Sei sulla pagina 1di 15

INTRODUZIONE

INTRODUZIONE

I. LA FISCALITÀ INTERNAZIONALE TRA MODA E VERITÀ

La fiscalità internazionale è materia particolarmente in voga


oggigiorno, anche perché non è più soltanto il campo d’azione dei
grandi gruppi o dei grandi possidenti.
È divenuta campo d’elezione, da un lato, di qualche
apprendista stregone che si rivolge all’utenza debole del web
deterritorializzata culturalmente e intellettualmente, dall’altro,
essendo finita l’epoca del Bar dello Sport, in cui ognuno era un
altro, presidente di società, allenatore, ecc., il popolo degli
avventori si è riversato nelle celle della diceria legittima virtuale,
favorita dalla socievole insocievolezza dei social, in cui è possibile
sfoggiare una professione al giorno: oggi ingegneri, domani
avvocati, a seconda dei casi, ma senza la possibilità di godere della
commedia umana in presa diretta.
Lo stesso è accaduto con la fiscalità internazionale: si è
passati da: “Piove! Governo ladro!” a: “Apro una L.L.C. online e
fatturo zero”, con il drammatico risultato che i danni provocati
dall’italiano sottomesso alla macchina statale erano nulli, mentre
quelli dei fiscalisti americani di cui sopra e dei loro mentori,
destano più d’una preoccupazione.
Essendo ormai noi avvocati, consulenti o revisori contabili,
degli accessori inutili, non sono sicuro se posso osare spendere due
parole su cos’è la fiscalità internazionale per noialtri.
Mi animo a farlo perché i concetti che per chi fa il mio
mestiere sono scontati, potrebbero non esserlo per il lettore che si
avvicina a questa trattazione, incuriosito da queste fantomatiche
fondazioni panamensi, la cui natura non può essere colta se non
all’interno di una corretta concezione della fiscalità internazionale,
anche se alcuni colti Colleghi preferiscono parlare di diritto
tributario internazionale.
Ma mi atterrò al termine più in voga, per non creare
confusione ancor prima d’aver iniziato il mio discorso.

I
INTRODUZIONE

Ebbene, la fiscalità internazionale è quel complesso di norme,


nazionali e internazionali, che bisogna mettere insieme quando una
persona residente in un certo Stato compie delle operazioni
commerciali o finanziarie in un altro Stato.
Da questo evento, in apparenza banale, discendono tutta una
serie di insospettabili conseguenze.
Se, per esempio, il residente dello Stato di partenza, una volta
compiuta l’operazione, o a causa della stessa, decide di aprire un
conto corrente nello Stato di arrivo, nello Stato di partenza può
dover pagare delle tasse per averlo fatto.
Ancora, se il soggiornante, sorpreso dal calore della gente e
dalla qualità della vita, decidesse di restarci, in quello Stato, non è
detto che non avrà nulla da dichiarare allo Stato di partenza, che
potrebbe imporgli comunque di pagare le tasse.
E se lo Stato di arrivo richiedesse gabelle al nuovo residente,
potrebbe verificarsi il caso di una doppia imposizione fiscale.
Se poi, il nostro intraprendente viaggiatore si rendesse conto
che nello Stato d’arrivo ci sono dei veicoli giuridici che gli
consentono di proteggere la casa che ha comprato dalle pretese di
temerari parenti e creditori, per poterla poi trasferire al figlio
quando passerà a miglior vita, ecco che avremmo un caso di
pianificazione patrimoniale.
Ora, è abbastanza improbabile che una singola persona viva
tutte queste vicende, ma è assolutamente certo che di esse si occupa
la fiscalità internazionale.
E non solo.
Il nostro eroe sicuramente avrà richiesto l’assistenza di un
professionista per non incorrere in sanzioni e accertamenti fiscali.
Ma gli Stati, che non sono monadi leibniziane, vogliono
sapere cosa è andato a fare il nostro amico all’estero, per capire se
possono tassarlo.
Così fanno dei trattati tra loro e si scambiano informazioni,
per esempio sul conto che ha aperto.
Manca il gran finale.
Esiste questo potere, cui gli Stati tengono molto: quello di
imporre tributi. Tecnicamente, si chiama sovranità fiscale.

