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Iniziamo con la condivisione del caso Google.

Di grande utilità per i nostri obiettivi ed ora che riapriamo la


strada all’ analisi di istituti, di una serie di normative vuoi di origine nazionale, internazionale ed europea che
si incaricano di provare a contrastare le forme di abuso o comunque di approfittamento da parte di
multinazionali e tra queste anche multinazionali digitali.

Nelle scorse lezioni abbiamo parlato dei paradisi fiscali, abbiamo visto come nelle forme di pianificazione
fiscale delle multinazionali o non ci sono o sono regolate ad un angolo, nella maggior parte dei casi il
vantaggio fiscale passa strutturando la transazione attraverso giurisdizioni che sono del tutto credibili,
modeste in termini generali, che però in virtù di specifiche disposizioni normative o prassi amministrative
consentono ad alcuni operatori o settori economici di avere trattamenti fiscali estremamente favorevoli.

Tornando al nostro caso Google, vorrei riprendere in mano e ribadire una considerazione che a suo tempo
ho fatto: cioè che siamo di fronte ad uno schema complicato, complesso dove ci sono tanti passaggi, dove ci
sono anche apparentemente delle duplicazioni (l’ Irlanda la troviamo 2 volte e ci si può chiedere perché ci sia
questa complicazione) per provare a capire la funzione di questa complicazione proviamo ad astrarci da
questo schema cosi come strutturato e dalla finalità della multinazionale di avere il massimo degli utili con il
minimo carico fiscale possibile e poniamoci nell’ ottica di un imprenditore.

Per es. di google inc, la società americana che è stata brava ed ha avuto la capacità di sviluppare questo
algoritmo e riesce a gestire il sito internet ed un motore di ricerca di straordinarie capacità e che vuole
commercializzare questa attività in giro per il mondo nel modo più semplice possibile, disinteressandosi della
variabile fiscale. Cioè l’ idea è: paghiamo quello che si deve pagare, l’ importante è che la struttura sia
semplice.

Allora capite che per arrivare al risultato finale, che trovate alla sinistra dello schema, cioè quello di
rappresentare il motore di ricerca sul mercato francese e visualizzare la pubblicità pagata dall’ imprenditore
francese interessato a questo, la via più semplice sarebbe quella che google inc entra in contatto con l’
imprenditore francese, stipula il contratto e l’ imprenditore francese paga direttamente il costo dell’
inserzione (semplificando) a google inc, la casa madre cha ha sviluppato l’ algoritmo.

Estrema semplicità nella strutturazione di questa transazione, carico fiscale alto, nel senso che in questo caso
l’ imprenditore francese paga il servizio a google inc, che essendo società residente negli Stati Uniti deve
assoggettare questa somma ad imposizione negli Stati Uniti, oggi con aliquota 21 percento, ieri 34, con Biden
forse 26.

E allora massima semplicità rispetto agli obiettivi di business, massimo carico fiscale. E allora per abbassare
il massimo carico fiscale occorre inevitabilmente rendere andare a rendere più complessa la struttura e il
primo elemento di complessità è mettere la società irlandese, google irland limited, cioè la società che riceve
il pagamento dall’ inserzionista francese e l’ assoggetta alla sua imposizione irlandese del 12.50 percento.
…dopo di che quando poi distribuirà i suoi dividendi a google inc americana, questi saranno tassati negli Stati
Uniti. Ma finchè non avviene questo passaggio restano tassati ad un livello di aliquota molto più bassi di
quello a cui sarebbero assoggettati negli Stati Uniti. Uno schema un po’ più complesso, due passaggi invece
di uno, rispetto a quello originali, però un certo vantaggio, dall’ aliquota un tempo del 34 percento a quella
del 12.50 percento.

Non sto a continuare perchè lo abbiamo analizzato già tante volte però via via i passaggi che sono introdotti
e cioè l’interposizione tra irlanda limited, che è la società reale, operativa e l’ altra irlandese holding di una
società irlandese, lo sdoppiamento della residenza tra l’ Irlanda e Bermuda, sono tutti passaggi che hanno l’
effetto di rendere più complessa l’ operazione ma l’ obiettivo di abbassare se non addirittura azzerarlo
completamente il carico fiscale di questa operazione.

Quindi il caso google ci mostra che la complessità è figlia dell’ obiettivo di abbassare il carico fiscale. La via
più semplice da un punto di vista del business è quella che porta con sè l’ aliquota fiscale più alta e quindi per
abbassare l’ aliquota fiscale complessiva, cui gli utili prodotti da questa operazione devono essere
assoggettati, comporta che l’ operazione venga complessizzata, si introducano passaggi intermedi,
sdoppiamenti di soggettività, in modo tale da rendere difficile la comprensione di questa transazione ma
estremamente vantaggioso per i soci del gruppo dal punti di vista del carico fiscale.

Direi che è proprio questa complessità che noi dobbiamo andare ad analizzare perché questo è l’ esempio
più lampante, ma se andiamo a vedere tutti i casi probabilmente la prima considerazione che viene da fare è
che non sono casi semplici, non sono casi mediati, strutturati nel modo con cui l’ ingenuo operatore della
strada, alieno da finalità di elusione o risparmio di imposta, avrebbe immaginato in prima battuta.

Però proprio in questa complessità, il caso Google come i suoi casi affini ci consente di vedere realizzati sulla
carta molti di quegli schemi specifici di aggiramento, di elusione fiscale che ora andremo ad analizzare sia
nelle loro caratteristiche, sia soprattutto nelle forme con cui gli Stati e l’ organizzazioni internazionali cercano
di contrastarli.

Davvero il caso Google è emblematico, si trovano gran parte di quegli accorgimenti di cui si trova scritto nei
manuali come le classiche forme di elusione o abuso fiscale internazionale delle multinazionali e tutte riunite
in un unico esempio.

Partiamo dal fondo, cioè dal collegamento di questa fattispecie di Google con l’ ordinamento francese.

Qui abbiamo il tema del trasferimento di una ricchezza che viene ad essere prodotta in Francia, che ha la sua
fonte in Francia perché l’ imprenditore che desidera vedere pubblicizzato il suo marchio, il suo nome in
Francia è francese e che però paga il contratto non a google francia che si è limitata a procacciare il contratto
ma a google irlanda limited. Quindi abbiamo un flusso di denaro che origina dalla Francia, paese ad elevata
tassazione, e viene ad essere collocato in Irlanda, paese che dal punto di vista delle aliquote sul reddito delle
società è un paese molto più generoso, 12.50 percento. In Francia rimane il compenso, la fee del
procacciatore, cioè della società controllata google francia sarl.

