolazione immigrata o statunitense sopra i 25 anni di età espressa in milioni.
A dx abbiamo invece la % di stranieri rispetto agli statunitensi. In basso ci sono gli anni di scolarità, dove la colonnina
a sx rappresenta gli stranieri, mentre la colonnina chiara rappresenta gli statunitensi. Per ogni classe si fa il rapporto
fra gli stranieri e gli statunitensi impiegati. La linea rappresentata quindi sta a raffigurare l’andamento della
percentuale degli stranieri rispetto agli statunitensi impiegati. Osserviamo che gli stranieri si concentrano
maggiormente negli ambiti che richiedono il maggiore e il minore livello di istruzione. Il fatto che la stragrande
maggiornaza dei lavoratori stranieri si concentri sui lavori meno qualificati, per i quali i salari (già bassi) si abbassano
ulteriormente, con implicazioni molto serie in termini di politica commerciale e di restrizione all’immigrazione.
→ Ricapitolando:
La nuova ondata migratoria è stata composta principalmente di lavoratori con livelli di educazione molto bassi.
Questo ha fatto aumentare l’offerta relativa di lavoratori poco istruiti. Ciò ha favorito l’aumento delle disuguaglianze
salariali tra lavoratori poco istruiti e lavoratori molto istruiti.
La fascia di istruzione medio-alta è quella che subisce meno la pressione migratoria, perché c’è molta meno
competizione.

Le migrazioni in Europa.
Secondo le Nazioni Unite nel 2010 gli immigrati nel mondo erano circa 14 mln (3,1% della popolazione mondiale).
Gli Stati Uniti erano la prima nazione (42,8 mln di immigrati), seguiti dalla Federazione Russa (12,3 mln) e dalla
Germania, con uno stock di immigrati in Europa di circa 60 milioni.
Prima del 1914 le migrazioni europee erano verso le Americhe e l’oceania. Dopo la Seconda Guerra Mondiale le
migrazioni avvengono dal Sud verso i paesi dell’Europa del Nord e dell’Ovest. Successivamente, anche i paesi del
Sud Europa iniziano a diventare destinazione di flussi migratori provenienti principalmente dall’Africa e dall’Asia.
Paesi piccoli con strutture finanziarie di rilievo attirano molti lavoratori transfrontalieri, ad esempio Lussemburgo e
Svizzera.
I tassi elevati in termini di % di immigrati li osserviamo in Francia, Belgio e Regno Unito.
Nel 2000 vediamo un ulteriore incremento di immigrati in Francia Belgio e Olanda, mentre il regno unito attraversa
una fase di stabilizzazione. Anche i paesi del nord europa iniziano ad attrarre grandi flussi migratori; e
successivamente il sud dell’Europa vede un forte incremento di immigrati soprattutto nordafricani e asiatici.
Con questo si conclude l’analisi del modello a fattori specifici, che va a rimuovere alcune delle ipotesi molto forti di
Ricardo, tra cui:
1. La presenza di un unico fattore produttivo
2. Il fatto che il lavoro abbia rendimenti fattoriali costanti
3. Il fatto che non ci siano implicazione sulla distribuzione del reddito
Abbiamo visto che quelli che sono effetti ovvi in termini di guadagni dal commercio internazionali, osserviamo effetti
controversi, in particolare mentre il fattore mobile ha un effetto ambiguo in termini di benessere, mentre gli altri fattori
hanno vantaggio o svantaggio a seconda di quale sia il fattore specifico del settore che compete con le esportazioni e
viceversa.
Esistono dei motivi che vengono addotti dalle politiche commerciali che possono dire di no all’apertura dei confini e
alla libera concorrenza, ovvero il rischio nel breve periodo di grossi aumenti di disoccupazione, per esempio.
In realtà, nel prossimo capitolo vedremo che il commercio internazionale può avere delle conseguenze e delle
implicazioni più di lungo periodo, che possono essere delle motivazioni per i fautori del protezionismo per evitare che
ci sia un libero scambio di beni tra paesi diversi.

Capitolo 5. Risorse e commercio: il modello di Heckscher-Ohlin.

Analizzeremo un modello che considera come ause del commercio internazionale le differenze di dotazione di risorse
tra Paesi, e non solo i diversi livelli di tecnologia, come visto da Ricardo.
Ci muoviamo partendo dall’ipotesi che i paesi abbiano gli stessi livelli di produttività del lavoro. Ipotizzeremo che
tutti i fattori produttivi saranno mobili tra settori, allora i problemi saranno più strutturali.
I vantaggi comparati sono dati dall’interazione tra le risorse disponibili tra paesi e le tecniche di produzione che ci
dicono qual è l’intensità relativa con cui i fattori sono utilizzati tra i veri settori (interazione tra abbondanza e
intensità).

Introduzione.
Sebbene il commercio sia in parte spiegato dalle differenze nella produttività del lavoro, esso dipende anche dalle
differenze nelle dotazioni di risorse fra paesi.
Il modello Heckscher-Ohlin, o teoria della proporzione dei fattori, afferma che differenze internazionali nelle
dotazioni di lavoro, qualifiche lavorative, capitale fisico e terra (fattori di produzione) creano differenze produttive che
spiegano perché esiste commercio.
I paesi hanno diversa abbondanza relativa dei fattori di produzione (quanto lavoro, quanta terra e quanto capitale è
presente in un paese rispetto all’altro) e i processi produttivi utilizzano fattori di produzione con intensità relative
diverse.
È detto modello 2x2x2, perché considera 2 Paesi H e F, 2 beni (stoffa e cibo), due fattori della produzione (lavoro e
capitale).
L’offerta di lavoro e di capitale in ciascun paese è costante e varia fra paese. Sia lavoro sia capitale possono muoversi
liberamente fra settori, implicando che andranno ad uguagliarsi i rendimenti del determinato fattore di produzione (la
remunerazione del capitale, ad esempio, deve essere uguale fra i settori).

Quale quantità di ogni bene produce l’economia?


Dobbiamo fare una scelta su dove applicare il lavoro e dove applicare il capitale, mentre nel precedente modello a
fattori specifici il fattore terra e il fattore capitale erano destinati rispettivamente al settore cibo e al settore stoffa e ciò
non era oggetto di scelta, qui invece si tratta proprio di una doppia allocazione
La funzione di produzione della stoffa e del cibo sono così definite:
Qs=Qd(Ks,Ls)
Qc=Qc(Kc,Lc)
Con K stock di capitale totale, L forza lavoro totale.

Possibilità produttive
La frontiera delle possibilità produttive non è più una retta perché ho più di un fattore produttivo.
Prima la frontiera era concava, con una PML decrescente e un costo-opportunità che variava in base alla quantità di
stoffa o cibo prodotta. Qui considero invece il caso in cui abbiamo due fattori produttivi (K e L), ma la possibilità di
impiegarli in una combinazione fissa, cioè per produrre cibo e stoffa K e L devono essere sempre combinati nello
stesso modo. Indipendentemente dal fatto che stiamo producendo con un costo del lavoro e del capitale più o meno
alto, sappiamo che ad esempio dobbiamo associare a 3 unità di capitale 1 unità di lavoro e tale combinazione deve
rimanere fissa.
Esempio numerico:
 K=3000
 L=2000
Utilizziamo una combinazione fissa di capitale e lavoro in ogni settore:
Nel settore stoffa...
 Aks=2, capitale impiegato per produrre un metro di stoffa. È il coefficiente di costo che misura quante ore
macchina sono necessarie per produrre un metro quadro di stoffa.
 Als=2, ore di lavoro necessarie per produrre un metro di stoffa
 Qs metri di stoffa richiedono 2Qs ore di K e 2Qs ore di L
Nel settore cibo...
 Akc=3, capitale impiegato per produrre una caloria di cibo;
 Alc=1 ore di lavoro necessarie per produrre una caloria di cibo;
 Qc calorie di cibo richiedono 3Qc ore di K e Qc ore di L.
Le possibilità produttive sono influenzate dalle quantità sia di lavoro sia di capitale necessarie a produrre un’unità di
bene:
Vincolo legato all’ammontare di capitale disponibile, che sarà
akc*Qc+aks*Qs ≤ K
Dove il primo addendo costituisce il capitale necessario a produrre cibo, il secondo il capitale necessario a produrre la
stoffa. Inoltre, per quanto riguarda l’ammontare di lavoro:
Alc*Qc+als*Qs ≤ L
K L
Stoffa 2 2
Cibo 3 1
Con in tabella i coefficienti di costo per produrre cibo e stoffa, K=3000, L=2000.
Dobbiamo considerare i coefficienti del lavoro col vincolo sul lavoro (2000) e i coefficienti del capitale col vincolo sul
capitale (3000). Allora si avrà la relazione:
Per il capitale
2Qs+3Qc ≤ 3000
Per il lavoro:
2Qs+Qc ≤ 2000
Allora Qc sarà:
Qc ≤ (3000/3)-(2/3)Qs
Qc ≤ 1000-(2/3)Qs (vincolo del capitale)
E per il lavoro avrò il vincolo:
Qc ≤ 2000-2Qs (vincolo del lavoro)
Si tratta di due rette che avranno come coefficiente angolare del vincolo di capitale -2/3 e come coefficiente angolare
del vincolo del lavoro -2.
Al di là dei vincoli non si può produrre: non solo in quelle in cui non vengono rispettati entrambi i vincoli, ma anche
quelle in cui uno solo dei due vincoli non viene rispettato. L’area in cui posso produrre sono quelle a sx di entrambe le
curve, perché rispettano entrambi i vincoli. Tuttavia per avere il massimo della produzione non mi muovo dentro
l’area, ma lungo i vincoli più interni, e la fpp sarà data esattamente dai tratti dei vincoli che rappresentano tratti che
appartengono ai vincoli ma sono compatibili con entrambi di essi.
Questi vincoli assomigliano molto alla fpp in Ricardo, che andavano a catturare il costo-opportunità, col problema
adesso che il costo-opportunità non è più costante, perché in una parte del grafico il costo-opportunità del produrre
cibo rispetto a stoffa apparterrà al vincolo del capitale, l’altra parte apparterrà al vincolo del lavoro.
In particolare, il costo opportunità aumenta all’aumentare della quantità di stoffa prodotta, perché man mano che
produciamo più stoffa, il costo di produrre un’unità in più di stoffa diventa maggiore. Finché siamo nel tratto in cui
rispettiamo il vincolo per il capitale allora la derivata rimane costante, ma oltre il punto di non derivabilità il costo-
opportunità varia direttamente da 2/3 a 2.

Dunque l’economia deve produrre rispettando entrambi i vincoli, cioè deve avere abbastanza capitale e lavoro.
In assenza di sostituibilità tra fattori, la funzione delle prossibilità produttive è determinata dai due vincoli di
produzione.
La fpp ci dice che il nostro valore massimo di cibo prodotto sarà uguale a 1000, perché quando la quantità di stoffa
prodotta è zero, al massimo riusciamo a produrre una quantità di cibo pari a 1000, così come la quantità di stoffa
quando il cibo è zero.
Mettendo a sistema i due vincoli con l’uguaglianza, andremo a trovare un Qs*=750 e un Qc*=500, come punto in cui
entrambe le risorse sono sfruttate in termini di capitale e lavoro.
In tal caso Kc= 3*500=1500, Lc=1*500=500; Ks=1500, Ls=1500. K=1500+1500=3000; L=500+1500=2000.
L’unico punto che non sottoutilizza le risorse è il punto 3 del grafico, perché non sottoutilizza né il lavoro
singolarmente né il capitale singolarmente.
Il costo-opportunità di produrre un metro in più di stoffa, in termini di cibo, non è costante (può valere 2/3 oppure 2).
Questo accade perché quando l’economia utilizza molte risorse per la produzione di un bene, la produttività marginale
di quelle risorse tende a diminuire e quindi il costo-opportunità aumenta.
La fpp costruita non permette la sostituibilità tra fattori nella produzione; se potessimo farlo, invece di aver eun costo-
opportunità costante nei due tratti, avremmo una frontiera curva quindi concava in cui il costo-opp. Varia muovendoci
da un punto all’altro, e non in modo discreto come appena esaminato.
La fpp ci dice cosa l’economia può produrre, non ciò che deciderà di produrre. Per capirlo ci serve sapere quali sono
Pc e Ps.
Infatti, l’economia produce in corrispondenza del punto che massimizza il valore della produzione, V. Esso è dato da:
V=Pc*Qc+Ps*Qs
Dove Ps è il prezzo della stoffa e Pc il prezzo del cibo.
La relazione rappresenta un valore V dato, e per ogni V avremo una retta di isovalore.
L’inclinazione dell’isovalore è -(Ps/Pc).
In questa relazione:
Qc=(V/Pc)-(Ps/Pc)*Qs
Ci rendiamo conto del fatto che, se V aumenta o diminuisce, il termine noto della retta aumenta o diminuisce.
Le rette di isovalore saranno via via più alte man mano che V aumenta. Queste rette, poste sul grafico della fpp, quale
combinazione Qs,Qc è ottimale.
Figura 5.3 Prezzi e produzione. Dati i prezzi relativi, massimizziamo i valori di produzione (dobbiamo andare nella
retta di isovalore più alta). I punti più bassi non sono ottimali perché noi possiamo produrre di più, finché non
troviamo la tangente (punto Q). Il costo opportunità nel punto Q coinciderà col prezzo relativo della stoffa rispetto al
cibo Ps/Pc.

La fpp riflette la possibilità di scegliere la combinazione di fattori produttivi necessaria a produrre stoffa e cibo.
Abbiamo visto in passato un caso in cui vi era la possibilità di avere una combinazione fissa di lavoro e capitale: la fpp
era fatta in 2 tratti, non era una curva. Però anche in questa situazione (figura 5.1) la nostra frontiera non è lineare e il
costo-opportunità non è costante, come in Ricardo, ma cambia da un tratto discreto all’altro.
Il punto di ottimo quando ho una combinazione fissa di lavoro e capitale è comunque data dalle rette di isovalore (e
quindi dai prezzi relativi). I prezzi relativi saranno compresi tra -2 e -2/3, perché in caso contrario la retta di isovalore
sarà troppo piatta o troppo ripida, e ci sarà una completa specializzazione del paese in Qc (troppo piatta) o in Qs
(troppo ripida).
Se il prezzo relativo è = -2/3 o -2, ci troviamo in una condizione in cui, tipo se ho -2/3 posso produrre o tutto cibo, o
una qualunque combinazione presente sulla frontiera prima del punto 3: ci troviamo in una situazione di indifferenza.
Se i prezzi relativi sono =-2, allora potrò produrre tutta stoffa oppure qualunque combinazione presente sulla frontiera
dopo il punto 3.
Allora non è ovvio che andremo a produrre nel punto 3! Ciò accadrà solo quando
-2 < -(Ps/Pc) < -2/3
La scelta della combinazione che verrà prodotta non è ovvia nemmeno nel caso di combinazione fissa dei fattori
produttivi: anche qui dipende dai prezzi relativi.

Scelta della combinazione dei fattori produttivi


I produttori possono scegliere diverse quantità dei fattori di produzione per produrre cibo e stoffa. La loro scelta
dipenderà dal costo dei fattori produttivi, in particolare dal rapporto fra due prezzi dei fattori: il salario, w, e il costo
(opportunità) di capitale, la rendita r.
All’aumentare del salario rispetto alla rendita, i produttori preferiranno utilizzare più capitale e meno lavoro nella
produzione di cibo e stoffa.

Combinazioni possibili di fattori produttivi nella produzione di cibo (isoquanto), figura 5.4
Consideriamo che il grafico rappresenti l’isoquanto relativo a un’unità di cibo prodotta. Sugli assi abbiamo la quantità
di capitale che serve a produrre un’unità di cibo. Sulle ascisse abbiamo il lavoro necessario a produrre un’unità di
cibo.
La curva raffigura le combinazioni di input che producono una caloria di cibo, ad esempio potremmo avere akc=6,
alc=4. Prima avevano una combinazione fissa di capitale e lavoro per un’unità di bene: ‘isoquanto ci dice che esistono
infinite combinazioni di capitale e lavoro per produrre la stessa quantità di cibo.
L’idea dell’isoquanto è che, dato che possiamo scegliere quanto K e quanto L inserire, sceglieremo in base al costo di
K e di L. Isoquanto vuol dire che tutti i punti della curva producono la stessa quantità.
Dato che l’isoquanto è inclinato negativamente, nel sento che all’aumentare di K posso impiegare meno L e viceversa.
Ciò ci permette di scegliere la combinazione K,L ottimale per la quantità di beni che vogliamo produrre (ci sono
infiniti isoquanti, uno per ciascun livello di produzione).
Per scegliere la combinazione ottimale andiamo a vedere il prezzo dei fattori, e lo raffiguriamo attraverso la curva di
domanda relativa dei fattori nel settore cibo. La quantità domandata non è una domanda di lavoro, ma una domanda
relativa dei fattori, che considera sulle ascisse il rapporto lavoro/capitale L/K e prezzo relativo del lavoro legato al
salario/rendita, w/r. Se il salario è molto alto rispetto alla rendita, cercherò di usare meno lavoro e più capitale
possibile e viceversa. Posso rappresentare nello stesso grafico anche la curva relativa al settore stoffa, che sarà
anch’essa inclinata negativamente. Interessante è notare che per ogni livello di w/r la quantità L/K impiegata nel
settore stoffa sarà sempre maggiore della corrispondente nel settore cibo. Ciò accade perché SS è collocata a destra di
CC. In altre parole, la produzione di stoffa è intensiva in lavoro. Ciò vuol dire che (L/K)s>(L/K)c.
Immaginiamo la situazione in cui, dato w/r:
K L
Stoffa 5 3
Cibo 16 6
L’intensità fattoriale la calcoliamo come rapporto L/K, che sarà 3/5 per la stoffa, 3/8 per il cibo.
3/5>3/8, dunque (L/K)s > (L/K)c, il settore cibo usa più lavoro del settore stoffa. La conseguenza dell’intensità
fattoriale del lavoro più forte, è che necessariamente il settore cibo deve essere intensivo in capitale (Basta che
capovolgo i rapporti, che diventano rispettivamente 8/3 e 5/3).
Quando c’è possibilità di avere sostituibilità di fattori, quindi combinazione di K e L variabile, ho una serie di
soluzioni disponibili che dipendono da w/r. Se non c’è sostituibilità dei fattori (ho una combinazione fissa di K e L), le
curve di domanda relativa dei fattori le avremmo rappresentate come due rette verticali, per le quali la quantità di L/K
nel settore cibo era data indipendentemente dal valore di w/r.

Relazione tra prezzi dei fattori e prezzi dei beni.


Ipotizziamo che non ci sia completa specializzazione in uno dei due settori, ci aspettiamo un prezzo relativo che
identifichi un punto della frontiera che non sia un punto estremo (sia Qc che Qs>0). In concorrenza perfetta il prezzo
di un bene è uguale al suo costo di produzione, che include sia il salario corrisposto ai lavoratori sia la rendita
corrisposta ai capitalisti.
Il settore intensivo del fattore lavoro risentirà di più di un aumento del salario, e viceversa il settore intensivo in
capitale risentirà di più di un aumento del fattore capitale e il prezzo del bene colpito di più ne risentirà di più. Le
variazioni di w/r sono direttamente correlate alle variazioni di Ps/Pc.
Consideriamo il caso visto, in cui il settore stoffa è intensivo il lavoro. Se w/r sale, il costo della produzione aumenta e
Ps/Pc sale.
Figura 5.6 Relazione del costo relativo della stoffa con il suo prezzo relativo. Dato che la stoffa è intensiva in L, se
w/r sale, il costo di S sale relativamente di più e Ps sale relativamente di più perché siamo in concorrenza perfetta e
costo e prezzo si muovono insieme.

Abbiamo dunque la relazione che ci dice che all’aumentare di w/r aumenta Ps/Pc, e il grafico di costo relativo w/r dei
fattori. Possiamo unire i 2 grafici ruotando il primo dei 2 di 90° verso sinistra, ottenendo il grafico della figura 5.7,
con w/r sulle ordinate. In corrispondenza di un prezzo (Ps/Pc)1 osserveremo (w/r)1, e un rapporto L/K (Lc/Kc)1 e
(Ls/Ks)2.
Se aumenta Ps/Pc, allora w/r a sua volta subisce un incremento, e sui mercati di cibo e stoffa andremo a ridurre la
quantità di lavoro impiegata in cibo e stoffa a favore della quantità di capitale, perché il salario rispetto alla rendita è
diventato relativamente alto. L/K sta scendendo in entrambi i settori. Ma anche in termini reali aumentano i salari reali
e diminuiscono i rendimenti reali.
Sappiamo che in un’economia concorrenziale sono pagati al loro prodotto marginale: W=P*PML, allora W/P=PML.
Avendo un altro fattore produttivo che è il capitale, tale relazione varrà anche per la remuneratività del capitale:
R=P*PMK, allora r/P=PMK.
Possiamo osservare che se facciamo il rapporto tra salario reale e rendimento reale troveremo che:
(W/P)/(r/P)=PML/PMK
Allora, semplificando osserviamo che PML/PMK aumenta.
Dato che in concorrenza perfetta l’effetto della riduzione della produttività marginale ha effetto sul salario reale,
possiamo dire che il salario reale aumenterà (W/P aumenta), sia che la rendita reale diminuità (r/P scende), e ciò
accade, come abbiamo visto, in entrambi i settori.

→ Quando i prezzi relativi aumentano, avviene una ricombinazione di lavoro e capitale tale per cui i lavoratori
vedono aumentare il loro reddito reale, i capitalisti vedono ridursi il loro reddito reale.
Qui non si tratta più di settori, perché non stiamo studiando il breve periodo in cui ci si può spostare da un settore
all’altro.

Prezzi dei fattori e prezzi dei beni


Se Ps/Pc sale allora w/r sale quindi entrambi i settori impiegheranno un minore L/K.
Se w/r sale allora sale il reddito relativo di lavoratori rispetto ai proprietari di capitale.
Aumentano i salari reali dei lavoratori e si riducono le rendite reali dei proprietari di capitale (rispetto a entrambi i
beni).
Infatti se Ps/Pc sale, L/K scende in entrambi i settori. Poiché w/Ps=PMLs con L che si riduce vedrà un aumento di
PMLs quindi il salario reale aumenta (viceversa per il capitale).
Variazoni di prezzi relativi Ps/Pc hanno effetti rilevanti sulla distribuzione del reddito: i proprietari di un
fattore guadagnano, gli altri perdono.
Questo enunciato ci porterà direttamente all’effetto Stalper-Samuelson.