II
INTRODUZIONE

Eppure, da diverso tempo, a causa della ormai ultra citata


globalizzazione, si discute di creare un Grande Impositore Fiscale
che decida per tutti quali e quante tasse pagare.
Per quanto la cosa possa sembrare avveniristica, sono già stati
fatti discreti passi avanti.
C’è infatti una Organizzazione internazionale, l’OCSE, che
lavora alacremente per la causa.
Tanto è vero che ha messo in piedi un Progetto, il BEPS, che
ha come scopo combattere l’evasione fiscale e stabilire un’equa
tassazione. Cosa che peraltro ha già fatto. Sotto il 15% sono
imposte inaccettabili, praticate da paesi che vanno rimessi in riga,
prima che sia troppo tardi.
Si dice che questo non pregiudica la sovranità statale, in
quanto l’ultima parola spetta sempre agli Stati.
Peccato che già oggi, gli Stati che si oppongono a questi
progetti in-globalizzanti la pagano cara.
E uno Stato polinesiano che non volesse rivelare il nome dei
suoi correntisti, sarebbe fatto oggetto di ritorsioni a più livelli:
bandito dal Circolo dei Buoni, di stanza nell’UE, destinatario di
rappresaglie economico-finanziarie e additato come indesiderabile
dalle banche che hanno aderito agli imperativi categorici
dell’OCSE.
Anche questa è fiscalità internazionale.
Sperando di aver chiarito, in modo, per così dire, empirico,
quale sia il campo d’indagine, passiamo a precisare il contesto in
cui la fiscalità internazionale si inserisce ai giorni nostri.
Negli ultimi cinque anni, l’economia e la finanza sono state
attraversate da cambiamenti tali da mettere in discussione più di
qualche certezza, a cominciare da quella per cui l’allocazione dei
capitali e l’attività d’impresa potessero contare su una relativa
facilità di manovra nel mondo liquido della globalizzazione dei
mercati.
La digitalizzazione dell’economia, con interi settori
merceologici gestiti in rete; lo sviluppo di automazioni che hanno
snellito i processi di vendita; la ‘scoperta’ dell’intelligenza
artificiale; l’emersione di giurisdizioni in cui delocalizzare, in tutto
o in parte, le attività d’impresa; le turbolenze finanziarie pre e post
pandemiche; la sovrapposizione crescente del mondo della finanza

III
INTRODUZIONE

alle decisioni politiche; se da un lato hanno innescato audaci


processi di pianificazione patrimoniale, dall’altro hanno generato
inedite preoccupazioni per la buona condotta degli Stati e delle
imprese, rispetto a fenomeni come il riciclaggio e il terrorismo
internazionale e rilanciato l’idea della pace perpetua kantiana, sotto
l’egida della cooperazione e dello scambio, automatico e non, delle
informazioni tra Stati, banche e autorità fiscali.
Non voglio aprire qui il capitolo del perché tutto ciò stia
accadendo. Ci vorrebbe un volume a parte. Ma è indubbio che, gli
Stati, specie nel Sistema Economico Europeo, hanno la pressante
esigenza di recuperare entrate, non solo a seguito del disastro
economico causato dalla pandemia, ma anche perché da decenni il
sistema-Europa, salvo qualche distretto teutonico, langue.
E c’è poi l’idea di un tracciamento planetario dei movimenti
di capitali, che le nuove tecnologie hanno reso molto più
complesso, e ciò per fini che intrecciano la politica con l’economia
digitalizzata, la fiscalità con il cambio climatico.
L’etica promossa da OCSE (Organizzazione per la
Cooperazione e Sviluppo Economico, di cui parlerò spesso) e soci è
un catalizzatore facile, è banalmente condivisibile (chi vuole un
mondo infestato dai terroristi?) e sostanzialmente mira ad
alimentare una tribale contrapposizione tra il Consiglio dei Giusti e
il partito degli oltranzisti, che si ribellano ai lacci dell’ennesima
mutazione capitalistica.
Ma dietro tutto questo ci sono interessi e finalità che vanno in
tutt’altra direzione.
Quando l’America dichiarò guerra al terrorismo, raccontò al
mondo che avrebbe esportato la democrazia. Accadde qualcosa di
diverso.
Quello che avviene ora è l’implementazione di una macchina
che deterritorializza la sovranità, ancorandola a supposti valori etici
superiori.
Così, le Organizzazioni internazionali, un tempo materia di
studio per aspiranti avvocati al primo anno di giurisprudenza, sono
divenute il fulcro della nuova finanza etica.
Una lotta senza quartiere è stata dichiarata ai Paesi non
cooperativi e ai famigerati paradisi fiscali, cui ora viene concessa la
possibilità di emendarsi attraverso pratiche di compliance ai limiti

