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Giustizia amministrativa

PARTE PRIMA – LA GENESI DEL SISTEMA DELLE TUTELE NEI CONFRONTI DELLA P.A.

CAPITOLO I – LA FORMAZIONE DEL SISTEMA

La scelta giurisdizionale

L’abolizione dei Tribunali ordinari del contenzioso amministrativo

Nel 1861, con l’Unità d’Italia, il Parlamento unificò la legislazione amministrativa, per dare maggiore tutela
ai cittadini nei confronti della PA. Prima dell’Unità d’Italia (1861) la tutela dei cittadini era affidata al
CONTENZIOSO AMMINISTRATIVO (sul modello del sistema francese), non essendo ancora concepibile che
l’amministrazione potesse essere portata davanti ad un giudice da un singolo cittadino. I tribunali del
contenzioso amministrativo erano organi collegiali con natura amministrativa, con prerogative di minima
indipendenza perché sotto la diretta direzione dell’esecutivo.

Tuttavia in Europa già la Costituzione Belga del 1831 aveva proposto un modello alternativo: le controversie
con l’amministrazione erano devolute al giudice ordinario. Sulla base di un nuovo modello che prendeva il
nome di costituzionalismo liberale, si chiedeva l’abolizione del contenzioso e l’affermazione di una
giurisdizione unica.

Successivamente alla terza guerra di indipendenza contro l’Impero austro-ungarico, fu promulgata la L.


2248/1865 di UNIFICAZIONE AMMINISTRATIVA.

Allegato D: disciplinava il Consiglio di Stato

Allegato E: si occupava del contenzioso amministrativo:

Art.1: abolizione dei tribunali ordinari del contenzioso amministrativo

Art.2: tutte le cause per le contravvenzioni e tutte le materie nelle quali si facesse questione di un diritto
civile e politico, erano deferite al giudice ordinario

Nell’espressione “diritto civile e politico” erano ricompresi tutti i diritti soggetti vantati dai cittadini nei
confronti della PA

I tratti essenziali della riforma del 1865

Art.4: il giudice non poteva annullare i provvedimenti amministrativi, ma eventualmente solo disapplicarli.
Vi era inoltre l’obbligo per l’amministrazione di conformarsi alla decisione giurisdizionale (ma all’inizio non
vi era comunque alcuna sanzione in caso di inosservanza).

Tuttavia tale riforma si riferiva solo a diritti soggettivi: fuori dall’ambito di applicazione della giurisdizione,
erano rimaste dunque molto controversie.

Inoltre con l’abolizione dei tribunali del contenzioso amministrativo, tali controversie erano risolte solo con
ricorsi amministrativi o con ricorso straordinario al re.

L’attuazione della riforma

Tale riforma si rivelò però insufficiente: il giudice orinario non era preparato a risolvere controversie
amministrative, e per questo motivo il consiglio di Stato restrinse l’ambito giurisdizionale del giudice
ordinario qualora la controversia riguardasse i poteri discrezionali della PA, circa i quali non vi erano diritti
soggettivi ma solo interessi legittimi, ed era esclusa la competenza del giudice ordinario (interpretazione
però errata!)
Il quadro teorico

La tutela dei cittadini era limitata al caso in cui la PA agiva in violazione di leggi civili e politiche, ma non
amministrative. Si riteneva infatti che se la legge amministrativa aveva dato dei poteri alla PA,
necessariamente era esclusa l’attribuzione dei medesimi diritti ai cittadini. Se questi non potevano vantare
diritti, di conseguenza non potevano ottenere tutela giurisdizionale.

Il movimento per la “giustizia dell’amministrazione”

Si fece così largo la prospettiva di una riforma, soprattutto in seguito alla caduta del governo della destra,
durato ininterrottamente dall’unità d’Italia.

L’allontanamento dal Governo portò ad una rinnovata attenzione al problema della tutela verso la pubblica
amministrazione, tanto che nei programmi politici si determinò un movimento per la “giustizia
dell’amministrazione”, che aveva il fine di porre un freno ai favoritismi e alle parzialità, tutelando
maggiormente i cittadini davanti alla pubblica amministrazione.

La giustizia dell’amministrazione

La legge Crispi del 1889

Nel 1876 cadde il Governo di destra e subentrò la sinistra di Crispi. La L.5992/1889 modificò il Consiglio di
Stato, istituendo la IV sezione per la giustizia amministrativa.

A tale sezione si poteva far ricorso per impugnare atti o provvedimenti per far valere dei vizi di legittimità
(incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere), a tutela di interessi individuali diversi dai diritti
soggettivi. Vi era inoltre l’obbligo per l’amministrazione di conformarsi al giudicato del giudice ordinario. Si
passa dunque da un sistema monistico (un solo giudice) ad uno dualistico.

La cognizione e i poteri della Quarta Sezione

Ciò non portò tuttavia alla pienezza della tutela, perché i mezzi di tutela non erano cumulabili. Se si trattava
di un diritto soggettivo, si effettuava un’azione di accertamento e condanna al pagamento di una somma di
denaro, se invece era un interesse legittimo si procedeva all’azione di annullamento. L’obiettivo della
pienezza della tutela non era stato ancora centrato.

Il problema della natura giuridica. Il tentativo della doppia tutela

La legge del 1889 non usa mai i termini “giurisdizione” e “sentenza”, ma “competenza” e “decisione”: per il
legislatore dell’epoca, il controllo sull’attività amministrativa poteva essere effettuato solo da un organo
appartenente all’amministrazione stessa.

Per conciliare il carattere amministrativo della Quarta Sezione con quello giurisdizionale della sua funzione,
si parlò di controllo giurisdizionale dentro la stessa PA contro l’abuso dei suoi organi (così definito dalle
Sezioni Unite della Cassazione romana).

Si aprì però a questo punto un dibattito dottrinale sulla possibilità di assicurare ai diritti soggettivi sia la
tutela risarcitoria già accordata al giudice ordinario, che quella di annullamento affidata al giudice
amministrativo, auspicando così di arrivare alla tanto desiderata doppia tutela. Il problema della natura
giuridica. Il tentativo della doppia tutela

Il riconoscimento della natura giurisdizionale (in senso proprio) della quarta sezione fu opera delle sezioni
Unite della Cassazione Romana, sulla base della legge 1877sui conflitti e della stessa legge del 1889. Questo
permise alle sezioni unite di fissare il criterio di riparto tra giurisdizione del giudice ordinario e competenza
della quarta sezione sulla causa petendi (titolo per il quale si agisce in giudizio), ma soprattutto le permise
di trasformare la quarta sezione da organo amministrativo ad organo giurisdizionale.

In base alla legge del 1877, alle sezioni unite spettava di:

regolare la competenza tra l’autorità giudiziaria e l’autorità amministrativa quando l’una o l’altra sian
dichiarate incompetenti – decidere quindi i conflitti negativi di attribuzione;

giudicare i conflitti di giurisdizione positivi o negativi fra i tribunali ordinari ed altre giurisdizioni speciali,
nonché della nullità delle sentenze di queste giurisdizioni per incompetenza od eccesso di potere – ossia di
decidere i conflitti di giurisdizione, positivi e negativi.

La legge e il regolamento del 1907

Tale giurisdizione doveva dunque avere carattere oggettivo, in quanto solo così poteva superarsi il binomio
diritto soggettivo-tutela giurisdizionale.

Veniva così alla luce l’esigenza di individuare una forma di interesse, che non fosse mero interesse semplice
(privo di rilievo giuridico), ma che non fosse nemmeno diritto soggettivo: si iniziò a parlare dunque di
interesse legittimo, in rapporto occasionale con un diritto obiettivo.

La Quarta Sezione si spostò sempre più verso un modello di processo di diritto oggettivo, e la dottrina iniziò
ad approfondire il concetto di interesse legittimo: si enfatizzò in questo modo il carattere davvero
giurisdizionale della Quarta Sezione, e il carattere soggettivo del processo che si svolgeva dinanzi al essa.

L’introduzione della giurisdizione esclusiva e altre riforme prima della Costituzione

Tuttavia la nuova impostazione non si dimostrò esauriente: molti problemi ancora non erano risolti, come
quello relativo al criterio di riparto, o dell’estrema difficoltà di ottenere tutela nel caso di inerzia della PA.
Nel 1923 si rese promiscua la competenza della Quarta e della Quinta Sezione, si consentì al Consiglio di
Stato di decidere in via incidentale anche questioni concernenti diritti soggettivi (tranne stato e capacità), e
si creò la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Si individuarono cioè delle materie attribuite all’esclusiva giurisdizione del Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (come il rapporto di pubblico impiego). Si creò inoltre un secondo criterio di riparto delle
giurisdizioni, speciale, fondato sulle materie, rispetto al criterio generale fondato sulle situazioni giuridiche
soggettive: con tale criterio si rinunciava al principio del 1865, secondo il quale per la tutela dei diritti
soggettivi provvedeva solo il giudice ordinario.

Con la legge del 1923 si creò un secondo criterio di riparto delle giurisdizioni, fondato sulle materie, rispetto
al criterio generale, fondato sulle situazioni giuridiche soggettive.

La legge del 1923 si limitò a creare la giurisdizione esclusiva ma non dettò una disciplina propria del
processo relativo; cosicché la tutela dei diritti soggettivi fu compressa nello stretto ambito del processo
amministrativo. La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha eliminato qualche grave strozzatura:

o Ha consentito la proposizione del ricorso entro i termini di prescrizione, anziché entro i termini di
decadenza, quando la controversia attiene ai diritti soggettivi;

o Ma non ha mai intrapreso la strada della costruzione in via pretoria di un processo adeguato alla tutela
congiunta delle situazioni di diritto e di interesse legittimo, ossia un processo di giurisdizione eclusiva; ne è
la conferma la differenziazione dei termini per la proposizione del ricorso a seconda che vengano impugnati
atti paritetici (lesivi di diritti) o atti autoritativi (lesivi di interessi legittimi).
CAPITOLO II – L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA

L’impatto costituzionale

La “costituzionalizzazione” del sistema

Con D.L. del 1948 venne istituita la VI sezione e poco dopo, con l’entrata in vigore della Costituzione:

Fu affermato il sistema dualistico

Venne affermato il divieto di istituzione dei giudici speciali

Si richiese l’istituzione dei TAR (attuata poi negli anni ’70)

Viene sancita la doppia vocazione funzionale di entrambi: il CdS resta organo di consulenza giuridico-
amministrativa e di tutela di giustizia nell’amministrazione; la Corte dei Conti è contemporaneamente
organo di controllo e organo di giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate
dalla legge.

I magistrati di entrambi gli istituti vengono considerati giudici delle giurisdizioni speciali, in quanto si
collocano fuori dell’ordine giudiziario.

Per quanto attiene ai giudici amministrativi, la Costituzione prescrive la istituzione di organi si giustizia
amministrativa di primo grado; tale prescrizione sarà attuata solo negli anni 70, con la istituzione dei
Tribunali amministrativi regionali.

Le “aperture” costituzionali

Art.24: fu riconosciuta a tutti la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri interessi legittimi e dei
diritti soggettivi.

Diritto alla difesa in ogni stato e grado del giudizio.

La tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per
determinate categorie di atti (art.113).

Nella Parte Prima della Cost., viene riconosciuto a tutti la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei
propri diritti e interessi legittimi (art.24, comma 1); nonché il diritto inviolabile alla difesa in ogni stato e
grado del procedimento (art.24, comma 2).

Viene ribadito che contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale
dei diritti e degli interessi legittimi (art.113, comma 1).

Gli interessi legittimi vengono accostati ai diritti soggettivi.

Il riconoscimento dell’interesse legittimo sancisce definitivamente il carattere di processo di diritto


soggettivo e di processo di parti che il processo amministrativo aveva da tempo acquisito; inoltre apre la
strada all’affermazione della risarcibilità delle lesioni inferte dall’amministrazione all’interesse legittimo.

Il testo costituzionale riafferma la generalità della tutela nei confronti dell’amministrazione: vengono meno,
pertanto, sia le limitazioni connesse con la impugnabilità di alcune categorie di atti (gli atti politici ne sono
l’esempio più rilevante) sia quelle derivanti dalla esclusione della sindacabilità degli atti sotto alcuni profili
(di solito sotto il profilo dell’eccesso di potere).
La Costituzione ha voluto assicurare, oltre alla generalità, anche la pienezza della tutela giurisdizionale. Il
che comporta che, nelle controversie con l’amministrazione, devono poter essere esperibili tutte le azioni
che, in via generale, sono esperibili nelle controversie tra privati.

L’opera della Corte costituzionale

Nei decenni precedenti la nuova Costituzione, il panorama dei giudici speciali si era andato arricchendo di
numerose figure.

L’inerzia del legislatore ha spinto la Corte costituzionale ad eliminare molti dei tali giudici speciali, quali: i
Consigli di Prefettura, le Giunte Provinciali amministrative, i Capitani di porto.

Indicativa è la vicenda del contenzioso elettorale amministrativo: per antica tradizione i ricorsi elettorali
venivano decisi rispettivamente dai consigli comunali e provinciali; la Corte costituzionale dichiarò
costituzionalmente illegittime le norme che disciplinavano il contenzioso, senza che fossero garantite
l’indipendenza e l’imparzialità dell’organo giudicante. Il legislatore ritenne di risolvere il problema,
istituendo le Sezioni del contenzioso elettorale, come Sezioni speciali degli istituendi Tribunali
amministrativi regionali, composte da due funzionari statali e da tre membri eletti dai consigli regionali o
provinciali.

La Corte costituzionale ha contribuito a far nascere i giudici parlamentari.

La Corte costituzionale si è occupata, in una seconda stagione, della disciplina del processo amministrativo:

È più volte intervenuta sulla tutela cautelare;

Ha riconosciuto valore costituzionale alla regola del doppio grado di giudizio;

Ha stigmatizzato il sistema probatorio, ma soltanto con riferimento al processo di pubblico impiego;

Ha introdotto l’opposizione di terzo ordinaria;

o Ha sottolineato l’importanza e le implicazioni del rispetto del principio del contraddittorio; o Ha


individuato rigorosi limiti alla espansione della giurisdizione esclusiva.

La istituzione dei Tribunali amministrativi regionali

L’articolo 125 Cost. venne attuato tardivamente con legge 6 dicembre 1971, n. 1034, che istituì i Tar quali
organi di giustizia amministrativa di primo grado, con circoscrizione regionale. L’istituzione di organi di
primo grado era stata resa urgente dalla dichiarazione di incostituzionalità delle giunte provinciali
amministrative, che fungevano da organi di giustizia amministrativa di primo grado con giurisdizione
limitata. I nuovi tribunali hanno invece giurisdizione corrispondente a quella del Consiglio di Stato, ormai
diventato giudice d’appello. L’unico caso di giurisdizione in un unico grado del Consiglio di Stato riguarda il
ricorso per ottemperanza alle decisioni dello stesso Consiglio di Stato e alle sentenze del giudice ordinario
quando l’autorità amministrativa chiamata a conformarsi sia un ente la cui attività non sia ristretta
esclusivamente nei limiti della circoscrizione del Tar. Inizialmente venne riservata la presidenza dei Tar ai
consiglieri di Stato, e venne creato il ruolo dei magistrati amministrativi regionali separato;
successivamente la presidenza dei tribunali è stata estesa a magistrati amministrativi regionali, inseriti in un
unico grado insieme a quelli del Consiglio di Stato. Nel 1982 è stato istituito il consiglio di presidenza della
giustizia amministrativa, con le medesime funzioni che il consiglio superiore della magistratura svolge per i
magistrati ordinari. Il presidente è nominato con decreto del presidente della repubblica, su proposta del
presidente del Consiglio dei Ministri; il consiglio di presidenza ha solo la possibilità di fornire un parere non
vincolante. La legge del 1971 sui Tar, quando possibile, ha ripetuto letteralmente le formule del testo unico
sul Consiglio di Stato, per non far percorrere agli appena istituiti Tar vie giurisprudenziali diverse da quelle
del Consiglio di Stato. Nonostante questo però i Tar hanno fornito un contributo di innovazione rispetto alla
tradizionale giurisprudenza amministrativa.

Le novità della legge del 1971 e la riforma dei ricorsi amministrativi

La legge del 1971 ha provato a dettare una disciplina processuale che potesse fornire una guida per i nuovi
organi giudicanti, apportando innovazioni effettive soprattutto sulla giurisdizione. sono state attribuite ai
giudici amministrativi le controversie in materia di operazioni elettorali relative alle elezioni amministrative,
ed è stata estesa la giurisdizione esclusiva ai ricorsi relativi ai rapporti di concessione di beni e di servizi
pubblici. Relativamente alla giurisdizione esclusiva, nella materia relativa ai diritti, il giudice amministrativo
può condannare l’amministrazione al pagamento di somme di cui risulta di debitrice. Altra innovazione
riguarda l’appello, in coerenza con il principio del doppio grado, l’appello è stato disegnato secondo lo
schema del gravame e non secondo quello di impugnazione in senso stretto. Il giudice d’appello ha la stessa
cognizione del primo giudice: il gravame infatti impugnazione illimitata con effetto devolutivo. altra grande
innovazione riguarda l’impugnabilità dei provvedimenti non definitivi, consentendo l’esercizio dell’azione
giurisdizionale a prescindere dalla previa impugnazione dei provvedimenti con ricorso amministrativo.
Nonostante le grandi innovazioni però la legge del 1971 non ha dato luogo ad una riconsiderazione globale
e sistematica dei mezzi di tutela, né ha introdotto una disciplina processuale esauriente.

Il sistema amministrativo attuale delle tutele nei confronti della Pubblica Amministrazione

L’opera della giurisprudenza

Il Consiglio di Stato, nel periodo in cui è stato giudice unico, ha esercitato la sua giurisprudenza per chiarire
ed integrare la lacunosa disciplina processuale. L’entrata in scena dei Tar ha sollecitato una grande ripresa
di tale giurisprudenza, essendo il Consiglio di Stato unico giudice con funzione di nomofilachia. Si è dunque
è allargata la legittimazione ad agire e il riconoscimento dell’impugnabilità di taluni atti, inizialmente
ritenuti non impugnabili, ed è stato ritenuto che il giudice amministrativo possa disapplicare i regolamenti.
grande evoluzione si è avuta in tema di processo cautelare, dove si è affermato il carattere decisionale delle
ordinanze sospensive e si è consentito l’appello, nonché un metodo per garantire che tali ordinanze fossero
effettivamente eseguite dall’amministrazione; è stata estesa la tutela cautelare contro i provvedimenti
negativi ed è stato affermato che i diritti soggettivi, anche se relativi e di natura patrimoniale, possono
ottenere piena ed effettiva tutela giurisdizionale, anche d’urgenza, da parte dei giudici amministrativi. È
stata inoltre riscritta la disciplina del processo di ottemperanza, sottolineando il suo carattere
giurisdizionale, la struttura contenziosa, la natura cognitoria e la funzione non semplicemente esecutiva.
prima è stata negata, poi affermata, la necessità che la sentenza da ottemperare fosse passata in giudicato,
e dopo primo atteggiamento negativo è stata riconosciuta l’appellabilità delle sentenze di ottemperanza.
Per il silenzio invece la giurisprudenza ha continuato ad oscillare tra la sua individuazione come oggetto del
giudizio e la sua considerazione come semplice presupposto processuale. L’azione risarcitoria invece,
introdotta con una sentenza delle sezioni unite della cassazione nel 1999, è stata poi espressamente
prevista per legge, ritenendo che fosse ammissibile solo se tempestivamente impugnato il provvedimento
illegittimo e lesivo. È stato poi chiarito che in appello è ammissibile l’integrazione del contraddittorio, che la
rinuncia ricorso estingue processo solo a seguito della presa d’atto da parte del giudice e che l’eccezione di
prescrizione di crediti nei confronti dell’amministrazione può essere sollevata solo nel primo grado di
giudizio.

La giurisprudenza non ha fatto altro cioè che precisare da disciplina processuale, puntando verso l’obiettivo
dell’effettività della tutela giurisdizionale.

Nuovi fermenti in tema di giurisdizione e processo


Sul piano legislativo dal 1971 alla fine degli anni 90 si sono avuti solo interventi episodici, anche se la
dottrina ha più volte richiesto una riforma complessiva. Gli interventi legislativi hanno aumentato le
materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e hanno ricercato, per le
controversie delicate, forme processuali semplificate o riti accelerati. l’allargamento della giurisdizione
esclusiva è proseguito in materia edilizia, per gli accordi amministrativi, per la concorrenza, per i
provvedimenti dell’autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità e dell’autorità per le garanzie nelle
comunicazioni: in tal modo si è ampliato il riparto della giurisdizione e di conseguenza il criterio fondato
sulle materie anziché sulle situazioni giuridiche soggettive. Nel 1998 sono state devolute al giudice
ordinario tutte le controversie relative al rapporto di lavoro con gli enti pubblici, mentre le materie dei
servizi pubblici, edilizia ed urbanistica sono state devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo. Nel 2000 sono state devolute alla giurisdizione esclusiva anche le controversie relative alle
procedure di affidamento di lavori, e di servizio di forniture. Il legislatore si è anche preoccupato di
stringere i tempi processuali, ampliando il campo di azione dei riti accelerati. Forme speciali o termini
abbreviati sono stati poi applicati per il contenzioso elettorale, per le controversie in materia di sciopero nei
servizi pubblici essenziali, per i provvedimenti di espulsione degli stranieri, per il diritto di accesso agli atti
amministrativi, in tema di parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali, nei
confronti del silenzio dell’amministrazione.

La legge n. 205/2000

L’intervento legislativo più recente e più importante è dato con legge 21 luglio 2000, n. 205, risultato di
un’elaborazione parlamentare incompleta a causa della fretta determinata dalla sentenza della corte
costituzionale 17 luglio 2000, n. 292, che ha dichiarato illegittimo per eccesso di delega l’articolo 33 del
decreto legislativo n. 80/1998. La fretta si evince dal disordine delle disposizioni, dalle inutili ripetizioni e
dalla frequente non coordinazione. Per il processo sono state dettate delle norme di razionalizzazione,
come quella che prescrive di raccogliere insieme i motivi aggiunti. È stato introdotto un rapido processo
avverso il silenzio, per quanto riguarda i riti speciali, e sono state introdotte più discipline processuali
speciali, caratterizzate dalla riduzione della durata del processo. Per quanto riguarda la giurisdizione
esclusiva sono state allargati i poteri istruttori e decisori del giudice e si è reso uniforme un modello
processuale prima assai variegato. Sono stati integrati anche i poteri del giudice amministrativo, che ora in
sede di legittimità e in sede di giurisdizione esclusiva, può conoscere anche dell’azione risarcitoria.

sicuramente però, nonostante le critiche, con la L.25/2000 il processo amministrativo è stato molto
velocizzato e reso efficace.

Risultati raggiunti e obiettivi mancati

Se si rivaluta complessivamente l’evoluzione, si nota che i vizi presenti all’origine nel sistema non sono stati
risolti: le leggi fondamentali in tale ambito sono tra loro diverse e non riescono ad armonizzarsi. Il
legislatore non ha avuto la volontà di intervenire sulla disciplina in modo organico e sistematico, o di
colmare le numerose gravi lacune. la dottrina ha sempre auspicato l’adozione di un testo completo ed
esauriente, in linea con le disposizioni costituzionali, ancora non del tutto attuate. Sono stati effettuati dei
tentativi per porre rimedio a tale situazione, ma nessuna di queste è andata a buon fine. La disciplina è
rimasta quindi non organica e incompleta.

Il dibattito attuale

Negli ultimi tempi, anche a seguito dei lavori della commissione bicamerale, è stato ravviato il dibattito sul
principio della unitarietà della giurisdizione e sull’architettura stessa della magistratura, ancora non chiara e
soddisfacente.secondo l’interpretazione più comune della costituzione, la magistratura si articolano in
ordine giudiziario ed in altri corpi che svolgono anch’essi funzioni giurisdizionali: i giudici speciali. In dottrina
stesso ritorna l’aspirazione alla ricomposizione unitaria del sistema giudiziale, fortemente sostenuto in
assemblea costituente dal Calamandrei.comunque interpretato, il sistema appare però difettoso: controllo
sulla giurisdizione dei singoli giudici è affidato ad uno di essi, e manca un organo giudiziario con funzione
generale di nomofilachia.l’architettura difettosa è emersa anche ultimamente con la dichiarazioni di
incostituzionalità della composizione dei tribunali regionali delle acque. Il dibattito attuale verte anche sul
riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo. Il criterio originario fondato sulle
situazioni soggettive è stato pian piano soppiantato da altri criteri, primo tra tutti quello per materia. Altro
tema di forte attualità tiene alla misura della sindacabilità delle scelte di discrezionalità tecnica effettuate
dall’amministrazione: c’è chi ritiene che nel processo amministrativo possa essere sindacata ogni scelta
tecnica, e c’è chi punta verso un sindacato più limitato. Il problema di fondo rimane comunque legato alla
mancanza di una disciplina dei processi nei confronti dell’amministrazione.

Le ultime iniziative legislative

Il legislatore si è occupato di nuovo di riformare la tutela nei confronti della pubblica amministrazione, con
due deleghe emanate nel 2009. La prima delega il governo a determinare i mezzi di tutela giurisdizionale a
disposizione di qualsiasi interessato: si tratta di un ricorso per l’efficienza degli apparati pubblici. La
legittimazione a ricorrere dovrà essere estesa alle associazioni ed ai comitati; il giudice può ordinare
all’amministrazione di adottare le misure idonee per risolvere le violazioni, omissioni o mancati
adempimenti: non sembra messo il risarcimento del danno (ma ciò sarebbe contrario alla previsione
costituzionale della pienezza della tutela).tale azione è vista non solo come mezzo di tutela del cittadino,
ma anche come strumento di pressione sugli apparati pubblici per garantire la loro efficienza.

La seconda delega è più importante e riguarda il riassetto della disciplina del processo amministrativo, per
assicurare la snellezza, concentrazione ed effettività della tutela, per disciplinare le azioni e le funzioni del
giudice, per rivedere e razionalizzare i riti speciali e le norme vigenti per il processo amministrativo sul
contenzioso elettorale, per riordinare la tutela cautelare e il sistema delle impugnazioni.

il governo per attuare la delega ha voluto valersi del Consiglio di Stato, presso il quale è stata istituita
un’apposita commissione. La disciplina delegata deve essere emanata entro un anno, ossia entro l’inizio di
luglio 2010, data storica perché porterà sicuramente ad una tanto auspicata disciplina organica del
processo amministrativo.

PARTE SECONDA – I GIUDICI E LA LORO ORGANIZZAZIONI

CAPITOLO I – IL GIUDICE AMMINISTRATIVO (leggere)

Il Consiglio di Stato e la sua composizione

– È definito come organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia


nell’amministrazione.

– Assoluta indipendenza dell’Istituto e dei suoi componenti di fronte al Governo, pur costituendo il
Consiglio di Stato un organo ausiliario di esso.

– Le funzioni giurisdizionali sono assegnate a tre Sezioni (in seguito istituite altre 3, la quarta nel 1889, la
quinta nel 1907, la sesta nel 1948).

– Il Consiglio di Stato è composto da organi permanenti (Presidente, le Sezioni, L’Adunanza Generale,


l’Adunanza Plenaria) e da organi temporanei o straordinari (commissioni speciali).

– Presidente
è nominato con decreto del Capo dello Stato, su proposta del presidente del Consiglio, previa delibera del
Consiglio dei Ministri, sulla scorta del parere formulato dal Consiglio di Presidenza del Consiglio di Stato, fra
i magistrati amministrativi che abbiano esercitato, per almeno 5 anni, funzioni direttive.

Compiti del Presidente

Istituzionale:

o potere di convocare e presiedere le riunioni dell’Adunanza Plenaria, dell’Adunanza Generale e di quelle


Sezioni in cui il Presidente intende intervenire; o stabilisce la composizione delle Sezioni consultive e
giurisdizionali ed assegna i ricorsi/pareri alle singole Sezioni;

o presiede le riunioni del Consiglio di Presidenza e nomina l’ufficio elettorale per la scelta degli altri
componenti dei Consiglio. Amministrativo:

o adotta tutti i provvedimenti relativi ai magistrati ed ai funzionari delle segreterie, mentre ha uno specifico
potere di proposta in tali materie al Pres. del Consiglio dei Ministri e, tramite quest’ultimo, al Capo dello
Stato.

o Esercita il potere di vigilanza su tutti gli uffici del Consiglio di Stato e sui magistrati, ed è titolare
dell’azione disciplinare.

Il presidente è coadiuvato, nell’esercizio delle sue funzioni, da un segretario generale, scelto tra i consiglieri
di Stato.

– Adunanza Generale del Consiglio di Stato

Organo collegiale con funzioni unicamente consultive.

È composta dal presidente del CdS che la presiede e da tutti i consiglieri in servizio.

Ha competenza in materia di pareri sui progetti di legge, testi unici, regolamenti e per le questioni, di
rilevanza generale o di massima, sulle quali il presidente, le singole Sezioni ritengano necessario un
pronunciamento dell’organo in parola.

Il presidente del CdS può formare, per quanto concerne l’attività di natura consultiva, commissioni speciali,
qualora la questione da risolvere non sia riconducibile ad una Sezione consultiva ordinaria.

– Adunanza Plenaria

Funzioni esclusivamente giurisdizionali.

È composta dal presidente del CdS e da dodici consiglieri (4 per ogni Sezione giurisdizionale). Finalità e
funzioni:

o Possibilità, su richiesta delle parti o d’ufficio, di investire l’Adunanza Plenaria ad opera della Sezione che
ritenga necessario un pronunciamento su un punto di diritto che ha dato luogo o possa dar luogo a
contrasti giurisprudenziali;

o Deferimento del Presidente, sempre su richiesta delle parti o d’ufficio, allo scopo di rimettere il ricorso
all’Adunanza Plenaria per la “risoluzione di questioni di particolare importanza”. – Consiglio di Giustizia
amministrativa per la regione siciliana

Ha funzioni di giudice di appello avverso le pronunce di primo grado del TAR Sicilia, nonché funzioni di
natura consultiva, quale organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo regionale.
I Tribunali amministrativi regionali e la loro composizione (leggere)

– Con la legge 1034/1971, è stata data completa attuazione all’art. 125 Cost., comma 2, laddove si afferma
che “Nella regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado secondo l’ordinamento
stabilito dalla legge della Repubblica”.

– In ogni capoluogo di regione è stato istituito un Tribunale amministrativo regionale, articolato in un’unica
Sezione.

– La legge individua, inoltre, le regioni presso le quali è possibile attivare le Sezioni distaccate; ad esempio il
TAR Lazio, articolato in 3 sezioni interne, ed una sezione distaccata, quella di Latina.

– Composizione: ogni TAR è formato da:

o Presidente;

o Consiglieri (nominati a tempo indeterminato all’esito del superamento di un concorso pubblico); o Primi
referendari e secondi referendari.

– Spetta al Presidente

o dirigere i lavori della Prima Sezione, laddove il Tribunale si articoli in più sezioni; o predisporre il
calendario delle udienze e la ripartizione delle cause;

o nonché stabilire la composizione dei collegi giudicanti sulla base dei criteri individuati dal Consiglio di
Presidenza.

– Un rilievo particolare merita la regione Trentino-Alto Adige, nella quale esercitano le funzioni di giustizia
amministrativa di primo grado il TAR Trentino Alto Adige, ed una Sezione distaccata con ordinamento
speciale, con sede a Bolzano, che può considerarsi un vero e proprio Tribunale autonomo, al punto che i
relativi conflitti di competenza con il TAR Trentino vengono risolti dal CdS.

I magistrati amministrativi e la loro organizzazione (leggere)

Sono previste modalità di reclutamento distinte tra i giudici dei TAR e quelli del Consiglio di Stato. Nel
primo caso, l’accesso alla qualifica di “referendario” (primo livello di carriera) è subordinato ad un concorso
pubblico per titoli ed esami, per soggetti titolari di determinati requisiti. Dopo 4 anni di anzianità si può
conseguire la nomina a primo referendario.

Per la nomina e Consigliere di Stato i posti vacanti vengono ricoperti in base a tale criteri:

Per metà sono riservati a consiglieri dei TAR con 4 anni di servizio che ne facciano domanda

% nominati dal Governo tra professori di materie giuridiche, avvocati abilitati alle magistrature superiori
con 15 anni di anzianità, oppure tra dirigenti generali e equiparati dei ministeri, degli organi costituzionali o
di altre PA

Garanzia dell’inamovibilità (mantenimento sede e funzioni assegnate).

L’autogoverno dei giudici amministrativi è affidato al Consiglio di Presidenza, composto da 11 magistrati


amministrativi di cui uno di diritto (Presidente del Consiglio di Stato) e 10 rappresentanti elettivi scelti da
collegi elettivi dei magistrati TAR.
Competenze: adozione di tutti i provvedimenti in materia di assunzione, assegnazioni di sede e di funzioni,
promozioni, conferimenti di uffici e direttivi ed ogni altro profilo connesso allo status giuridico dei
magistrati.

CAPITOLO II – GLI ALTRI GIUDICI DELLE CONTROVERSIE CON L’AMMINISTRAZIONE

Il giudice ordinario (leggere)

Il giudice ordinario incontra 2 limiti: da un lato spettano a tale giudice le controversie aventi ad oggetto la
tutela di diritti soggettivi (limite esterno); dall’altro a tale giudice non è consentita l’emanazione di sentenze
costitutive nei confronti di atti amministrativi (limite interno).

Conseguente al divieto di annullamento, il giudice ordinario ha potere di disapplicazione, con sindacato su


ogni tipo di vizio, anche l’eccesso di potere.

Lo stesso legislatore nel tempo ha delineato ipotesi in cui i limiti non trovano applicazione (in questi casi il
giudice ordinario ha piena giurisdizione) e ha potere di annullare, sospendere o riformare l’atto
amministrativo.

Per l’esecuzione del giudice ordinario può esperirsi il giudizio d’ottemperanza; per l’esecuzione forzata
invece si seguono le regole del c.p.c.

Gli altri giudici speciali

Il giudice contabile (leggere)

Si tratta della Corte dei Conti, che ha funzione giurisdizionale nelle materie di contabilità pubblica e nelle
altre specificate dalla legge (art.103 Cost.).

Rientrano nella giurisdizione contabile i giudizi di responsabilità amministrativa e contabile dei pubblici
funzionari, il contenzioso pensionistico, i giudizi di conto, i giudizi a istanza di parte in materia contabile. Ha
giurisdizione piena, non sottoposta ad alcun limite circa l’accertamento di atti, fatti e comportamenti;
esercita un sindacato esclusivo (sia per diritti soggettivi che interessi legittimi) e sindacatorio (può
estendere il processo anche ad altri soggetti non chiamati a parteciparvi).

È organizzata in sezioni regionali (a seguito del decentramento della giurisdizione contabile) e presso
ognuna opera un procuratore regionale con funzione di p.m., mentre a livello centrale tale funzione è
svolta dal procuratore generale.

Funzioni: controllo, in sede giurisdizionale, dei conti periodicamente resi da coloro che gestiscono denaro o
beni pubblici, per verificare che i movimenti in entrata ed uscita siano conformi alla legge ed alle regole
contabili, accertando il credito dell’erario per gli eventuali ammanchi. La corte dei conti ha inoltre il potere
di accertare, sempre in sede giurisdizionale, i danni cagionati allo stato o altro ente pubblico dai suoi agenti
e condannare i responsabili al risarcimento.

Funzione tipica delle corti dei conti è anche la verifica del bilancio consuntivo dello stato o di altri enti
pubblici, allo scopo di accertare il rispetto delle regole contabili e l’attendibilità del bilancio stesso,
trasmettendo in esito a tale controllo una relazione al parlamento.

La corte dei conti può, inoltre, avere funzioni amministrative di controllo, di tipo preventivo o successivo. Il
controllo preventivo si esercita sui singoli atti che danno luogo a spese o entrate, impedendone l’efficacia in
caso di illegittimità. Il controllo successivo tende, invece, ad essere incentrato, più che sui singoli atti, sulla
complessiva attività dell’organo controllato e si traduce in relazioni al parlamento, al governo o allo stesso
organo controllato. Questo tipo di controllo tende ora ad essere esteso dalla sola legalità all’efficienza o,
addirittura, all’efficacia dell’attività amministrativa.

Quanto ai soggetti controllati, oltre alle amministrazioni pubbliche la competenza della corte dei conti può
estendersi alle imprese pubbliche e ad altri enti, anche di diritto privato, che utilizzano fondi pubblici.

Il giudice tributario e Il giudice delle acque pubbliche (leggere)

Il giudice tributario

Ha la funzione di risolvere le controversie tra cittadini e amministrazione finanziaria o altri enti impositori;
tale scelta si spiega con l’esigenza di non aumentare il carico di lavoro dei giudici ordinari e amministrativi.
Il sistema attuale si articola in Commissioni tributarie provinciali (organi di primo grado) e Commissioni
tributarie regionali (organi di secondo grado).

Ogni Commissione si articola in Sezioni, ognuna delle quali composta da un presidente, un vice presidente e
da almeno 4 giudici tributari.

Il procedimento giurisdizionale è regolato dal c.p.c. Dal 1992 può sospendere l’esecuzione del
provvedimento impugnato.

In caso l’amministrazione non si adegui alla sentenza delle Commissioni tributarie passate in giudicato, è
esperibile il giudizio di ottemperanza.

Il giudice delle acque pubbliche

Il Tribunale delle Acque Pubbliche sorse come magistratura specializzata nella materia delle acque
pubbliche, con il decreto legislativo luogotenenziale 20 novembre 1916 n. 1664, al cui art. 34, venne
stabilita una competenza eterogenea relativa a controversie sulla demanialità delle acque, ai limiti dei loro
corsi, alvei e sponde, alle derivazioni ed utilizzazioni di acque pubbliche, ai ricorsi avverso i provvedimenti
definitivi adottati dall’amministrazione in materia di acque pubbliche, e simili. Venne previsto un doppio
binario tra diritti soggettivi e interessi legittimi: per i primi al fine di assicurare un doppio grado di
giurisdizione alle controversie che prima del 1916 erano attribuite ai tribunali ordinari, vennero istituiti otto
tribunali regionali ; per i secondi giudicava in un unico grado il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche,
che effettuava altresì l’appello delle decisioni dei Tribunali regionali. Nel 1933 il TU definì i Tribunali
regionali quali Sezioni della Corte di appello, di tipo specializzato, costituite da magistrati della Corte di
appello, a cui sono aggregati tre funzionari del Genio civile.

Nel 2002 la Corte costituzionale con la sentenza n. 305/2002 ha ritenuto incostituzionali gli articoli 139 e
143, comma 3 del T.U. acque in quanto non prevedono la nomina di uno o più supplenti, nell’ipotesi di
astensione di uno dei componenti titolari, e con la sentenza n. 353/2002 la Corte ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale della composizione dei tribunali regionali relativamente alla partecipazione al collegio
giudicante di uno dei tre tecnici, già funzionari del genio civile.

La competenza dei Tribunali regionali delle Acque Pubbliche in materia di diritti soggettivi sussiste anche
per le controversie relative alle acque pubbliche sotterranee e per quelle concernenti la ricerca, l’estrazione
e l’utilizzazione delle acque sotterranee nei comprensori soggetti a tutela, sempre che le controversie
interessino la pubblica amministrazione. Ai sensi dell’art. 142 T.U. acque, delle controversie intorno alla
demanialità delle acque, circa i limiti dei corsi o bacini loro alvei e sponde; controversie aventi ad oggetto
qualunque diritto relativo alle derivazioni e utilizzazioni di acqua pubblica; controversie riguardanti la
occupazione totale o parziale, permanente o temporanea di fondi e le conseguenti indennità; controversie
per risarcimenti di danni dipendenti da qualunque opera eseguita dalla pubblica amministrazione.

Il tribunale è composto da: un magistrato ordinario di qualifica corrispondente a Procuratore generale, che
lo presiede, un presidente aggiunto scelto tra i Presidenti di Sezione della stessa Corte, che sostituisce il
presidente in caso di suo impedimento; quattro consiglieri di Cassazione; quattro Consiglieri di Stato; tre
esperti, iscritti nell’albo degli ingegneri.

I Tribunali Regionali delle Acque Pubbliche sono in numero di otto ed hanno sede presso le Corti d’Appello
di Torino, Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Palermo e Cagliari.

Sulle loro decisioni decide in grado di appello il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche.

I giudici parlamentari e l’arbitrato (leggere)

I giudici parlamentari

Retti dal principio dell’autodichia (per garantire l’autonomia ed indipendenza degli organi costituzionali, per
quanto riguarda l’attività interna da essi svolta) e dalla regola della non sindacabilità, da parte della
giurisdizione ordinaria o amministrativa, degli atti emanati da tali organi.

