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Rilievi e accertamenti sul locus commissi delicti nelle

evoluzioni del codice di procedura penale


Nuova definizione di ‘’sopralluogo giudiziario’’
I giuristi umanisticamente educati continuano a praticare l’analisi
etimologica e ad esplorare le parole che compongono le norme
per cercare di scorgervi l’essenza della regola; quell’essenza
lungo la quale imbastire ogni interpretazione. Sta ai giudici
interpretare le norme e cercarne l’essenza originaria (lo sfondo)
sulla quale poter lavorare. È un principio di legalità quello che
illumina il processo penale e quindi diventa importante capire ciò
che le norme prescrivono davvero.
L’espressione ‘’sopralluogo giudiziario’’ viene usata
comunemente per indicare ‘’il punto di partenza di ogni indagine
di polizia giudiziaria’’ per ottenere risultati proficui grazie
all’attività coordinata di polizia giudiziaria, polizia scientifica,
magistratura e medici legali. Nella realtà giudiziaria viene usata
per identificare il verbale delle attività tecnico-scientifiche di
osservazione e documentazione della scena del crimine e di
ricerca e raccolta delle tracce del reato. Più in generale viene
usata per individuare quel momento investigativo disciplinato
nell’art. 354 ed incentrato sui rilievi ed accertamenti urgenti.
Ma l’uso di questa espressione è errata e i motivi sono 3:
1- Non è contemplata nel codice di rito. È solo un retaggio del
passato, cioè con l’espressione ‘’sopraloco’’ si voleva
indicare ‘’l’ispezione di luoghi disposta ed eseguita di
persona dall’autorità giudiziaria’’. Poi si trasforma in
sopraluogo (1905) e poi sopralluogo (1908) e in tutti i casi
sta ad indicare un accesso sui luoghi. Oggi, nel gergo
forense, sta ad indicare la prima attività di osservazione
compiuta dalla p.g. o l’accesso e le attività eseguite sulla
‘’scena criminis’’.
2- Pur volendo ricorrere ad una espressione omnicomprensiva
più elastica e ampia rispetto ai singoli atti di cui si
compongono le indagini tecnico-scientifiche non è adeguata
a descrivere il contenuto ‘’nuovo’’ di tali attività. Le
investigazioni esperibili sul teatro criminoso sono divenute
più complesse sia sotto un punto di vista strutturale: essendo
composte da un ‘’primo intervento’’ teso a cristallizzare lo
scenario e compiere accertamenti urgenti e da una
successiva fase CSI in cui vengono impiegate tecnologie e
scienze esatte; sia sotto il profilo funzionale: per l’esecuzione
di un esame logico-abduttivo del contesto criminoso, che va
oltre la mera osservazione dello scenario e l’indiscriminato
recupero di ogni traccia individuata, ma procede per
passaggi inferenziali suggerendo una selezione delle
evidence ed una ricostruzione ragionata della loro sequenza.
Di qui all’espressione ‘’sopralluogo giudiziario’’ si preferisce
sostituire con quella di ‘’esame della scena del crimine’’.
3- L’uso dell’espressione ‘’sopralluogo giudiziario’’ induce
nell’errore di credere che sia un’attività di esclusiva
competenza della p.g. mentre compiti di indagine altrettanto
importanti sono da attribuire al consulente del p.m. e
dell’imputato o della persona offesa.
L’espressione ‘’esame della scena del crimine’’ indica quel
complesso di attività poste in essere dalla polizia giudiziaria, dal
consulente tecnico del p.m. e della difesa, aventi natura tecnica e
scientifica, esperibili su locus commissi delicti, sia
nell’immediatezza della scoperta del fatto di reato che
nell’esecuzione di eventuali successivi accessi, finalizzate ad
isolare, descrivere e analizzare lo scenario, nonché ricercare,
esaminare e repertare le tracce ivi rinvenute.
Gli organi investigativi nella sistematica del codice
Difficile è il lavoro del legislatore quando è chiamato a
regolamentare quelle attività che sono flessibili, fisiologicamente
atipiche, inevitabilmente restie ad assoggettarsi a pastoie formali
in quanto condizionate dal ritmo incessante delle scoperte della
scienza e della tecnica. Si ritiene che il legislatore abbia peccato
di:
- Ingenuità: quando nel ’88, nel varare il nuovo codice, non ha
previsto adeguati strumenti normativi che consentissero
innesti della scienza nel processo penale e anche nella fase
delle indagini preliminari.
- Imprecisione: nel mal coordinare le norme dedicate alle
attività tecnico-scientifiche con quelle più generali,
disciplinanti le attività investigative tradizionale dell’accusa e
della difesa. L’errore metodologico ha avuto delle ricadute
sul terreno delle garanzie difensive e della stessa efficienza
dell’accertamento.
Per comprendere queste disfunzioni è bene parlare della p.g. la
cui normativa presenta i maggiori difetti. È ben nota la scelta del
nuovo codice di:
- Evitare il riscio di deresponsabilizzazione della p.g.,
riproponendo i limiti operativi contenuti nel progetto del ’78
(che aveva ridotto le attività e i poteri della pg sia
escludendo l’utilizzabilità processuale dei relativi atti, sia
riducendo i tempi di legittimazione delle iniziative autonome
ai soli presupposti della necessità ed urgenza); il codice del
1988 ha optato invece per un sistema nel quale la polizia ha
POTERI-DOVERI PIU’ ESTESI e analiticamente indicati, con
particolare attenzione al primo intervento, proprio per non
pregiudicare le indagini preliminari;
- Evitare una preistruttoria della polizia giudiziaria,
autonoma ed antecedente alle indagini del p.m. disegnando
la relativa attività come complementare a quella del pm e
riconoscendo, solo al pm, la titolarità della scelta delle
strategie processuali rispetto alle quali la pg svolge funzioni
di supporto, collaborazione, suggerimento, esecuzione,
attraverso un ventaglio di attività di ‘’iniziativa’’ tutte tese
all’assicurazione delle fonti di prova, e di attività ‘’delegate’’
a partire dal momento di assunzione della direzione delle
indagini da parte del pm.
Nel cercare un compromesso tra queste due esigenze il quadro
operativo che ne è scaturito è: sotto il profilo soggettivo si è
fissato in capo al pm un criterio di priorità decisionale e di
responsabilità delle funzioni investigative che preludono
all’esercizio dell’azione penale (art. 327, direzione delle indagini
preliminari. Il pm dirige le indagini e dispone direttamente della
pg), e si è evitato di creare tra pm e pg un legame di dipendenza
gerarchica e strutturale favorendo un nesso di dipendenza
funzionale. Nell’art 326 (finalità delle indagini preliminari) si
rimarca l’unitaria finalità delle indagini del pm e della pg e anche
lo stretto raccordo tra le loro attività, così di evitare la
sovrapposizione delle indagini nonché dispersioni investigative. A
livello funzionale la pg non gioca un ruolo ancillare rispetto al pm.
Gli spazi di manovra di tali attività sono chiariti lì dove si afferma
che la finalità è quella di disegnare un complesso di poteri che,
quantomento fino al momento in cui il pm non ha assunto la
direzione delle indagini, non incontra alcuna limitazione sotto il
profilo investigativo. Ciò garantisce una continuità investigativa.
Le funzioni di p.g. a partire dall’obbligo di riferire la notizia
di reato: ex art. 347
Per poter comprendere gli spazi operativi della pg è importante
capire quale sia il momento in cui il pm assume la direzione delle
indagini, infatti è questo l’atto del procedimento penale che
segna questo cambiamento di ruolo della pg nella fase delle
indagini preliminari che le riconosce poteri investigativi di diversa
portata.
Art. 347 obbligo di riferire la notizia di reato: il codice del 1930
prevedeva che la pg comunicasse senza ritardo la notizia al pm
concedendole un ampio margine d’azione e di discrezionalità
nella scelta del momento in cui trasmettere l’informativa, a causa
di ciò accadeva che il rapporto pervenisse al pm all’esito di una
preistruzione di pg lunga e complessa segnando un autentico atto
di chiusura di un autonomo segmento investigativo, quindi per
ovviare a questi inconvenienti il codice del 1988 soppresse il
senza ritardo con l’obbligo di trasmettere la notizia di reato entro
48 ore così da impedire alla pg di arricchire la comunicazione al di
là degli elementi essenziali del fatto e al pm di assumere
immediatamente la direzione delle indagini preliminari. Ma
questo termine (48 ore) si dimostrò problematico in funzione dei
primi passi investigativi della pg che rivendicò sin da subito una
maggiore autonomia operativa sotto il profilo temporale,
soprattutto per i reati di criminalità organizzata, allo scopo di
avere maggiore elasticità ed efficienza nel corso delle attività
preliminari di indagine. Così il d.l. 309/1992 sostituì il termine 48
ore con la generica espressione ‘’senza ritardo’’, criterio
temporale indeterminato che legittima la pg a trasmettere
l’informativa oltre le 48 ore, termine che è stato mantenuto per
quelle indagini nelle quali ‘’siano stati compiuti atti per i quali è
prevista l’assistenza del difensore dell’indagato’’.