IV
INTRODUZIONE

della delazione, che limitano fortemente il diritto di intrapresa


economica in vista dell’inderogabile campagna moralizzante,
promossa dall’OCSE e dai suoi apparati, la cui preoccupazione per
i reati finanziari si esprime in diktat e minacce di ritorsione
costantemente rivolte alle giurisdizioni ribelli, il cui crimine spesso
è solo quello di aver adottato una fiscalità che privilegia le attività
produttive in luogo delle costose macchine burocratiche
dell’immacolata Europa, delle cui manovre gli inquisitori
dell’OCSE non si curano (o si curano troppo) e che annoverano
paesi dalla tassazione più che privilegiata, ma della cui moralità
non si discute.
Fanno da spalla ai programmi dell’OCSE le iniziative dei vari
Governi, che vogliono tracciare i flussi di capitali (avrete notato
l’aumento dei formulari e delle domande che vi fa la banca…)
vogliono trasparenza, vogliono informazioni, vogliono tasse.
Ed ecco quindi giungere gli USA con il loro Foreign Account
Tax Compliance Act (FATCA), il Common Reporting Standard
(CRS), ovvero lo scambio automatico di informazioni sui conti
finanziari tra banche e amministrazioni finanziarie, le leggi sulle
società estere controllate (CFC Rules).
Già nel 2009, del resto, il G20 avvertiva la necessità di
schierarsi contro i paradisi fiscali e il 2013 vedeva la nascita del
Progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting) che è la
continuazione della stessa politica con altri mezzi.
Si moltiplicano, per le stesse ragioni, le intese e gli accordi
multilaterali, con il coinvolgimento anche di diverse giurisdizioni
extra-UE.
Ora, queste preoccupazioni internazionali hanno minato tanta
parte di quella movimentazione dei capitali che prima pareva
garantita, tanto al privato quanto alle imprese di ogni dimensione.
Producendo, come effetto, un aumento della domanda di
pianificazioni patrimoniali volte a preservare gli attivi.
Anche perché i veicoli giuridici per la protezione
patrimoniale, tra i quali annoveriamo non solo le fondazioni, ma
anche i trust, le assicurazioni sulla vita, le Holding, si muovono,
spesso e volentieri in un contesto onshore più che offshore.
Infatti, con la caduta degli schemi elaborati da Mossack &
Fonseca, che hanno generato i famigerati Panama Papers, le