E quindi è il primo profilo interessante della fattispecie, è chiaro che google francia sarl fa parte del
medesimo gruppo google, controllata da Google irlanda limited. Ciò significa che la remunerazione che
google francia sarl riceverà per i suoi servizi non necessariamente rispecchierà la remunerazione di mercato,
che qualsiasi operatore agisse sul mercato pretenderebbe in un caso come questo. Perchè google francia sarl
e google limited non sono due soggetti indipendenti, sono due soggeti dei quali l’ uno controlla l’ altro e
comunque fanno parte del medesimo gruppo e che hanno delle strategia imprenditoriali unitarie e ciò
significa che ciò google irlanda paga a google francia sarl sarà possibile in virtù di questo rapporto di
dipendenza della Francia dall’ Irlanda, sarà tenuta tendenzialmente bassa, piu bassa della normale
remunerazione di mercato tra soggetti indipendenti. L’ idea è che più bassa questa remunerazione minore la
base imponibile lasciata in Francia e quindi assoggettata all’ imposizione con l’ aliquota più alta rispetto a
quella irlandese.

Abbiamo una prima manifestazione di queste strategie aggressive sul piano fiscale poste in essere dalle
multinazionali, primo esempio che ruota attorno il prezzo di trasferimento.
La remunerazione di Google Francia può essere regolata a prescindere da quello che avverrebbe nel libero
mercato e venire incontro alle esigenze fiscali complessive del gruppo. Al gruppo interessa che in Francia
rimanga meno base imponibile possibile, il che vuol dire regolare la fee che l’ Irlanda paga alla Francia in
modo tale che questa si abbassi a prescindere dal fatto che un ammontare cosi basso rispecchi quello che
avviene nel ibero mercato perché qui non stiamo nel libero mercato ma nell’ ambito di un gruppo
multinazionale. A questo punto, risalendo la catena, abbiamo Google irlanda che a sua volta ha un reddito
che deriva dalla differenza somma che gli viene pagata dall’ inserzionista francese e la fee bassa che paga alla
società controllata francese, la differenza è il reddito che tendenzialmente deve essere assoggetto ad
imposizione in Irlanda, 12,50 percento. Sarà quasi tutto l’ ammontare della somma contrattualmente pagata
dall’ inserzionista francese perché, come detto, la fee che viene concessa alla Francia è molto bassa.

E allora come si può fare per abbattere ulteriormente questo prelievo fiscale dell’ Irlanda che è il 12.50
percento ma sempre qualcosa da non trascurare?

Si sfrutta l’ interposizione dell’ olandese e si sfrutta il contratto di licenza o di sub-licenza. Vi ricordate che
google irlanda per sviluppare il sito in Francia ha ricevuto in sub -concessione la licenza di utilizzare il
software, il know-how, e riceve questa sub-licenza da google Olanda. A fronte di questa licenza dovrà essere
pagata un canone, una royalty e anche qui subentra la logica del gruppo nell’ ambito del transfer pricing. L’
interesse del gruppo è non che google irlanda limited paghi all’ Olanda la giusta remunerazione per il valore
del bene immateriale che ha ricevuto in concessione ma l’ obiettivo è rendere questo pagamento il più alto
possibile in modo tale da lasciare meno base possibile in Irlanda e quindi diminuire quell’ impatto fiscale dato
dall’ applicazione dell’ aliquota del 12.50 percento il Irlanda. Quindi attraverso la royalty che l’ Irlanda paga
all’ Olanda( che non è una royalty di mercato perché sono appartenenti al medesimo gruppo ) si può drenare
la base imponibile e quindi diminuire la base imponibile e il carico fiscale conseguente da pagarsi in Irlanda.

E cosi via, dall’ Olanda si ritorna a Irlanda holding e qui abbiamo un ulteriore meccanismo di pianificazione
abusiva, elusiva particolarmente aggressiva perchè vi ricordate la struttura di Irlanda holding è tale che essa
è una società per gli Stati uniti fiscalmente residente in Irlanda perché costituita secondo le leggi irlandesi e
tuttavia per l’ Irlanda è una società residente a Bermuda perché avente la sede della sua amministrazione a
Bermuda. E quella che viene definita una struttura ibrida, una stessa struttura è qualificata in un modo in un
modo in un certo ordinamento: società residente in Irlanda per l’ ordinamento statunitense, e quella stessa
struttura è qualificata in un modo completamento differente da un altro ordinamento: società residente
fiscalmente in Bermuda per l’ ordinamento irlandese.

L’ identità ibrida è tipicamente quella entità che riesce a sfruttare la differenza di qualificazione normativa
tra un ordinamento e l’altro in modo tale da sfuggire ad imposizione sia nell’ uno che nell’ altro, in questo
caso utilizzando la leva della residenza fiscale, cioè di come viene definita la residenza fiscale.

Ancora, rispetto al rapporto con gli Stati Uniti troviamo sia il profilo del pagamento della royalty ( l’
ammontare della royalty che viene pagata a google inc incide sul risultato fiscale complessivo del gruppo) sia
troviamo la normativa sulle società estere controllate (CFC, controlled foreign corporation), che è l’ altra
metodologia di pianificazione più utilizzata dalle multinazionali, accanto al transfer pricing.

Perché, vi ricordate, il fatto che agli occhi degli Stati Uniti la società google irlanda holding sia una società
residente fiscalmente in Irlanda e quindi una società che agli occhi degli Stati Uniti non risiede in un paradiso
fiscale blocca la possibilità di applicare normative fiscali americane che, se la società fosse in un paradiso
fiscale, consentirebbero l’ imputazione per trasparenza dei suoi risultati direttamente in capo alla casa madre
americana.
Quindi c’è anche il profilo delle CFC( società estere controllate) nella pianificazione fiscale del caso google
oltre all’ entità ibrida, oltre al transfer pricing, oltre alle forme di approfittamento dei trattati o delle
normative Europee perché non è un caso che tra irlanda limited e irlanda holding sia stata interposta un’
olandese. Non poteva essere interposta una qualsiasi società collocata ovunque nel mondo, occorreva una
società dell’ Unione Europea perchè i flussi, le royalties che passano da una società europea ad un’ altra
società europea non sono soggetti a ritenuta. Quindi quando escono dall’ Irlanda per andare in Olanda, lo
Stato irlandese non può pretendere di agire da sostituto di imposta e trattenere un pezzo delle somme che
escono a titolo di imposta.