Il ritardo nella comunicazione dell’informativa è presidiato da
sanzioni disciplinari e penali. Per l’ipotesi in cui il riferimento
temporale è preciso (48 ore o immediatamente) è semplice
configurare l’illecito disciplinare, ma nel cado di ‘’senza ritardo’’ è
più difficile: per la giurisprudenza c’è ritardo ingiustificato
nell’ipotesi in cui la comunicazione avvenga con un indugio
eccessivo, tale da compromettere la persecuzione del reato; in
dottrina non si ravvisa un ritardo ingiustificato nell’ipotesi in cui la
pg svolga accertamenti sulle modalità di fatto, sulla condotta
tenuta dall’autore, sull’evento verificatosi; invece si ravvisa un
ritardo ingiustificato nel caso in cui la pg motivi il ritardo stesso
con il presupposto della complessità degli accertamenti sulla
notizia di reato acquisita. Ad ogni modo l’obbligo di trasmettere
l’informativa incombe sul dirigente dell’ufficio anche se la notizia
è stata acquisita autonomamente dal singolo ufficiale o agente di
pg. L’obbligo sorge solo in presenza di una ndr individuata nei
suoi connotati oggettivi ovvero gli elementi essenziali del fatto
(condotta, evento, relativo nesso eziologico) cui il 347 allude.
Contenuto NOTIZIA DI REATO: Contestualmente alla notizia
vanno comunicate anche le fonti di prova, le attività compiute e
trasmessa la relativa documentazione; va poi corredata
dall’indicazione del giorno e ora di acquisizione della notizia;
quando è possibile devono essere comunicati anche gli estremi
identificativi dell’indagato, persona offesa e futuri testimoni.
L’informativa deve rivestire la forma scritta ad eccezioni delle
ipotesi contemplate nell’art 347, comma 3 (delitti di cui
all’art.407 comma 2) in tal caso è possibile la comunicazione
orale cui deve seguire senza ritardo quella scritta.
Art. 108 disp. Att. (modalità particolari di trasmissione della
notizia di reato): se ai sensi di questo articolo la documentazione
degli elementi di prova acquisiti deve essere trasmessa senza
ritardo nei soli casi di urgenza, secondo una parte della dottrina
ne consegue che la pg può inviare questo materiale, al di fuori di
questa ipotesi, anche a distanza di tempo.
La comunicazione della notizia di reato individua il momento in
cui la pg si spoglia della titolarità delle indagini preliminari e il pm
è chiamato ad intervenire assumendone la direzione. Di lì in poi, il
magistrato dell’accusa opererà personalmente ed impartirà alla
pg le direttive necessarie per proseguire l’attività investigativa.
Pare che comunicazione, intervento e direttive coincidano in uno
stesso momento ma nella prassi così non è, tant’è vero che
dall’inoltro scritto della comunicazione all’intervento del pm può
passare del tempo non definito, e dall’intervento del pm
all’emanazione delle direttive possono, anche qui, intercorrere
ore o giorni, e le motivazioni sono tante. Le norme non offrono
un parametro temporale col quale individuare il momento a
partire dal quale il pm acquista la direzione e la pg perde la
propria autonomia investigativa, l’art 348 riconosceva questa
autonomia fino al momento delle direttive, poi però specificava
che ‘dopo l’intervento del pm la pg avrebbe dovuto compiere
attività guidata’. ‘’L’intervento del pm’’ e ‘’le direttive impartite
dallo stesso’’ appartengono a due momenti diversi, lo chiarisce
proprio l’art 354 quando, con la modifica del 2001, ha ampliato il
potere della pg nel compiere accertamenti e rilievi urgenti sino a
che non abbia impartito le direttive, nel caso in cui non sia potuto
intervenire tempestivamente.
L’attività investigativa: art. 348 (assicurazione delle fonti di
prova)
L’attività della pg viene ripartita dall’art. 55 (funzioni della polizia
giudiziaria) in attività di:
-informazione: consiste nel prendere notizia dei reati e
comunicarli al pm senza ritardo; è regolamentata nell’art 347.
-investigazione: consiste nell’impedire che questi vengano portati
a conseguenze ulteriori ricercandone gli autori e assicurandone le
fonti di prova; (maggiore specificazione nell.art 348)
-assicurazione: consiste nel raccogliere quanto altro necessario
alla ricostruzione del fatto. (maggiore specificazione nell.art 348)
ART. 348 (assicurazione delle fonti di prova): è una norma di
‘’sistema’’ che fissa le finalità dell’azione investigativa della pg ed
i tempi del suo intervento autonomo. Da questa scaturisce
l’obbligo di raccogliere ogni elemento utile alla ricostruzione del
fatto e all’individuazione del colpevole, fino a quando il pm non
abbia impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini. È qui
che si delinea l’attività investigativa autonoma il cui connotato
principale è una sostanziale discrezionalità tecnica che si
sostanzia nella scelta degli strumenti più idonei al perseguimento
degli obiettivi di indagine, ed inoltre la corte di cassazione ha
detto che ‘’non è sindacabile la tipologia di atti di indagine
utilizzati dalla pg per pervenire all’accertamento dei fatti’’.
Comma 2: la norma individua una serie di attività principali
attraverso cui perseguire la finalità dell’azione investigativa di pg
ovvero ricostruzione del fatto ed individuazione del colpevole.
Distingue:
-compiti di ricerca ed assicurazione delle fonti di prova reale
(cose, tracce pertinenti al reato, stato dei luoghi);
-compiti di ricerca delle fonti di prova personali (dichiarazioni);
-compiti di svolgimento di attività tipizzate, che sono disciplinate
in vari articoli: art. 349 (identificazione della persona nei cui
confronti vengono svolte le indagini e di altre persone); art. 350 e
351 per le sommarie informazioni di tali persone; art. 352
(perquisizioni); art. 353 (acquisizione di plichi o di
corrispondenza); art. 354 (accertamenti sui luoghi, cose e
persone con eventuale sequestro).
Sempre nei limiti della sua autonomia la pg può avvalersi di atti
atipici, cioè non disciplinati dal codice, ma accomunati da
un’identica ratio che è quella di porre in essere gli scopi di cui
all’art. 348 (comma 1), questi atti non devono mai pregiudicare i
diritti costituzionalmente garantiti e questo tipo di attività non
può ricomprendere l’esercizio di poteri coercitivi. ESSI SONO:
-pedinamento; anche attraverso l’uso del sistema di rilevamento
satellitare
-appostamento;
-riconoscimento fotografico;
-videoregistrazioni in luoghi pubblici o aperti o esposti al
pubblico, anche qualora eseguite da chi prenda parte alla
conversazione;
-i molteplici atti posti in essere dall’agente sotto copertura;
-confronto;
-individuazione di cose o persone;
-le affermazioni che l’ufficiale di pg capta nel corso di un
intervento operativo per l’inzio di indagini preliminari contro
soggetti ancora ingoti, rispondendo ad alcune chiamate fatte sul
cellulare lasciato abbandonato sui luoghi dell’intervento;
-accesso ai files, condivisi mediante uso di parola chiave;
-analisi ricognitive su sostanze che si ritengano stupefacenti;
-SOPRALLUOGO, ‘’consiste nell’accesso a luogo determinato allo
scopo di realizzare un’attività di osservazione, onde trarne
elementi di conoscenza per la prosecuzione dell’indagine’’
Comma 3: l’autonomia operativa della pg si arresta con
l’intervento del pm e a questo punto l’attività diventa guidata,
cioè segnata da direttive impartite dal pm e dal compimento di
atti delegati. Le direttive, a differenza delle deleghe dei singoli atti
di indagine, indicano degli obiettivi ed hanno un contenuto
ampio. Questo induce a pensare che: all’interno delle direttive
impartite la pg può comunque porre in essere le attività atipiche
che le sono state consentite per espletare la sua azione
investigativa autonoma, le quali non devono porsi in contrasto
con le indicazioni fornite dal pm; inoltre ‘’fino a quando il pm non
abbia impartito delle vere e proprie direttive, limitandosi soltanto
alla delega di specifici atti, alla pg non è sottratto il potere di
raccogliere ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e
all’individuazione del colpevole’’
I poteri tecnici d’urgenza: art. 354
L’articolo 354 tipizza l’attività di assicurazione delle fonti di prova
e contempla (al comma 3) il potere/dovere di investigazione
personale. La norma individua due diversi compiti operativi:
-il primo di portata generica, teso a riconoscere alla pg solo
compiti di cristallizzazione delle cose, tracce e luoghi coinvolti
dalla condotta criminis (azione conservatrice);
-il secondo, più tecnico, mira ad individuare spazi d’intervento
specialistico (accertamenti e rilievi) nei limiti dell’urgenza
(periculum in mora) e dell’assenza del pm.
Alla pg viene quindi concesso il potere di compiere azioni di
intervento passivo, lo si desume dal comma 2 il quale è il rischio
di alterazione, dispersione o modificazione delle cose, tracce e
luoghi a legittimare la pg a compiere accertamenti e rilievi urgenti
e in questa situazione la pg ‘’se del caso’’ può anche procedere a
sequestro. La pg è abilitata ad eseguire gli ‘’accertamenti’’ solo
quando c’è ragione di ritenere che possa alterarsi lo stato delle
cose o che si possano disperdere le tracce del reato. Proprio in
considerazione a questo carattere ‘’irripetibile’’, delle operazioni
eseguite nei primi momenti di indagine, il legislatore ha
approntato un sistema di garanzie che da un lato obbligano la pg
di documentare con specifico verbale le operazioni svolte e
dall’altro danno facoltà al difensore di assistere senza però diritto
al preavviso.
