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Corso di Laurea: Servizi giuridici

Insegnamento: Diritto dell’Unione europea


n° Lezione: 27
Titolo: Il ricorso di legittimità (o in annullamento)

IV
Il sistema giudiziario dell’Unione europea

27. Il ricorso di legittimità (o in annullamento)

Tra le tipologie di ricorsi che possono essere presentati dinanzi


alla Corte di giustizia vi è il ricorso in annullamento per la
illegittimità degli atti dell’Unione, volto ad accertare che tali atti siano
privi di vizi che ne comportino l’invalidità.
Il ricorso di legittimità è disciplinato dall’art. 263 TFUE ai sensi
del quale:
“la Corte di giustizia dell’Unione europea esercita un controllo di
legittimità sugli atti legislativi, sugli atti del Consiglio, della
Commissione e della Banca centrale europea che non siano
raccomandazioni o pareri, nonché sugli atti del Parlamento europeo e
del Consiglio europeo destinati a produrre effetti giuridici nei
confronti dei terzi. Esercita inoltre un controllo di legittimità sugli
atti degli organismi dell’Unione destinati a produrre effetti giuridici
nei confronti dei terzi”.

In particolare, l’art. 263 TFUE disciplina il diritto degli Stati, delle


Istituzioni e, entro certi limiti, dei privati, a ricorrere dinanzi alla
Corte di giustizia per chiedere l’annullamento di un atto europeo
ritenuto illegittimo sulla base dei motivi indicati al comma 2:
1. incompetenza;
2. violazione delle forme sostanziali;
3. violazione dei trattati o di qualsiasi regola di diritto relativa alla
loro applicazione;
4. sviamento di potere.

L’azione di annullamento consiste quindi “nell’impugnazione


mediante ricorso di un atto adottato dalle Istituzioni comunitarie che
si pretende viziato e pregiudizievole” (Tesauro, Diritto comunitario,
Padova, 2008, p. 231).
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Il ricorso in annullamento può esser proposto, secondo il riparto
delle competenze di cui all’art. 256 TFUE, sia dinanzi al Tribunale e
sia dinanzi alla Corte di giustizia.
A seguito dell’eliminazione dei pilastri, possono essere impugnati
anche gli atti adottati nell’ambito della cooperazione di polizia e
giudiziaria in materia penale, mentre rimangono sottratti alla
giurisdizione della Corte gli atti adottati in ambito PESC.

 I soggetti legittimati ad adire la Corte di Giustizia

La legittimazione ad adire la Corte di Giustizia per far valere i


vizi di legittimità di un atto dell’Unione europea, spetta a tre categorie
di “soggetti”:
1. ricorrenti privilegiati;
2. ricorrenti semi-privilegiati;
3. ricorrenti non privilegiati.

1. I ricorrenti privilegiati

Alla categoria dei ricorrenti privilegiati appartengono gli Stati


membri e le Istituzioni europee secondo quanto previsto dall’art. 263,
comma 2, TFUE: “la Corte è competente a pronunciarsi sui ricorsi […]
proposti da uno Stato membro, dal Parlamento europeo, dal Consiglio
o dalla Commissione”.
Per quanto concerne gli Stati membri, occorre ricordare che la
qualità di ricorrente privilegiato riguarda esclusivamente lo Stato e
non anche gli enti decentrati che, al contrario, vanno considerati alla
stregua delle persone giuridiche appartenenti alla categoria dei
ricorrenti non privilegiati.
Tanto gli Stati membri che le Istituzioni europee possono
rivolgersi alla Corte di giustizia a prescindere dall’esistenza di un loro
interesse diretto. Possono quindi proporre ricorso verso qualunque
atto anche se non ne sono direttamente destinatari.
Il fondamento di legittimazione dei ricorrenti privilegiati è da
individuare in una generale esigenza di tutela dell’ordinamento
europeo. Tale esigenza non è, quindi, strettamente legata ad un

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interesse particolare a differenza di quanto previsto per i ricorrenti
semi-privilegiati e per i ricorrenti non privilegiati, come si vedrà infra.