Nel momento in cui apriamo i paesi al commercio internazionale, variano i prezzi relativi. Il legame fra prezzi relativi
è distribuzione del reddito è importante perché comporta una certa desiderabilità per i fattori produttivi interessati.
Risorse e produzione: l’effetto offerta di risorse su allocazione e fattori di produzione
Ci concentriamo sul ruolo che svolgono le risorse. Il modello H-O mette in relazione l’intensità fattoriale con
l’abbondanza relativa dei fattori. Per ora abbiamo studiato la parte relativa all’intensità fattoriale, ma non abbiamo
parlato del ruolo che riveste la variazione fattoriale.
Hp: L aumenta (K cost, L/K aumenta).
La relazione tra prezzi relativi e intensità fattoriale ci dice che per un dato livello di prezzi relativi avremo una data
intensità fattoriale o rapporto L/K, che non cambia se Ps/Pc resta invariato. Dato che il rapporto L/K è maggiore nel
settore stoffa rispetto al settore cibo, l’economia allocherà una maggiore quantità di lavoro rispetto al capitale nel
settore S che è più intensivo in L.
Stiamo dicendo che dato un certo livello dei prezzi relativi, sappiamo che dovremo produrre cibo e stoffa con una data
intensità fattoriale. Immaginiamo di avere un ammontare di lavoro e capitale totali L=3000 e K=2000. Immaginiamo
che, a seguito di uno shock, avvenga qualcosa ad L e L’ diventi 4000.
Allora L/K aumenta perché abbiamo maggiore intensità di forza lavoro. Se i prezzi non variano, L’/K deve restare
costante in entrambi i settori.
Come si assorbe la maggiore quantità di L?
Dato che L/K è maggiore in S che in C, l’economia allocherà più L e più K (per produrre più stoffa devo
accompagnare la maggiore quota di lavoro a una maggiore quota di capitale, che vado a togliere al settore cibo) nel
settore S che è più intensivo in L. Trasferendo fattori da C a S, l’economia produrrà più S e meno C.
Osserviamo un aumento nella dotazione del lavoro, allora dobbiamo investire necessariamente nel settore intensivo in
quel fattore. Non potendo stravolgere i rapporti L/K, l’unica cosa che possiamo variare è la quantità di stoffa prodotta,
togliendo capitale al settore cibo.

Qui ci interessa vedere cosa va a produrre un paese che ha una certa dotazione di L rispetto a K rispetto ad altri paesi
con diverse dotazioni di L e K. Assumiamo che i prezzi relativi restino fissi perché sono i prezzi relativi mondiali che
convergono all’apertura al commercio internazionale.

Variazioni nelle risorse (l’offerta totale di un fattore) influenzano l’allocazione tra settori e di conseguenza le quantità
prodotte. Quando una frontiera si sposta in modo sbilanciato verso un bene piuttosto che verso un altro, si verifica una
espansione distorta delle possibilità produttive (TT 2)
Un’economia tenderà ad essere relativamene efficiente nella produzione di beni intensivi nei fattori di cui è
relativamente ben dotata (effetto Rybczynksi).

Figura 5.8. Mi concentro sulla fpp (ci dice quanto produciamo data la quantità di fattori che abbiamo a disposizione)
già disegnata prima, per cui avevano disegnato la retta di isovalore. La nuova frontiera TT2 rappresenta un’espansione
della fpp in corrispondenza dell’aumento del fattore Lavoro. La nostra frontiera si è traslata verso destra. Si può notare
come però questa translazione verso destra della frontiera non è simmetrica, bensì vi è uno spostamento maggiore
rispetto alle ascisse rispetto alle ordinate. L’espansione distorta è legata al fatto che ho sottratto fattori al settore cibo
per produrre più stoffa.
Se immagino un’espansione parallela (non distorta) della frontiera, è perché ho avuto un’espansione non distorta di K
e L. A parità di prezzi relativi, andremo a produrre un quantitativo di S/C che in termini relativi resta uguale: il
rapporto fra nuovo livello di stoffa e nuovo livello di cibo resta uguale, la nostra offerta relativa di stoffa/cibo resta
uguale.
Quando l’espansione della frontiera è distorta, a parità di prezzi relativi (inclinazione), intercettiamo la frontiera in un
punto in cui stiamo producendo più stoffa di cibo (non necessariamente ridurremo la quantità di cibo, ma
relativamente produrremo più stoffa rispetto a cibo. Ciò perché abbiamo avuto un incremento nel lavoro
proporzionalmente maggiore rispetto all’incremento del fattore K, per cui l’espansione della frontiera è tale da
favorire il settore intensivo nel settore che si è espanso.

Questo può essere non solo il confronto temporale di una stessa economia, bensì anche un confronto tra paesi in cui la
frontiera TT1 sarà quella del paese F e quella TT2 sarà quella del paese H. Vedremo che il paese H, con maggiore
dotazione di lavoro, produrrà più stoffa, il bene intensivo in lavoro, mentre F produrrà più cibo, il bene intensivo in
capitale.

Effetti del commercio e struttura del commercio internazionale


Consideriamo i paesi H e F. Immaginiamo che abbiano le stesse preferenze (stesse domande relative) e stessa
tecnologia. Vi è però una diversa dotazione di risorse: il paese H è più dotato in lavoro rispetto al paese F. Il paese H è
relativamente abbondante in lavoro e il paese F è relativamente abbondante in capitale. Ricordiamo che questa
abbondanza è sempre relativa e mai assoluta: considero i rapporti L/K e non singolarmente gli stock di L e K. Grazie a
questa premessa, nessun paese può avere un’abbondanza relativa sia in L che in K.
In una situazione di commercio internazionale siamo esattamente nella figura 5.8. Dato che H è quello che ha
un’abbondanza relativa maggiore in lavoro sarà identificato nella frontiera TT2, e viceversa F. Allora, dato che la
stoffa è un bene intensivo in lavoro, la produzione relativa di stoffa nel paese H sarà relativamente maggiore rispetto a
quella del paese F.
Figura 5.9 In termini di offerta relativa, essa sarebbe più a destra e più in basso rispetto a quella del paese F.
Preso un qualsiasi prezzo relativo che vogliamo considerare, Qs/Qc in H sarà sempre maggiore di quella offerta da F.
Allora la curva di offerta relativa del paese H sarà necessariamente a destra rispetto a quella del paese F.
Allora, in caso di commercio internazionale avremo un prezzo relativo intermedio tra quelli domestici (punto 2). Nel
paese H avremo uno spostamento verso alto del prezzo, mentre nel paese F avremo uno spostamento verso il basso del
prezzo. La dotazione di risorse ci dice perché H parte con una dotazione relativa di stoffa maggiore che in F. Poiché i
prezzi internazionali andranno a dotarsi in mezzo, sappiamo cosa succede al reddito reale che arriva ai detentori di
forza lavoro e ai detentori di capitale.
Allora:
 Senza commercio: Ps/Pc minore in H;
 Con commercio c’è convergenza di Ps/Pc: dal capitolo precedente sappiamo che l’economia esporta il bene il cui
prezzo relativo aumenta: H esporterà stoffa e F esporterà cibo. Ciò accadeva perché quando il prezzo di un bene
aumenta, i produttori hanno incentivo a produrlo mentre i consumatori hanno meno incentivo a consumarlo. La
differenza tra quanto prodotto e quanto consumato viene esportata.

Siamo pronti ad enunciare il teorema di Heckscher-Ohlin:


Il paese che è relativamente abbondante di un fattore esporta il bene la cui produzione è intensiva in quel fattore.
H esporta stoffa perché è relativamente abbondante in L e perché la produzione di stoffa è intensiva in L.
I paesi tendono ad esportare i beni la cui produzione è più intensiva nei fattori che in quei paesi sono relativamente
abbondanti.
Tale teorema mette in relazione il commercio con l’abbondanza fattoriale dei paesi. Per quanto riguarda la
distribuzione dei redditi:

Commercio internazionale e distribuzione del reddito


Il fattore abbondante di un paese è quello di cui il paese ha una dotazione relativamente grande. Il fattore scarso di
un paese è quello di cui il paese ha una dotazione relativamente più piccola. Come conseguenza si ha il Teorema di
Stolper-Samuelson:
I proprietari dei fattori abbondanti traggono un beneficio dall’apertura del commercio internazionale, mentre i
proprietari dei fattori scarsi vengono danneggiati.
Abbiamo visto che la variazione dei prezzi relativi, variando w/r, determinava una variazione di L/K (più bassa,
perché gli imprenditori preferiscono il capitale al lavoro peché costa meno). Aumentano i salari reali dei lavoratori e la
remunerazione reale del fattore capitale si riduce.
I proprietari dei fattori più abbondanti (nel nostro caso i lavoratori che detengono L) traggono vantaggio dagli scambi
perché nel caso dei lavoratori ad esempio vedono un aumento del salario reale. Il prezzo della stoffa aumenta e questo
determina un aumento della PML e quindi un aumento del salario reale. I proprietari dei fattori scarsi (capitalisti)
vengono danneggiati.
Allora non c’è più chi sta meglio e chi sta peggio tra settori, ma tra fattori produttivi. I fattori che sono utilizzati in
maniera intensiva nel settore che compete con le importazioni sono danneggiati dal commercio indipendentemente dal
settore di produzione.
Dunque, nel paese H, che importa cibo, il fattore capitale (utilizzato in maniera intensiva nella produzione di cibo)
viene comunque danneggiato dal commercio indipendentemente dal fatto che sia impiegato in cibo o in stoffa.

Pareggiamento dei prezzi dei fattori


A differenza del modello di Ricardo, il modello di Heckscher-Ohlin prevede che il commercio pareggi i prezzi dei
fattori fra i paesi coinvolti negli scambi.
Il commercio porta al pareggiamento di prezzi relativi.
Poiché esiste una relazione diretta fra i prezzi relativi e i prezzi dei fattori, a parità di tecnologia, il commercio porta
anche al pareggiamento dei prezzi dei fattori.
Figura 5.6. Non c’è completa specializzazione, vuol dire che il prezzo sia in termini relativi ma anche in termini
assoluti sono uguali nei due paesi.
Nella realtà questo pareggiamento nel prezzo dei fattori e nel prezzo dei beni non è verificato e ciò ha delle
implicazioni.
 Il modello assume che i paesi abbiano le stesse tecnologie, ma tecnologie differenti possono influenzare la
produttività dei fattori e i salari/rendite pagati a questi ultimi;
 Il modello ignora anche le barriere commerciali e i costi di trasporto che possono impedire il pareggiamento dei
prezzi dei beni e quindi dei fattori
 Anche se tutti i paesi utilizzassero le stesse tecnologie e fronteggiassero gli stessi prezzi dei beni, il
pareggiamento dei prezzi dei fattori dipenderebbe dall’ipotesi che i paesi producano lo stesso insieme di beni, e
cioè se i paesi implicati hanno dotazioni dei fattori simili
Dovremmo avere non solo una convergenza dei prezzi relativi, ma anche dei prezzi assoluti dei beni. Ciò condurebbe
un’uguaglianza non solo di w/r per la relazione vista, ma anche un pareggiamento dei costi dei fattori assoluti.
Se assumo che i paesi abbiano le stesse tecnologie, così che valga la regola che dice che w=P*PML, r=P+PMK,
dunque P è uguale in maniera assoluta tra i fattori. In realtà l’ipotesi di produttività marginale uguali tra paesi non
esiste, per via dei fattori sopra elencati.
Analogamente, paesi diversi non producono lo stesso paniere di beni, anche per una questione di economie di scala, ad
esempio nella produzione di aerei, ma anche per una questione di risorse produttive.
Infatti, da un confronto salariali nei vari paesi nel settore manifatturiero osserviamo la divergenza ad esempio tra
Norvegia e Filippine, che sottolinea come l’hp della convergenza dei prezzi di fattori non è verificata.
In merito alla distribuzione del reddito...
Abbiamo detto di avere mobilità di lavoro e capitali nel lungo periodo, e che avremo degli effetti distributivi molto
diversi rispetto al modello a fattori specifici, in cui avevano osservato il problema temporaneo della differenza
salariale tra settori.
Andremo adesso a vedere gli effetti del commercio internazionale sul salario reale di lavoratori più e meno qualificati.
Da un punto di vista empirico:

Commercio Nord-Sud e disuguaglianza salariale


Dagli anni ‘70 paesi emergenti esportatori di paterie prime iniziano a vendere manufatti a paesi avanzati.
Prodotti importati ed esportati da paesi avanzati però hanno diversa intensità fattoriale: paesi emergenti esportano
prodotti low tech (L) intensivi in lavoro unskilled (U), paesi avanzati esportano beni high tech (H) intensivi in lavoro
skilled (S).
Abbiamo osservato che negli anni si è assistito a un progressivo aumento tra lavoro qualificato S e lavoro non
qualificato U.
Qual è la ragione di questo aumento della disuguaglianza salariale? È colpa del commercio con paesi più abbondanti
in forza lavoro unskilled?
Secondo il pareggiamento nel costo dei fattori, ci aspettiamo che se aumenta il prezzo dei beni H rispetto a quelli L,
allora il salario dei lavoratori qualificati aumenta rispetto a quella dei lavoratori U, e dunque il rapporto aumenta.
Figura 5.10. Possiamo catturare la disuguaglianza salariale tramite il rapporto wS/wU. Quando questo rapporto sale,
aumenta la disuguaglianza salariale. Possiamo osservare un incremento nel prezzo relativo dei fattori (non più w e r,
ma qui ho due fattori lavoro, uno qualificato e uno non qualificato), che abbiamo visto che aumentare all’aumentare
del prezzo intensivo del bene H, quello intensivo nel lavoro skilled S.
Quando aumento il prezzo relativo di un bene, osserviamo che aumenta il prezzo relativo del fattore impiegato nel
bene il cui prezzo relativo aumenta. Dunque se aumenta Ph/Pl, ciò determinerà l’aumento di wS/wU, e ciò si riflette
sull’occupazione relativa perché per i produttori conviene di più produrre utilizzando di più il fattore che costa meno,
cioè il lavoro unskilled. Stiamo dunque dicendo che se aumenta il prezzo relativo dei beni high tech rispetto a quelli
low tech, aumenterà il salario dei lavoratori in S rispetto a quello dei lavoratori in U, che si rifletterà in un impiego
minore del lavoratore skilled rispetto al lavoratore unskilled. Allora abbiamo un’intensità fattoriale del lavoratore
skilled su quello del lavoratore unskilled in riduzione.

Così possiamo attribuire al commercio internazionale la disuguaglianza salariale. Vediamo se nei dati osserviamo
l’aumento dei prezzi high tech rispetto ai prezzi dei beni low tech.
L’evidenza empirica sembra rigettare questa supposizione, quella dell’aumento di Ph/Pl. Nei paesi emergenti deve
essere avvenuto che Ph/Pl è sceso, dunque dovremmo osservare che wS/wU è sceso, invece è aumentato. La
disuguaglianza salariale è aumentata anche in quei paesi emergenti in cui in realtà la direzione di variazione dei prezzi
relativi dovrebbe essere opposta a seguito dell’apertura al commercio internazionale.
Emerge che per osservare un aumento della disuguaglianza salariale come quello che si osserva negli USA
bisognerebbe osservare un commercio internazionale tra USA e paesi emergenti molto molto più elevato di quello che
si osserva realmente. Dunque non è plausibile che la disuguaglianza salariale sia generata dal vatto che gli USA
commerciano con paesi in cui c’è molto lavoro unskilled.
Una spiegazione alternativa può discostarsi da quella legata al commercio internazionale.
L’ipotesi alternativa è riconosciuta nel progresso tecnologico skill-biased, un progresso tecnologico che è facilitato
dalla presenza di una forma di lavoro qualificata. La diffusione del progresso stesso dipende in modo cruciale dalla
presenza di lavoratori qualificati. Dunque, anche a parità di prezzo, i produttori saranno propensi a concedere un
salario più alto ai lavoratori skilled perché rendono più produttivo il processo e il progresso tecnologico. Osserveremo
una disuguaglianza salariale anche a parità del prezzo relativo del bene high tech rispetto al bene low tech.
Il fatto di avere un progresso tecnologico skill-biased transla la curva di domanda di lavoro: con una capacità diversa
della forza lavoro di filtrare il progresso tecnologico all’interno del processo produttivo, avremo uno spostamento
della domanda dei lavoratori qualificati sia nel settore H che nel settore L. La curva di domanda di lavoro si trasla a
favore del lavoro skilled e a seguito dell’incremento salariale entrambi i settori si troveranno ad adottare delle tecniche
più a favore del lavoro skilled, sia in H che in L la curva si trasla verso destra (quella di H si sposta di più di L ma
comunque si spostano entrambe).

Questo tipo di spiegazione può trovare riscontro nei dati?


Dovremmo trovare che a fronte di un aumento salariale, ws/wu dovrebbe aumentare, ma a favore dei settori
tecnologicamente più avanzati.
Figura 5.11. Rappresenta l’evoluzione del rapporto dei lavoratori non manuali e i lavoratori manuali negli USA in 4
gruppi di settori. Sulle ascisse abbiamo il tempo, sulle ordinate la frazione di lavoratori non manuali su lavoratori
manuali: rappresentiamo esattamente S/U in tutti i 4 grafici.
I grafici sono ordinati in base a quanto tecnologicamente avanzato è un settore, in base a quanto è intensivo il lavoro
qualificato.
Il primo grafico si riferisce a un settore low tech, in cui prevale l’impiego di lavoro manuale.
Il secondo prevede un settore con qualifica medio bassa, fino ad arrivare al settore 4 che è ad alta tecnologia.
Sulla scala delle ordinate notiamo delle frazioni più basse, fino ad arrivare nel quarto settore a un massimo di 1
nell’ultimo grafico.
Possiamo notare che nel tempo osserviamo che il rapporto S/U sale, con delle oscillazioni più o meno forti, ma
aumenta in tutti i settori. E’ quello che ci aspettiamo dal progresso tecnologico skill-biased. L’incremento è
particolarmente forte ovviamente nel settore 4, in cui passa dal 60% al 90%.
Questa figura quindi sembra suggerire che l’hp che sia il progresso tecnologico skill-biased ad aver determinato la
disuguaglianza salariale più che l’apertura al commercio internazionale.
Tuttavia il dibattito è ancora aperto, perché la scelta dei metodi di produzione non è esogena, ma endogena. Vuol dire
che la scelta dei metodi di produzione da parte delle imprese è influenzata dal fatto che i paesi siano aperti al
commercio internazionale. Il problema è che il fatto di aprire l’economia al commercio può generare un diffuso
cambiamento tecnologico, che induce le imprese a migliorare il proprio contenuto tecnologico.
La presenza del commercio può aver determinato la disuguaglianza salariale, perché le imprese si comportano così per
via dell’apertura del commercio internazionale che ha accelerato il progresso tecnologico. Dunque il commercio
internazionale avrebbe influito indirettamente sulla disuguaglianza salariale.
Un altro esempio è legato all’outsourcing estero: dato che i salari dei lavoratori manuali sono più bassi in Messico,
gli Usa sono spinti a spostare le proprie sedi che si affidano a lavori unskilled all’estero. Dalla prospettiva statunitense,
lo spezzettamento del processo produttivo riduce la domanda relativa di lavoratori poco qualificati negli USA.
Ovviamente abbiamo che questo progresso tecnologico skill-biased può essere ricondotto a questa apertura
tecnologica e all’investimento estero.
Tuttavia, mettere limitazioni al commercio per evitare le innovazioni tecnologiche, è problematico perché le
innovazioni portano consistenti guadagni aggregati al paese stesso. Gli economisti preferiscono politiche che
investano nel lungo periodo per facilitare la diffusione delle conoscenze nel lungo periodo.
Per concludere: una maggiore apertura al commercio estero e all’investo estero può portare a progresso tecnologico
skill-biased e quindi disuguaglianza salariale.

Andremo a vedere come l’evidenza empirica come il modello di H-O trova conferma o viene smentito dai dati.

Evidenza empirica sul modello di Heckscher-Ohlin: il paradosso di Leontief


Il commercio di beni dovrebbe essere sostituito con il commercio di fattori (è dato dalle differenze di fattori tra paesi).
Allora il commercio di beni tra paesi dovrebbe incorporare queste differenze fattoriali. Nel momento in cui H e F
commerciano tra loro, scambiano tra loro indirettamente come se scambiassero i propri fattori produttivi. H non vende
direttamente il proprio lavoro, ma ad esempio scambia beni con un alto rapporto Lavoro/Capitale con beni con basso
rapporto L/K. Quindi H è come se esportasse indirettamente lavoro, esportando beni intensivi in lavoro, e viceversa
così F esporta indirettamente in capitale.
Ciò è legato all’uguaglianaza del prezzo dei fattori in qualche modo. L’idea è che nel momento in cui esportiamo e
commerciamo beni, ci aspettiamo che abbiano prezzi uguali. Se esportare beni è come esportare fattori produttivi,
anche il prezzo dei fattori (salari) dovrebbe essere eguagliato fra paesi. Come sono stati effettuati i test empirici sul
modello di H-O?
Gli Usa rappresentano un caso tipico in cui si poteva osservare un’abbondanza di capitale rispetto al lavoro molto
forte. Tuttavia ciò non avviene: nel 1953 Leontief trovò che gli USA esportavano beni meno intensivi in capitale che
in lavoro, e ciò venne chiamato paradosso di Leontief.
Tabella 5.2. Guardando le prime 2 righe ci rendiamo conto che anche nei primi anni ‘60 il paradosso di Leontief era
ancora intatto. Ci aspetteremmo per H-O che gli USA esportino più beni ad alta intensità di capitale: i beni importati
in capitale sono invece più che in quelli importati. Per quanto riguarda il lavoro, la quota esportata è maggiore di
quella importata.
Il rapporto K/L dei beni importati è maggiore del rapporto di K/L dei beni importati.
Vediamo però che gli USA esportano beni in cui il grado di intensità di lavoro qualificato (quarta riga, quantità di anni
di formazione della forza lavoro, priodo medio di istruzione) è più elevato; oltre ad essere più elevato il contenuto
tecnologico (quinta riga della tabella, proporzione di ingegneri e scienziati).
È possibile che il paradosso di Leontief metta in crisi il modello di H-O e poi ci siano dati in controtendenza?
Studio del 1987, estende le hp di Leontief a 27 Paesi e 12 fattori produttivi. Per valutare l’abbondanza dei fattori
hanno confrontato la dotazione del paese di un fattore con la quota di Pil mondiale del Paese stesso.
Gli autori vanno a controllare tutte le volte in cui è vero che un paese relativamente più dotato di un fattore produttivo
è un esportatore netto in quel fattore (test del segno, se è vero mettono + se non è vero metto -). Il risultato che
ottengono è del 61% vero (molto basso). Questi risultati ci dicono che il paradosso di Leontief non è un caso isolato,
legato alla specificità degli USA.
Il test è molto impegnativo, dato che la teoria ha hp molto forti (come l’hp di parità salariale, tecnologia comune fra
paesi).