Nella formulazione originaria di questo articolo mancava una
disposizione come quella di cui all’ultimo comma che non
contemplava gli accertamenti anche su persona e quindi ciò
poteva far dubitare che alla pg fosse consentito di effettuare
accertamenti delle tracce del reato sulle persone, come macchie
di sangue o assunzione della prova dell’ubriachezza.
Il codice della strada prevede due tipi di accertamento
obbligatorio a carico del conducente entrambi considerati come
attività di indagine urgente svolta dalla pg ai sensi dell’art 354,
essi sono:
-art. 186 cod. strada, al fine di accertare lo stato di ebrezza, si
consente alla pg di sottoporre il conducente ad esami qualitativi
non invasivi anche attraverso apparecchi portatili. Quando l’esito
è positivo e ‘’in ogni caso di incidente o quando si ha motivo di
ritenere che il conducente sia sotto l’effetto dell’alcool’’ la polizia
stradale lo può accompagnare al più vicino ufficio per poter
effettuare l’accertamento con degli strumenti determinanti dal
regolamento.
-187 cod. strada, per poter accertare lo stato di alterazione psico-
fisica per uso di sostanze stupefacenti, è consentito alla polizia
stradale di sottoporre i conducenti ad esami qualitativi non
invasivi e nel caso di esito positivo o quando si ha motivo di
ritenere che il conducente sia sotto l’effetto di queste sostanze
può essere sottoposto ad accertamenti di natura clinico-
tossicologica, strumentali o analitici su campioni di mucosa orale
prelevati a cura del personale specializzato delle forze di polizia.
In entrambi i casi un eventuale rifiuto da parte del conducente
produce conseguenze penali quali contravvenzione punibile con
l’arresto da sei mesi fino ad un anno.
Artt. 348 e 354 versus artt. 359 e 360: nell’ottica del codice
1988. I rilievi e accertamenti di pg sono solo quelli
d’urgenza
L’art. 354 fa pensare che i poteri tecnico-scientifici assegnati nel
1988 alla pg siano ridotti, e sembra che siano ridotte anche le
possibilità per la pg di compiere importanti operazioni di natura
tecnica e scientifica fuori dai casi di urgenza. Deve essere
compreso come il legislatore del ’88 abbia costruito l’intervento
tecnico dell’ufficiale di pg. Dal combinato disposto degli artt. 348
e 354 (per la pg) e 359 e 360 (per il pm) si desume che l’attività
tecnico-scientifica della pg viene vista in termini strumentali e
funzionali a quella del pm; che gli atti di natura tecnico-scientifica
attribuiti alla pg sono esperibili da ausiliari dotati di specifiche
competenze tecniche, e che gli stessi atti si caratterizzano per
essere volti di regola all’osservazione o reperimento di dati
anziché alla loro valutazione che è lasciata al consulente del pm;
infine che i rilievi eseguibili, fuori da situazioni di urgenza, sono
dotati di carattere ripetibile, per la semplicità e scarsa rilevanza
dei contenuti ai fini del prosieguo delle indagini. Quindi il quadro
normativo voluto dal legislatore delinea una pg poco attrezzata di
sapere specialistico e destinata ad eseguire attività di
registrazione dello stato dei luoghi e delle cose attraverso l’uso di
strumentazioni tecniche. Nel nuovo codice la perizia comunque
non costituisce più l’unico mezzo per introdurre nel
procedimento penale le cognizioni della scienza e della tecnica.
Con riferimento ai contributi della pg il nuovo codice richiede ai
nuovi organi investigativi delle capacità professionali ampliate
allo sviluppo di una complessiva indagine tecnica.
Le innovazioni in fase investigativa si possono riassumere in:
-sul piano della struttura, in alcuni casi i consulenti sono concepiti
come strumenti di controllo sull’operato di un altro organo, es. i
consulenti dell’indagato e persona offesa quando partecipano al
360 (accertamento tecnico irripetibile), e in altri casi sono
concepiti come strumenti autonomi di conoscenza;
-sotto il profilo delle finalità l’opera del consulente tecnico appare
funzionale alla formazione della prova tecnica e altre volte invece
ha funzione investigativa finalizzata sia agli interessi dell’accusa
che della difesa.
Quindi i consulenti nominati dalle parti nella fase delle indagini
preliminari rappresentano figure autonome di intervento ed
hanno una destinazione prettamente investigativa.
CONSULENTI DELL’ACCUSA= le forme di ausilio tecnico-scientifico
concernenti le attività investigative del pm e pg sono previste
nell’art. 348 (assicurazione delle fonti di prova) e nell’art. 359
(Consulenti tecnici del pm). Le due norme evidenziano due
aspetti prevalenti rispetto alle attività di pg: 1) la preferenza
accordata dal legislatore verso interventi ‘’esterni’’ ad opera di
ausiliari di pg (o meglio persone idonee); 2) la netta strumentalità
degli ausiliari di pg rispetto ai consulenti del pm. La scelta di
disgiungere le due figure è stata determinata da motivi formali;
l’uso della locuzione ‘’persone idonee’’ però fa pensare che
questa distinzione non sia solo nominalistica, infatti queste
possono anche non essere dei consulenti ma degli specialisti
tecnici con funzioni anche solo esecutive. Però, a supporto di ciò
vi è un dato letterale e cioè quello delle ‘’specifiche competenze’’
richiesto dall’art. 359 e delle ‘’specifiche competenze tecniche’’
dall’art. 348, la necessità di ‘’specifiche competenze’’ denota un
quid pluris rispetto alla necessità di ‘’specifiche competenze
tecniche’’, e il ‘’di più’’ si riferisce a qualcosa che non è solo
operativo ma anche valutativo.
La distinzione tra le due figure diventa più chiara alla luce delle
categorie di atti cui si riferiscono l’art. 348, in cui si parla di atti od
operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, e
l’art. 359 in cui vengono richiamati gli accertamenti, rilievi
segnaletici, descrittivi, fotografici e ogni altra operazione tecnica
per cui sono necessarie delle specifiche competenze.
L’art. 354 prevede, inoltre, che la pg può compiere accertamenti
e rilievi solo quando c’è urgenza. Nella distinzione tra
accertamento e rilievo si staglia la distinzione funzionale tra gli
atti tecnico-scientifici della pg e quelli del consulente del pm.
Gli accertamenti tecnici venivano identificati nelle attività di pg in
cui si riversasse un apporto critico-valutativo; i rilievi tecnici in
quelle aventi lo scopo di acquisire in via immediata e con
‘’elaborazione critica elementare’’ i dati della realtà, ovvero
materiale probatorio grezzo, destinato ad essere rielaborato in
sede di indagini tecniche e peritali. Ulteriore chiarimento sul
concetto di rilievo: alle volte questi atti possono identificarsi con
altri atti tipici della pg dei quali seguono il rispettivo regime,
anche sotto il profilo dell’intervento del difensore-> i rilievi tecnici
art. 244 e 354 costituiscono una modalità operativa eventuale
dell’ispezione, sono finalizzati ad accertare le tracce e gli altri
effetti materiali del reato; i rilievi all’art. 349 sono indirizzati ad
identificare l’indagato; i rilievi all’art. 359 individuano l’attività
rilevatrice in sé, a cui il pm è legittimato a procedere al di là dei
presupposti richiesti dagli atti tipici già menzionati.
L’art. 348 che delinea l’area d’intervento della pg non fa alcuna
menzione ai rilievi, bensì ad atti od operazioni che richiedono
specifiche competenze tecniche…ma cosa voleva intendere il
legislatore con questo? L’art. 359 cita le operazioni materiale di
carattere tecnico. Si ritiene che non possa trattarsi di una
categoria autonoma rispetto ai rilievi, da una lettura dell’art. 359
si desume che i termini sono usati come equivalenti anche se alle
operazioni è dato un posto residuale rispetto alle forme di rilievo
nominato (fotografico, segnaletico, descrittivo). Si può dire che
l’operazione tecnica è un rilievo avente contenuto vario e
indefinito.
L’art. 359, co. 2, consente al pm di essere autorizzato ad assistere
a singoli atti di indagine, l’art. 348, co. 3, non ne fa alcuna
menzione, ed è per questo che l’apporto tecnico scientifico della
pg è meno importante di quello del consulente tecnico del pm. Le
ragioni di questa ‘’mancata’’ facoltà di presenziare al
compimento di alcuni atti di indagine da parte dell’ausiliare
tecnico della pg è legata ad esigenze di segretezza delle indagini,
così si è voluta riservare la scelta di rendere conoscibili singoli atti
di indagine solo al pm in quanto dominus della fase investigativa.
Ultima osservazione in merito alla natura dei rilievi è fatta
attraverso l’interpretazione dell’art. 360, che attiva la procedura
garantita della partecipazione dei difensori e consulenti tecnici
dell’indagato e dell’offeso per l’instaurazione del contraddittorio
debole solo per accertamenti previsti dall’art. 359.