C’è anche questo profilo di approfittamento di certi regimi fiscali europei o internazionali in modo tale da
costruire l’ operazione ed averne il massimo vantaggio fiscale possibile.

Adesso ci allontaniamo dal caso Google ed entriamo nel dettaglio di queste politiche fiscali delle
multinazionali. Ma questo era importante per vedere come tutte queste metodologie si trovino utilizzate,
passino nella maggior parte dei casi da giurisdizioni ordinarie e non da paradisi fiscali, ma addirittura dell’
Unione Europea.

Veniamo alle nostre slide:

Slide n 3 (‘’Il transfer pricing’’)

Arriviamo oggi ad iniziare l’analisi del l’ istituto del transfer pricing, dei prezzi di trasferimento. (d’ ora in
avanti ‘’TF’’)

Si ha in questo caso, come nei successivi che analizzeremo (CFC, abuso di norme generali anti abuso in
relazione alle entità ibride chiuderemo il percorso con profili procedurali (scambio di informazioni e
cooperazione alla riscossione), una visione dettagliata di queste metodologie di abuso da parte delle
multinazionali. Cercheremo di dare una descrizione al fenomeno e poi vedremo come gli Stati e gli organismi
internazionali e europei stanno cercando di agire per contrastare gli effetti di queste politiche.

Il tema del TF è un tema particolarmente rilevante (cosi come notato nel meccanismo del caso google). La
possibilità all’interno del gruppo di determinare liberamente l’ ammontare della remunerazione nei vari
passaggi è lo strumento che serve per far scorrere gli utili tra varie giurisdizioni tendenzialmente senza
tassazione, rendendo il costo tale da arrivare alla più o meno stessa entità del ricavo e quindi non lasciare
nessuna base imponibile nella fase intermedia e farlo spostare, profit shifting nel progetto BEPS, e spostarlo
fino al punto in cui la tassazione risulta essere pressochè nulla. E quindi quello dei prezzi di trasferimento è
uno dei temi tradizionali, su cui si discute ormai da molti decenni, che però neanche nell’ epoca della
economia digitale ha perso la sua attualità.

Il TF è una forma di approfittamento che riguarda le transazioni transnazionali che avvengono all’ interno di
un gruppo.

Le due caratteristiche fondamentali perché si possa parlare della disciplina del TF sono:

1. Si deve essere in presenza di una transazione posta in essere tra 2 società appartenenti al medesimo
gruppo
2. Si dev’essere al cospetto di una transazione transnazionale, cioè che avviene tra una società posta in
uno Stato ed una società posta in un altro Stato. La normativa del TF non si applica alle transazioni
puramente domestiche.

Tradizionalmente (fa una precisazione a fini pratici) fino a qualche anno fa, l’ idea tra i professionisti era che
il TF fosse una disciplina abbastanza esotica, lontana dalla quotidianità, che tutt’ al più poteva riguardare i
grandi gruppi multinazionali, che strutturandosi in una pluralità di Stati e quindi ponendo in essere
transazioni tra una società e l’ altra del gruppo, erano soggetti a forme di manipolazione del prezzo di
trasferimento e quindi anche alle normative poste in essere per contrastare queste condotte.

In realtà oggi ci si è resi conto che il tema del TF non è cosi lontano dalla realtà dei fatti, che non è una
tematica che interessa soltanto pochi operatori e conseguentemente pochi consulenti, tutt’ altro: si applica
tutte le volte in cui c’è una transazione tra 2 società che appartengono al medesimo gruppo. Il fatto che si
parli di gruppo non ci deve far pensare che il gruppo sia necessariamente un gruppo multinazioni fatto da 20
imprese sparse per il mondo. Banalmente gruppo è anche quello nel quale una società italiana ha una
controllata che si occupa di produzione dei beni in Romania, in Albania, sotto casa. Pensate a quante
situazioni di questo genere di verificano anche nel nostro distretto,

esempio: una s.r.l. pratese che per far fronte alle commesse e risparmiare in manodopera, apre uno
stabilimento in Romania e costituisce una società romena controllata da una s.r.l. italiana e che ha il
capannone, i macchinari e fa la produzione. Il fatto che Italia s.r.l. controlli una società romena fa si che siamo
già in presenza di un gruppo, tra l’ altro internazionale perché abbiamo la capogruppo italiana e la controllata
romena. E quindi quando la romena ha fatto le sue lavorazione e vende i beni all’ italiana che magari per
raggiungere l’ obiettivo di mettere nel cartellino ‘’made in italy’’fa ulteriori lavorazioni prima di mettere il
bene sul mercato, questa transazione, questa cessione dalla controllata romena alla controllata italiana è una
transazione che avviene all’ interno del gruppo nelle quali l’ una controlla l’ altra e con carattere
transnazionale. Ed è quindi evidente che si applichi la disciplina del TF.

Questo ci fa capire che è un fenomeno di portata assolutamente generale e quasi quotidiana delle stesse
attività delle imprese e degli uffici dell’ amministrazione finanziaria. Anche questa si è dotata di funzionari
con specifiche competenze in tema di TF perché è una materia ormai diventata molto frequente e quindi
occorre avere le competenze giuste.

- Come funzione il TF?


- E soprattutto, qual è la funzione di questa condotta?

L’ idea che 2 società aventi residenza in Stati diversi, appartengano al medesimo gruppo, veicola il messaggio
secondo cui queste società non sono nelle reciproche transazioni del tutto indipendenti.

Se io sono un produttore di beni e vendo i mei beni ad un acquirente terzo, del tutto indipendente, in un
altro Stato, con il quale non ho nessuna cointeressenza, è normale che io debba venderli a prezzi di mercato,
altrimenti quell’ acquirente non mi acquisterebbe i beni. L’ idea è che il prezzo praticato tra soggetti
indipendenti rispecchi fedelmente le condizioni di mercato. Se invece il venditore e l’ acquirente non sono
indipendenti , ma fanno parte del medesimo gruppo, nel senso che il venditore controlla l’ acquirente, l’
acquirente controlla in venditore, oppure tutte e due sono controllati da una entità sovrastante appartenente
ad un gruppo più ampio è chiaro che nei loro rapporti commerciali reciproci, questi soggetti possono decidere
di applicare un prezzo a prescindere da quello che sarebbe il normale prezzo di mercato. E lo possono fare al
fine di spostare base imponibile ed ottimizzare il carico fiscale complessivo.
Esempio:

Abbiamo una società a) che produce e vende beni mobili residente in uno Stato a fiscalità ordinaria, in Italia.
Vende questi beni ad una sua controllante che poi farà da distributrice, venderà questi beni in altri Stati, che
si trova in uno Stato b) con una bassa fiscalità, in Lussemburgo. Qual è l’ interesse del gruppo in questa
transazione?