Il commercio mancante
Un punto che fece l’economista Ttrefler degli anni ‘90: il modello di H-O può essere usato per fare delle previsioni sul
volume di commercio di un paese sulla base delle differenze della dotazione fattoriale di quel paese rispetto al resto
del mondo. Se ha una dotazione fattoriale molto diversa, ci aspettiamo che scambi molti beni: in realtà emerge che il
commercio indiretto di fattori (commercio internazionale) è molto più limitato di quanto non sia previsto dal modello
di H-O.
Se gli USA rappresentano il 25% del reddito mondiale ma solo il 5% dei lavoratori mondiali, allora la nostra teoria
dovrebbe far sì che non solo gli USA dovrebbero importare beni ad alta intensità di lavoro, ma con flussi molto
abbondanti perché la dotazione relativa di lavoratori USA rispetto al resto del mondo non è così elevata come previsto
dalla teoria di dotazione tra fattori.
Allora Trefler mette in evidenza che un’hp forndamentale che determina il commercio mancante nel modello H-O è il
livello tecnologico. Il problema è che i lavoratori non possono essere confrontati così come sono nei vari paesi: se
ogni lavoratore usa vale il doppio degli altri in termini di produttività, allora dobbiamo tenere conto che il lavoratore
di per sé non è confrontabile con altri lavoratori, di conseguenza questo squilibrio nelle dotazioni fattoriali viene ad
attenuarsi.
Tabella 5.3. Efficienza tecnologica stimata
Viene preso un campione di paesi e viene normalizzata a 1 l’efficienza tecnologica Usa. La tabella ci dice che, ad
esempio, un lavoratore del Bangladesh ha efficienza di circa 3% di un lavoratore Usa.

Un lavoro del 2001 ha poi mostrato che se si rimuovono successivamente le hp più forti e poco realistiche del modello
H-O allora le hp del test del segno si allineano molto meglio con la predizione del modello e edanno risultati coerenti
coi dati.
Tabella 5.4 Vengono messe in linea le 3 ipotesi escluse dal modello e vengono misurati le previsioni corrette del
modello H-O e il commercio mancante.
Più ci avviciniamo ad 1 in entrambi i casi, più ci stiamo avvicinando alle ipotesi del modello.
Quando rimuoviamo tutte le 3 ipotesi, osserviamo che il test del segno dà risultati molto soddisfacenti (sembra quasi
che i paradosso di Leontief sia diventato un’anomalia) e il commercio mancante rappresenti circa il 70% di quello
previsto.
Quando rimuoviamo le 3 ipotesi molto restrittive possiamo osservare un riscontro molto positivo dei dati.

Struttura delle esportazioni tra paesi sviluppati e in via di sviluppo: analisi cross-country
Nel grafico confrontiamo 3 Paesi sviluppati e 3 PVS analizzando 4 gruppi di settori. Osserviamo che i PVS perlopiù
esportano beni con bassa intensità di lavoro qualificato, mentre i paesi sviluppati esportano perlopiù beni ad alta
intensità di lavoro qualificato.
Allora si porta avanti l’analisi anche a livello temporale: nel caso della Cina, prima la quota di esportazione negli Usa
era di lavoro poco qualificato, ma col passare del tempo e la crescita della Cina aumenta la percentuale di beni
esportati ad alta intensità di lavoro qualificato.

Capitolo 7. Le economie di scala esterne e la localizzazione della produzione

I modelli visti finora giustificavano il commercio internazionale sulla base dei vantaggi comparati.
In questa parte analizzeremo dei modelli che vanno a considerare l’altra motivazione che giustifica il commercio
internazionale: i rendimenti di scala, che rendono vantaggiosa la produzione in un paese di una gamma limitata di beni
e servizi.
Finora abbiamo considerato mercati perfettamente concorrenziali, in cui non vi erano interessi monopolistici. In
presenza di rendimenti crescenti possiamo essere in presenza di imprese in condizioni di monopolio, oligopolio o
anche tante imprese che però godono di potere di mercato (concorrenza monopolistica).
Anche nel caso in cui esistano economie di scala, non sempre siamo in presenza di concorrenza imperfetta, ma
possiamo anche essere in presenza di economie esterne.
Consideriamo tra le ragioni del commercio internazionale le economie di scala o rendimenti crescenti:
 Economie di scala interne, in cui i rendimenti crescenti saranno relativi alle singole imprese, quindi avremo
situazioni non concorrenziali
 Economie di scala esterne, in cui è il settore che ha necessità di concentrarsi in distretti industriali per ridurre i
costi di produzione
I modelli considerati erano caratterizzati da rendimenti di scala costanti o addirittura decrescenti (i rendimenti
fattoriali erano decrescenti, in particolare). In quel contesto però di sicuro non si parlava di rendimenti crescenti.
Per rendimenti di scala, osserviamo che la produzione è tanto più efficiente quanto più è grande la scala produttiva:
Quando raddoppiano gli input, la produzione più che raddoppia.
Possiamo dire che per produrre una certa quantità di output ci servirà una quantità media di lavoro inferiore, e quindi
costi medi inferiori. Se un output triplica, i fattori devono meno che triplicare.
Tabella 7.1 Mettiamo in relazione input (fattori produttivi) e produzione. Abbiamo in tabella input crescenti, ma i
rapporti tra input e produzione partono da 2 quando la produzione è bassa, mentre la quantità necessaria di input per
produzione si riduce all’aumentare delle unità produttive prodotte.
Quando aumentiamo la scala, avremo dei costi medi decrescenti.

Per capire perché ciò offre un incentivo al commercio internazionale, immaginiamo che esistano 2 paesi che
producono ciascuno 10 unità di bene (2° riga), quindi servono 15 ore lavoro. Da una prospettiva mondiale, avremo
bisogno di 30 ore di lavoro per produrre 20. Se tutta la produzione fosse concentrata in un unico paese quindi
verrebbero impiegate 30 ore di lavoro da un unico paese, che, osservando la tabella, produrrebbe 25 unità del bene (5
unità in più che senza commercio).
Allora, per poter espandere la produzione di alcuni beni, gli USA devono rinunciare alla produzione di altri beni, che
verrebbero dunque prodotti da UK.
Per espandere le economie di scala bisogna dunque ridurre la quantità di beni prodotta in un paese.

Economie di scala e struttura di mercato


Ci concentreremo qui su economie di scala esterne, in cui i costi unitari abbattuti dipendono dalla dimensione del
settore, non dalla dimensione dell’imprese.
La bipartizione tra economie esterne ed economie interne è direttamente connessa anche alla struttura di mercato,
perché un settore dove ci sono economie esterne (non è che la singola impresa al suo interno produce tanto) sono
presenti tante piccole imprese che operano in regime di concorrenza perfetta. Per quanto riguarda le economie di scala
interne ho concorrenza imperfetta in cui le grandi imprese hanno un vantaggio di costo sulle piccole.

La teoria delle economie esterne


Vi sono molti esempi attuali di industrie dove sembrano operare potenti economie esterne.
 In Italia troviamo distretti industriali specializzati in attività legate ai settori tradizionali (Prato per il tessile,
Montebelluna per il calzaturiero, Sassuolo per i prodotti in ceramica) e ad alcuni comparti della meccanica (per
esempio Treviglio per le macchine agricole)
 Negli USA vi sono l’industria dei semiconduttori nella Silicon Valley, l’industria delle banche d’investimento
concentrata a NY, l’intrattenimento ad Hollywood
 In Cina esistono distretti industriali molto sviluppati. Immaginiamo che in una singola città della Cina è
concentrata una grande produzione di biancheria intima, un’altra di accendini...
 In India a Bangalore si è sviluppato molto il settore informativo...
Questi gruppi di imprese, detti cluster, si sono diffusi perché così risultano più efficienti per la riduzione dei costi di
produzione.
Ciò può essere vantaggioso anche se le singole imprese coinvolte sono piccole: ciò fa riferimento alla teoria dei
distretti industriali di Alphred Marshall. All’epoca di Marshall, anche in Inghilterra erano famosi i distretti industriali,
ed egli giustificò tale scelta per 3 ragioni:
1. Capacità del cluster di attirare fornitori specializzare
2. Generare un bacino di lavoratori che abbiano qualifiche adeguate
3. La capacità di promuovere lo spillover di conoscenza.

Primo fattore: Servizi e attrezzature specializzate possono essere necessarie alla produzione del settore, ma vengono
forniti dalle altre imprese solo se il settore è grande e concentrato.Quando abbiamo un gruppo localizzato di
imprese, questo può costituire un mercato abbastanza ampio per i fornitori specializzati, che decidono dunque di
localizzarsi lì. Per esempio, nella Silicon Valley in California c’è una grande concentrazione di imprese produttrici di
microchip, che sono rifornite da imprese che producono macchinari speciali necessari alla loro realizzazione. Questi
macchinari sono meno costosi e più facilmente reperibili per le imprese della Silicon Valley che per quelle di qualsiasi
altra regione. Così le imprese avanzate che vogliono entrare nella produzione di semiproduttori non deve produrre da
sé beni intermedi, che sono direttamente reperibili da altre imprese nalla Silicon Valley.
Secondo fattore. Concentrazione del mercato del lavoro che ha delle qualifiche necessarie allo sviluppo del bene
del distretto stesso o del servizio: tale concentrazione è vantaggiosa sia per produttori (che corrono meno rischi di non
avere manodopera sufficiente) che per lavoratori (che rischiano meno di essere disoccupati)
Terzo fattore. Spillover di conoscenza: è molto importante che la conoscenza possa essere attinta dal lavoratore
stesso. Ciò accade imparando dai concorrenti, facendo ricerca e sviluppo, facendo scambio informale di informazioni
e di idee che avviene a livello personale. Questo flusso di informazioni rende più facile restare sulla frontiera
tecnologica alle imprese della Silicon Valley rispetto a imprese che sono localizzate altrove.

Economie esterne ed equilibrio di mercato


La forza delle economie di scala dipende dalla dimensione dell’industria: a parità di condizioni, più grande sarà il
settore, più forti saranno le economie di scala esterne (minori costi medi di produzione).
L’esistenza di costi medi decrescenti possiamo dimostrarla in termini di equilibrio di mercato: la curva di domanda è
influnata neg, la curva di offerta pos. In presenza di economie di scala, la curva di offerta è atipica: inclinata
negativamente. Maggiore è l’output del settore, minore sarà il costo medio di produzione, allora le imprese saranno
disposte a vendere i loro prodotti a un prezzo più basso.
Quindi abbiamo domanda decrescente e curva di costo medio (offerto) decrescenti. Sembra che non ci sia niente di
rilevante nell’equilibrio, che è sempre determinato dall’intersezione di domanda e offerta. In realtà cambia tutto
all’apertura al commercio internazionale.
Esempio. Consideriamo un bene specifico (bottoni), un bene omogeneo in termini di qualità tra paesi, e immaginiamo
di confrontare il commercio in Cina e USA. Sia in Cina che in USA i prezzi e la produzione sono determinati
dall’intersezione tra curva di domanda e offerta nei paesi.
Figura 7.2 Siamo in una situazione in cui la Cina ha un prezzo di equilibrio minore. Il settore cinese dei bottoni,
all’apertura del commercio internazionale ci sarà una progressiva riduzione del costo medio in Cina e un aumento
negli USA. Alla fine ci attendiamo che tutta la produzione dei bottoni si concentrerà in Cina: tutta la domanda
mondiale Dw verrà soddisfatta dalla Cina: il prezzo dei bottoni diminuisce ulteriormente, il prezzo dei bottoni di
equilibrio è minore di quello iniziale (figura 7.3). Il prezzo P2 è < P1 (autarchia) < Pusa (in autarchia). Il prezzo è
inferiore a entrambi i prezzi autarchici, una conclusione molto diversa a quella dei modelli precedenti, in cui i prezzi
relativi convergevano.
Alla fine, a seguito dell’apertura al commercio internazionale si osservava un aumento della produzione in H e una
riduzione in F.
Con la presenza di economie di scala esterne, il commercio consente di abbattere ulteriormente i costi medi
concentrando tutto in un unico luogo.

Economie esterne e commercio internazionale


Qual è la fonte del vantaggio iniziale (cinese) nella produzione di bottoni?
La risposta può essere trovata nel vantaggio comparato, cioè differente sottostanti di tecnologia e risorse.
Allo stesso modo ci possono essere motivi validi per cui la produzione di bottoni è concentrata in Cina: è un bene
intensivo in lavoro poco specializzato, il lavoratore guadagna molto poco. A volte queste giustificazioni non bastano
però, e giustificano solo in parte la creazione di questo commercio.
Ad esempio, non capiamo perché questo paese debba essere proprio la Cina, e perché si concentri proprio in una
determinata città della Cina. Spesso il vantaggio è offerto da una contingenza storica: a causa di un accidente storico
viene prodotto un determinato bene un un’area geografica, si concentra la produzione e l’area geografica, abbattendo i
costi medi, mantiene il vantaggio nella produzione di quel bene.
I geografi amano raccontare la storia di come un copriletto, realizzato a mano come dono di nozze da un’adolescente
del XIX secolo, diede inizio al distretto dei produttori di tappeti di Dalton, in Georgia. L’esistenza della Silicon Valley
deve molto al fatto che una coppia di laureati a Stanford di nome Hewlett e Packard decise di avviare un’impresa in un
garage in quell’area.
Esistono dunque accidenti storici che determinano lo sviluppo produttivo in un cluster molto concentrato.

Ciò fa sì che non sempre le produzioni saino localizzate nel settore “giusto”, cioè ottimale per tutti: spesso un paese
mantiene il vantaggio anche se un altro paese potrebbe produrre lo stesso bene in maniera più vantaggiosa per tutto il
mondo.
Ad esempio, assumiamo che la curva di costo del Vietnam sia al di sotto di quella della Cina perché, per esempio, i
salari vietnamiti sono inferiori a quelli cinesi.
Però, se la Cina ha stabilito un vantaggio iniziale ciò non avverrà.
Figura 7.4 La figura mostra il costo di produzione dei bottoni in funzione della quantità dei bottoni prodotti per Cina e
per Vietnam. Quella sopra è la curva di costo medio per la cina, quella sotto per il Vietnam. Quella del Vietnam è
sempre inferiore a quella della Cina, quindi il costo è inferiore a quello cinese. Viene poi rappresentata Dw (curva di
domanda mondiale): dato che esistono solo economie di scala esterne, abbiamo imprese in concorrenza perfetta,
quindi P=Cm (costo medio). Accade che potenzialmente il Vietnam potrebbe produrre i bottoni a prezzo inferiore e il
mondo lo vorrebbe: ciò non necessariamente accade perché se la Cina, per ragioni storiche, ha organizzato prima il
proprio settore, quella che vediamo per il Vietnam è la curva che il Vietnam potrebbe avere se entrasse nel mercato.
Ma se entrasse, non potrebbe subito vendere il bene al prezzo P2, ma inizialmente dovrebbe vendere al prezzo C0,
altrimenti andrebbe subito in perdita.
Ma P1<C0, allora nessuno comprerebbe i bottoni vietnamiti perché sono più cari: allora il Vietnam non riuscirebbe a
muoversi lungo la sua curva di offerta e mettere in difficoltà l’economia cinese.
Il vantaggio iniziale della Cina allora le consente di conquistare tutto il settore: allora gli eventi storici hanno un ruolo
molto importante nella determinazione di chi produce un determinato bene.

Si potrebbe pensare che le economie di scambia esterne portino guadagni aggiuntivi a quelli del vantaggio comparato:
la specializzazione in settori diversi consente di abbassare i costi medi e i paesi possono consumare più beni.
Allora dovremmo poter sommare i vantaggi esterni ai vantaggi comparati. In realtà, il commercio basato sulle
economie esterne potrebbe peggiorare il benessere di un paese (non necessariamente l’esistenza delle economie
esterne migliora il benessere di un paese).

Com’è possibile che un paese peggiori la propria condizione col commercio internazionale se esistono economie
esterne?
Esempio: mercato di orologi, la Svizzera produce orologi anche se la Tailandia possa produrre orologi a livello
mondiale.
Tuttavia, la Tailandia potrebbe produrre orologi a un prezzo più basso in assenza di un commercio internazionale. In
questo caso c’è un incentivo per la Tailandia a proteggere il settore degli orologi della concorrenza straniera.
Questo ragionamento può giustificare il protezionismo?
Abbiamo identificato le due curve di costo medio (Svizzera e Tailandia). La curva di domanda mondiale è a dx e
quella della Tailandia a dx. Se confrontiamo la curva di domanda della Tailandia con quello di equilibrio mondiale,
vediamo che la Svizzera produce a P1>P2 che i consumatori avrebbero pagato se avessero deciso di produrre
internamente orologi.
Allora la Tailandia avrebbe un motivo per attuare una politica protezionistica: i consumatori Tailandesi pagano un
prezzo maggiore a livello internazionale.
Quindi, non solo tutto il mondo starebbe meglio se il mercato fosse interamente concentrato nelle mani della
Tailandia, ma anche solo per soddisfare la propria domanda interna la Tailandia avrebbe vantaggio di produrre, pure
se in autarchia.
Si ha il caso in cui in effetti l’apertura al commercio internazionale produce svantaggi.
Per il mondo nel suo insieme è meglio che questo settore sia concentrato da qualche parte, preferibilmente nel paese in
cui i costi sono più bassi.

Rendimenti crescenti dinamici


Spesso questi rendimenti sono frutto di accumulazione di conoscenza: quando un’impresa comincia a produrre, man
mano le economie interne di scala possono dimendere dall’ammontare di produzione cumulata nel tempo. Queste
vengono chiamate economie di scala esterne dinamiche, che vengono a crearsi quando i costi medi si riducono quando
la produzione cumulata cresce.
Figura 7.6 Sulle ascisse ho produzione accumulata: questa relazione non è che una curva di apprendimento che mette
in relazione costo unitario e produzione accumulata.
Le economie di scala esterne dinamiche sono spesso state utilizzate per giustificare il protezionismo. Un paese
potrebbe incrementare il proprio benessere nel lungo periodo incoraggiando la produzione con sussidi finché non
diventa più competitivo e ruba il mercato a quel paese che al momento produce il bene.
È stato un argomento molto utilizzato nelle politiche commerciali dei pvs.

Commercio interregionale e geografia economica


Le economie di scala esterne giocano un ruolo importante nel determinare la struttura di un commercio interregionale,
quello che ha luogo tra regioni all’interno dello stesso paese. A seconda dei fattori di produzione a disposizione, essi
tendono a localizzarsi dove trovano lavoro nel settore di interesse.
Ciò che guida proprio la specializzazione sono le economie di scala esterne, che consentono di condividere e fondere
informazioni all’interno di uno stesso settore.
La geografia economica è una disciprina che prende in esame l’organizzazione delle attività economiche per capire
come le persone negoziano fra loro all’interno dello spazio.

Capitolo 8. Le imprese nell’economia globale: economie di scala interne


(formalizzazione semplificata)

Le forme di mercato non concorrenziali generano incentivi alla specializzazione del commercio internazionale. I
rendimenti crescenti all’interno dell’impresa determina incentivi alla specializzazione e quindi al commercio
internazionale.
In presenza di economie di scala interne, le imprese grandi riescono a produrre a un costo medio inferiore di quelle
piccole: la struttura di mercato non è più concorrenziale. Le economie di scala interne portano a un regime non più
concorrenziale
Nella maggior parte dei settori i beni sono simili ma differenziati: le imprese più efficienti prosperano e si
ingrandiscono.
La presenza di economie di scala interna genera una fonte ulteriore (oltre al guadagno dallo scambio) di vantaggio tra
lo scambio internazionale: se la produzione si concentra nelle imprese più efficienti, migliora l’efficienza complessiva
nel settore.

La teoria della concorrenza imperfetta


In concorrenza perfetta, le imprese sono price-taker, in concorrenza imperfetta sono price maker: influenzano il prezzo
dei loro prodotti e sanno di poter vendere di più solo riducendo il prezzo.
Questa situazione si verifica quando: ci sono solo pochi produttori di un particolare bene; ciascuna impresa produce
un bene differenziato agli occhi dei consumatori da quello delle imprese rivali.

Monopolio
Un monopolio puro si ha quando un’impresa non è in concorrenza con le altre; un oligopolio è un settore composto da
poche imprese.
Una caratteristica del monopolio e dell’oligopolio è che il ricavo marginale generato dalla vendita di un’unità
addizionale del bene è inferiore al prezzo del bene
In assenza di discriminazione di prezzo, il monopolista deve ridurre il prezzo di tutte le altre unità vendute fino a quel
punto e non solo dell’unità addizionale di bene venduta.
La curva del ricavo marginale si trova sotto la curva di domanda (che determina il prezzo delle unità vendute).
Dal fronte dei costi, se il costo marginale è costante e c’è un costo fisso, allora CM=C’, ma man mano che il costo
fisso viene spalmato su un numero crescente delle unità prodotte il costo medio decrescerà, riflettendo l’ipotesi delle
economie di scala.
Figura 8.1 Curva di domanda, ricavo marginale, costo marginale, costo medio.
Il monopolista sceglie un livello di produzione in cui R’=C’ (costo di produrre un’unità in più) per produrre. Per
sapere il prezzo a cui venderà Qm, andiamo sulla curva di domanda D. I profitti del monopolista sono dati dal
rettangolino verde.

Concorrenza monopolistica
Si ha concorrenza monopolistica quando il numero di imprese in equilibrio sul mercato è grande e nessuna di esse
raggiunge una quota di mercato significativa; tuttavia ogni impresa è price-maker e vende prodotti differenziati. Tale
differenziazione permette alle imprese di fissare il prezzo della propria varietà.
Immaginiamo che la curva D fronteggiata da un’impresa verrà traslata verso sinistra maggiore è il numero di
concorrenti (e ci saranno meno profitti per l’impresa stessa). Ogni impresa fissa il proprio prezzo sapendo che la
risposta di altre imprese, all’interno siamo in condizioni di gioco strategico all’interno di un oligopolio.
In concorrenza monopolistica un’impresa:
 Venderà di più quanto maggiore è la domanda totale del settore (S) in cui opera e quanto maggiore è il prezzo
praticato dai suoi concorrenti (P*)
 Venderà di meno quanto maggiore è il numero di imprese nel settore (n) e quanto maggiore è il prezzo da essa
stessa praticato (P)
Il costo medio dipende dalla dimensione del mercato e dal numero delle imprese presenti: più alto è il numero di
imprese nel settore, maggiore sarà il costo megio di ogni impresa; il costo medio dipenderà anche dalle vendite del
settore, maggiori sono le dimensioni del settore, minore sarà il costo medio.
Figura 8.3 Equilibrio in un mercato in concorrenza monopolistica Più alto è il valore sulle ascisse, minore è il valore
della curva PP (domanda), mentre aumenta il costo medio CC del settore.
L’incontro tra CC e PP ci dà esattamente il numero delle imprese, che continueranno ad aumentare fino al punto E,
dove i profitti sono nulli (prezzo=costo medio).