Due sono le esclusioni:
-le operazioni e i rilievi del consulente tecnico del pm; la scelta
era di restringere l’ambito di operatività delle garanzie alle ipotesi
in cui ‘’sarebbe possibile il ricorso alla perizia ai sensi dell’art. 392
cpp’’. L’intento era di far coincidere i presupposti degli
accertamenti tecnici non ripetibili con quelli della perizia in
incidente probatorio. Comunque, la scelta cristallizzata nell’art.
360 produce delle conseguenze non solo perché i rilievi e le
operazioni tecniche irripetibili non andrebbero fatte in
contraddittorio, ma non andrebbero neanche verbalizzate in
forma integrale a differenza degli accertamenti, che rimarrebbero
fuori dal fascicolo del dibattimento e questo non può essere
condiviso, infatti, tra gli accertamenti si ricomprende anche ogni
altra operazione tecnica posta in essere dal consulente
dell’accusa.
-la seconda esclusione è quella di non aver ricompreso tra gli atti
irripetibili dell’art. 360 le attività di pg fatte in condizioni di
urgenza, perché l’art 360 è riservato alle attività specialistiche del
pm e non anche a quelle della pg. Ma ciò crea una conseguenza.
Sta di fatto che la realtà delle cose è che il contraddittorio è
assicurato solo per le operazioni tecnico-scientifiche irripetibili
del consulente del pm.
Il potenziamento degli spazi investigativi di p.g. dal 1992 ad
oggi.
Il d.l. n. 306/1992 consente una progressiva autonomia dei poteri
investigativi della p.g. e anche l’allentamento degli obblighi di
sottoposizione operativa alle direttive del pm. In base all’art. 347
(obbligo di riferire la notizia di reato) le modifiche vanno a
toccare il riferimento temporale delle 48 ore che viene sostituito
con l’espressione ‘’senza ritardo’’ che permette di allungare i
tempi di segnalazione al p.m. e gli spazi di autonomia delle
indagini autonome di pg. Anche all’art. 348 vengono modificati i
contenuti temporali consentendo, quindi, alla pg di svolgere
indagini autonome dopo la comunicazione della ndr e non più
sino all’inoltro delle direttive del pm.
Le modifiche determinarono uno spostamento del baricentro
delle attività d’indagine, originariamente incentrate sul pm. Si
parla, dunque, per la prima volta di attività parallela alle indagini
del pm. Attraverso queste novelle il legislatore ha voluto
codificare la centralità delle indagini di polizia, la quale restava
soggetta al solo vincolo nel ‘’non poter ignorare le direttive del
pm’’. Dottrina e giurisprudenza si sono interpellate sulla
possibilità della pg di compiere atti in contrasto con le direttive
del pm, ma erano contrarie a questa possibilità. Alla l. n.479/1999
si deve l’inserimento del 107 bis disp. Att. Che lega alla pg il
compito di trasmettere all’ufficio della procura competente le
denunce a carico di ignoti con anche eventuali atti di indagine
compiuti al fine di identificare gli autori del reato. Nel 2000,
grazie alla novella in tema di competenza penale del giudice di
pace, è stata ampliata l’attività di pg, attribuendole un ruolo
gestionale delle indagini mediante l’assegnazione di rilevanti
poteri investigativi sia sotto il profilo temporale che dei contenuti.
Interessante è anche l’art. 13 del d.lgs. 247/2000 (autorizzazione
del pm al compimento di atti): si è previsto un meccanismo
procedimentale in forza del quali gli organi investigativi possono
richiedere al pm di essere autorizzati al compimento di singoli atti
che non possono compiere autonomamente. La norma ha lo
scopo di rimuovere una situazione che impedisce la pg di portare
a compimento la propria attività investigativa, ampliando
l’ambito delle indagini cc.dd. autonome. Si ha una inversione di
prospettiva nel procedimento davanti al giudice di pace, ovvero
non è il pm a delegare atti di indagine, ma è la pg che compie
precise scelte investigative e si rivolge al pm quando intende
compiere un atto che non rientra nel novero delle sue iniziative.
Al di là dei singoli atti tipizzati è stata ammessa la possibilità per
la pg di compiere attività atipica senza previa autorizzazione.
L’intento di valorizzare il ruolo della pg nelle indagini preliminari
si è rimanifestato con la l. 128/2001 in tema di ‘’sicurezza dei
cittadini’’. La riforma dell’art. 327 (direzione delle indagini
preliminari) riconosce agli organi di pg la possibilità di procedere
ad indagini autonome anche dopo la comunicazione della ndr.
Così si legittima la conduzione di una vera e propria attività
parallela rispetto alle indagini del pm. La novella però ha anche
modificato l’art. 348 (assicurazione delle fonti di prova) al comma
3, che nel prevedere l’attività investigativa svolta dalla pg di
propria iniziativa dopo l’intervento del pm, non contiene più
l’inciso ‘’anche nell’ambito delle direttive impartite’’. Anche l’art.
354 (accertamenti urgenti su luoghi, cose e persone. Sequestro) è
stato modificato, in quanto al comma 2 è stato inserito, quale
requisito per il compimento degli accertamenti urgenti, la
mancata assunzione della direzione delle indagini da parte del pm
che si aggiunge all’altro presupposto individuato già nell’88
nell’impossibilità di ottenere tempestivo intervento del pm. Con
l’introduzione di un secondo requisito soggettivo il legislatore,
quindi, ha voluto ampliare il requisito di ‘’urgenza’’ al fine di
rafforzare l’autonomia della pg.
Il prelievo di materiale biologico nella doppia rivisitazione
normativa.
Un significativo rafforzamento dell’autonomia investigativa della
pg si coglie nel co. 2 bis dell’art. 349 (identificazione della persona
nei cui confronti vengono svolte le indagini e di altre persone) che
attribuisce il potere di procedere al prelievo di capelli o saliva
anche in assenza del consenso dell’interessato, allo scopo di
ricavarne il profilo del DNA, laddove questa operazione si renda
necessaria ai fini dell’identificazione della persona nei cui
confronti vengono svolte le indagini. Lo stesso art. 10 co.4 ter
estende l’operatività di questo potere al momento di rilievi e
accertamenti urgenti previsti dall’art. 354, permettendo alla pg di
prelevare coattivamente il materiale biologico sia dall’indagato
che da terzi, e poteva avvenire previa autorizzazione del pm
scritta o resa oralmente e confermata per iscritto.
Solo dopo 4 anni però la l. 85/2009 elimina questa possibilità
consentendo alla pg di operare il prelievo solo su consenso della
persona interessata. Attualmente la pg può prelevare
coattivamente materiale biologico solo dall’indagato e solo per
scopi identificativi ai sensi dell’art. 349; non può effettuare
prelievo coattivo su persone diverse dall’indagato o sull’indagato
per finalità investigative. La pg può prelevare campioni biologici
su persone ma solo su consenso delle stesse.
Il prelievo di materiale biologico è diverso dalla raccolta e
dall’acquisizione di tracce biologiche che si rinvengono
generalmente in luoghi, su cose, su cadaveri, quindi in questo
caso, la pg può procedere alla loro raccolta entro i margini del
354 (condizione di urgenza e assenza del pm). Fuori da questo
ambito lavorativo, può accadere che la pg proceda alla raccolta di
cose contenenti materiale biologico sia quando sono
abbandonate o si trovano su una cosa non asportabile e in questo
caso l’operazione assume carattere irripetibile e quindi l’atto va
demandato al pm che deve poi procedere nelle forme del 360.
Spesso la giurisprudenza si è trovata ad analizzare l’ipotesi
dell’acquisizione da parte della pg di una cosa sulla quale
l’indagato è stato indotto a lasciare le proprie tracce di DNA (es.
saliva raccolta da un bicchiere in cui ha bevuto caffè) e la
suprema corte ha precisato che nessuna disposizione di legge
subordina lo svolgimento della indagini al consenso della persona
sottoposta alle stesse, quando non si risolva in una violazione
della sua libertà personale o altri diritti costituzionalmente
garantiti. L’attività di raccolta delle tracce organiche rientra tra le
operazioni di pg aventi carattere materiale ed esecutivo laddove
l’analisi del campione biologico repertato rientra nel concetto di
accertamento e rimesso alla competenza del solo consulente
tecnico (in caso di ripetibilità) oppure del consulente tecnico
affiancato dai consulenti delle parti (in caso di irripetibilità).
Le attività urgenti sui sistemi informatici ex l. 48/2008
La l. 48/2008 impone agli ufficiali di pg il compito di effettuare
attività di assicurazione della genuinità e della conservazione
delle cc.dd. prove digitali. Il co. 2 dell’art 354 contempla nuovi
compiti di sopralluogo attraverso la possibilità di adottare misure
tecniche, impartire prescrizioni necessarie ad impedire
l’alterazione e l’accesso ai dati e ai sistemi, e di provvedere alla
duplicazione degli stessi con strumenti idonei ad assicurarne la
conformità all’originale e l’immodificabilità nel tempo.
La computer forensics (metodo di analisi forense) rappresenta un
ambito di studio specialistico rivolto ad estendere l’applicazione
di teorie, principi e prassi della scienza forense al contesto
informatico e tecnologico. Essa nasce nei laboratori dell’FBI negli
stati uniti per poter fronteggiare l’aumento della domanda di
analisi dei dati digitali ai fini di investigazione e di giustizia. In
Italia si parla di informatica forense come la disciplina che
concerne le attività di individuazione, conservazione, estrazione,
documentazione e ogni altra forma di trattamento e
interpretazione del dato informatico per essere valutato come
prova in un processo penale, inoltre studia anche i procedimenti
e le tecniche e gli strumenti per l’analisi forense dei sistemi
informatici e telematici.