V
INTRODUZIONE

pianificazioni fiscali e patrimoniali, specie per la protezione degli


asset familiari, piuttosto che contare sullo sviamento dei capitali
verso strutture molto maneggevoli come le società con azioni al
portatore, che erano divenute una posta di giro per trasferimenti,
non proprio limpidi, di denaro, si sono centrate maggiormente su
veicoli più stabili e radicati sul territorio.
Ecco allora che si è maggiormente diffuso l’utilizzo di
strumenti meno volatili, come le fondazioni svizzere, austriache del
Liechtenstein o di Panama. Con la precisazione che, rispetto a
quelle in uso in Europa, le fondazioni panamensi nascono con un
intento più cosmopolita.
In realtà, la gestione dei patrimoni, volendo restare all’era
contemporanea (le fondazioni moderne sono una creazione tedesca
dell’800), è sempre stata un punto cardine dei servizi finanziari.
Negli anni ’80 del secolo scorso, non c’era banca che non
offrisse servizi di protezione patrimoniale.
La crisi degli anni 2000 ha però cambiato le carte in tavola,
con molte pianificazione andate letteralmente in fumo.
Dopo la pandemia, e con l’inizio della crociata dell’OCSE, il
fenomeno ha ripreso piede.
Naturalmente, il nuovo corso, voluto da organizzazioni e
governi, non può considerarsi come un insieme di iniziative alle
quali chi non le condivide può opporre piani di protezione
patrimoniale concepiti come compartimenti stagni, indifferenti alle
grandi manovre.
Soprattutto se si utilizzano strutture che si muovono su più
territori e che si radicano in giurisdizioni sotto osservazione.
Non è raro, per ragioni di marketing consulenziale, proporre
trust e fondazioni per la protezione patrimoniale, soffermandosi sui
benefici che questi strumenti offrono, e che ci sono certamente, ma
senza tenere in alcuna considerazione l’impatto delle decisioni
prese in sede internazionale.
È un approccio irricevibile.
Vedremo come proprio Panama, la terra dei Papers, o forse
proprio per questo, abbia sviluppato un sistema di raccolta e
verifica dei dati che è andato ben oltre i confini della semplice
trasparenza.

VI
INTRODUZIONE

E ciò perché, appunto, oggi la pianificazione patrimoniale


deve inserirsi e gestirsi all’interno di una cornice normativa non più
solo locale, ma eterodiretta e globale.
Gli agenti residenti, per fare un esempio (ne tratterò
diffusamente) si trovano, non solo a Panama, dinanzi a un bivio
nella loro professione: come avvocati, devono assecondare il
progetto di pace perpetua dell’OCSE e assecondare ogni richiesta di
trasmissione di informazioni anche quando potrebbe danneggiare il
cliente o mantenere fede al patto di riservatezza e rinunciare
all’incarico?
E il cliente cosa farà?
Accetterà di essere destinatario di attenzioni speciali da parte
di strutture e apparati statali o rinuncerà a proteggere il proprio
patrimonio?
Come si vede, capire come funzionano le fondazioni è
importante ed è la finalità di questo lavoro.
Ma capire come funzionano le fondazioni panamensi senza
capire tutto il resto, è materia da opuscoli.
E per quello non c’è bisogno di comprare un trattato come
questo. Basta andare su Internet, come si suol dire.
Devo anche dire, e nonostante, come dovrebbe essere già
chiaro, io non sia un fan delle iniziative metafisiche dell’OCSE, che
l’uscita dall’impasse non può essere ricercata in pratiche poco
limpide o idealisticamente anti-sistema, sulla scorta di certi
movimenti, sviluppatisi in contesti cripto friendly o alimentati da
ingenuità fideistiche nei confronti dell’onnipotenza della Rete.
Le norme ci sono. E il lavoro dell’Avvocato, come del
Fiscalista non può consistere nell’aggirarle, ma nel valutare se e
fino a che punto quello che vuole il cliente può essere ottenuto con
un congruo bilanciamento dei costi e dei benefici.
È una prospettiva ragionieristica, ma non ce n’è un’altra.
Poi è vero che, nel corso della trattazione sarà possibile
cogliere la sottotraccia di certe ipocrisie moralizzanti (ancora ci
deve spiegare l’OCSE perché Panama non è cooperativo e
l’Olanda, per esempio, è sede di affaristi, a quanto pare, dediti alle
opere pie) giustificate dalla prevenzione di reati certo gravissimi,
ma la cui commissione, come nel caso del terrorismo
internazionale, in Belize, per dire, appare quanto meno remota,