Cosa succede nel modello quando introduco il commercio internazionale?


Il commercio internazionale va visto come un fattore esogeno che aumenta la dimensione del mercato. Data la
formulazione della curva PP, essa non è legata alla dimensione di mercato, che invece influenza la curva di costo
medio. Se aumenta la dimensione del settore, aumentano le vendite totali e i costi medi si ridurranno per ogni impresa.
In equilibrio però, il numero di imprese all’apertura del commercio internazionale, fa sì che aumenti il numero delle
imprese. In realtà, l’integrazione dei mercati ha lo stesso effetto di quello che avrebbe un aumento della dimensione
del mercato all’interno di uno steso paese.
Figura 8.4 Prima dell’apertura al commercio internazionale eravamo in corrispondenza del punto 1, con n1 numero di
imprese in equilibrio. Aprendo il paese al commercio internazionale finiamo in una retta di costo medio più bassa di
quella di prima: avremo un costo medio inferiore, qualsiasi sia il numero di imprese: ci muoviamo lungo la curva PP
e intercettiamo un numero di imprese pari a n2, con un prezzo inferiore P2.
Figura 8.5 Equilibrio nel mercato automobilistico Nel paese H abbiamo la curva PP che interseca CC, curva di costo
medio. Prima dell’apertura al commercio internazionale avevamo 6 imprese in equilibrio che producevano a un costo
pari a 10. Nel paese F ho 8 imprese che producono a un costo pari a 9 (in realtà 8,75 più precisamente). All’apertura
del commercio internazionale ho una riduzione in entrambi i paesi dei costi medi: osserviamo che la curva di costo
medio è diventata più piatta, il numero di imprese diventa pari a 10 e il costo medio diventa 8. A seguito dell’apertura
al commercio internazionale, avremo un nuovo equilibrio con più elevato numero di imprese e minore costo medio.
Ricapitolando, il mercato interno avrà più imprese, ciascuna procude di più e può offrire i prodotti a un prezzo più
basso.
Da un lato, la differenziazione di prodotto e le economie di scala interne portano al commercio internazionale tra paesi
simili tra loro (è un commercio molto diverso da quello legato al vantaggio comparato, perché ad esempio qui H ed F
esportano automobili). Questo tipo di commercio è detto intrasettoriale.
I consumatori di entrambi i paesi ricevono benefici da una maggiore varietà di beni a un prezzo inferiore.
Le imprese sono in grado di consolidare la propria produzione destinata a entrambi i mercato e di trarre vantaggio
dalle economie di scala, perché le sfruttano meglio. Notare che il numero di imprese sul mercato unificato è minore
della somma delle imprese presenti precedentemente.

La rilevanza del commercio intra-settoriale


Il commercio intrasettoriale descrive lo scambio reciproco di beni simili. Tra un quarto e un mezzo del commercio
mondiale è di natura intrasettoriale, dunque ha un ruolo molto rilevante.
Ha un ruolo ancora più importante nel commercio di beni manufatti tra i paesi industriali più avanzati, che generano la
maggior parte del commercio mondiale.
Per gli USA il commercio intrasettoriale è una componente molto importante nel commercio di beni manufatturieri
sofisticati come prodotti chimici, prodotti farmaceutici e i macchinari specializzati.
Tabella 8.2 Indici di commercio intrasettoriale per i settori statunitensi

min(esportazioni ,importazioni)
I=
(esportazioni+ importazioni)/ 2❑

I=0 se exp=0 oppure imp=0, in generale 0≤ I ≤ 1. Se in un settore gli usa sono completamente esportatori o
completamente importatori, allora non ci sarà commercio intrasettoriale. Se imp=exp, al numeratore potrò mettere
solo imp o solo exp e a denominatore la stessa cosa, allora I=1. Infatti se i flussi di imp ed exp sono analoghi, ci sarà
molto commercio intrasettoriale.
Notiamo che vi sono settori (i più sofisticati, con macchinari molto avanzati) che hanno un commercio intrasettoriale
molto alto.
Le imprese nel commercio internazionale
La maggiore concorrenza tende a danneggiare più duramente le imprese con le performance peggiori, che sono
costrette a lasciare il mercato.
Le imprese con le migliori performance ottengono i vantaggi maggiori dalle nuove opportunità di vendita e si
espandono maggiormente. Quando le imprese con le migliori performance crescono e quelle con le peggiori
prestazioni si contraggono o escono dal mercato, la performance generale del settore migliora.
Queste variazioni nella composizione in termini dell’efficienza delle imprese generano una sorta di “miglioramento
tecnologico” a livello settoriale.
Se rimuoviamo l’impotesi di simmetria tra le imprese (non fronteggiano più la stessa curva di costo), cosa accade?
Figura 8.6 a). Equilibri di imprese con stessa curva di domanda ma diversa curva di costo. Quali previsioni derivano
da queste diverse imprese che fronteggiano condizioni differenti?
Sul grafico a sx c’è la curva di domanda inclinata negativamente tra prezzo e quantità prodotta e curva di ricavo
marcinale che sta al di sotto della curva del prezzo. Poi raffiguro impresa 1 con costo marginale MC1 e impresa 2 con
MC2. MC1 è relativamente più efficiente di MC2. Le imprese scelgono il loro livello di produzione nel punto in cui
CM=RM. Allora l’impresa 1 produrrà Q1 a un prezzo P1, l’impresa 2 produrrà Q2 a un prezzo P2.
Possiamo osservare che l’impresa 1 fisserà un prezzo che ha un markup sul costo marginale maggiore. Il markup è la
differenza tra prezzo e costo marginale P-MC. Allora il markup dell’impresa 1 è maggiore di quello dell’impresa 2
perché la curva di ricavo marginale è più ripida:
P1-MC1>P2-MC2
Profitti operativi:
Profitti operativi= ricavi-costi variabili
= P1*Q1-(MC1*Q1) = (P1-MC1)*Q1,
Cioè i profitti operativi dell’impresa 1 sono dati da Markup dell’impresa - quantità prodotta dall’impresa
Ciò ci interessa perché:
 I profitti operativi sono legati all’efficienza delle imprese, in particolare osserviamo che:
 L’impresa più efficiente (costo marginale più basso) fissa un prezzo più basso, ma con un markup maggiore
sul costo più alto
 L’impresa più efficiente produce di più
 I profitti operativi dell’impresa più efficiente saranno maggiori a causa delle due condizioni precedenti. In
particolare, questi saranno una funzione decrescente del costo marginale (cioè sono legati negativamente ad
esso).
PrOp1>PrOp2, e li andiamo a leggere nel grafico di costo marginale (figura a destra).
B) Esiste un limite, C*, che è il punto in cui la curva di domanda incontra l’asse delle ordinate (intercetta), perché
quando arrivo a C* avrò profitti nulli (prezzo che coincide esattamente con C*). Tutte le imprese con costi maggiori di
C* sono fuori dal mercato.
Dopo aver dimostrato come diverse imprese hanno profitti operativi diversi, cerchiamo di capire come l’apertura al
commercio internazionale cambia i profitti delle imprese e il loro comportamento.

Figura 8.7 Come cambia la curva di domanda all’apertura del commercio internazionale
D è la curva di domanda iniziale, quando apro al commercio internazionale aumentano la dimensione del settore e il
numero di imprese concorrenti. Allora n sale sia in H che in F.
Allora il primo effetto che vediamo è una riduzione dell’intercetta, perché a causa dell’aumento del numero delle
imprese n in corrispondenza di un certo prezzo avremo una quantità inferiore che riusciremo a vendere (a parità di
dimensione del settore S).
Dopodiché introduco l’aumento della dimensione del settore (seconda conseguenza dell’apertura al commercio
internazionale), che in base al modello ridurrà l’inclinazione della curva di domanda: se aumenta la dimensione del
settore, la curva di domanda ha avuto un effetto di rotazione verso l’esterno; a parità di prezzo ho la possibilità di
vendere una maggiore quantità.
Osservando il movimento da D a D’ osserviamo una sorta di rotazione della curva di domanda ha come conseguenza
un’innalzamento della parte destra e un abbassamento della parte sinistra. Se immaginiamo il punto in cui D e D’ si
incrociano, osserviamo che i punti a sx di esso sono quelli che corrispondono alle imprese che producevano
relativamente poco, quelli a sx corrispondono alle imprese che producevano relativamente di più. Osserva che
l’impresa che ha il costo marginale più basso è quella che produce di più col prezzo più basso (si trova relativamente
in basso a dx sulla curva di domanda).
Allora succede che le imprese poco efficienti (a sx sulla curva di domanda D, prima dell’incrocio) stanno peggio di
prima, perché è come se la loro domanda fosse diminuita, a parità di prezzo vendono una minore quantità; e viceversa
succede alle imprese più efficienti.
Alle imprese meno efficienti è successo che a parità di prezzo si trovano a produrre meno che in D, mentre se
consideriamo ciò che succede a parità di quantità, il prezzo è sceso.
Ma i profitti operativi sono dati da:
(P-MC)*Q
Allora sono scesi, mentre nel caso dell’altra impresa saranno aumentati.
La nuova funzione di profitti operativi ci dice che le imprese vincenti migliorano la loro posizione sul mercato; quelle
con un costo marginale alto risultano perdenti perché o hanno profitti operativi minori di prima o addirittura escono
dal mercato perché adesso abbiamo una nuova soglia di costo marginale C*’ che è diversa dalla precedente C*.
Questo grado ci rappresenta alla fine che le imprese migliori diventano ancora più grandi, le imprese mediocri
diventano ancora meno efficienti e stanno ancora sul mercato solo finché il loro costo marginale permette loro di
rimanere sul mercato.

I costi del commercio e la decisione di esportare


Nella realtà esistono costi del commercio, che finora non abbiamo considerato. La maggior parte delle imprese
statunitensi non registra alcuna attività di esportazione: vendono solo ai consumatori statunitensi.
 Nel 2002, solo il 18% delle imprese manifatturiere Usa dichiarava di ricavare parte del fatturato dalle
esportazioni;
 Questa caratteristica è comune a molti paesi. Anche in Italia nel 2008 solo il 20,4% delle imprese manifatturiere
risultava esportatore.
Anche i settori in cui le esportazioni rappresentano una parte sostanziale della produzione totale, come la chimica, la
meccanica, l’elettronica e i trasporti, meno del 40% delle imprese esporta.
Se introduciamo i costi di commercio, ci spieghiamo perché la localizzazione dei clienti è importante e perché alcune
imprese non vendono a clienti che risiedono in altri paesi.
L’introduzione nel modello di costi del commercio aggiunge 2 importanti previsioni al modello di concorrenza
monopolistica e commercio: permette di spiegare perché solo un sottoinsieme di imprese esporta e perché questo
sottogruppo di imprese è formato da quelle più produttive (cioè dalle imprese con il minor costo marginale ci).
L’analisi empirica ha fornito notevole supporto a questa previsione secondo cui le imprese che esportano sono più
grandi e più produttive di quelle che nello stesso settore non esportano.
Figura 8.8 La decisione di esportare con costi di commercio
Riprendiamo l’impresa 1 e l’impresa 2, l’una più produttiva e l’altra meno produttiva e introduciamo del costi di
trasporto o costi di commercio in generale. Ricordiamo che l’impresa 2 produce meno, a un costo più alto e con
profitti operativi inferiori. Immaginiamo che le imprese del paese H, quando esportano nel paese F hanno un costo di
commercio aggiuntivo: come se ogni unità venduta costasse all’impresa 1 non solo C1, bensì si registra un aumento di
T e l’impresa nel paese F affronta un costo C1+T, mentre l’impresa 2 per vendere in F deve affrontare un costo C2+T.
Però occhio: l’impresa con un costo marginale pari a C2, se va a vendere nel paese F affronta il costo C2+T che va a
finire oltre la soglia C*. Ciò implica che l’impresa 2 non trovarà conveniente esportare nel paese F. Ciò non accade
all’impresa 1 che è abbastanza produttiva da poter sia produrre in H che esportare in F.
Allora:
 Chi ha CM sufficientemente basso produrrà e venderà in H e in F: esportano le imprese più grandi ed efficienti
 Chi ha un CM medio venderà solo in H
 Chi ha un costo medio alto, cioè già di per sé CM>C*, non venderà né in H né in F

Infatti nei dati empirici osserviamo che negli USA in un tipico settore manifatturiero un’impresa esportatrice è in
media grande più del doppio rispetto ad un’impresa che npn esporta. L’impresa esportatrice media produce l’11% in
più di valore aggiunto (valore della produzione - valore input intermedi) per lavoratore dell’impresa media non
esportatrice.
Queste differenze tra esportatori e non esportatori sono addirittura superiori in molti paesi europei.

Dumping
Il dumping consiste nel praticare un prezzo più basso (al netto dei costi del commercio) per le esportazioni che per i
beni venduti a livello domestico. Da molti paesi (USA, UE, altre nazioni) è commerciata una pratica commerciale
sleale e ci sono delle autorità che sanzionano tale comportamento a livello nazionale. Si può ricorrere alle autorità
preposte (per esempio negli USA al Dipartimento del Commercio e alla Commissione per il Commercio
Internazionale). Se è il caso, le autorità possono imporre un dazio anti-dumping che compenserebbe la differenza di
prezzo dell’impresa (pari alla differenza tra prezzo giusto e prezzo effettivamente praticato dall’impresa estera).
È difficile tuttavia identificare il prezzo equo a cui applicare il dazio, in particolare vertenze di questo tipo sono salite
molto a causa della concorrenza cinese. Spesso la Cina è considerata come economia non di mercato, cioè distorta da
sussidi pubblici, controllo pubblico di mercati ecc., e non vanno a vedere il prezzo in cui viene venduto quel bene in
Cina, ma viene guardato il prezzo dello stesso bene i dati di PVS con economie di mercato per praticare il dazio anti-
dumping. Però così si trovano dazi anti dumping molto elevati, perché ad esempio in India il prezzo di un televisore è
molto elevato perché l’India è poco competitiva sul mercato di televisori.
Per questa ragione questa politica è molto criticata, perché spesso rappresenta una barriera molto forte
all’importazione di beni da paesi come la Cina, è considerata una pratica protezionistica camuffata.
Imprese multinazionali e outsourcing
Gli investimenti diretti all’estero (IDE) rappresentano quegli investimenti in cui un’impresa di un paese controlla
direttamente o possiede una sussidiaria (quota di controllo di un’impresa) in un altro paese. Un’impresa è considerata
una multinazionale se possiede più del 10% di un’impresa estera. L’idea è che il 10% del capitale sia un pacchetto
azionario sufficiente per avere un controllo effettivo.
Gli IDE possono essere:
 Greenfield, quando un’impresa costruisce un nuovo stabilimento produttivo all’estero
 Brownfield (fusioni, acquisizioni internazionali) quando un’impresa acquista una quota di controllo in un’impresa
straniera già esistente
Gli IDE greenfield sono generalmente più stabili, mentre le fusioni-acquisizioni internazionali cono caratterizzate da
ampie fluttuazioni.
Storicamente i maggiori destinatari di questi investimenti diretti sono stati i paesi più avanzati dell’OCSE. Questi
flussi sono molto più volatili (oscillano molto di più) di quelli rivolti a PVS e alle economie in transizione, che
prendono tipicamente la forma degli investimenti greenfield.
Tuttavia c’è stata una crescita nella quota di IDE verso i PVS e i paesi in transizione. In particolare, nel 2009 questi
flussi rappresentavano più della metà dei flussi di IDE mondiali ed erano aumentati di 20 volte, in particolare verso i
BRICS.
Figura 8.9. Flussi in entrata di investimenti diretti esteri dal 1970 al 2002. Le oscillazioni sono molto molto ampie
nei paesi OECD; alla fine del periodo la metà degli investimenti è effettivamente destinata a paesi non OCED.
Figura 8.10 Investimenti diretti esteri in uscita per i primi 25 paesi, media annuale 2009-2011. Rappresenta i paesi
che investono direttamente, e si vede che ciò dipende in gran parte dalla ricchezza del paese (I primi sono USA,
Franciam Giappone, Hong Kong). Alcuni di essi (come isole vergini britanniche e Hong Kong) in realtà sono paradisi
fiscali per cui molte risorse transitano in quei paesi, anche se in realtà dietro ce ne sono altri.

Per questi investimenti diretti quindi abbiamo una società controllante che è la casa madre, e le controllate che sono le
<<filiali>> multinazionali. Gli investimenti nelle sussidiarie possono essere di due tipi:
1. IDE orizzontali in cui la filiale replica in altre parti del mondo il processo che la casa madre realizza in patria.
Sono più diffusi tra i paesi avanzati;
2. IDE verticali in cui la catena di produzione viene frammentata e parte dei processi produttivi viene trasferita
presso le filiali. È la principale fonte di IDE in ingresso nelle economie emergenti. Spesso le economie avanzati
hanno interesse a demandare parte della produzione intermedia in paesi in cui la forza lavoro costa molto meno.

Capitolo 9. Gli strumenti della politica commerciale

Ogni paese adotta politiche nell’ambito del commercio internazionale, chiamate:


 Imposte su alcune transazioni internazionali (dazi)
 Sussidi per altri tipi di transazione
 Limiti legali su valore o volume di alcuni tipi di importazioni (contingentamento delle importazioni)
 Limitazioni volontarie delle esportaizoni
 Requisiti di contenuto nazionale
 Altre politiche

Analisi elementare dei dazi


Il dazio è la più semplice e più comune delle politiche commerchiali: è una tassa sull’importazione di un bene.
Un dazio specifico è una tassa fissa su ogni unitò del bene importata: ad esempio immagino di imporre un dazio di 3$
per ogni barile di petrolio. Un dazio ad valorem è una tassa calcolata in percentuale al valore del bene importato, ad
esempio un dazio del 25% sul valore degli autocarri importati in USA.
Anche se il dazio è usato per dimostrare quali sono gli effetti della politica commerciale del vari paesi, da un punto di
vista empirico è ormai in disuso e i paesi industrializzati hanno ormai un dazio inferiore al 3% sui beni importati,
mentre nei pvs tale valore è più elevato. Ciò accade perché i governi preferiscono proteggere le industrie nazionali
tramite barriere non tariffarie (BNT):
 Quote all’importazione;
 Limitazioni volontarie delle esportazioni.
Tuttavia è utile l’analisi di equilibrio parziale degli effetti di un dazio perché esemplificativa anche di altri
provvedimenti di politica commerciale.
Tabella 9.1 Livello medio nei dazi nel mondo nel 2016 (%)
Il numero tra parentesi è la media ponderata (per il peso delle varie merci all’interno del paniere considerato), l’altro è
la media aritmetica. C’è una notevole differenza tra beni agricoli (tassazione notevolmente più elevata) e non agricoli.
Viene riportata la media aritmetica dei dazi MFN (Most favored nation: impegno ad applicare le condizioni doganali
applicate al paese trattato meglio a tutti gli altri paesi).

Analisi di equilibrio parziale di un dazio: <<paese piccolo>>


Abbiamo sempre considerato il prezzo di un bene rispetto al prezzo di un altro bene, quindi abbiamo sempre studiato
curve di domanda e di offerta relative. Quando parliamo di dazi applichiamo un’ottica di equilibrio parziale:
guardiamo cosa succede al mercato esclusivamente del bene importato. Consideriamo come funziona il dazio sul
mercato di un bene X in un paese piccolo (che non influenza il prezzo mondiale se applica un dazio, mentre un paese
grande che limita le importazioni di un bene genera ripercussioni sul prezzo mondiale del bene importato).
Consideriamo Dx curva di domanda, Sx curva di offerta.
In assenza di commercio, l’equilibrio si ha per X=30 e Px=3.
In autarchia, il paese H andrà a produrre e consumare nel punto E (incontro domanda-offerta).
Quando apriamo il paese al commercio internazionale si determina un prezzo che dipende crucialmente dal prezzo del
paese F. Immaginiamo che il prezzo internazionale che si genererà sia in corrispondenza del punto 1: SF è la curva di
offerta mondiale, che è piatta, quindi infinitamente elastica. Ciò accade perché H è un paese piccolo, quindi non ha
alcuna possibilità di influenzare il prezzo mondiale ed è dunque price-taker.
Allora il pase H si trova ad affrontare una curva di offerta mondiale SF quando si trova in una condizione di libero
scambio.
In libero scambio, avremo che il paese H sarà un importatore di cibo, perché al prezzo 1 il paese H domanda 70 kg di
cibo ma è pronto a offrire solo 10 kg di cibo. L’eccesso di domanda è soddisfatto attraverso le importazioni di cibo: il
paese H produrrà 10 e l’ammontare di 60 rappresenta il flusso di importazioni del paese H dal resto del mondo.
Partendo da questa situazione di libero scambio, vediamo cosa accade all’introduzione di un dazio ad valorem pari al
100%.
L’introduzione del dazio raddoppia il prezzo, che passa da 1 a 2: ho una nuova curva di offerta che sarà pari a SF+T
(valore del dazio). L’introduzione del dazio modifica le scelte di consumo e le scelte di produzione: sulla curva di
domanda accade che in corrispondenza di un prezzo pari a 2 la curva di domanda verrà incrociata ad una quantità di
50 e i produttori vorranno produrre a un prezzo pari a 20. Allora il consumo si è ridotto a 50, la produzione ora è 20, la
nuova distanza (domanda di importazione del paese H) è pari a 30. Allora il dazio porta a una riduzione delle
importazioni che prima valevano 60 e ora vangono 30.
Il dazio è una tassa applicata al governo sulle merci importate: il suo ammontare è dato dal rettangolo JHNM e ha il
valore di 1: per ogni unità importata, il governo incassa 1 perché è pari al valore della tassa.
Il gettito fiscale che incasserà il governo vale Dazio*Import (quantità importata). In questo caso sarà pari ad 1*30
(volume delle importazioni)=30$, cioè l’area del rettangolo JHNM.
Attenzione: se le curve sono molto ripide, vedremo che l’effetto consumo sarà inferiore, così come l’effetto
produzione e l’effetto commerciale; al contrario il gettito fiscale sarà superiore.
Consideriamo il grafico iniziale e lo confrontiamo alla situazione in cui ho curve più rigide e curve più elastiche.
Effetto consumo.
All’inizio ho: una riduzione del consumo di 20.
Con una curva di domanda più rigida (inclinazione maggiore): ho una riduzione del consumo di solo 10, perché i
consumatori sono poco sensibili ad un aumento del prezzo
Con una curva di domanda più elastica (inclinazione minore): ho una riduzione nel consumo di 30, quindi una ancora
maggiore caduta nel consumo.
Consideriamo invece l’effetto produzione:
All’inizio ho un incremento di 10 nella produzione con l’introduzione del dazio.
Con una curva di offerta più rigida: il livello produttivo dopo l’introduzione del dazio sarà aumentato di 5 (un effetto
minore)
Con una curva di offerta più elastica: il livello produttivo dopo l’introduzione del dazio vedrà un effetto produzione
ancora maggiore, cioè aumenta di 20.
Consideriamo infine l’effetto del dazio su importazioni ed esportazioni a seconda dell’inclinazione di domanda e
offerta:
Nel caso originario, prima del dazio il paese importava 60, dopo il dazio importa 30. Ho una riduzione delle
importazioni di 30.
Curve S e D entrambe più rigide: ho un effetto commerciale inferiore, con una riduzione delle importazioni di 15.
Curve S e D più elastiche: ho una riduzione delle importazioni di 50.
Più piatte sono le curve, maggiore è l’effetto commerciale.
Effetto sul gettito fiscale in base all’inclinazione delle curve.
Ricordiamo che il gettito è pari al dazio*importazioni. Allora in base al valore delle importazioni vedo in maniera
diretta l’effetto del dazio, perché solo le importazioni variano.
All’inizio ho un gettito fiscale pari a 1*30=30.
Quando le curve sono più inclinate ho un gettito pari a 1*45=45
Quando ho curve più elastiche ho un flusso molto ridotto e importazioni finali pari a 1*10=10.
Allora possiamo osservare che più rigide sono le curve, maggiore sarà il gettito fiscale e viceversa. Ciò perché il
gettito fiscale è direttamente proporzionale al flusso delle importazioni.