IMMATERIALITA’ E FRAGILITA’ sono caratteri intrinseci del dato
digitali, che è facilmente modificabile anche per effetto di un
semplice accesso. La tutela della genuinità della prova costituisce
un aspetto centrale collegata alla cristallizzazione del quadro
informatico attraverso operazioni tecniche e della tracciabilità
delle operazioni compiute sul medesimo attraverso la redazione
di dettagliati ‘’reports’’.
La digital evidence può quindi essere danneggiata o distrutta,
anche involontariamente, da personale poco competente, infatti
sono spesso frequenti imperizie della pg durante gli accessi ai
computer oggetto di indagine e ciò porta quindi all’inutilizzabilità
dei risultati acquisiti. Grave è quando la partita si gioca
essenzialmente durante le indagini preliminari e in questo caso
sono in gioco interessi costituzionalmente garantiti, come il
diritto di difesa.
La l.48 ha introdotto numerose norme in materia di prove ed
indagini. Si segnalano in particolare gli artt. 244 (ispezione),
247(casi e forme delle perquisizioni), 248 (richiesta di consegna),
254 (sequestro di corrispondenza), 254 bis (sequestro di dati
informatici), 259 (custodia delle cose sequestrate), 260
(apposizione dei sigilli alle cose sequestrate), 352 (perquisizione),
353 (acquisizione di plichi o corrispondenza), 354 (accertamenti
urgenti), la cui comune ratio è quella di consentire accertamenti
urgenti di pg, ispezioni, perquisizioni e sequestri anche in
relazione ai programmi informatici o ai sistemi informatici
ancorché protetti da misure di sicurezza. Nel fare ciò occorre
adottare ‘’misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione
dei dati originali e ad impedirne l’alterazione’’, provvedendo, ove
possibile, alla loro ‘’immediata duplicazione su adeguati supporti,
mediante una procedura che assicuri la conformità della copia
all’originale e la sua immodificabilità’’.
Questa legge inoltre ha previsto cinque tipo di garanzie
fondamentali:
1. Il dovere di conservare inalterato il dato informatico
originale nella sua genuinità;
2. il dovere di impedire l’alterazione successiva del dato
originale;
3. il dovere di formare una copia che assicuri la conformità del
dato informatico acquisito rispetto a quello originale;
4. il dovere di assicurare la non modificabilità della copia del
documento informatico;
5. la garanzia dell’installazione di sigilli informatici sui
documenti acquisiti.
Emerge così l’intenzione del legislatore di ‘’cristallizzare’’ il
quadro probatorio in modo da assicurare due caratteri
importantissimi per la prova penale, ovvero: genuinità e
ripetibilità. L’attività di ricerca e raccolta della digital evidence è
riconducibile ad un mezzo di ricerca della prova o ad un atto di
indagine tipici del procedimento penale. Comunque, non
essendoci dei protocolli investigativi codificati, il giudicante, pur
non potendo ignorare gli standard previsti dalla comunità
scientifica, rimane libero di apprezzare la genuinità del percorso
acquisitivo del dato informatico, dandone conto nella
motivazione. L’adozione di misure tecniche idonee è importante
per assicurare la genuinità della digital evidence sotto il profilo
dell’attendibilità, credibilità o forza persuasiva del suo esito
probatorio ai fini della ricostruzione del fatto.
La novella ha portato un ampliamento dei poteri investigativi di
natura tecnica della pg a cui viene chiesto di intervenire su
supporti informatici al fine di conservare tutto ciò che possa
andare disperso ma con cautele indicate dalla norma.
Considerazioni di carattere generale:
-il legislatore assegna un elevato tecnicismo alla fase degli
accertamenti urgenti di pg imponendo, a chi sopraggiunge sulla
scena criminis di possedere delle conoscenze informatiche che gli
consentono di approcciarsi al sistema digitale e porre in atto la
procedura di cristallizzazione e memorizzazione dei dati previsti
dalla norma; è la prima volta che il codice valorizza la pg come
figura specializzata nelle attività tecniche di primo intervento.
-la norma presenta una disciplina operativa dettagliata che non è
dato ritrovare nel codice di rito, è evidente che la previsione
operativa si arresta a ciò che è necessario ai fini processuali,
lasciando ad altri contesti istituzionali di regolamentare più nel
dettaglio i passaggi specifici tecnico-scientifici della catena di
custodia che porta il reperto dalla scena criminis al dibattimento.
L’URGENZA: nel 354 si materializza nel pericolo di alterazione del
bene da investigare e nell’assenza del pm; per i sistemi
informatici ogni movimento, momento, cambiamento diventa
fonte di pericolo di contaminazione a causa dell’estrema
modificabilità dei dati.
Il fine indicato dalla norma è quello di congelare i dati
assicurandone l’immodificabilità rispetto all’originale.
L’operazione non può spingersi oltre, in indagini più penetranti,
che vadano oltra la copia dei dati al fine di rinvenire indizi utili al
prosieguo delle indagini stesse, come potrebbe invece avvenire
per altre tipologie di traccia.
La prima attività da eseguire, su strumentazioni informatiche, nel
corso del primo intervento è la copia del loro contenuto lasciando
ad un secondo momento e ad altri esperti il lavoro di selezione e
analisi dei dati. Punto centrale della modifica normativa è
l’individuazione delle conseguenze che si collegano al mancato
rispetto dei protocolli investigativi, secondo la dottrina che si è
espressa, si ravvede un’inutilizzabilità del dato digitale che
andrebbe considerato illegittimamente acquisito.
Si riaccende il dibattito sulla natura degli accertamenti
tecnici di pg dopo le modifiche del 348: il mancato
coordinamento con l’art 354 genera confusione.
Il problema dei poteri tecnico scientifici, però, concessi alla pg dal
codice dell’88 sta nel mancato coordinamento tra 348 e 354 il
348 ha esteso il ruolo della pg fino a concederle poteri di
investigazione autonomi e paralleli rispetto a quelli del pm che
non ha risentito dello stesso ampliamento ed è rimasto
imbrigliato nei ridotti margini operativi dell’urgenza. Il difetto
quindi è tanto evidente che la dottrina ha dovuto dare una
diversa interpretazione del 354 per conformarlo e adeguarlo al
348:
-secondo alcuni il 348 trova specificazione nel 354 con la
conseguenza che la pg potrebbe svolgere accertamenti di natura
tecnica anche a mezzo dei propri esperti solo in presenza di
situazioni di urgenza;
-secondo altri la pg è legittimata ad effettuare accertamenti
tecnici ripetibili tali da non determinare la distruzione o
irreversibile alterazione del reperto;
-per molti con l’espressione ‘’accertamenti e rilievi’’, il legislatore,
ha voluto riferirsi ad un complesso di attività di natura materiale
non specificatamente descritte dalla legge, che si esauriscono
nell’osservazione di luoghi, cose, nonché in rilievi e operazioni
tecniche sullo stato dei luoghi e delle cose mediante anche
riprese fotografiche, cinematografiche, fonografiche e altre
equivalenti. Gli accertamenti urgenti, analogamente alle
ispezioni, si esauriscono in attività di mera osservazione e
descrizione dello stato dei luoghi e delle cose, senza che venga
espletato alcun intervento modificativo, mentre i rilievi urgenti
consistono in attività che richiedono specifiche competenze
tecniche, ma che non hanno natura valutativa dal momento che
risultano funzionali alla raccolta dei reperti destinati poi ad analisi
critica. Quindi si escludono dal 354 gli accertamenti che
comportano valutazioni ed elaborazioni di natura peritale.
Dunque, d’accordo con questa interpretazione, parte della
giurisprudenza sostiene che l’atto contenuto nel 354 non
costituisce ‘’esperimento giudiziale’’, ‘’perizia’’, ‘’accertamento
tecnico non ripetibile’’, ma semplicemente un accertamento sulle
cose e luoghi, cioè osservazione immediata e diretta che può
essere compiuta dalla pg. La corte di Cassazione negli anni ’90
sceglie di escludere la possibilità per la pg di compiere
accertamenti legittimandola solo al compimento dei rilievi.
L’intervento di natura tecnica della pg rappresenta solo
un’eccezione legato al requisito di urgenza (ovvero definita sia
nel primo che secondo comma del 354: ovvero condizione in cui
versano una cosa, traccia o luogo quando rischiano di subire
modificazione prima dell’intervento del pm o la condizione di
rischio di alterazione, dispersione, modificazione nei frangenti in
cui il pm non può intervenire ancora oppure non ha assunto la
direzione delle indagini.
Ci sono molte sentenze che si sono espresse in merito alla
nozione di accertamenti e rilievi urgenti:
-l’individuazione e il rilevamento delle ‘’impronte dattiloscopico-
papillari’’-> in questo caso gli accertamenti compiuti dalla pg si
esauriscono nel rilevamento delle impronte di oggetti e nel
raffronto delle stesse con quelle di un soggetto; quindi costituisce
solo un accertamento di dati oggettivi che possono essere
valutati dal giudice senza che ci sia bisogno di attingere al sapere
scientifico di un consulente tecnico;
-il ‘’tampone a freddo’’ permette di prelevare eventuali residui
identificativi dell’uso di armi da fuoco che nonostante sia
prodromico a valutazioni tecniche non si identifica con queste
ultime. Quindi nonostante sia un atto urgente irripetibile non è
disciplinato dal 360.