2. I ricorrenti semi-privilegiati

La seconda categoria di ricorrenti citati, i ricorrenti cd. semi-


privilegiati, è prevista nel comma 3, dell’art. 263 TFUE ai sensi del
quale “La Corte è competente […] a pronunciarsi sui ricorsi che la
Corte dei conti, la Banca centrale europea ed il Comitato delle regioni
propongono per salvaguardare le proprie prerogative”.
Il ricorso dei ricorrenti semi-privilegiati, a differenza di quello dei
ricorrenti privilegiati è quindi subordinato alla dimostrazione che
siano state violate le prerogative dei detti ricorrenti. Violazione che
può essere individuata, per esempio, nella mancata partecipazione alla
emanazione di un atto normativo nei casi previsti dal Trattato o nella
mancata consultazione dell’organo quando questa sia obbligatoria e in
questo caso l’oggetto del ricorso riguarderebbe non tanto il contenuto
dell’atto quanto piuttosto una questione meramente procedurale.

3. I ricorrenti non privilegiati

La terza categoria di ricorrenti, cosiddetti ricorrenti non


privilegiati, è prevista dal comma 4, dell’art. 263 TFUE ai sensi del
quale “Qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre […] un
ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano
direttamente e individualmente, e contro gli atti regolamentari che la
riguardano direttamente e che non comportano nessuna misura di
esecuzione”.
La legittimazione attiva delle persone fisiche o giuridiche è
limitata dunque all’impugnazione delle decisioni che ad esse si
riferiscono direttamente, cioè ad atti di cui il ricorrente sia
formalmente destinatario, ed occorre un interesse diretto non
richiesto, come si è visto, per i ricorrenti privilegiati che, a differenza
delle persone fisiche e giuridiche, hanno un interesse presunto e
generale.

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A tale riguardo la Dottrina ha evidenziato che la giurisprudenza
della Corte di Giustizia, “nel radicare il fondamento della
legittimazione attiva all’impugnazione da parte dei singoli alla
circostanza che questi siano direttamente e individualmente coinvolti
dagli effetti dell’atto impugnato, esclude, a differenza degli
orientamenti di numerose giurisdizioni amministrative nazionali, la
legittimazione alla impugnazione da parte di associazioni
rappresentative di “interessi diffusi” (ad esempio, in materia di
protezione ambientale). L’atto, dunque, potrà essere impugnato da
uno o più singoli associati ma non dalla associazione in quanto tale”
(così SINAGRA, La Corte europea di giustizia comunitaria come
giudice di legittimità amministrativa, in Comunicazioni e studi, XXII,
2007, p. 795).

I ricorrenti non privilegiati possono impugnare tre tipi di atti:


1. gli atti adottati nei loro confronti;
2. gli atti che li riguardano direttamente e individualmente;
3. gli atti regolamentari che li riguardano direttamente e non
comportano misure di esecuzione; si tratta, quindi, di atti a portata
generale quando, pur non essendo il ricorrente (persona fisica o
giuridica) il destinatario formale, tuttavia essi lo riguardano più o
meno direttamente come destinatario dei suoi effetti.
È appena il caso di sottolineare che “il requisito della diretta
incisività dell’atto europeo nella sfera giuridica del singolo postula
che l’atto sia di per sé produttivo di effetti giuridici idonei ad incidere
sulla situazione soggettiva del ricorrente senza che siano necessarie
misure esecutive, nazionali o europee, per l’applicazione dell’atto”
(così VALVO, Lineamenti di Diritto dell’Unione Europea, Amon
Edizioni, 2017).
Appare necessario precisare che, il merito al requisito della
“individualità” come condizione per la legittimazione attiva del
singolo in materia di annullamento degli atti europei, la Corte di
giustizia ha stabilito che: “chi non sia destinatario di una decisione
può sostenere che questa lo riguarda individualmente soltanto qualora
il provvedimento lo tocchi a causa di determinate qualità personali,
ovvero di particolari circostanze atte a distinguerlo dalla generalità, e