VII
INTRODUZIONE

mentre la questione del riciclaggio, appannaggio dei terribili, tra gli


altri, Panama, Emirati Arabi e Hong Kong, è nota anche presso
‘intoccabili’ giurisdizioni del Vecchio Continente.
Si capisce, quindi, come mai vengano promosse normative
schizofreniche per cui, ne cito solo una per rendere l’idea, si
pretende che l’imprenditore che ricorre all’invisa pratica delle
nominees, consentita per legge dallo Stato in questione, debba poi
vedersi letteralmente schedato in appositi registri sotto la custodia
di entità deputate all’attivazione delle dovute investigazioni, da
condividersi, in base ad accordi più o meno formalizzati, con le
autorità fiscali dei paesi di residenza e con i facitori di protocolli, in
capite listae l’onnipresente OCSE.
È un quadro poco entusiasmante, che ha reso la fiscalità
internazionale un campo di battaglia.
Ma questo campo di battaglia, e qui devo segnalare un altro
fenomeno che complica e peggiora le cose, è frequentato, sempre
più, da personaggi prodotti dalla digitalizzazione imperante, che,
bontà sua, abolisce i titoli e favorisce le pseudo-competenze di
volenterosi consulenti, spesso appena entrati in possesso del
diploma di scuola media superiore.
Costoro, giammai chini sui codici, si ergono assai volentieri a
esperti di fiscalità.
In realtà, la nozione stessa di esperto è falsa. Non esistono gli
esperti. Esistono dei congegni che vanno continuamente testati e
aggiornati per validarne la funzionalità.
Ma capisco di non essere alla moda da questo punto di vista.
Quindi proseguo con un altro appunto, che è poi conseguenza
di quanto sinora detto.
Certe pratiche fiscali passepartout, se mai ve ne furono, non
sono oggi più possibili. I famosi conti all’estero, per esempio, non
vivono di vita propria, ma vanno considerati in funzione di uno
scenario a monte, che tenga conto delle ripercussioni nel paese di
residenza fiscale del soggetto, delle normative internazionali e
locali e della prassi bancaria odierna, certo meno permissiva di
quella consegnata all’immaginario collettivo, che annovera
portaborse armati di ventiquattrore che si recano circospetti nella
banca di un esotico paese, per depositarvi danari di varia
provenienza.

VIII
INTRODUZIONE

Si inserisce in questo contesto, anche una riflessione sulla


figura e l’operato del Fiscalista internazionale e dell’Avvocato
internazionalista, che, se da un lato, sono gli unici reali detentori
delle competenze e dell’esperienza necessaria per risolvere
questioni spinose, dall’altro, a volte, cedono anch’essi, come gli
yuppies 3.0 di cui ho detto prima, alle sirene della marketizzazione
della professione, il che è non solo il canto del cigno della regula
juris, circostanza che, me ne rendo conto, può non destare
l’interesse del profano, ma, e questo al profano dovrebbe
interessare eccome, segna anche l’inizio di una tendenza al
pressapochismo, che in fiscalità internazionale, territorio, giova
ribadirlo, delle norme e non delle opinioni, è avvenimento
deleterio, tanto per il cliente quanto per il professionista.
Conseguentemente, meno per difendere questo lavoro, che si
difende benissimo da solo, ma per invocare un certo ritorno al
senso della professione che ci occupa, piacerebbe vedere meno
libelli di fiscalità internazionale scritti con l’ausilio dell’intelligenza
artificiale, a volte senza che l’autore si preoccupi nemmeno di
eliminare le affermazioni fuori luogo e le ridondanze tipiche di
questo genere di strumenti e richiedendo, per giunta, un prezzo per
l’acquisto di queste dimenticabilissime opere.
L’Autore di questo volume, il lettore potrà rendersene conto
senza sforzo, non ha seguito questa strada.
Soprattutto, trattandosi di lavoro non accademico (il lettore
non tema di ritrovarsi immerso in un mare di note e citazioni, che è
bene riservare ad altri contesti) pur se anche l’accademico può
giovarsene, il suo contenuto non è opera di un frettoloso studente di
corsi di un’ora sulla fiscalità internazionale, ma di chi è autorizzato
a parlare delle fondazioni di interesse privato panamensi, non solo
per i titoli, ma, cosa parimenti fondamentale, per la semplice
ragione che le fondazioni le fa.