-l’ispezione effettuata dalla pg all’interno della cassetta delle
lettere situata in un ufficio postale volta a prendere conoscenza
del destinatario di una lettera successivamente recapitata;
-riconoscimento dell’oggetto di un furto ad opera della persona
offesa nell’immediatezza del fatto.
Ciò ci consente di comprendere che l’urgenza è una condizione
legata alla valutazione delle chances di successo della successiva
attività e inscindibilmente legata alla non rinviabilità o
all’irripetibilità dell’operazione. Ciò che è irripetibile consente
un’eccezione alle regole del contraddittorio dibattimentale. La
dottrina è dovuta ricorrere alla giurisprudenza e ad alcuni indizi
individuabili nel codice: è irripetibile l’atto che ritrae con fedeltà
un dato momento storico, descrivendo una situazione suscettibile
di modifica; la Suprema Corte ha elaborato una definizione di
carattere generale e trasversale per quanto riguarda i verbali di
sopralluogo-> ‘’i verbali di sopralluogo, osservazione, con le
riprese fotografiche, in quanto riproducenti fatti e persone
individuati in situazioni soggette a mutamento, costituiscono atti
irripetibili, la loro irripetibilità deriva dall’impossibilità di
riprodurre al dibattimento la situazione percepita e
rappresentata in un determinato momento’’; ‘’ i verbali di
sopralluogo e osservazioni redatti dalla pg, poiché riproducono
fatti e persone nel contesto di situazioni soggette a mutamento,
devono considerarsi atti irripetibili’’. Sempre per la
giurisprudenza è irripetibile l’atto di sequestro in quanto
continente la descrizione della situazione di fatto esistente in un
preciso momento; anche il verbale degli ispettori del lavoro,
proprio perché descrittiva di una situazione accertata in un
momento storico determinato.
Quanto agli indizi invece la norma più utile è l’art 512 in cui viene
prevista l’eventualità, con riguardo agli atti assunti dal pm, dalla
pg, e difesa e giudice, nel corso dell’udienza preliminare, di
un’irripetibilità sopravvenuta, derivante da cause impreviste o
imprevedibili nel corso delle indagini. L’art. 117 disp. Att. Estende
l’ambito di operatività del 360 ai casi in cui l’accertamento
tecnico determina modificazioni delle cose, luoghi o persone tali
da rendere l’atto non ripetibile. La necessità di assicurare le
forme garantite del 360 è data dal fatto che l’accertamento non
può più portare a quei risultati ottenuti la prima volta per una
forma di degenerazione della persona, del luogo o della cosa,
oggetto dell’accertamento, tale da rendere inaffidabile la prova.
Importante per gli accertamenti è anche il concetto di non
rinviabilità, impiegato con riferimento all’incidente probatorio, i
contenuti del 392 sono complessi e non è ripetibile quell’atto che
non può essere rinviato, non può essere riassunto o utilmente
riassunto in dibattimento. Siano essi non rinviabili o non ripetibili,
accertamenti che rilievi, sono comunque dotati del carattere
dell’irripetibilità intesa come quella condizione che legittima
l’esecuzione dell’atto fuori dalla sede del dibattimento, senza la
presenza del giudice terzo ed imparziale e senza le garanzie del
360. Definito il presupposto oggettivo che consente alla pg di
operare in maniera tecnica anche fuori dalle direttive del pm, il
secondo punto di domanda è quale tipologia di atti può compiere
in entrambe le situazioni di urgenza, dal momento che non tutto
sono d’accordo sulla possibilità di eseguire tanto i rilievi quanto
gli accertamenti? -> L’esegesi del 354 permette di fare delle
considerazioni:
1) in entrambi i commi si tratta di attività di accertamento e
rilevazione che gli ufficiali di pg possono organizzare secondo
ragionevoli modalità considerate le condizioni di tempo e luogo,
nonché la natura delle indagini in corso di svolgimento;
2) se la norma riserva alla pg il compimento degli accertamenti
alla sola condizione che sussista l’urgenza e il pm non abbia
assunto la direzione delle indagini allora la pg può fare
accertamenti, cioè valutazioni; e ogni altro accertamento nella
fase delle indagini preliminari è rimesso al consulente del pm;
3) il richiamo ai ‘’rilievi urgenti’’, cioè dotati di natura irripetibile
per la condizione di pericolo, fa intendere che possono essere
compiuti dalla pg solo in questo contesto temporale e alla
presenza dei presupposti oggettivi e soggettivi e non anche in
altro momento, il che significa che nell’attività atipica la pg non
può compiere rilievi aventi natura irripetibile;
4) fuori dal pericolo di alterazione la pg può solo compiere
un’attività operativa finalizzata a conservare immutata la scena
criminis senza però porre in essere attività rilievistica di altra
natura;
5) nel corso dell’attività investigativa ‘’autonoma’’ e ‘’parallela’’ a
quella del pm, la pg può compiere rilievi tecnici di natura
ripetibile dei quali può redigere mera annotazione e riportare in
dibattimento attraverso la testimonianza dell’operatore.
L’intervento del consulente tecnico del pm: un
approfondimento sul concetto di irripetibilità
dell’accertamento.
Dopo l’inoltro al pm della comunicazione della notizia di reato e
entro l’emanazione delle sue direttive, la pg può compiere solo
attività tecnica di natura rilievistica (quindi cessa di svolgere
attività a contenuto tecnico) che presenti i caratteri dell’atipicità
e ripetibilità. Sta al pm intervenire con indagini di natura tecnico
scientifica. Da questi due momenti è il consulente tecnico del pm
a dover entrare sulla scena per effettuare accertamenti, rilievi
segnaletici, descrittivi o fotografici ed ogni altra operazione
tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze (art. 359).
Nel caso in cui gli ‘’accertamenti’’ di cui al 359 riguardano
persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modifica, il pm
deve avvisare senza ritardo la persona sottoposta alle indagini,
persona offesa e relativi difensori del giorno, ora e luogo fissati
per il conferimento dell’incarico e della facoltà di nominare
consulenti tecnici (360) se però l’indagato prima del
conferimento dell’incarico al consulente tecnico del pm, formula
riserva di incidente probatorio il pm dispone che non si proceda
agli accertamenti salvo che questi, se differiti, non possano più
essere utilmente compiuti. I presupposti di operatività del 360
sono: irripetibilità dell’atto e la natura di accertamento
dell’operazione tecnico-scientifica; per il secondo presupposto
dottrina e giurisprudenza riservano la procedura garantita del 360
ai soli accertamenti di cui al 359 cioè attività valutative a
carattere scientifico dalle quali esulano i semplici rilievi che sono
stati assegnati alla competenza funzionale della pg. Per il secondo
presupposto ‘’irripetibilità dell’atto’’ la giurisprudenza non ha
espresso orientamenti univoci su ciò che può essere definito
‘’accertamenti irripetibile’’:
- in tema di accertamenti su sostanze stupefacenti la regola è
che si tratti di esami ripetibili, con riferimento alla cocaina ed
eroina esse sono sostanze allo stato solido non facilmente
alterabili e suscettibili di successiva perizia tossicologica; per
la marijuana la relativa riduzione del principio attivo è stata
ritenuta non determinativa dell’alterazione del prodotto e
non foriera di uno specifico interessa dell’imputato in
quanto un’eventuale alterazione comporterebbe la
riduzione della sua responsabilità; per l’hashish anche il
campione di questo conserva le sue caratteristiche
intrinseche nel tempo; irripetibili i test effettuati su sostanze
stupefacenti dalla polizia straniera.
- Analoghe incertezze riguardano gli stubs ‘’prelievi ed esami
tecnici di particelle residue da sparo’’, si tende a considerare
questa attività non ripetibile in quanto le particelle stesse
sono contraddistinte da mobilità e labilità e dell’effetto del
decorso del tempo sui tessuti o materiali che costituiscono
oggetto di indagine. Per questa giurisprudenza lo stub
consta di due fasi, ovvero il prelievo del campione e poi la
sua analisi chimica, il prelievo è affidato alla pg e la sua
analisi al consulente tecnico del pm nelle forme del 360;
- Per alcuni la consulenza tecnica di natura balistica è un atto
disciplinato dal 360, per altri invece è ripetibile l’esame
balistico di un’arma posto che anche i fenomeni di usura
collegabili a un prolungato uso dell’arma sono ininfluenti
sull’oggetto della consulenza, mentre è irripetibile
l’accertamento relativo all’esaltazione del numero della
matricola abraso dell’arma;
- È irripetibile però l’esame autoptico mentre non lo è quello
esterno di un cadavere in quanto si limita ad una mera
descrizione oggettiva.
C’è stata, sulla figura del consulente tecnico del pm, una forte
critica sulla base della duplice constatazione secondo la quale:
- Attraverso la consulenza tecnica si delinea un affidamento
integrale da parte del giurista alla valutazione tecnica
proprio nella sua parte più critica;
- Nel corso delle indagini preliminari l’attività del consulente è
posta completamente al di là delle possibilità di vaglio da
parte dei consulenti tecnici delle parti private con ricadute
essenziali sia sulla impostazione delle indagini ma anche
sulla qualificazione giuridica del fatto oggetto di indagine.