II nuovo regolamento prevede 2 organi interni: il Consiglio di giurisdizione (competente delle controversie
di primo grado) e la Sezione giurisdizionale dell’Ufficio di Presidenza (per l’appello).

Gli organi sono composti da deputati nominati dal presidente della Camera e il procedimento è simile a
quello previsto per il giudizio amministrativo.

Organi simili sono previsti presso il Senato della Repubblica.

È stata esclusa la ricorribilità in Cassazione contro le sentenze dei giudici parlamentari ex art. 111 Cost,
poiché trattandosi di giurisdizione domestica, sarebbe assente la terzietà del giudice, e non potrebbero tali
organi essere considerati giudici speciali, se non in senso formalistico.

L’arbitrato

Dal 2000 utilizzabile anche nel settore della giustizia amministrativa. Infatti le controversie concernenti
diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediante
arbitrato rituale di diritto.

Problemi: giudice competente a dirimere le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione del lodo
arbitrale. Dovrebbe essere competenza della Corte d’Appello, ma così si rischierebbedi derogare in tema di
riparto delle giurisdizioni.

D’altra parte permangono incertezze sul tipo di situazioni soggettive cui può essere applicato l’arbitrato (es.
risarcimento del danno). Per questo è auspicabile un intervento del legislatore.

CAPITOLO III – L’AMBITO DELLA GIURISDIZIONE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO (studiare)

Il riparto di giurisdizione

Con la riforma si era presentato il problema di fissare il criterio di riparto.


Si deve considerare il petitum (che si fonda sulla pronuncia richiesta, possibile il doppio grado di tutela) o la
causa petendi (che si fonda sulla natura della posizione giuridica lesa, senza doppia tutela)? Dal 1930 venne
adottato il criterio della causa petendi, ma furono comunque necessari ulteriori criteri per individuare il
riparto:

a) Teoria della degradazione dei diritti soggettivi in interessi legittimi:

I diritti soggettivi, se colpiti da un potere amministrativo, degradano in interessi legittimi, sotto la


giurisdizione del giudice amministrativo. Ma come può un diritto soggettivo, se limitato o estinto,
“trasformarsi” in interesse? E quando si è comunque in presenza di poteri amministrativi, ma il diritto
soggettivo non è degradabile (es. perché protetto in Cost.)?

b) Teoria basata sulla distinzione tra cattivo uso del potere e carenza di potere Cattivo uso del potere:

Si tratta di interesse legittimo, di competenza del giudice amministrativo. Esistendo una norma di legge che
da alla PA il potere di emanare un atto, ci sarò solo un interesse affinché tale atto sia emanato in modo
corretto. Carenza del potere:

Si tratta di diritto soggettivo, tutelato dal giudice ordinario. Non c’è una norma che da alla PA il potere di
emanare l’atto. Non si tratta solo di carenza in astratto (es. perché non vi è la norma), ma anche in concreto
(es. per forma, procedimento, termine perentorio, presupposti).

c) Teoria che si fonda sulla distinzione tra norme di azione e norme di relazione

Le norme di azione regolano l’esercizio dei poteri della PA, e si riferiscono all’interesse legittimo. Quelle di
relazione regolano invece i rapporti tra i cittadini e la PA (e attengono dunque ai diritti soggettivi). Ma dopo
aver chiarito a che tipo di norme appartengono diritto soggettivi e interessi legittimi, come si stabilisce
quando una norma è di azione, e quando invece di relazione?

d) Teoria si basa sulla differenza tra attività discrezionale e vincolata

La prima, comprendente interessi legittimi di cognizione del giudice amministrativo, la seconda diritti
soggettivi da tutelarsi tramite giudice ordinario.

// riparto di giurisdizione

– Il punto controverso è sempre stato quello di capire se il riparto dovesse fondarsi sul criterio del petitum
ovvero della causa petendi (o petitum sostanziale).

– In base al primo criterio (petitum) il giudice competente viene individuato non già sulla base della natura
della situazione giuridica che si assume lesa, bensì in ragione del tipo di pronuncia richiesta; quindi:

o se si chiede l’annullamento dell’atto amministrativo illegittimo, il giudice competente è il giudice


amministrativo;

o se si chiede una sentenza di condanna della PA al risarcimento dei danni, il igudice competente è
il giudice ordinario.

– L’applicazione del criterio del petitum determinale seguenti conseguenze:

o Il diritto soggettivo leso può essere fatto valere come interesse legittimo attraverso la richiesta di

annullamento del provvedimento illegittimo; o Il sistema di giustizia amministrativa è in grado di offrire


una doppia tutela in quanto è possibile

alternativamente rivolgersi al giudice amm. per contestare le modalità di esercizio del potere e al
giudice civile per far valere, invece, le conseguenze patrimoniali sfavorevoli derivanti dall’esercizio

del potere amministrativo.

– In base al secondo criterio (causa petendi) la giurisdizione si radica sulla base della natura della situazione
giuridica che si assume lesa.

Se ad essere leso è un diritto soggettivo, il giudice competente è il giudice ordinario;

Se ad essere leso è un interesse legittimo, il giudice competente è il giudice amministrativo.

L’applicazione del criterio della causa petendi comporta che:

o Non vi può essere alcuna doppia tutela poiché ogni situazione giuridica soggettiva ha la tutela sua

propria, affidata ad un giudice diverso; o Ogniqualvolta il giudice travalica le proprie attribuzioni, si pone
una questione attinente alla

giurisdizione.

– Dal 1889 al 1930, si hanno due orientamenti diversi: la Cassazione che è favorevole all’applicazione del
criterio della causa petendi; la giurisprudenza amministrativa favorevole all’applicazione del petitum.

– Nel 1930, dopo un lungo conflitto giurisprudenziale, tanto il CdS quanto la Cassazione, affermarono che il
giudice competente va individuato sulla base della natura della situazione giuridica che si assume lesa.

– In seguito giurisprudenza e dottrina hanno dovuto affrontare il problema di individuare ulteriori criteri
sulla cui base qualificare una lite tra pubblica amministrazione e privato in termini di controversia
concernente la lesione di un diritto soggettivo ovvero di un interesse legittimo.

Le principali strade percorse hanno fatto leva su:

1. La teoria della degradazione dei diritti, secondo la quale i diritti soggettivi colpiti dall’esercizio delle
potestà amministrative degradano in interessi legittimi, con conseguente competenza del giudice
amministrativo e conoscere della relativa controversia.

2. La distinzione tra la carenza di potere e scorretto esercizio del potere , secondo il quale:

– si ha carenza di potere allorquando si contesta la stessa esistenza del potere amministrativo, ed in questo
caso la controversia riguarda il diritto soggettivo e la giurisdizione spetta al giudice ordinario;

– si ha scorretto esercizio del potere quando si contesta il suo illegittimo esercizio, ed in questo caso la
controversia riguarda l’interesse legittimo e la giurisdizione spetta al giudice amministrativo.

1. La distinzione tra norme di relazione e norme di azione, secondo il quale si ritiene che:

– si sia in presenza di una norma d’azione quando la relativa disciplina è volta a tutelare in via diretta un
interesse pubblico; in questo caso il privato è titolare di in interesse legittimo e dunque la controversia
appartiene al giudice amministrativo;

– si sia in presenza di una norma di relazione quando la relativa disciplina è volta a tutelare in via principale
l’interesse del privato; in questo caso il privato è titolare di un diritto soggettivo e dunque la controversia
appartiene al giudice ordinario.

1. La distinzione tra potere discrezionale e potere vincolato;

secondo un primo orientamento dottrinale vi è una tendenziale equivalenza tra attività unilaterale della PA
ed esercizio delle potestà amministrative;
un diverso orientamento dottrinale ritiene invece che di esercizio del potere da parte della pubblica
amministrazione si possa parlare soltanto nell’ipotesi in cui la relativa attività abbia carattere discrezionale.

Secondo l’impostazione dottrinale, a fronte dell’attività vincolata, il privato vanti diritti soggettivi, quindi la
competenza a giudicare della lesione della posizione del privato spetta al giudice ordinario; a fronte
dell’attività discrezionale, il privato vanta interessi legittimi, quindi la competenza a giudicare spetta al
giudice amministrativo.

La giurisprudenza, invece, annette rilevanza alla distinzione tra attività discrezionale e vincolata ai fini del
riparto di giurisdizione soprattutto in relazione ad alcune fattispecie, quali in particolare il potere della PA di
imporre prestazioni patrimoniali a privati (potere impositivo), le obbligazioni pubbliche aventi ad oggetto
somme di denaro erogate a vario titolo in favore dei privati, la materia dell’iscrizione agli albi professionali;
in questi casi viene riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario.

5. La qualificazione d alcuni atti amministrativi come atti dichiarativi o meramente ricognitivi.

Le situazioni giuridiche soggettive del privato

Le situazioni giuridiche soggettive sono il diritto soggettivo e l’interesse legittimo, come ricavato dagli artt.
113,24 e 103 della costituzione, nonché da fonti di livello legislativo anteriori alla stessa come la legge
abolitiva del contenzioso amministrativo e la legge istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato.

il primo dei due articoli stabilisce che sono devolute alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per
contravvenzione e tutte le cause nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico comunque vi
possa essere interessata la pubblica amministrazione (dove per diritto politico civile è da intendersi
qualsiasi diritto soggettivo). Il secondo stabilisce che spetta al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
decidere sui ricorsi per incompetenza, eccesso di potere o per violazione di legge contro atti e
provvedimenti di un’autorità amministrativa, che abbiano per oggetto un interesse di individui o di enti
morali e giuridici (interesse che verrà poi definito interesse legittimo).si è posta dunque la questione di
definire le caratteristiche dell’interesse legittimo, di individuarne l’oggetto e le forme e modi di protezione.
Si è posta inoltre la questione di capire quando il privato possa vantare nei confronti della pubblica
amministrazione un diritto soggettivo o un interesse legittimo, e definire il criterio in base al quale
individuare il giudice competente. Soprattutto nella dottrina meno recente si è talvolta negata all’interesse
legittimo natura di situazione giuridica soggettiva, soprattutto perché alla fine dell’800 l’unica situazione
giuridica soggettiva ammissibile era il diritto soggettivo, e ciò comportava che l’interesse legittimo venisse
considerato un mero potere di reazione nei confronti del provvedimento illegittimo idoneo a legittimare la
proposizione del ricorso giurisdizionale da parte del privato. Tale impostazione non è però seguita dalla
dottrina più recente, soprattutto perché la costituzione colloca l’interesse legittimo a fianco del diritto
soggettivo.

La situazione giuridica soggettiva è la concreta situazione in cui è collocato o di cui è titolare un soggetto
dall’ordinamento con riferimento al bene che costituisce oggetto dell’interesse. Tali situazioni sono:

– Diritto soggettivo, situazione giuridica di vantaggia nella quale la legge attribuisce ad un soggetto la
possibilità di realizzare il proprio interesse indipendentemente dalla soddisfazione dell’interesse pubblico.
E’ tutelato in via assoluta e non mediata. Può essere definito anche situazione giuridica di immunità dal
potere.

– Interesse legittimo, rappresenta la situazione soggettiva tipica che si evidenzia ogni volta che viene
esercitato un provvedimento. Rappresenta la pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa. E’ definita
come una situazione soggettiva di vantaggio costituita dalla protezione giuridica di interessi finali che si
attua non in via diretta e immediata ma attraverso la protezione di un altro interesse del soggetto
strumentale alla legittimità dell’atto amministrativo. Il soggetto deve sperare che dall’esercizio del potere
amministrativo si arrivi alla propria soddisfazione.

Il soggetto ha comunque dei poteri giuridici che lo tutelano e che sono:

• Poteri strumentali, nel procedimento amministrativo si può inserire il soggetto attraverso poteri di
partecipazione e quindi orientare l’ Amministrazione. Sono costituiti dalla partecipazione,
consultazione di atti, presentazione di memorie. L’ Amministrazione deve tener conto di quelle che
sono le esigenze del soggetto privato e se vuole disattenderle, deve motivare tale scelta.

• Poteri di reazione, riguardano la possibilità del soggetto di reagire contro le determinazioni dell’
Amministrazione attraverso ricorsi amministrativi o giurisdizionali.

L’interesse legittimo può essere:

– Pretensivo, il privato pretende qualcosa dall’ Amministrazione. Esempio: concorso pubblico

– Oppositivo, il soggetto privato si oppone all’esercizio di un potere. Esempio: Esproprio

L’interesse legittimo è così caratterizzato:

1. è una situazione soggettiva correlata al potere discrezionale della PA (se c’è potere vincolato di
solito c’è diritto soggettivo);

2. il potere discrezionale è esercitato attraverso una scelta (il privato non ha diritto a che il potere
venga esercitato nella direzione da lui voluta);

3. l’interesse legittimo può essere soddisfatto dalla PA solo con un atto legittimo;

1. la situazione giuridica attiva la cui soddisfazione è rimessa a un comportamento altrui non è


esclusiva del diritto amministrativo (es: anche nel diritto di credito; solo che in tal caso al
diritto corrisponde un dovere e non un potere);

2. si distingue tra interessi legittimi oppositivi (privato vuole conservare uno stato di cose
contro un provvedimento amministrativo che può alterarlo) o pretensivi (il privato aspira a
un atto capace di produrre lo stato di cose desiderato);

3. un tempo si diceva che il diritto soggettivo fosse tutelato col risarcimento, mentre
l’interesse legittimo con l’annullamento. Con la recente previsione normativa ciò non vale
più: risarcibilità degli interessi legittimi;

4. per effetto del numero 6, le distinzione tra interesse legittimo e diritto soggettivo è più
fragile;

1. interesse legittimo = interesse a che l’autorità amministrativa eserciti il suo potere


in modo da soddisfare l’interesse stesso, o lasciando inalterato lo stato di cose in
atto o modificandolo: interesse che è tutelato nella misura in cui la sua
soddisfazione si realizzi con un provvedimento legittimo. L’interesse è tutalto prima
che il provvedimento venga preso, con i diritti di partecipazione al procedimento
amministrativo, e dopo che il provvedimento è adottato, in senso sfavorevole al
titolare dell’interesse, con il potere di reazione in via giurisdizionale o
amministrativa.
L’interesse legittimo quale situazione correlata alla potestà

Esistono in dottrina vari orientamenti circa la definizione di interesse legittimo:

1) Situazione giuridica soggettiva utilizzabile a fini di tutela nei confronti dell’esercizio delle potestà della
PA. La potestà della PA può portare a 2 effetti, limitativi o ampliativi. Gli interessi legittimi possono essere
sacrificati, invece se ci sono diritti soggettivi questi non possono essere potestà della PA.

2) Può essere oppositivo (la potestà della PA è sacrificativa) o pretensivo (la potestà è ampliativa).

In questo caso è una situazione giuridica soggettiva attiva che fronteggia un’altra situazione soggettiva
attiva costituita dalla potestà amministrativa

3) Come pretesa alla legittimità del provvedimento amministrativo. L’interesse è una situazione soggettiva
di vantaggio riconosciuta al privato avente carattere strumentale(perché comporta l’eventuale ed indiretta
tutela dell’interesse finale)

4) La legittimità dell’azione amministrativa rappresenta il limite della protezione che l’ordinamento


giuridico riconosce all’interesse legittimo (ma il limite alla protezione non può trasformarsi nell’oggetto
della protezione.)

5) Posizione di vantaggio data ad un soggetto dell’ordinamento in ordine ad un interesse ad un bene della


vita oggetto di potere amministrativo. La differenza tra diritti soggettivi ed interessi legittimi starebbe solo
nel grado della tutela.

6) Interesse consistente nella possibilità di conservare o di acquisire un bene della vita. Il bene della vita è
diverso dall’interesse finale, è infatti una semplice chance.

L’interesse legittimo ed il suo oggetto: orientamenti recenti

Se lo spazio entro cui si colloca l’interesse legittimo è quello rappresentato dai limiti posti normativamente
all’esercizio delle potestà amministrative, se i limiti non sono violati tali potestà sono esercitate in modo
legittimo, e legittimo è l’eventuale sacrificio degli interessi finali del privato; se però tali limiti risultano
violati, le potestà amministrative risultano esercitati in modo illegittimo e dunque non era tollerabile
l’eventuale sacrificio. L’interesse legittimo è dunque la pretesa alla legittimità del provvedimento
amministrativo, dunque una situazione giuridica soggettiva di vantaggio riconosciuta al privato che ha
carattere strumentale in quanto comporta l’eventuale ed indiretta tutela dell’interesse finale.

Non vi è ancora oggi accordo in dottrina sulla definizione dell’interesse legittimo, e soprattutto sull’oggetto
e sull’interesse tutelato: in ogni caso deve esistere un rapporto di reciproca corrispondenza tra lesione
dell’oggetto e bisogno di tutela: nella teoria che identifica l’oggetto dell’interesse legittimo con la pretesa al
corretto esercizio del potere amministrativo, tale rapporto non è poi di piena corrispondenza. Se in dottrina
vi sono divergenze sulla definizione dell’interesse legittimo, vi è invece consenso per i poteri che sono
propri di tale situazione giuridica soggettiva, e che possono essere esercitati dal titolare a fini di tutela:
poteri di partecipazione al procedimento amministrativo, potere di esperire i ricorsi amministrativi, potere
di proporre ricorso in sede giurisdizionale. è invece dibattuto il problema del modo di individuazione
dell’interesse legittimo, ossia di capire quali tra i tanti interessi che l’esercizio delle potestà amministrative
può toccare, assuma tale qualità: innanzitutto si può individuare un interesse legittimo quando vi è una
base normativa, ma tale operazione non è sempre agevole.
Il problema della risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione dell’interesse legittimo sino alla sentenza
delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n.500/1999

Cassazione sent.500/1999: pronuncia in sede di regolamento di giurisdizione. La Corte recepisce


l’orientamento della dottrina circa l’art.2043 c.c. E’ data una diversa lettura di “danno ingiusto”, ora
pregiudizio non giustificato recato ad un interesse giuridicamente rilevante (indipendentemente da quale).

– È il giudice che dovrà selezionare gli interessi rilevanti comparando l’interesse del danneggiato e quello
perseguito con la condotta lesiva. Quindi occorre in questo caso valutare l’esistenza di un’azione illegittima
e colpevole della PA dalla quale derivi la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse
legittimo è preordinato. Sino a pochi anni addietro la sentenza, gli interessi legittimi o, per meglio dire, i
danni derivanti dalla loro lesione non erano considerati risarcibili.

– Vi era una sostanziale sorta di immunità della PA nei confronti dei danni arrecati al privato nello
svolgimento illegittimo della propria funzione.

– Se il privato vantava un interesse legittimo oppositivo collegato ad un interesse finale avente la


consistenza di diritto soggettivo, poteva aspirare quantomeno ad una tutela risarcitoria del diritto
soggettivo dopo l’annullamento del provvedimento illegittimo; se il privato vantava, a fronte dell’esercizio
delle potestà amministrative, un interesse legittimo pretensivo, collegato ad un interesse finale non avente
la consistenza di un diritto soggettivo, non poteva aspirare ad alcun risarcimento dei danni subiti a seguito
dell’illegittimo o tardivo esercizio delle potestà medesime.

– Vi sono altri fattori che hanno concorso a mettere in crisi l’orientamento tradizionale della Cassazione e a
favorire la svolta compiuta con la sentenza.

– Infatti, a partire dagli anni 60, raggiunto l’obiettivo che nei rapporti tra privati vengono risarciti sia danni
derivanti dalla lesione di un diritto soggettivo, sia danni derivanti dalla lesione di un interesse non avente la
consistenza di un diritto soggettivo, nei rapporti tra privati e PA l’interesse legittimo, che è certamente una
situazione giuridica soggettiva con una tutela minore di quella accordata al diritto soggettivo, finiva per
valere meno ai fini della tutela risarcitoria di interessi che trovavano nei rapporti tra privati la predetta
tutela.

– Importante è anche l’ordinamento comunitario, per il quale vige il principio che la Comunità deve
risarcire i danni arrecati dalle sue istituzioni nell’esercizio delle loro funzioni.

– Importante è anche il d.lgs. 80/1998, con il quale sono state ampliate le materie di giurisdizione esclusiva
(facendovi rientrare i servizi pubblici, l’urbanistica e l’edilizia), ed è stata prevista la possibilità per il giudice
amministrativo di condannare in sede di giurisdizione esclusiva l’amministrazione al risarcimento del danno
ingiusto.

– La sent.Cass. 500, nell’aprire alla risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione dell’interesse legittimo, ha
affrontato ed offerto soluzioni alle molte questioni sia di ordine sostanziale sia di ordine processuale.
Riguardo alle questioni processuali, nella sentenza i giudici avevano posto due regole molto chiare:

1. Il giudice competente a risolvere le controversie in tema di risarcimento dei danni derivanti dalla
lesione dell’interesse legittimo era stato individuato nel giudice ordinario con la sola eccezione
delle controversie rientranti nelle materie di giurisdizione esclusiva spettanti al giudice
amministrativo;

2. Il rapporto tra l’azione di annullamento del provvedimento illegittimo e l’azione risarcitoria, le quali
potevano essere proposte alternativamente ovvero pendere contemporaneamente, l’una dinanzi al
giudice amministrativo, l’altra dinanzi al giudice ordinario;
Ciò evitava al privato di doversi sobbarcare l’onere di due processi dinanzi a giudici diversi. Riguardo
le questioni sostanziali:

1. Esplicito abbandono da parte dei giudici della necessaria correlazione tra danno ingiusto e lesione
del diritto soggettivo;

la Cassazione quindi riconosce che non vi è alcun argomento da cui si possa desumere l’applicabilità della
disciplina soltanto ai danni derivanti dalla lesione del diritto soggettivo.

1. Esplicito abbandono della tesi della tipicità della fattispecie;

la Cassazione afferma quindi che la locuzione danno ingiusto non va correlata ad una situazione giuridica
soggettiva tipizzata in altra norma: essa va invece interpretata come una clausola generale che offre
protezione nei confronti dei danni arrecati anche da interessi che, pur non essendo riconosciuti da altra
norma in termini di situazioni giuridiche soggettive, tuttavia appaiono meritevoli di tutela e protezione da
parte dell’ordinamento giuridico, la cui selezione spetta al giudice attraverso un giudizio di comparazione
degli interessi in conflitto.

Dunque a giudizio della Cassazione l’illecito disciplinato dall’art. 2043 c.c. non è tipico, bensì atipico, nel
senso che esso non offre protezione soltanto nell’ipotesi di danni derivanti dalla lesione del diritto
soggettivo (che in quanto tale è riconosciuto e tipizzato in altra norma) ma anche ad interessi non aventi la
consistenza di diritto soggettivo (e dunque non tipizzati da altra norma);

Quindi l’art. 2043 non è norma secondaria, ma norma primaria.

– La Cassazione fa propria una particolare teoria dell’interesse legittimo, ossia quella teoria che individua
l’oggetto dell’interesse legittimo nell’interesse al bene della vita.

In tale circostanza, mentre la lesione dell’interesse legittimo oppositivo da parte di un provvedimento


riconosciuto illegittimo è condizione necessaria e sufficiente per ottenere il risarcimento dei danni patiti,
viceversa la lesione dell’interesse legittimo pretensivo è una condizione necessaria ma non sufficiente ai fini
del risarcimento del danno.

Quindi in quest’ultimo caso, ai fini del risarcimento del danno, il giudice non dovrà limitarsi ad accertare
l’illegittimità del provvedimento di diniego ma dovrà anche, per mezzo di un giudizio che viene definito
prognostico, verificare se al titolare dell’interesse legittimo spettasse l’adozione del suddetto
provvedimento.

– La Corte di Cassazione ha inoltre stabilito: che è necessario dimostrare la colpa dell’apparato (in
riferimento alla pubblica amministrazione), la quale consiste nella violazione delle regole di imparzialità,
correttezza e buona amministrazione.

La risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione dell’interesse legittimo nell’attuale quadro normativo e
giurisprudenziale

– Pregiudizialità dell’atto: ovvero subordinazione dell’azione risarcitoria all’azione di annullamento.

– Con la legge 205/2000, il giudice amministrativo acquisisce anche il potere di risarcimento del danno.

– Inoltre abbiamo la sentenza 204/2004, con la quale la Corte Costituzionale stabilisce che quando si ha un
danno nei confronti dell’interesse legittimo, il giudice competente è il giudice amministrativo, cioè colui che
si occupa del risarcimento del danno.
– La giurisprudenza del giudice amministrativo ha inoltre confermato la posizione assunta dalla Cassazione
nel 1999 in merito al giudizio prognostico volto a verificare la spettanza del bene della vita come condizione
per la tutela risarcitoria degli interessi legittimi pretensivi.

– Art. 2 bis della legge 241/1990, stabilisce che il danno da ritardo deve essere risarcito; quindi la pretesa
risarcitoria può scaturire non solo da un provvedimento illegittimo, ma anche dal silenzio della pubblica
amministrazione.

– Introduzione dell’istituto dell’errore scusabile, che sussiste quando abbiamo:

o Incertezza della normativa;

o Novità della normativa;

o Non collaborazione del privato;

o Contrasto giurisprudenziale. Inoltre il giudice amministrativo, oltre a poter condannare l’amministrazione


al pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento per equivalente, dispone, per la riparazione
del danno, dell’ulteriore strumento della reintegrazione

La giurisdizione esclusiva e il riparto per materie

In presenza della giurisdizione esclusiva il nostro sistema di giustizia amministrativa, da dualista torna ad
essere monista: infatti in sede di giurisdizione esclusiva il giudice amministrativo è competente a giudicare
sia della lesione dell’interesse legittimo sia della lesione del diritto soggettivo. Al criterio della causa
petendi si sostituisce quello basato sulle materie (ex art.103 Cost.).La giurisdizione esclusiva pone due
ordini di problemi: la costituzione parla di particolari materie e si è posta il problema se esista un limite
quantitativo all’espansione di tale giurisdizione; inoltre vi è il problema dei criteri sulla cui base andare a
scegliere le materie indicate dalle legislatore. Per prima cosa non sarebbe legittimo eliminare del tutto ogni
competenza del giudice ordinario rispetto alla tutela di diritti soggettivi, e ci si rende conto di come sia
un’operazione difficile delimitare con esattezza le materie. Entrambe le questioni sono state affrontate
dalla corte costituzionale nel 2004, la quale ha chiarito che l’art. 103 Cost. non ha conferito legislatore
ordinario un’assoluta ed incondizionata discrezionalità nell’attribuzione al giudice amministrativo di
materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma io conferito un potere che deve considerare la natura
delle situazioni soggettive coinvolte e non fondarsi esclusivamente sul dato oggettivo delle materie.

CAPITOLO IV – LE FORME DELLA GIURISDIZIONE

La giurisdizione generale di legittimità

La giurisdizione generale di legittimità è limitata quanto ai poteri di cognizione, all’accertamento dei soli 3
vizi di incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge.

Non si mirava a verificare la lesione della situazione giuridica soggettiva, ma oggetto dell’accertamento era
l’atto amministrativo e la sua eventuale illegittimità. Lo scopo è l’annullamento dell’atto (la situazione
giuridica è tutelata solo in via indiretta).

La cognizione non poteva estendersi né alle valutazioni di opportunità della PA, né su quelle tecniche.

Era precluso inoltre il giudizio sul fatto: si doveva sì accertare l’esistenza di questo, ma poi il giudice non
poteva

sindacare su quest’ultimo. Le valutazioni riconducibili alla sfera della discrezionalità amministrativa erano
insindacabili.
La giurisdizione generale di legittimità è limitata quanto ai poteri istruttori:

Inizialmente vi era un limitatissimo numero di mezzi di prova (solo le prove documentali) poi ampliati (dal
2000 anche la consulenza tecnica), ma in ogni caso rimangono esclusi la prova per i testimoni, il giuramento
e la confessione.

La giurisdizione generale di legittimità è limitata quanto al potere di decisione:

anche se in contrasto con la normativa comunitaria, che pretende la pienezza della tutela, il giudice
amministrativo può solo annullare l’atto illegittimo, ma non riformarlo o sostituirlo (come invece accade
nella giurisdizione di merito). Non può inoltre pronunciare sentenze dichiarative o di condanna (come
invece accade nella giurisdizione esclusiva), anche se ciò è stato in parte superato nel 2000 con la possibilità
da parte del giudice amministrativo di risarcire i danni da lesione di interessi legittimi. Sono
tradizionalmente individuabili tre forme di giurisdizione:

1. Giurisdizione generale di legittimità

2. Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo

3. Giurisdizione di merito.

Cosa si intende per giurisdizione? Questo termine viene utilizzato con due diversi significati:

– sotto un primo profilo per giurisdizione si intende l’ambito delle competenze o meglio l’ambito delle
controversie affidate al giudice ordinario e al giudice amministrativo (che in primo grado è il T.A.R., e in
secondo grado il Consiglio di Stato).

– Sotto un diverso profilo, quando si utilizza l’espressione “giurisdizione” si fa anche riferimento a quell’
insieme di poteri assegnati all’autorità giudiziaria adita.

In sede di giurisdizione amministrativa, sono distinguibili tre poteri:

1. Poteri istruttori del g.a.

2. Poteri decisori del g.a .

3. Poteri cautelari.

Giurisdizione generale di legittimità

Forma di giurisdizione amministrativa in cui il g.a. conosce delle lesioni dell’interesse legittimo attraverso
un sindacato di legittimità sull’atto amministrativo. In concreto vuol dire che al g. a viene portato un
provvedimento amministrativo e gli si chiede di valutarne la legittimità. Sappiamo che i 3 vizi di legittimità
rilevanti nel nostro ambito sono: eccesso di potere (le figure sintomatiche dell’eccesso di potere sono: la
contraddittorietà interna, il travisamento del fatto, la violazione del principio di proporzionalità, la
violazione di circolari, ecc.), incompetenza e violazione di legge.

Riguardo alla seconda nozione di giurisdizione, fino al 2000 i poteri istruttori di cui godeva il g.a. erano solo
3 cioè poteva:

– Acquisire i documenti dall’amministrazione

– Chiedere i chiarimenti o schiarimenti

– Disporre verificazioni( ossia ispezioni che compie lo stesso personale dell’amministrazione cioè la stessa
amministrazione da cui proviene questo provvedimento che effettua le verificazioni).
In seguito la L. 205/2000 ha introdotto tra i poteri istruttori del g.a la CTU cioè la consulenza tecnica di
ufficio.

Il tipico potere decisorio nelle mani del giudice amministrativo è il potere di annullamento; Fino al 2000
questo era l’unico potere decisorio a disposizione del giudice: infatti, la l. 205/2000 ha introdotto
un’ulteriore potere decisorio e cioè il potere di condanna di risarcimento del danno.

Riguardo ai poteri cautelari:

la tutela cautelare serve ad anticipare in via provvisoria gli effetti che potrebbe produrre la decisione nel
merito; quindi se dalla sentenza finale voglio ottenere l’annullamento, allora posso chiedere in via cautelare
la sospensiva, cioè posso chiedere che l’efficacia di questo provvedimento venga sospesa fino alla
conclusione dl giudizio di merito.

Con la legge 205/2000 anche per la misura cautelare c’è stata un’estensione. Oggi non si è più di fronte a
una misura cautelare tipica( unica e sola) ma si è di fronte a un principio di atipicità delle misure cautelari,
cioè io posso chiedere al g.a. qualunque misura sia idonea ad assicurare interinalmente gli effetti della
decisione sul ricorso.

Si ricorda che il giudice amministrativo giudica in sede di giurisdizione generale di legittimità quando si
lamenta la lesione di un interesse legittimo.

Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo

E’ quella forme di giurisdizione amministrativa (speciale) in cui al giudice amministrativo viene chiesto di
conoscere in via principale non solo delle lesioni dell’interesse legittimo, base propria della giurisdizione
generale di legittimità, ma anche delle lesioni del diritto soggettivo quindi conosce qualunque lesione
riguardante determinate materie, come la materia dei pubblici servizi oppure la materia dell’urbanistica e
dell’edilizia.

Nell’ambito dei poteri istruttori il giudice amministrativo dispone di tutti i poteri istruttori previsti dal c.p.c.
ad esclusione dell’interrogatorio formale e del giuramento.

Riguardo ai poteri cautelari, a partire dal 2000 legislativamente, in tutti gli ambiti, sia che so tratti di
giurisdizione generale di legittimità sia che si tratti si giurisdizione esclusiva, il g.a. dispone di una misura
cautelare atipica.

Riguardo ai poteri decisori, in sede di giurisdizione esclusiva, il giudice amministrativo dispone di questo
potere perché questo è un potere che il g.a. ha sempre, sia che si tratti di una giurisdizione generale di
legittimità sia che si tratti di una giurisdizione esclusiva sia che si tratti, vedremo, di giurisdizione di merito.

Inoltre, con la legge 205, il g.a. dispone in tutti gli ambiti del potere di condannare la PA al risarcimento del
danno.

La giurisdizione di merito

Storicamente si tratta della prima forma di giustizia amministrativa. Con la legge abolitiva del contenzioso
amministrativo, alcune funzioni a questo appartenenti erano state “salvate” e affidate alla giurisdizione
propria del Consiglio di Stato (qui vera e propria giurisdizione di merito), a differenza della giurisdizione
ritenuta del Sovrano dove il Consiglio di Stato partecipava solo come organo consultivo (giurisdizione solo
di legittimità). Caratteri -> -Eccezionale:

Ammessa in deroga al principio del solo sindacato di legittimità -Tassativa:


Attuabile solo nei casi previsti dalla legge -Aggiuntiva:

Non esclude, ma si aggiunge alla giurisdizione di legittimità (il giudice amministrativo pronuncia anche sul
merito) Al giudice sono demandati maggiori poteri, sia istruttori che decisori (ampliamento della
cognizione) -Istruttori:

Tutti i poteri del giudice civile, purché compatibili con il tipo di giudizio

-Decisori:

Il giudice può:

-annullare l’atto per motivi di legittimità

-riformarlo in tutto o in parte

-sostituirlo con un atto da esso stesso formulato

-condannare la PA soccombente al pagamento delle spese di giudizio.

Ad eccezione del giudizio di ottemperanza, oggi la giurisdizione di merito è quasi dimenticata, a favore della
giurisdizione di legittimità (forse per il principio “psicologico” della separazione dei poteri?)

È quella forma in cui il giudice amministrativo va a sindacare il merito dell’azione amministrativa se vi sia
espressa previsione normativa.

Il caso tipico di giurisdizione di merito è il cosiddetto giudizio di ottemperanza.

Il giudice amministrativo, in sede di giurisdizione di merito, è in grado di sostituirsi alla p.a.; gode dei più
ampi poteri decisori: il g.a. si pone al posto della p.a. e decide per es. anziché annullare il provvedimento
amministrativo decide di modificarlo; di conseguenza si estenderà anche al massimo la sfera del potere
istruttorio.

Vediamo cos’è il giudizio di ottemperanza: questo giudizio interviene dopo un giudicato amministrativo,
cioè dopo che sia stata pronunciata la sentenza. Quando una sentenza amministrativa di annullamento
viene pronunciata a questa sentenza si ricollegano 3 effetti:

1. effetto cassatorio ( la sentenza di annullamento elimina il provvedimento amministrativo dal


mondo giuridico);

2. effetto ripristinatorio (la sentenza con effetti ex tunc porta al ripristino della situazione quo antea);

1. effetto conformativo ( quando il g.a. annulla un provvedimento amministrativo, quindi lo


elimina, ripristina la situazione quo ante, l’amministrazione, nella successiva riedizione del
provvedimento, dovrà necessariamente conformarsi al giudicato, non può adottare un
provvedimento identico).

Con la sentenza 204/2004 e 191/2006, la Corte Costituzionale si è pronunciata sul tema del criterio di
riparto della giurisdizione e ha detto: ” il criterio di riparto è quello fondato sulla causa petendi cioè su
quella che è la situazione giuridica soggettiva di cui si lamenta la lesione ( se è diritto soggettivo g.o., se è
interesse legittimo g.a.)”.

Inoltre ha detto che perché si possa parlare di un’ipotesi di giurisdizione esclusiva si devono considerare
due subcriteri:

1. è necessario che in quella materia che si attribuisce alla giurisdizione esclusiva sussiste il cosiddetto
intreccio tra diritto soggettivo ed interesse legittimo;
2. è necessario che in quegli atti l’amministrazione eserciti potere.

La giurisdizione esclusiva (nel suo assetto tradizionale)

Non si tratta di una terza specie di giurisdizione rispetto a quella di legittimità e di merito. Qui il giudice
infatti pronuncia ora come giudice di merito, ora come giudice di legittimità. Non si tratta nemmeno di un
tertium genus rispetto al giudice amministrativo o al giudice ordinario.

L’istituzione della giurisdizione esclusiva è da ricercare in quelle situazioni in cui i diritti soggettivi e gli
interessi legittimi sono così legato tra loro da non riuscire a distinguerli. E si rischierebbe quindi che il
privato si rivolga al giudice amministrativo e al giudice ordinario insieme per ottenere una tutela completa.

Ma poi vi sarebbe il rischio di ottenere pronunce discordanti, con un elevato dispendio di energie.

Ci si rivolge al giudice amministrativo con la giurisdizione esclusiva in modo da avere un giudice


tecnicamente preparato.

Ma, essendo nel giudizio amministrativo preferita la giurisdizione di legittimità, si finisce con il privare i
diritti soggettivi della tutela della cognizione piena, propria della giurisdizione di merito. La Corte Cost ha
tentato di risolvere il problema ampliando i poteri cautelari e probatori, ma in ogni caso la disparità di
trattamento permane.

Le materie devolute alla giurisdizione esclusiva

L’ambito della giurisdizione esclusiva si è determinato per successive stratificazioni legislative: il nocciolo
originario vedeva la coincidenza della giurisdizione di merito con quella esclusiva, con l’unica eccezione dei
ricorsi relativi alla rapporto di pubblico impiego. Tuttavia anche tale materia di giurisdizione esclusiva è
venuta a perdere gran parte della sua importanza in seguito alla privatizzazione dei rapporti di lavoro con le
pubbliche amministrazioni, in base alle quali le controversie sono state restituite alla giurisdizione del
giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro.

Rimangono le sole controversie relative ad alcune categorie di pubblici dipendenti: magistrati ordinari,
amministrativi e contabili, avvocati e procuratori dello Stato, personale diplomatico e docenti universitari.
Del nucleo originario delle attribuzioni della giurisdizione esclusiva rimane ben poco, ma a quel corpo si
sono aggiunte numerose materie e rapporti, come quelle per le controversie relative alle concessioni di
beni e servizi, relativa ai servizi pubblici o relativi all’applicazione di una clausola contrattuale. Notevole
importanza rivestono i ricorsi contro provvedimenti emanati dall’autorità garante della con urgenza e del
mercato, le controversie in materia di contratti di beni e servizi stipulati dalle amministrazioni pubbliche, i
ricorsi contro le sanzioni dell’autorità della vigilanza sui lavori pubblici, i ricorsi contro gli atti delle autorità
di regolazione dei servizi di pubblica utilità, i ricorsi contro gli atti dell’autorità per le garanzie nelle
comunicazioni e le controversie aventi ad oggetto atti del comitato olimpico nazionale italiano o delle
federazioni sportive.

Accanto a tali materie espressamente indicate dal legislatore si aggiungono poi altre come i ricorsi contro il
rilascio o il diniego di autorizzazioni per il commercio, delle controversie relative all’autorizzazione alla
vendita dei beni delle imprese sottoposte ad amministrazione straordinaria.

Gli attuali confini della giurisdizione esclusiva

E’ stato da sempre un vivace dibattito sulla portata concreta degli ambiti propri della giurisdizione
esclusiva, in quanto nozioni come pubblico impiego e uso del territorio hanno dato luogo a numerosi
conflitti di giurisdizione, soprattutto tra le posizioni assunte dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e
della cassazione. Per cercare di calmare contrasti il legislatore ha precisato che sono devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative procedure di affidamento
dei lavori servizi e forniture indipendentemente dalla materia dei servizi pubblici.

Le stesse difficoltà sono nate relativamente alla materia urbanistica ed edilizia. Tali difficoltà sono state
recentemente esaminate dalla corte costituzionale che ha ridisegnato e ridotto l’ambito della giurisdizione
esclusiva, precisando che la particolarità delle materie devolute a tale giurisdizione implica che tali materie
devono partecipare della stessa natura e quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità. Tale
soluzione è stata accolta indottrina con molte critiche, soprattutto a causa dell’intervento manipolativo
della corte.