IX
INTRODUZIONE

II. PANAMA E LE FONDAZIONI

Se Panama è stata l’epicentro di malversazioni finanziarie e


di reati societari volti a occultare i reali beneficiari di ingenti
capitali, chiunque ritenga questo Paese unico nel suo genere per
quanto riguarda queste vicende, deve poi prendersi la responsabilità
di fare salve le condotte di tutti gli altri Paesi, in primo luogo quelli
che issano la bandiera della rettitudine a fronte delle malefatte del
paese caraibico (si ricordino però i moralisti, soprattutto europei,
che i Caraibi sono, storicamente e culturalmente, in gran parte un
prodotto di dominazioni, peraltro affatto encomiabili, promosse e
portate avanti proprio dagli attuali fustigatori delle ignobili società
anonime dell’Istmo).
Diversamente, si ammetta, senza puntare il dito, che quanto è
avvenuto a Panama è avvenuto, e avviene, dappertutto.
Nello stesso ordine di idee rientrano le disquisizioni sulle
fondazioni: o Panama o tutti.
Se le fondazioni sono veicolo di illeciti, si dica allora che
nulla di controverso accade in Liechtenstein, in Austria, nel
Principato di Monaco, in Lussemburgo, e via così,
Oppure si giudichino questi strumenti per quello che sono,
lasciando alla responsabilità di chi li utilizza la ragione per cui lo
fa.
Ciò detto, le fondazioni di interesse privato panamensi
trovano la loro giustificazione in un contesto peculiare.
La storia, finanziaria e non, di Panama è notoriamente
intrecciata con quella del Canale, che costituisce non solo lo snodo
di tanta parte del commercio mondiale, ma anche la matrice
dell’irrequieta liaison tra Panama e gli Stati Uniti.
Specie dopo che questi ultimi hanno ceduto a Panama la
gestione del Canale a cambio di importanti interventi nell’economia
panamense, la cui più immediata espressione è il dollaro come
moneta di corso legale.
Il legame tra Panama e gli Stati Uniti si riflette anche sul
sistema bancario, la regolamentazione del quale portò Panama a
emanare nel 1970 una legge bancaria, che contribuì a normare la
cospicua circolazione di capitali e merci attraverso il paese e lo

X
INTRODUZIONE

sviluppo di un polo finanziario tra i più importanti del mondo, che


vede la presenza di molte banche estere e filiali di multinazionali, al
punto che si è reso necessario regolamentare queste ultime con
apposita legge.
In un quadro composito come questo, è stato giocoforza
perfezionare veicoli giuridici che reggessero l’impatto del crescente
afflusso di risorse finanziarie e la conseguente domanda di
protezione e salvaguardia degli attivi corrispondenti.
Oltre alle ben note società anonime – sia detto a beneficio del
lettore poco pratico di queste società: tecnicamente sono
l’equivalente delle società per azioni, in cui, per definizione,
l’anonimato è diretta conseguenza del capitale sociale individuato
dai titoli azionari e non l’espressione, peraltro giuridicamente
irricevibile, di oscuri marchingegni avallati dal legislatore
panamense – e ai fedecommessi, equivalenti ai trust, diffusi
soprattutto in ambito bancario come supporto alle garanzie
ipotecarie, oltre che per la gestione di investimenti a favore di terzi,
com’è nella natura di questo strumento, hanno conosciuto un
crescente sviluppo le fondazioni di interesse privato, anche a
cagione dei cambiamenti climatici avvenuti negli ultimi anni nel
campo finanziario e nella normazione dell’attività di impresa su
base internazionale.
In particolare, la richiesta di una maggiore protezione degli
asset è stata determinata dallo stato di grande incertezza in cui
versa la politica tributaria globale, in quanto, a fronte di una
maggiore facilità di manovra per i privati e le imprese a livello
internazionale, si è determinata una visione che tende a livellare le
condotte imprenditoriali e i regimi impositivi in funzione anti-
sommossa, contro quegli operatori ribelli in odore di condotte
illecite per partito preso, vedi multinazionali, ma lo stesso vale per i
temerari, privati o imprese che siano, che osano portare i capitali
fuori dall’Europa.
Completano il quadro le liste, bianche, nere o grigie che
determinano, unilateralmente, quali sono i paesi virtuosi e quali
quelli che non collaborano al piano di fiscalità globale escogitato
dalle Organizzazioni internazionali che utilizzano l’arma della
negazione del sostegno finanziario in caso di necessità, per quei