E’ quello di diminuire il carico fiscale e di fissare un prezzo di vendita del bene dall’ italiana a) alla
lussemburghese b) controllata da a), tale che la base imponibile nello Stato ad alta fiscalità Italia sia la più
basa possibile.

Quindi quel bene che un soggetto indipendente venderebbe per 100, nel contesto di un gruppo posso
pensare di venderlo per 80. Perché in questo modo ho un vantaggio sul versante del venditore che ha una
più bassa base imponibile nello Stato ad alta fiscalità. Dall’ altra parte l’ acquirente che si deduce quel costo
ha una minore deduzione, perché si deduce 80 e non 100, però il vantaggio complessivo c’è ugualmente
perché tanto deduce meno da una base imponibile che comunque sarà assoggettata ad un imposizione più
bassa perché l’ acquirente sta in uno Stato dove l’ imposta sul reddito delle società ha un’ aliquota molto più
bassa. Quindi attraverso questo meccanismo che si chiama nel gergo ‘’l’ arbitraggio del prezzo’’, quindi la
scelta arbitraria, la determinazione arbitraria del prezzo tra le due parti non indipendenti, correlate, si realizza
l’ interesse complessivo del gruppo che è quello di minimizzare il carico fiscale. Se invece avessi venduto dall’
Italia ad un terzo indipendente avrei dovuto applicare il prezzo di 100 e avrei avuto un carico fiscale più alto
nel paese del venditore.

Mutatis mutandis se la situazione si inverte, si inverte anche il meccanismo, se il soggetto che vende sta in
uno Stato ad un aliquota più bassa, il suo interesse sarà quello di vendere il suo bene ad un prezzo più alto
possibile. Da un lato chi acquista fa parte del mio gruppo e quindi segue le politiche del mio gruppo, un terzo
indipendente non comprerebbe mai a 150, ma la società all’ interno del gruppo fa quello che il gruppo gli
dice di fare. L’ obiettivo è massimizzare la base imponibile nello Stato del venditore che è quello a più alta
fiscalità ma allo stesso tempo chi acquista che magari sta in uno Stato ad alta fiscalità ha una deduzione più
alta, e vede abbattere la base imponibile e l’ imposta dovuta anche nel contesto di uno Stato a più alta
fiscalità.

Vedete l’ idea che sta dietro alle politiche aggressive in tema di prezzi di trasferimento. L’ idea è che all’
interno di un gruppo è possibile decidere a tavolino il prezzi delle transazioni non prendendo minimamente
in considerazione quello che sarebbe il prezzo giusto per il mercato.

Si costruisce a tavolino il prezzo per consentire al gruppo nel suo complesso di avere un vantaggio fiscale.

Capite come questo meccanismo sia una meccanismo molto facile anche da un punto di vista realizzativo e
molto efficace per erodere la base imponibile dello Stato ad alta fiscalità e spostare l’ imponibile dove
tendenzialmente si pagano meno imposte. Questo è tipico dei gruppi multinazionali ma è tipico dei gruppi
che avendo base in più Stati hanno al possibilità attraverso l’ arbitraggio dei prezzi di trasferimento di
collocare la base imponibile dove si ritiene più opportuno.

Precisazione: io vi ho fatto questi 2 esempi, quello del soggetto che vende dal paese a più alta fiscalità e
quindi vende ad un prezzo più basso trasferendo allo Stato ad alta fiscalità e viceversa, esempi che mi
servivano per farvi capire come funziona questo meccanismo.
Vorrei però farvi un chiarimento, perché non vorrei che da questi esempi voi aveste una percezione errata.
La percezione che il TF sia un fenomeno tipicamente elusivo. Cioè sia un fenomeno che si verifica soltanto
laddove questo spostamento di base imponibile attuata attraverso la manipolazione del prezzo consenta di
realizzare un vantaggio fiscale, cioè consenta di spostare la base imponibile da uno Stato a d alta fiscalità
verso uno Stato a bassa fiscalità. Gli esempi che vi ho fatto avevano questo elemento caratterizzante ma vi
serviva per farvi capire come funzionava il meccanismo. Il problema è se il TF si limiti solo a questi ti casi, casi
in cui vi è davvero un’ elusione, un abuso, perché la manipolazione del prezzo serve a spostare base
imponibile dove si pagano meno imposte oppure se la disciplina sul prezzo di trasferimento possa essere
invocata tutte le volte in cui il prezzo tra soggetti collegati, appartenenti al medesimo gruppo non è quello
giusto, di mercato, a prescindere dal fatto che lo spostamento avvenga verso un Stato più favorevole da un
punto di vista fiscale oppure no. Capite che i 2 scenari sono molto diversi l’ uno rispetto all’ altro. Perché se
si ammette che la normativa sul TF ha funzione anti elusività e quindi si limita l’ invocazione della normativa
sul TF solo ai casi dove si sposta al base imponibile attraverso la manipolazione del prezzo verso un Stato
dove si pagano meno imposte, significa che l’ amministrazione finanziaria dello Stato che in qualche modo è
penalizzato, che si vede portata via una parte della sua base imponibile, ha un doppio onere probatorio: deve
dimostrare che:

a) Il prezzo praticato tra i soggetti collegati o controllati è diverso da quello che sarebbe stato
praticato nel libero mercato
b) l’ effetto di questa diversità è quello di andare a strutturare l’ operazione in modo tale da pagare
meno imposte

Se invece, come di recente anche l’ amministrazione finanziaria italiana, seguita dalla giurisprudenza, si
ritiene che la disciplina sul TF non abbia una funzione antielusiva ma serva semplicemente a preservare la
correttezza di mercato rispetto alle transazione tra soggetti dipendenti e quindi si possa invocare la disciplina
sul TF , anche se lo spostamento è verso un o stato nel quale non si pagano le imposte, allora è chiaro che il
compito probatorio dell’ amministrazione finanziaria è molto semplificato. Per attivare la normativa sul TF
basterà che un’ amministrazione finanziaria dimostri che quella transazione è avvenuta tra soggetti collegati
ad un prezzo diverso da quello di mercato, senza dover provare il danno fiscale, la erosione della base
imponibile a favore di uno Stato con una aliquota più bassa.