I poteri di piena giurisdizione del giudice esclusivo

Grazie al consistente ampliamento dei poteri istruttori del giudice amministrativo sono stati ammessi tutti i
mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile, nonché dalla consulenza tecnica, esclusi
l’interrogatorio formale ed il giuramento. Il giudice così fornito di strumenti idonei ad assicurare un
effettivo sindacato sul fatto. Anche il Consiglio di Stato riconosce la sussistenza di un nesso di strumentalità
necessaria all’ampliamento dei mezzi di prova nella pienezza della cognizione del fatto, e questo
ampliamento della cognizione del giudice è strumentale alla funzione propria del giudizio di giurisdizione
piena la cui funzione è quella di assicurare la reintegrazione, anche in forma specifica, delle situazioni
giuridiche soggettive di cui il ricorrente assume la lesione.

Si sono inoltre superati i limiti posti ai poteri di decisione del giudice amministrativo, consentendo al
giudice di disporre una condanna alla reintegrazione anche in forma specifica e quindi una condanna
l’amministrazione ad un dare, facere e praestare specifico: non ci si limita più all’eliminazione dell’atto
illegittimo, ma si estende la decisione alla reintegrazione delle conseguenze dannose dell’atto, in quanto
comprensiva del potere di disporre il risarcimento del danno ingiusto.

La legge n. 205/2000 e le prospettive di unificazione delle diverse giurisdizioni nell’unico modello


processuale della giurisdizione piena

Le trasformazioni apportate da tale legge alla tradizionale giurisdizione generale di legittimità lasciano
intravedere prospettive di unificazione delle diverse giurisdizioni. Secondo la prospettiva della giurisdizione
piena il giudice della giurisdizione piena non può non conoscere in via principale dell’atto dei pubblici poteri
da cui origina la lesione: anche nell’esaminare un provvedimento amministrativo dovrà essere il giudice
della rapporto che dovrà valutare la legittimità dell’atto non in astratto ma con specifico riferimento alla
pretesa sostanziale fatta valere in giudizio dalla ricorrente e alla sua fondatezza.

In possibilità di configurare un’azione di annullamento autonoma distinta dalla tutela risarcitoria offerta
dalla ricorso di piena giurisdizione costituisce il principale e persistente tratto di discriminazione più netta
tra la tutela offerta in sede di giurisdizione esclusiva e quella che invece azionabile davanti alla giurisdizione
generale. Tale tratto differenziale si fonda più su limiti derivanti da un’interpretazione letterale delle norme
che non su una corretta interpretazione della ratio che ha ispirato il legislatore: per questo si ritiene che
tale tratto differenziale verrà primo puoi fatto cadere.

CAPITOLO V – LA COMPETENZA (leggere)

I criteri generali di distribuzione della competenza (leggere)

Cos’è la competenza? È la sfera di poteri e facoltà attribuita ad un organo. È attribuita in base a grado e
territorio.
La competenza per grado

Prima vi era un unico grado, il Consiglio di Stato. Dal 1971 i gradi sono 2: il TAR di primo grado, e il Consiglio
di Stato di secondo. L’unica eccezione è data dal giudizio di ottemperanza, dove il Consiglio di Stato è
giudice di unico grado.

La competenza territoriale

La lite deve essere proposta davanti al TAR nella cui circoscrizione ha sede l’autorità che ha emanato l’atto
impugnato, quando la legge non disponga altrimenti.

Si è voluto evitare l’indiscriminato ricorso ai criteri del c.p.c., perché altrimenti i ricorsi contro lo Stato o gli
enti pubblici nazionali si sarebbero tutti concentrati davanti al TAR del Lazio.

Quindi il criterio aggiuntivo (e prevalente) è quello dell’efficacia territoriale dell’atto impugnato (effetti
immediati ed indiretti).

Criteri derogatori: il foro speciale del pubblico impiego

Fa eccezione il foro speciale del pubblico impiego.

Ciascun TAR è competente a conoscere dei ricorsi contro atti relativi a pubblici dipendenti in servizio, alla
data di emanazione dell’atto, presso uffici aventi sede nella circoscrizione di quel TAR.

Connessione, litispendenza e continenza di cause

Nel caso di connessione tra più cause, non vi è alcuna legge che disciplini tale ipotesi. La giurisprudenza ha
accolto un unico caso, quello cioè in cui l’impugnazione investa l’atto presupposto e l’atto applicativo. In
questo caso la competenza è del giudice dell’atto presupposto.

In caso di litispendenza, vi è analogia con l’art.39 primo comma c.p.c. Necessario che vi siano gli stessi
soggetti, lo stesso petitum e la stessa causa petendi.

Se vi è continenza (stessi soggetti, stessa causa petendi ma diverso petitum), non si può applicare la
normativa del c.p.c. perché in diritto amministrativo si ritiene non contemplabile come ipotesi (gli atti
amministrativi sono di solito troppo diversi tra loro)

Competenza derogabile e competenza funzionale

La competenza territoriale è derogabile, mai rilevabile d’ufficio ma solo dalle parti tramite eccezione o
regolamento di competenza al Consiglio di Stato

Ipotesi di competenza inderogabile e, in particolare, la competenza del TAR del Lazio

Al carattere normalmente relativo derogabile della competenza territoriale fanno eccezione alcune ipotesi
di competenza inderogabile, ossia funzionale.queste sono:

– quella derivante dal regime transitorio della legge istitutiva dei Tar inerente al reparto di competenza tra
Consiglio di Stato e Tar
– La competenza dichiarata dal Consiglio di Stato nella decisione sul regolamento di competenza

– La competenza del Tar della Sicilia e del Trga del Trentino Alto Adige

– la competenza in materia di operazioni elettorali (ma è ipotesi dubbia)

– La competenza del Tar del Lazio, in tutte le ipotesi previste dalla legge.

Il regolamento di competenza

L’istanza di regolamento di competenza va presentata al Tar davanti al quale pende la causa principale, con
nell’indicazione del giudice territorialmente ritenuto competente. L’istanza può essere presentata dal
resistente e da qualsiasi interveniente entro 20 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione in
causa. All’istanza va notificata a tutte le parti in causa che non vi abbiano aderito. Se tutte le parti in causa
concordano sulla remissione delle ricorso ad altro Tar, il presidente del Tar da qui competenze stata
contestata trasmette d’ufficio degli atti a tale Tar.

Se non vi è accorto traslativo, secondo l’avversione originaria la presentazione dell’istanza di regolamento


produceva l’immediata sospensione del processo, mentre ad oggi negli atti del processo devono essere
immediatamente trasmessi al Consiglio di Stato che provvede in camera di consiglio sentiti i difensori. La
sentenza del Consiglio di Stato può accogliere l’istanza o rigettarla, se ne riscontra la fondatezza la causa
dovrà essere riassunta cura del ricorrente davanti a Starr è riconosciuto competente entro 30 giorni dalla
notifica della decisione. In caso di rigetto invece il Consiglio di Stato condannerà l’istante alle spese mentre
il processo proseguirà davanti al Tar adito.

PARTE TERZA – CARATTERI GENERALI DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO (studiare)

CAPITOLO I – IL MODELLO PROCESSUALE

Sezione prima: Profili funzionali

I profili funzionali

Nozioni preliminari

Con il termine processo si indica l’iter sequenziale nel quale si svolge l’operazione logica del giudizio; con il
termine giudizio si indica l’operazione logica consistente nella soluzione della controversia. Il processo può
avere struttura e funzioni diverse ma è sempre una sequenza di atti disciplinati in modo più o meno
rigoroso nelle forme nei termini. Si possono ricostruire diversi modelli di processo, il nostro è tratteggiato
dall’art. 111 Cost, che garantisce equità ed efficienza alla tutela giurisdizionale. Qui interessa solo il
processo amministrativo, che si svolge dinanzi al Tar in primo grado, e dinanzi alle sezioni giurisdizionali del
Consiglio di Stato in grado di appello.

Profili funzionali

ogni processo serve a rendere giustizia, ma per arrivare a questo si possono seguire due strade: costruire il
processo come semplice applicazione della legge (processo di diritto oggettivo, come il processo penale) o
dare tutela alle situazioni giuridiche soggettive coinvolte (processo di diritto soggettivo, come il processo
civile).il processo amministrativo segue il secondo tipo, poiché è finalizzato a tutelare le situazioni
soggettive che il cittadino vanta nei confronti della pubblica amministrazione. è un processo di parti, in cui
queste, e non il giudice, hanno il potere di dare inizio, farlo proseguire ed eventualmente terminare senza
che la controversia sia decisa: hanno dunque la piena disponibilità del processo essendo questo un
processo dispositivo (anche se con qualche eccezione, ad es. il metodo acquisitivo). Profili funzionali

– il processo amministrativo risponde all’archetipo del processo di diritto soggettivo, in quanto è finalizzato
alla tutela delle situazioni giuridiche soggettive che il cittadino vanta nei confronti della PA.

Il modello processuale che si confà alla tutela delle situazioni giuridiche soggettive è il processo di parti, il
processo in cui le parti, e non il giudice, hanno il potere di darvi inizio, di farlo proseguire, ed
eventualmente di farlo terminare senza che il giudizio sia reso, ossia senza che la controversia sia decisa.

Posizione e poteri delle parti

– Il processo amministrativo, come processo di parti, è caratterizzato da una peculiare distribuzione dei
poteri tra giudice e parti; che, lasciando al giudice, come è ovvio, la decisione della controversia, e la
direzione del processo, attribuisce alle parti l’intera (o quasi) iniziativa processuale.

– Il modello processuale è caratterizzato dai seguenti principi o regole fondamentali:

• Principio della domanda: si tratta di un principio assolutamente generale, che riguarda cioè
qualsiasi modello processuale; tale principio sostiene che: non solo il giudice non può attivarsi ad
aprire il processo senza una domanda di parte, ma egli è tenuto a dimensionare il giudizio
esattamente sulla domanda (o domande) di parte, nel senso che deve pronunciarsi su tutte e
solamente sulle domande di parte; il giudice è vincolato alla domanda di parte;

• Principio dell’impulso di parte: il processo inizia e persegue soltanto se la parte (una delle parti)
adotti appositi atti di impulso. A prescindere dalla domanda iniziale (ricorso), occorre un atto di
fissazione per ogni udienza, così come un atto di richiesta per ogni operazione istruttoria, che il
giudice debba compiere. Solo per l’istruzione probatoria sussiste un potere del giudice non
condizionato dalla richiesta di parte; ed è ciò determina il c.d. carattere (o metodo) acquisitivo del
p. amm;

• Principio della disponibilità del processo: il processo amministrativo non termina necessariamente
con la formulazione del giudizio e l’emanazione della sentenza; può terminare per ragioni obiettive
(cessazione della materia del contendere; difetto sopravvenuto di interesse) o per atti (rinuncia) e
inerzia (perenzione) di parte. La parte attrice (ricorrente) può rinunciare al ricorso in ogni fase e
grado del processo, perfino in grado di appello e dopo aver ottenuto una sentenza di primo grado
favorevole. A differenza di quanto avviene nel processo civile, la rinuncia non ha bisogno di essere
accettata dalle controparti; è sufficiente che venga loro notificata.

Posizione e poteri del giudice

Il giudice ha il compito di formulare il giudizio, e di dirigere il processo (su istanza di parte).

Può condurre anche d’ufficio l’istruzione, l’integrazione del contraddittorio, i decreti di presa d’atto di
rinuncia, l’estinzione, la sospensione e l’interruzione.

Principi -> -Di collegialità:

Non vi è la figura del giudice istruttore (anche se tale principio di sta ammorbidendo) -Acquisitivo:

Il giudice anche d’ufficio può acquisire e valutare le prove (è stato modificato il principio dell’onere della
prova: le parti devono solo allegare i fatti e fornire un principio di prova – onere del principio di prova).

Il giudice in ogni caso non può andare a vantaggio di una sola parte (sarebbe violata l’imparzialità del
giudice), bensì ciò si giustifica solo quando la prova non è nella disponibilità della parte.
– Al giudice spetta, oltre alla formulazione del giudizio, la direzione del processo:

• Adotta, su istanza di parte, i decreti di fissazione delle udienze;

• Adotta, anche d’ufficio, le ordinanze istruttorie e di integrazione del contraddittorio, i decreti di


presa d’atto della rinuncia, della cessazione della materia del contendere, della estinzione del
processo e della maturazione del processo;

• Pronuncia eventualmente la sospensione e la interruzione del processo;

• Adotta le ordinanze cautelari e, in caso di controversie concernenti diritti soggettivi patrimoniali, le


ordinanze anticipatorie.

Il dato che caratterizza il processo amministrativo, sotto il profilo dei poteri del giudice, è il c.d. metodo (o
principio) acquisitivo: al giudice viene riconosciuto il potere , non solo di valutare,, ma anche di acquisire le
prove, prescindendo dalla iniziativa di parte.

Dato il potere del giudice di acquisire d’ufficio le prove, sulle parti grava l’onere di allegare i fatti e di fornire
un principio di prova.

Il giudice amministrativo:

• ha il potere di acquisire le prove, ponendole a carico della parte che ne abbia la disponibilità (in
genere l’amministrazione);

• ha il potere di valutare liberamente, secondo il suo prudente apprezzamento, la prove acquisite al


giudizio;

• ma nei casi dubbi deve applicare la regola di cui all’art. 2697 c.c., ossia la regola di giudizio
dell’onere della prova, la quale comporta due regole:

• regola istruttoria, che attiene all’allegazione e alla prova dei fatti;

• regola decisoria, che attiene al modo di elaborare il giudizio nel caso che i fatti siano
allegati rimasti incerti (non pienamente provati).

Sezione seconda: Profili oggettivi e strutturali

Profili oggettivi e strutturali

L’oggetto del processo in generale

Il processo nasce come giudizio di impugnazione di atti amministrativi.

Risponde ad un tipo di tutela reattiva, che presuppone che l’amministrazione abbia posto in essere altro
comportamenti e colui che si rivolge al giudice ritiene lesivi delle sue situazioni giuridiche soggettive.
Essendo giudizio di impugnazione, il processo amministrativo o di solito essere instaurato solo dopo che un
provvedimento sia stato adottato: quest’ultimo riveste dunque il ruolo il presupposto processuale, di
oggetto della cognizione del giudice e di oggetto della decisione. Non si può non dire dunque che l’atto sia
l’oggetto del processo, anche se la stessa nozione di oggetto del processo è assai controversa. Oggetto del
processo è l’operazione logica del giudizio, oggetto del giudizio è là controversia, oggetto della controversia
e uno più questioni di diritto sostanziale. Tale situazione sostanziale la questione dedotta in giudizio, su cui
il giudice deve pronunciarsi. La materia del contendere può assumere dimensioni assai vaste dovendo
articolarsi in questioni pregiudiziali di rito, questioni preliminari di merito e questione principale di merito.
L’oggetto del processo amministrativo

Oggetto è l’atto (perché presupposto dello stesso processo) o la questione che concerne la sua legittimità?
La dottrina propende più per la prima soluzione, ma poi non si spiegherebbe il contenuto conformativo
della sentenza, che traccia la via che la PA deve seguire per adottare gli altri provvedimenti necessari a
colmare la lacuna giurisdizionale. Questo si spiega solo se l’oggetto si espande fino a comprendere le
questioni attenenti la tutela delle situazioni giuridiche soggettive.

Oggetto sono questioni attinenti la tutela quando si tratta non più di processo su atti, ma su
comportamenti (es. silenzio, accesso).

Oggetto è quindi il rapporto amministrativo, ossia la legittimità degli atti che costituiscono l’esercizio del
potere amministrativo, in funzione della tutela dell’interesse dei privati.

Profili strutturali

Caratteri principali sono la concentrazione, l’oralità e la pubblicità. Manca la fase istruttoria. Si passa dalla
fase introduttiva alla decisione, in una sola udienza di discussione orale. Oltre al rito ordinario:

a) Rito immediato:

Il giudizio è definito nel merito in sede di decisione della domanda cautelare, se la materia del contendere è
di facile soluzione

b) Rito abbreviato:

Riduzione della metà di tutti i termini tranne che per la proposizione della domanda e dell’appello, previsti
necessariamente in alcuni casi

c) Rito accelerato:

Nei casi in cui si applica il rito abbreviato, vi può far ricorso il giudice se vi è illegittimità dell’atto impugnato
o la sussistenza di pregiudizio grave e irreparabile.

Comunque in tutti i casi vi è cognizione piena, e si tratta di riti ordinari.

Riti speciali infatti sono: quello avverso il silenzio, quello per l’accesso e il processo elettorale.

Spunti di riflessione

Il processo amministrativo, concepito originariamente come processo di impugnazione di atti e di verifica


del modo di esercizio del potere, non ha mai perso tale carattere; tuttavia nel tempo si è adattato alle
esigenze di effettiva tutela delle situazioni giuridiche soggettive. Infatti il processo di impugnazione non può
assicurare nessuna tutela quando non esista alcun atto, come ad esempio nel caso del silenzio. Con
l’avvento della giurisdizione esclusiva il processo di impugnazione è risultato troppo stretto per assicurare
da solo piena tutela dei diritti soggettivi. Non ha però avuto modifiche profonde sostanziali, ritenendo il
legislatore di elaborare diversi modelli processuali. Solo dal 2000 si può ritenere che sia iniziata una diversa
fase evolutiva, ma ben lontano ancora da maturazione.

CAPITOLO II – I PRINCIPI DEL GIUSTO PROCESSO


Sezione prima: I principi strutturali o di equità

I principi strutturali o di equità

Il giusto processo

1999: modifica dell’art. 111 Cost., al quale venne aggiunta l’espressione “giusto processo”, rendendo
espliciti i principi già attuati nella pratica.

1 comma: “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”

È sancita la riserva assoluta di legge: la disciplina processuale deve essere stabilita da leggi statali e si deve
modellare secondo i principi del giusto processo (tuttavia nel diritto amministrativo tale riserva di legge non
è del tutto rispettata, perché la disciplina è contenuta in un regolamento)

2 comma: “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un
giudice terzo ed imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.

Principi strutturali, attribuiti al processo in quanto tale, e sono:

• Principio di precostituzione, indipendenza, terzietà ed imparzialità del giudice

• Principio del contraddittorio paritario

• Principio della necessaria motivazione di tutti i provvedimenti giurisdizionali

Principi funzionali, riguardanti il processo come strumento efficiente di tutela giurisdizionale, e sono:

• Principio della generalità della tutela giurisdizionale e della inviolabilità del diritto di difesa;

• Principio di pienezza della tutela;

• Principio di tempestività della tutela;

• Principio di tendenziale massima accessibilità alla tutela nel merito.

I principi riguardanti il giudice

– Principio del giudice naturale -Principio di indipendenza -Imparzialità (principio della domanda) -Terzietà
(ricusazione ed astensione)

– Il giudice ha inoltre il dovere di motivare tutti i provvedimenti giurisdizionali.

– Il principio del giudice naturale, nel quale le regole sulla giurisdizione e sulla competenza consentono di
evitare che il giudice possa essere scelto, volta a volta, da una delle parti.

– Il principio di indipendenza, in cui il giudice, inteso come organo giudicante, deve essere posto al riparo
da influenze estranee, soprattutto da influenze (sia formali che informali) di altri poteri pubblici.

Sui principi di terzietà ed imparzialità

I principi di terzietà ed imparzialità riguardano il giudice come persona: gli si richiede di essere terzo, ossia
equidistante rispetto alle parti, ed imparziale nella decisione della controversia, ossia equidistante rispetto
agli interessi coinvolti. Tali principi sono della corte costituzionale elemento essenziale della stessa natura
della giurisdizione. Dovendo i magistrati amministrativi, come ogni altro cittadino, rivolgersi spesso alle
amministrazioni pubbliche, è auspicabile che venga stabilito un limite di durata della permanenza dei
magistrati amministrativi nella stessa sede e con le stesse funzioni. È necessario poi distinguere tra poteri di
direzione del processo poteri di giudizio: mentre è meglio lasciare larga discrezionalità al giudice circa i
primi, per i secondi è necessario che se la legge ha disciplinato in modo per quanto possibile incisivo. Al
principio di terzietà può essere rapportato anche il principe della domanda, che si fonda sulla distinzione
tra chi propone e illustra alla controversia e chi la decide.

– I principi di terzietà ed imparzialità riguardano direttamente il giudice come persona: a lui l’ordinamento
richiede di essere terzo, ossia equidistante, rispetto alle parti, ed imparziale nella decisione della
controversia, ossia equidistante rispetto agli interessi coinvolti nel giudizio.

– Inoltre, per evitare che si stabiliscano rapporti di consonanza (o dissonanza) tra il giudice e le parti, è stato
proposto un limite di durata della permanenza dei magistrati amministrativi nella stessa sede e con le
stesse funzioni.

– Il principio di terzietà rispetto alle parti può, e forse deve, influire sui poteri attribuiti al giudice;
Distinguendo tra poteri di direzione del processo e poteri di giudizio, mentre per i primi è opportuno
lasciare al giudice ampia discrezionalità, per i secondi è più opportuno che sia la legge a disciplinarli in
modo per quanto possibile incisivo.

La forza della prevenzione

In relazione al principio di imparzialità è stato più volte affrontato il problema della forza della prevenzione:
un giudice persona fisica che si sia occupato una volta di una controversia non può occuparsene una
seconda volta, in altro grado o fase del suo stesso processo. La soluzione dell’astensione e della ricusazione,
adottate nel processo civile, possono essere accolte anche per quello amministrativo. La forza della
prevenzione può avere peso effettivo quando lo stesso magistrato si deve pronunciare esattamente il suo
stesso oggetto, e ciò non si verifica netta processo cautelare processo di merito, né tra processi ingiuntivo e
processo di merito su opposizione al decreto, netta processo ordinario e processo di ottemperanza.

Sussiste forza di prevenzione invece tra primo secondo grado, da processo ordinario processo di
rievocazione e tra processo ordinario e opposizione di terzo. A differenza del giudizio civile, in presenza di
un’istanza di ricusazione è qui il giudizio principale non viene sospeso, e il giudice ricusato può partecipare
al collegio che decide sulla sua ricusazione (disciplina non conforme al principio di imparzialità, che
dovrebbe essere presto modificata).

L’imparzialità rappresenta infatti un connotato intrinseco dell’attività del giudice e dove dovesse mancare,
le regole le garanzie processuali si svuoterebbero di significato. I principi di imparzialità è infatti canone
essenziale del giusto processo riferibile al giudice: l’indipendenza da terzietà sono suoi corollari. Il giudice
deve anche motivare tutti provvedimenti giurisdizionali, regola a lungo inosservato dal giudice
amministrativo per quanto riguarda le ordinanze cautelari, ma ormai tale prassi è superata. Anche le
sentenze in forma semplificata devono contenere la motivazione che può consistere in un sintetico
riferimento al punto di fatto di diritto ritenuto risolutivo o ad un precedente conforme.

Principi riguardanti le parti

Per quanto riguarda il principio del contraddittorio e della parità delle armi, tra la PA e i privati vi è notevole
squilibrio di base, che non può riflettersi sul processo.

Metodo acquisitivo: in relazione al principio della parità effettiva tra le parti nel caso in cui le prove si
trovino nella disponibilità della sola parte pubblica.

– Il principio del contraddittorio, in cui ciascuna parte deve disporre di strumenti equivalenti per
determinare il convincimento del giudice e, di conseguenza, il contenuto della decisione.
– Nel diritto sostanziale amministrativo i soggetti non hanno posizioni paritarie: i soggetti pubblici sono di
norma titolari di poteri e i soggetti privati di interessi legittimi; quindi la parte pubblica deve avere
posizione e poteri del tutto equivalenti a quelli delle parti private.

– Nella concreta disciplina processuale la parità della posizioni e il razionale svolgimento del dibattito tra le
parti vengono assicurati dalla sequenza del ricorso, controricorso, memorie scritte, discussione orale.

– È opinione universalmente condivisa che il confronto dialettico tra le parti costituisca il metodo migliore
per giungere ad una decisione “giusta”

Completezza e continuità del contraddittorio

– Il contraddittorio, per essere tale, deve rispondere ai requisiti della:

• Completezza, ossia deve estendersi a tutti i soggetti interessati alla controversia; sotto questo
profilo il processo amministrativo mostra qualche smagliatura: il ricorso deve essere notificato, a
pena dell’inammissibilità, soltanto ad uno dei contro interessati; ciò comporta che alcune parti
necessarie del giudizio non partecipino a tutte le fasi del processo, così che l’integrazione del
contraddittorio deve essere disposta dal giudice tempestivamente, anche, se necessario, prima
della decisione sulla istanza cautelare. Più grave è la prassi di consentire che il processo di
ottemperanza sia instaurato, proseguito e concluso senza che ne siano avvertite le controparti; ciò
detto è in contrasto con il principio del contraddittorio.

• Continuità, ossia deve riguardare ogni fase del processo; sotto questo profilo il contraddittorio deve
essere integro lungo l’intera durata del processo: deve consentire che la dialettica tra le parti sia
organizzata razionalmente e che il dialogo con il giudice sia continuo.

Nella fase cautelare si può giustificare che la decisione venga assunta anche in assenza di
contraddittorio nei soli casi di “estrema gravità ed urgenza”.

Di regola, viceversa, il contraddittorio deve essere integro anche nella (ordinaria) fase cautelare. Peraltro,
secondo la disciplina in vigore, questa esigenza può apparire non rispettata, per la compresenza di due
disposizioni:

1. L’una che prevede che la decisione sull’istanza cautelare venga assunta nella camera di consiglio
immediatamente successiva ai 10 giorni decorrenti dalla notifica del ricorso; Rispettando tale
termine, si lede il principio del contraddittorio;

2. L’altra che assegna alle parti resistenti e contro interessate il termine di 20 giorni, decorrenti dal
termine per il deposito del ricorso, per costituirsi in giudizio;

se si tiene conto di ciò si svalutano le ragioni d’urgenza.

– Il contraddittorio deve sussistere sia nella fase istruttoria, in particolare nella formazione delle prove, sia
nella formazione del convincimento del giudice.

In linea generale si può affermare che nessuna decisione del giudice, sia istruttoria, sia di merito, possa
essere adottata senza che le parti abbiano avuto modo di pronunciarsi preventivamente sulla questione da
decidere.

Il contraddittorio nell’istruzione e nella decisione

Sul piano istruttorio, dato che il giudice amministrativo a grazie al metodo acquisitivo il potere di acquisire
le prove, è necessario che l’ordinanza di acquisizione sia preceduta dal dibattito sulla rilevanza delle prove
d’acquisire. Anche per quanto riguarda le questioni rilevabili d’ufficio, tale rilevabilità d’ufficio non significa
che tale questione possa essere decisa d’ufficio senza essere sottoposta contraddittorio delle parti. Per la
stessa ragione il giudice non può decidere la controversia assumendo una soluzione diversa da quelle
prospettate dalle parti (cd.terza via) e sulle quali si è svolto il confronto dialettico. Si giudice ritiene di
scegliere la terza via deve sottoporla preventivamente al contraddittorio. Lo stesso se il giudice voglia
utilizzare il suo sapere privato, o fatti notori o presunzioni. Il pieno rispetto del contraddittorio può certo
appesantire il processo ma è l’unico modo per giungere ad una più convincente decisione.

Sezione seconda: Principi funzionali o di efficienza

Principi funzionali o di efficienza

Sulla generalità della tutela

Scopo del processo è sicuramente fornire tutela giusta alle situazioni giuridiche soggettive: questa per
essere giusta deve essere generale, piena e tempestiva. La generalità è sancita dall’articolo 24 della
costituzione e, con riferimento specifico alle controversie nei confronti dell’amministrazione pubblica,
dall’articolo 113 s il quale contro di atti della medesima è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei
diritti degli interessi legittimi davanti agli organi di giurisdizione ordinario amministrativa.

Oltre al diritto di azione, è sancito dalla costituzione anche il diritto di difesa in ogni stato e grado del
procedimento che è qualificato come diritto inviolabile. comportando il processo dei costi economici, la
costituzione assicura ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire di difendersi davanti ad ogni
giurisdizione (anche se finora si sono rilevati completamente inadeguati alle esigenze).

Sulla pienezza della tutela

Il processo deve assicurare ogni possibile forma di tutela, senza limitazioni: la stessa costituzione prescrive
che la tutela non può essere escluso limitata a particolari mezzi di impugnazione. Tuttavia la disciplina del
processo amministrativo non consente tutte le forme di tutela possibili: tale situazione in chiaro contrasto
con i principi del giusto processo si spiega solo con nell’inerzia delle legislatore. Il quadro ancora più
insoddisfacente se si pensa al sistema probatorio.

C’è da concludere che la disciplina del processo amministrativo deve essere quindi profondamente rivista,
per adeguarla a modello costituzionale, ridisegnando in senso riduttivo anche le innumerevoli cause di
inammissibilità, i ricevibilità ed improcedibilità che impediscono che il processo possa chiudersi con una
soluzione della questione di merito.

Sulla ragionevole durata del processo

Ovviamente la tutela giurisdizionale per essere effettiva deve essere tempestiva: già Bentham scriveva
justice dalayed is justice denied.La stessa corte costituzionale, prima della modifica dell’articolo 111, aveva
sancito che il diritto di azione implica una ragionevole durata del processo affinché la tutela giurisdizionale
assicuri l’efficace protezione dei diritti e della realizzazione della giustizia. La CEDU configura come vere
proprio diritto alla controversia sia decisa in tempo ragionevole, secondo parametri ormai consolidati che
tengono conto della peculiarità dei procedimenti, della complessità della controversia e del
comportamento delle parti nonché degli organi pubblici.

L’articolo 111 demanda invece alla legge dello Stato il compito di assicurare che il processo abbia una
durata ragionevole, prevedendo anche riti semplificati abbreviati accelerati per soddisfare tutte le esigenze
di rapida soluzione. Ciò che manca è però un adeguato numero di magistrati e di personale di segreteria.
Per porre freno alle ricorrenti condanne della corte di Strasburgo per l’eccessiva durata dei processi, in
Italia è stata emanata una legge del 2001 che aprisse una speciale processo di competenza della corte
d’appello per coloro che abbiano subito un danno, anche patrimoniale, per l’eccessiva durata del processo.
La nuova legge trasforma quello che secondo la convenzione è un diritto all’indennizzo in un diritto al
risarcimento del danno, il che comporta che non si debba provare in giudizio solo la durata irragionevole
del processo ma anche l’esistenza di un danno e il nesso di causalità tra la durata del processo e il danno
subito.

PARTE QUARTA – STATICA DEL PROCESSO

CAPITOLO I – LA TIPOLOGIA DELLE AZIONI PROPONIBILI

Sezione prima: Premesse

Azione e situazioni giuridiche soggettive

l comma 1 dell’art.24 Cost.fa definire l’azione come il potere, attribuito a tutti i soggetti dell’ordinamento,
di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi.” tutti” assicura il carattere della
generalità dell’azione, che prescinde dall’esistenza della situazione giuridica sostanziale: l’agire in giudizio
ha rilevanza alle norme processuali che considerano il profilo oggettivo dell’esercizio dell’azione,
staccandolo dalla situazione giuridica sostanziale. Tuttavia l’azione è data per la tutela dei propri diritti ed
interessi legittimi, per cui si agisce in giudizio per tutelare situazioni giuridiche soggettive sostanziali. È
dunque descritta l’azione come diritto autonomo rispetto le situazioni giuridiche soggettive e si intendono
far valere in giudizio, ma occorre sempre che si lamenti della lesione di una situazione giuridica sostanziale.
I caratteri dell’azione sono:

• Generalità

• Autonomia

• Astrattezza

Le tipologie di azioni che possono essere prospettabili dinnanzi all’autorità giurisdizionale sono
essenzialmente 3:

1. Cognizione

2. Esecutive (giudizio di ottemperanza)

3. Cautelari

Ognuna di queste tipologie di azioni ha tutti i suoi perché dal nome stesso:

– l’azione cautelare è un qualcosa che serve prima per cautelare, per cautelarsi;

– l’azione esecutiva è l’azione che serve per fare qualche cosa, per eseguire qualcosa;

– l’azione di cognizione serve per conoscere qualcosa.

Questi sono i 3 macrotipi di azioni che poi si andranno a suddividere al loro interno ulteriormente,in
particolare quelle di cognizione dove abbiamo le azioni di mero accertamento,di condanna e le azioni
costitutive.

Le azioni esperibili nel processo di cognizione sono:


Azione di mero accertamento

L’azione di accertamento è l’azione con cui la parte chiede al giudice il mero accertamento, cioè
semplicemente di accertare il proprio diritto senza che a ciò consegua la condanna, senza che a ciò
consegua alcunché: tipica azione di mero accertamento è l’azione di nullità del contratto, perché si dice che
se io accerto che il contratto è nullo accerto che il contratto non c’è mai stato, quindi non lo sciolgo, non
faccio niente, è un’azione di mero accertamento.

• Azione dichiarativa finalizzata al mero riconoscimento della sussistenza di un diritto soggettivo,


patrimoniale e non, in capo al ricorrente in sede di giurisdizione esclusiva;

• Poiché l’oggetto deve essere un diritto soggettivo, l’azione non è soggetta a termini di decadenza,
salvi i termini di prescrizione del diritto stesso;

• Tale azione non può essere esperita a tutela di interessi legittimi ed in tutti i casi in cui sia
impugnabile un provvedimento amministrativo.

Azione di condanna

Il passaggio successivo è l’azione di condanna: io chiedo il mero accertamento del mio diritto, ma chiedo
anche che una volta che il giudice l’ha accertato condanni la controparte a pagare. Questo secondo tipo di
azione, si differenzia da quella precedente perché consente la formazione del titolo esecutivo. All’azione di
condanna consegue, come effetto primario, la formazione del titolo esecutivo ed il passaggio all’esecuzione
forzata.

• Introdotta dall’art.26 della legge Tar per le controversie inerenti la giurisdizione esclusiva e di
merito poteva avere ad oggetto la condanna della p.a. solo ad obbligazioni pecuniarie;

• La legge imponeva quindi due grossi limiti:

• l’azione poteva essere esperita SOLO contro la p.a., a cui invece veniva negata la possibilità di
chiedere la condanna del privato;

• la sentenza poteva imporre SOLO il pagamento di una somma di denaro, quando invece a fronte di
lesione di diritti soggettivi sarebbe stato necessario prevedere anche forme differenziate di
esecuzione (facere, dare).

Azione costitutiva

Il terzo tipo di azioni di cognizione civile sono le azioni costitutive, che sono quelle azioni con cui il giudice
con la sua pronuncia modifica una situazione di fatto.

Esempio: c’era un contratto, il giudice lo risolve, lo rescinde, lo annulla, il contratto non c’è più, quindi la
sentenza agisce sul mondo dei fatti giuridici cambiando qualche cosa. Il divorzio è una sentenza costitutiva,
la separazione è una sentenza costitutiva, anche in campo contrattuale ne troviamo tantissime: la
risoluzione, la rescissione, l’annullamento, la creazione di una servitù.

• Azione generale (sempre ammessa) di tutela successiva per la lesione di un interesse legittimo e
finalizzata all’annullamento di un provvedimento amministrativo definitivo o, nel caso di
giurisdizione di merito la riforma dello stesso in senso utile per il ricorrente;

• Presupposto dell’azione è la lesione concreta ed attuale di un interesse legittimo;

• Oggetto dell’azione deve essere un provvedimento emanato da un’autorità amministrativa.


L’azione contro il silenzio-rifiuto e il silenzio-rigetto

L’azione contro il silenzio-rifiuto

• Il silenzio-rifiuto identifica un’inerzia della p.a. a fronte di un DOVERE di adempiere in maniera


espressa;

• In tale ipotesi la lesione dell’interesse legittimo non è connessa ad un provvedimento, ma


alla carenza dello stesso, quindi è causata dall’inerzia della p.a., dall’inadempimento
dell’obbligo di provvedere;

• Secondo la normativa precedente, di fronte al silenzio il cittadino, trascorso inutilmente il


termine di adozione del provvedimento, doveva notificare un diffida ad adempiere entro
30 giorni, trascorsi inutilmente i quali, era legittimato a ricorrere

• Il novellato art. 21-bis della legge Tar disciplina il ricorso contro il silenzio come rito speciale
ed abbreviato:

• Il silenzio rifiuto si configura automaticamente allo scadere del termine previsto per
provvedere;

• Il ricorso non è soggetto a termini di decadenza (60 giorni) ma deve avvenire,


nell’inerzia della p.a., entro 1 ANNO dalla scadenza del termine utile del
procedimento omesso.

• Il Giudice, una volta accolto il ricorso, ed indagato la fondatezza dell’istanza,


ORDINA alla p.a. di provvedere (non come provvedere) in un termine perentorio
(non oltre i 30 gg.), trascorso inutilmente il quale, nomina un commissario ad acta.

Il silenzio-rigetto

Il silenzio-rigetto è un silenzio che ha natura effettivamente negativa sul ricorso ma ha effetti meramente
processuali, cioè ha l’effetto per il ricorrente di adire un’ulteriore via, tanto amministrativa quanto
giurisdizionale.

Decorso il termine di 90 giorni dalla presentazione del ricorso senza che l’amministrazione abbia risposto, il
ricorso si considera respinto a tutti gli effetti e contro il provvedimento impugnato (e non contro il silenzio,
che quindi non è atto amministrativo) è possibile il ricorso al TAR o al PdR.

La pubblica amministrazione può sempre assumere una decisione tardiva e se è di accoglimento cesserà la
materia del contendere e potrà essere impugnata dai controinteressati e se è di rigetto non porrà alcun
onere di impugnativa.

Passato in giudicato della sentenza rende inefficace decisione tardiva.

Il silenzio rigetto dà la possibilità di presentare prima il ricorso amministrativo e poi, nel caso in cui sia
rigettato, il ricorso davanti al tribunale amministrativo entro i 60 giorni dal silenzio rigetto o al Presidente
della Repubblica entro i 120 gg.

Se si è formato il silenzio rigetto, che non ha natura sostanziale, anche dopo il silenzio rigetto posso
insistere affinché l’amministrazione si pronunci, diffidandola a provvedere: dato che il silenzio rigetto non
sostituisce un atto amministrativo, come il silenzio diniego, è quindi ancora aperto il procedimento
amministrativo azionato dal ricorso. Il privato può o agire direttamente davanti al tribunale amministrativo
oppure diffidare all’emanazione di un atto.
Con il silenzio rigetto non si produce un effetto pregiudiziale: mentre il silenzio diniego riguarda un’attività
amministrativa in senso proprio dell’Amministrazione, che è come se emanasse un provvedimento di
diniego di un ricorso, nel caso di ricorso gerarchico, che prevede un’attività quasi-giurisdizionale, non c’è
attività propriamente amministrativa.

Dal momento in cui decorre il termine per la pronuncia dell’amministrazione, 90 gg., e si sarà formato il
silenzio rigetto, inizieranno a decorrere i termini per presentare il ricorso al TAR o il ricorso straordinario al
PdR, che avranno come oggetto non il silenzio rigetto , ma il provvedimento già impugnato con il ricorso
gerarchico.

Azione generale di legittimità, anche in merito ed esclusiva. Azione di piena giurisdizione. Azione
collettiva

Azione generale di legittimità, anche in merito ed esclusiva

Altra distinzione riguarda l’insieme dei poteri del giudice amministrativo nelle tre giurisdizioni che gli
appartengono: legittimità, merito ed esclusiva. L’azione di legittimità è detta generale, perché è esercitabile
davanti al giudice amministrativo indipendentemente dalla giurisdizione cui decida. L’azione anche in
merito è estesa all’opportunità e convenienza dell’azione amministrativa ed al fatto, ed è fornita quindi di
più ampi mezzi di prova. L’azione in sede di giurisdizione esclusiva è attribuita al giudice per le materie
espressamente previste dalla legge.

Azione di piena giurisdizione

L’azione esclusiva, soprattutto in seguito alla novella del 2000, ha indotto la dottrina a parlare di azione di
piena giurisdizione, poiché vi è esercizio di potere giurisdizionale e spesso a tutti gli aspetti della
controversia per tutti i poteri. Il giudice amministrativo conosce anche delle questioni conseguenziali e può
condannare da pubblica amministrazione alle risarcimento dei danni; svolge dunque un’indagine a tutto
campo, senza essere condizionato dall’atto amministrativo.

Azione collettiva

La legge 4 marzo 2009, n. 15 ha delegato il governo ad adottare decreti legislativi per ottimizzare il lavoro
pubblico e l’efficienza e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni. l’esercizio di questa delega prevede
mezzi di tutela giurisdizionale degli interessati nei confronti delle amministrazioni e dei concessionari di
servizi pubblici e si discostano dagli standard qualitativi ed economici fissati, e prevede l’obbligo per le
amministrazioni con standard al di sotto dei minimi di fissare l’obiettivo di allineamento entro un termine
ragionevole. Lo scopo sembra quello di voler istituire controllo diffuso da parte dei cittadini che possono
investire anche il giudice amministrativo in caso di disfunzioni della pubblica amministrazione.