XI
INTRODUZIONE

paesi che non cooperino al grande progetto della moralizzazione dei


costumi economico-finanziari in atto.
Naturalmente, lo scopo è salvare il mondo dal terrorismo che,
come è noto, ha sede in qualche protettorato britannico, in un paio
di isolette nel Pacifico e, ovviamente, nei Caraibi, mentre, più o
meno sempre negli stessi territori, sono attivi centri di riciclaggio
del denaro sconosciuti all’innocente Europa delle direttive, dei vari
pillar e delle minacce a chi osa non conformarsi al regime.
Va da sé che, tanto il privato, quanto le imprese, cerchino
riparo nelle, ormai poche, isole più o meno felici, rimaste a
disposizione di chi voglia realizzare adeguati profitti, proteggendo,
al contempo, i capitali.
Non è il caso di mettere il dito nella piaga della tassazione
italiana, drammaticamente nota, ma posso dire, per esperienza
diretta, che, oltre alle paure, in gran parte giustificate, per quanto
sta avvenendo a livello economico-finanziario in Europa, anche a
fronte di altrettanto noti conflitti, bellici e non, è sempre più
presente il timore che i propri asset siano a rischio nei paesi che
eseguono gli ordini dell’Unione Europea e che adottano una
politica fiscale a metà strada tra la conservazione di privilegi
pubblici anacronistici e la miopia economica, con le imprese
costrette a delocalizzare dinanzi all’inefficacia delle misure adottate
dai Paesi invasi dalle direttive e dalle circolari dell’Unione, oltre
che per l’incapacità atavica della politica di tenere il passo dei
rivolgimenti economici.
La protezione patrimoniale è concepibile e attivabile solo a
fronte di una ponderata pianificazione che tenga conto non solo dei
pur legittimi desideri dell’istante, ma anche, e soprattutto,
dell’analisi del professionista, che deve anche sconsigliare, quando
sia il caso, l’intrapresa di avventure fiscali suggestive, ma figlie
soltanto di una fervida immaginazione.
Infatti, dal momento che chi scrive è autore di atti di
costituzione e gestione di fondazioni, posso assicurare che non sono
pochi coloro che scambiano le fondazioni (e Panama) per giocattoli
a uso e consumo di chi ha fretta di mettere al sicuro i propri averi,
senza che ve ne sia, talvolta, non solo la necessità, ma senza che sia
ravvisabile nel richiedente neppure un barlume di senso rispetto a
ciò di cui si sta parlando, a parte certe convinzioni maturate di

XII
INTRODUZIONE

sicuro non nelle aule delle facoltà di legge, ma in variamente


frequentati ritrovi di periferia, per giunta virtuale.
Il dato di fatto è che la legge panamense predispone appositi
meccanismi di protezione e amministrazione degli asset, che
permettono alle fondazioni di affermarsi nel panorama della
gestione patrimoniale.
Eppure, l’immagine di questi istituti, radicata nell’incoscienza
collettiva, tanto più di quelli, come questo che ci occupa, afferenti a
giurisdizioni come quella panamense, spesso sotto i riflettori,
risente di opinioni figlie dell’arte di arrangiarsi, che innerva la
cultura italiana a tutti i livelli. La tentazione, o la richiesta esplicita,
di scorciatoie è una piaga con cui noi professionisti dobbiamo
convivere quotidianamente.
Le scorciatoie, e qui so di deludere molti, non esistono.
Esistono i percorsi, esistono le competenze, direi che esistono
le strategie, se questo termine non fosse tra i più abusati oggi in
uso, mercé l’utilizzo che ne ha fatto a sproposito tanto cattivo
marketing.
Ed esistono i professionisti che lavorano con gli strumenti di
cui parlano, come il sottoscritto.
Il che non è affatto scontato.