Ad oggi su queste due interpretazioni alternative del fenomeno non vi è una uniformità di vedute, nel senso
che certi soggetti sostengono che il TF abbia funzione antielusiva e quindi occorre dar la prova del risparmio
di imposta e altri (verso la maggioranza) ritengono il TF prescinda dal vantaggio fiscale e quindi per assurdo,
se si provasse che la società italiana ha venduto dei beni alla sua controllata in Germania, dove il livello della
tassazione è più o meno lo stesso, ad un prezzo non di mercato, anche in questo caso, secondo questa diversa
interpretazione si potrebbe comunque contestare la transazione applicando il principio del TF, perché l’ idea
dietro questa concezione è che la disciplina del TF serva a preservare la corretta distribuzione della base
imponibile di transazioni transfrontaliere da uno Stato all’ altro. Serve per far si che ogni Stato abbai il diritto
di assoggettare ad imposizione la giusta base imponibile anche tra le transazioni intra-gruppo, a prescindere
che uno Stato ci guadagni rispetto ad un altro.

Il tema è ancora aperto ma sembra prevalere in questa fase la tesi di chi semplifica i compiti della
amministrazione finanziaria e pensi che il TF non abbia natura anti elusiva e si verifichi tutte le volte che c’è
una transazione tra parti collegate ad un valore diverso da quello di libero mercato.

Come vi accennavo in precedenza, la riflessione sul TF non è una riflessione recente, proprio perché il
fenomeno delle multinazionali non è nato ieri. Da quando si studia il fenomeno delle multinazionali ci si è
resi conto che da un punto di vista fiscale, il tema dei prezzi di trasferimento era un tema cruciale. L’ OCSE
ha cominciato ad affrontare questo tema dal 1979 quando fu pubblicato un rapporto che si intitolava
‘’transfer pricing multinational enterprises’’. Il focus originario era che fosse qualcosa che riguardava solo le
grandi multinazionali, poi invece ci si è resi conto che fosse un fenomeno molto più diffuso e banale e potesse
riguardare anche situazioni di tipo familiare. E cosi nel tempo l’OCSE ha dedicato sempre più interesse a
questo tema e uno step importante in questa gestazione della tematica da parte dell’ OCSE si è avuta nel
1995, in quell’ anno l’ OCSE ha pubblicato la prima edizione delle guide lines sulla determinazione dei prezzi
di trasferimento. Guide lines aggiornate tante volte (come abbiamo detto del commentario dell’ OCSE) per
tener conto dell’ evoluzione nel tempo della fiscalità, dell’’ economia, etc..l’ ulitmo aggiornamento è del
2017, non a caso è l’ aggiornamento che segue la conclusione della prima parte dei lavori del BECS.
Recentemente si sta parlando dell’ uscita di ana nuova versione delle guide lines.

Qual è lo scopo delle linea guida?

Di fornire sia alle imprese e i loro consulenti, sia anche all’ amministrazione finanziaria, quindi a tutti soggetti
interessati dal fenomeno dei prezzi di trasferimento, gli indirizzi delle linee guida, degli strumenti, proprio
perché interpretativi, per determinare quale sia il prezzo di libero mercato, che una transazione infragruppo
dovrebbe avere per poter essere ritenuta corretta. Qui siamo ancora in quel contesto che abbiamo trovato
più volte, di soft law, cioè di strumenti con una funzione quasi normativa, di indirizzo di esemplificazione , di
interpretazione, che non hanno una efficacia vincolante formale. Sono linee guida, lo dice il nome stesso,
niente di obbligatorio, ma qualcosa da consultare per poter avere una linea di condotta e che però come
spesso accade (per es. commentario modello OCSE) documenti non vincolanti, che per la loro autorevolezza,
per il fatto che sono aggiornati frequentemente e rispecchiano molto bene la prassi internazionale dei vari
operatori, per il fatto che sono redatti da soggetti con particolare esperienza e cosi via, hanno un peso nella
ricostruzione del fenomeno molto rilevante. Tant’è vero che spesso non solo nella prassi interna, penso a
tante circolare dell’ agenzia delle entrate che in questo tema fanno riferimento a queste linee guide, ma
anche nella decisione di controversie e sentenze anche della Cassazione Italiana che richiamano le linee
guida. Tutti i funzionari fiscali dell’ agenzia delle entrate che si occupano di TF e tutti i funzionari fiscali delle
imprese che devono fare delle scelte in materia di TF, le conoscono a meladito .

Al livello europeo, anche qui ci si è accorti dell’ importanza della regolamentazione del fenomeno del TF, un
po’ più tardi, nel 2002 nel contesto dell’ Unione europea del Joint Transfer Pricing Forum, organo composto
da soggetti particolarmente esperti dei vari Stati membri che svolge un’ attività di consulenza, di supporto
alla Commissione dell’ UE nella scelta di iniziative anche normative che riguardino questo tema. Pur essendo
un tema particolarmente tecnico, quello del TF, e pur riguardando una materia, quella dell’ imposizione
diretta, che a parte rari casi sfugge alla competenza dell’ UE, per rimanere nella competenza degli Stati
membri, è tuttavia un tema che interessa da vicino la costruzione europea, perché la costruzione europea è
fondata sulle libertà fondamentali (di circolazione di persone, capitali, delle imprese e del lavoro) ma anche
sulla libera concorrenza, che deve essere garantita nella spazio europeo ed essere evitata l’ intrusione da
parte di Stati membri di normative che alterino questa concorrenza. Ed anzi, gli Stati membri sono chiamati
ad intervenire con apposite normative interne laddove si verifichino situazioni di fatto che sembrano alterare
questa concorrenza. Il TF sembra essere una di quelle situazioni a rischio concorrenza e capite che dagli
esempi che vi ho fatto prima, l’ arbitraggio del prezzo, cioè la possibilità all’ interno dei gruppi delle
multinazionali di decidere il prezzo delle transazioni in modo tale da rendere più conveniente sul piano fiscale
la transazione stessa, può consentire a questi operatori di avere dei vantaggi che altri operatori, tipicamente
quelli che stanno all’ interno di un singolo Stato, non hanno quindi ramificazioni transnazionali non possono
avere
Sebbene l’ UE si sia svegliata tardi sul tema del TF, questo è diventato un tema rilevante. E lo vedremo in una
sentenza della Corte di Giustizia proprio perché il TF rischia di mettere a repentaglio il buon funzionamento
del mercato .