L’azione è posta a tutela di interessi giuridicamente rilevanti per una pluralità di utenti o consumatori, la
lesione di tali interessi è dovuta al cattivo funzionamento della pubblica amministrazione, e l’azione è
proponibile a seguito di apposita diffida all’amministrazione. Le controversie sono devolute alla
giurisdizione amministrativa esclusiva e di merito, che offre al giudice i più ampi poteri istruttori. L’azione si
propone lo scopo di soddisfare gli interessi di una pluralità di utenti o consumatori e di attivare le
procedure relative all’accertamento già nella fase precedente al giudizio, ossia con la diffida processuale.
Sezione seconda: L’azione di mero accertamento

L’azione di mero accertamento

Azione di mero accertamento: principi generali

Nella giurisdizione generale di legittimità si è uso che sia possibile un’azione di mero accertamento, perché
qui si tutela solo l’interesse legittimo, situazione che nasce quando si dà inizio al procedimento
amministrativo. Sulla sua soddisfazione passa quindi necessariamente attraverso l’eliminazione degli effetti
dell’azione autoritativa o nella produzione degli effetti dell’azione amministrativa, non in una mera
affermazione. L’azione di mero accertamento è dunque esclusa per la tutela dell’interesse legittimo, anche
se in passato si riteneva esistente nel caso in cui il giudice decideva sul silenzio-inadempimento della
pubblica amministrazione, oggi considerato però azione di condanna. Sono ovviamente pronunciati
sentenze di mero accertamento per la tutela dell’interesse legittimo, ma queste saranno limitate al rito.

Azione di nullità

Recentemente la giurisdizione di legittimità sta facendo strada ad azioni dichiarativo è nei casi di nullità
dell’atto amministrativo e di impugnativa della DIA da parte di terzi interessati. L’esclusione di un’azione di
accertamento nella giurisdizione generale di legittimità è legata all’affermazione che l’unico stato viziato
del provvedimento amministrativo è l’annullabilità, con la conseguenza che l’atto pur illegittimo produce
effetti. La questione dell’ammissibilità di tale azione di accertamento della nullità dell’atto amministrativo,
improduttivo di effetti giuridici, ha acquistato rilevanza nel 2005 a seguito di un articolo che disciplina le
ipotesi di nullità dell’atto amministrativo ravvisandole: nella mancanza degli elementi essenziali, nel difetto
assoluto di attribuzione, nella violazione o elusione del giudicato e negli altri casi espressamente previsti
dalla legge.

Tutela del terzo avverso la DIA

L’azione di era accertamento trova il suo campo di elezione nella giurisdizione esclusiva che riguarda anche
la tutela diritti soggettivi. Per quanto riguarda la DIA, si sono dibattute diversi tesi per l’azione che può
usare il terzo leso dall’attività svolta: per alcuni dovrebbe proporre domanda di annullamento della
determinazione formatasi in forma tacita, poiché l’amministrazione non è intervenuta a bloccare l’attività;
per altri dovrebbe notificare atto di diffida all’amministrazione ad esercitare il suo potere.

Di recente è stato evidenziato che la DIA è un atto privato e che la sostituzione del provvedimento espresso
quella dichiarazione dell’interessato non può diminuire le possibilità di tutela giurisdizionale del terzo: per
questo il Consiglio di Stato ha individuato nell’azione di accertamento autonomo la tutela del terzo tipo
chiedere al giudice amministrativo di accertare che non sussistono i presupposti giuridici per svolgere
l’attività oggetto della DIA.in caso di esito favorevole dell’ accertamento, grava sull’amministrazione
l’obbligo di ordinare la rimozione degli effetti. Per là giurisdizione di merito l’azione di era accertamento è
ammissibile quando le materie attribuite a tale giurisdizione riguardino anche diritti soggettivi o interessi
legittimi se si è in presenza di un atto amministrativo nullo.

Sezione terza: Le azioni di condanna

Le azioni di condanna

Condanna al pagamento di somme di denaro di cui la P.A. risulti debitrice


Era previsto in precedenza che il giudice amministrativo potesse condannare l’amministrazione al
pagamento delle somme di cui risultava debitrice nella materia relativa ai diritti attribuiti alla sua
competenza esclusiva e di merito: tale previsione era interpretata nel senso che il giudice potesse
condannare la pubblica amministrazione anche nelle materie appartenenti alla sola giurisdizione esclusiva o
di merito. Tuttavia raramente il giudice amministrativo ha emesso sentenze di condanna.

Condanna al pagamento delle spese di lite

L’azione di condanna al pagamento delle spese e competenze di lite, pur consequenziale all’accoglimento
del ricorso, è autonoma, perché accessoria all’esito della lite. Il giudice amministrativo si avvale spesso del
potere di compensare le spese di lite, ed appare restio a condannare al pagamento delle spese la pubblica
amministrazione, perché ancora condizionato dall’idea che alla parte pubblica non possa essere irrogata
alcuna sanzione. Tale azione di condanna è ammissibile in tutte e tre le giurisdizioni, ed anche in sede
cautelare.

Condanna al risarcimento del danno, anche in forma specifica

Prima del decreto legislativo 80/1998, il risarcimento dei danni era domanda riservata al giudice ordinario,
mentre successivamente si stabilì che fosse possibile disporre anche attraverso la reintegrazione in forma
specifica, il risarcimento del danno ingiusto. La legge 205/2000 attribuisce la cognizione della domanda di
risarcimento del danno ingiusto al giudice amministrativo in tutte le controversie devolute alla sua
giurisdizione esclusiva, anche se l’azione risarcitoria è ora ammessa anche in sede di giurisdizione di
legittimità.

La domanda di risarcimento conosciuta dal giudice amministrativo, è autonoma dall’azione di annullamento


può è possibile solo a seguito di questo? per la generalità della dottrina l’annullamento del provvedimento
amministrativo è pregiudiziale, ma tale interpretazione comporta un netto arretramento della tutela
risarcitoria che la sentenza della cassazione 500/1999 ammetteva a prescindere dall’annullamento dell’atto
amministrativo.si tratta sempre di un’azione di condanna, anche se ad un facere specifico poiché passa
attraverso l’ordine del giudice rivolge alla parte soccombente di tenere un determinato comportamento o
di adottare un atto amministrativo.

Condanna all’accesso ai documenti amministrativi

Recentemente i documenti amministrativi sono, di regola, accessibili e solo eccezionalmente segreti per la
tutela di rilevanti ed individuati interessi pubblici e diritto alla riservatezza di terzi. Contro il rifiuto della
pubblica amministrazione di visione o estrazione, o il silenzio-rifiuto, è ammesso ricorso entro 30 giorni a
star: il giudice ordina l’esibizione dei documenti richiesti, e si tratta dunque di un’azione di condanna ad un
facere specifico.

L’azione è ammessa non solo controllato della pubblica amministrazione, ma anche contro il suo
comportamento inerte.

Condanna a provvedere (silenzio): rinvio

Il procedimento si svolge in camera di consiglio, ed il ricorso deciso con sentenza succintamente motivata,
entro 30 giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso. L’appello può essere proposto entro
30 giorni dalla notificazione della sentenza o 90 dalla comunicazione della pubblicazione. Alla ricorrente è
attribuita un’azione di condanna ad un facere specifico.

Condanna alla restituzione di un bene immobile occupato senza (valido) titolo

Qui è prevista la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Può accadere che l’amministrazione si
immetta in un fondo senza alcun titolo o che il decreto di esproprio venga annullato: in tal ipotesi l’autorità
che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, valutati gli interessi in conflitto, può disporre
che il bene immobile ad acquisito al suo patrimonio disponibile e che al proprietario vadano risarciti danni.
L’interessato ovviamente può ricorrere controllato di acquisizione e la quantificazione del danno e può
inoltre esercitare un’azione volta le restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico. Questa
azione è di condanna alla restituzione di un bene determinato, e si può inquadrare nell’azione di condanna
alle risarcimento in forma specifica.

Sezione quarta: Le azioni costitutive

Le azioni costitutive

Costitutive di annullamento

Sin dall’inizio l’azione il principe davanti al giudice amministrativo è stata quella costitutiva di annullamento
dell’atto bugnato, tuttora di gran lunga prevalente: l’effetto è quello di eliminare il provvedimento
amministrativo, l’azione ha dunque effetto demolitorio.

Azioni miste: costitutive di annullamento e di condanna all’emanazione dell’atto amministrativo

Amministrativo, pur mantenendo fermo il dispositivo della sentenza nell’annullamento della impugnato, ha
indicato le direttive dell’azione amministrativa attraverso la motivazione, con l’effetto conformativo.La
motivazione della sentenza del giudice amministrativo ha tuttavia un rilievo diverso da quella del giudice
civile: quest’ultimo conclude la sentenza con un dispositivo articolato, assegnando la motivazione solo il
compito di spiegare le ragioni; la sentenza del giudice amministrativo invece si conclude con un dispositivo
di mero annullamento, rendendo necessario l’esame della motivazione per comprendere le ragioni della
decisione. L’effetto conformativo della sentenza si ricava dunque dalla motivazione.

Costitutive di riforma e di produzione

Sono quelle azioni che attribuiscono alla ricorrente il potere di chiedere al giudice di modificare l’atto
amministrativo impugnato, o comunque di dettare direttamente la regolamento azione del rapporto tra le
parti della controversia. Il giudice ha potere cognitorio pieno, e tale azione è completamente sconosciuta al
processo civile poiché comporterebbe la sostituzione della volontà del giudice alle scelte autonome delle
parti. È invece possibile nel giudizio amministrativo in sede di giurisdizione di merito, in quanto la pubblica
amministrazione esercita un potere discrezionale, soggetto a principi fissati dalle norme giuridiche e da
regole di buona amministrazione oggettivarli e verificabili, ed alle quali si adegua il giudice quando
pronuncia la sentenza.

CAPITOLO II – LE PARTI

Sezione prima: Le parti


Le parti nel processo amministrativo

Concetti generali

Nel diritto processuale, per parti si intendono i soggetti titolari del potere di costituire rapporti processuali,
allo scopo di ottenere una decisione del giudice. Sono, dunque, i soggetti, diversi dal giudice, nei confronti
dei quali questi è investito della decisione sulla controversia.

Si può distinguere in:

1. Parte in senso formale, cioè parte come soggetto degli atti processuali, quindi colui che propone la
domanda e colui nei cui confronti la domanda è proposta;

2. Parte in senso sostanziale, cioè la parte è presa in esame non soltanto come soggetto di atti
processuali, bensì come destinataria degli effetti del processo e della sentenza.

Le parti sono i soggetti che entrano in un processo e, quindi, acquisiscono il ruolo di parti in senso formale.

In seguito possiamo distinguere in:

Parti necessarie

1. Soggetto Ricorrente

2. Soggetto Resistente

3. Soggetto Controinteressato

Parti non necessarie

1. Soggetto interventore/interveniente

2. Soggetto cointeressato

1. Ricorrente: è una parte necessaria che introduce il processo e che propone il ricorso, avendo
interesse all’annullamento o alla riforma di un provvedimento amministrativo.(si pensi al soggetto
escluso dalla graduatoria di un concorso).

In questa fase è importante sottolineare gli aspetti dell‘interesse a ricorrere e la legittimazione a ricorrere:

• Interesse e legittimazione al ricorso sono elementi e condizioni necessarie per la corretta


instaurazione del processo amministrativo;

• Spetta al giudice accertare la sussistenza di entrambi in capo al ricorrente per poter procedere
all’esame della domanda.

Interesse a ricorrere

• Interesse proprio del ricorrente al conseguimento di una utilità o di un vantaggio attraverso il


processo amministrativo;

• Caratteri dell’interesse a ricorrere devono essere:

o personalità: il risultato del vantaggio deve essere connesso direttamente al ricorrente;

o attualità: l’interesse deve sussistere al momento del ricorso;

o concretezza: l’interesse deve valutarsi con riferimento ad un pregiudizio concretamente verificatosi ai


danni del ricorrente;
• Se nel corso del giudizio si verifica un mutamento tale da escludere il risultato vantaggioso per il
ricorrente il ricorso diviene inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse;

• In questo senso sono esclusi tutti gli atti che precludono l’esistenza di uno dei caratteri necessari
dell’interesse a ricorrere:

• Atti preparatori

• Atti interni

• Atti non esecutivi

• Atti normativi

• Atti confermativi

Legittimazione a ricorrere

• Il ricorrente è legittimato a ricorrere in quanto titolare di una posizione soggettiva qualificata di


interesse legittimo o diritto soggettivo;

• In alcuni casi eccezionali la legittimazione può essere costituita da una condizione formale prevista
per legge (c.d. legittimazione ex lege) come nel caso della tutela degli interessi diffusi tutelabili in
sede processuale da associazioni di settore, titolari di legittimazione ad agire ma non dell’interesse
qualificato.

1. Resistente: propone il rigetto del ricorso avendo interesse che il provvedimento venga conservato.
(ad esempio l’ente pubblico che indice il concorso).

2. Controinteressato : è il soggetto che ha un interesse uguale e contrario rispetto a quello del


ricorrente e di conseguenza avrà interesse a che il provvedimento mantenga i suoi effetti (si pensi
al soggetto vincitore del concorso).

Sono contraddittori formali. Due requisiti del contradditore:

• Titolare di una situazione di contro interesse (sostanziale); deve avere un vantaggio nella sua sfera
giuridica;

• Individuato o individuabile dall’atto impugnato.

1. Interventori: sono parti eventuali e sono ammessi quelli adesivi ad adiuvandum o ad opponendum.
Sono ammessi gli interventi litisconsortili e quelli principali solo se sono rispettati i termini di
ricorso. Il soggetto che intenda intervenire ha l’obbligo di notificare l’atto alle altre parti nel
domicilio eletto nel giudizio per poi depositarlo entro 20 giorni dalla data dell’ultima notifica.

La pubblica amministrazione come parte ricorrente

Parte ricorrente può essere anche la PA in alcuni casi di giurisdizione esclusiva, o quando il processo si
svolge tra 2 soggetti pubblici.

La parte resistente

È parte necessaria, ma non vi è l’onere di comparire in giudizio (nel rito amministrativo non esiste la
contumacia). Spesso sorgono difficoltà in merito all’individuazione della PA, sono così stati creati diversi
criteri: È giusta parte solo quella che ha emanato l’atto finale
Ma talvolta anche quella che emana un atto che interviene nel corso del procedimento, ovvero assume un
carattere vincolante per l’autorità preposta all’emanazione dell’atto finale

Per le attività di controllo, se tale controllo conduce all’annullamento dell’atto controllato, il ricorso è
contro l’amministrazione controllante; se invece conduce all’emanazione dell’atto, il ricorso è contro
l’amministrazione che ha emanato quel provvedimento.

Se una data funzione amministrativa è trasferita da una PA ad un’altra, è parte quella la cui funzione è stata
trasferita, perché ha poteri di disposizione sull’atto impugnato.

Per quanto riguarda la legittimazione dello Stato, la chiamata deve essere effettuata nella persona del
Ministro competente per la materia.

Per le altre amministrazioni sta in giudizio il soggetto che ne ha la rappresentanza per legge o per Statuto.

Se la parte resistente è un organo indiretto della PA (soggetto privato concessionario), in ogni caso non si
tratta di una vera e propria eccezione, perché comunque è un soggetto pubblico, in quanto esercita poteri
spettanti alla PA.

I controinteressati quali contraddittori formali

Coloro che traggono vantaggio nella loro situazione giuridica da un provvedimento, e che verrebbero lesi
dall’annullamento di quest’ultimo (oppure coloro i quali hanno sollecitato l’autorità ad emettere il
provvedimento). È contro interessato dunque chi ha interesse alla conservazione dell’atto.

È parte necessaria (altrimenti sarebbe violato il principio del contraddittorio), ma non sempre è presente. Il
contro interessato si individua non solo quando è specificamente indicato nell’atto impugnato, ma anche
quando è agevolmente identificabile dalla lettura di questo.

Il contraddittorio è integrato quando si notifica ad “almeno uno” dei contro interessati.

Il principio dell’integrità del contraddittorio e l’integrazione iussu iudicis

Il contraddittorio è assicurato dalla Cost. In diritto amministrativo interessa solo nel momento formale in
cui si instaura il rapporto processuale.

Il principio del contraddittorio è rispettato se tutti i soggetti coinvolti sono messi nella condizione di poter
partecipare al giudizio, perché il contraddittorio (effettivo) nel diritto amministrativo è solo eventuale.

Per la parte ricorrente, vi è l’obbligo di realizzare il contraddittorio “minimo”, che sarà poi eventualmente
integrato con ordine del giudice (si tratta di un potere discrezionale? Per la dottrina è potere-dovere).

Anche se la dottrina spinge per riconoscere tra i possibili contro interessati anche quelli in senso
sostanziale, ad oggi nella pratica si tiene conto solo di quelli in senso formale, ossia individuabili sulla base
dell’atto. Il contraddittorio in diritto amministrativo, dunque, palesa evidenti limiti.

I contro interessati formali hanno più facile accesso al giudizio, anche se poi per quelli in senso sostanziale
vi sono maggiori aperture per quanto riguarda l’appello.

I contro interessati che volessero partecipare in primo grado devono ricorrere all’intervento volontario (chi
ha interesse può intervenire).
Per l’appello vi sono aperture ai contro interessati sostanziali che, pur non avendo partecipato al giudizio di
primo grado, hanno interesse al mantenimento dell’atto.

Il controinteressato sostanziale

Parti non necessarie nel processo amministrativo sono tutti quei soggetti che prendono parte al giudizio,
diversi dal ricorrente, dal resistente ed al controinteressato formale. Il tema del controinteressato in senso
sostanziale è destinato ad acquisire rilevanza maggiore quando si consideri l’ambito delle materie di
giurisdizione esclusiva, dove il giudizio non ha necessariamente carattere impugnato odio e può dunque
mancare la possibilità di ancorarsi al criterio formale della individuabilità sulla base del provvedimento
impugnato.

Il controinteressato sostanziale non accede al processo in e regole processuali dettate per il


controinteressato in senso formale, parte necessaria, ma non gli è comunque del tutto preclusa la
possibilità di partecipare nel processo attraverso altri meccanismi processuali. Per il primo grado può
ricorrere allo strumento dell’intervento volontario, mentre maggiori aperture si riscontrano in tema di
legittimazione ad appellare, possibile per tutti coloro che, anche se non siano stati propriamente
controinteressati nel giudizio di primo grado, o che abbiano partecipato in qualità di interventori volontari,
abbiano tuttavia un apprezzabile interesse al mantenimento dell’atto impugnato.

I cointeressati

Sono soggetti titolari di un interesse della stessa natura di quello del ricorrente.

Non sono parti necessarie, perché la legge istitutiva dei TAR indica come contraddittori necessari i contro
interessati ai quali l’atto si riferisce. Non nomina i cointeressati.

Non vi sono quindi ipotesi di litisconsorzio necessario dal lato attivo, tranne che in tema di giurisdizione
esclusiva, quando una decisione non può pronunciarsi che nei confronti di più parti (in questo caso vi è
l’obbligo di integrare il contraddittorio).

Tale disciplina deriva dal fatto che il non partecipare al giudizio non provocherebbe al cointeressato un
danno maggiore rispetto al provvedimento che non ha impugnato. Quindi i cointeressati partecipano al
giudizio solo se propongono autonoma impugnativa contro il provvedimento lesivo.

L’intervento, per la giurisprudenza, è da escludere se è usato per eludere il termine di decadenza, ma se è


effettuato nei limiti, è ammesso per ragioni di economia processuale (ma in questo caso l’interventore non
può ampliare il thema decidendum).

La difesa in giudizio delle parti

Vi è l’obbligo per le parti private di farsi assistere da un avvocato patrocinato alle giurisdizioni superiori.

La procura può essere conferita ad litem (per una sola causa) o ad lites (per una serie di cause).

Il conferimento deve avvenire con atto pubblico, scrittura privata autenticata o procura in calce al ricorso.

La procura si può estinguere volontariamente per revoca o rinuncia. Non si produce per questo interruzione
di processo.
È previsto il gratuito patrocinio per i non abbienti, e le spese processuali sono a carico dello Stato per
quanto riguarda le controversie di lavoro.

Anche per la PA è necessario un avvocato, e di solito si tratta dell’Avvocatura dello Stato (ma ogni
amministrazione è dotata comunque di una propria struttura legale interna della quale può servirsi).

Sezione seconda: La tutela degli interessi meta-individuali

La tutela degli interessi meta-individuali

La giustiziabilità degli interessi meta-individuali nella società globale del rischio

Situazioni meta- individuali (o diffuse) sono quelle caratterizzate da un debole profilo soggettivo, ma da una
forte rilevanza sociale. Ultimamente si è accresciuta la sensibilità della società, e ciò ha comportato un
rinnovato interesse verso tali azioni.

Mentre negli anni ’70 l’associazionismo aveva lo scopo di garantire i minimali di qualità della vita, oggi si
tende a proteggere invece gli individui da pericoli connessi alle nuove tecnologie, inquinamento o
cambiamenti climatici. Il processo amministrativo tuttavia non sempre è stato capace di tutelare tali
bisogni; oggi più che mai l’individuo dovrebbe però essere posto al centro delle scelte pubbliche. Proprio
per questo motivo sono necessarie forme di informazione, consultazione, negoziazione, ed il giudice
amministrativo non può esimersi dal tutelare anche tali interessi meta-individuali, essendo questi non
riferibili ad alcun soggetto in particolare e dunque in astratto non giurisdizionalmente tutelabili.

Certamente il giudice non può porsi come tutore di tali situazioni, perché tale compito spetta alle
amministrazioni, ma in caso di loro cattiva gestione deve poter intervenire per soddisfare le esigenze della
società. L’ampliarsi della sfera dei soggetti legittimati a proporre ricorso, risulta essere il naturale
completamento degli strumenti di controllo dell’azione amministrativa, insieme a quelli di partecipazione
democratica.

La legittimazione speciale ex lege delle associazioni riconosciute

L’ordinamento ha previsto, soprattutto per le due categorie più importanti di interessi diffusi (tutela dei
beni ambientali e tutela del consumatore), un meccanismo astratto per individuare i soggetti collettivi
deputati a fare in modo che tali interessi vengano protetti.

È dunque prevista una speciale legittimazione ex lege per le associazioni che hanno ottenuto il
riconoscimento ministeriale in base a determinati requisiti (rappresentatività e democraticità) indicati negli
statuti. Tale legittimazione esiste a prescindere dalla dimostrazione della lesione di una posizione di
vantaggio qualificata dall’ordinamento.

Nella pratica però tale individuazione appare più complessa, ed è ancora una volta la giurisprudenza a
delimitarne gli aspetti, sulla base di un acceso dibattito non ancora risolto.

L’ampliamento della giustiziabilità degli interessi meta-individuali

La giurisprudenza ha cercato di allargare sempre più le maglie del processo amministrativo, applicando a
situazioni di vantaggio inidonee ad essere considerate nel processo, i caratteri della legittimazione ad agire
propria dei portatori di interessi legittimi.
Il criterio della vicinitas (o stabile collegamento) nacque nel 1970, quando il consiglio di stato decise
sull’interpretazione restrittiva che era stata data ad una legge che consentiva a chiunque di ricorrere contro
la licenza edilizia rilasciata ad altri soggetti.

La decisione dei giudici permise di ampliare l’area dei legittimati al ricorso, pur non introducendo ancora
un’azione popolare.

Soprattutto in passato i giudici amministrativi richiedevano da parte del ricorrente la prova dell’effettivo
pregiudizio subito, pregiudizialmente verificando la personalità e l’attualità della lesione subita. Ma
nell’attuale società tale schema non è più in grado di garantire effettiva tutela, e perciò una parte della
giurisprudenza amministrativa propende per accogliere una prospettiva di tutela più ampia.

L’ampliamento si è avuto prendendo le mosse dal concetto di “stabile collegamento”, sia ammettendo
anche pretese legate in modo più tenue al bene inciso,sia escludendo la valutazione preliminare sul
pregiudizio subito dal ricorrente.

Parte della dottrina fa derivare la tutela degli interessi meta – individuali dal disposto dell’art.118 Cost., che
riconosce l’apporto diretto dei singoli e delle loro formazioni sociali nella gestione diretta di attività
amministrative.

Si finisce così per riconoscere la legittimazione ad agire anche a comitati spontanei di cittadini, anche se
privi dei requisiti di rappresentatività e organizzazione necessari per il riconoscimento ministeriale.

Di segno opposto invece il Consiglio di Stato, che ha precisato che l’art.118 Cost. si riferisce a forme più
evolute di esercizio di attività amministrativa, e come tale non suscettibile di incidere sui cittadini della
funzione giurisdizionale.

Le azioni collettive

Il legislatore, per conformarsi anche ai principi comunitari, ha previsto l’istituzione di una nuova azione
azione processuale per rendere più efficace la giustizi abilità delle situazioni giuridiche a carattere diffuso.
Ha disciplinato dunque l’istituto dell’azione collettiva risarcitoria, che però purtroppo non sembra essere
chiara in quanto mutuata dall’ordinamento anglosassone, e difficilmente inseribile nella nostra realtà. Unici
soggetti legittimati a proporre l’azione sono gli organismi associativi, ossia le associazioni di categoria che
hanno ottenuto il riconoscimento ministeriale, e le associazioni e i comitati che pur privi dell’iscrizione
risultino adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi fatti valere.

Non si può dunque parlare di class action anglosassone, in quanto in quest’ultima anche un singolo
cittadino può proporre il giudizio anche nell’interesse di una pluralità di soggetti, mentre qui sono
legittimati solo centri di imputazione facenti capo ad organismi comunque rappresentativi.

Sembra in ogni caso però apprezzabile lo sforzo del legislatore nel senso di ampliare il novero dei soggetti
legittimati, sforzo che deve essere affiancato anche dalla sensibilità dei vari giudici nella valutazione del
criterio.

Tali soggetti sono legittimati a richiedere al tribunale del luogo in cui ha sede l’impresa l’accertamento dei
diritto al risarcimento del danno e alla restituzione delle somme spettanti ai singoli consumatori o utenti
nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti stipulati ex art.1342 c.c., ovvero in conseguenza di atti
illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali scorrette o di comportamenti anticoncorrenziali.

Certamente, spesso può essere molto difficoltoso valutare il contenuto patrimoniale di un interesse
collettivo, dovendo considerarsi il danno prodotto nella sua globalità. Da segnalare che il termine “impresa”
utilizzato, non esclude la pubblica amministrazione quando eserciti un’attività a carattere non autoritativo,
come nel caso di gestione diretta dei servizi pubblici.

La recentissima L.15/2009 ha dettato al Governo principi e criteri per disciplinare anche un’altra azione
collettiva, non a carattere risarcitorio, per consentire ad ogni interessato di agire in giudizio nei confronti
delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici per la lesione di interessi giuridicamente
rilevanti per una pluralità di utenti o consumatori, a causa della violazione di standard qualitativi o di
obblighi contenuti nelle carte dei servizi, per l’omesso esercizio dei poteri di vigilanza, controllo o
sanzionatori e per la violazione dei termini o la mancata emanazione di atti amministrativi generali.

La norma, che devolve il giudizio alla giurisdizione esclusiva e di merito del giudizio amministrativo, indica
tra i criteri direttivi la circostanza che la proposizione dell’azione sia consentita anche ad associazioni o
comitati a tutela dei propri associati.

Il giudizio deve però essere strutturato come quello d’ottemperanza, deve cioè essere preceduto da una
diffida all’amministrazione o al concessionario ad assumere, entro un termine fissato per legge, le iniziative
utili per soddisfare gli interessati.

All’esito del giudizio il giudice può ordinare all’amministrazione e al concessionario di porre in essere le
misure idonee a porre rimedio alle violazioni, alle omissioni o ai mancati adempimenti e, in caso di
perdurante inadempimento, può anche disporre la nomina di un commissario ad acta.

CAPITOLO III – GLI ATTI PROCESSUALI

Sezione prima: Nozioni generali

Gli atti processuali

La nozione di “atto processuale” nel processo amministrativo

Il processo è uno speciale tipo di procedimento che consiste in una sequenza di atti connessi perché
strumentalmente rivolti (direttamente o indirettamente) all’adozione di un provvedimento finale.

Tipologia degli atti processuali

Sono previsti 2 tipi di atti processuali: quelli di parte (istanze rivolte al giudice ed atti defensionali) e i
provvedimenti giudiziari (dotati di imperatività, ai quali le parti sono assoggettate. Questi ultimi si dividono
in atti preparatori e atti finali, di merito o di rito).

Forma e luogo degli atti processuali

Art. 121 c.p.c.: Libertà delle forme

Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella
forma più idonea al raggiungimento del loro scopo.

Quasi tutti gli atti sono per iscritto, nel caso in cui si ricorra ad atti orali, questi devono essere verbalizzati.
L’atto processuale per essere valido deve essere inoltre sottoscritto dall’autore.

Adempimenti relativi agli atti processuali

Gli atti processuali possono essere :


Registrati: sono annotati in pubblici registri alcuni dati contenuti negli atti giudiziari, per certificarne
l’avvenuto deposito. Non tutti gli atti sono comunque soggetti a registrazione

Acquisiti: operazione tramite la quale l’atto fa ingresso nel processo. È preso in consegna dall’ufficiale
giudiziario perché lo conservi a disposizione del giudice (l’atto è iscritto nel fascicolo).

Pubblicati: l’atto autentico è depositato nell’ufficio giudiziario. Si tratta dunque di una particolare forma di
deposito.

La notificazione

Può essere eseguita dagli ufficiali giudiziari o dai messi comunali, oppure dal 1994 dallo stesso avvocato,
purché munito di una procura speciale e autorizzato dal Consiglio dell’ordine forense. Si può notificare o
tramite posta, o personalmente.

La notificazione può riguardare persone fisiche o persone giuridiche. Nel primo caso, essa può essere
consegnata o direttamente nelle mani del destinatario (che l’ufficiale giudiziario rintraccia in base alla
residenza, dimora o domicilio dello stesso), oppure qualora esso non sia reperibile, la notificazione può
essere consegnata ad una persona di famiglia, all’addetto alla casa o all’ufficio, al portiere, ad un vicino, in
tutti casi l’atto dev’essere sottoscritto in originale e successivamente l’ufficiale giudiziario deve spedire
all’interessato un avviso, a mezzo raccomandata, della notifica. Qualora i soggetti sopra indicati si rifiutino
di prendere la copia dell’atto, o qualora non sia possibile reperirle, l’ufficiale giudiziario dovrà affiggere alla
porta della casa comunale l’avviso dell’avvenuto deposito (sarà ancora suo compito spedire un altro avviso
mediante raccomandata). Nel caso di persone giuridiche la notificazione verrà effettuata presso la sede
legale dell’azienda o presso il rappresentante o nelle mani di una persona eventualmente incaricata.

Si ha nullità della notificazione se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere
consegnata la copia, o se vi e’ incertezza assoluta sulla persona a cui e’ fatta o sulla data (art.160 c.p.c.).

L’udienza

Nel diritto amministrativo possono esservi pubbliche udienze (che è la regola generale) o adunanze
camerali (nei casi di giudizio di ottemperanza e misure cautelari. Possono essere presenti gli avvocati, ma
mai le parti personalmente).

Rinvio dell’udienza

Non vi alcuna norma che disciplini i rinvii, e il giudice amministrativo è restio a concederli per il principio
della concentrazione processuale (anche se ciò potrebbe cambiare, qualora si scegliesse di adottare
l’istruzione probatoria piena).

Il rinvio è tuttavia ammesso quando:

• Vi sia accordo tra le parti

• Ve ne sia richiesta dai una sola parte

• Sia ritenuto necessario dal giudice

Sezione seconda: Gli atti del giudice

Gli atti del giudice

Premessa
Gli atti del giudice sono classificati come decreti, ordinanze e sentenze

Ordinanze e decreti

Le ordinanze regolano lo svolgimento del processo ed in genere non hanno valenza decisoria (eccezioni:
ordinanza di convalida di sfratto o di rilascio dell’immobile). Di norma è modificabile e revocabile dal
giudice che l’ha emessa, inoltre deve essere brevemente motivata. Può essere pronunciata in udienza,
quindi risulta dal verbale, o fuori udienza nel qual caso è scritta in calce al verbale ed è datata.

Il decreto invece è una delle forme in cui si può presentare un provvedimento giurisdizionale.

A differenza della sentenza e dell’ ordinanza il decreto non presuppone il contraddittorio e viene emesso
quindi inaudita altera parte, sia perché può determinare un fatto processuale che necessariamente non
presuppone ancora la conoscenza della lite da parte del convenuto (es. decreto di fissazione dell’udienza di
discussione a seguito della presentazione di un ricorso), sia perché può risolvere una questione che, a causa
della sua urgenza, non consente la previa instaurazione del contraddittorio (es. decreto di sospensione
dell’efficacia di un atto avverso il quale è presentato ricorso).

Nei casi più ricorrenti il decreto ha funzioni ordinatorie, non presuppone l’insorgere di questioni tra le parti
e non ha bisogno di un contraddittorio (tranne qualche rara eccezione). Non ha bisogno di essere motivato
(anche qui sono contemplate delle eccezioni: ad esempio, decreto con cui si abbreviano i termini di
comparizione oppure di rigetto di ricorso avverso a decreto ingiuntivo) e può essere pronunciato d’ufficio o
su istanza di parte, orale o scritta (ricorso in calce al quale è, se accolta dal giudice, scritto il decreto),
presentata in udienza o fuori.

La sentenza

È provvedimento decisorio che può essere di rito, di merito, può decidere parzialmente il merito, può
essere definitiva o non definitiva. Sono irrevocabili dal giudice che le ha poste in essere, e devono
contenere: l’indicazione del giudice, l’indicazione delle parti, l’indicazione delle conclusioni delle parti (cosa
chiedono), lo svolgimento del processo, la motivazione e il dispositivo, la data, la sottoscrizione a pena di
nullità. È pubblicata mediante deposito in cancelleria e il cancelliere entro 5 giorni la comunica alle parti
costituite (senza notificazione), con un biglietto che contenga il dispositivo.

Inesistenza e invalidità degli atti processuali

artt. 156, 157, 159 c.p.c. e art.162 c.p.c. per quanto riguarda la rinnovazione degli atti e la correzione della
sentenza.

Art. 156 c.p.c.:

Non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non
è comminata dalla legge (principio della tassatività delle nullità).

Può tuttavia essere pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il
raggiungimento dello scopo (estensione).

La nullità non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato (limite). Art. 157
c.p.c.:
Non può pronunciarsi la nullità senza istanza di parte, se la legge non dispone che sia pronunciata d’ufficio
(principio cardine del processo, la nullità degli atti, a meno che la legge non preveda la rilevabilità d’ufficio,
può essere esaminata solo su istanza di parte: principio del dispositivo).

Soltanto la parte nel cui interesse è stabilito un requisito può opporre la nullità dell’atto per la mancanza
del requisito stesso, ma deve farlo nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso.

La nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa, né da quella che vi ha rinunciato anche
tacitamente.

Art. 159 c.p.c.:

La nullità di un atto non importa quella degli atti precedenti, né di quelli successivi che ne sono
indipendenti (limiti esterni).

La nullità di una parte dell’atto non colpisce le altre parti che ne sono indipendenti (limiti interni).

Se il vizio impedisce un determinato effetto, l’atto può tuttavia produrre gli altri effetti ai quali è idoneo
(conversione).

Art. 162 c.p.c.:

Rinnovazione e correzione degli atti invalidi

Il giudice che pronuncia la nullità deve disporre, quando sia possibile, la rinnovazione degli atti ai quali la
nullità si estende.

Se la nullità degli atti del processo è imputabile al cancelliere, all’ufficiale giudiziario o al difensore, il
giudice, col provvedimento col quale la pronuncia, pone le spese della rinnovazione a carico del
responsabile e, su istanza di parte, con la sentenza che decide la causa può condannare quest’ultimo al
risarcimento dei danni causati dalla nullità.

PARTE QUINTA – DINAMICA DEL PROCESSO

CAPITOLO I – PRESUPPOSTI PROCESSUALI E CONDIZIONI DELL’AZIONE

I presupposti processuali

I presupposti del processo

“Presupposto” significa requisito che deve esistere prima di un determinato atto perché da quell’atto
discendono determinate conseguenze. Riferendosi al rapporto giuridico processuale, i presupposti
processuali sono quei requisiti che debbono esistere prima dell’atto col quale si chiede la tutela
giurisdizionale, che è la domanda.

Essi si distinguono in: presupposti di esistenza e presupposti di validità o di procedibilità del processo.

I presupposti di esistenza del processo: requisiti che debbono sussistere prima della proposizione della
domanda perché la domanda stessa possa dar vita ad un processo. È costituito da un unico requisito:
la giurisdizione, ossia che quel soggetto al quale la domanda verrà proposta, sia un giudice, e quindi sia
dotato del potere di giudicare.

I presupposti di validità o procedibilità del processo: requisiti che debbono esistere prima della
proposizione della domanda, affinché il giudice sia tenuto a rendere una pronuncia che giunga fino al
merito. Essi sono due: la competenza, e quindi che il giudice abbia effettivamente il potere di decidere
quella controversia; la legittimazione processuale, ossia il potere di compiere atti nel processo, con
riguardo sia al soggetto che chiederà la tutela giurisdizionale sia a quello nei cui confronti la domanda verrà
proposta.

Esiste un altro ordine di requisiti che non sono presupposti perché la loro esistenza non è richiesta prima
della proposizione della domanda, ma della domanda stessa costituiscono requisiti intrinseci con riguardo
al suo contenuto: le condizioni dell’azione.

Le condizioni dell’azione sono tre:

Possibilità giuridica (o esistenza del diritto): che consiste nella esistenza di una norma che contempli in
astratto il diritto che si vuol far valere.

Interesse ad agire (art. 100 c.p.c.): l’interesse per cui si agisce o contraddice deve essere concreto (ossia
deve sussistere concretamente) ed attuale (ossia deve esistere al momento della pronuncia del giudice).
Mancando l’interesse ad agire, il giudice non avrà motivo di portare il suo esame sul merito, ma dovrà
arrestarsi al rilievo di tale difetto: difetto di interesse e, quindi, difetto di azione.

Legittimazione ad agire: consiste nella corrispondenza tra colui che agisce (attore) ed il titolare del diritto
fatto valere, e tra colui contro il quale si agisce (convenuto) ed il soggetto che ha violato tale diritto. Si
possono far valere soltanto quei diritti che si affermano come diritti propri e la cui titolarità passiva si
afferma in capo a colui contro il quale si propone la domanda. Quindi “un soggetto agisce in nome proprio
per un proprio diritto”. Tale condizione, si può desumere, indirettamente, dall’art. 81 c.p.c., secondo cui
“fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un
diritto altrui”. Si parla di legittimazione straordinaria1 o sostituzione processuale. Un esempio di
legittimazione straordinaria è l’azione surrogatoria, prevista dall’art. 2900 c.c., a favore del creditore nel
caso che il debitore trascuri di far valere i propri diritti.

Capacità di essere parte:

La capacità di essere parte è la trasposizione in chiave processuale della capacità giuridica; se non si è
soggetti di diritto non si può ricorrere, ne resistere, ne assumere le vesti delle altre parti del giudizio; essere
titolare del diritto di azione.

Capacità processuale e legittimità processuale:

Se la parte si afferma come titolare del diritto dedotto in giudizio si dice parte legittimata ad agire;

Se la parte, invece, ha il potere di proporre domanda è legittimata ad processum, ossia ha la legittimazione


processuale per esercitare i poteri e le facoltà che l’ordinamento le riconosce fino alla pronuncia di merito
della causa.

La tutela del diritto di accesso

• Ex. Art. 25, l.n.241/1990 il cittadino interessato può richiedere l’accesso ad atti e documenti che lo
riguardano o che siano utili per la tutela dei propri interessi e diritti;

• Di fronte ad un diniego od al silenzio della p.a., il cittadino proporre ricorso al Tar, in sede di
giurisdizione esclusiva (data la qualifica del diritto di accesso come diritto soggettivo);

• Il ricorso deve essere notificato ai soggetti contro interessati all’accesso a pena di inammissibilità,
data la delicatezza di alcuni contenuti.

• Il giudice, valutata la legittimità della richiesta (cioè del diritto in capo al ricorrente), può imporre
alla p.a. di esibire il documento (obbligo specifico);
• La p.a. può adempiere spontaneamente adeguandosi al giudicato o, nel caso dell’inerzia sarà
necessario il giudizio di ottemperanza.