Ma l’aspetto più interessante è legato ai benefici che il dazio reca ai paesi che lo introducono.

Ricordiamo che il surplus o la rendita del consumatori indica quanto un consumatore è disposto a pagare per un’unità
di bene e quanto paga effettivamente. Cioè differenza Pmax-P*.
Il dazio determina delle variazioni nel surplus del produttore e del consumatore: grafico foglio.
Rendita del produttore: in libero scambio vale (10*1)/2=5, con dazio vale (20*2)/2=20. La rendita del produttore è
cambiata di 15 dopo il dazio.
La rendita del consumatore invece si riduce: prima del dazio vale 122,5, dopo vale 62,5, la differenza vale 60.
La perdita del consumatore è data dal guadagno del produttore + gettito fiscale + perdita netta dovuta alla distorsione.
Si registra una perdita dunque pari all’area b generata dalla distorsione produttiva, per cui i produttori del paese H
stanno producendo più bene x (cibo) rispetto ad un altro bene y (stoffa), perché il prezzo è stato gonfiato dalla
presenza del dazio.
Ho una distorsione del bene cibo a danno della riduzione della produzione di stoffa.
La perdita d è invece data da una riduzione del consumo: i consumi H consumano meno x e più y rispetto a una
condizione di libero scambio. Le distorsioni sono dati dall’effetto del dazio su produzione e consumo.

Possiamo dire che di per sé il dazio ha un effetto redistributivo dai consumatori ai produttori. Inoltre si passa dal
fattore abbondante al fattore scarso. Il paese H era il paese che aveva un’abbondanza relativa di lavoro ed esportava
stoffa mentre importava cibo. Inoltre la stoffa è il bene intensivo in lavoro, il cibo il bene intensivo in capitale. Nel
momento in cui imponiamo il dazio, esso è imposto sulle importazioni, quindi tecnicamente lo impongo sulle
importaziondi di cibo.
Allora accade che vi è un aumento del prezzo del bene importato (quindi cibo): ciò è molto rilevante in termini
redistributivi, perché quando aumenta il prezzo del cibo aumenta la remunerazione del fattore utilizzato
intensivamente nel cibo, cioè il capitale perché il cibo è il bene intensivo in capitale. Quindi secondo H-O aumenta la
remunerazione del fattore capitale. Dato che il paese H ha un’abbondanza relativa di lavoro, poiché esporta stoffa, L è
il fattore che guadagna dal commercio internazionale, mentre K perde dal commercio internazionale perché è il fattore
scarso. Questo effetto distributivo è detto effetto Stolper-Samuelson del dazio, che compensa il teorema di Stolper-
Samuelson, per cui i proprietari dei fattori abbondanti traggono un beneficio dall’apertura del commercio
internazionali.
L’aumento del prezzo relativo di un bene aumenta il rendimento del fattore usato in modo intensivo nella produzione
del bene. Un dazio all’importazione, aumentando il prezzo relativo del neme importato, aumenta la remunerazione del
fattore produttivo scarso.
Il reddito nazionale si riduce con il dazio, perché la perdita che subisce il fattore lavoro è maggiore del guadagno
ricavato dal fattore capitale.
Ma non esiste solo un effetto di remunerazione del fattore scarso, ma anche un effetto in termini occupazionali, perché
l’introduzione dei dazi consente di proteggere l’occupazione nel settore scarso, che vede aumentare l’occupazione.
Tabella 8.3 Effetti economici dei dazi sulle importazioni di alcuni prodotti specifici negli USA.
Vediamo come per le piastrelle in ceramica la perdita netta è pari a 139-92-95=2 milioni di dollari legati ai dazi.
L’aver aumentato la produzione nel settore ha determinato anche una salvaguardia dei posti di lavoro nel settore. Quei
2 milioni sono serviti a preservare posti di lavoro. Se dividiamo la perdita netta per il numero di posti di lavoro
presentati, otteniamo quanto è stato costoso per i consumatori ciascuno dei posti di lavoro preservati: 401000 dollari
per il settore ceramiche.

Dazi e benessere: una riflessione


Quando bilanciamo le <<aree>> stiamo assumendo che un dollaro di guadagno o di perdita abbiano lo stesso valore.
Vantaggi e svantaggi si riferiscono però a gruppi diversi di operatori: la valutazione complessiva dei costi e benefici
dipende dal peso attribuito a ciascun dollaro di beneficio e ciascun dollaro di costo per i diversi gruppi:
 Il guadagno può riguardare ricchi proprietari di risorse e la perdita può riguardare consumatori poveri, come nel
caso di dazio su un bene primario, allora l’introduzione del dazio ci può sembrare più ingiusta
 Il guadagno può riguardare la difesa di un posto di lavoro di lavoratori a basso salario e la perdita può riguardare
il consumo di ceti abbienti, come nel caso di un dazio su un bene di lusso
 Il gettito del governo può essere impiegato per servizi pubblici necessari o per scopi meno condivisibili.

La misurazione del grado di protezione di un settore (sempre in un paese piccolo)


Aliquota nominale vs. Aliquota effettiva del dazio
Per proteggere la manifattura e l’occupazione nazionale spesso i paesi importano materie prime con dazi molto
inferiori rispetto all’importazione dei beni finali. In questo caso il tasso effettivo di protezione (o aliquota effettiva) è
diverso dall’aliquota nominale del dazio.
Aliquota nominale: è importante per il consumatore (determina un aumento del prezzo del bene finale)
Aliquota effettiva: è importante per i produttori (determina qual è la protezione garantita alla produzione in un un
settore in concorrenza con beni importati)

Il tasso effettivo di protezione (g) misura l’aumento percentuale nel valore aggiunto per unità di bene a seguito
dell’applicazione dei dazi.
g=(Vt-Vw)/Vw
Con Vw= valore aggiunto in libero scambio
Vt=valore aggiunto con dazi, pari a Pa(1+ta)-Pc(1+tc)
Pa= prezzo del bene finale
Pc= prezzo dell’input intermedio
Ta=dazio sul bene finale importato; tc=dazio sull’input intermedio importato
g=ta+Pc(ta-tc)/(Pa-Pc)
Esempio slide: 80$ è il prezzo della lana, 100$ è il prezzo dell’abito in libero scambio, il dazio sull’abito è del 10%. Il
prezzo dell’abito per i consumatori è di 110$. Otteniamo un’aliquota effettiva g=50%. Ciò perché il valore aggiunto
interno è di 20$ e il dazio vale 10$, molto elevato rispetto al contributo della produzione del settore: è pari al 50% del
valore dell’abito prodotto all’interno del paese. In questo caso non abbiamo alcun dazio imposto sull’input. In
generale osserviamo che:
Se il dazio sull’input è minore del dazio sul bene finale, il tasso effettivo di protezione è maggiore dell’aliquota
nominale.
Se l’aliquota nominale sull’input è del 5% e sul bene finale è del 10%. Allora g=30%, perché il settore paga di più
l’input in entrata, allora il grado di protezione del settore è sceso.
Se l’aliquota sul bene intermedio è maggiore rispetto al dazio imposto sull’abito, il settore ha una protezione negativa:
stava meglio quando non era imposto alcun dazio.
In generale, possiamo dire che il dazio sugli input importati è una tassa per i produttori nazionali e riduce l’effetto
positivo del dazio nominale sui beni finali. Se g è negativo, anche con ta positivo, i produttori producono meno
rispetto a una condizione di libero scambio.
Capiamo così perché i dazi hanno una struttura “a cascata” (tariff escalation): affinché si garantisca una protezione
del settore maggiore dell’aliquota nominale deve succedere che il paese imponga un dazio sul bene intermedio minore
del dazio sul bene finale. I dazi su beni intermedi devono essere minori del dazio sui beni che hanno un livello di
lavorazione maggiore.
Tabella 9.2 Dazi a cascata o <<tariff escalation>> Se guardiamo come sono articolati i dazi, possiamo osservare che
essi vanno a salire. Man mano che andiamo verso il prodotto finito, il dazio sale.

Equilibrio parziale con dazio in un <<paese grande>>


Consideriamo come un dazio incida su un dato mercato, per esempio quello del grano, in un paese grande, cioè in un
paese in cui la domanda di importazioni può influenzare il prezzo di equilibrio del grano.
Supponiamo che, in assenza di scambi, il prezzo del grano nel paese F sia inferiore a quello nel paese H. All’apertura
degli scambi, il paese F esporterà grano nel paese H finché la differenza di prezzo non verrà eliminata.
Ipotizzo che il tasso di cambio fra H e F non sia influenzato dalle politiche commerciali: in realtà, quando un paese
decide di importare meno beni ciò si traduce in una minore domanda di valuta e una variazione nei prezzi espressi in
una valuta rispetto all’altra.
Per determinare prezzo e quantità di grano scambiata, definiamo 2 curve:
 Domanda di importazioni di H
 Offerta di esportazioni di F
La domanda di importazioni sarà decrescente rispetto al prezzo, mentre i produttori del paese F all’aumentare del
prezzo del bene saranno più disposti ad esportarlo.
Figura 9.1 Curva di domanda e di offerta di grano nel paese H nel primo grafico, determina il prezzo del grano in
autarchia Pa.
Nel momento in cui il prezzo internazionale fosse uguale a Pa, il paese H non avrebbe alcun incentivo a comprare il
grano dall’estero. Se il prezzo internazionale è invece pari a P2, da un lato i consumatori ne domanderanno di più
(D2), ma i produttori ne produrranno S2. Allora vi è un eccesso di domanda, dunque una domanda di importazioni,
che nel punto in cui il prezzo è 1 è ancora maggiore.
Figura 9.2 Curva di offerta di esportazioni di F: al prezzo Pa* abbiamo che la domanda di grano estero è soddisfatta
dall’offerta di grano estero (di F). All’aumentare del prezzo, l’offerta di F sale e ci sarà eccedenza di produzione che
verrà esportata. L’offerta di esportazioni viene raffigurata nel grafico a dx come S*-D*.
Dall’incrocio tra curva di domanda di esportazioni e curva di offerta di esportazioni troviamo l’equilibrio sul mercato
mondiale.

L’equilibrio mondiale si ha quando la domanda di importazioni di H è uguale all’offerta di esportazioni di F. Dove le


curve si intersecano domanda mondiale=offerta mondiale. Domanda mondiale = Domanda H + domanda F; offerta
mondiale = offerta H + offerta F.
Ovvero, spostando i membri:
Domanda di H - offerta di H = offerta di F - domanda di F
Importazioni di H = esportazioni di F
Figura 9.4. In libero scambio, l’equilibrio è nel punto 1 dell’incrocio tra XS e MD: la quantità di grano che importa H
è esattamente uguale alla quantità di grano che esporta F. L’introduzione di un dazio di t dollari specifico aumenta il
prezzo di un ammontare pari a t. Allora i produttori del paese F sono disposti a vendere grano nel paese H solo se
rende quanto venderlo nel paese F, cioè al momento Pw. Dunque vogliono percepire la stessa cifra percepita in F.
Dovrà succedere, in equilibrio, che il prezzo praticato in H sia uguale al prezzo praticato in F. Deve succedere che il
prezzo percepito in H e in F sia uguale, e affinché ciò acccada Ph=Pf. Siccome nel prezzo in H c’è il dazio, se chiamo
Pf=P*t, affinché ci sia uguaglianza dovrà succedere che fissato P*t, Ph=P*t+t. Allora Pt=P*t+t. Così i produttori di F
percepiranno P*t in entrambi i paesi, perché t va al governo di H.
Allora i produttori applicano il prezzo Pt o P*t+t nel paese H, il prezzo P*t nel paese F.
Osservo però che al calare del prezzo (più basso dell’equilibrio in libero scambio) i produttori in F vorranno vendere
meno, mentre i consumatori vorranno consumare di più; in H invece il prezzo è aumentato, quindi i produttori
vorranno produrre di più e i consumatori vorranno consumare meno.
Il prezzo continua a scendere nel paese F e a salire nel paese H finché P*t+t=Pt, o anche Ph=P*f+t.
Allora la distanza tra P*t e Pt è esattamente pari all’ammontare del dazio. La quantità di esportazioni di F sarà di
nuovo pari alle importazioni di H, siamo di nuovo in equilibrio, anche se ci si scambia una quantità di beni minore.

Effetti di un dazio
Pertanto, il dazio specifico fa aumentare il prezzo del bene nel paese domestico e fa diminuire il prezzo del bene nel
paese estero fino a che la differenza fra i due mercati è uguale al dazio stesso.
Pt-P*t= t
Pt=P*t+t
Il prezzo del bene sul mercato estero (mondiale) deve diminuire, se si verifica una riduzione significativa della
domanda del bene (paese grande) a causa del dazio imposto dal paese estero.
Nel caso di paese piccolo, l’introduzione del dazio si rifletteva su un aumento del prezzo interno. Il paese piccolo è
price-taker, dunque il prezzo aumentava del valore del dazio. Nell’equilibrio finale del paese grande H non è price-
taker, il prezzo aumenta ma non dell’ammontare del dazio: se l’ammontare del dazio è 2, il prezzo sale in H di 1 e
scende in F di 1. Il prezzo mondiale è indotto a scendere perché siamo grandi e influenziamo quantità e prezzo di
equilibrio sui mercati mondiali.
Inoltre, poiché il prezzo sul mercato domestico aumenda da Pw a Pt:
 I produttori domestici saranno incentivati a produrre di più, mentre i consumatori saranno incentivati a consumare
meno
 La quantità di importazioni si riduce da Qw a Qt
Poiché il prezzo sul mercato estero diminuisce, ci sarà meno grano da esportare.

Figura 9.9 I costi e i benefici di un dazio in un paese importatore


A sx ho il grafico relativo al paese piccolo, a dx il grafico relativo al paese grande. T è interamente a carico dei
consumatori domestici, che subiscono una perdita pari ad a+b+c+d.
Per un paese grande (dx) possiamo osservare che il dazio è ripartito fra paese domestico e paese estero. Allora
internamente il prezzo aumenta solo di 1, se t=2. L’area e non c’era nel paese piccolo, in cui coincidevano Pw=P*t.
Quell’area rappresenta il m iglioramento nelle ragioni di scambio: l’introito del governo è dato da c+e, in cui e è una
misura dei benefici in termini di ragioni di scambio.
Le ragioni di scambio rappresentano il prezzo del bene esportato rispetto al prezzo del bene importato. Se il prezzo del
bene esportato rimane uguale, il prezzo del bene importato si riduce (con lo stesso ammontare di soldi compriamo di
più all’estero, poiché siamo grandi).
Prima la perdita netta era data dall’area b+d (già spiegato); le distorsioni legate a produzione e consumo ci sono
ancora nel paese grande, però ora in più ho e, che è un guadagno. Allora non è ovvio capire se perdiamo o
guadagnamo dall’introduzione del dazio, perché ciò dipende dalla differenza tra b+d ed e. In realtà è molto difficile
che il beneficio compensi la perdita dovuta alle distorsioni.

Costi e benefici dei dazi


Ricapitolando, in un paese grande, che può influenzare i prezzi esteri (mondiali), l’effetto di benessere del dazio è
ambiguo.
I triangoli b e d rappresentano le perdite di efficienza.
Il dazio comporta una distorsione della produzione e del consumo: i produttori producono troppo e i consumatori
consumano troppo poco rispetto all’equilibrio di mercato.
Il rettangolo rappresenta il guadagno da ragioni di scambio. Le ragioni di scambio migliorano perché il dazio riduce
il prezzo estero all’esportazione (prezzo domestico dei beni importati).
(Figura 9.10)

Sussidi all’esportazione
Anche i sussidi all’esportazione possono essere specifici o ad valorem.
Un sussidio specifico è un pagamento su ogni unità esportata.
Un sussidio ad valorem è un pagamento in proporzione al valore del bene esportato.
Il sussidio all’esportazione aumenta il prezzo del bene nel paese esportatore, facendo ridurre il surplus del
consumatore (peggiorando la condizione dei consumatori) e facendo aumentare il surplus del produttore.
Inoltre, il sussidio implica un esborso da parte del governo.
Figura 9.11 Ora siamo un paese esportatore di un bene. Con il dazio ci collocavamo a un prezzo autarchico era
superiore al prezzo mondiale, per cui il paese importatore decideva di acquistare dall’estero. In questo caso, noi siamo
in grado di soddisfare anche la domanda mondiale perché il nostro prezzo è vantaggioso.
Se introduciamo un sussidio pari ad S i produttori, al Prezzo Pw saranno incentivati a vendere tutti i beni all’estero,
perché se riescono a venderli all’estero Pw incasseranno Pw+S, con S che è un trasferimento che va nelle tasche di chi
esporta, mentre ovviamente se vendessero internamente percepirebbero solo Pw.
Allora accade quello che accadeva all’introduzione del dazio ma al contrario. Si crea una situazione di eccesso di
offerta del bene all’estero al prezzo P=Pw. Ciò perché il prezzo all’estero P*s si riduce. In H siamo nella condizione
opporta, perché c’è un eccesso di domanda e nessuno vuole vendere. Allora il Ps aumenta.
Abbiamo una pressione verso l’alto del prezzo in H, una pressione verso il basso del prezzo in F.
A fronte di una diminuzione di benessere dei consumatori domestici, siamo in una situazione in cui la nostra politica
non sta migliorando la nostra condizione rispetto al resto del mondo.
Il meccanismo di aggiustamento tra prezzo estero e prezzo domestico si arresterà quando Ps=P*s+S, cioè il sussidio
non ricade completamente come aumento di prezzo al consumatore domestico, ma viene ripartito in termini di
riduzione del bene venduto all’estero.
Osserviamo dal grafico che il saldo tra perdita del consumatore e il guadagno del produttore vede un incremento di
benessere legato ad dazio. Tuttavia, mentre il dazio determina introiti nelle casse del governo; il sussidio rappresenta
soldi che escono dalle casse del governo. Costo sussidio: S*EXP (valore sussidio*quantità esportata).
La perdita netta è data da (b+d)+(e+f+g). b è la distorsione di consumo, d è la distorsione della produzione; e+f+g
rappresenta il peggioramento nelle ragioni di scambio. Siccome:
Ragioni di scambio= Pexp/Pimp
Se il prezzo del bene esportato è abbassato dall’introduzione del sussidio, perché essendo un paese grande ho
introdotto un sussidio che ha aumentato l’offerta del bene all’estero, portando il prezzo a ridursi, riducendo la nostra
competitività sul mercato.
Abbbiamo un peggioramento delle nostre condizioni nei confronti del resto del mondo in termini di ragioni di
scambio.
Ovviamente stiamo considerando finora un paese grande, che influisce sul prezzo estero.
Se fossimo un paese piccolo, il sussidio si rifletterebbe completamente sul prezzo domestico, mentre il prezzo estero
non verrà abbassato e rimarrà Pw: è una cosa positiva, perché non avremmo il peggioramento nelle ragioni di
scambio.
Comunque il costo del sussidio prevarrebbe sui guadagni, e sarebbe pari questa volta a b+d.