XIII
INTRODUZIONE

III. L’AUTORE

Sono un Avvocato, abilitato all’esercizio della professione


legale in Italia. Ho però scelto di operare nel campo della fiscalità
internazionale, trasferendomi all’estero.
Ho quindi dovuto rinunciare all’iscrizione all’Ordine degli
Avvocati per ottenere la residenza fiscale a Panama, la mia
giurisdizione di riferimento. Il mio titolo è verificabile presso la
Corte d’Appello del Tribunale di Potenza.
Sono residente a Panama da otto anni e ho collaborato per tre
anni con Studi associati locali (segnalo, per agevolare eventuali
legittime ricerche di chi volesse verificare quanto ho appena detto,
tra gli altri, lo Studio Maltinti y Asociados, di cui faceva parte
l’Avvocato Carlo Maltinti, deceduto durante la pandemia,
l’Avvocato e Professore Ulises Manuel Calvo Echeverria o
l’Avvocato e Magister Martha Patricia Sanabria Rios, che possono
confermare chi sono e cosa ho fatto).
Successivamente, ho iniziato a proporre i miei servizi in
forma indipendente. Mi sono specializzato nel campo delle
residenze estere per le persone e per le società e nella protezione
patrimoniale.
Questa professione non può esercitarsi senza il supporto di
partnership dislocate nelle varie giurisdizioni.
Per questo, negli anni, ho stabilito collaborazioni con diverse
realtà professionali e aziendali per fornire le migliori configurazioni
fiscali.
Aggiungerò che dopo le centinaia di documenti redatti in otto
anni a Panama, supportati dalla pratica sul campo, prima nel solo
ambito migratorio, poi nel contesto del diritto societario
internazionale, essendo ormai bilingue e versato nel diritto e nella
prassi panamense, posso a pieno titolo fornire informazioni non
accessibili ad altri, certo non a chi si istruisce con fonti scadenti, di
terza o quarta mano.
Per chi volesse approfondire i temi di cui mi occupo, sul mio
Canale YouTube (@Avv.MauroSavino) ho pubblicato ormai più di
600 contenuti sulla fiscalità internazionale.

XIV
INTRODUZIONE

Si tratta di un piccolo Canale e forse il lettore giudicherà


altrettanto contenuta la mia expertise.
Forse egli ne riconosce una molto maggiore a chi esercita in
Italia o a chi è abilitato all’esercizio della professione a Panama.
Non posso fargliene una colpa.
Perché ci sono sicuramente professionisti più autorevoli di
me, più capaci di me, più titolati di me, più posizionati, come si
dice oggi, di me.
Io posso solo dire di essermi posizionato a sufficienza, per
quanto mi riguarda, da quando, nel lontano 1996, misi piede nella
Facoltà di Legge e mi specializzai in diritto internazionale, che, per
ironia della sorte, tornò ad essere il mio campo di indagine quando
presi a occuparmi di istituti come quello che tratto in questo scritto.
E di cui, se me lo si concede dopo quanto detto finora, e se
appare appena degna la mia traiettoria professionale, credo di
essere autorizzato a fornire una visione d’insieme, che chi leggerà
confido possa considerare meritevole del proprio tempo e del
proprio denaro.
Non foss’altro che, ad oggi, trattazioni come la presente sulle
fondazioni panamensi, in lingua italiana, non ce ne sono.
Altro, al lettore come a me stesso, non posso chiedere e mi
rimetto al discorso che divento.

Panama, dicembre 2023

M.S.

XV

Potrebbero piacerti anche