Ovviamente, considerata l’ importanza in termini pratici di questo tema, il progetto BEPS si è occupato di TF
(vi ricordate, il progetto BEPS è stato costruito attorno a 15 azioni che rappresentano 15 temi di criticità
ravvisati dall’ OCSE e dal G20 nell’ ambito della fiscalità internazionale, 15 temi su cui si è inteso proporre
una serie di soluzioni )

Se andiamo ad analizzare le azioni del BEPS vediamo che il TF lo si ritrova po’ ovunque, non soltanto in quelle
azioni che esplicitamente si occupano di TF, che sono in particolare le azioni 8, 9, 10 e 13, che si occupano di
TF sotto vari profili sia sostanziali, per es. il TF con riferimento alle transazioni aventi ad oggetto intangibles,
cioè beni immateriali, fino a questioni procedurali come l’ azione 13 che si occupa della documentazione sulla
(….) dei prezzi di trasferimento all’ interno dei gruppi, ma riferimenti al TF si trovano anche al di fuori delle
azioni che espressamente si rivolgono al TF.

Per esempio l’ azione 1, l’ action one, che si occupa di tassazione dell’ economia digitale, è un’ azione dove il
TF è comunque presente perché l’ action 1 è quella dove si analizzano le forme di abuso di pianificazione
fiscali aggressiva delle multinazionali digitali ed è ovvio che il TP viene prepotentemente all’ attenzione. Già
il fatto che 4 azioni su 15 si occupino espressamente del TP la dice lunga sull’ importanza che il progetto BEPS
attribuisce a questa problematica ed in più riferimenti al TF li troviamo un po’ ovunque all’ interno del
progetto BEPS.

Si passa alla seconda parte del discorso.

Abbiamo inquadrato i temi problematici della questione, cioè in che cosa consiste il TP e quali vantaggi può
dare alle multinazionali, ai gruppi internazionali rispetto alle imprese, agli operatori che svolgono la loro
attività all’ interno di un certo ordinamento.

Ora passiamo al secondo profilo che è quello di quali strumenti si stanno ponendo in essere al livello interno
e internazionale per contrastare queste politiche aggressive, per contrastare l’ arbitraggio di prezzo tipico del
TP ed evitare che alcuni soggetti possano avvantaggiarsi enormemente rispetto ad altri. Sotto questo profilo,
cioè il profilo delle forme di reazione, anche sulla base di ciò che emerge dall’ elaborazione del progetto BEPS
noi possiamo distinguere, suddividere il nostro esame in 3 parti, 3 aree:

• Parte sostanziale che identifica come le amministrazioni finanziarie possono trattare queste
transazioni infragruppo in modo tale da evitare approfittamenti
• Profilo probatorio, cosa deve essere provato a) dall’ amministrazione finanziaria per disconoscere il
prezzo della transazione, b) in senso contrario dall’ impresa per difendere il prezzo praticato
• Profilo procedimentale, cioè l’ area della cooperazione tra gli Stati, fra le amministrazioni finanziarie.

Cercheremo di portare avanti la nostra analisi su questi profili: sostanziale, probatorio e procedimentale.

1. Ovviamente partiamo le mosse dal profilo sostanziale, cioè in che cosa consistono gli strumenti degli
Stati, in particolare delle amministrazioni finanziarie che possono mettere in campo per evitare gli
effetti negativi derivanti dall’ arbitraggio del prezzo che si realizza nelle politiche di TP all’ interno dei
gruppi.
Vi ricordate, nel momento in cui vi ho riferito del fenomeno del TP, ho espressamente richiamato la possibilità
che all’ interno di un gruppo il prezzo di una transazione differisca dal prezzo che quella stessa transazione
avrebbe tra soggetti indipendenti sul libero mercato. Da questo approccio scaturisce già una comprensione
dello strumento sostanziale che gli Stati hanno a disposizione per contrastare i fenomeni TP: o strumento è
quello di disconoscere a fini fiscali il prezzo praticato tra i 2 soggetti collegati al medesimo gruppo e ritenere
che quella transazione sia ritenuta ai fini fiscali ad un prezzo ‘’arm’s lenght: allo stesso prezzo che quella
transazione avrebbe avuto tra soggetti indipendenti.

Riprendiamo l’ es. che vi facevo all’ inizio, il caso della società che vende beni ad una società acquirente
appartenente al medesimo gruppo. La società che vende sta in un paese a bassa fiscalità, in Lussemburgo, e
vende beni alla società del medesimo gruppo che sta in uno Stato ad alta fiscalità, in Germania. A) la
lussemburghese vende i beni alla sua controllata B) che sta in Germania. E supponiamo che questa
operazione il prezzo sia manipolato dal gruppo in modo tale da averne il massimo vantaggio fiscale. Quindi il
bene viene venduto a 150, in modo tale che in A), in Lussemburgo, abbiamo un’ alta base imponibile ma
tassato ad un’ aliquota molto bassa e in B), stato a bassa fiscalità, al società che compra ha la possibilità di
abbattere molto la sua base imponibile perché ha un costo estremamente elevato.

A questo punto mettiamoci dal punto di vista dell’ amministrazione finanziaria dello Stato A), della società
che vende, il Lussemburgo, questa transazione da vita a niente di particolarmente preoccupante, anzi si ha l’
innalzamento della base imponibile lussemburghese, per quanto bassa sia l’ imposta il Lussemburgo ne ha
un vantaggio, perché ha più imposte da prelevare.