Esempio di sussidio: PAC europea


Scopo della PAC era inizialmente non concepita in termini di sussidi, ma mirata a garantire un prezzo elevato agli
agricoltori europei, acquistando prodotti agricoli ogni qualvolta il prezzo tendeva a scendere (tenendo su il prezzo di
equilibrio).
I prezzi dei prodotti agricoli vengono alzati a un livello superiore non solo a quello vigente sui mercati mondiali, ma
anche a quello di equilibruio sul mercato europeo in assenza di scambi. Un sussidio alle esportazioni viene utilizzato
per disfarsi della produzione in eccesso.
Siamo in una condizione in cui l’UE dovrebbe importare beni agricoli dal resto del mondo, perché il prezzo mondiale
è migliore del prezzo autarchico. Vediamo che senza interventi l’incrocio tra domanda e offerta di beni agricoli
dell’UE è maggiore rispetto al prezzo mondiale, dovrebbe essere soddisfatta da importazioni dall’estero del prezzo
mondiale.
L’Unione europea decide di attuare una politica di dazi per compensare la differenza tra prezzi agricoli europei e
prezzi mondiali, così da impedire l’importazione dei prezzi esteri, per cui non era più conveniente importare i beni dal
resto del mondo.
A partire dagli anni ‘70, i prezzi di sostegno fissati dall’UE erano così alti che l’UE si ritrovava in una situazione in
cui produceva più di quanto i consumatori europei fossero disposti ad acquistare: i prezzi erano troppo alti da spingere
i produttori a produrre troppo rispetto alla domanda. Allora l’UE si ritrova a immagazzinare un’enorme quantità di
prodotti agricoli, con scorte che aumentavano sempre di più. Per evitare che aumentassero in modo illimitato l’UE
attua una politica di sussidi alle esportazioni per evitare che si accumulasse troppo prodotto. Allora al prezzo mondiale
l’UE esporta il surplus e dà ai produttori agricoli un sussidio pari alla differenza tra prezzo europeo e prezzo
mondiale.
Il problema è che il sussidio tende a ridurre il prezzo mondiale del bene esportato, allora il sussidio da introdurre deve
essere ancora maggiore per garantire il prezzo agli agricoltori. Si innesca un circolo vizioso per cui un sussidio più
elevato porta una riduzione del prezzo mondiale che porta alla necessità di un aumento del sussidio e così via.
Il potere politico degli agricoltori europei è sempre stato molto forte, per cui nonostante gli elevati costi netti di questa
politica europea, è stato difficile fermare il programma. Anche gli altri paesi si opposero al programma perché ciò
riduceva i costi anche delle loro esportazioni.
Il costo della PAC inoltre diventava insostenibile per i contribuenti europei.
La tendenza è quella di cercare di pagare direttamente gli agricoltori indipendentemente dalla produzione che
effettuano, altrimenti si ricade nel problema di eccesso di produzione: si preferisce che l’agricoltore riceva un aiuto
indipendente da quanto produce.

Contingentamenti delle importazioni


Un contingentamento delle importazioni è un limite posto alla quantità di bene che può essere importato. Può avvenire
in 2 modi:
 Generalmente è legato alla concessione di licenze alle imprese domestiche che importano
 in alcuni casi, il diritto è concesso direttamente ai governi dei paesi che esportano
Un contingentamento delle importazioni ha sempre l’effetto di innalzare i prezzi interni dei beni importati,
esattamente come un dazio.
Dazio e contingentamento non hanno particolari differenze sull’effetto sul prezzo finale. L’unica differenza rilevante è
che qui non abbiamo l’introito fiscale legato al dazio stesso: chi guadagna è il titolare della licenza (impresa domestica
o governo estero), perché la differenza tra prezzo mondiale e prezzo e il prezzo che viene a generarsi nel paese a causa
delle limitazioni delle importazioni va nelle tasche di coloro che sono titolari delle licenze.
Figura 9.13 Prezzi USA e mondiale dello zucchero grezzo in dollari per tonnellata, 1989-2011
Il prezzo domestico per gli USA è molto più alto del prezzo mondiale.
Figura 9.14 Effetti del contingentamento dello zucchero negli Stati Uniti Quando introduco un limite alle
importazioni, io ho fissato il valore delle importazioni. Allora vado a vedere a quale livello di prezzo la distanza tra
curva di domanda e la curva di offerta è pari al valore fissato. Allora ottengo il prezzo di equilibrio nel mercato USA,
che incrementa notevolmente. Il rettangolo c in figura non è più dato dagli introiti del governo dall’introduzione del
dazio, ma costituisce una rendita per coloro che hanno le licenze governative, perché chi le possiede acquista lo
zucchero al prezzo mondiale e lo vende in USA a un prezzo maggiorato. In generale, il costo di un contingentamento è
pari a un dazio equivalente.
Se queste licenze sono date all’estero, di sicuro porre delle limitazioni sotto forma di contingentamento riduce il
benessere del paese più di quanto non lo faccia un dazio equivalente (in cui il rettangolo c entra nelle casse dello
Stato).
Il contingentamento quindi limita le importazioni di zucchero a 3,4 milioni di tonnellate, portando il prezzo dello
zucchero in usa a salire a oltre il 34% in più del prezzo mondiale. Inoltre, ciò aumenta anche il prezzo di tutti gli
alimenti che contengono zuccheri. Dal punto di vista dei produttori di zucchero, il contingentamento è cruciale: i
guadagni rappresentano forti introiti per il settore, come se fosse un sussidio implicito di 200 mila dollari per ogni
occupato. Ecco perché i produttori di zucchero sono una lobby molto forte che addirittura finanzia le campagne
elettorali.
I consumatori perdono annualmente, come visto, una cifra di circa 11 dollari all’anno, quindi l’elettore medio non si
oppone al contingentamento. Inoltre, nessuno vuole una discesa dell’occupazione che potrebbe arrivare fino a 2000
lavoratori.
Tuttavia, se si rimuovessero le restrizioni sullo zucchero, crescerebbe anche la domanda di cibi che contengono
zucchero, e questo potrebbe far diventare gli USA da importatore netto a esportatore netto nel settore dolciario, che
creerebbe fino a 20000 posti di lavoro nel settore alimentare.
Dunque, più che un tentativo di proteggere un settore, diventerebbe una forma indifendibile di protezione di un
settore. Da qui si capisce che il ruolo delle lobby è molto forte.

Limitazioni volontarie delle esportazioni


Una limitazione volontaria delle esportazioni funziona come un contingentamento delle importazioni, con la sola
differenza che la limitazione viene imposta dal paese esportatore e non dal paese importatore.
Tuttavia, tali restrizioni sono generalmente richieste dal paese importatore. I profitti o rendite di questa politica vanno
ai governi o alle imprese estere, quindi è molto più costoso per il paese importatore di un dazio con effetti simili.
Questi vendono una quantità limitata a un prezzo maggiore.
Es. Accordo multilaterale Multifibre fino a inizio 2005; automobili giapponesi in USA e pannelli solari cinesi in UE.
Per evitare la guerra commerciale, si limitano le esportazioni tra Giappone e USA.

Requisiti di contenuto nazionale


Il requisito di contenuto nazionale è una norma che impone che una certa quota del bene finale sia prodotta all’interno
del paese.
Questa quota può essere specificata in rapporto al valore del bene - imponendo che una frazione minima di
quest’ultimo rappresenti valore aggiunto domestico - o in unità fisiche. Dal punto di vista dei produttori nazionali di
componenti, imporre un requisito sul contenuto nazionale della produzione equivale alla protezione fornita da un
contingentamento delle importazioni, anche se non vi è un limite fisico alle importazioni (l’impresa può importare di
più purché acquisti più componenti all’interno del paese).
Es. Ponte Bay Bridge a San Francisco: facendo riferimento a una legge del ‘33 che imponeva alle agenzie pubbliche di
acquistare molti input specifici da imprese produttrici USA, a meno che l’offerta estera per quello stesso input fosse
inferiore a più del 25% di quella USA, viene imposto che tutti i progetti pubblici ARRA devono acquistare materie
prime e manufatti USA a meno che appunta l’offerta estera sia inferiore al 25%.
Tuttavia la Cina sta creando prodotti siderurgici che hanno una differenza di costo che si sta avvicinando al limite del
25%, allora per costruire un nuovo ponte della baia che collega San Francisco a Oakland per le componenti
siderurgiche è stato offerto un prezzo inferiore del 23% all’unica offerta statunitense per beni simili. Allora lo Stato
della California ha rinunciato al pacchetto federale ARRA e si è finanziato direttamente sul mercato per accedere alle
merci cinesi.
Forzando l’acquisto di beni domestici, ciò va a ripercuotersi sui contribuenti statunitensi, rappresentando una vera e
propria forma di protezione del mercato domestico che tiene alti i prezzi.

Altre politiche commerciali:


 Crediti agevolati all’esportazione; sono prestiti sussidiati agli esportatori
 Politica delle commesse pubbliche: le agenzie governative sono obbligate a effettuare i loro acquisti dalle imprese
domestiche anche se queste praticano prezzi maggiori (rispetto alle imprese estere)
 Regolamenti: requisiti sanitari, di sicurezza o regolamenti doganali possono agire come forma di protezionismo e
barriera agli scambi

Tabella 9.3 Guardando all’evoluzione del grado di protezionismo complessivo, osserviamo che la protezione
complessiva si suddivide tra dazi e altre protezioni (barriere non tariffarie), vediamo che col passare del tempo di dazi
vanno via via diminuendo, mentre l’altra colonna diventa sempre maggiore.

Capitolo 10. L’economia politica della politica commerciale

Le argomentazioni a favore del libero scambio


La politica si schiera a favore o contro il libero scambo sulla base dei banefici aggregati che derivano dall’apertura al
libero scambio e gli effetti sulla fascia della popolazione colpita negativamente dal libero scambio. Le argomentazioni
a favore del libero scambio sono:
1) Efficienza e libero scambio. La prima argomentazione a favore del libero scambio riguarda l’efficienza allocativa:
produttori e consumatori allocano le risorse nel modo più efficiente quando i governi non inducono distorsioni nei
prezzi di mercato mediante interventi di politica commerciale.
 L’imposizione di un dazio induce una distorsione degli incentivi economici di consumatori e produttori,
legata alla perdita netta. L’eliminazione di un dazio rimuove tale distorsione e aumenta il benessere di un
paese e avremmo una maggiore efficienza allocativa.
Tuttavia, se da un punto di vista teorico ciò è piuttosto chiaro, dal un punto di vista empirico rimuovere i dazi
porterebbe a un incremento di benessere piuttosto ridotto, perché per il mondo la presenza di politiche commerciali ha
un costo inferiore all’1% del pil.
I guadagni dalla completa apertura dei commerci sono più bassi nei paesi più industrializzati e più alti nei paesi in via
di sviluppo.
Tabella 10.1 Studio sul 2004, cosa accadrebbe nei paesi con un abbattimento dei dazi. I benefici stimati hanno tutti
più o meno lo stesso ordine di grandezza, anche se i valori sono più alti nei pvs.
2) Economie di scala
una seconda argomentazione a favore del libero scambio sostiene che esso consente alle imprese o ai settori di trarre
vantaggio dalle economie di scala. L’esistenza di mercati protetti limita i guadagni derivanti dall’esistenza di
economie di scala esterne impedendo la concentrazione dei settori: un’eccessiva proliferazione di imprese nell’ambito
di un mercato interno protetto dal dazio implica che la scala di produzione di ciascuna impresa non è efficiente (es.
Settore automobilistico in Argentina).
La protezione dei mercati tiene alto il prezzo del prodotto, ma riducendo la concorrenza e aumentando i profitti a
scapito dei consumatori incentiva le imprese a entrare nel settore protetto. Ma quando abbiamo un eccessivo numero
di imprese la scala di produzione non può essere efficiente. Degli studi stabiliscono che un impianto efficiente
dovrebbe produrre da 80mila a 200mila automobili all’anno: nel caso argentino, nel 1964 l’intero settore produceva
166mila vetture e contava almento 13 imprese diverse. Quindi succede che il prezzo tenuto artificialmente alto
consentiva a imprese anche poco efficienti di rimanere sul mercato, frammentando la produzione tra tante imprese che
non raggiungevano una scala di produzione sufficiente ad essere efficiente. Se le economie di scala operano senza
restrizioni avviene una “selezione naturali” delle imprese migliori che aumentano l’efficienza del settore.
E’ difficile però stimare i guadagni addizionali legati alle economie di scala. Nella tabella 10.2 si cerca di stimare con
simulazione i guadagni potenziali legati dall’eliminazione delle barriere al commercio estero nel 2004.Il primo è un
modello che usa solo una concorrenza perfetta in tutti i settori. Il secondo ipotizza una concorrenza monopolistica nel
settore manifatturiero e quello dei servizi. Nella prima riga vediamo che quando consideriamo anche i vantaggi
derivanti dalle economie di scala i guadagni aumentano da 0,54 a 0,78% del Pil. Però vi è eterogeneità tra i vari paesi,
con un effetto europeo quasi triplicato.
Se oltre gli effetti allocativi prendiamo in analisi anche quelli di concorrenza imperfetta, vediamo per i pvs che se il
paese si specializza nel settore di concorrenza perfetta, gli effetti positivi sono controbilanciati dalle perdite che
derivano dal fatto che questi paesi devono abbandonare il settore di concorrenza imperfetta, concentrata in paesi che
sono diversi dai pvs.
3) Rent-seeking. Quando non vi è libero scambio (le importazioni sono limitate da un contingentamento o un dazio) il
costo è aumentato dal rent-seeking o ricerca di rendita. Gli individui e le imprese devono sostenere costi significativi
per ottenere le licenze di importazione, quindi se non ci fosse il mercato sulle licenze queste risorse non andrebbero
sprecate.
Primo esempio. India, anni ‘50-’60. Le imprese potevano acquistare degli input in base a quanti capannoni avevano
installato. Le imprese erano indotte a investire troppo; un’impresa siderurgica costruiva più altiforni del necessario per
avere licenze di importazione.
Secondo esempio. Mercato del tonno in scatola in USA. Il settore del tonno è protetto da un contingentamento
tariffario: il primo 4,6% del tonno viene importato al 6%, per le quantità successive il dazio diventa quasi il 12%. Il
dazio del 6% è assegnato a chi prima arriva, per cui gli importatori cercano di accaparrarsi una fetta più larga possibile
di importazioni col dazio del 6%. Ciò produce una grossa dispersione di risorse nell’economia.
4) Argomentazione politica
In realtà, è stato dimostrato che è possibile che una particolare struttura di dazi e sussidi migliorerebbe il benessere
rispetto al libero scambio. Tuttavia, qualsiasi programma sofisticato di politica commerciale che cerca di calibrare al
meglio dazi e sussidi sarebbe assoggettato ai settori politicamente più influenti e alle lobby che fanno pressioni
governative. La scelta politica migliore allora sarebbe quella di adottare il libero scambio senza eccezioni per evitare
le pressioni dei gruppi di interesse.

Caso studio: i guadagni del ‘92. Nel ‘92 nella Comunità europea vi era già l’unione doganale, non vi erano dazi né
restrizioni al commercio. Tuttavia, i sostenitori delle misure sostenevano che vi erano barriere ancora restrittive al
commercio: i camion dovevano fermarsi con lunghe attese per espletare le formalità legali. Inoltre la
regolamentazione limitava l’integrazione dei mercati. Eliminare queste ulteriori barriere è stato un processo molto
difficile di armonizzazione in centinaia di aree, con negoziati molto difficili.
Esempi significativi sono legati al cibo: molti paesi hanno regolamentazione molto rigida per quanto riguarda la
colorazione artificiale, che creerebbe problemi alla salute dei consumatori. Nel Regno Unito la questione fu molto
complessa perché la perdita di colore portava anche un po’ la perdita dell’identità nazionale, in Germania si sarebbe
dovuto acquistare birra non secondi gli standard nazionali, ecc.
I vantaggi si sarebbero derivati dal fatto che un’eliminazione delle barriere avrebbe portato una scala di produzione
più efficiente. Alcuni studi erano più scettici di altri in merito ai guadagni delle imprese da quest’integrazione.
In realtà alcuni beni che venivano prodotti a livello nazionale sono trasmigrati verso altri paesi senza grossi problemi,
tuttavia vi era più segmentazione nei consumatori per i beni importati.
I guadagni registrati alla fine sono risultati pari a un aumento dell’1,8% del Pil, un guadagno considerevole anche se
inferiore alle aspettative.

Le argomentazioni contrarie al libero scambio:


1. Ragioni di scambio. Se imposti da un paese grande, i dazi riducono il prezzo mondiale e generano benefici da
ragioni di scambio. Questi benefici possono eccedere le distorsioni nella produzione e nel consumo.
Un piccolo dazio può effettivamente aumentare il benessere di un paese grande, ma da un certo livello in poi loo
ridurrà perché le perdite di efficienza saranno troppo grandi rispetto ai guadagni.
Figura 10.2 Il dazio ottimo. Il benessere nazionale sale fino al punto 1, il livello massimo di benessere nazionale,
superiore al livello di libero scambio. Vi è poi un dazio proibitivo, quello in corrispondenza del quale le importazioni
del paese sono nulle. Allora osserviamo che in autarchia si sta peggio che in libero scambio.
Una tassa sulle esportazioni (sussidio negativo alle esportazioni) che elimina completamente le esportazioni perggiora
le condizioni del paese; tuttavia, esiste un livello della tassa sulle esportazioni che massimizza il benessere del paese
migliorandone le ragioni di scambio.
a) Un sussidio alle esportazioni peggiora le ragioni di scambio di un paese grande; una tassa sulle esportazioni
migliora le ragioni di scambio di un paese grande
b) Una tassa sulle esportazioni può far crescere il prezzo delle esportazioni sul mercato mondiale, migliorando
le ragioni di scambio (es. Petrolo Arabia Saudita)
I paesi esportatori di petrolio ne hanno tassato l’esportazione per aumentarne il prezzo nel resto del mondo, ed è
difficile sostenere che l’Arabia saudita avrebbe ottenuto un miglioramento di benessere in caso contrario.
Per un paese piccolo il <<dazio ottimo è nullo>>.
Per un paese grande, un dazio sulle importazioni o una tassa sulle esportazioni può aumentare il benessere nazionale a
spese degli altri paesi.
Ma questa argomentazione non tiene conto della possibilità che gli altri paesi mettano in atto ritorsioni, imponendo
anch’essi restrizioni agli scambi.
2. Fallimenti del mercato interno. L’analisi costi-benefici di un dazio si basa su surplus di consumatore e produttore.
In realtà, si ritiene che il surplus del produttore non fornisca un’analisi adatta di costi e benefici. Se il mkt interno non
funziona come dovrebbe, quelle conclusioni potrebbero essere fuorvianti (cattiva misurazione del surplus).
Immaginiamo che la produzione di un certo bene generi nuova conoscenza, ma questo nuovo vantaggio non sia
appropriabile dalle imprese del settore in questione, che non tendono conto del beneficio che può essere arrecato alla
società. Esiste un beneficio marginale sociale che non viene tenuto in conto nel surplus.
Figura 10.3 La produzione aggiuntiva da S1 a S2 genera un beneficio marginale sociale, dato dall’area sottesa alla
curva di beneficio marginale sociale. L’area c misura di quanto aumenta il benessere sociale (effetti legati al fatto che
producendo di più si genera più conoscenza, un benessere aggiuntivo per la società che non viene catturato dal
settore). Se questo beneficio aggiuntivo è superiore ad a+b, allora può darsi che l’applicazione del dazio sia preferibile
al libero scambio.
Questa argomentazione si fonda sulla teoria del second best: se in un settore esistono fallimenti di mercato può
generare svantaggi nel libero scambio. Questa teoria sostiene che l’intervento pubblico che distorce gli incentivi di
mercato in un settore può aumentare il benessere nazionale, compensando le conseguenze negative dei fallimenti di
mercato in altri settori.
La politica più opportuna sarebbe quella di intervenire direttamente sui fallimenti del mercato, ma se ciò non fosse
possibile, l’intervento pubblico in un altro settore potrebbe rappresentare la “seconda miglior” alternativa per risolvere
il problema (la prima sarebbe intervenire direttamente sulla disoccupazione): imperfezioni interne possono giustificare
un intervento nelle relazioni esterne attraverso la politica commerciale.
a) Meglio adottare una politica di first best. Gli economisti che sostengono la causa del libero scambio
ribattono affermando che i fallimenti del mercato interno dovrebbero essere corretti utilizzando una politica di
first best: una politica interna diretta alla fonte stessa del problema. Dunque se il problema è la disoccupazione
persistente, il governo potrebbe sussidiare il costo del lavoro o della produzione di beni intensivi in lavoro. Questi
sussidi eviterebbero le perdite di efficienza economica per i consumatori, che verrebbero invece provocate da un
dazio. Si sceglie solitamente di agire sulla politica commerciale perché i costi sono meno percepiti dall’opinione
pubblica (es. Settore auto in USA: se immaginiamo una fase di disoccupazione nel settore si potrebbero
sussidiare le imprese nel settore automobilistiche, con elevati esborsi da parte dello stato. È difficile pensare che
potrebbe essere approvato un sussidio alle imprese; da un punto di vista politico è più accettabile imporre un
dazio perché i costi non sono appresi appieno dall’opinione pubblica, riversandosi sull’aumento dei prezzi delle
automobili)
b) E’ difficile identificare i fallimenti e quindi l’appropriata politica economica di second best (a causa delle
lobby che premono in una data direzione, rendendo problematica l’adozione di politiche di second best)

Riassumendo pro e contro...


1. Le argomentazioni a favore del libero scambio sono:
a) Il libero scambio consente ai consumatori e ai produttori di allocare le risorse in modo libero ed efficiente,
evitando distorsioni nei prezzi;
b) Il libero scambio consente di sfruttare meglio le economie di scala perché aumenta la concorrenza e stimola
l’innovazione
c) Il rent seeking
d) L’argomentazione politica
2. Le argomentazioni contrarie al libero scambio si basano sulla considerazione che le restrizioni al commercio:
a) Producono guadagni da ragioni di scambio
b) Consentono ai governi di gestire i fallimenti del mercato in assenza di politiche migliori.

Ma le scelte di politica economica sono dettate solo dall’interesse per il benessere nazionale?

È giusto considerare il benessere nazionale, ma esistono anche modelli in cui l’obiettivo da massimizzare è il successo
politico di chi mette in campo questi elementi, e sono:
i. Il modello dell’elettore mediano
ii. L’azione collettiva
iii. Modelli della politica commerciale che combinano i 2 elementi

Modello dell’elettore mediano


I partiti politici possono aggiustare le proprie politiche per catturare l’elettore che sta al centro dello spettro delle
ideologie politiche. Gli elettori vengono ordinati a seconda di ciò che preferiscono, partendo da quelli che privilegiano
dazi più bassi.
Quelli che fanno parte della forza lavoro qualificata preferiscono dazi più bassi e viceversa, dunque si fa
corrispondere l’ordinamento ai livelli di istruzione della popolazione.
Figura 10.4 Competizione elettorale. Immaginiamo che il pool degli elettori sia formato da 25 votanti; vincerà, se tutti
vanno a votare, chi riuscirà ad accaparrarsi 13 voti. L’elettore mediano sarà l’elettore 13: le politiche terranno conto di
che cosa vuole l’elettore mediano, in modo da collocare la politica per catturarlo, sapendo che le preferenze degli altri
sono ordinate in base a cosa vuole l’elettore mediano.
Immaginiamo che l’elettore mediano voglia un dazio pari a tM. Data questa situazione, un partito politico deve
scegliere quale dazio pubblicizzare quale politica del proprio partito in campagna elettorale. Se un partito, che
chiamiamo partito rosso, proponesse un dazio tA (che immaginiamo ottimo per l’elettore 22), l’altro partito (partito
blu) che sceglie un dazio tB viene scelto dalla maggioranza degli elettori (4 contro 21). Questo perché i primi 21
dovendo scegliere tra opzione blu e opzione rossa scelgono ovviamente la blu. Allora il partito rosso abbassa la posta
e propone un dazio inferiore a tB; il partito blu farà la stessa cosa fino a che non arriveremo al livello dell’elettore
mediano.
Dal lato opposto succederebbe la stessa cosa, però in salita.
La difficoltà sta nella previsione del livello ottimale per l’elettore mediano e dal fato che i partiti spesso hanno
motivazioni che vanno oltre a questo semplice modello.