La giurisdizione e la competenza: rinvio

La giurisdizione si caratterizza per l’insieme dei rapporti cognitori, cautelari, istruttori e decisori attribuiti ad
un ordine giurisdizionale. Nelle controversie in cui è parte pubblica amministrazione vi sono due ordini
giurisdizionali: il giudice ordinario e quello amministrativo. L’erronea individuazione del giudice comporta
una pronunzia di difetto di giurisdizione.

La competenza serve invece per distribuire, in base a regole predeterminate, la giurisdizione dai diversi
giudici che compongono lo stesso ordine giurisdizionale, ed il suo difetto comporta il giudice adito dichiari
la propria incompetenza consentendo all’interessato di riproporre la domanda davanti al giudice
competente. Nel giudizio amministrativo di primo grado la competenza a tre diversi Tar è regolata per
territorio, ed è generalmente derogabile, per cui l’incompetenza se non è sollevata entro i termini stabiliti,
si radica.

La capacità di essere parte e la capacità processuale

La capacità di essere parte: è una manifestazione della capacità giuridica. Possono essere parte le persone
fisiche e quelle giuridiche. La capacità di assumere il ruolo di parte nel processo va distinta dalla capacità di
stare in giudizio, in proprio o in rappresentanza di un altro soggetto (legitimatio ad processum): la prima è
manifestazione della capacità giuridica, la seconda è la proiezione sul piano processuale della capacità
d’agire. Questa spetta solo alle persone fisiche che abbiano il libero esercizio dei diritti.

La legittimazione ad agire e le legittimazioni formali

La capacità di stare in giudizio, a sua volta, non va confusa con la legittimazione ad agire (legitimatio ad
causam: condizione dell’azione: consiste nella titolarità della situazione giuridica fatta valere) e con lo ius
postulandi o rappresentanza in giudizio (le parti non possono stare in giudizio se non con l’assistenza di un
avvocato): essi non rientrano comunque tra i presupposti processuali.

L’interesse al ricorso

L’interesse alle ricorso è l’utilità concreta, anche solo morale, che la sentenza favorevole può recare alla
situazione giuridica soggettiva di cui si affermi la lesione. È elemento necessario e consente altro
movimento dell’azione soltanto colui che ne ha interesse. L’azione processuale dell’interesse alle ricorso ha
il suo fulcro concettuale nell’utilità, nel vantaggio, che la sentenza favorevole può recare alle ricorrente.
L’interesse per il personale, deve quindi riguardare direttamente il ricorrente; deve essere diretto, cioè la
lesione deve derivare immediatamente dal provvedimento impugnato o dal comportamento contestato; ed
essere attuale, per cui occorre che la lesione dell’interesse sia già avvenuta, non richieda l’emanazione di
provvedimenti successivi, non dipenda da avvenimenti futuri ed incerti, venga riparata dalla sentenza,
sussista al momento della decisione. quando il giudice dichiara la carenza di interesse non valuta il merito,
ma tale pronuncia non consente la riproposizione della domanda: per questo l’interesse alle ricorso è
annoverato tra le condizioni dell’azione e non tra i presupposti.

Gli atti impugnabili

Inizialmente il ricorso era ammesso solo contro un atto amministrativo definitivo, ma dal 1971 può essere
impugnato anche un atto non definitivo; è necessario però impugnare un atto amministrativo nel giudizio
di annullamento per la tutela dell’interesse legittimo. Non tutti gli atti amministrativi sono impugnabili: non
sono impugnabili gli atti endoprocedimentali, accessori, preliminari, istruttori. Si è formata una tipologia di
atti non impugnabili, caratterizzati da precisi elementi, frutto di elaborazione giurisprudenziale. Questi
sono:
• gli atti esecutivi che e seguono materialmente quanto stabilito in un precedente provvedimento

• gli atti conseguenziali, se sono un mero svolgimento di atti presupposti non impugnati

• gli atti regolamentari che contengono norme generali ed astratte, non determinanti una lesione
attuale e concreta

• gli atti confermati ivi i precedenti atti

• gli atti di proroga se il ricorso riguarda l’assetto degli interessi determinato dall’atto prorogato non
impugnato Tale indicazione funge solo da esempio, e non preclude che vengano individuati altri atti
non impugnabili.

Il silenzio

La prima dottrina, per tutelare i privati quando la Pa non adottava alcun provvedimento, lo costruiva come
silenzio-rifiuto (provvedimento negativo). Ma il silenzio è patologia della PA, che in ogni caso deve
esercitare il potere che le spetta.

Quindi il silenzio diviene significativo sulla base delle norme che possono attribuire a questo effetti positivi
(silenzio-assenso) o negativi (silenzio-diniego).

Se invece mancano tali previsione normative, si può ricorrere al giudice se la PA non conclude nei termini il
procedimento amministrativo (silenzio-rifiuto o silenzio-inadempimento).

CAPITOLO II – LO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO DI PRIMO GRADO

Sezione prima: Lo svolgimento del processo di primo grado

Il ricorso introduttivo, collettivo, cumulativo e cumulo di azioni

Il ricorso introduttivo

Anche nel processo amministrativo vige il principio della domanda e dell’impulso di parte.

La domanda giudiziale assume, nel processo amministrativo, la forma del ricorso, proveniente dalla
persona che invoca la tutela, ed è indirizzata al giudice competente. Il ricorso si riempie di contenuto
variabile in ragione del tipo di azione che viene esperita; così, nelle azioni di tipo costitutivo, esso è volto ad
ottenere dal giudice l’annullamento del provvedimento, ovvero, nelle ipotesi di giurisdizione di merito, la
modifica o la sostituzione del provvedimento medesimo

È un’istanza rivolta dall’interessato per ottenere l’annullamento, la modifica o la revoca dell’atto per i
motivi in esso indicati.

Il ricorso deve contenere:

-L’epigrafe: Nome, cognome, residenza e domicilio del ricorrente

-L’indicazione dell’atto di cui si chiede l’annullamento

-Data della sua notificazione

-Svolgimento del ricorso: Esposizione sommaria dei fatti e dei motivi del ricorso. Si devono indicare gli
artt.di legge che si ritengono violati e le conclusioni (la domanda principale e quella connessa sulle spese
del giudizio)
-I motivi: elemento essenziale. Vincola non solo il ricorrente, ma anche il giudice per il principio della
domanda (eccezione: i motivi aggiunti)

-Sottoscrizione: Dei ricorrenti e del difensore o procuratore speciale, con l’indicazione del mandato
invalidità del ricorso: Il ricorso è insanabilmente nullo se manca della sottoscrizione, o se vi sia incertezza
assoluta sulle persone o sull’oggetto della domanda (nullità non rilevabile dalla parte che vi ha dato causa.
Determina l’inammissibilità del ricorso ed è rilevabile d’ufficio).

Se l’intimato comunque si costituisce, la nullità è sanata. Il giudice può tuttavia chiedere la rinnovazione
della notifica del ricorso.

Il ricorso collettivo, ricorso cumulativo e cumulo di azioni

Domanda proposta da più soggetti con un unico atto introduttivo (CUMULO SOGGETTIVO) — RICORSO
COLLETTIVO

Un unico atto introduttivo racchiude più domande giurisdizionali (CUMULO OGGETTIVO) -> Con un unico
atto si impugnano provvedimenti diversi (anche provenienti da PA diverse) che però disegnano
congiuntamente un effetto lesivo per il ricorrente (RICORSO CUMULATIVO

La dottrina e la giurisprudenza hanno individuato limiti alla loro proponibilità:

Ricorso collettivo:

Anche quando più soggetti impugnano un atto plurimo (più provvedimenti diretti a più persone) chiedendo
ciascuno l’annullamento della parte che lo pregiudica; o quando più soggetti nella stessa posizione giuridica
propongano con un’unica azione la stessa domanda giudiziale.Ma non vi deve essere conflitto di interessi
tra i ricorrenti e la causa petendi e il petitum devono essere comuni a tutti i ricorrenti.

Le condizioni di ammissibilità riguardano singolarmente ogni ricorrente e l’iniziativa processuale è


individuale. Ricorso cumulativo:

Anche quando si propongano più domande giudiziali differenti (ad es. azione impugnatoria e di condanna)
o quando l’atto introduttivo si fonda su più causae petendi.

La giurisprudenza ammette solo i ricorsi cumulativi per cause connesse, mentre la dottrina ammette anche
il litisconsorzio facoltativo improprio (connessione impropria).

Se si verifica la compresenza del cumulo soggettivo e di quello oggettivo insieme, si proporranno ricorso
collettivo e cumulativo insieme.

Il cumulo oggettivo può verificarsi anche durante il giudizio (es. per i motivi aggiunti).

Il termine per la proposizione del ricorso. La notificazione. La proposizione dei motivi aggiunti

Il termine per la proposizione del ricorso. La notificazione

Il ricorso deve essere notificato, a pena di inammissibilità, all’Amministrazione che ha emanato l’atto
impugnato e ad almeno uno dei controinteressati, entro sessanta giorni dalla comunicazione, o
pubblicazione o piena conoscenza dell’atto impugnato. La notifica ad un’Amministrazione statale deve
essere effettuata presso l’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede il TAR competente, se giudice
competente è il TAR del Lazio o il Consiglio di Stato, la notifica deve essere effettuata presso l’Avvocatura
Generale dello Stato che ha sede a Roma.
Il termine perentorio di sessanta giorni riflette esigenze di certezza delle situazioni giuridiche, per
l’Amministrazione e soprattutto per i cittadini interessati che possono aver prestato affidamento nel
provvedimento in questione. Il termine decorre dalla comunicazione (o notificazione) dell’atto
amministrativo, per i diretti destinatari; dalla pubblicazione su albo o pubblicazione ufficiali per i non diretti
destinatari. Ai fini della decorrenza del termine, è equipollente della comunicazione per pubblicazione
dell’atto la “piena conoscenza” dello stesso, essa però non consiste nella conoscenza completa dell’atto
amministrativo, e quindi del suo testo e di tutti i suoi vizi, ma consiste solo nella conoscenza dei contenuti
essenziali dell’atto, in modo che l’interessato sia in grado di coglierne la lesività.

Se il ricorrente viene a conoscenza solo in un secondo tempo di determinati altri vizi del provvedimento
impugnato, può farli valere con il ricorso per motivi aggiunti: i motivi aggiunti vanno proposti con un atto
da notificare alle altre parti, entro sessanta giorni dal momento in cui si abbia avuto conoscenza legale del
vizio del provvedimento impugnato. La piena conoscenza è in ogni modo acquisito alla comunicazione. La
prova dell’avvenuta conoscenza incombe su chi eccepisce la tardività del ricorso.

Nei casi di giurisdizione esclusiva il termine è quello di prescrizione ordinaria del diritto soggettivo che si fa
valere. Per il diritto d’accesso, il termine è di 30 giorni.

I ricorsi sono in ogni caso sospesi dal 1° Agosto al 15 settembre, tranne che per le istanze cautelari. È inoltre
prevista la remissione in termini.

La proposizione dei motivi aggiunti

I motivi aggiunti possono essere proposti dal ricorrente che sia venuto incolpevolmente (per motivi non
imputabili a sua inerzia o negligenza) a conoscenza di ulteriori vizi di legittimità dell’atto impugnato, dopo il
decorso del termine decadenziale per la proposizione dell’impugnazione.

Infatti possiamo distinguere tra:

1. Motivi aggiunti tempestivi (o integrativi), che sono il supplemento del ricorso, cioè attraverso i
quali il ricorrente fa valere nuovi profili di illegittimità conosciuti dopo la proposizione del ricorso
ma prima della scadenza del termine per l’impugnazione;

2. Motivi aggiunti successivi, che possono essere presentati per i seguenti motivi: quando il privato,
dopo la proposizione del ricorso, viene a conoscenza di circostanze che erano preesistenti ma a lui
ignote; quindi per tutto ciò che viene dopo la proposizione del ricorso.

Può accadere, infatti, che l’amministrazione abbia inizialmente comunicato soltanto gli estremi essenziali
del provvedimento, ovvero abbia reso disponibili gli atti del procedimento soltanto dopo la scadenza del
suddetto termine.

La Legge n. 205/2000 ha esteso l’utilizzabilità dell’istituto per l’impugnazione degli ulteriori provvedimenti
adottati dall’amministrazione resistente in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all’oggetto
dell’impugnativa. Solo per tale ultima categoria di motivi aggiunti, si ritiene che il difensore debba essere
munito di apposito mandato.

I motivi aggiunti si propongono con atto da notificarsi alle parti in causa.

Dai motivi aggiunti debbono tenersi distinti i “motivi nuovi”, che possono essere proposti in aggiunta a
quelli articolati nel ricorso, ma entro il termine decadenziale ed ammessi senza limiti, purché siano
rispettate le medesime formalità prescritte per il ricorso.
B) Ora:

Si sollevano con un atto nuovo, da notificare con le stesse modalità del ricorso. Possibili in due ipotesi:

Quando sono fondati su fatti e documenti sconosciuti al ricorrente al momento della proposizione del
ricorso Quando scaturiscono dai provvedimenti adottati in pendenza di ricorso tra le stesse parti, e sono
connessi all’oggetto del ricorso medesimo.

Questa ipotesi è stata introdotta nel ’71, ed è ampliativa rispetto alla fattispecie tradizionale.

La connessione può essere sia oggettiva (non in senso proprio, ma più nel senso di legame logico-giuridico)
che soggettiva.

I requisiti formali per formulare i motivi aggiunti sono quelli propri del ricorso, inoltre è necessario indicare
gli estremi del giudizio nel quale si innestano.

Da proporre nello stesso termine del ricorso principale. Se si è in prossimità dell’udienza, si rinvia ad una
nuova.

La notifica deve essere effettuata al domicilio eletto delle parti già costituite.

È comunque revocabile dalla parte che l’ho proposta, e così facendo la causa è cancellata dal ruolo.

Il decreto di fissazione del giorni dell’udienza deve essere notificato alle parti almeno 40 giorni prima della
data dell’udienza. Non vi è un termine massimo per fissare l’udienza, ma in ogni caso questo deve essere
breve se vi è una situazione d’urgenza.

Costituzione in giudizio. Integrazione del contraddittorio

Costituzione in giudizio

La costituzione in giudizio del ricorrente si attua mediante il deposito del ricorso presso la segreteria del
TAR. Entro venti giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, ossia entro cinquanta giorni
dall’ultima notifica del ricorso, l’Amministrazione resistenze e i controinteressati che hanno ricevuto la
notifica del ricorso possono costituirsi in giudizio, depositando una memoria con le loro difese e istanze
istruttorie (c.d. controricorso) e i relativi documenti.

Entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso i controinteressati possono
proporre ricorso incidentale, il quale deve essere notificato alle parti entro sessanta giorni.

I termini per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente non sono perentori: la costituzione di esse può
intervenire fino all’udienza di discussione del ricorso, è invece perentorio il termine per il ricorso
incidentale.

Indipendentemente dalla sua costituzione in giudizio, l’Amministrazione è tenuta a depositare in giudizio,


entro sessanta giorni dal termine per il deposito del ricorso, “l’eventuale provvedimento impugnato,
nonché gli atti e i documenti in base ai quali è stato emanato, quelli in essa citati e quelli che
l’Amministrazione ritiene utili in giudizio”. La legge intende, a tal stregua, accelerare il giudizio,
consentendo alle parti di venire a conoscenza degli atti del procedimento amministrativo fin dalla prima
fase dello stesso. Se l’Amministrazione non provvede al deposito, il presidente del TAR, o un magistrato da
lui delegato, può ordinare anche d’ufficio, l’esibizione degli atti stessi.

Integrazione del contraddittorio

Una volta instaurato il giudizio, chi ha interesse può intervenire.


L’intervento va proposto con apposito atto, che deve essere notificato alle altre parti e poi depositato
presso il TAR avanti al quale pende il giudizio.

Se il ricorso principale non è stato notificato a tutti i controinteressati, ma è stato notificato ad almeno uno
di essi, il giudice amministrativo deve ordinare l’integrazione del contraddittorio, fissando un termine
(perentorio) ed eventualmente le modalità per la notifica del ricorso da parte del ricorrente agli altri
controinteressati.

Perché il ricorso possa essere deciso è però necessario, di regola, che sia richiesta, con apposita istanza, la
discussione del ricorso stesso. In difetto di questa istanza scaduto il termine di due anni dal deposito del
ricorso quest’ultimo cade in perenzione: di conseguenza la sua presentazione perde ogni effetto,
travolgendo anche eventuali provvedimenti cautelari ottenuti nel frattempo, e il giudizio si estingue.

Il ricorso incidentale e la tutela dei controinteressati. Ricorso contro il silenzio

Il ricorso incidentale e la tutela dei controinteressati

Il ricorso incidentale è l’atto processuale con cui il controinteressato può impugnare il provvedimento
stesso o un provvedimento connesso per i vizi che, in caso di accoglimento, potrebbero produrre un
risultato favorevole.

La legge sul C.D.S. impone che tutte le impugnazioni successive alla prima debbano essere poste in essere
con ricorso incidentale. Ciò per ragioni pratiche di economia processuale che tende alla concentrazione
delle azioni, ma anche per evitare contrasti di giudicato. Successivamente alla prima impugnazione, quindi,
colui che riceve la notifica del ricorso deve, se vuole impugnare a sua volta il provvedimento, proporre
ricorso incidentale ai sensi dell’art. 37 t.u leggi sul CDS e 22 della legge T.A.R.; il ricorso incidentale va
proposto quando si vuole chiedere l’annullamento del provvedimento in una parte diversa rispetto a
quanto chiesto dal ricorrente principale oppure per annullare un atto presupposto del provvedimento
impugnato in via principale. Deve essere presentato entro 30 giorni dalla notificazione del ricorso
principale.

Esempi:

1. Ricorso incidentale per richiedere l’annullamento in parti diverse del provvedimento impugnato in
via principale.

Tizio ha partecipato ad un concorso pubblico senza rientrare in graduatoria, impugna quindi tale atto
sostenendo che la valutazione posta in essere dalla commissione giudicante è errata perché se fosse stata
corretta egli avrebbe avuto un punteggio superiore. Poniamo il fatto che a ottenere beneficio dalla
graduatoria sia stato Caio, se quest’ultimo vuole evitare di perdere il posto in graduatoria può prima di
tutto presentare un controricorso, un atto cioè in cui si controbatte alle posizioni del ricorrente. Ma Caio
ben potrebbe presentare un ricorso incidentale con il quale non controbatte la tesi del ricorrente ma
introduce nuove argomentazioni con le quali ad esempio sostiene che anche la sua valutazione è stata
errata e che se fosse stata corretta egli avrebbe avuto un punteggio ancora più alto tanto da renderlo
ancora vincitore nei confronti di Tizio nella graduatoria.

1. Ricorso incidentale volto a richiedere l’annullamento di un atto presupposto del provvedimento


impugnato. Tizio impugna la concessione edilizia grazie alla quale Caio ha costruito un’abitazione
confinante con Il primo. Tizio deduce nel ricorso che il provvedimento di concessione edilizia sia
illegittimo perché contrastante con le norme del piano regolatore . Caio propone invece ricorso
incidentale sostenendo che il piano regolatore è illegittimo perché contrastante con una legge
regionale che ne disciplina il contenuto e che se fosse stato legittimo la concessione edilizia non
sarebbe stata contrastante con il piano regolatore impugnato da Tizio.

Ricorso contro il silenzio

L’interessato può essere danneggiato non da un atto ma da un’omissione. Un modo per risolvere la
questione è dare al silenzio valore di assenso (non si può fare in ambito culturale o paesaggistico,
ambientale, di pubblica sicurezza, salute e incolumità pubblica, difesa nazionale, pubblica sicurezza o
immigrazione). C’è poi l’ipotesi del silenzio rifiuto (D.lgs. 35/2005): tale silenzio può essere subito
impugnato davanti al giudice amministrativo senza fare diffida ad adempiere. In tal caso il giudice può
anche valutare se il provvedimento richiesto spetti effettivamente al ricorrente o no, sostituendosi
all’amministrazione. Da questo accertamento deriva alla PA un obbligo di rilasciare il provvedimento con
quel contenuto.

La l.n. 205/2000 ha introdotto un’ulteriore tutela per il privato: scaduto il termine per il deposito (30 giorni
da notifica), il ricorso va decisono nei successivi 30 giorni con sentenza succintamente motivata; tale
sentenza è appellabile entro 30 giorni dalla notificazioni o 90 giorni da comunicazione della pubblicazione.
Se il giudice accoglie il ricorso, ordina all’amministrazione di provvedere entro 30 giorni. Se
l’inadempimento persiste, il giudice su richiesta del ricorrente nomina un commissario perchè provveda in
luogo della PA. Dal 2005 il giudice può anche provvedere direttamente, senza passare per la nomina del
commissario.

Il Consiglio di Stato ha ridimensionato la portata dei poteri del giudice: ‘accertamento sull’istanza su cui la
PA ha mantenuto il silenzio è ammissibile solo quando l’atto richiesto è dovuto o vincolato o quando
l’istanza è del tutto infondata (perchè sarebbe diseconomico obbligare la PA a provvedere quando l’atto
non potrà essere che di rigetto). Per quanto riguarda i terzi che si ritengono lesi da una DIA, secondo alcuni
decorsi 30 giorni dalla comunicazione della DIA si formerebbe un’autorizzazione tacita, impugnabile davanti
al TAR entro 60 giorni. Un’altra tesi (preferibile) dice che il terzo che si considera leso ha l’onere di
sollecitare l’amministrazione a inibire l’attività del privato; solo l’eventuale silenzio-diniego mantenuto
dall’autorità sarebbe impugnabile.

La tutela cautelare

Fino al 2005 la tutela cautelare è sempre stata individuata nella sospensione del provvedimento
impugnato. Con la legge 205 del 2000 il legislatore ha introdotto maggiori forme di tutela cautelare più
adeguate alle differenti situazioni del processo amministrativo. L’art.39 del T.U. Cons. di Stato stabilisce che
“i ricorsi in via contenziosa non hanno effetto sospensivo” ma “per gravi ragioni” e su richiesta del
ricorrente” può essere disposta la sospensione del provvedimento che si assume lesivo di una situazione
giuridica soggettiva.

Allo stesso modo, anche l’art. 21 della legge Tar, come modificato dalla riforma del 2000. È nel 2000 che la
tutela cautelare subisce grandi modifiche: l’art. 3 della legge 205/2000, ha aggiunto all’unica misura
cautelare prevista e cioè la sospensione, altre ipotesi attraverso cui attuare la tutela cautelare. Mentre
prima non vi era nessuno spazio per una tutela cautelare che non fosse tipica, l’art. 3 ha avuto il compito di
introdurre le “misure cautelari atipiche”: come si legge dallo stesso articolo, il soggetto potrà quindi
chiedere “l’emanazione di misure cautelari (…) che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad
assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso”.
In base ai principi generali la concessione della misura cautelare da parte del giudice presuppone
l’accertamento di due requisiti :

– fumus boni iuris. Consiste in una valutazione sommaria sul merito della pretesa fatta valere dal cittadino
con l’impugnazione in cui il giudice realizza una “ragionevole previsione sull’esito del ricorso ” in cui si ad

un sommario esame emerga una ragionevole probabilità sul buon esito del ricorso.
– periculum in mora. Si identifica con la probabilità di “danni gravi e irreparabili” derivanti dal
provvedimento impugnato; tali danni devono essere specificatamente allegati dal ricorrente nell’istanza di
sospensione e perciò il giudice non può d’ufficio ipotizzarne l’esistenza né introdurli nel processo. Prima
della decisione del ricorso, il ricorrente che ne abbia interesse al fine di non pregiudicare la sua situazione
fa istanza cautelare. La misura cautelare eventualmente concessa, avrà effetto fino alla pronuncia della
sentenza di merito: è questo l’effetto interinale della misura cautelare.

L’istanza può essere proposta in via ordinaria o in via urgente.

Nel primo caso, una volta ricevuta l’istanza cautelare e trascorsi almeno dieci giorni dalla notifica della
domanda, la stessa viene discussa in Camera di Consiglio, a cui possono partecipare i difensori delle parti. Al
termine di questo procedimento, il collegio provvederà quindi con una ordinanza motivata, a norma
dell’art. 21, co. 8, legge Tar.

Nel secondo caso, (art. 21, co.9, legge Tar) caratterizzato dalla “estrema gravità ed urgenza” delle
situazione ” tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio, il ricorrente
può, contestualmente alla domanda cautelare o con separata istanza notificata alle controparti, chiedere al
presidente del tribunale amministrativo regionale, o della sezione cui il ricorso è assegnato, di disporre
misure cautelari provvisorie. Il presidente provvede con decreto motivato, anche in assenza di
contraddittorio.

Il decreto è efficace sino alla pronuncia del collegio, cui l’istanza cautelare è sottoposta nella prima camera
di consiglio utile”. In questo caso la situazione di estrema gravità è tale che il Presidente emetta un decreto
senza il rispetto del contraddittorio. In Camera di Consiglio, il collegio deciderà poi se confermare o meno il
decreto presidenziale con l’ordinanza emessa all’esito della camera di consiglio.

In ogni caso, nel processo amministrativo la tutela cautelare è sempre un incidente processuale nell’ambito
della proposizione del ricorso principale. Essa può essere proposta o nello stesso ricorso o con atto
separato da notificare alle parti del giudizio, ma sempre nell’ambito del ricorso principale, a differenza di
quanto avviene nel processo civile (per esempio, art.700 del codice di rito).

Solo recentemente, sulla spinta della giurisprudenza della Corte di giustizia europea (nonostante la Corte
Costituzionale nel 2002 fosse intervenuta a dichiarare costituzionalmente legittima la mancanza di una
tutela cautelare ante causam) è stata introdotta una tutela cautelare “indipendente”, con il d.lgs. 12 aprile
2006, il cd. codice dei contratti pubblici. L’ordinanza cautelare a contenuto decisorio è impugnabile al
Consiglio di Stato, entro 60 giorni dalla notifica della misura o entro 120 dalla comunicazione dell’avvenuto
deposito della stessa presso la segreteria del Tribunale, a norma dell’art. 28 della legge Tar (prima non era
ammesso l’appello contro l’ordinanza cautelare).

È inoltre possibile, su istanza di parte, chiedere la revoca dell’ordinanza ma solo per sopravvenienza di
motivi nuovi come il mutamento della situazione di fatto e il mutamento della situazione di diritto. Nel caso
in cui l’amministrazione non ottemperi a quanto stabilito nell’ordinanza, la parte interessata può adire il
giudice e richiedere l’adozione di misure attuative >(art.21, co. 14, legge Tar, come modificato dall’art.3
legge 205/2000).
In conclusione il giudice sospende o l’efficacia o la sospensione dell’atto, ma non sospende l’atto
amministrativo.

Il deposito del ricorso notificato. L’integrazione del contraddittorio. L’intervento

Il deposito del ricorso notificato e la costituzione in giudizio del ricorrente

Nel processo amministrativo l’instaurazione della rapporto tra organo giudicante e parti si realizza con la
costituzione in giudizio. Per quanto riguarda il ricorrente, la costituzione si realizza con il deposito, presso la
segreteria del giudice adito, dell’originale delle ricorso con la prova delle avvenute notificazioni e della
procura del difensore e conferita con atto separato dall’atto del ricorso. Il deposito, da effettuarsi entro 30
giorni dall’ultima notifica, costituisce il momento rispetto al quale va valutata la litispendenza e la
perpetuatio jurisdictionis.

La costituzione delle parti diverse dal ricorrente

Avviene mediante deposito di una memoria difensiva (il controricorso) 20 giorni dalla data di scadenza del
deposito del ricorso.

La domanda di fissazione di udienza

Il giudizio prende avvio concreto con il deposito della domanda di fissazione d’udienza ad opera della parte
che vi abbia interesse, e quindi di una qualunque delle parti costituite presso l’ufficio giurisdizionale adito.
Tale domanda è sempre revocabile dalla parte che l’ha presentata: in tal caso il ricorso viene cancellato dal
ruolo e non può essere assunto cognizione se non a seguito della presentazione di una nuova domanda di
discussione.

L’integrazione del contraddittorio. L’intervento

Nel processo amministrativo l’intervento se ADESIVO (ad adiuvandum o ad opponendum) non è soggetto a
termini. L’intervento principale e litisconsortile invece sono ammessi purché in termini di ricorso.

La domanda di intervento deve essere presentata entro 10 giorni prima dell’udienza, da notificarsi come il
ricorso, da depositarsi presso la segreteria del TAR entro 20 giorni dall’ultima notificazione (per i giudizi
davanti al Consiglio di Stato, il termine prima era di 2 giorni, ma dal 2000 esteso a 10).

Può avere interesse ad intervenire in modo adesivo:

Sia chi dall’annullamento dell’atto può ricevere un vantaggio indiretto

Sia colui che dall’atto impugnato possa prevedere un danno solo eventuale

IN ogni caso con l’intervento adesivo non si può estendere il thema decidendum oltre il limite di ciò che è
stato già fissato dal ricorrente con il ricorso principale.

Inoltre va notificato a tutte le parti e alla PA, anche se non costituita. Deve essere poi depositata entro 20
giorni. Nel giudizio d’appello possono partecipare tutti quelli che hanno preso parte al primo grado, e
coloro che ritengono di essere in qualche modo pregiudicati dalla sentenza. Non può partecipare invece chi
non ha impugnato (o proposto ricorso in primo grado come cointeressati) perché decaduti dai termini (si è
prestata acquiescenza).

Il ricorso incidentale

Strumento offerto al contro interessato intimato per impugnare l’atto in quella parte che non è stata
impugnata dal ricorrente, ed eventualmente per motivi diversi. E’:

Consentito solo ai contro interessati e non alla PA (se riconosce che il proprio atto è illegittimo, lo può
annullare, non impugnarlo)

Proponibile solo nei confronti dell’atto già impugnato con ricorso principale Non è proponibile dal
ricorrente principale

Accessorio rispetto al ricorso principale. Se questo è irricevibile o inammissibile, lo sarà anche quello
incidentale (inefficace)

Le dottrine più recenti propendono per estendere la possibilità di proporre il ricorso incidentale ai contro
interessati sia formali che sostanziali.

Sezione seconda: La fase cautelare

La fase cautelare

La norma sulla sospensione del provvedimento impugnato

Prima della L.205/2000 vi era una sola misura cautelare e tipica, la sospensione dell’esecuzione del
provvedimento impugnato.

Nel 1985 la Corte Cost. aveva stabilito che nelle materie di pubblico impiego il giudice amministrativo
potesse adottare i provvedimenti più idonei per assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul
merito. Ma in ogni caso fu data a tale istituto scarsa applicazione.

Le norme che regolavano la tutela cautelare erano così riassunte: “Il giudice amministrativo sospende
l’esecuzione del provvedimento amministrativo quando il ricorrente alleghi danni gravi ed irreparabili”. Le
norme che la regolavano erano poche, poiché la misura cautelare era vista come un incidente di percorso di
scarsa applicazione.

Ma successivamente vi fu una forte domanda di giustizia amministrativa, è ciò comportò giudizi troppo
lunghi, e necessità di tutela urgente.

Ma alla base del processo amministrativo vi era l’impugnazione del provvedimento amministrativo e la
misura cautelare tipica era la sospensione di questo.

L’atto della PA era considerato lesivo perché idoneo a produrre modifiche unilaterali nella sfera giuridica
del destinatario. Me tale configurazione era inadeguata quando oggetto dell’impugnazione era un
provvedimento negativo della PA (diniego di autorizzazione) o il suo silenzio. Qui la sospensione del
provvedimento era inutile e tali situazioni rimanevano prive di tutela.

L’interpretazione della norma nella giurisprudenza

L’evoluzione della giurisprudenza è stata di ampliare la possibilità di tutela cautelare.


Nel 1940: si procede a distinguere tra esecuzione istantanea e continuativa (solo la seconda poteva essere
sospesa).

Nel 1960: si cambia orientamento circa la non so spendibilità degli atti negativi.

Le misure cautelari atipiche ed il carattere della strumentalità

L.205/2000: la misura cautelare diventa atipica.

Il giudice amministrativo può emanare le misure cautelari, compresa l’ingiunzione a pagare una somma,
che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente (“provvisoriamente” del
c.p.c.) gli effetti della decisione sul ricorso (“sul merito” del c.p.c.) -> Art. 700 c.p.c.

Ma l’art. 700 è sì una misura cautelare, ma residuale rispetto agli altri provvedimenti tipici.

Qui invece è sempre atipico, ma non residuale, anzi è l’unico applicabile, unico sia tra le misure che tra le
giurisdizioni. Tuttavia non sono stati ristretti i mezzi cautelari, bensì vi è stata una grande apertura secondo
il principio della strumentalità.

Il procedimento

Sostanzialmente ancora regolato dalla normativa precedente alla L.205/2000.

Si procede con ricorso o con istanza successiva a questo, da comunicarsi alla parte resistente e ad almeno
uno dei contro interessati (questi entro 10 giorni dalla notifica possono presentare memorie e resistenze).

Il giudice si pronuncia in camera di consiglio. Se si segue il corso normale del processo, non serve alcuna
comunicazione; se invece la misura cautelare si discute in data diversa dall’udienza pubblica deve essere
dato avviso di comunicazione alle parti.

Se vi è urgenza, la parte deve avanzare richiesta al TAR per abbreviare il termine di 10 giorni.

Il giudice si pronuncia con ordinanza, immediatamente esecutiva e motivata (obbligo di motivazione anche
prima del 2000, ma spesso ignorato).

Prima del 2000: danno grave ed irreparabile derivante dall’esecuzione dell’atto.

Dal 2000: pregiudizio grave e irreparabile derivante dall’esecuzione dell’atto impugnato e dal
comportamento inerte dell’amministrazione durante il tempo necessario a giungere ad una decisione sul
ricorso.

Presupposti per la concessione della tutela cautelare: pregiudizio grave ed irreparabile e fumus boni juris

Motivazione del fumus boni iuris

Prima si riteneva un vicolo per il giudice, e quindi si tendeva a non motivare il provvedimento. Oggi, per
ragioni di trasparenza, questi cominciano ad essere motivati. Inoltre non si può ritenere che vincolino il
giudice nella decisione sul merito, perché si decide in base ad una sommaria cognitio, senza
contraddittorio.

La prestazione della cauzione


Con la L.20572000 è stata prevista la possibilità di disporre una cauzione (la cui prestazione subordina la
concessione o il diniego della misura cautelare) se dal provvedimento cautelare potrebbero derivare effetti
irreversibili. Può essere prestata da tutte le parti, e il giudice deve stabilire le modalità e l’entità della
cauzione, che può essere prestata anche tramite fideiussione. È applicabile in modo generale tranne
quando la richiesta cautelare attenga interessi essenziali della persona (diritto alla salute, all’integrità fisica,
all’ambiente) o ad altri beni di rilievo costituzionale.

Definizione del giudizio nel merito in forma semplificata

Durante il giudizio in camera di consiglio fissato per trattare la misura cautelare, può accadere che il giudice
definisca nel merito il ricorso con l’adozione di una sentenza succintamente motivata.

La norma fissa dei presupposti perché il giudice possa subito definire il giudizio, ma sono comunque di
carattere soggettivo. In ogni caso però il giudice deve prima sentire sul punto le parti costituite, altrimenti
la sentenza sarà annullabile. Il giudice deciderà il ricorso nel merito: Se risulta la manifesta fondatezza o
infondatezza

Se la causa è di semplice risoluzione (il giudice per decidere della misura cautelare deve in ogni caso
conoscere la causa)

La condanna alle spese

Adunanza primaria del consiglio di stato: le spese della fase contenziosa possono essere liquidate con
l’ordinanza che definisce tale fase perché vi dovrebbe essere il dato oggettivo della soccombenza nel
merito. Il legislatore tuttavia ha introdotto una specifica disposizione che contempla la possibilità di
provvedere in “via provvisoria” alla liquidazione delle spese.

La condanna potrà poi essere modificata o eliminata a seguito di un diverso esito di merito sul giudizio.

I rimedi contro l’ordinanza: a) l’appello; b) la revoca

il giudice amministrativo aveva stabilito che contro le ordinanze cautelari adottate dai TAR ci si potesse
appellare al consiglio di stato (l’appello è previsto sì solo contro le sentenze, ma tali ordinanze hanno
comunque carattere decisorio).

L.205/2000: contro le ordinanze del TAR è previsto l’appello entro 60 giorni dalla notificazione
dell’ordinanza o 120 giorni dalla comunicazione del deposito in segreteria.

Il termine che si riferisce alla comunicazione è problematico (il c.p.c. infatti si riferisce alla pubblicazione)
perché non è sempre agevole risalire alla data della comunicazione (si auspica un intervento legislativo in
tal senso). Sull’appello si pronuncia il consiglio di stato, con le stesse regole e procedimento previsti davanti
al TAR.

Per la revoca, è stata ritenuta ammissibile dalla giurisprudenza qualora si sia modificata la situazione di
fatto, o siano state violate norme di procedura, o quando la domanda contenga nuove ragioni di fatto e di
diritto.

Tuttavia la L.205/2000 ha stabilito che la revoca sia ammissibile solo per fatti sopravvenuti. È dunque
esclusa la revoca per nuovi fatti o per diversi profili di diritto? Si prospetta una forte limitazione di tutela…
La revoca deve essere presentata allo stesso giudice che ha adottato l’ordinanza che si vuole far revocare,
insieme ad i motivi che inducono ad una ragionevole previsione sull’esito del ricorso (fumus boni juris).

Il danno è diverso dal pregiudizio:

Il primo nel c.p.c. deve essere imminente ed attuale, cosa qui non richiesta. Il secondo è meno grave, non
richiede (come il danno) una quantificazione economica Correlazione tra pregiudizio e tempo

Uno stesso atto amministrativo può recare pregiudizio grave e irreparabile a seconda della durata del
processo che si svolge davanti, di volta in volta, ad uno specifico TAR (se questo è più affollato, come ad es.
quello di Roma, vi è maggiore possibilità di pregiudizio)

Sezione terza: La fase istruttoria

La fase istruttoria

L’istruzione è l’attività del giudice diretta a conoscere i fatti rilevanti per il giudizio. L’attività del giudice
comporta, oltre alla valutazione dei termini di diritto della controversia anche e soprattutto la conoscenza
della vicenda o della situazione in termini di fatto. Ciò non significa necessariamente che una particolare
indagine debba essere svolta sempre, la necessità di un’indagine è, ad esempio, esclusa quando i fatti non
siano controversi.

Si distingue un’istruttoria preparatoria, concernente, genericamente, l’impostazione del giudizio, da


una probatoria, diretta ad accertare gli elementi di fatto della controversia.

La regola, nel processo amministrativo, è che l’attività istruttoria si svolga senza soluzioni di continuità, nel
corso della trattazione della controversia davanti all’organo decidente.

Nell’istruttoria l’aspetto più importante è quello della prova visto che si deve ricostruire un fatto
controverso. Il principio anche nel processo amministrativo è quello che l’onere della prova spetta a chi
compie l’affermazione, ma poiché la posizione delle parti è diversa rispetto ad altri tipi di processo (il
ricorrente è infatti un privato e l’altra parte è l’amministrazione) per ovviare alla situazione di disparità del
ricorrente rispetto all’autorità pubblica è stato coniato il concetto di principio di prova dove si chiede solo
un inizio di dimostrazione della fondatezza della propria pretesa e dove se l’amministrazione intimata non
ottempera alle disposizioni istruttorie, in relazione agli elementi forniti dal ricorrente, il giudice può trarre
da tale omissione conseguenze sfavorevoli all’amministrazione e utili a corroborare i dati probatori forniti
dal ricorrente.

Nel procedimento amministrativo si rilevano tre aspetti legati alla fase istruttoria:

Individuazione dei fatti che possono essere allegati solo dalle parti.

E’ fondamentale perché, alle manchevolezze delle parti non può supplire un intervento d’ufficio del giudice.
Essi si identificano con i c.d. fatti principali, vale a dire i fatti materiali su cui si fonda la pretesa di
annullamento dell’atto impugnato, che sono i fatti costitutivo del vizio dedotto in giudizio. E’
un’applicazione del c.d. principio della domanda ( o principio dispositivo ) in forza del quale spetta alle parti
e soltanto ad esse allegare i fatti su cui fondare la propria domanda.

Dal punto di vista del giudice, in buona sostanza, esso comporta che il giudizio in ogni sua fase,
dall’istruttoria alla decisione, dovrà rigidamente attenersi al c.d. petitum, vale a dire a quanto la parte
chiede nel ricorso, basandosi solo sui fatti principali dedotti dalla parte ricorrente. Vale il principio che
regola il rito civilistico in base al quale il giudice deve pronunciare si tutta la domanda e non oltre i limiti di
essa ( art. 101 p.c. ).
Prova dei fatti. Vale il principio generale dell’articolo 2697 c.c. sull’onere della prova che comporta, fra
l’altro, che la parte che contesta la legittimità di un provvedimento debba fornire la prova dei fatti posti a
fondamento della sua contestazione e che la regola di giudizio, nel caso di incertezza su un fatto, è
contraria alla parte che avrebbe dovuto fornire la prova di quel fatto. La mancanza della prova determina la
soccombenza.