Si è detto che il consulente del pm svolgerebbe un’attività di
massimo rilievo interpretativo, svincolata da qualsiasi azione di
controllo formale e sostanziale. L’impostazione critica nasce però
da un errore, ovvero aver frainteso la norma la cui essenza sta nel
consentire al pm di avvalersi di esperti quando deve compiere un
atto di indagine che richiede delle competenze che vanno oltre
quelle giuridiche. La Suprema Corte ritiene infondata l’eccezione
di illegittimità del 359 in quanto ha chiarito che l’istituto non
costituisce momento di formazione della prova, non è una
perizia, essendo gli accertamenti sempre ripetibili, e non
appartiene alla verifica in contraddittorio degli elementi del
processo.
Inoltre il requisito di ‘’necessità di specifiche competenze’’
ingenera una serie di malferme incertezze circa i limiti dei
contributi conoscitivi dei consulenti, ma la giurisprudenza è
intervenuta nel delimitare l’accesso degli specialisti del pm nelle
indagini. Intanto non è ammissibile l’esame del consulente
tecnico quando l’attività sul quale deve essere sentito non
richieda le specifiche competenze di cui al 359; si è anche
ritenuto non sindacabile dalla Corte di cassazione la valutazione
se il compito affidato al consulente richieda competenze tecniche
o scientifiche diverse da quelle giuridiche proprie del pm o se si
tratti di una delega di attività investigative o valutative tipiche del
pm e pg.
Vaghe inoltre sono le modalità di nomina del consulente per la
quale nessuna regola è fissata sull’assunzione dell’incarico, sui
tempi e modi del suo espletamento. La nomina tace anche sugli
aspetti soggettivi del consulente…anche se ‘’di regola’’ la scelta
dovrebbe ricadere su soggetti iscritti all’albo dei periti ma la
valutazione della capacità tecnica del consulente è rimessa al pm
e non ad indici presuntivi o predeterminati però poiché il pm ha
la possibilità di avvalersi di un consulente al di fuori dagli albi è
una scelta che deve essere motivata, e se manca la motivazione
la nomina è impugnabile (cassazione n.1980/2005).
In ordine ai requisiti formali della nomina del consulente,
l’assenza dell’ausiliario all’atto della redazione del verbale di
affidamento dell’incarico di consulenza e la mancata
sottoscrizione del verbale da parte di quest’ultimo costituiscono
irregolarità processuali, inidonee a determinare la nullità dell’atto
o della relazione depositata dal consulente tecnico. Per quanto
riguarda l’incompatibilità invece si è precisato che il consulente
tecnico del pm non riveste la qualifica di ausiliario e non può
valere nei suoi confronti la condizione di incompatibilità a
testimoniare. C’è chi nega che nei confronti dei consulenti tecnici
possano trovare applicazione le ipotesi di incapacità e
incompatibilità. Contraria a tale orientamento è la dottrina che
ravvisa nella formula ostativa dell’art 225 co.3 (non può essere
nominato consulente tecnico…) un divieto probatorio generale
determinante l’inutilizzabilità delle consulenze,
indipendentemente dal fatto che siano assunte in fase
investigativa o processuale. La giurisprudenza è orientata a
riconoscere al consulente tecnico di parte la qualità di testimone,
non è data al consulente tecnico la facoltà di controesaminare i
periti, possono solo essere posti a confronto con domande rivolte
dal pm e difensori. Non esiste nessun obbligo del giudice di
disporre il confronto diretto tra gli stessi. Secondo molto il
consulente tecnico del pm non ha obbligo di verità in senso
stretto. Mentre il testimone è chiamato a rappresentare una
verità storica in senso pieno, la configurazione del consulente
tecnico come ausiliare della parte, prospetta una verità critica di
opinioni soggette a confutazione in sede di esame dibattimentale
con conseguente esclusione che possa incorrere nel reato di falsa
testimonianza. Per altri, invece, l’assimilazione del consulente
tecnico al perito del giudice, fa sì che anche il consulente abbia
dovere di verità, di qui potrebbe commettere reato di falsa
perizia o frode processuale. Per altri ancora l’assimilazione alla
figura del consulente di parte, consente di ravvisare un’ipotesi di
consulenza infedele (380 cp).
Il sequestro urgente di p.g.
È un tipico atto della pg e il suo scopo è quello di conservare
immutate le caratteristiche della cosa trovata nel corso degli
accertamenti e dei rilievi urgenti. Ha una forte valenza probatoria
perché, una volta passato indenne dalla convalida del pm ed
eventuale riesame del giudice, reperta dei materiali che entrano
direttamente nel fascicolo del dibattimento in qualità di prova e
proprio per questo ha una serie di garanzie quali: diritto
all’assistenza del difensore (senza avviso) e il deposito del relativo
verbale presso la segreteria del pm entro il terzo giorno
successivo all’atto, dandone avviso al difensore, salva facoltà di
ritardare il deposito in presenza di gravi motivi. Il difensore
comunque ha facoltà di esaminare le cose sequestrate nel luogo
in cui si trovano e di estrarne copia. Fuori dalle ipotesi di urgenza
al sequestro procede il pm.
Dunque la pg, dopo aver compiuto i vari rilievi e accertamenti
urgenti, se del caso, sequestra il corpo del reato e le cose a
questo pertinenti, ovvero gli ufficiali di pg possono compiere il
sequestro solo se: si tratti di CORPO DEL REATO O COSE
PERTINENTI AD ESSO; si sia in presenza di una condizione di
urgenza data dal pericolo di alterazione a causa del ritardo del
pm; si sia ritenuta prevalente la necessità di operare il sequestro
su quella di predisporre le condizioni idonee a salvaguardare il
corpo del reato e le cose pertinenti ad esso in attesa
dell’intervento del pm. Però il sequestro dipende solo da una
valutazione ponderata dell’ufficiale di pg sull’esistenza di tutti e
tre i requisiti.
Alla pg inoltre spetta la redazione di un verbale motivato
contenente: l’indicazione del reato commesso, l’enunciazione
succinta delle ragioni su cui si fonda il timore che possa andare
disperso il bene e la valutazione della pertinenza del reperto alla
situazione di fatto e di diritto. Questo verbale deve essere
trasmesso entro 48 ore al pm del luogo dove il sequestro è stato
eseguito, poi il pm, nelle 48 ore successive, convalida il sequestro
con decreto motivato. I beni sequestrati, però, possono essere
sottoposti a restituzione nel caso in cui non sono più necessari ai
fini di prova salva poi una conversione del sequestro probatorio
d’urgenza in sequestro conservativo o preventivo e ad una
procedura di riesame che consente di contestare la legittimità del
provvedimento ablativo eseguito dalla pg (355-> convalida del
sequestro e suo riesame). Gli art. 354 e 355 sono vaghi nel
definire: cosa sia possibile sequestrare; quali debbano essere i
contenuti minimi della motivazione; quali siano le procedure
operative previste per lo spossessamento.
Il sequestro di pg presenta, inoltre, due peculiarità rispetto a
quello del pm:
- L’atipicità del bene da sottoporre a sequestro, che può
assumere vario contenuto, varie forme e dimensioni diverse
da quelle su cui è stata elaborata la disciplina degli artt. 253
e 354.
- Se il sequestro probatorio del pm può essere considerato un
atto di forza, dai contenuti invasivi nei confronti della sfera
delle libertà del singolo, per il sequestro d’urgenza, invece,
questa considerazione è incompleta; infatti, pur
rappresentando un mezzo tanto lesivo da venire sottoposto
a un doppio controllo giudiziario (convalida del pm e
riesame del giudice) assume anche la natura di atto di tutela
dei diritti del singolo.
Quindi le conclusioni di ciò che si può repertare, per il sequestro
d’urgenza di pg si trasformano in conclusioni su ciò che si ‘’deve’’
sequestrare: in presenza di un corpo del reato o cose pertinente
ad esso, necessarie all’accertamento del fatto, che si trovano in
pericolo per la loro genuinità e in assenza del pm e per i quali il
sequestro si rappresenta il solo mezzo utile alla loro
conservazione, la pg è tenuta ad effettuare il sequestro.
CORPO DEL REATO: Identificato dall’art 253 nelle ‘’cose sulle
quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le
cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo’’ e
definito, dalla giurisprudenza come ciò che è costituito dalle
‘’cose che sono in rapporto diretto ed immediato con l’azione
delittuosa’’. L’esigenza probatoria del corpo del reato potrebbe
essere in re ipsa (in sé stesso) e comporterebbe che i
provvedimenti aventi ad oggetto tali beni si possano limitare a
dar conto di tale qualificazione e che il vincolo potrebbe
permanere per l’intera durata del procedimento penale. Per
molti anni è stato questo l’orientamento della Corte di cassazione
per la quale il corpo del reato essendo imprescindibilmente
legato al reato stesso, postulerebbe l’esistenza di un rapporto di
immediatezza con l’illecito. Però da più parti si ricorda che non
sempre il corpo del reato è necessario ed utile alle indagini, così
nel ’97 la Suprema Corte nega la legittimità del sequestro del
corpo del reato basato sulla sola astratta configurabilità di
un’ipotesi di reato. Ad ogni modo l’art. 354 prevede che la pg ‘’se
del caso’’ procede al sequestro del corpo del reato e delle cose
pertinenti ad esso su cui ha condotto l’accertamento urgente, e il
corpo del reato trovato sulla scena del crimine non va sempre
sequestrata dalla pg se non è utile ai fini dell’accertamento del
fatto e non necessita di essere appreso per il rischio di una sua
possibile alterazione. Es. il pc sul quale siano stati cancellati i dati
di contabilità, al fine di evadere le imposte, è sequestrabile come
corpo del reato, in quanto rappresenta il mezzo mediante il quale
è stato commesso.