Ma secondo questo modello la politica dovrebbe essere scelta in base al numero di elettori che soddisfa: abbiamo però
visto che spesso e volentieri vengono introdotti dazi che infliggono perdite a tutti i consumatori e guadagni a pochi
produttori (come il dazio sullo zucchero USA).
Altro esempio USA è quello del settore caseario, che presenta un complesso settore di dazi e contingentamenti a danni
di tutte le famiglie degli stati uniti. Allora quale può essere una spiegazione alternativa al modello visto?

L’azione collettiva
L’attività politica di un gruppo rappresenta un bene pubblico: i benefici di tale attività politica vanno a tutti. È il
problema dell’azione collettiva di Ohlson.
Se un consumatore scrivesse una lettera al congresso chiedendo un abbassamento del dazio dei prodotti caseari, tutti i
consumatori che acquistano i prodotti vi guadagnano.
Però, per 3$ in meno un consumatore potrebbe non essere sufficientemente motivato a fare pressione al proprio
rappresentante al congresso da solo, perché i benefici che riceverebbe non sarebbero sufficientemente elevati da
coprire i costi (monetari e di tempo) che dovrebbe sopportare.
Allora, pur essendo negli interessi del gruppo, nessun individuo ha interesse a farlo.
Quando il gruppo è piccolo e gli incentivi sono elevati (come i produttori nel settore caseario), è più facile far
pressione (con una lobby) nel settore.
Le politiche che impongono perdite elevate per la società nel suo complesso, ma perdite limitate per i singoli
individui, potrebbero dunque non fronteggiare forte opposizione.

Un modello di politica commerciale


Prende in considerazione il fatto che i politici vincono le elezioni in parte perché propongono politiche molto popolari
nell’opinione pubblica; in parte sono mossi anche dalla necessità di finanziare la propria campagna elettorale (denaro
per propaganda, comizi e sondaggi). I fondi provengono generalmente da gruppi di interesse che fanno pressioni
politiche dando contributi alla campagna elettorale con l’obiettivo di ottenere l’implementazione di alcuni interventi a
loro favore.
Allora i politici si pongono in una posizione intermedia, con un trade-off tra riduzione del benessere complessivo dei
cittadini e un aumento dei contributi per lo svolgimento delle campagne elettorali.

Lavoro di Baldwin e Majin, 2 voti cruciali negli USA. La legge degli USA fa sì che si conosca l’ammontare dei
contributi ricevuti per la campagna elettorale e i voti ricevuti al congresso. Voto del 1993 sul NAFTA e quello del
1994 per l’accordo finale GATT.
Gli imprenditori erano a favore della liberalizzazione, mentre i lavoratori erano contrari. La posizione del libero
scambio favorita dagli imprenditori fu in entrambi i casi soddisfatta.
Gli autori trovano che c’è stato un forte impatto dei contributi monetari sui voti. Per valutarne l’impatto, gli autori
hanno fatto previsioni, e visto in quali condizioni NAFTA E GATT sarebbero passati.
L’esempio sottolinea che le teorie della politica commerciale che enfatizzano l’importanza di gruppi di interesse e di
pressione sulle scelte politiche sono fondate.

Politica commerciale: quali settori vengono protetti


I pvs hanno tipicamente protetto il settore manifatturiero; i paesi avanzati agricoltura e abbigliamento.
Abbiamo già visto l’esempio dello zucchero USA e della PAC in europa; anche il Giappone ha tradizionalmente
impedito le importazione di riso imponendi un dazio fino al 1000%.
L’abbigliamento è un settore ad alta intensità di lavoro; la tecnologia è relativamente semplice e trasferibile in paesi
con costo del lavoro molto inferiore. Fino al 2005 c’era una sorta di accordo multifibre sul settore tessile (barriere alle
importazioni), poi c’è stato un forte incremento delle importazioni da PVS (soprattutto Cina).
11,8 mld dei 14,1 mld che rappresentano i costi totali del protezionismo in USA rappresentano il costo dei dazi
sull’abbigliamento in USA.

La liberalizzazione commerciale successiva alla IIGM è stata ottenuta tramite negoziati internazionali. Vi è un ruolo
importante degli esportatori nazionali, che sono interessati alla riduzione dei vincoli alle importazioni per poter avere
libero accesso alle esportazioni (è lo stesso interesse dei consumatori, ma con un gruppo meglio organizzato). Allora
fungono da contrappeso agli importatori, vogliono vedere ridotti i contingentamenti.
I negoziati multilaterali evitano l’insorgere le guerre commerciali, nelle quali ciascun paese mette in atto restrizioni
agli scambi (tensioni molto alte oggi tra USA e Cina e USA e UE).
Illustriamo un esempio basato sul dilemma del prigioniero:
Tabella 10.4 Ho usa e giappone che possono sceglier o libero scambio o protezionismo. I payoff sono stati scelti in
base al fatto che un paese sceglie protezionismo in base alla scelta dell’altro paese. Se l’altro paese sceglie libero
scambio, osserviamo che per il Giappone è sempre ottimale scegliere protezionismo (payoff di 20 contro 10). Se USA
sceglie protezionismo, il Giappone sceglierà di nuovo protezionismo.
Se il Giappone sceglie libero scambio, gli USA scelgono protezionismo; se Giappone sceglie protezionismo gli USA
scelgono comunque protezionismo.
Allora, data la scelta dell’altro paese, il protezionismo è sempre comunque meglio del libero scambio.
L’equilibrio di Nash andrebbe allora a finire in una situazione in cui entrambi scelgono protezionismo; scegliendo in
maniera concordata libero scambio raggiungerebbero il miglior risultato possibile, in cui entrambi i paesi traggono
vantaggi dallo scambio e migliorano il loro benessere.

Gli accordi commerciali internazionali: una breve rassegna storica


Nel 1930 gli USA approvano una legge sui dazi detta Smooth-Hawley Act. Con una brusca riduzione dei flussi
commerciali, gli USA decidono di abbattere i dazi tramite negoziati bilaterali, con riduzione di dazi reciproca.
Però i negoziati bilaterali non hanno effetti ottimi come i negoziati internazionali, perché possono avere effetti anche
su paesi terzi che non hanno fatto alcuna concessione in cambio. Ad esempio, se USA riduce il dazio
sull’importazione di caffè dal Brasile, il prezzo del caffè sale e ne beneficia anche la Colombia, non coinvolta
nell’accordo.
In ogni caso gli accordi bilaterali sono riusciti a ridurre i dazi medi da 59% del 1932 al 25% nel periodo postbellico.
Nel 1947 viene siglato il GATT come accordo internazionale provvisorio e fu successivamente sotituito da una vera e
propria OI nota come organizzazione mondiale del commercio (WTO) nel 1995.
Figura 10.5. I dazi si sono ridotti notevolmente negli USA e negli altri paesi avanzati. In questo sistema GATT
l’economia mondiale è vista come oggetto pesante che va spinto in salita verso il libero scambio: per arrivarci servono
leve e freni.
Il binding è un freno, un dazio vincolato, nel senso che uno stato che lo impone accetta di non aumentarlo in futuro
Il trade round è una leva: un grande numero di paesi si riunisce per stabilire un insieme di riduzioni di dazi e altre
misure per liberalizzare il commercio.
Es. Uruguay round, che produsse un documento finale con 2 punti fondamentali:
a. Una spinta alla liberalizzazione commerciale, che ha ridotto il dazio medio nei paesi avanzati del 40%, ha ridotto
sussidi e volumi di merci sussidiate; ha ottenuto la riduzione di quote e contingentamenti con dazi perché sono
più controllabili e misurabili).
Figura 10.5 Decrescita monotona e molto accelerata dei dazi.
L’Uruguay round ha previsto l’eliminazione dell’Accordo Multifibre nel giro di 10 anni. L’eliminazione totale
dei contingentamenti è avvenuta solo il 1 gennaio 2005, con un’impennata delle esportazioni tessili dalla Cina.
Il round ha introdotto un nuovo insieme di regole sugli acquisti effettuati dagli enti pubblici per favorire
l’apertura dei contratti pubblici ai prodotti importati.
b. Riforme amministrative:
a) L’organizzazione mondiale del commercio (WTO) si basa su GATT (commercio di beni), GATS
(commercio di servizi), TRIPS (diritti di proprietà internazionali)
Per la risoluzione delle controversie è stabilita una procedura formale che consente ai paesi coinvolti in una
controversia commerciale di appellarsi a un gruppo di esperti del WTO. Gli esperti analizzano gli accordi
precedenti fra i paesi membri per stabilire che li abbia violati.
Un paese che si rifiuti di rispettare la decisione del gruppo di esperti può essere punito (non direttamente)
mediante la concessione agli altri paesi del diritto di imporre restrizioni commerciali sulle sue esportazioni.
Il WTO non ha potere coercitivo. In tutte le varie dispute il WTO si esprime col suo comitato e dà il via
libera ai paesi danneggiati a imporre misure ritorsive.
Esempi di controversie.
1. Controversia relativa alla benzina in USA. Nuovi standard di inquinamento atmosferico fissano regole per
la composizione chimica della benzina. Alcune delle raffinerie degli USA (quelle che vendevano perlopiù
negli USA) avevano una preferenza, una scappatoia: potevano produrre a una soglia di inquinamento
superiore a quella permessa per le importazioni di benzina.
Allora nel 1995 il Venezuela apre una disputa perché è esportatore negli USA e perché non è soggetto alle
stesse regole dei produttori nazionali. Il comitato dà ragione al Venezuela; ma gli ambientalisti hanno visto
questa posizione come negativa perché il Venezuela avrebbe potuto continuare ad esportare benzina più
inquinante.
Allora si è visto come il WTO privi i paesi della propria sovranità nazionale generando danni anche a livello
ambientale e sociale.
2. Controversia relativo alla <<guerra del salmone>> tra norvegia da una parte e scozia e irlanda dall’altra. S
e I chiedevano un dazio anti-dumping all’Ue perché si riteneva che il salmone norvegese fosse importato in
UE a un prezzo troppo basso. L’industria di lavorazione del pesce danese e francese ne risente; la Norvegia
porta la questione al WTO che le dà ragione e l’UE ritira poi i dazi anti-dumping.

Il Doha Round
Nel 2001 inizia il nono round con risultati meno importanti: la maggior parte delle forme di protezione ancora esistenti
sono legate ai settori di agricoltura e abbigliamento, che hanno gruppi di pressione molto forti. Nonostante
l’agricoltura rappresenti circa il 10% del commercio totale, gran parte dei guadagni potenziali dall’incremento della
libertà del commercio proviene dalla riduzione dei dazi e dai sussidi all’esportazione nell’agricoltura.
Tabella 10.5 Distribuzione percentuale dei guadagni potenziali dal libero scambio. A fronte del 10% di commercio
internazionale rappresentato da flussi di beni agricoli e alimentari, gran parte dei benefici del libero scambio verrebbe
proprio dal settore agricolo. Gran parte dei vantaggi li avrebbero i PVS.
Tabella 10.6 Scenario ambizioso: forte liberalizzazione; meno ambizioso: settori più sensibili risparmiati alla
liberalizzazione.
Vediamo che per i paesi ad alto reddito i guadagni dal mettere in campo un’operazione di tagli nei dazi nei settori
profondamente organizzati sono contenuti; per i paesi a basso reddito ancora meno.
Cerchiamo di capire perché paesi a medio-basso reddito e Cina potevano essere danneggiati o poco aiutati dai
negoziati di Doha.
I paesi ricchi continuavano a mettere in pratica sussidi elevati all’esportazione e alla produzione di beni, ad esempio il
sussidio al cotone degli USA che deprimeva i prezzi mondiali del cotone, danneggiando i coltivatori dell’africa
occidentale.
Dall’altro lato, i consumatori possono acquistare il bene a prezzi più economici: ecco perché dal punto di vista dei
consumatori dei pvs era una politica vantaggiosa. Il successo del Doha Round avrebbe danneggiato la Cina che
esporta cibo e prodotti agricoli, abbattendo i dazi. In generale i cittadini del terzo mondo ricevono benefici dai prezzi
bassi nelle esportazioni di cibo, però ciò danneggia gli agricoltori dei paesi sviluppati.
In molti casi, per molti paesi africani, se il Doha round avesse rimosso i sussidi ai prodotti agricoli avrebbe prodotto
un effetto negativo sui consumatori rispetto al guadagno dei produttori.
A seguito di altri negoziati del Doha round si è raggiunto un accordo per garantire cibo e agevolazioni commerciali
per i paesi meno sviluppati (Bail Package e Nairobi Package)
Accordi commerciali preferenziali
Riduzione di dazi reciproci tra gruppi di paesi, ma non verso il resto del mondo. Nel sistema WTO queste pratiche
sono proibite perché ritenute discriminatorie, e ogni paese membro accetta di far pagare a ogni altro paese dazi non
più alti di quelli pagati dal paese con dazi minori secondo il principio della nazione più favorita.
Unica eccezione è quella in cui il dazio che si vuole applicare con un dato paese è pari a zero. È possibile solo in
questo caso se viene applicato l’abbattimento di un dazio con un altro paese.
In generale, due o più paesi che si accordano per liberalizzare gli scambi reciproci possono:
 Creare un’area di libero scambio all’interno della quale però i paesi possono mantenere ciascuno una propria
politica commerciale nei confronti degli altri paesi. Un esempio è il NAFTA stipulato tra Canada Usa e Messico.
Il Nafta è stato modificato nel 2018 con enfasi su prodotti agricoli, lattiero-caseari, autoveicoli, protezione della
proprietà intellettuale (USMCA)
 Un’unione doganale, che liberalizza gli scambi tra paesi membri e li obbliga ad adottare una politica commerciale
comune nei confronti degli altri paesi (ad esempio l’Unione Europea). Tutti i paesi che vi appartengono
applicano, ad esembio, uno stesso dazio su un bene importato dagli USA.

Libero scambio vs. Unione doganale


Un’unione doganale, quando è avviata, ha un’amministrazione dei dazi molto facile, perché basta attraversare
indifferentemente uno dei paesi dell’Unione per poter far circolare le merci liberamente anche negli altri. Il problema
viene prima, quando bisogna accordarsi sul livello dei dazi: i paesi devono cedere parte della loro sovranità ad
un’entità sovranazionale come l’UE.
Questo tuttavia solleva un problema: USA e Messico possono imporre dazi differenti all’importazione di una
maglietta dal Bangladesh. Allora una maglietta può arrivare prima in Messico, che ha un dazio inferiore, e poi
sfuggire ai controlli ed arrivare fino a Chicago? Benché il commercio tra USA e Messico sia libero, esiste comunque
un controllo doganale che accerta che i ben i importati in USA provengano effettivamente dal Messico e non da paesi
terzi. Nel momento in cui viene creata l’area di libero scambio, è poi dunque più complessa la gestione, perché
bisogna anche capire quanta percentuale del bene è stata prodotta effettivamente in messico e se può passare, e così
via.
L’unione doganale invece vede difficoltà nel trovare accordi tra paesi con consumatori con abitudini differenti.
Esempio del commercio delle banane: alcuni paesi europei hanno posto un contingentamento al commercio delle
banane dalle Banana republic (in america centrale) perché costavano troppo poco rispetto a quelle delle ex colonie in
Africa o nelle indie occidentali. La Germania invece non aveva alcun dazio rispetto all’importazione. Quando
bisognava convergere sul dazio da stabilire rispetto al dazio, la germania si oppone al contingentamento ma alla fine
deve capitolare.
Nel ‘95 gli USA accusano l’UE di pratiche sleali, soprattutto per proteggere la loro multinazionale Chiquita, che
vedeva le sue esportazioni molto limitate. Il WTO dà ragione agli USA e iniziano una serie di accordi tra USA e UE
dopo una serie di ritorsioni: l’UE nel 2005 annuncia di voler eliminare il contingentamento delle importazioni da
africa caraibi e pacifico, ma triplicare quello sulle altre. A questo punto insorgono i paesi dell’America latina, che
danno battaglia al nuovo dazio chiedendo al WTO di esprimersi. Nel 2007 il WTO dichiara che il vincolo scelto
dall’UE fosse illegale, allora c’è un processo di riduzione dei dazi che continua nel corso degli anni.
Esempio. Il mercosur, paesi dell’america latina che creano un’area di libero scambio che ha visto triplicare il
commercio tra questi paesi. Tuttavia, i consumatori dei paesi membri erano stati indotti a comprare beni prodotti dai
loro vicini perché tutti gli altri erano sottoposti ad altissimi dazi. La deviazione dei flussi commerciali ha ridotto il
benessere dei consumatori, con un potenziale effetto negativo degli accordi regionali, perché i flussi che esistevano
precedentemente con altri paesi potrebbero essere interrotti.
Se un paese finisce per importare beni costosi dagli altri paesi membri non riceve più introiti dall’imposizione di
dazi su importazioni poco costose dai mercati mondiali, e non ha più alcun gettito tariffario. Il rischio è che il
benessere nazionale diminuisca.

Esempio.
Immaginiamo di avere UK, Francia, USA. USA produce frumento a 4$ al quintale, Francia a 6$/Q, UK a 8$/Q.
UK forma unione doganale con la Francia, viene abolito il dazio sul frumento francese ma non su quello USA.
UK ci guadagna o meno in termini di benessere dall’unione doganale?
Hp 1: Il dazio è di 5$/Q. è un dazio probitivo perché proibisce l’importazione di frumento da USA, perché il grano
domestico costerebbe meno ai consumatori UK e Francesi.
Abolito il dazio con la Francia, agli inglesi conviene consumare il grano francese che costa meno.
Hp 2. Prima dell’istituzione dell’unione doganale UK applicava un dazio di 3$, dunque non proibitivo. A questo dazio
UK preferisce consumare grano USA (che a loro costa 4+3=7$ invece di 8$).
L’unione doganale abolisce di nuovo il dazio con la Francia e i consumatori UK ora preferiscono il grano francese che
costa 6$.
Questo implica che i consumatori UK non importeranno più grano USA ma dalla Francia sì.
In realtà però il grano USA costava davvero 4$, perché i 3$ in più sarebbero rimasti sotto forma di introito per il
governo nelle tasche degli inglesi, non di perdita netta.
Allora, se dal lato del consumatore il grano è più costoso, dal punto di vista del benessere l’unione doganale genera
delle perdite.
Ciò è una prova della teoria di second best: all’unizio UK aveva adottato 2 politiche distorsive, ovvero i dazi sia per
USA che per Francia.
Il dazio sul frumento francese in realtà però contribuisce a compensare la distorsione prodotto dal dazio sul grano
americano: l’abolizione del dazio sul grano francese può peggiorare il benessere.
UK trae vantaggio dall’unione doganale se determina nuovi flussi commerciali (grano francese rimpiazza grano UK),
è danneggiato dall’unione se flussi interni all’unione rimpiazzano flussi con paesi esterni all’unione.
Allora gli accordi commerciali preferenziali aumentano il benessere nazionale quando contribuiscono a creare nuovo
commercio, ma non quando flussi commerciali dal resto del mondo vengono sostituiti da flussi commerciali con gli
altri paesi membri.
Abbiamo invece una deviazione di flussi commerciali quando importazioni a basso costo da paesi terzi vengono
sostituite da importazioni ad alto costo dai paesi membri (es. Grano francese).

Capitolo 11. La politica commerciale nei paesi in via di sviluppo

Paesi in via di sviluppo sono paesi a basso-medio reddito, tra questi l’ONU ne ha individuati 50:
 Con basso reddito pro capite;
 Con scarso sviluppo umano;
 Con un’elevata vulnerabilità economica.
In particolare (tabella 11.1) si ordinano i paesi per PIL pro capite, e si osservano i paesi ultimi in classifica.

Industrializzazione basata sulla sostituzione delle importazioni


L’industrializzazione basata sulla sostituzione delle importazioni è stata una politica commerciale adottata da molti
paesi a basso e medio reddito dopo la seconda guerra mondiale fino agli anni Settanta.
Questa politica mirava a sostenere lo sviluppo dei settori domestici proteggendoli dalla concorrenza delle
importazioni. L’idea era che bisognasse creare un settore manifatturiero forte, protetto dalla concorrenza
internazionale.
La logica fondante è che molti PVS hanno cercato di accelerare lo sviluppo limitando l’importazione di beni manufatti
in modo da costituire un settore manifatturiero al servizio del mercato interno. La principale giustificazione di questa
politica è stata
L’argomentazione dell’industria nascente.
 I paesi potrebbero avere un vantaggio comparato potenziale in alcuni settori, ma questi ultimi non riescono
inizialmente a competere con i settori già ben consolidati di altri paesi
 Per consentire a questi settori di svilupparsi, i governi dovrebbero temporaneamente sostenerli finché non siano
diventati sufficientemente forti da riuscire a competere sui mercati internazionali (imponendo dazi e
contingentamenti alle importazioni)
La giustificazione dell’industria nascente è tipicamente basata sul fallimento del mercato.

Industrie nascenti e fallimenti del mercato


2 sono le spiegazioni per cui i fallimenti del marcato impediscano alle industrie nascenti di diventare competitive.
1. Se i mercati finanziari sono imperfetti
a) A causa di regolamentazioni e mercati finanziari deboli, i settori nascenti non riescono a prendere a prestito
le risorse di cui hanno bisogno e questo rallenta la crescita economica. I settori in deficit non riescono a
crescere perché le imprese hanno modesti profitti iniziali.
b) Se non è possibile creare mercati finanziari più efficienti (first best), l’imposizione di dazi rappresenta una
politica di second best per aumentare i profitti delle industrie nascenti, accelerando la crescita economica.
2. Problema dell’appropriabilità:
a) Le imprese di un settore nuovo generano benefici sociali per i quali non vengono compensate. Ad esempio,
quando avviano un nuovo settore possono generare in aggiunta al loro prodotto fisico benefici per la
collettività come conoscenza o creazione di nuovi mercati, ma sui quali non sono in grado di far valere il
loro diritto di proprietà.
È il beneficio marginale sociale che, non avendo appropriabilità, fa sì che nessun imprenditore privato sia
disposto a entrare nell’industria stessa
b) La misura di first best sarebbe quella di tutelare i diritti di proprietà per remunerare le imprese, ma se questo
non è possibile l’imposizione di dazi rappresenta una politica di second best per stimolare la crescita dei
settori nascenti.
Problemi nell’argomentazione dell’industria nascente
Queste industrie può darsi che non diventino mai abbastanza competitive da poter vendere sul mercato senza
protezioni.
A causa (anche) della protezione le industrie nascenti potrebbero non crescere mai e non diventare mai competitive.
L’intervento pubblico è utile solo se c’è un fallimento del mercato che impedisce al settore privato di investire
nell’industria nascente. Si rischia che la politica di intervento possa essere preda degli interessi di gruppi ristretti, che
sono favoriti dalle barriere protezionistiche.
Il sostegno alla politica commerciale può avvenire tramite:
 Sussidio alla produzione industriale in generale, in modo tale che si sviluppino
 Sussidi alle esportazioni di beni strategici in cui il paese potrebbe avere in futuro un vantaggio comparato
 Imposizione di dazi e contingentamenti che sostituiscano l’importazione di manufatti con produzione interna
(sostituzione delle importazioni).