Libero apprezzamento del giudice. Le prove raccolte nel giudizio sono rimesse, quanto alla loro
valutazione, al prudente apprezzamento del giudice. Questo principio comporta l’esclusione delle prove
legali quali il giuramento e la confessione. Fa eccezione la disciplina dell’atto pubblico, che anche nel
processo amministrativo ha l’efficacia prevista dall’art. 2700 c.c. vale a dire che fa piena prova ( o prova
legale ) e che, quindi, si sottrae al libero apprezzamento del giudice in forza dell’efficacia generale che
possiede sul piano del diritto sostanziale, prima che processuale.

Istruzione preparatoria e probatoria

Nel processo civile prima vi è una fase preparatoria (di trattazione) poi istruttoria (art. 183, 7° comma e
art.184 c.p.c.).

Nel processo amministrativo non vi è un’autonoma fase di istruzione, per il principio della concentrazione.
Tale impostazione nasce dal pensiero allora radicato che il giudice di legittimità non fosse giudice del fatto
(infatti solo nella giurisdizione di merito si applicavano le norme del c.p.c.). Allora l’attività di istruzione era
ordinata direttamente alla PA interessata (ossia parte in causa) perché formata da prove prevalentemente
documentate).

Istruzione probatoria e poteri di cognizione del fatto

Successivamente l’oggetto del giudizio non è stato più incentrato sull’atto impugnato, bensì sul rapporto
giuridico amministrativo. Accanto ad un’istruzione di tipo documentale, veniva a crearsene un’altra ora di
tipo processuale (uso della verificazione, ma non più ordinata alla PA, bensì ad un’amministrazione terza).

Prima l’indagine era solo sul fatto storico, successivamente questa si focalizzò anche su fatti qualificati da
regole proprio di determinate scienze (spesso quindi il giudice si trova a valutare atti che rientrano nella
discrezionalità tecnica).

Quando vi sono però fatti complessi in cui non è rintracciabile una sola linea di giudizio, allora il giudice
amministrativo di legittimità utilizza il criterio della ragionevolezza.

Le novità in tema di istruzione probatoria

Lo schema del processo amministrativo è stato per lungo tempo usato nella giurisdizione esclusiva, anche
quando si trattava di diritti soggettivi.

Ne è nato però un problema in materia di pubblico impiego:

La Corte Cost infatti dichiara illegittime le norme sul sistema probatorio dinnanzi al giudice amministrativo
nella parte in cui non prevedono che, nel pubblico impiego, fosse possibile usare gli stessi mezzi di prova
previsti per il processo del lavoro davanti al giudice ordinario. Sentenza additiva: inserisce alcuni tra i mezzi
di prova previsti dal c.p.c.

Istruzione probatoria ed esibizione documentale

La L.205/2000 non solo aggiunge il consulente tecnico d’ufficio, ma differenzia le prove in base ai vari tipi di
giurisdizione (per quella esclusiva, devono essere previste tutte le prove del c.p.c. tranne l’interrogatorio
formale e il giuramento, perché prove legali, che andrebbero contro il principio del libero convincimento
del giudice, cardine della giustizia amministrativa.

L.1889: l’istruzione è ancora di tipo documentale. Necessario il deposito del ricorso più la copia del
provvedimento impugnato, pena decadenza. Se non se ne ha disponibilità, si deve ricorrere all’interpello,
tramite l’ufficiale giudiziario, per poter depositare il verbale con cui la PA si rifiuta di esibire il documento.
1971: solo ora si pone a carico della PA il deposito del documento all’atto della costituzione in giudizio. Se vi
è inadempimento, il TAR ha il potere di ordinarne l’esibizione.

Con la L.205/2000, l’esibizione del documento non è più legata alla costituzione in giudizio. La PA ha
l’obbligo di esibizione entro 60 giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, altrimenti
interviene il giudice amministrativo (perché la PA, non esibendo il documento, ostacola la realizzazione
della pienezza del contraddittorio).

Istruzione probatoria e principio dispositivo

Si compone delle attività svolte per fare in modo che la decisione della causa si svolga sulla base della
completa conoscenza della realtà rappresentata dal ricorrente.

L’istruzione è per lo più documentale, quindi di solito è realizzata dalle stesse parti senza l’intervento del
giudice. Il processo amministrativo è processo di parti. Vale il principio del dispositivo, e il ricorrente ha
l’onere di allegare i fatti principali e secondari che vuole far valere, ed è su questi che il giudice può
assumere l’iniziativa probatoria (principio acquisitivo), non anche sulla realtà extra-processuale.

Fino alla metà del secolo scorso, anche il processo civile era caratterizzato dall’assoluto signoria delle parti.
Tuttavia si è notato che tale schema non poteva essere più adottato, perché soprattutto in diritto
amministrativo comportava una diseguaglianza tra privati e PA, in quanto i primi difficilmente potevano
essere a conoscenza di fatti antecedenti l’emanazione dell’atto, propri della realtà amministrativa.

La signoria delle parti allora rimane sicuramente nella fase costitutiva del rapporto, mentre non sembra
poterne condizionare lo svolgimento (la parte non può decidere circa la tecnica del processo). La fase
istruttoria è caratterizzata non da poteri monopolistici delle parti (necessari solo per individuare i fatti
oggetto della pretesa), ma anche da poteri d’ufficio del giudice (con i quali non è violato però il principio del
contraddittorio: infatti i documenti sono nelle mani della PA, e sarebbe irragionevole addossare l’onere
della prova sul privato).

L’onere del principio di prova e la regola di giudizio

Spetta poi al giudice colmare le eventuali lacune anche d’ufficio. L’onere è valutato in maniera neanche
troppo severa, infatti spetto il giudice si accontenta che nel ricorso siano indicati indizi idonei a fondare la
pretesa (ma non si sta confondendo il principio di prova con la specialità del motivo di ricorso?!)

Onere della prova e giudizio risarcitorio

Seguendo le indicazioni richiamate, anche nel giudizio risarcitorio non è escluso che la parte interessata
conservi l’onere di allegare le circostanze gli elementi posti a fondamento del diritto fatto valere in giudizio,
soprattutto quando siano nella disponibilità della parte.

Tuttavia ciò fa nascere vari ordini di problemi: il requisito della colpa dell’amministrazione era tappezzato di
una stessa adozione ed esecuzione di un provvedimento amministrativo illegittimo da parte
dell’amministrazione, ma tale schema è stato ritenuto incompatibile con il carattere personale della
responsabilità civile. Se la colpa dell’amministrazione non può essere quindi ricondotta alla mera legittimità
del provvedimento, l’attenzione del giudice deve incentrarsi sulla valutazione e sa verificare la gravità della
violazione alla luce delle circostanze in cui è stata commessa e dei riferimenti normativi giuridici.

Se invece si accetta la tesi che vede una presunzione di responsabilità dell’amministrazione, in capo al
privato viene ricondotto l’onere di provvedere alla sola legazione del danno patito, mentre
l’amministrazione è tenuta di mostrare la propria innocenza.

Altra parte della dottrina della giurisprudenza hanno invece aderito alla tesi della responsabilità
extracontrattuale, tramite la quale il privato risulta agevolato dell’onere probatorio attraverso la possibilità
di offrire elementi indiziari quali la gravità della violazione, l’univocità della normativa di riferimento e
l’apporto partecipativo del privato al procedimento. Spetta poi all’amministrazione allegare elementi
ascrivibili allo schema dell’errore scusabile.

In ogni caso si esclude che l’onere probatorio gravante incappa la parte possa essere assolto senza che il
giudice ripercorra l’interattività amministrativa all’interno del giudizio prognostico, per verificare
effettivamente quale sia il danno verificatosi. In tal caso si assiste ad una naturale attenuazione del
principio di prova, in quanto si applica il principio generale per il quale si agisce in giudizio deve fornire la
prova dei fatti costitutivi la domanda: è dunque il privato che agisce in giudizio tenuto a fornire la prova
dell’esistenza del danno.

Partecipazione procedimentale e attenuazione del principio dispositivo

Tuttavia tale ampiezza di poteri attribuiti al giudice si scontra con la disciplina della legge del 1990, che
riconosce ai soggetti privati ampie facoltà di partecipazione al procedimento e all’istruttoria, e il diritto di
accesso agli atti amministrativi (dato ormai il principio della generale accessibilità agli atti amministrativi, in
sede processuale il ricorrente deve fornire concrete indicazioni documentali). 2 principi fondamentali:

Per i fatti nella disponibilità del ricorrente vi è l’onere della prova

Per i fatti nella disponibilità esclusiva della PA vi è l’onere del principio di prova.

Se la PA resiste al potere istruttore del giudice, questi tramite l’art. 116 c.p.c. valuterà tale comportamento
come argomento di prova.

Nel caso della giurisdizione esclusiva invece, dal 2000 devono essere applicate le regole proprie del
processo civile, incluso il principio dell’onere della prova.

Onere della prova e giudizio risarcitorio

Fermi restando i poteri ampi del giudice nell’istruzione della causa, in ogni caso la parte ha l’onere di
allegare i fatti posti a fondamento del diritto che vuole far valere (soprattutto se questi sono nella sua
disponibilità). Ma poi come si qualifica la responsabilità della PA? Prima del 1999 la colpa si ravvisava nella
stessa adozione ed esecuzione da parte di questa di un atto illegittimo (presunzione assoluta di colpa,
incompatibile però con il principio della personalità della responsabilità civile). Di conseguenza vennero
creati a livello giurisprudenziale degli indici identificativi: violazione delle regole di imparzialità, correttezza
e buona amministrazione. Si deve verificare quindi se vi sia errore scusabile da parte della PA.

Sulla ripartizione dei poteri istruttori nel processo di legittimità


La possibilità di avere poteri di acquisizione documentale non è solo del giudice, ma è posta a carico anche
di soggetti diversi dall’amministrazione intimata (pur non avendo avuto rilievo diretto ai fini
dell’emanazione del provvedimento, in ogni caso tali documenti presso altre PA possono essere utili per
conoscere i fatti di causa. Con legge del 2000 si stabilisce che la decisione sui mezzi istruttori è attuata con
ordinanza, con la quale si fissa la data dell’udienza successiva per la trattazione del ricorso. Vi è quindi una
fase di istruzione probatoria distinta? Ma così si allontana la fase decisoria… (comunque si ritiene che il
giudice manterrà la linea di tendenza precedente al 2000, per il principio della concentrazione).

I poteri istruttori. Le iniziative istruttorie delle parti

I poteri istruttori nella giurisdizione esclusiva e di merito

Prima il giudice aveva gli stessi poteri istruttori limitati, come nella giurisdizione di legittimità. Nel 1987 ciò
fu dichiarato illegittimo, limitatamente alle controversie in materia di pubblico impiego e alle questioni di
carattere patrimoniale, per le quali dovevano essere applicabili gli artt.420 e s.s. c.p.c. sul processo del
lavoro. Nel 2000 i mezzi di prova del c.p.c. (tranne le prove legali) furono estesi anche a tutte le cause in
materia di giurisdizione esclusiva (in modo da tutelare maggiormente i diritti soggettivi).

Nel caso in cui però si tratti di interessi legittimi, si dovranno seguire le regole del processo amministrativo
circa l’istruzione probatoria. Sono esclusi l’interrogatorio formale e il giuramento, in ogni caso (ossia le
prove legali, tramite le quali si va contro il libero convincimento del giudice). Ma se nelle materia di
giurisdizione esclusiva sono applicati i principi di procedura civile (es. l’onere della prova), perché non si
possono ammettere tutti i mezzi di prova? Vi sono forti dubbi di legittimità costituzionale.

Per i diritti soggettivi, assoggettati alle norme del c.p.c., sono inammissibili nuovi mezzi di prova (tranne il
giuramento decisorio, che qui non sarebbe ammesso in ogni caso), salvo che il Collegio non li ritenga
indispensabili o che la parte non li abbia potuti produrre in primo grado per cause ad essa non imputabili
(ma comunque sono sempre ammissibili nuovi documenti: si ritiene infatti che il divieto di produrre nuove
prove riguardi solo quelle costituende, e non quelle costituite).

Le iniziative istruttorie delle parti

L’istruzione di tipo documentale è stata in gran parte vostra carico dell’amministrazione, in caso di
inadempimento le parti possono sollecitare il presidente del tribunale qualora non si attivi d’ufficio. Le parti
private devono però produrre documenti di cui sono in possesso, ed avendo la piena disponibilità dei propri
interessi saranno messe a valutare se e quando assumere tali iniziative.

Hanno comunque un termine perentorio finale per il deposito dei documenti, che di 20 giorni prima di
quello fissato per l’udienza di discussione delle ricorso. Nel processo di legittimità a tali iniziative delle parti
si verranno ad affiancare quelle probatorie del giudice è tenuto collaborate nella ricerca della verità dei
fatti controversi.

Diversamente il potere di iniziativa del giudice devono ritenersi limitati quando il rapporto è di tipo
paritetico e l’istruzione probatoria è dominata dal principio dell’onere della prova. In questo caso il
richiamo alle norme del codice di rito non può prescindere dal considerare la mancanza del giudice
istruttore e la concentrazione delle decisioni in capo al collegio.

La forma dei provvedimenti istruttori

Devono essere adottati con ordinanza, come nel processo civile. In passato il Consiglio di Stato procedeva
con decisione interlocutoria, prassi che è stata mantenuta anche con l’istituzione dei Tar, anche se
chiarendo che tali sentenze interlocutorie. In cui contengono decisioni istruttorie non sono appellabile.
Quella recente riforma del 2000 è stato comunque sancito che le decisioni sui mezzi di distruzione hanno la
forma dell’ordinanza, con nell’applicazione del regime previsto dal codice di rito.

L’esecuzione dei mezzi di prova. Il ritiro dei documenti. L’istruzione probatoria nel giudizio di appello

L’esecuzione dei mezzi di prova

Spetta al presidente del tribunale o al collegio disporre l’ammissione di mezzi di prova, stabilire termini e
modi con cui debbono seguire le disposizioni del codice di procedura civile e tale previsione si applica ora
anche alla consulenza tecnica d’ufficio perché, anche se non costituisce mezzo di prova in senso proprio, e
comunque ora inserita nel T.U. sul Consiglio di Stato.

sono così applicabili gli artt. da 191 a 201 c.p.c. per quanto riguarda il consulente tecnico d’ufficio, e per
quanto riguarda l’assunzione dei mezzi di prova consentiti nelle controversie in materia di giurisdizione
esclusiva si richiamo alla disciplina contenuta nel regolamento di procedura tenendo conto della specificità
del processo amministrativo.

Il ritiro dei documenti

non è permesso in pendenza di lite, ma sono una volta che il giudizio sia stato definito con sentenza passata
in giudicato. Se si va in appello, i documento sono trasmessi al giudice di II grado insieme al fascicolo
d’ufficio. La segretaria del giudice d’appello, entro 30 giorni dalla data di iscrizione a ruolo della causa in
appello, richiede la trasmissione dei documenti. Se in appello si richiedono provvedimenti urgenti, la parte
può provocare un’ordinanza del Presidente del Collegio per la trasmissione dei documenti (se è necessaria
la massima tempestività, come ad es. per le misure cautelari urgenti). Le parti possono inoltre chiedere che
i documenti esibiti in originale possano essere sostituiti da copia conferme predisposta in segreteria.

L’istruzione probatoria nel giudizio di appello

nella legge Tar 1971 e disposizioni che disciplinano l’appello sono poche, e pongono molti problemi
interpretativi soprattutto riguardo all’istruzione probatoria. Questa riconosce al giudice di appello gli stessi
poteri di cognizione di decisione del giudice di primo grado, l’impugnazione dunque a effetto divulgativo e
porta ad un riesame di tutta la controversia: le nuove prove sono consentite in appello a condizione che la
loro ammissibilità o rilevanza non sia stata esclusa la sentenza impugnata.

Il presidente di sezione può disporre della rinnovazione totale o parziale di una prova e può mettere una
prova nuova quando la stessa non sia stata esclusa dalla sentenza impugnata o quando accorda il motivo di
censura proposto sul punto della decisione impugnata e aveva escluso dalle prova nel giudizio di primo
grado. Il giudice d’appello può dunque assumere anche d’ufficio i mezzi istruttori, ma non è consentita una
reformatio in peius delle sentenze impugnate, senza delle parti interessate con l’appello principali
incidentali abbiano preso le relative iniziative.

Nel caso in cui ci si trovi di fronte ad una materia di giurisdizione esclusiva, si ritiene che ci si debba riferire
al codice di procedura civile che ritiene inammissibili i nuovi mezzi di prova in appello, ad eccezione del
giuramento decisorio, tra l’altro non ha messo nel nostro processo, salvo che il collegio non li ritenga
necessari o che la parte dimostri di non averli potuti proporre nel giudizio di primo grado per causa di essa
non imputabili. Si ritiene comunque sempre possibile alla produzione di nuovi documenti.
I mezzi di prova: delimitazione del sistema

E’ opportuno prendere in esame singoli mezzi di prova, che comunque operano secondo il regime
istruttorio che caratterizza i vari tipi di giudizio. L’ordine illustra prima l’analisi degli strumenti probatori
tipici del giudizio di legittimità, per passare poi a quelli ammessi nell’ipotesi di giurisdizione esclusiva.

I singoli mezzi istruttori

I mezzi istruttori ammessi nel caso di giurisdizione di legittimità sono rappresentati da tre tipologie:

• richiesta di chiarimenti. Analoga alla richiesta di informazioni alla Pubblica amministrazione prevista
nell’articolo 213 c.p.c. ; a differenza di quest’ultima, però, può essere indirizzata anche nei
confronti di un’Amministrazione che sia parte del giudizio.

• richiesta di documenti. Può avere ad oggetto qualsiasi documento dell’amministrazione o di terzi, la


cui esibizione sia ritenuta utile per la decisione. Concorre con gli strumenti previsti a tutela del
diritto di accesso del cittadino.

• verificazioni. Possono avere contenuti molto ampi e in particolare, secondo la giurisprudenza,


possono riguardare l’accertamento di fatti o do situazioni complesse ; anche in questo caso, però,
la giurisprudenza sostiene che non sarebbero assimilabili alle perizie e alle consulenze tecniche per
il fatto che le verificazioni non potrebbero riguardare elementi di valutazione o di apprezzamento
dei fatti ; altrimenti, attraverso le verificazioni, il giudice potrebbe sindacare nel loro contenuto le
valutazioni tecniche riservate dalla legge all’Amministrazione. Una valutazione che risponde
all’esigenza di conservare nelle mani della sola Amministrazione, salvaguardandola, la c.d.
discrezionalità tecnica.

• Consulenza tecnica d’ufficio. Ai sensi dell’articolo 44 del t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato il
giudice amministrativo può sempre richiedere la consulenza tecnica d’ufficio che consiste
nell’utilizzo di un esperto che coadiuva il compito del giudice.

• La testimonianza. È un mezzo di prova ammesso nella giurisdizione esclusiva.

Nella giurisdizione anche in merito è possibile utilizzare tutti i mezzi di prova del Codice di Procedura Civile
per cui anche la confessione e il giuramento.

1. mezzi istruttori ammessi nel caso di giurisdizione di merito godono invece di maggiore ampiezza,
essi si ricavano dal disposto dell’articolo 44, 2° comma. t.u. Cons. Stato che prevede che in questi
casi “il Consiglio di Stato può ordinare qualunque mezzo istruttorio nei modi determinati dal
regolamento di procedura”.

L’articolo 27 del Regolamento precisa ulteriormente che “il giudice amministrativo può assumere testimoni,
eseguire ispezioni, ordinare perizie e fare tutte le altre indagini che possono condurre alla scoperta della
verità, coi poteri attribuiti al magistrato dal codice di procedura civile e con le relative sanzioni”.
Sono preclusi l’interrogatorio formale e il giuramento perché preordinati a una prova legale, e come si è già
visto la prova legale viene esclusa, perché incompatibile con il principio del libero convincimento del
giudice.

Nonostante la maggiore ampiezza prevista per i mezzi istruttori in casi di legittimità di merito emerge
limpidamente la generale limitatezza dei mezzi istruttori previsti per il giudizio amministrativo, il che suscita
non poche perplessità se si relazione alla delicatezza e alla rilevanza degli interessi legittimi e dei diritti
tutelati nel caso di giurisdizione esclusiva.

Domanda di fissazione dell’udienza (impulso di parte) e decisione del ricorso

Il ricorrente deve sollecitare un’istanza di fissazione dell’udienza, altrimenti l’udienza non può essere fissata
e dopo 2 anni il ricorso è perento (= estinto per inattività delle parti). L’istanza può essere presentata dalle
altre parti. L’impulso delle parti serve anche quando si è tenuta l’udienza ma il processo non si è ancora
chiuso (serve una nuova istanza entro 2 anni).

In seguito alla presentazione dell’istanza, viene fissata l’udienza di discussione del ricorso, di cui deve
essere data comunicazione alle parti con congruo preavviso (almeno quaranta giorni). Le parti costituite
possono depositare documenti fino a venti giorni liberi prima dell’udienza (fino a trenta giorni liberi, nel
giudizio avanti il Consiglio di Stato) e memorie fino a dieci giorni prima.

Nell’udienza, che è pubblica, ciascuna delle parti può intervenire, attraverso il proprio avvocato, per
illustrare oralmente le proprie ragioni; la trattazione ha luogo anche se non intervengono le parti o i loro
avvocati: non esiste infatti l’istituto della contumacia.

Una volta conclusa la discussione, il TAR, se non ritiene di dover adottare pronunce interlocutorie (per
esempio, per l’integrazione del contraddittorio) o pronunce istruttorie, provvede a decidere il ricorso
pronunciando la sentenza; i giudici si riuniscono in camera di Consiglio per deliberare a maggioranza
assoluta.

La decisione del Tar, deve contenere i seguenti elementi:

1. indicazione delle parti e dei loro avvocati

2. il tenore della domanda

3. esposizione dei motivi di fatto e di diritto

4. dispositivo (parte precettiva della decisione)

5. ordine affinchè sia eseguita dall’autorità amministrativa interessata

6. indicazione della data

7. sottoscrizione del giudice

In base all’articolo 26, 4° comma legge TAR il giudice amministrativo può decidere il ricorso, con sentenza
succintamente motivata, nella camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare o nell’udienza
fissata in seguito all’adozione di un mezzo istruttorio, senza che sia stata fissata l’udienza di discussione.
Questa possibilità vale solo quando il ricorso risulti manifestamente fondato o manifestamente infondato,
inammissibile, improcedibile o irricevibile.

Infine l’articolo 26, 7° comma legge TAR prevede che, quando si sia verificata

1. l’estinzione del giudizio


2. la rinuncia al ricorso

3. la cessazione della materia del contendere

4. la perenzione

5. la sopravvenuta carenza di interesse

6. la decadenza per mancata riassunzione

(tutte queste comportano l’estinzione del processo)

il Presidente della sezione competente provvede alla relativa declaratoria con decreto, senza fissare né
pubblica udienza né camera di consiglio. Nei confronti del decreto le parti possono proporre opposizione al
collegio; il collegio decide con ordinanza, disponendo, se accoglie l’opposizione, che il ricorso sia
nuovamente iscritto nel ruolo dei ricorsi pendenti.

I documenti. La consulenza tecnica d’ufficio

I documenti

Art.634 c.p.c.: Sono prove scritte idonee a norma del numero 1 dell’articolo precedente le polizze e
promesse unilaterali per scrittura privata e i telegrammi, anche se mancanti dei requisiti prescritti dal
codice civile. Per i crediti relativi a somministrazioni di merci e di danaro, nonché per prestazioni di servizi,
fatte da imprenditori che esercitano un’attività commerciale, anche a persone che non esercitano tale
attività, sono altresì prove scritte idonee gli estratti autentici delle scritture contabili di cui agli art. 2214 e
seguenti del codice civile, purché bollate e vidimate nelle forme di legge e regolarmente tenute, nonché gli
estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie, quando siano tenute con
l’osservanza delle norme stabilite per tali scritture.

La richiesta di chiarimenti

Sia alla PA che ai privati. Sono dichiarazioni di conoscenza in forma scritta (tipo interrogatorio libero) che
non può però supplire alla mancanza di elementi istruttori. Se la PA mantiene un comportamento omissivo,
questo sarà valutato come ammissione dei fatti.

L’ordine di verificazione

Nasce dal fatto che il giudice prima poteva basare il suo convincimento solo sulla rappresentazione della
realtà fornitagli dalla stessa PA, ma oggi invece vi è un’altra tendenza secondo la quale si ritiene che la PA
“interessata” si riferisca a tutto quell’apparato che comprende la PA sovraordinata che esercita poteri di
controllo e vigilanza sulla parte in causa. Il contenuto di tale prova è indeterminato, sono ammessi dunque
tutti quelli del c.p.c. tranne le prove legale. Da svolgersi sempre in contraddittorio.

La consulenza tecnica d’ufficio

Svolge la funzione di Ausiliario del Giudice lavorando per lo stesso in un rapporto strettamente fiduciario
nell’ambito delle rigide e precise competenze definite dal c.p.c.. Scopo del Consulente è quello di
rispondere in maniera puntuale e precisa ai quesiti che il Giudice formula nell’udienza di conferimento
dell’incarico e di relazionarne i risultati nell’elaborato peritale che prende il nome di Consulenza Tecnica
d’Ufficio.

È importante che il CTU faccia sempre riferimento a dati certi e, possibilmente, che accompagni tutto ciò
che afferma con opportuna documentazione focalizzandosi -nella parte finale- sulle proprie conclusioni
tecniche. Queste devono essere il risultato di un procedimento logico ben preciso ma non devono mai
permettersi di esorbitare in affermazioni che potrebbero avere, al di là dei profili tecnici, un’influenza
diretta sulla decisione della causa.

I Consulenti Tecnici d’Ufficio sono iscritti – dopo una procedura di accertamento dell’esperienza –
all’interno di specifici albi, suddivisi per categorie (ad esempio: architetti, ingegneri, agronomi, periti
industriali, geometri, grafologi, esperti in mobili ed antiquariato, esperti in musica, ecc) tenuti dai tribunali.

Il Consulente Tecnico d’Ufficio opera prestando particolarmente attenzione a garantire la propria


imparzialità nei confronti delle parti alle quali deve consentire – in ogni momento – il contradditorio. È
soggetto, inoltre, a tutti i limiti di garanzia del giusto processo ai quali è sottoposto il giudice e può quindi
utilizzare esclusivamente la propria esperienza e capacità e la documentazione contenuta nel fascicolo,
limitandosi a rispondere ai quesiti posti dal giudice stesso.

Sentenze di rito e sentenze di merito

Decisioni di rito:

1. dichiarato inammissibile se per legge non poteva essere proposto, o se l’organo si rende conto di
non essere il superiore gerarchico dell’organo che ha emesso l’atto – in ogni caso pronuncia di rito.

2. Se invece rileva una irregolarità sanabile, assegna al ricorrente un termine per provvedere a
sanarla, e se questo non provvede, lo dichiara improcedibile (ad esempio se il ricorrente non ha
dichiarato correttamente il provvedimento che voleva impugnare, anche se questo si può capire
dalla lettura del ricorso. In questo caso non può dichiararlo inammissibile, può solo chiedere di
sanare tale vizio).

Improcedibile è diverso da inammissibile: infatti vuol dire che era ammissibile, ma che non può essere
processato dato il vizio che lo caratterizza e che non è stato sanato.

Decisioni di merito:

1. decisione di accoglimento: se ritiene il ricorso fondato, e accogliendolo può:

• annullare l’atto;

• riformarlo, ossia modificare l’atto nelle parti in cui lo ritiene illegittimo;

• rimettere l’atto all’autorità che lo ha emanato: ciò si verifica quando il vizio rilevato è causato da un
difetto di istruttoria.

2. decisione di rigetto: se ritiene il ricorso infondato. Quindi entra nel merito del ricorso e delle questioni
prospettate.

3. Nel caso di incompetenza dell’autorità che ha emanato l’atto, si parla di incompetenza che ha un effetto
assorbente, con accoglimento senza entrare nel merito.
Si possono avere sentenze di rito o di merito: le prime sono decisioni che incidono sulle questioni
pregiudiziali, presupposti dell’azione e sule condizioni dell’azione. Quelle di merito accerteranno se
sussistano o meno i vizi dedotti in giudizio.

Le sentenze di rito sono quelle che si arrestano a una pregiudiziale; le sentenze di merito decidono il merito
della domanda. Solo sulle sentenze di merito si forma il giudicato, una volta che siano decorsi i termini per
l’impugnazione. Il tribunale è tenuto a esaminare ciascun motivo del ricorso: è sufficiente che uno sia
fondato perchè il ricorso venga accolto (cd assorbimento degli altri motivi). L’assorbimento limita la portata
dell’accertamento, in quanto assorbire è non esaminare.

Nella giurisdizione esclusiva l’atto impugnato può anche mancare: la parte chiede che sia accertato il diritto
o condannata l’amministrazione. Il tribunale non giudicherà la fondatezza dei motivi di ricorso, ma la
fondatezza della pretesa del ricorrente, e in base a ciò accoglierà o respingerà la domanda.

La sentenza

Il giudice in appello può accogliere l’istanza del ricorrente oppure rigettarla. Rigettare l’istanza significa
confermare la sentenza di primo grado. l’accoglimento del ricorso può accompagnarsi o meno al rinvio al
giudice di primo grado cioè al TAR. L’annullamento con rinvio è un’eccezione ed è disciplinata dall’art 35
della legge TAR. Le ipotesi sono due:

1. Difetto di procedura. È una categoria che racchiude diverse ipotesi, la giurisprudenza ritiene che si
debba procedere a rinvio tutte quelle volte l’anomalia comporti una lesione del diritto alla difesa.

2. Vizio di forma. Riguarda le ipotesi in cui la sentenza sia nulla.

Sia nel caso del vizio di forma che del difetto di procedura, la ratio dell’art. 35 è evidente perché si è davanti
a casi in cui di un giudizio di primo grado vero e proprio non può parlarsi. A questi due casi va aggiunta
l’erronea declaratoria di incompetenza da parte del giudice di primo grado.

Gli altri mezzi di prova nelle controversie di giurisdizione esclusiva

A) Ispezione ed esibizione:

art.118 + 210 c.p.c.: Il giudice può ordinare alle parti e ai terzi di consentire sulla loro persona o sulle cose in
loro possesso le ispezioni che appaiano indispensabili per conoscere i fatti della causa, purché ciò possa
compiersi senza grave danno per la parte o per il terzo, e senza costringerli a violare uno dei segreti previsti
negli articoli 351 e 352 del codice di procedura penale.

Se la parte rifiuta di eseguire tale ordine senza giusto motivo, il giudice può da questo rifiuto desumere
argomenti di prova a norma dell’articolo 116, secondo comma.

Se rifiuta il terzo, il giudice lo condanna a una pena pecuniaria non superiore a lire ottomila.

Negli stessi limiti entro i quali può essere ordinata a norma dell’articolo 118 l’ispezione di cose in possesso
di una parte o di un terzo, il giudice istruttore, su istanza di parte, può ordinare all’altra parte o a un terzo di
esibire in giudizio un documento o altra cosa di cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo.

Nell’ordinare l’esibizione, il giudice dà i provvedimenti opportuni circa il tempo, il luogo e il modo


dell’esibizione.

Se l’esibizione importa una spesa, questa deve essere in ogni caso anticipata dalla parte che ha proposto
l’istanza di esibizione.
B) Interrogatorio libero:

art.117 c.p.c.: Il giudice, in qualunque stato e grado del processo, ha facoltà di ordinare la comparizione
personale delle parti in contraddittorio tra loro per interrogarle liberamente sui fatti della causa. Le parti
possono farsi assistere dai difensori.

C) Le prove per testimoni:

qui è ammessa solo per fatti storici (e segue il c.p.c.), altrimenti per valutazioni tecniche si ricorrerà alla
verificazione.

I provvedimenti istruttori prima erano ritenuti non appellabili ma ciò era in contrasto con il c.p.c., nel quale
i provvedimenti istruttori assumono la veste di ordinanza, quindi modificabile, revocabile e non suscettibile
di impugnazione se non insieme all’impugnazione di merito. Tuttavia in seguito alla riforma del 2000 è stata
prevista l’estensione anche in tale ambito della disciplina del c.p.c.

Sezione quarta: La fase di decisione

La fase di decisione

Premesse

Dopo la discussione (in pubblica udienza o in adunanza camerale) il Presidente del Collegio dispone
l’assegnazione (o spedizione) della causa in decisione: si tratta del passaggio formale alla fase decisoria (il
Collegio si ritira in Camera di Consiglio). È stato quindi già definito l’oggetto della controversia, si è svolto il
contraddittorio, è stato raccolto il materiale probatorio (o per iniziativa delle parti, o d’ufficio, tramite il
metodo acquisitivo) e il processo si avvia verso la sua conclusione: la formulazione del giudizio e
l’emanazione di una sentenza.

Profili formali: la formazione della decisione

La disciplina della fase decisoria è contenuta negli artt.61 e 62 del regolamento di procedura del 1907, e
nell’art.276 c.p.c. Il Collegio giudicante, dopo la discussione del ricorso, si ritira in Camera di Consiglio per
deliberare (nella prassi, non dopo ogni singolo giudizio, ma dopo tutte le cause della stessa udienza).
L’assegnazione della causa in decisione svolge 2 funzioni:

. preclude ai componenti del Consiglio la possibilità di esercitare il diritto di astensione

. determina la chiusura del contraddittorio e la fissazione della posizione processuale delle parti.

Procedura di rilettura:

si può riaprire la discussione (per i principi costituzionali del giusto processo) se sopravviene una nuova
normativa o un’altra questione di fatto o di diritto che possa incidere sulla decisione. Se si verifica la “terza
opinione, o terza via” del giudice (quando cioè questi basi la propria decisione su questioni insorte solo in
Camera di Consiglio, non sottoposte al contraddittorio delle parti)? La riapertura del contraddittorio
potrebbe impedire questa criticata soluzione.

Se tra la discussione e la decisione si verifica un fatto che non permette al Collegio di formarsi in modo
regolare, la causa è rimessa a ruolo davanti ad un altro Collegio, di fronte al quale si rinnova la discussione.
Questo avviene per il principio di immodificabilità del giudice: la composizione del Collegio giudicante non
può ammettere un giudice che non era presente all’udienza di discussione (altrimenti ciò porterebbe alla
nullità della sentenza poi emanata).

La deliberazione

Essendovi più giudici, si devono fondere più giudizi per arrivare ad un’unica soluzione. A ciò si arriva tramite
il dibattito camerale e la deliberazione.

Il dibattito è fissato dal Presidente. Ogni componente manifesta il proprio punto di vista agli altri
componenti del Collegio. Dopo il dibattito si procede ad una votazione (qui il parere non è più solo
proposto, ma affermato). La manifestazione del voto è da fare al Presidente, che procede alla raccolta dei
voti. È richiesta la maggioranza assoluta. Se questa non si forma, il Presidente mette al voto 2 soluzioni per
escluderne una, alla restante ne è affiancata un’altra, e così via fino alla votazione definitiva (formazione
artificiale della maggioranza per esclusione progressiva delle soluzioni di minoranza).

Una volta arrivati ad una decisione, il Presidente provvede alla stesura e alla sottoscrizione. Il relatore
invece stende la motivazione (o un altro giudice, se il relatore appoggiava la decisione minoritaria). La
decisione è in ogni caso modificabile fino alla sua pubblicazione, perché solo con questa acquista esistenza
giuridica. La pubblicazione si ha con il deposito in segreteria (il segretario da atto del deposito in calce alla
sentenza e vi appone la data e la firma). Entro 5 giorni è data comunicazione alle parti con un biglietto di
segreteria da parte del segretario. Questo è da consegnare o personalmente, o tramite raccomandata o
ufficiale giudiziario.

La formulazione del giudizio

Il Collegio decide prima le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o d’ufficio, poi il merito della causa.
Tuttavia in questo caso non si chiarisce in che ordine: nella trattazione delle questioni attinenti al merito,
c’è un ordine?

Graduazione, accorpamento ed assorbimento dei motivi di ricorso

Il giudice deve pronunciarsi su tutte le domande proposte dal ricorrente, ma poi è da valutare il problema
della prassi dell’assorbimento dei motivi: il giudice accoglie il ricorso per un dato motivo e omette di
esaminare gli altri profili di legittimità rappresentati dal ricorrente (tale soluzione non è sempre
giustificata). Non sussiste alcun problema invece per l’accorpamento dei motivi di ricorso: il giudice
esamina i motivi del ricorso, per poterli (qualora sia possibile) esaminarli congiuntamente.

Valutazione delle prove e libero convincimento

Il giudice per poter giudicare deve conoscere i fatti, per questo si procede alla valutazione del materiale
probatorio. Anche nel processo amministrativo, all’art.116 primo comma c.p.c. è sancito il principio della
libera valutazione delle prove (o libero convincimento del giudice). Il giudice deve valutare le prove
secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga diversamente. Non si tratta di arbitrio,
ma di prudente apprezzamento (quello del buon padre di famiglia).

La regola del giudizio

Regola che riguarda il modo di elaborare il giudizio se i fatti allegati dalle parti sono rimasti incerti. Il giudice
DEVE decidere, non può pronunciare un non liquet perché ha dubbi sulla situazione di fatto. Anche nel
diritto amministrativo è applicabile l’art.2697 c.c. sull’onere della prova. nel giudizio civile, siccome le prove
sono quasi sempre nella disponibilità delle parti, si avrà la massima “provare o soccombere”. Tale regola si
applica anche al giudizio amministrativo, ma tenendo conto del principio acquisitivo, perché le prove sono
spesso nell’esclusiva disponibilità della PA. Il giudice quindi ha potere di acquisire prove, e le pone a carico
della parte che ne ha disponibilità (la PA appunto).

Quindi la parte che allega il fatto, ma che è esonerata dal giudice dal provarlo, non potrà avere la
responsabilità sull’incertezza del fatto solo perché la controparte non ha ottemperato all’ordine istruttorio
del giudice (es. di esibizione).

Tuttavia per la dottrina l’intervento del giudice determinerebbe non una semplice inversione dell’onere
della prova, ma la creazione di un onere diverso in capo alla PA, ossia quello di fornire la prova di un fatto
inverso rispetto a quello fornito dal ricorrente.

Valutazione del comportamento processuale delle parti

Se la PA non ottempera all’ordine del giudice di esibire i documenti, la giurisprudenza non è univoca circa la
soluzione di tale problema:

È provata l’affermazione del ricorrente? No, altrimenti sarebbe tipo una prova legale (confessione)

È argomento di prova? Soluzione preferibile. Non si tratta di una prova, ma della valutazione di un
comportamento che comunque però deve concorrere con altri elementi probatori.

CAPITOLO III – LE IMPUGNAZIONI

Sezione prima: L’appello

L’appello nel processo amministrativo

Il doppio grado di giurisdizione nel processo amministrativo

Dal 1971, con l’istituzione dei Tar, è stato previsto un doppio grado di giurisdizione: il primo grado di
competenza del TAR, il secondo del Consiglio di Stato.

Nella Costituzione, i TAR sono riconosciuti come organi di primo grado: è stato dunque istituzionalizzato il
doppio grado di giurisdizione. Tale tesi è accolta dall’autore, tuttavia altri sono contro tale tesi, obiettando
che mente si stabilisce per il primo grado, nulla si dice per l’appello (ma tale tesi non è ritenuta in ogni caso
condivisibile, perché il fatto che il Consiglio di Stato sia organo di appello si rileva anche da altre norme
costituzionali).

L’appello al Consiglio di Stato

L’appello in linea generale è un mezzo di impugnazione con il quale si demanda a un giudice superiore, in
cui tale giudice è il Consiglio di Stato (tranne nella Regione Siciliana ove è previsto il Consiglio di Giustizia
amministrativa per la Regione Siciliana), di pronunciarsi su una controversia che sia stata decisa in una
sentenza L’appello consiste in un riesame completo della controversia, per cui quanto statuito dal
precedente giudice non ha rilevanza alcuna, tranne nel caso in cui la precedente sentenza sia nulla, poiché
in tal caso il giudice deve rinviare la sentenza al giudice di primo grado. L’appello può essere esperito per
tutte le sentenze emanate dal TAR che decidano la controversia e non invece per le sentenze che, anche se
denominate tali, abbiano solo una funzione strumentale all’interno di un processo.
L’appello è un mezzo di impugnazione di tipo rinnovatorio, consente cioè un nuovo giudizio sulla stessa
questione)

È rinnovatorio perché:

È qualificato dallo stesso legislatore come appello

Il Consiglio di Stato in sede di appello ha gli stessi poteri giurisdizionali di cognizione e decisione del giudice
di primo grado

Tranne eccezioni, in ogni altro caso il Consiglio di Stato decide sulla controversia.