Chi può lamentarsi di questa situazioni è l’ amministrazione fiscale dello Stato tedesco, della società del
medesimo gruppo che acquista questi beni. Perché se questi beni sono acquistati ad un prezzo molto più alto
di quello di mercato, è ovvio che la società tedesca ha un costo molto più alto di quello normale e quindi
diminuirà base imponibile e quindi l’ imposta da pagarsi allo Stato tedesco. Chi può lamentarsi di questa
situazione è evidentemente lo Stato tedesco. Qual è quindi la reazione che è consentita allo Stato tedesco?
Se lo Stato tedesco prova che la società tedesca B) ha acquistato quei beni ad un prezzo più alto di quello che
avrebbe pagato se avesse acquistato quegli stessi beni da un soggetto indipendente, allora l’ amministrazione
finanziaria avrà la possibilità di disconoscerne il costo nella parte eccedente il prezzo di mercato. Quindi se la
società tedesca ha pagato e si è dedotta un costo enorme di 150, l’ amministrazione tedesca , se riesce a
provare che il costo normale di mercato di quei beni era 100, potrà disconoscere quei 50 dalla base imponibile
della società tedesca, potrà dire che la società tedesca poteva massimo dedursi 100, ma la parte ulteriore,
50, quella parte cioè del costo fuori mercato , che non corrisponde al valore di mercato non è deducibile. E
quindi potrà recuperare l’ imposta dovuta su quel reddito rideterminato con il riconoscimento di un costo
minore.

Facciamo il caso di una società italiana che vende ad una sua consociata in un altro Stato ad un prezzo più
basso di quello di mercato. Vende dei beni a 100 e quindi ha una base imponibile di 100. L’ amministrazione
finanziaria italiana dice: ma quei beni da soggetti indipendenti sarebbero stati pagati almeno 150. La
conseguenza è che l’ amministrazione finanziaria italiana può notificare alla società italiana che ha venduto
quei beni un avviso di accertamento per recuperare lì imposta che sarebbe stata dovuta se fosse stato
praticato il vero prezzo di mercato. Quindi la possibilità per l’ amministrazione finanziaria di disconoscere il
prezzo praticato dall’ impresa appartenente al medesimo gruppo e quindi di effettuare un recupero basato
sul parametro del libero mercato. Vado a confrontare quella transazione con un’ ipotetica transazione ad
oggetto quegli stessi beni ma tra soggetti indipendenti, determino quale sarebbe stato il prezzo pagato che
è per definizione il prezzo di mercato, lo confronto e attua quegli aggiustamenti necessari per poter
ricondurre fiscalmente quell’ operazione a un’ operazione corretta. Questa possibilità di rideterminazione
del prezzo della transazione è consentita solo a fini fiscali. Quindi la transazione, da un punto di vista civilistico
resta quella che è stata pattuita e realizzata tra le parti, il corrispettivo a tutti gli altri fini resta quello
obiettivamente pagato da una società del gruppo all’ altro, la rettifica avviene solo a fini fiscali, cioè serve
solo per rideterminare la corretta base imponibile dello Stato dove avviene il controllo secondo le regole di
libero mercato e recuperare le imposte che avrebbero essere dovuto pagate se quella transazione fosse
avvenuta ai normali valori di mercato.

Come vedete, il meccanismo della reazione degli ordinamenti nazionali alle politiche di TF ruota tutto attorno
a questa nozione di prezzo arm’s lenght, di prezzo di libera concorrenza. L’ idea è che qualunque transazione,
quando avviene tra parti correlate, appartenenti al medesimo gruppo, può essere confrontata con qualsiasi
transazione avente le stesse caratteristiche ma intervenuta tra soggetti indipendenti. Questo confronto fa
emergere un’ eventuale differenza tra il prezzo praticato tra le parti dello stesso gruppo e il prezzo che
sarebbe stato praticato tra parti indipendenti e quindi se questa differenza emerge, sorge la possibilità per l’
amministrazione finanziaria di effettuare un recupero o di aggiustare la transazione a fini fiscali avendo come
riferimento numerico il prezzo di libero mercato.

Questo è l’ approccio che per l’ appunto è stato fatto proprio dall’ OCSE che dice proprio questo:

Art. 9 paragrafo 1: laddove ‘’un impresa di uno Stato contraente partecipa direttamente o indirettamente
alla direzione, al controllo o al capitale di un’impresa dell’ altro Stato contraente ..’’

Quando 2 imprese fanno parte del medesimo gruppo, e le 2 imprese nelle loro relazioni finanziarie o
commerciali, sono vincolate da condizioni diverse da quelle che sarebbero state convenute da imprese
indipendenti, allora gli utili che in mancanza di queste di queste condizioni diverse da quelle di mercato
sarebbero stati realizzati da una delle imprese ma a causa di dette condizioni non lo sono stati, possono
essere incluse negli utili di queste imprese e tassati di conseguenza. Vedete come prima ancora di arrivare a
quel punto che giustamente sollevava il vostro collega Pietro sulla doppia imposizione, prima ancora di
questo vedete quanto sia sottile l’ impalcatura che il funzionamento della normativo sul TF perché qui si va
a cancellare e quindi ad assoggettare ad imposizione la ricchezza che di fatto non esiste, non è stata
realizzata. L’ es che facevo prima della società italiana che vende a 100 sottocosto il presso di libero mercato
che sarebbe di 150, la realtà è che l’ impresa italiana ha ricavato da questa cessione 100, non ha ricavato 150.
L’ amministrazione finanziara però è legittimata, confrontando questo prezzo con il prezzo di libero mercato,
a recuperare ad imposizione un ricavo e quindi un reddito che avrebbe dovuto essere realizzato se la
transazione fosse stata posta in essere a valore id mercato anche se di fatto il ricavo non è stato realizzato
perché 150 è il prezzo di libero mercato e quindi i 50 di differenza l’ amministrazione italiana può recuperarli
in capo alla società italiana ma è un recupero di una ricchezza virtuale perché in realtà la società italiana ha
venduto a 100, quindi qui non siamo in presenza di un recupero che vuole in qualche modo far fronte a
situazione di nero, in cui è stato venduto a 100 ma io penso sia stato venduto a 150 e 150 siano tassati in
altro modo, ma siano comunque stati incassati dalla società. NO, qui si da per scontato che la transazione sia
vera, il prezzo sia vero e quindi quel prezzo sia corso tra le parti però c’è la possibilità per tutelare il principio
di libera concorrenza, di libero mercato per assoggettare ad imposizione un pezzetto di ricchezza che non è
stata realmente realizzata ma che avrebbe dovuto essere realizzata se si fossero seguite le regole del libero
mercato.