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quindi lo identifichi alla stessa stregua dei destinatari” (Decisioni
della Corte di giustizia comunitaria del 12 gennaio 1995, in Raccolta,
p. II-1; del 18 maggio 1994, ibid., p. I-1853, punti 18-22; del 29
giugno 1993, ibid., p. I-3605, punti 15-23).

Il Trattato di Lisbona sembra aver apportato un miglioramento


con riguardo alla legittimazione processuale degli individui, dal
momento che il par. 4, dell’art. 263 TFUE, dopo la previsione relativa
alla possibilità per gli individui di impugnare regolamenti e direttive
che li riguardino “direttamente e individualmente”, prevede che questi
possano agire “contro gli atti regolamentari che li riguardino
direttamente e che non comportano alcuna misura d’esecuzione”.
Proprio con riferimento alla disposizione in parola, eminente
Dottrina ha sottolineato che “così, il ricorso individuale di legittimità
dinanzi ai giudici comunitari sarà regolato in modo da garantire ai
singoli l’azione diretta davanti alla Corte di giustizia in tutti i casi di
lesione, da parte di un qualsiasi atto comunitario, anche di portata
generale, dei loro diritti, allorché al conseguimento di tale effetto non
sia necessario alcun ulteriore “atto di esecuzione” (cfr. CARBONE, Le
procedure innanzi alla Corte di giustizia a tutela delle situazioni
giuridiche individuali dopo il Trattato di Lisbona, in St. integr. eur.,
2, Bari, 2008, che a p. 244).
Rimane, a tale riguardo, un problema interpretativo relativo alla
nozione di “atto regolamentare”, che non viene esplicitamente
definito in alcuna disposizione del Trattato.

 Gli atti impugnabili

Gli atti impugnabili in sede di giudizio di annullamento sono solo


gli atti vincolanti e definitivi emanati dalle Istituzioni europee.
Sono quindi impugnabili solo i regolamenti, le direttive e le
decisioni e non anche i pareri e le raccomandazioni che, ai sensi
dell’art. 288 TFUE, sono privi di effetti vincolanti e dunque inidonei a
pregiudicare gli interessi dei singoli o ad alterare in qualsivoglia
misura la ripartizione delle competenze e l’equilibrio istituzionale
della UE.

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Riguardo a questo specifico punto la Corte ha chiarito che ai fini
della impugnabilità dell’atto il carattere vincolante dello stesso va
rinvenuto in riferimento al suo contenuto e ai suoi effetti a
prescindere, pertanto, dal nomen iuris attribuito all’atto stesso e ha
specificato che “l’azione di annullamento deve potersi esperire nei
confronti di qualsiasi provvedimento adottato dalle Istituzioni
(indipendentemente dalla sua natura e dalla sua forma) che miri a
produrre effetti giuridici” (Corte di giustizia, decisione del 13
novembre 1991, in Raccolta, p. I-5315, punto 8).
Gli atti del Consiglio europeo e del Parlamento sono impugnabili
nella misura in cui sono produttivi di effetti giuridici nei confronti dei
terzi. In questi casi la ricevibilità del ricorso è subordinata al controllo
da parte della Corte dell’esistenza di effetti giuridici nei confronti dei
terzi.
Con riguardo ai termini per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 263,
comma 6, TFUE: “I ricorsi […] devono essere proposti nel termine di
due mesi a decorrere, secondo i casi, dalla pubblicazione dell’atto,
dalla sua notificazione al ricorrente ovvero, in mancanza, dal giorno
in cui il ricorrente ne ha avuto conoscenza”.

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