Tuttavia, qualora il Consiglio di Stato veda a censurare vizi propri della sentenza di primo grado, questo
rimedio ha carattere impugnatorio.

Si tratta dunque di un giudizio sia rescindente che rescissorio: annullata la sentenza di primo grado, il
Consiglio di Stato decide nel merito la controversia già decisa dal TAR senza alcun rinvio a questo.

Termini

L’appello deve essere proposto entro 60 giorni dalla notificazione della sentenza impugnata (termine
breve). Nel caso in cui non vi sia stata notificazione, il termine è di un anno decorrente dalla data della
pubblicazione della sentenza (termine lungo). Entrambi i termini sono sottoposti alla sospensione feriale
dal 1° agosto al 15 settembre. Entro il termine indicato deve essere notificato l’appello alle controparti. La
notifica deve essere effettuata nei confronti o della P.A. o di un controinteressato oppure entrambi.

L’appello deve essere notificato alle altre parti del giudizio di primo grado, siano esse costituite o non, se
l’atto non è notificato a tutte le parti, ma almeno ad una, l’appello non è inammissibile ma il Consiglio di
Stato ordina di procedere all’integrazione del contraddittorio.

Nei trenta giorni successici alla notifica il ricorso deve essere depositato presso il Consiglio di Stato; col
deposito di determina anche la costituzione in giudizio dell’appellante e la pendenza del giudizio.

Legittimati a proporre appello sono ovviamente i soccombenti nel giudizio di primo grado e i
controinteressati sostanziali che non abbiano ricevuto notifica di ricorso in primo grado, sia nel caso in cui
questi avrebbero dovuto riceverla, sia nel caso in cui la legge non preveda tale obbligo, ma il soggetto abbia
comunque una posizione qualificata. La sentenza, dopo essere stata adottata, viene sottoscritta dai giudici
che ne facevano parte e viene poi depositata.

Come detto, l’appello amministrativo ha carattere devolutivo, il che implica l’esame da parte del giudice
degli stessi motivi dedotti in primo grado. In appello non si possono proporre nuovi motivi, e ciò per due
motivi:

• da un lato verrebbe ad essere violato il principio del doppio grado, per cui ad ogni doglianza deve
essere data la possibilità ad entrambe le parti di demandare una seconda analisi ad un giudice
superiore in caso di primo esito insoddisfacente;

• dall’altro è che si vanificherebbe anche da un certo punto di vista il termine di decadenza per il
ricorso in primo grado, che essendo oramai scaduto non dovrebbe permettere la possibilità di
presentare ricorso deducendo tali motivazioni.

Diversa è invece la situazione quando si parla di motivi aggiunti che, nel giudizio di secondo grado, non
costituiscono un rimedio a carenze e manchevolezze della difesa, ma si configurano come uno strumento
integrativo del ricorso.
Appello ed effetto devolutivo

È anche devolutivo, in quanto il Consiglio di Stato conosce necessariamente della stessa questione decisa in
primo grado. L’effetto devolutivo si produce nei limiti del thema decidendum proposto dal ricorrente.
Divieto di ius novorum dunque, con l’unica eccezione data dai fatti conosciuti nel corso del giudizio di
secondo grado.

Artt. 345-346 c.p.c.: le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado e non riproposte
in appello, si danno per rinunciate.

Per le questioni relative al ricorso introduttivo, se non decise in primo grado possono essere esaminate in
appello anche d’ufficio; se decise invece devono essere appellate pena il formarsi del giudicato sul punto.
L’appello inoltre non è sospensivo: le sentenza dei TAR sono esecutive, la proposizione dell’appello davanti
al Consiglio di Stato non ne sospende l’esecuzione, a meno che su istanza di parte, il Consiglio di Stato
disponga (con sentenza emessa in Camera di Consiglio) la sospensione dell’esecuzione della sentenza se da
questa possa derivare danno grave ed irreparabile.

Le decisioni di primo grado appellabili

Sono appellabili tutte le sentenze e le ordinanze che hanno carattere decisorio (in passato era esclusa
l’appellabilità delle sentenze istruttorie, di mero contenuto ordinatorio, anche se erano denominate
sentenza. Il problema è stato oggi risolto in quanto si è chiarito che rivestono la qualifica di ordinanze).
Grazie a tale principio è stata ammessa l’appellabilità delle ordinanze cautelari.

Per quanto riguarda le sentenze parziali? In questo caso il giudice decide solo le questioni mature, mentre
per le restanti continua il processo. Possono essere impugnate anche insieme alla sentenza di merito, o
devono essere appellate immediatamente pena decadenza? In procedura civile si può o appellare subito, o
con la sentenza definitiva attraverso la riserva d’appello (art.340 c.p.c.). in amministrativo invece parte
della giurisprudenza propende per un’applicazione analogica dell’art.340 c.p.c., altri però si oppongono a
tale tesi dichiarando la necessità di appello immediato pena giudicato.

Le parti

Sono quelle del giudizio di primo grado (può cambiare la loro posizione nel giudizio d’appello, es. per
quello incidentale), costituite, e chi non ha potuto partecipare al primo grado perché non è stato messo
nella condizione di poterlo fare (es. contro interessato pretermesso, al quale cioè non è stato notificato)
+ i contro interessati occulti (la loro posizione non si evinceva dal provvedimento impugnato) o successivi
(la loro posizione viene in essere solo dopo la sentenza di primo grado).

La legittimazione ad appellare è valutata non solo in base all’interesse sostanziale (e non formale!) di chi
appella, ma anche in base alla circostanza che chi appella non sempre è la parte soccombente nel giudizio
di primo grado. È ammesso l’intervento ad adiuvandum e ad opponendum anche da parte di chi non è
stato interventore in primo grado.

La proposizione del ricorso e lo svolgimento del giudizio

L’appello si propone con ricorso indirizzato al Consiglio di Stato contenente: -Generalità dell’appellante -
Sentenza impugnata

-Esposizione dei fatti e dei motivi sui quali si fonda l’appello -Conclusioni

-Sottoscrizione dell’appellante e del difensore (che deve essere adibito alle giurisdizioni superiori).
Entro 20 giorni dalla notificazione o un anno dalla pubblicazione della sentenza che si vuole impugnare.

La notifica è diversa dal primo grado, perché in appello è sufficiente notificare ad almeno una delle parti
necessarie. Il ricorso è depositato in segreteria entro 30 giorni dall’ultima notificazione. Entro 30 giorni gli
appellanti possono costituirsi in giudizio (ma il termine non è perentorio: in ogni caso possono farlo fino
a 10 giorni prima dell’udienza o anche appena prima di questa, ma poi ci si deve limitare alla difesa
orale).

La sent.205/2000 ha introdotto nuovi termini con l’art.23 bis: ora il termine è di 30 giorni dalla
notificazione o 120 dalla pubblicazione. Si prevede anche l’appello con riserva dei motivi.

In ogni caso lo svolgimento del processo segue le regole proprie del giudizio davanti ai TAR.

L’appello incidentale

L’istituto nasce al fine di poter trattare in un unico giudizio di appello le censure che le parti soccombenti
possono proporre in appello. Originariamente era usato solo in caso di parziale accoglimento del ricorso
di primo grado. L’appello incidentale è strettamente dipendente da quello principale. È da depositare
entro i 30 giorni successivi al termine fissato per il deposito di quello principale, con atto notificato alle
controparti, da depositare nei 20 giorni successivi. Il ricorso incidentale deve essere proposto anche
quando più parti sono legittimate a proporre appello per motivi diversi. Il più diligente, che arriva prima,
fa appello principale, tutti gli altri quello incidentale (a meno che quello principale non venga notificato.
In questo caso i ricorsi saranno riuniti in sede di integrazione del contraddittorio).

Le sentenze del giudice di appello

1. Di rigetto: l’appello è giudicato infondato

2. Di accoglimento: il Consiglio di Stato annulla la decisione del TAR. In questo caso la sentenza può
essere con rinvio se:

Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso per difetto di procedura o di forma della decisione di primo grado

Se il Consiglio di Stato accoglie il ricorso contro una sentenza del TAR che erroneamente ha dichiarato la
propria incompetenza

Se il TAR abbia erroneamente declinato la propria giurisdizione

Le parti prima dovevano riassumere la causa, ora per esigenze di celerità processuale voluta dalla riforma
205/2000 l’udienza al TAR è fissata d’ufficio entro 30 giorni dalla comunicazione della sentenza che ha
disposto il rinvio.

Sezione seconda: I rimedi straordinari contro le decisioni dei giudici amministrativi

La revocazione

Nozione

È impugnazione a critica vincolata, sono infatti previsti tassativamente i casi per i quali è possibile ricorrere
a tale istituto.

I casi di revocazione

Nel processo civile, si distingue tra revocazione ordinaria e straordinaria. Se si è ancora nel termine per
impugnare, i motivi di revocazione si convertono in motivi di appello.
Straordinaria:

-Dolo di una parte a danno di un’altra (impedisce la difesa dell’altra parte mediante artifici o raggiri)

-Prove false: la prova è stata riconosciuta o dichiarata falsa (in sede penale) dopo che la sentenza è passata
in giudicato)

-Ritrovamento dopo la sentenza di uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre per
forza maggiore o fatto dell’avversario

-Dolo del giudice comprovato da sentenza passata in giudicato Ordinaria:

-Erronea supposizione di fatto (errore di fatto): la decisione della causa si fonda su un fatto che si ritiene
inesistente e non lo è, o viceversa (si ha falsa rappresentazione della realtà). È errore di percezione, non di
interpretazione (altrimenti si avrebbe ricorso per Cassazione).

-Contrarietà a un precedente giudicato: la revocazione può essere fatta se la sentenza impugnata non abbia
pronunciato su una precedente eccezione di giudicato. Si tratta di giudicato esterno: tra le stesse parti,
sullo stesso oggetto, ma in cause diverse.

L’articolo 28 della legge TAR ammette nei confronti delle sentenze dei TAR il rimedio della revocazione ;
l’art. 36 della stessa legge ammette la revocazione anche nei confronti del Consiglio di Stato. In entrambi i
casi non è dettata una disciplina specifica dell’istituto, con riferimento a pronunce di giudici amministrativi,
ma è fatto rinvio al codice di procedura civile.

In particolare si fa riferimento all’articolo 395 c.p.c. che riguarda i casi di:

• sentenza che sia effetto di dolo di una parte in danno dell’altra.

• sentenza pronunciata in base a prove riconosciute o dichiarate false dopo la sentenza o che la parte
soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate false prima della sentenza.

• il caso di ritrovamento dopo la sentenza di uno o più documenti decisivi che la parte non aveva
potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario. In tal caso il
ritardo nella scoperta del documento non deve essere imputabile a colpa o dolo della parte.

• La sentenza che sia affetta da errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. L’errore
di fatto deve essere, in tal caso, determinante per la sentenza, e non deve concernere le valutazioni
dei fatti compiute dal giudice, ma deve consistere in una erronea o omessa percezione del
contenuto materiale degli atti o dei documenti prodotti nel giudizio.

• La sentenza sia contraddittoria con altra precedente passata in giudicato, purché non abbia
pronunciato sulla relativa eccezione. Questa ipotesi presuppone l’identità degli elementi di
identificazione dell’azione nei due diversi giudizi.

• La sentenza affetta da dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.

Il giudizio per revocazione si propone avanti al medesimo giudice che ha emesso la sentenza: il giudice
adito procede all’accertamento delle condizioni per la revocazione (c.d. iudicium rescindens) e, nel caso di
accertamento positivo, al riesame del merito della controversia già precedentemente decisa ( c.d. iudicium
rescissorium ).

Le decisioni revocabili
Contro le sentenze dei TAR, in base al rinvio agli artt.395-396 c.p.c., dovrebbe essere possibile proporre
revocazione per tutti i casi dell’art.395, anche se ancora in tempo per l’appello.

Per la dottrina, si applica il principio della prevalenza dei mezzi di impugnazione generali su quelli speciali
(da preferire sempre l’appello). La giurisprudenza invece è ancora oscillante tra l’interpretazione fornita
dalla dottrina, e la libera scelta offerta all’appellante tra i 2 rimedi:

Se sono addotti gli stessi motivi, la proposizione di una delle 2 impugnazioni rende inammissibile (o
improcedibile) l’altra

Se i motivi addotti sono differenti, per non arrivare a giudicati contrastanti ed unire quindi le impugnazioni,
la giurisprudenza è oscillante tra la proposizione del rimedio generale dell’appello (i motivi revocatori
saranno poi convertiti in motivi aggiunti), o la proposizione della revocazione con sospensione dell’appello
(-> vedi c.p.c. dove regola rapporti tra revocazione e ricorso in cassazione).

Contro le sentenze del Consiglio di Stato, la disciplina più recente sembrerebbe rinviare solo all’art.396
c.p.c., rendendo utilizzabile solo la revocazione straordinaria. Ma la giurisprudenza è concorde nel ritenere
in vigore ancora la precedente disciplina, con riferimento al rinvio all’art.395 c.p.c. (è esperibile cioè anche
la revocazione ordinaria). Tale interpretazione è inoltre conforme alla Costituzione, altrimenti vi sarebbe
una compressione dei mezzi di tutela).

I termini per la proposizione del ricorso

Per quanto riguarda i termini, stabilisce l’art.400 c.p.c. che davanti al giudice adito si osservano le norme
per il procedimento dinanzi a lui: è necessario rispettare anche i termini del processo amministrativo: 60
giorni dalla notifica della sentenza (o scoperta dei vizi per la revocazione straordinaria) o un anno dalla sua
pubblicazione.

Il giudizio di revocazione

Sono legittimate le parti formali del primo grado (ma per alcuni anche le sostanziali).

La revocazione si compone di una fase rescissoria e di una rescindente, ed ha effetto devolutivo (come
l’appello). Art.398 c.p.c. e rapporto con il ricorso in Cassazione.

Contro la revocazione sono esperibili tutti i mezzi di impugnazione, tranne la revocazione stessa.

L’opposizione di terzo

L’istituto in questione non è contemplato nelle leggi sul processo amministrativo e la giurisprudenza del
Consiglio di Stato aveva sempre desunto da questo silenzio che nel processo amministrativo non fosse
ammesso. La Corte Costituzionale con sentenza 17 maggio 1995, n.177 ha, però, dichiarato l’illegittimità
dell’art. 36 legge TAR “nella parte in cui non prevede l’opposizione di terzo ordinaria fra i mezzi di
impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato e (…) delle sentenze del TAR divenute giudicato”; si
considera dunque applicabile la normativa prevista all’articolo 404, 1° comma c.p.c. attraverso la quale un
terzo può porre in discussione una sentenza passata in giudicato “o comunque esecutiva” che pregiudichi i
suoi diritti e che sia pronunciata in un giudizio cui sia rimasto estraneo.

L’opposizione di terzo dovrebbe essere proposta avanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza
pregiudizievole per il terzo : tuttavia una parte della giurisprudenza amministrativa, richiamandosi alle
peculiarità del processo amministrativo in tema di legittimazione all’appello, sostiene che solo nei confronti
delle sentenze dei TAR l’opposizione vada comunque proposta al giudice d’appello.

Art.404 c.p.c. in combinato disposto con l’art.2909 c.c. (il giudicato).

Al contrario della revocazione, che può essere ordinaria o straordinaria, l’opposizione di terzo è solo
straordinaria (può cioè essere chiesta solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza, altrimenti prima si
ricorrerebbe o all’appello, o al ricorso in Cassazione).

Punto di partenza è l’art.2909 c.c., il giudicato sostanziale in ambito soggettivo. Questo recita infatti: ”
L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi
o aventi causa”. Secondo tale articolo, i terzi non verrebbero in alcun modo colpiti dal giudicato. Ma può
accadere che la sentenza vada ad incidere sul terzo che non abbia partecipato al processo.

Il terzo quindi è tale rispetto al processo cui non ha ingiustamente partecipato, ma non lo è rispetto al
rapporto sostanziale. Tale istituto prima non era ammesso nel processo amministrativo, ma ciò fu superato
dalla sentenza additiva della Corte Costituzionale, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale
dell’art.36 della legge istitutiva dei TAR nella parte in cui non prevedeva l’opposizione di terzo tra i mezzi di
impugnazione (in violazione degli artt.3 e 24 Cost.)

I soggetti legittimati; le sentenze opponibili; il giudice competente ei termini per la proposizione del
ricorso

Legittimati nel processo civile sono i litisconsortili necessari pretermessi (andranno a dedurre il mancato
rispetto delle regole sul contraddittorio) e i titolari di una situazione soggettiva autonoma e incompatibile
con ciò che sia stato deciso dal giudice (verrà in esame l’ingiustizia della sentenza). Tuttavia in campo
amministrativo si sono rivelati dei problemi:

per ovviare alla mancanza dell’opposizione di terzo, si è sempre cercato di ampliare la categoria degli
interessati ad appellare, includendo anche i contro interessati sostanziali ed i cointeressati sostanziali. Ciò
viene a creare sovrapposizioni tra legittimati ad appellare e legittimati a proporre opposizione di terzo.

Inoltre la Corte Costituzionale, a causa della delimitazione della questione di legittimità che era stata
chiamata a giudicare, aveva limitato l’opposizione di terzo solo alle sentenze di primo grado passate in
giudicato (diversamente dal c.p.c., che lo prevede invece per tutte le sentenze comunque esecutive). Sul
presupposto dell’immediata esecutività (e quindi possibile lesività) delle sentenze di primo grado non
ancora passate in giudicato, la giurisprudenza più recente ammette in ogni caso l’esperibilità
dell’opposizione di terzo. Per quanto riguarda invece l’opposizione revocatoria, non è presente nel
processo amministrativo, anche se ultimamente vi è qualche voce della dottrina a favore.

Il giudice competente è lo stesso che ha adottato la sentenza, con lo stesso procedimento proposto di
fronte a lui (competenza funzionale inderogabile).

In caso di sentenza non ancora passata in giudicato, la giurisprudenza amministrativa precedentemente


riteneva competente il Consiglio di Stato, perché giudice naturale delle impugnazioni, ma poi preferendo
l’economia processuale questa ha ammesso la proponibilità allo stesso giudice della sentenza impugnata
(salva la possibilità di convertire l’opposizione di terzo in appello davanti al Consiglio di Stato, seguendo
forme e termini, che sono gli stessi dell’appello).

Se si propone l’opposizione insieme all’appello, l’opposizione è convertita in intervento nell’appello.


Se si propone opposizione insieme alla revocazione, si porteranno avanti i 2 giudizi, per poi coordinare le
sentenze attraverso il criterio della prevalenza temporale.

Sezione terza: La risoluzione delle questioni di giurisdizione

La risoluzione delle questioni di giurisdizione

Gli strumenti di verifica della giurisdizione

Dato che la giurisdizione è divisa tra più ordini di giudici, tra giudici ordinari, amministrativi e tra giudici
speciali, è necessario un controllo qualora sorgano conflitti. Le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno
il compito di verificare i conflitti di giurisdizione nei casi concreti (nonché i conflitti di attribuzione).

Il regolamento preventivo di giurisdizione:

• art.41 c.p.c., il regolamento è esperibile finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado, e
la proposizione del regolamento non sospende automaticamente il giudizio.

• La questione di giurisdizione è sollevabile dalla PA anche se non è parte in causa, e in ogni stato e
grado del giudizio, finché la giurisdizione non sia stata affermata con sentenza passata in giudicato.

Il ricorso in Cassazione contro le sentenze rese in grado di appello

Nei confronti di una pronuncia, esplicita o implicita, sulla giurisdizione sono proponibili impugnazioni
proprie del grado della sentenza di cui si tratta per far valere le questioni di giurisdizione. La giurisprudenza
ritiene che il difetto di giurisdizione riempie tre vizi rilevabili d’ufficio in appello anche in presenza di una
pronuncia esplicita sul punto del tribunale amministrativo. Le sentenze rese in grado di appello sono
ricorribile in cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, come oggi espressamente affermato
dall’articolo 111 costituzione.

La disciplina del ricorso in cassazione per motivi di giurisdizione è dettata dal codice di rito ex art.325 c.p.c.:
la sua proposizione non sospende l’esecuzione della sentenza, ma in caso di grave irreparabile danno il
giudice può disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa e che sia prestata
congrua azione. In caso di accoglimento del ricorso la corte cassa la decisione impugnata senza rinvio, se ne
dalla sussistenza della giurisdizione; la cassa con il rinvio invece qualora 6000 giurisdizione negata dal
giudice il cui provvedimento è stato impugnato. In questo caso le parti devono riassumere il giudizio entro
sei mesi dalla comunicazione della sentenza.

I casi di corrività in cassazione ” in ogni tempo”

La contestazione può avere ad oggetto sia i conflitti, positivi o negativi, di giurisdizione tra giudici speciali o
tra questi e giudici ordinari; sia a conflitti negativi di attribuzione tra amministrazione giudice ordinario. La
norma sottrae la proponibilità del rimedio ai limiti temporali propri delle impugnazioni, e legittima quindi la
proposizione del ricorso anche nel caso di sentenze formalmente passate in giudicato.

Gli effetti della decisione sulla giurisdizione

Secondo l’articolo 386 c.p.c. la decisione sulla giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda e,
quando proseguii giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto sulla proponibilità della
domanda. Ogni volta che chiamata decidere una questione di giurisdizione La corte ha il potere-dovere di
procedere ad un’indagine di fatto, effettuata solo fine di qualificare la posizione soggettiva delle parti o
rapporto dedotto in giudizi sono. La valutazione non comporta però che il giudice possa poi nel merito
negare fondamento alla domanda escludendo la ricorrenza dei fatti a cui si pensa assunta presupposto
della questione di giurisdizione.

La decisione della corte di cassazione è spicca sicuramente effetti vincolanti per il giudice di merito, perché
tale questione non potrà più essere rimessa in discussione in quel giudizio. L’autonomia tra istanza di
regolamento preventivo di sospensione del giudizio di merito ha portato la giurisprudenza a ritenere che la
sentenza affermativa del difetto di giurisdizione determini l’automatica caducazione di tutti gli atti e
provvedimenti dipendenti dal provvedimento che abbia disposto la prosecuzione del processo.

Le questioni di giurisdizione

Le questioni di giurisdizione pongono il problema dei limiti esterni della giurisdizione, possiede rispetto da
parte degli organi giurisdizionali dei confini tracciati dalla legge all’esercizio della loro attività. È escluso ogni
sindacato su questioni relative all’erronea o falsa applicazione di norme giuridiche, vizi nell’iter procedurale
o nel processo logico della decisione o l’omissione di pronuncia. Ai principi del giusto processo andrebbe
riconosciuta portata profondamente innovativa in ordine al concetto stesso di giurisdizione, in base alla
quale è possibile nucleare quattro diverse aree di conflitti le questioni relative alla corretta attuazione del
criterio di riparto, l’eccesso di potere giurisdizionale, la verifica se la situazione vantata dal privato sia
astrattamente protette tutelato dall’ordinamento, l’errata composizione del collegio giudicante.

CAPITOLO IV – LA SOSPENSIONE, L’INTERRUZIONE E L’ESTINZIONE DEL PROCESSO

Sezione prima: Sospensione ed interruzione

Sospensione ed interruzione

Gli strumenti di verifica della giurisdizione

Dato che la giurisdizione è divisa tra più ordini di giudici, tra giudici ordinari, amministrativi e tra giudici
speciali, è necessario un controllo qualora sorgano conflitti. Le sezioni unite della Corte di Cassazione hanno
il compito di verificare i conflitti di giurisdizione nei casi concreti (nonché i conflitti di attribuzione).

Il regolamento preventivo di giurisdizione:

• art.41 c.p.c., il regolamento è esperibile finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado, e
la proposizione del regolamento non sospende automaticamente il giudizio.

• La questione di giurisdizione è sollevabile dalla PA anche se non è parte in causa, e in ogni stato e
grado del giudizio, finché la giurisdizione non sia stata affermata con sentenza passata in giudicato.

Il ricorso in Cassazione contro le sentenze rese in grado di appello

Nei confronti di una pronuncia, esplicita o implicita, sulla giurisdizione sono proponibili impugnazioni
proprie del grado della sentenza di cui si tratta per far valere le questioni di giurisdizione. La giurisprudenza
ritiene che il difetto di giurisdizione riempie tre vizi rilevabili d’ufficio in appello anche in presenza di una
pronuncia esplicita sul punto del tribunale amministrativo. Le sentenze rese in grado di appello sono
ricorribile in cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, come oggi espressamente affermato
dall’articolo 111 costituzione.
La disciplina del ricorso in cassazione per motivi di giurisdizione è dettata dal codice di rito ex art.325 c.p.c.:
la sua proposizione non sospende l’esecuzione della sentenza, ma in caso di grave irreparabile danno il
giudice può disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa e che sia prestata
congrua azione. In caso di accoglimento del ricorso la corte cassa la decisione impugnata senza rinvio, se ne
dalla sussistenza della giurisdizione; la cassa con il rinvio invece qualora 6000 giurisdizione negata dal
giudice il cui provvedimento è stato impugnato. In questo caso le parti devono riassumere il giudizio entro
sei mesi dalla comunicazione della sentenza.

I casi di corrività in cassazione ” in ogni tempo”

La contestazione può avere ad oggetto sia i conflitti, positivi o negativi, di giurisdizione tra giudici speciali o
tra questi e giudici ordinari; sia a conflitti negativi di attribuzione tra amministrazione giudice ordinario. La
norma sottrae la proponibilità del rimedio ai limiti temporali propri delle impugnazioni, e legittima quindi la
proposizione del ricorso anche nel caso di sentenze formalmente passate in giudicato.

Gli effetti della decisione sulla giurisdizione

Secondo l’articolo 386 c.p.c. la decisione sulla giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda e,
quando proseguii giudizio, non pregiudica le questioni sulla pertinenza del diritto sulla proponibilità della
domanda. Ogni volta che chiamata decidere una questione di giurisdizione La corte ha il potere-dovere di
procedere ad un’indagine di fatto, effettuata solo fine di qualificare la posizione soggettiva delle parti o
rapporto dedotto in giudizi sono. La valutazione non comporta però che il giudice possa poi nel merito
negare fondamento alla domanda escludendo la ricorrenza dei fatti a cui si pensa assunta presupposto
della questione di giurisdizione.

La decisione della corte di cassazione è spicca sicuramente effetti vincolanti per il giudice di merito, perché
tale questione non potrà più essere rimessa in discussione in quel giudizio. L’autonomia tra istanza di
regolamento preventivo di sospensione del giudizio di merito ha portato la giurisprudenza a ritenere che la
sentenza affermativa del difetto di giurisdizione determini l’automatica caducazione di tutti gli atti e
provvedimenti dipendenti dal provvedimento che abbia disposto la prosecuzione del processo.

Le questioni di giurisdizione

Le questioni di giurisdizione pongono il problema dei limiti esterni della giurisdizione, possiede rispetto da
parte degli organi giurisdizionali dei confini tracciati dalla legge all’esercizio della loro attività. È escluso ogni
sindacato su questioni relative all’erronea o falsa applicazione di norme giuridiche, vizi nell’iter procedurale
o nel processo logico della decisione o l’omissione di pronuncia. Ai principi del giusto processo andrebbe
riconosciuta portata profondamente innovativa in ordine al concetto stesso di giurisdizione, in base alla
quale è possibile nucleare quattro diverse aree di conflitti le questioni relative alla corretta attuazione del
criterio di riparto, l’eccesso di potere giurisdizionale, la verifica se la situazione vantata dal privato sia
astrattamente protette tutelato dall’ordinamento, l’errata composizione del collegio giudicante.

Sezione seconda: Estinzione del processo

Estinzione del processo


Le cause di estinzione: premessa

Il processo amministrativo si conclude di solito con la sentenza che definisce la controversia nel merito, o
per ragioni attinenti al rito; tuttavia può accadere che il processo si estingua per altre circostanze che non
permettono la sua prosecuzione, sia perché viene meno l’impulso processuale di parte, o la volontà, o
circostanze di fatto o nuovi atti che rendono non utile la prosecuzione del giudizio. In tutte queste
circostanze l’ordinamento prevede l’estinzione del rapporto processuale, perché non più necessario, ma è
richiesta senza una pronuncia del giudice amministrativo che dichiari.

La rinuncia al ricorso

In qualunque stadio di grado del giudizio si può rinunciare al ricorso con dichiarazione sottoscritta dalla
parte, o dall’avvocato, munito di mandato speciale. La rinuncia può avvenire anche un moralmente
all’udienza, con dichiarazione resa a verbale. La rinuncia e quindi atto di parte, e non può essere sottoposto
a condizione, termino modo; e anche atto unilaterale recettizio, e richiede che venga notificato alle altre
parti (formalità non necessaria se comunicata oralmente in udienza). La rinuncia può essere dichiarata
anche per un ricorso in appello, e con la sentenza che ne dà atto si produce l’effetto del passaggio in
giudicato della sentenza di primo grado. Spetta rinunciante pagare le spese degli atti di procedura compiuti.

La perenzione (o abbandono) del ricorso

Opera l’estinzione del processo per inattività delle parti, se per il corso di due anni non si è fatto alcuna atto
di procedura. L’estinzione del processo opera di diritto e può essere rivelata dal giudice anche d’ufficio.
Ogni parte sopporta le proprie spese del giudizio estinto. Per quanto riguarda i ricorsi ultradecennali, pur
essendosi tempestivamente prodotta istanza di fissazione d’udienza a suo tempo, ma non essendo mai
giunti alla discussione nel merito, la segreteria del giudice deve inviare apposito avviso con il quale fatto
nero alle parti di presentare nuove istanza di fissazione entro sei mesi dalla data di notifica dell’avviso,
trascorsi i quali i ricorsi verranno dichiarati perenti.

All’istituto serve a verificare se a distanza di anni permangono interessa la prosecuzione del giudizio o se la
parte non intenda più coltivare l’iniziativa.

La decadenza per mancata riassunzione del ricorso

Anche questa dovuta all’inattività delle parti e alla mancanza degli impulso processuale. La decadenza per
mancata riassunzione sia a seguito dell’interruzione in base alla quale il processo deve poi essere di
assunto, a cura della parte più diligente, con apposito atto notificato tutte le altre parti, nel termine
perentorio di sei mesi dalla conoscenza legale dell’evento interruttivo. A differenza della perenzione, però,
non opera di diritto e non può quindi essere dichiarata d’ufficio, ma eccepita dalla parte interessata. La
decadenza delle ricorso sia anche quando una delle parti non si attivi a chiedere la riassunzione del
processo che sia stato sospeso.

La cessazione della materia del contendere

Il rapporto processuale si estingue anche quando sopravvengono circostanze di fatto nuove che rendono
non più necessaria la prosecuzione del giudizio, come i casi di cessazione della materia del contendere che
si verifica quando l’amministrazione in pendenza di giudizio annulli o comunque riformi in maniera
satisfatoria per il ricorrente il provvedimento contro cui è stato proposto ricorso. Sento il termine per la
fissazione dell’udienza l’amministrazione annullo riforma all’atto impugnato in modo conforme all’istanza
della ricorrente, il Tar dà atto della cessata materia del contendere e provvede sulle spese. non può
comportare cessazione l’atto di revoca con effetti ex nunc, in quanto lascia in pregiudicati gli effetti lesivi
già prodottisi e lamentati dal ricorrente.

Allo stesso modo non determina cessazione l’annullamento parziale o un atto di ritiro che sostituisca il
provvedimento impugnato con atto sostanzialmente confermativo di quello ritirato. Nel caso di ricorso con
oggetto pretese patrimoniali è cessazione della materia del contendere si verifica con la corresponsione di
tutte le somme richieste, compresi interessi e rivalutazione.

La carenza sopravvenuta di interesse

Altra ipotesi di estinzione anticipata per circostanze di fatto di diritto che rendono non più utile la
prosecuzione del giudizio sia nel caso di sopravvenuta carenza di interesse che si determina quando si
realizza una situazione di fatto incompatibile con la permanenza dell’interesse al ricorso. In dottrina
tuttavia si dubita della sua utilità in quanto troppo simile all’ipotesi della cessazione della materia del
contendere.

CAPITOLO V – I RITI COMPATTI

Il rito immediato

La decisione semplificata

Art.26 della legge del 1971, come novellato da L.205/2000, disciplina le “decisioni in forma semplificata”,
ossia le sentenza succintamente motivate.

La motivazione della sentenza

Qualora si ravvisi manifesta fondatezza o manifesta irricevibilità, inammisibilità, improcedibilità o


infondatezza del ricorso, il TAR o il Consiglio di Stato decidono con sentenza succintamente motivata (si fa
riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo, o ad un precedente). Il giudice provvede anche
alle spese di giudizio, come da c.p.c.

Tale decisione può essere assunta (sempre in contraddittorio):

• nella Camera di Consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare

• nella Camera di Consiglio fissata d’ufficio dopo l’istruttoria (anche se in questo caso si ha comunque
udienza pubblica, perché si tratta di udienza di trattazione).

Si semplifica la motivazione, elemento formale della sentenza, ma anche il rito quando vi è la


concentrazione della fase cautelare con quella di merito.

I presupposti

I presupposti sono:

• la completezza del contraddittorio

• la completezza istruttoria
Se il primo viene omesso, la decisione è appellabile: il Consiglio di Stato può rinviarla al primo giudice per
difetto di procedura.

Se ad essere incompleta è invece l’istruttoria, non vi è vizio di procedura, dunque il Consiglio di Stato può
direttamente provvedere agli accertamenti non effettuati.

Se il TAR dichiara erroneamente manifestamente irricevibile, inammissibile o improcedibile il ricorso, il


Consiglio di Stato trattiene la causa per decidere il merito.

Se invece il TAR dichiara erroneamente manifestamente fondato o infondato il ricorso, la controversia è


devoluta ad giudice di secondo grado, nei limiti del tantum devolutum quantum appellatum.

Tale rito è adottabile in qualunque occasione in cui il Collegio tratti la causa nel rito o nel merito (non solo
se si tratti di istanza cautelare dunque, perché le previsioni normative hanno carattere esemplificativo e
non tassativo) e per ogni lite di facile soluzione.

Il rito abbreviato e accelerato

Il rito abbreviato

La riduzione dei termini processuali

Prevede la riduzione dei termini processuali della metà tranne quelli per il ricorso (anche incidentale). La
stessa riduzione è prevista inoltre per il regolamento di competenza.

Sulla “proposizione” del ricorso

Con l’espressione “proposizione del ricorso” si ha riguardo solo al termine per la notificazione, non anche
per il deposito.

Tuttavia la dottrina e la giurisprudenza preferiscono un’interpretazione estensiva, anche perché ci si


riferisce a “termini per la proposizione del ricorso”. Con il plurale si vogliono indicare sia la notificazione che
il deposito (tralaltro senza deposito la notificazione si avrebbe per non fatta….) I termini sono così ridotti:

• da 40 a 20 giorni: tra il decreto di fissazione dell’udienza e l’udienza stessa

• da 2 a 1 anno: il termine per la perenzione

Tuttavia l’appello fa eccezione: rimane di 30 giorni dalla notificazione della sentenza, o 120 giorni dalla
pubblicazione.

Il rito accelerato

Ragioni di una disciplina acceleratoria

Esistono settori particolari nell’ordinamento che giustificano una loro particolare disciplina, senza per altro
violare il principio di uguaglianza.

L’art.23 bis non rappresenta una novità assoluta, infatti già nel 1994 tale rito era previsto per i ricorsi
contro le procedure di affidamento di lavori pubblici, per le quali sia stata pronunciata ordinanza di
sospensione, da discutersi entro 90 giorni da tale ordinanza.

Nel 1997 si sono individuati invece gli istituti idonei per i riti accelerati:

• concentrazione della fase cautelare con quella di merito


• motivazione della sentenza in forma abbreviata

E’ stata codificata una prassi da sempre affidata alla discrezionalità dei Collegi, attraverso l’istituto del
“rinvio della trattazione dell’istanza cautelare congiuntamente alla discussione del merito”.

I settori interessati dal rito accelerato

Le disposizioni di cui all’art.23 bis si applicano ai processi impugnatori, perché l’elencazione menziona
“provvedimenti” assunti nei vari settori individuati dalla norma, non vi è un’individuazione per materia.

Ambito oggettivo di applicazione del rito accelerato

Si applica a:

• i giudizi aventi ad oggetto provvedimenti relativi a procedure di affidamento di incarichi di


progettazione

• tutti gli atti idonei a radicare un interesse all’impugnazione nelle controversie inerenti
procedimenti di aggiudicazione di appalti di lavori, servizi e forniture, nonché ai bandi di gara e ai
provvedimenti di esclusione

• provvedimenti relativi alle procedure di occupazione ed espropriazione delle aree destinate alla
realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità

• i provvedimenti adottati dalle autorità amministrative indipendenti

• i provvedimenti relativi alle procedure di privatizzazione e dismissione di imprese o beni pubblici,


nonché quelli relativi alla costituzione, modificazione o soppressione di soggetti gestori di servizi
pubblici e locali

• provvedimenti di nomine pubbliche

• Disciplina positiva del rito accelerato

La differenza tra il rito ordinario e quello accelerato, si ha nel fatto che in quello ordinario il giudice deve
decidere sull’istanza cautelare (a meno che non vi siano presupposti per una sentenza di merito
succintamente motivata) e all’esito del ricorso inizierà il normale periodo di giacenza; nel rito accelerato
invece di regola non vi sarà decisione cautelare, ma se vi sono i presupposti di fumus boni iuri e periculum
in mora, il Collegio fisserà direttamente l’udienza di discussione (sempre che non vi siano i presupposti per
una sentenza succintamente motivata).

L’appello nel rito accelerato

Termini per impugnare brevi di 30 giorni, anziché 60, e quello lungo di 120. Non è stabilito nulla per il
deposito dell’appello. È inoltre possibile impugnare a fini cautelari il dispositivo della sentenza con riserva di
proposizione dei motivi all’esito della pubblicazione della motivazione della decisione.

CAPITOLO VI – RITI SPECIALI

Controversie in tema di infrastrutture


La legge del 2003 reca “disposizioni urgenti in materia di giurisdizione sportiva”.

Ma già precedentemente la giurisprudenza aveva ammesso la giurisdizione del giudice amministrativo per
le controversie contro i provvedimenti di non ammissione di una società sportiva di calcio a un determinato
campionato. Tali società sportive infatti, pur se soggetti di diritto privato (associazioni non riconosciute),
possono talvolta assumere la qualifica di organi del CONI, di natura pubblicistica. È discriminante l’attività
svolta:

• se le norme applicate riguardano l’attività riconducibile alla vita interna o ai rapporti tra le
Federazioni, o tra le Federazioni e i professionisti, si è nell’ambito del diritto privato

• se l’attività invece è finalizzata a realizzare interessi fondamentali dell’attività sportiva, queste sono
a tutti gli effetti organi del CONI.

L’autonomia dell’ordinamento sportivo

I rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati sulla base del principio
di autonomia. L’ordinamento sportivo disciplina:

1. l’osservanza e l’applicazione delle norme dell’ordinamento sportivo;

2. i comportamenti disciplinari e le eventuali sanzioni.

Tali regole e le decisioni adottate sulla base di queste non hanno rilevanza per l’ordinamento statale (non è
mancanza di tutela, ma di garanzia sulla base di norme di diritto privato). In queste materie le società, le
associazioni e i tesserati hanno l’onere di adire gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo.

La giustizia sportiva dinanzi al giudice amministrativo

Tuttavia esauriti i gradi di questa (e fermo restando che dei rapporti patrimoniali ha giurisdizione il giudice
ordinario), le controversie aventi ad oggetto atti del CONI e delle Federazioni sportive (non riservate agli
organi di giustizia dell’ordinamento sportivo) sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo. L’esaurimento dei gradi di giustizia sportiva è costituzionalmente legittimo o va contro il
principio secondo il quale la tutela contro gli atti della PA non può essere limitata a particolari mezzi di
impugnazione? Si è ritenuto che ciò sia legittimo, anche perché nonostante vi sia un caso di giurisdizione
condizionata, tuttavia i tempi processuali e gli oneri non sono eccessivi.

Il ricorso per l’accesso

La legge del 1990, come modificata nel 2005, e in ultimo con L.69/2009, stabilisce che il diritto d’accesso si
attua mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi. Se trascorrono 30 giorni
inutilmente dalla richiesta, questa si ha per respinta (silenzio-rifiuto).