E se leggete attentamente questa formulazione dell’ art. 9 paragrafo 1 del modello OCSE vi rendete conto
che è proprio questo il caso. Naturalmente la possibilità per l’ amm- finanziaria di rettificare il prezzo
effettivamente praticato tra le 2 imprese del gruppo proprio perché il riferimento essenziale, la bussola deve
essere il libera concorrenza, è chiaro che questa rettifica ruota tutta attorno alla possibilità che ha l’ amm.
Finanziaria di individuare il prezzo di libero mercato, di individuare una transazione che avrebbe potuto
essere realizza su libero mercato e individuare a quale prezzo questa transazione sul libero mercato sarebbe
stata realizzata. Occorre individuare un metodo, e si stratta di metodi statistici, economici che consenta di
individuare il prezzo nel libero mercato ed effettuare questa comparazione tra il prezzo realmente praticato
tra le parti e il prezzo di libero mercato.

Non ci entriamo tra i vari metodi che sono suggeriti per ricostruire il prezzo di mercato, alcuni sono
veramente complicati , alcuni sono semplici: per es. il metodo del confronto.

Se io vendo scarpe dalla società a) alla società b), stesso gruppo, posso eventualmente andare a verificare a
che prezzo vengono vendute scarpe simili a quelle che sono oggetto di transazione tra le imprese del gruppo,
tra imprese imprese indipendenti e quindi confrontare il relativo prezzo. Il confronto da questo punto di vista
è semplice. Però ha dei limiti perché non sempre siamo in presenza di una transazione infragruppo che ha ad
oggetto un bene per il quale sono rinvenibili sul libero mercato transazioni analoghe.

Questo lo abbiamo detto fin dalle primissime lezioni a proposito del caso google, piuttosto che facebook ,
comunque delle multinazionali digitali. Abbiamo detto che oggetto del business e quindi delle transazioni di
questi soggetti è il più delle volte un unicum. Non è un bene che è fatto da Fb e può essere fatto da altri
operatori, anzi si tratta di un bene immateriale che è frutto di una ricerca, di uno sviluppo speciale e che è
un unico al mondo.

Quindi rispetto a certe transazioni è impossibile individuare nel libero mercato delle transazioni analoghe
come per es. accade nell’ es. banale delle scarpe. E allora è in questi casi, dove il metodo del confronto non
può operare perché non ci sono transazioni confrontabili, allora dovrò ricorrere ad altri metodi un po’ più
complicati basati su un’ analisi statistica e ripartizione dell’ utile. Qui l’ OCSE nelle sue linee guida non dà una
particolare vantaggio ad uno o all’ altro metodo, indica invece una regola salomonica e dice che bisogna
seguire il metodo più appropriato.

Chi è che determina in prima battuta il metodo? In prima battuta è l’ impresa multinazionale, il gruppo
transnazionale. Quando si decide a quale prezzo la società a) del gruppo vende alla società b) del gruppo è
ovvio che si fanno delle considerazioni che ovviamente riguarderanno il business del gruppo nel suo
complesso ma che dovranno avere una loro coerenza. Quindi si sceglierà un certo metodo e si cercherà di
fare il prezzo in modo tale che quel prezzo sia difendibile un domani in caso di contestazioni . E in caso di
controllo dell’ amministrazione finanziaria se essa non è persuasa che quel metodo scelto dall’ impresa sia
corretto può utilizzare un metodo diverso e quindi giungere ad una soluzione, ad un numero diverso rispetto
a quello originario. Il più delle volte, qualunque sia il metodo che in concreto viene applicato, il cuore della
determinazione del prezzo infragruppo e quindi anche delle contestazioni che l’ amministrazione finanziaria
può fare alla congruità di questo prezzo ruota attorno a c.d. analisi funzionale, cioè il più delle volte il prezzo
viene fatto seguendo l’ approccio funzionale e il prezzo viene contestato dall’ amministrazione finanziaria
seguendo del pari un approccio funzionale. L’ idea è che bisogna andare a ricostruire quelle che sono le
funzioni svolte dalle 2 società del gruppo, i rischi assunti dall’ una e dall’ altra nella transazione e i beni
utilizzati, e confrontarli, queste funzioni, questi rischi e questi beni, con quelli che sarebbero ripartiti tra parti
indipendenti. L’ idea è che il prezzo è tanto più alto quanto maggiori sono le funzioni svolte da chi vende,
quanto maggiori sono i rischi che si assume: pensate al soggetto che vende dei capi di vestiario alla sua
controllata che dovrà distribuirli nel paese dove si trova , un conto è se li vende accollandosi il rischio di
invenduto (‘’se non vendi quei capi me li restituisci) e quindi il rischio di invenduto se lo prende tutto la
società che cede i beni alla sua controllata, un conto è dire te li vendo e se non li rivendi a tua volta il rischio
è tuo, la perdita te la tieni tu, società da me controllata. Quindi se il rischio è tutto in chi vende il prezzo sarà
più alto, se è tutto in chi acquista il prezzo sarà più basso. E quindi l’ analisi dei rischi serve per determinare
la corretta allocazione del prezzo. Lo stesso per quanto riguarda i beni.

Quindi il più delle volte, l’ analisi della congruità della correttezza di una transazione passa attraverso la
ricostruzione, lo spezzettamento della transazione e nell’ individuazione di quali sono le funzioni centrali, i
rischi e come sono allocati e quali sono gli asset, cioè i beni ,utilizzati pensate nelle transazioni che riguardano
società che fanno parte di un gruppo multinazionale digitale dove l’ asset, l’ argoritmo è centrale, pensate
nel caso Google tutto ruota attorno ai contratti di licenza e sub-licenza aventi ad oggetto quel bene
immateriale che fa funzionare il motore di ricerca, è ovvio che chi è titolare dell’ asset e quindi ne ha
sostenuto i costi e i relativi rischi dovrà avere nel contesto di un’analisi funzionale un margine di
remunerazione più alto, quindi il prezzo dovrò essere più alto a favore del soggetto che detiene e che ha
sviluppato questi beni.

Volevo venire al discorso che accennava prima Pietro, cioè il discorso della doppia imposizone, quelo che
balza davvero agli occhi in situazioni di questo genere. Fronte ad un prezzo effettivamente praticato dalle 2
società del gruppo, la rettifica da parte di un’ amministrazione finanziaria rompre l’ equilibrio e fa si che ci sia
un fenomeno di doppia imposizione, ovviamente economica e non giuridica. Vedremo domani come questo
viene gestito all’ interno dell’ OCSE in particolare per evitare la doppia imposizione.

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