Non si possono seguire entrambe le vie parallelamente, perché riducendo le importazioni col dazio l’economia interna
produce di più del bene che altrimenti sarebbe importato; e ciò va a scapito del bene che il paese esporta. Scegliere di
attuare una strategia di sostituzione equivale al mancato incoraggiamento alla crescita delle esportazioni.

Dagli anni ‘50 e ‘60 un gruppo di baesi decide la strada della sostituzione delle importazioni. La produzione interna di
beni nei paesi più grandi riesce a sostituire quasi interamente le importazioni. Inizialmente è protetta la produzione di
beni di consumo finali (fasi finali del ciclo produttivo), poi viene protetta anche la produzione di beni intermedi.
I pvs ridussero le importazioni a livelli molto bassi (caso estremo India, con esportazioni non petrolifere pari al 3%
all’inizio degli anni ‘70).
Tale atteggiamento ha portato a un aumento della produzione di manufatti in percentuale al pil comparabile con quella
dei paesi avanzati.
Tuttavia l’obiettivo era di colmare il gap nello sviluppo economico, e in questi termini l’evidenza in realtà è ambigua.
I motivi di questo parziale insuccesso sono:
L’argomentazione dell’industria nascente non ha validità universale, proteggere un settore industriale non
necessariamente lo rende competitivo sul mkt internazionale. La difficoltà dei pvs ha spesso ragioni più profondi che
la mancanza di esperienza industriale: mancanza di imprenditori, competenze manageriali, organizzazione sociale,
lavoro qualificato.
Un contingentamento delle importazioni non può rendere un settore di colpo più efficiente; in particolare le politiche
commerciali adottate sono state oggetto di critica e dibattito; pare che le politiche protezionistiche hanno poi avuto
l’effetto di limitare lo sviluppo del paese. Invece di imporre semplicemente dei dazi si è ricorso a BNT, per cui non
era ben chiaro nemmeno per gli stessi governi quale fosse il vero grado di protezione applicato (difficile da calcolare).
Questi problemi hanno fatto sì che settori troppo piccoli e imprese che in altri contesti non si sarebbero trovate a
produrre per CM troppo altri si trovano in condizioni distorte.

Liberalizzazione commerciale
A partire dalla metà degli anni ‘80 un gruppo di PVS inizia a ridurre le limitazioni al commercio: si attua una nuova
politica a favore di scambi più liberi. Drastica è la riduzione dei dazi in India e Brasile (Figura 11.1).
Il primo effetto è evidente nel grafico 11.2 che mostra la crescita dell’ammonmtare del volume degli scambi.
Inoltre, è cambiata la natura del commercio internazionale dei paesi: prima i PVS esportavano prodotti agricoli e
minerari; dopo il 1980 la quota di manufatti su esportazioni totali è aumentata notevolmente.
Anche in questo caso ci chiediamo se effettivamente la liberalizzazione commerciale abbia promosso lo sviluppo
economico: anche qui l’evidenza è ambigua.
I tassi di crescita di Brasile e altri paesi dell’America latina si sono addirittura abbassati; l’India ha avuto un tasso di
crescita molto elevato ma non necessariamente ciò può essere attribuito alla liberalizzazione.

Caso studio: Messico. Il Messico dopo la IIGM alza le barriere commerciali fino agli anni ‘70. L’industria messicana
produceva molto poco dunque sulle esportazioni: accade che dalla fine degli anni ‘70 iniziano le difficoltà economiche
e ad inizio anni ‘80 deve cambiare strategia: ridurre i dazi, rimuovere le BNT, convertirsi in esportatore di beni
manufatti integrati con l’economia USA, con incentivi legati all’accordo del NAFTA.
In realtà il NAFTA non riduce tantissimo le barriere commerciali perché di fatto il messico aveva abbattuto molto le
barriere di per sé. Il settore manufatturiero messicano raggiunge l’obiettivo di essere parte di un sistema integrato
nordamericano, non più circoscritto al mkt interno.
In termini di sviluppo però gli effetti sull’economia messicana sono stati deludenti, il PIL pro capite è aumentato ma il
tasso di crescita è stato più basso di quello del periodo di sostituzione delle importazioni. Allora la liberalizzazione
non ha migliorato molto gli standard di vita messicani.

Caso studio: India. Fino agli anni ‘80 tasso di crescita molto basso perché vi era poca integrazione nel commercio
mondiale. Inizia una forma molto estrema basata sulla sotituzione delle importazioni. Negli anni ‘70 esportazioni ed
importazioni rappresentavano circa il 5% del PIL. Tuttavia dall’inizio 1990 l’India inizia a rimuovere dazi e
contingentamenti per integrarsi nell’economia mondiale. Benché sia un paese ancora molto povero, si sta sviluppando
e sta iniziando a competere con la cina in termini di tassi di crescita. Ma alcuni sono molto scettici all’eventualità che
sia stata la liberalizzazione commerciale a far crescere l’India, perché l’India ha iniziato a crescere molto prima.
Anche in questo caso le conclusioni sono difficili da interpretare.

Il decollo dell’Asia
Alcuni paesi del sud est asiatico hanno dato luogo a politiche commerciali basati sullo sviluppo delle esportazioni:
Corea del Sud, Hong Kong, Taiwan. In seguito il fenomeno si è esteso anche a Cina e India. Figura 11.4: a partire
dagli anni ‘80 notevole crescita.
Un alto volume di exp-imp ha determinato anche una forte crescita economica. È possibile raggiungere lo sviluppo
anche con una crescita mirata all’esportazione dunque; la sostituzione delle importazioni non è l’unica via per lo
sviluppo economico.
Tuttavia la liberalizzazione è solo un aspetto delle politiche che hanno portato al decollo asiatico: l’abbattimento dei
dazi in Messico e Brasile non hanno infatti comportato una crescita simile a quella del sud-est asiatico.

Capitolo 12. Controversie sulla politica commerciale

Consideriamo 3 controversie:
1. Tecnologia ed esternalità (la teoria della politica commerciale strategica prevede l’intervento pubblico nel
commercio estero dei paesi avanzati, in particolare nelle industrie dell’high tech)
2. Effetti della globalizzazione sul lavoro
3. Interazione tra questioni ambientali e politica commerciale

Tecnologia ed esternalità
Abbiamo visto che se esiste un fallimento di mkt, allora può esistere una difficoltà nell’appropriazione della
conoscenza. Se un’impresa genera conoscenza, esiste una produzione aggiuntiva che non si rifletta sugli incentivi
delle imprese nello scegliere quanto produrre. Esistono le condizioni per fornire dei sussidi al settore in questione.
Nelle economie avanzate il settore high tech vede al centro dell’attività imprenditoriale la ricerca. Mentre le imprese
sono in grado di appropriarsi dei vantaggi legati agli investimenti in conoscenza, le leggi sui brevetti costituiscono una
protezione non completa: le imprese follower con reverse engineering possono comunque appropriarsi di parte
dell’investimento in R&S dell’impresa leader. Senza intervento pubblico le imprese ad alta tecnologia possono non
essere abbastanza incentivate a innovare.
Allora i governi potrebbero voler incoraggiare gli investimenti attraverso sussidi.
I sussidi rappresentano un costo ingente, per cui bisogna fare una serie di valutazioni:
 L’importanza economica delle esternalità. È difficile stabilire quanto sussidiare.
 Le esternalità possono esistere anche tra paesi diversi
 Bisogna saper individuare l’attività corretta da sussidiare; alcune di esser non hanno a che fare la creazione di
conoscenza (es. Acquisto di attrezzature o assunzione di lavoratori non specializzati)
Inoltre talvolta anche un settore non high tech potrebbe generare conoscenza ed essere meritorio di sussidio.
La necessità si è rilevata soprattutto dal fatto che negli anni ‘80 gli USA si preoccuparono di un dominio giapponese
sul settore informatico; col timore che la crisi usa potesse estendersi sull’intero settore high tech.
Il Giappone entra nel mkt dei semiconduttori alla fine degli anni ‘70 e inizia a sostenere il settore con sussidi non
molto elevati; la componente principale del sostegno al settore era il cd protezionismo tacito, meccanismo per il
quale quando veniva prodotto il primo semiconduttore, i semiconduttori USA venivano importati poco. Taluni
sostengono che si trattase di una scelta nazionalistica per cui le imprese giapponese preferissero semiconduttori
domestici.
Tale produzione era caratterizzata da una curva di apprendimento molto ripida: avendo un ampio mkt nazionale, il mkt
nazionale faceva sì che i produttori jappo di semiconduttori si spostavano lungo la curva di apprendimento facendo
scendere il costo medio e quindi potevano investire anche in impianti per l’esportazione.
C’erano anche caratteristiche del settore giapponese che avrebbero prodotto dei vantaggi: un elevata attenzione sul
controllo qualità rispetto agli USA, per esempio.
Si credeva fosse fondamentale il settore dei semiconduttori, perché si credeva che sviluppando il settore delle RAM si
sarebbero create forti esternalità verso settori contigui (es. Quello dei microprocessori) e che sarebbe stato possibile
generare extraprofitti grazie alle economie di scala interne.
Negli anni ‘90 si capì che le ragioni sul sostegno al settore delle RAM erano infondate: le imprese USA mantennero il
primato sui microprocessori, inoltre il numero di produttori di RAM andò aumentando (Corea del Sud e altri paesi
emergenti), così il settore perse di rilevanza strategica.
È difficile a priori stabilire il settore da mantenere dunque, perché con questo esempio si capisce che gli effetti voluti
non furono realizzati.

Recentemente sono riemerse le preoccupazioni negli USA nei settori ICT: si osserva l’ampio deficit commerciale dei
beni ICT negli USA (stanno importando più servizi ICT di quanto non si esportino) e il declino dell’occupazione USA
rispetto all’occupazione manifatturiera.
Alcuni ritengono che ciò sia legato all’esternalizzazione di fasi del processo produttivo, altri sostengono che
l’innovazione non può crescere se gli innovatori non sono vicini a coloro che le trasformano in beni fisici.

Negli anni ‘80 nasce la teoria della politica commerciale strategica. In un settore non perfettamente concorrenziale
la presenza di un sussidio pubblico può trasferire gli extraprofitti da imprese estere a imprese domestiche.
Una politica del genera è detta politica commerciale strategica: il governo può indirizzare gli extraprofitti in un
impresa nazionale anziché in un’impresa estera. Attraverso l’erogazione di un sussidio a favore delle imprese
nazionali si può creare una sorta di deterrente per i paesi esteri, perché aumenta i profitti dell’impresa a danno degli
altri paesi.
Esempio: Analisi di Brander-Spencer. Esistono 2 imprese: boeing e airbus, localizzate rispettivamente in USA e UE.
Entrambe producono areoplani, pa i profitti di ciascuna dipendono dalle scelte dell’altra. Allora c’è un payoff a
seconda delle decisioni di boeing e airbus su se produrre o non produrre (Tabella 12.1).
Ogni impresa, se opera da sola, ottiene profitti positivi dalla produzione dell’aereo; se entrambe operano sul mkt
registrano una perdita.
Se nessuna delle due produce, finiamo in una situazione di profitti nulli per entrambe le imprese. Se solo una delle 2
produce, allora chi produce ottiene 100. Se entrambe producono, avranno un profitto negativo pari a -5.
Se immaginiamo che Boeing sia in grado di procurarsi un vantaggio iniziale ed entrare per prima sul mkt, sarà
ottimale per airbus non produrre. Il risultato finale in tal caso sarà quella in alto a destra.
Il ragionamento di Brander-Spencer comporta che il governo UE può intervenire pagando un sussidio a Airbus pari a
25 unità, e ciò cambia la distribuzione di payoff: tabella 12.2.
A questo punto sommo 25 ai profitti di airbus se dovesse produrre. In questo caso Airbus ha convenienza a entrare sul
mkt indipendentemente dalla scelta di Boeing.
Dobbiamo prendere ora in esame la reazione di Boeing a questo intervento: Boeing sarà consapevole che Airbus
entrerà perché è la sua scelta ottimale. Allora Boeing sceglierà di non produrre. Il sussidio UE ha cancellato il
vantaggio iniziale e spostato l’equilibrio in basso a sx.
Airbus ha un vantaggio comparabile al vantaggio strategico alla posizione iniziale, cioè di essere presente sul mkt da
prima del concorrente.

Tale analisi ha dei limiti:


Problema dell’informazione insufficiente: se il gobverno sbaglia le stime sul comportamento dell’impresa estera,
perché se essa ha un vantaggio strutturale grazie al quale può essere comunque conveniente produrre anche in
presenza della produzione dell’impresa interna; l’UE non riesce a evitare che Boeing produca e ha esborsato un
sussidio inutilmente.
Inoltre le imprese sussidiate attirano risorse da altre industrie, i costi per il governo aumentano. È determinato uno
svantaggio strategico per le imprese non sussidiate
Le politiche strategiche sono deleterie, di tipo beggar-thy-neighbor, col rischio di innescare guerre commerciali e
problemi all’economia in generale.

Effetti della globalizzazione sul lavoro


Le esportazioni di manufatti sono aumentate molto nel tempo; i lavoratori subiscono salari bassi e condizioni
lavorative precarie.
Per questa ragione si è sviluppato il movimento no global. La preoccupazione era legata fino alla metà anni ‘90 alla
condizione dei lavoratori dei lavoratori domestici meno qualificati, minacciato dalle importazioni di beni intensivi in
lavoro non qualificato. Dopodiché la preoccupazione è passata sui lavoratori dei PVS, che esportano i beni nei paesi
avanzati. Nel novembre ‘99 in un incontro del WTO a Seattle per il nuovo round il movimento no global ha accusato
il WTO di usurpare la sovranità nazionale imponendo il libero scambio.
Gli attivisti contestano il fatto che i lavoratori nei pvs siano sottopagati e in condizioni precarie: la globalizzazione non
arreca loro benefici. Esempio delle maquiladoras messicane che si occupano di assemblare componenti: sono
stabilimenti rapidamente cresciuti dopo la firma del NAFTA. I salari erano bassissimi e le condizioni di lavoro
tremende, per cui sono danneggiati sia i lavoratori USA che i lavoratori messicani.
Mentre è sicuro che le condizioni di lavoro siano precarie e indegne, riguardando i modelli vediamo che:
 Il modello di Ricardo prevede che, anche se i salari sono più bassi di quelli USA, sono comunque aumentati
rispetto a un momento precedente all’introduzione degli scambi
 Il modello di H-O prevede che i lavoratori non qualificati USA perdano a causa del NAFTA, ma prevede anche
che i lavoratori non qualificati del Messico guadagnano
Tabella 12.3 Salari reali è riproposta un analisi di confronto USA-Messico con un’industria ad alta tecnologia e
un’industria a bassa intensità tecnologica. Immaginiamo che gli USA abbiano vantaggio assoluto in entrambe le
produzioni.
Tuttavia il Messico ha vantaggio comparato nel settore a bassa tecnologia. Ci ricordiamo che salari e produttività
marginale sono legati dal rapporto:
W=P*PML, allora PML=w/PML
Allora i salari reali in Messico saranno minori di quelli statunitensi.
Per i beni ad alta tecnologia: PMLusa/PMLmex=8, per quelli a bassa tecnologia PMLusa/PMLmex=2.
Il salario relativo (=4) compreso tra PML relative: wmex=1; wusa=4.
Ciò ci permette di calcolare i prezzi: il prezzo del bene AT sarà uguale al salario del paese di riferimento per 1/PML.
Osserviamo che il prezzo dei beni AT è inferiore negli USA, quello dei beni BT è inferiore in Messico.
Se i due paesi si aprono al commercio internazionale, avverrà che i beni AT saranno prodotti ed esportati dagli USA
che li produce a un prezzo più basso; viceversa i beni BT saranno prodotti ed esportati dal Messico.
Gli USA quindi esporteranno i beni AT a un prezzo P=4 e importeranno beni BT a un prezzo P=2.
Allora un lavoratore USA compra 1 bene AT e 2 beni BT con un’ora di lavoro. La sua condizione è migliorata rispetto
a prima, quando pagava 4 il bene BT.
Un lavoratore MEX compra 1/2 BT e 1/4 AT con un’ora di lavoro, prima avrebbe comprato solo 1/8 BT.
Si può obiettare che il risultato è all’interno di Ricardo, e non vengono considerati gli effetti redistributivi dei fattori
produttivi.
Se questo è vero, un paese relativamente abbondante di lavoro come il Messico dovrebbe specializzarsi in beni ad alta
intensità di lavoro, avvantaggiano il fattore impiegato in modo intensivo, quindi i lavoratori messicani.
Pur migliorando il proprio tenore di vita, queste persone hanno comunque condizioni e standard di vita impensabili
per la maggioranza dei cittadini statunitensi.
In teoria, questi lavoratori, starebbero peggio se non ci fosse globalizzazione.
Alcuni attivisti vorrebbero includere gli standard di lavoro nei negoziati internazionali: tuttavia, i paesi a basso e
medio reddito si oppongono a questo tipo di provvedimenti perché troppo costosi; inoltre gli standard internazionali
potrebbero essere usati come politica protezionistica o come pretesto per azioni legali qualora i produttori esteri non
dovessero rispettarsi (con effetto simile a quello antidumping)

Più facile per i pvs è la costituzione di un sistema di monitoraggio delle condizioni salariali e lavorative.

In generale il movimento No global è contrario all’OMC, che è più volte intervenuta, anche se in forma non
vincolante, in controversie internazionali.

Interazione tra questioni ambientali e politica commerciale


La crescita economica, facendo aumentare produzione e consumo, determina danni ambientali.
Tuttavia si osserva che l’aumento di ricchezza tende a rendere più consapevoli i paesi rispetto alle qualità ambientali;
possiamo osservare che il legame tra PIL pro capite e danno ambientale può essere rappresentato dalla curva
ambientale di Kuznets. (Figura 12.3)
Man mano che le economie crescono, diventono più attente alle tematiche ambientali e usano la crescita per
migliorare l’impatto sull’ambiente.
Figura 12.4: impennata cinese nelle emissioni, ancora in fase crescente. Si suppone che la Cina si stia muovendo
ancora sul tratto crescente nonostante la crescita dell’economia.

Commercio e standard ambientali


Le attività dannose per l’ambiente finiscono per essere spostate nei pvs: si attua una vera e propria creazione di
paradisi dell’inquinamento. Ad esempio, la demolizione di navi è soggetta nei paesi avanzati a una
regolamentazione molto rigorosa. Oggi viene trasferita la demolizione delle navi in luoghi in cui non vi è
regolamentazione, come il centro indiano di Alang.
I governi dei pvs sono comunque contrari all’istituzione di standard ambientali comuni a quelli dei paesi di alto
reddito, perché non ne hanno nemmeno i mezzi

La disputa sul dazio verde


Nel 2009 gli USA approvano una legge in cui viene distrivuito un numero limitato di sostanze inquinanti e le imprese
ne devono acquistare un numero sufficiente a coprire le emissioni effettive, mettendo di fatto un prezzo sull’anidride
carbonica e altri gas.
Nella legge vi è un provvedimento fondamentale che impone dazi verdi (o carbon tariffs) sulle importazioni dai paesi
che non attuano politiche simili.
I critici del provvedimento sostengono che questo dazio viola le regole del commercio internazionale che vietano la
discriminazione tra produttori nazionali ed ester.
I sostenitori affermano invece che tali dazi mettono sullo stesso piano i produttori di beni importati e i produttori
nazionali.

Effetti positivi del dazio verde:


 Eliminazione dell’incentivo a spostare produzioni inquinanti in luoghi meno regolamentati
 È un incentivo per paesi meno regolamentati ad adottare politiche sostenibili a livello ambientale per evitare il
dazio verde sulle loro esportazioni.

Per concludere...
Gli shock del commercio e il loro impatto sulle comunità
Abbiamo analizzato finora, grazie ai modelli, i guadagni dal commercio internazionale. Tuttavia il libero scambio non
è positivo per tutti, perché ha effetti distributivi all’interno di un paese
In questo lavoro vediamo su quali fasce della popolazione il commercio può avere gli effetti più negativi: la rapida
crescita delle esportazioni cinesi ha creato molti più problemi in USA di quanto precedentemente stimano. La crescita
delle esportazioni è stata molto diseguale tra settori; la Cina ha sostituito la produzione di calzature femminili non
sportivi, al contrario il settore dei mobili è stato colpito molto meno.
Molti settori manifatturieri erano concentrati geograficamente in USA, dunque l’impatto delle esportazioni cinesi ha
creato effetti su alcune aree specifiche. Inoltre i lavoratori USA sono meno mobili del previsto quando si tratta di
migliorare la propria condizione. L’idea è che, data un’eterogeneità degli effetti, non riusciamo a cogliere gli effetti in
termini di settore o geografici. Questo shock cinese ha cancellato un milione di posti di lavoro, che essendo
concentrati in un numero contenuto di settori e di regioni hanno creato un impatto molto critico su alcune comunità.
Il problema della disomogeneità degli effetti rende conto anche della reazione No Global osservata in alcuni paesi per
gli effetti molto più forti di quelli previsti della Globalizzazione: ciò può spiegare da un lato la scelta della Brexit in
UK, dall’altro la scelta di un candidato protezionista come Donald Trump.
Inoltre, se è vero che gli USA hanno perso occupazione, sono un grande paese esportatore, con peso delle esportazioni
sul pil aumentato tra il ‘95 e il 2011, il problema è che esistono sacche di poverà concentrate che sono state
proporzionalmente maggiori e possono osteggiare tutte le politiche di libero scambio e di apertura e sostenere le
politiche protezionistiche.

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