Si tratta di una tutela giurisdizionale rapida ed efficiente: è infatti previsto il rito abbreviato (30 giorni per
esperire il ricorso da quando si è avuta la piena conoscenza del diniego, ed entro i successivi 30 dalla
scadenza del termine per il deposito del ricorso il TAR si deve pronunciare in Camera di Consiglio.

La tutela giurisdizionale spetta al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva (in quanto si
tratta di un vero e proprio diritto soggettivo).
Possono avvalersi del rito abbreviato non solo le parti che, legittimate all’accesso, si sono viste respingere
l’istanza, ma anche i controinteressati (coloro che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il
loro diritto alla riservatezza), la PA che ha il possesso del documento e ha deciso sull’accesso, e gli
interventori (ma questi ultimi non sono parti necessarie, né quelli ad opponendum, né ad adiuvandum). Le
parti possono stare in giudizio personalmente, e la PA può essere rappresentata da un dirigente.

In caso di silenzio-rifiuto, il legittimato all’accesso può adire o il difensore civico (per gli atti delle
amministrazioni comunali, provinciali o regionali) o la Commissione per l’accesso (per gli atti delle
amministrazioni centrali e periferiche dello Stato). Questi si pronunciano entro 30 giorni dalla
presentazione dell’istanza. Scaduto tale termine, il ricorso si ha per respinto. Se invece ritengono illegittimo
il diniego, informano il richiedente e lo comunicano alla PA che lo ha disposto.

Se la Pa non motiva e non conferma il diniego nei successivi 30 giorni, l’accesso è consentito (tuttavia non
sono previste azioni coercitive in caso di inottemperanza della PA). Se l’interessato si rivolge al difensore
civico o alla Commissione per l’accesso, il termine per impugnare è sospeso fino alla decisione. Se l’accesso
è stato negato perché riguarda diritti di terze persone, è necessario ricorrere al Garante per i dati personali.

Tale azione può essere proposta anche durante un altro ricorso giurisdizionale, con istanza al Presidente da
decidersi con ordinanza istruttoria in Camera di Consiglio.

Il ricorso avverso il silenzio e il rito elettorale

Il ricorso avverso il silenzio

La legge del 1971 istitutiva dei TAR, ha previsto che i ricorsi contro il silenzio della PA siano decisi in Camera
di Consiglio, con sentenza succintamente motivata, entro 30 giorni dalla scadenza del termine per il
deposito del ricorso.

Tale fattispecie è ricollegabile solo al silenzio-inadempimento (o silenzio-rifiuto) e non anche al silenzio


significativo (in questo caso infatti si avrebbe un giudizio di natura impugnatoria). Prima non vi erano
indicazioni sul procedimento da adottare in caso di silenzio-inadempimento. Parte della dottrina riteneva
necessario l’onere, da parte dell’interessato, di notificare alla PA la diffida a provvedere, entro un termine
non inferiore ai 30 giorni, altra parte invece riteneva tale procedura non necessaria.

La legge del 2005 chiarisce che decorsi i tempi che ciascuna amministrazione stabilisce per ogni
procedimento (o, in mancanza, 90 giorni) il ricorso è proponibile anche senza diffida, ma entro un anno
dalla scadenza del termine per provvedere.

Se è disposta un’istruttoria, il ricorso è deciso in Camera di Consiglio entro 30 giorni dall’adempimento degli
accertamenti istruttori. In caso di accoglimento, il giudice ordina alla PA di provvedere entro un termine
non superiore a 30 giorni.

il Consiglio di Stato aveva ritenuto che il giudice amministrativo dovesse limitarsi ad accertare
l’inadempimento della PA, non anche stabilire il come questo dovesse avvenire. Tuttavia la legge del 2005
stabilisce che il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell’istanza, entrare quindi nel
merito ed emanare una sentenza dichiarativa che poi la PA dovrà eseguire.

La sentenza di primo grado è appellabile entro 30 giorni dalla notificazione, o 90 dalla pubblicazione. Se la
PA rimane comunque inadempiente, viene nominato un commissario che provveda a suo posto.

Il rito elettorale
Il contenzioso è diviso tra giudice ordinario (per eleggibilità, incompatibilità, presentazione delle liste, in
quanto diritto soggettivi) e giudice amministrativo (competente circa lo svolgimento di operazioni per le
elezioni di Consigli comunali provinciali e regionali).

Si tratta di una disciplina celere per poter tutelare l’interesse pubblico al rispetto della volontà popolare. Il
ricorso si effettua entro 30 giorni dalla proclamazione degli eletti e ha ad oggetto il verbale di
proclamazione degli eletti, atto conclusivo del procedimento elettorale (ma anche i singoli atti possono
essere immediatamente impugnati). Legittimato attivo è qualsiasi cittadino elettore del Comune, o
chiunque vi abbia interesse (caso di azione popolare!).

Il ricorso entro detto termine va depositato in segreteria e in calce ad esso è fissata l’udienza di discussione
in via d’urgenza. Entro i successivi 10 giorni, il ricorso deve essere notificato. Il ricorso e il decreto sono
entrambi da depositare entro 10 giorni dalla notificazione. È attenuato il rigore di specificità dei motivi di
ricorso (ma non possono neanche essere meramente ipotetici). All’udienza, se non vi sono necessità
istruttorie, si da lettura immediata del dispositivo. Se il ricorso è accolto, si corregge il risultato delle
elezioni (la giurisdizione del giudice amministrativo si estende al merito).

Controversie in materia sportiva

La legge del 2003 reca “disposizioni urgenti in materia di giurisdizione sportiva”.

Ma già precedentemente la giurisprudenza aveva ammesso la giurisdizione del giudice amministrativo per
le controversie contro i provvedimenti di non ammissione di una società sportiva di calcio a un determinato
campionato. Tali società sportive infatti, pur se soggetti di diritto privato (associazioni non riconosciute),
possono talvolta assumere la qualifica di organi del CONI, di natura pubblicistica. È discriminante l’attività
svolta:

• se le norme applicate riguardano l’attività riconducibile alla vita interna o ai rapporti tra le
Federazioni, o tra le Federazioni e i professionisti, si è nell’ambito del diritto privato

• se l’attività invece è finalizzata a realizzare interessi fondamentali dell’attività sportiva, queste sono
a tutti gli effetti organi del CONI.

L’autonomia dell’ordinamento sportivo

I rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati sulla base del principio
di autonomia. L’ordinamento sportivo disciplina:

1. l’osservanza e l’applicazione delle norme dell’ordinamento sportivo;

2. i comportamenti disciplinari e le eventuali sanzioni.

Tali regole e le decisioni adottate sulla base di queste non hanno rilevanza per l’ordinamento statale (non è
mancanza di tutela, ma di garanzia sulla base di norme di diritto privato). In queste materie le società, le
associazioni e i tesserati hanno l’onere di adire gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo.

La giustizia sportiva dinanzi al giudice amministrativo

Tuttavia esauriti i gradi di questa (e fermo restando che dei rapporti patrimoniali ha giurisdizione il giudice
ordinario), le controversie aventi ad oggetto atti del CONI e delle Federazioni sportive (non riservate agli
organi di giustizia dell’ordinamento sportivo) sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo. L’esaurimento dei gradi di giustizia sportiva è costituzionalmente legittimo o va contro il
principio secondo il quale la tutela contro gli atti della PA non può essere limitata a particolari mezzi di
impugnazione? Si è ritenuto che ciò sia legittimo, anche perché nonostante vi sia un caso di giurisdizione
condizionata, tuttavia i tempi processuali e gli oneri non sono eccessivi.

PARTE SESTA – GIUDICATO ED OTTEMPERANZA

CAPITOLO II – ESECUZIONE ED OTTEMPERANZA

Nascita, funzione e presupposti del giudicato

Il processo amministrativo è configurato come strumento di effettiva tutela: è necessario che produca il
risultato sostanziale, che per la parte vittoriosa si traduce nel conseguimento del bene della vita contestato.

È perciò necessario che la parte soccombente si uniformi al dictum del giudice.

Prima tale esigenza non era adeguatamente tutelata, perché il giudice amministrativo, dopo aver annullato
il provvedimento amministrativo, rimetteva gli atti all’autorità competente che stabiliva il modo di
conformarsi alla decisione. Quindi la PA non garantiva l’esecuzione delle sentenze del Consiglio di Stato. Si è
riconosciuta quindi la necessità di dare garanzia di adempimento dell’obbligo di conformazione della PA,
attraverso il giudizio di ottemperanza.

Questo, previsto nel 1971(legge istitutiva dei TAR) sia per le sentenze del giudice ordinario che per quelle
del giudice amministrativo, è stato esteso nel 2000 anche alle sentenze di primo grado ancora impugnabili e
per le ordinanze cautelari.

Si garantisce così l’effettività della tutela giurisdizionale, perché si rendono concrete le statuizioni presenti
nella sentenza.

Presupposti:

Esistenza di una sentenza passata in giudicato, del giudice amministrativo o del giudice ordinario La previa
proposizione di una diffida a provvedere inoltrata alla PA

Non è invece un presupposto l’inadempimento, in quanto questo è l’oggetto stesso del giudizio.

Come nel processo ordinario, si distingue il giudicato formale da quello sostanziale (2 aspetti della
sentenza):

– formale. Presente in tutte le sentenze, anche quelle meramente di rito; deriva dalla definitività della
sentenza; quando i mezzi ordinari di impugnazione (appello davanti al consiglio di stato; ricorso in
cassazione,solo per motivi di giurisdizione; revocazione ordinaria) sono stati tutti esperiti o quando è
scaduto il termine. La mancata proposizione dei mezzi straordinari di impugnazione (revocazione
straordinaria; opposizione di terzo manca il dies a quo) non pregiudica il passaggio in giudicato.

– sostanziale. La cosa giudicata sostanziale è l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato
che fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi e i loro aventi causa; tale accertamento è contenuto solo
nelle sentenze di merito che definiscono il rapporto tra le parti. Se la sentenza rigetta il ricorso,
l’accertamento vincolante per le parti corrisponde al contenuto del provvedimento impugnato. Invece, se il
provvedimento è annullato, il potere amministrativo sopravvive all’annullamento, anche se la sentenza che
lo dispone (avendo accolto il ricorso) orienta la futura azione dell’amministrazione. La sentenza di
annullamento dell’atto amministrativo ha il suo nucleo nell’accertamento della illegittimità del
provvedimento impugnato, in relazione a determinati vizi enunciati nel ricorso. A tale tipologia di sentenza
si ricollegano tre ordini di effetti:

• effetto eliminatorio. La sentenza di annullamento comporta l’eliminazione della c.d. realtà


giuridica del provvedimento annullato, che determina il venir meno degli effetti prodotti dal
provvedimento.

• effetto ripristinatorio. La sentenza non opera ex tunc essa, pertanto, non solo elimina gli effetti
della realtà giuridica attuale il titolo che determinava un certo assetto si interessi, ma impone che
quell’assetto di interessi sia eliminato fin dall’origine. Ad esempio l’annullamento del decreto di
esproprio obbliga l’Amministrazione a restituire al proprietario espropriato i frutti percepiti dopo
l’emanazione del decreto.

• effetto preclusivo. se il giudice amministrativo ha annullato un provvedimento, è perché la PA ha


commesso errori. L’effetto preclusivo è tale da far sì che la PA non possa più commettere gli stessi
errori nell’adeguarsi alla sentenza stessa. In questo caso conta molto il vizio rilevato dal giudice e se
quest’ultimo ha ritenuto o meno di assorbire i motivi.

Nel caso di vizi procedurali non c’è effetto preclusivo. Effetto inibitorio che fa si che la PA non possa
commettere lo stesso errore senza incorrere in un nuovo annullamento dell’atto (se il giudice annulla un
provvedimento di destinazione a verde pubblico, la PA non potrà ribadirlo).

– effetto conformativo. L’accertamento contenuto nella sentenza non può essere disatteso
dall’Amministrazione : è necessario che l’accertamento della sentenza vincoli l’Amministrazione anche nella
fase successiva, di riesercizio del potere. Nella rinnovazione del procedimento l’Amministrazione non può
riprodurre il vizio già accertato nella sentenza : l’accertamento del vizio equivale all’affermazione di una
regola che l’amministrazione è tenuta a rispettare quando rieserciti il potere.

Il petitum e la causa petendi

La causa petendi del giudizio di ottemperanza si identifica con quella medesima situazione giuridica
soggettiva che ha formato oggetto del giudizio esitato nella sentenza ineseguita.

Il ricorrente punta, attraverso l’instaurazione del giudizio di ottemperanza, a dare soddisfazione a quella
medesima situazione che era stata originariamente azionata, e che a causa della indisponibilità
dell’amministrazione non ha trovato concreta rispondenza sul piano degli effetti giuridici, attesa l’assenza
di un provvedimento idoneo a produrne in conformità del giudicato.

L’individuazione del petitum del giudizio richiede un preliminare chiarimento in ordine alla differenza
intercorrente tra il giudizio di ottemperanza ed il giudizio di esecuzione di matrice civile.

L’esecuzione è semplice adeguamento del fatto al diritto.

Il giudizio di ottemperanza si prefigge, invece, proprio ed esattamente la identificazione della volontà di


legge (o il completamento di tale identificazione, ove nella sentenza ineseguita permangono ampi spazi di
discrezionalità).

Il ruolo del giudice dell’ottemperanza consiste infatti nel procedere alla verifica della congruità della
risposta operativa fornita alla sentenza dalla parte pubblica e, in definitiva, alla determinazione del
comportamento da realizzarsi nella fattispecie concreta.
Attuazione del giudicato amministrativo significa sia esecuzione, sia ottemperanza.

Inerenti all’esecuzione sono l’effetto demolitorio e quello ripristinatorio, mentre attengono


all’ottemperanza gli effetti ulteriori, vale a dire, l’annullamento degli atti eventualmente posti in essere
sulla base dell’atto annullato ed il nuovo sviluppo dell’azione amministrativa in positivo, che si basa sulla
mancanza dell’atto annullato.

L’oggetto del giudizio, pertanto, investe:

1. l’accertamento dell’inadempimento e la determinazione dell’attività che l’amministrazione avrebbe


dovuto compiere per realizzare concretamente gli effetti scaturenti dalla sentenza da eseguire
(attività di cognizione);

2. quanto è necessario ai fini del pieno dispiegamento dell’effetto demolitorio e del ripristino della
situazione di fatto antecedente al giudicato (attività di cognizione; es.: restituzione del terreno al
proprietario a seguito dell’annullamento giudiziale del decreto di esproprio);

3. l’aspetto della realizzazione in via sostitutiva del comando contenuto in sentenza, attraverso
l’emanazione di nuovi provvedimenti amministrativi attuativi del giudicato (attività di
ottemperanza).

La violazione e l’elusione del giudicato

Il comma 1 dell’art. 21 septies della legge 241/1990, sancisce la nullità del provvedimento amministrativo
adottato in violazione o elusione del giudicato.

Violazione del giudicato: l’amministrazione si ostina a non rispettare la statuizione giurisprudenziale


passata in giudicato, emanando provvedimenti formali che con questa si pongono in diretto contrasto

Elusione del giudicato: l’amministrazione si ostini a non rispettare la statuizione giurisprudenziale passata in
giudicato, emanando provvedimenti che con questa si pongono in diretto contrasto, ma tendono a farlo in
maniera surrettizia, cioè un’azione operata in maniera ambigua, di nascosto; un atto in cui viene taciuta
intenzionalmente qualche circostanza fondamentale.

Secondo l’orientamento espresso dal Consiglio di Stato sez. IV, 6-10-2003, n. 5820, il vizio di elusione del
giudicato ricorre sia nel caso in cui l’Amministrazione eserciti nuovamente la medesima potestà pubblica,
già illegittimamente esercitata, in contra- sto con il puntuale contenuto precettivo del giudicato
amministrativo, sia quando la stessa cerchi di realizzare il medesimo risultato con un’azione connotata da
un manifesto sviamento di potere, mediante l’esercizio di una potestà pubblica formalmente diversa in
palese carenza dei presupposti che lo giustificano. Quando l’amministrazione, a fronte della sentenza a se
sfavorevole, sia rimasta inerte, ovvero abbia esplicitamente dichiarato di non voler ottemperare al
giudicato, l’azione esperibile sarà senza dubbio quella volta ad introdurre il giudizio di ottemperanza.

Del pari, quando l’ottemperanza al giudicato risulti solo parziale, sarà sempre esperibile il ricorso in
ottemperanza per l’esecuzione delle statuizioni rimaste inosservate.

La particolare circostanza che, nei due casi di violazione ed elusione del giudicato, l’atto sia nullo ope
legis, produce rilevanti riflessi tanto sul regime dell’azione quanto sull‘ambito della cognizione del giudice.

Sotto il primo profilo, l’azione sembra qui assumere il carattere dell’imprescittibilità;

Sotto il secondo profilo, nei casi di violazione o elusione del giudicato anche il contenuto della sentenza di
ottemperanza è destinato ad arricchirsi nella sua parte “di cognizione”:
la pronuncia avrà anzitutto un contenuto di accertamento della ricorrenza delle cause di nullità;

essa poi, prendendo le mosse dalla sentenza originaria (violata o elusa) disporrà quanto necessario per
fissare i parametri dell’azione amministrativa al fine di perseguire la effettiva attuazione del giudicato
(attività esecutiva e di ottemperanza).

Ci si chiede se, qualora la PA violi o eluda il giudicato, il legislatore abbia inteso imporre al privato l’onere di
agire non sulla base del ricorso in ottemperanza, bensì con il rito ordinario di cognizione. Tale approccio
però non soddisfa: manca infatti la tutela per il cittadino, in più la giurisdizione esclusiva attiene alla natura
delle situazioni soggettive azionabili, ed è cosa differente dalla forma e dalla procedura (che possono in
ogni caso seguire il giudizio d’ottemperanza). Inoltre sia l’impescrittività dell’azione, sia la cognizione del
giudice sono proprie dell’ottemperanza.

Il ricorrente non potrà pretendere una piena esecuzione della sentenza, i cui contenuti precettivi siano
contraddetti da sopravvenienze di fatto e di diritto, intervenute fino alla notifica della sentenza da eseguire.
Il ricorrente comunque potrà ottenere un risarcimento per illegittimo comportamento della PA. Il giudizio
di ottemperanza

Il giudizio di ottemperanza alle sentenze definitive del giudice amministrativo costituisce la risposta
operativa all’esigenza primaria che la parte soccombente si adegui alla decisione resa dal giudice.

Il giudizio di ottemperanza è stato trattato da diverse leggi, come la legge TAR (1971) che prevedeva tale
giudizio sia nei riguardi delle sentenze del giudice ordinario quanto per quelle del giudice amministrativo,
fino ad arrivare all’ultima tappa dell’evoluzione normativa che si rinviene nella legge 205/2000 con la quale
si è esteso tale giudizio anche alle sentenze di primo grado, soggette ad impugnazione, oltre che alle
ordinanze cautelari.

Il giudizio di ottemperanza si caratterizza quale strumento idoneo a rendere concrete le statuizioni


contenute nella sentenza in cui esso trova il suo titolo e, in definitiva, a garantire l’effettività della tutela
giurisdizionale.

I presupposti processuali del giudizio di ottemperanza sono due:

• la esistenza di una sentenza passata in giudicato del giudice, ordinario o amministrativo;

• la previa proposizione di una diffida a provvedere inoltrata all’amministrazione.

Non costituisce presupposto processuale l’inadempimento dell’amministrazione del giudicato: tale


elemento è, viceversa e più propriamente, parte dell’oggetto del giudizio, poiché su di esso si appunta
un’attività di accertamento demandata dal giudice.

Le sentenze insuscettibili di ottemperanza

Si tratta di sentenze autoesecutive (la capacità esecutiva, cioè, si esaurisce nell’effetto demolitorio):

• Pronunce che annullano i provvedimenti negativi di controllo

• Sentenze che annullano taluni atti sanzionatori

• Decisioni di carattere meramente processuale

• Decreto del Presidente della Repubblica che decida su ricorso straordinario

Si definiscono sentenze autosatisfattive (o autoesecutive) quelle la cui capacità esecutive si esaurisce


nell’effetto demolitorio.
Esempi:

• pronunce che annullano provvedimenti negativi di controllo, restituendo così piena efficacia all’atto
controllato, senza che occorra da parte dell’amministrazione una specifica attività di adeguamento;

• sentenze che annullano taluni atti sanzionatori (sanzione disciplinare dell’ammonimento);

• sentenze che annullano provvedimenti amministrativi di autotutela demolitoria (revoche,


annullamenti d’ufficio), ripristinando gli effetti dell’atto oggetto del procedimento di secondo
grado.

In tutti questi casi il giudizio di ottemperanza è ritenuto inammissibile, in quanto la sentenze è qui idonea di
per sé a soddisfare compiutamente l’interesse del ricorrente.

Inoltre la inammissibilità del giudizio di ottemperanza è stata sancita relativamente ai ricorsi in


ottemperanza proposti in esito a decisioni avente carattere meramente processuale e prive di statuizioni
di merito.

Inammissibile l’ottemperanza promossa avverso le sentenze di rigetto, sul presupposto che esse lascino
immutato il preesistente assetto giuridico dei rapporti.

La procedura

Procedura:

è delineata nel regolamento di procedura del Consiglio di Stato, integrato dalla giurisprudenza.

Legittimati:

Tutti i soggetti sui quali il giudicato spiega i suoi effetti immediati (chi ha partecipato al giudizio). Se il
giudicato è efficace ultra partes, è legittimato ogni soggetto interessato, anche se estraneo al giudizio.

Termine:

Finché duri l’azione di giudicato: ossia 10 anni dalla data di passaggio in giudicato della sentenza.

A pena di inammissibilità:

prima del ricorso per ottemperanza, l’interessato deve notificare alla PA un atto stragiudiziale di diffida ad
adempiere il giudicato entro un termine non inferiore ai 30 giorni. L’atto di messa in mora non è necessario
se la Pa dichiara di non voler adempiere, o se il rifiuto risulto da un comportamento concludente.

Competenza:

Quanto alla competenza, l’organo innanzi al quale instaurare il giudizio di ottemperanza è lo stesso giudice
che l’ha adottata, al quale spetta stabilire le regulae juris da realizzarsi da parte dell’amministrazione. Così
il TAR è competente per l’ottemperanza alle proprie decisioni passate in giudicato ed anche a quelle che
sono state pienamente confermate nella loro portata sostanziale (dispositivo e motivazione) dal Consiglio
di Stato.

Il Consiglio di Stato, invece, è competente ogniqualvolta il decisum sostanziale si rinvenga integralmente


nella sentenza di secondo grado, ed anche quando quest’ultima sia anche solo parzialmente modificatrice,
innovatrice o integratrice della sostanza della motivazione contenuta nella decisione del TAR.
Nel caso in cui venga proposto il giudizio di ottemperanza innanzi al giudice incompetente, si ritiene che la
relativa eccezione possa essere eccepita anche senza le forme del regolamento di competenza, ferma
restando la sua rilevabilità d’ufficio.

1. Per quanto concerne la garanzia del contraddittorio, il regolamento 642/1907, all’art.91, prevede
che il ricorso sia soggetto non già a notifica ma direttamente a deposito presso l’organo
giurisdizionale competente;

di tale deposito il segretario dà immediata comunicazione alla sola pubblica amministrazione interessata, la
quale, entro i 20 giorni successivi, può trasmettere le proprie osservazioni alla Segreteria del giudice.

In seguito la giurisprudenza ha iniziato ad imporre al ricorrente l’obbligo della notificazione dell’atto


introduttivo del giudizio sia all‘amministrazione inottemperante che ai controinteressati, individuati nei
soggetti che dall’attuazione del giudicato possano ricevere pregiudizio nella propria sfera giuridica.

Il giudizio di ottemperanza è trattato in adunanza camerale; è però consentita, a domanda, la trattazione


del ricorso in pubblica udienza.

La prassi giurisprudenziale ammette anche la proposizione di istanze cautelari.

Quanto all’estinzione del giudizio di ottemperanza, questa ha luogo solo a seguito di sopravvenuta integrale
esecuzione del giudicato.

la legge 205/2000 prevede che all’atto dell’insediamento ” il commissario, preliminarmente all’emanazione


del provvedimento da adottare in via sostitutiva, accerta se, anteriormente alla data dell’insediamento
medesimo, l’amministrazione abbia provveduto, ancorchè in data successiva al termine assegnato dal giudi
la permanenza del potere in capo all’amministrazione comporta che l’adozione di atti adempitivi del
giudicato, indipendentemente dalla soddisfazione dell’interesse del ricorrente, provochi l‘improcedibilità
del giudizio di ottemperanza per sopravvenuta carenza di interesse; si ha però improcedibilità per
cessazione della materia del contendere quando gli atti adempitivi producano la soddisfazione di tale
interesse.

L E’ ammissibile l‘appello contro la sentenza emessa nel primo grado del giudizio per ottemperanza
allorchè esso sia diretto a sollecitare la verifica del precedente decisum giudiziale nel suo contenuto di
accertamento. Avverso la sentenza di ottemperanza si ammette l‘opposizione di terzo da parte del
litisconsorte necessario pretermesso, ovvero del terzo che sia titolare di un diritto autonomo ed
incompatibile con l’accertamento contenuto nella sentenza.

Le sentenze rese dal Consiglio di Stato quale giudice dell’ottemperanza sono soggette a ricorso per
Cassazione per motivi di giurisdizione.

I soggetti legittimati a proporre ricorso per Cassazione sono il privato e l’amministrazione soccombente,
anche se diversa da quella competente ad emettere l’atto dovuto in esecuzione del giudicato.

I poteri del giudice dell’ottemperanza ed il commissario ad acta

I poteri del giudice sono amplissimi, siamo infatti in uno dei casi della giurisdizione anche di merito:

1. il giudice si sostituisce alla PA inadempiente fino ad emanare atti amministrativi che comportino
discrezionalità amministrativa (sostituisce la propria decisione all’omesso provvedimento della PA)

2. oppure nomina (nella stessa sentenza nella quale assegna il termine) un Commissario ad acta, che
provveda a posto della PA qualora questa non adempia nel termine.
Tale figura è di costruzione giurisprudenziale: deve realizzare il dictum contenuto nella sentenza, ed ha la
funzione strumentale di adeguamento della realtà al contenuto del giudicato. Non è un organo
straordinario della PA, ma un ausiliario del giudice.

Se gli atti del Commissario sono impugnati dal ricorrente, questi dovrà proporre ricorso al giudice
dell’ottemperanza. Se sono invece impugnati da un terzo, si aprirà un nuovo processo di cognizione davanti
al TAR. Se gli atti infine esulano dalle sue funzioni, vi sarà un ordinario giudizio di legittimità. Per questo
all’attività del commissario si riconosce la funzione strumentale di adeguamento della realtà alle
statuizioni contenute nel giudicato.

Commissario come organo ausiliario del giudice, in quanto è quest’ultimo che l’ha nominato e da questi
deriva i propri poteri di sostituzione.

Per parte dell’amministrazione, ad essa e precluso di rimuovere in via di autotutela i provvedimenti


commissariali.

Per parte del ricorrente, gli atti commissariali saranno impugnabili con il solo strumento del ricorso al
giudice dell’ottemperanza.

Quando la contestazione degli atti commissariali proviene da soggetti terzi rispetto alle parti del giudizio, si
richiede l’instaurazione di un nuovo processo di cognizione al TAR.

Forme particolari di ottemperanza

• Nel giudizio sul silenzio (vedi)

• In materia di danno per lesione di interessi legittimi.

In questo ultimo caso, il giudice si pronuncia solo sull’an debeatur (sul “se” si deve qualcosa), definendo poi
i criteri con i quali la PA deve proporre pagamento entro un termine congruo. E’ prevista dunque una forma
di accordo. Se questo fallisce, è il giudice dell’ottemperanza che deve definire la somma. Presupposto =
mancato accordo tra le parti Oggetto = liquidazione del danno

L’esecuzione delle ordinanze cautelari e delle sentenze di primo grado

L’esecuzione delle ordinanze cautelari

Se la PA non ottempera alle misure cautelari previste (o vi adempia solo parzialmente), l’interessato può,
con istanza motivata e notificata, chiedere al TAR le disposizioni attuative. Il giudice quindi dispone
l’esecuzione dell’ordinanza cautelare, con l’indicazione delle modalità e la nomina (qualora occorra) del
soggetto che vi deve provvedere.

E’ dunque utilizzabile lo schema delle misure coercitive tipiche del giudizio di ottemperanza, anche se
modellate sul carattere proprio della tutela provvisoria.

La procedura è la stessa della proposizione della domanda cautelare (istanza congruamente motivata,
notificata ai contraddittori necessari. Il contraddittorio poi può essere integrato anche verso i contraddittori
in senso lato). Vi è l’obbligo di diffida: ma ciò allunga il procedimento, e contrasta con i presupposti del
pregiudizio grave ed irreparabile!

Se l’ordinanza cautelare è accolta di fronte al Consiglio di Stato, la domanda di esecuzione può essere
proposta anche a quest’ultimo.
L’esecuzione delle sentenze di primo grado

Nel 1971 fu stabilita l’esecutività delle sentenze di primo grado, ma non furono predisposti rimedi in caso di
inadempienza.

Nel 2000 l’orientamento giurisprudenziale è stato accolto in una norma di diritto positivo, che attribuisce al
TAR i poteri propri del giudice dell’ottemperanza al giudicato.

Oggetto della norma è l’esecuzione delle sentenze non sospese dal Consiglio di Stato. Per sentenze non
sospese si intendono:

• le sentenze non ancora appellate

• le sentenze appellate ma delle quali non è stata chiesta la sospensione al Consiglio di Stato le
sentenze appellate ma la cui sospensione è stata negata dal Consiglio di Stato. Differenze con il
giudizio di ottemperanza del giudicato:

• I presupposti:

L’interesse qui è precario, non stabile, perché la sentenza potrebbe essere riformata in secondo grado

• Non è necessaria la preventiva diffida

PARTE SETTIMA – LA TUTELA NON GIURISDIZIONALE

CAPITOLO II – IL RICORSO STRAORDINARIO AL CAPO DELLO STATO

Il ricorso straordinario al Capo dello Stato

Premessa

E’ un residuo della funzione di giustizia data al re. E’ disciplinato dalla legge del 1971, e da quella del 2000
per quanto riguarda la sospensione del provvedimento impugnato.

• generale: sempre ammesso se non quando è escluso per legge

• straordinario: perché devono essere esperiti gli altri rimedi amministrativi, in quanto è ammesso
solo contro atti definitivi

. eliminatorio: in caso di accoglimento, comporta solo decisioni di annullamento

• impugnatorio: serve a demolire un provvedimento amministrativo

• alternativo: rispetto alla tutela giurisdizionaleNatura giuridica

La dottrina lo individua come strumento giurisdizionale, per il parere obbligatorio e semivincolato che deve
fornire il Consiglio di Stato. Ma in ogni caso la giurisprudenza lo pone insieme ai rimedi amministrativi
anche se anomalo e con molte analogie con il ricorso giurisdizionale.

Tale situazione è mutata nel 1997, quando la sentenza della Corte di Giustizia dell’UE ha affermato che il
Consiglio di Stato, anche quando esprime solo un parere, costituisce comunque una giurisdizione. Può
quindi sollevare questioni di pregiudizialità comunitaria, di legittimità costituzionale, la decisione ha valore
di cosa giudicata (e vi si può esperire il giudizio di ottemperanza).
Tuttavia la Cassazione nel 2001 sancisce che il decreto con cui viene deciso un ricorso straordinario ha
comunque natura amministrativa, e su di esso non è instaurabile un giudizio di ottemperanza. Dello stesso
avviso è la Corte Costituzionale, secondo la quale il Consiglio di Stato non è legittimato a sollevare incidente
di costituzionalità in sede di parere.

Ambito di esperibilità e suoi presupposti

Tale istituto non è molto praticato, in quanto i cittadini si sono rivelati assai scettici (l’istruttoria è segreta,
non vi è discussione orale, il contraddittorio è unilaterale e scritto, se vi è inottemperanza si deve ricorrere
al giudice amministrativo con ricorso contro il silenzio-rifiuto).

E’ proponibile solo contro i provvedimenti definitivi, solo per vizi di legittimità, sia per interessi legittimi che
per diritti soggettivi. E’ proponibile anche contro gli atti amministrativi delle regioni (di questo parere la
Corte Costituzionale, mentre la dottrina non è concorde perché ciò violerebbe l’art.125 Cost.). Per quanto
riguarda gli atti delle amministrazioni indipendenti, per la giurisprudenza il ricorso straordinario è
esperibile, mentre di opposto parere è la dottrina.

Ha carattere impugnatorio (possono impugnarsi solo atti amministrativi) ma non è sempre così (contro il
silenzio-inadempimento o il silenzio-rifiuto vi è ricorso contro un mero comportamento della PA).

Non è proponibile se la giurisdizione è attribuita ad un giudice speciale, per le questioni devolute ad un


collegio arbitrale (natura di lodo arbitrale della relativa decisione), per i conflitti di attribuzione di esclusiva
competenza della Corte Costituzionale.

La proposizione

Il ricorso si deve proporre entro 120 giorni, senza sospensione feriale dei termini.

A meno che non vi sia la rimessione in termini, il ricorso deve essere notificato (pena inammissibilità) a tutti
i controinteressati e alla PA che ha emanato l’atto, e presentato con la prova dell’avvenuta notificazione
(pena irricevibilità) direttamente (tramite notificazione o raccomandata a/r) all’organo che ha emanato
l’atto impugnato, che la dovrà poi far arrivare al Ministro competente.

Vi è garanzia del contraddittorio, ma non nei confronti dell’autorità che ha emesso l’atto, perché il ricorso è
in ogni caso deciso da un organo statale. Entro 60 giorni i controinteressati hanno l’onere di produrre
memorie e documenti dei quali il ricorrente potrà prendere visione tramite il diritto d’accesso. I
controinteressati possono, entro lo stesso termine, presentare ricorso incidentale. E’ ammesso l’intervento
(ad opponendum e ad adiuvandum), e i motivi aggiunti.

La trasposizione in sede giurisdizionale

Si tratta di un ricorso straordinario alternativo rispetto al ricorso al giudice amministrativo, ma se vi sono in


questione diritti soggettivi si può ricorrere sia in via amministrativa, che davanti al giudice ordinario.
L’esigenza quindi è di evitare la concorrenza tra il Consiglio di Stato in sede consultiva, e il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale.

Principio alternatività: se i 2 ricorsi sono proposti dalla stessa persona e contro lo stesso atto (non si applica
ai controinteressati).

I controinteressati possono ricorrere all’istituto dell’opposizione, ed in più entro 60 giorni dalla


notificazione del ricorso possono chiedere la trasposizione della decisione sul ricorso dalla sede
amministrativa a quella giurisdizionale.

L’opposizione implica la dichiarazione di improcedibilità del ricorso straordinario. Il ricorrente entro 60


giorni si deve costituire in sede giurisdizionale (con patrocinio di un avvocato). La prassi sembra escludere la
possibilità dell’opposizione per i controinteressati. L’alternatività dunque è vista come facoltà di scegliere la
tutela, non solo per il ricorrente, ma anche per i controinteressati.

L’istruttoria ed il parere del Consiglio di Stato

La presentazione del ricorso comporta per il Ministro competente l’apertura dell’istruttoria:

• organizzata e diretta da un responsabile del procedimento

• retta sia dal principio della pubblicità, sia da quello di completezza (devono essere raccolti tutti i
dati per la decisione)

Vi è il rigoroso controllo del Consiglio di Stato.

L’istruttoria deve concludersi entro 120 giorni dalla scadenza del termine per le deduzioni dei
controinteressati. Scaduto tale termine, il Ministro competente deve inviare il ricorso al Capo dello Stato
per il parere (se il Ministro non adempie, l’interessato può procedere all’interpello). Il parere formalmente
non è vincolante, se il Ministro vuole discostarsene deve sottoporre prima la questione al Consiglio dei
Ministri (pena l’illegittimità della decisione).

La decisione

Formulata come proposta di decreto al Presidente della Repubblica, è assunta dal Ministro competente
sulla base del parere del Consiglio di Stato.

La decisione è assunta con decreto motivato (di solito con rinvio al parere del Consiglio di Stato) del Capo
dello Stato, di cui il Ministro assume ogni responsabilità. Il decreto è comunicato alle parti e pubblicato
sulla Gazzetta ufficiale. La decisione di accoglimento del Ricorso ha come effetto l’annullamento del
provvedimento impugnato.

Il ricorso per l’ottemperanza

Se il ricorso straordinario è accolto, ma la PA non adempie, si può esperire il ricorso per l’ottemperanza?
Questo si collegherebbe infatti alla natura giurisdizionale o amministrativa del ricorso straordinario.

• Fino gli anni ’50 era ammesso per la natura quasi giurisdizionale del ricorso straordinario,

• Poi venne negato per la sua natura amministrativa (anche se vi è comunque un obbligo per la PA di
conformarsi alla decisione del Capo dello Stato)

In caso di inadempimento l’interessato può solo esperire il ricorso giurisdizionale contro il silenzio-rifiuto
della PA. Per la Corte di Giustizia europea, il parere del Consiglio di Stato ha comunque carattere
decisionale, e acquista valore di cosa giudicata: si può dunque esperire l’ottemperanza.

Tale decisione non è impugnabile, ma lo è solo per revocazione. Questa presuppone il contrasto tra due
giudicati, quello dei ricorso giurisdizionale e quello del ricorso straordinario.

La Cassazione, tornando sul problema, afferma la natura amministrativa del ricorso straordinario,
escludendo l’esperibilità del ricorso per ottemperanza.

Tuttavia nel 2005 il Consiglio amministrativo per la regione siciliana, stabilendo che il ricorso straordinario è
plasmato sia dalla giurisprudenza che dal legislatore sul modello del ricorso giurisdizionale, afferma la
possibilità di esperire il ricorso per l’ottemperanza.

Le misure cautelari
L.205/2000 prevede che su richiesta del ricorrente e in presenza di danni gravi ed irreparabili, il Ministro
competente può, con decreto motivato e previo parere del Consiglio di Stato, sospendere il provvedimento
impugnato. Ma la misura cautelare p limitata alla sola sospensione del provvedimento, non è misura atipica
come da L.205/2000 relativamente alla tutela giudiziale.

Le questioni di pregiudizialità comunitaria e di legittimità costituzionale

Il Consiglio di Stato in sede di parere per il ricorso straordinario, è legittimato a chiedere alla Corte di
Giustizia una pronuncia interpretativa di una norma comunitaria necessaria per la soluzione della
controversia oggetto del ricorso medesimo. Questo perché il Consiglio di Stato, anche quando emette un
parere, costituisce comunque una giurisdizione, può quindi sollevare alla Corte Comunitaria questioni
pregiudiziali. E’ ritenuto comunque una giurisdizione per:

• il fondamento legale e la stabilità dell’organo

• l’osservanza del principio del contraddittorio

• il parere si basa solo su norme di legge

• una decisione difforme si può pronunciare solo previa deliberazione del Consiglio dei ministri.

Ciò ha portato per il Consiglio di Stato la possibilità di sollevare questioni di legittimità costituzionale in
sede di parere, anche se ciò è stato poi negato sia dalla giurisprudenza che dalla Corte costituzionale, che
ne affermano il carattere amministrativo.

La revocazione

Per i casi dell’art.395 c.p.c., da proporsi al Capo dello Stato nelle stesse forme del ricorso straordinario. Da
notificarsi all’amministrazione (se non è statale) che ha emanato l’atto impugnato e ad almeno uno dei
controinteressati. Da presentarsi al Ministro competente entro 60 giorni dalla notifica del decreto
presidenziale impugnato, o dalla scoperta del vizio. E’ richiesto il parere del Consiglio di Stato.

E’ inammissibile la revocazione della revocazione, e la revocazione per motivi attinenti all’interpretazione


delle norme.

La revocazione va proposta non contro il provvedimento originario, ma contro il decreto del Presidente
della Repubblica.

L’impugnabilità

Entro certi limiti anche in sede giurisdizionale, solo per vizi di forma o di procedimento (errores in
procedendo) e solo per momenti del procedimento successivi al parere del Consiglio di Stato. Il limite
dell’alternatività è sia per il ricorrente (al momento della scelta) sia per la parte resistente (può trasferire la
controversia in sede giurisdizionale).

Al controinteressato cui non è stato notificato (e quindi non ha potuto fare trasposizione del giudizio) è
permessa l’impugnazione anche per errores in judicando. Stesso dicasi per le amministrazioni diverse da
quella statale. La decisione del ricorso straordinario può comunque essere impugnata davanti al giudice
ordinario, che la potrà disapplicare come previsto dall’art. 4 della legge del 1865 di unificazione
amministrativa.

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