LE COSE PERTINENTI AL REATO: per queste il legislatore non
fornisce definizione. È una nozione più ampia che ricomprende
tutte le cose mobili, immobili che ‘’sono in rapporto indiretto con
la fattispecie criminosa concreta e risultano strumentali
all’accertamento dei fatti, ovvero necessarie alla dimostrazione
del reato e delle sue modalità di preparazione ed esecuzione, alla
conservazione delle tracce, all’identificazione del colpevole,
all’accertamento del movente ed alla determinazione dell’ante
factum e post factum, ricollegabili al reato ed all’individuazione
del suo autore’’. La pertinenza consiste in qualsiasi relazione
intercorrente tra un soggetto ed il reato, qualificata dalla sua
potenzialità ad essere uno strumento utile per l’accertamento del
fatto. È sequestrabile tutto ciò che attiene alla fisica del reato,
pertiene al reato tutto quanto sia a ‘’convinzione o discolpa’’. È
ammissibile il sequestro di un indumento intimo dell’indagato, es,
al fine di procedere all’estrapolazione dei profili del DNA a scopo
comparativo con i reperti, però la Corte di cassazione riconosce
l’illegittimità di qualsiasi ampliamento indiscriminato nell’uso del
mezzo di ricerca della prova che ne comporti uno snaturamento
della finalità, trascurando lo stretto collegamento che deve
esistere tra la cosa da apprendere e il reato oggetto di indagini.
IL FUMUS COMMISSI DELICTI (probabilità di effettiva
consumazione del reato): dalla sentenza Bassi si comprende che
non è legittimo il sequestro basato su mere congetture o sospetti
in ordine all’illecito perpetrato; bensì il sequestro presuppone la
sussistenza di un fumus delicti che, pur se condotto nel campo
dell’astrattezza, va riferito ad un’ipotesi ascrivibile alla realtà
effettuale e non virtuale. È illegittimo il sequestro ai fini
meramente esplorativi, volto ad acquisire la notitia criminis in
ordine ad un eventuale illecito non ancora individuato nella sua
qualificazione giuridica e nella sua specificità fattuale. Si è arrivati
poi a riconoscere la nullità del decreto di sequestro emanato a
seguito di denuncia anonima in quanto essa non può essere
configurata come una notizia di reato. Però si è, diversamente,
ritenuto corretto il comportamento della pg che a seguito di
denuncia anonima si è recata sul luogo indicato e individuata
l’autovettura sospetta l’hanno perquisita e hanno sequestrato
una sostanza stupefacente ivi occultata. Quindi per ciò che
attiene al sequestro urgente di pg: è legittimo anche
nell’incertezza circa la definitiva qualificazione giuridica del reato,
nella prospettiva di un’evoluzione delle acquisizioni probatorie
che conduca a meglio definire tale qualifica. La sua legittimità
deve essere valutata in riferimento all’idoneità degli elementi su
cui si fonda la notizia di reato a rendere utile l’espletamento di
ulteriori indagini, per acquisire prove certe o prove ulteriori del
fatto, non esperibili senza la sottrazione all’indagato della
disponibilità della res o l’acquisizione della stessa nella
disponibilità dell’ag. In sede di riesame il tribunale è chiamato a
verificare l’astratta sussistenza del reato ipotizzato, valutando il
fumus commissi delicti sotto il profilo della congruità degli
elementi rappresentati e della sussistenza dei presupposti che
giustificano il sequestro.
IL PERICULUM IN MORA (pericolo/danno causato dal ritardo): il
bene, quindi, è legittimamente sequestrabile ai sensi del 354,
oltre ad avere oggetto il corpo del reato o una cosa ad esso
pertinente, solo quando presenta l’ulteriore presupposto
dell’urgenza del pericolo che cose e tracce o luoghi si alterino,
disperdano o modifichino nel lasso di tempo in cui il pm non
interviene o non impartisce le direttive. La pg è tenuta ad
indicare, tassativamente, nel verbale di sequestro la sussistenza
di questo presupposto; il controllo sulla sussistenza del periculum
in mora spetta di regola al pm al momento della convalida. E la pg
è tenuta a motivare.
LA MOTIVAZIONE: l’art. 253 non dedica attenzione al suo
contenuto. L’obbligo della motivazione trova la sua matrice negli
artt. 13 e 14 Cost. e che è previsto a pena di nullità. Importante
per la dottrina: il provvedimento di sequestro, incidendo su diritti
costituzionalmente garantiti, esige una motivazione che deve
concernere anche le specifiche finalità probatorie che si
intendono perseguire; per quanto riguarda la giurisprudenza
invece: la Suprema Corte assume un atteggiamento più esigente
quanto a finalità e presupposti, tant’è che nel ’97 afferma che il
sequestro non può risultare basato sull’affermazione di essere
volto ad assicurare elementi di prova in ordine all’imputazione in
quanto tale motivazione non permette di verificare se le cose
oggetto del sequestro siano definibili come corpo del reato o cose
ad esso pertinenti. La motivazione, riassuntiva o schematica, deve
coniugare al ragionevole delinearsi di ipotesi criminose almeno
l’enunciazione descrittiva dell’inerenza o pertinenzialità dei beni
e cose sequestrate all’accertamento di dette ipotesi. Non è
legittimo il decreto che si limita a indicare articoli di legge violati.
È affetto da nullità, per vizio di motivazione apparente, il decreto
redatto su un modulo prestampato e recante mere formule
adattabili a qualsiasi caso.
Per quanto riguarda l’indicazione di singoli beni da sequestrare il
decreto deve individuare gli specifici beni da sottoporre a tale
misura. Nel caso di sequestro di massa, es, avente ad oggetto una
pluralità di cose dello stesso genere, devono essere indicate le
ragioni in base alle quali non è possibile limitare il sequestro ad
uno solo o a pochi esemplari, occorre dimostrare se e perché la
pertinenza probatoria è insita in tutti gli oggetti.
APPOSIZIONE DEI SIGILLI: in presenza di un bene mobile (oggetto
o traccia raccolta in seguito a rilievi o accertamenti) la pg
s’impossessa del medesimo e lo sottopone a procedure di
imbustamento, custodia e sigillatura. Per il bene immobile invece
si provvede ad assicurarlo attraverso la nomina di un custode e
l’apposizione dei sigilli. Le modalità di custodia delle cose
sequestrate indicate dagli artt. 260 e 261 costituiscono, per la
giurisprudenza, prescrizioni meramente indicative che non sono
astrattamente contestabili tranne che nel caso in cui dalla loro
mancata applicazione si vuole dedurre degli inconvenienti
sostanziali attinenti a concrete ipotesi di alterazione,
modificazione o addirittura sostituzione dei reperti. Però
l’inosservanza di queste due norme non è sanzionata da alcuna
ipotesi di nullità però può incidere sul profilo della valutazione
della genuinità della prova stessa secondo le regole dettate
dall’art. 192 cpp. La FUNZIONE dei sigilli è quella di garantire la
genuinità del sequestro ma la loro assenza non può integrare
l’illegittimità del sequestro né impedire l’utilizzabilità della prova
che dai reperti si sia in seguito acquisita, a condizione che sia
comunque certa l’identità della cosa sequestrata. Il che sta a
significare che qualora si dimostri l’inalterazione dell’identità
della cosa sequestrata ma non sigillata, le invalidità non possono
trovare applicazione, dunque la dimostrazione della mancata
apposizione dei sigilli comporta la presunzione relativa della
contaminazione della cosa ma sta a chi produce il reperto l’onere
della prova contraria. L’assenza del magistrato, inoltre, alle
operazioni di rimozione e riapposizione non comporta nullità.
Quando i sigilli appaiono rotti, alterati, si procede alla
verificazione delle cose sequestrate, a cura della segreteria,
quindi non in presenza dell’autorità giudiziaria. Però, l’intervento
dell’autorità giudiziaria diventa necessaria nel caso in cui il pm o il
giudice devono compiere un atto che comporti la rimozione dei
sigilli, quindi la corte di cassazione ritiene legittimo che la pg
proceda a verificare l’integrità dei sigilli precedentemente apposti
dalla stessa sui reperti che devono essere sottoposti ad
accertamenti tecnici ad opera di altro organo di pg per incarico
del pm, ma diversamente ritiene nullo la consulenza nel caso in
cui il consulente del pm, nel corso delle indagini preliminari, sia
stato nominato al fine di accertare il contenuto di un involucro
sigillato e la natura della sostanza custodita e abbia proceduto da
solo, senza la presenza del magistrato, alla rimozione dei sigilli.
IL SEQUESTRO URGENTE DEI DATI INFORMATICI
Il sequestro di dati, informazioni, programmi, sistemi informatici
o telematici, su cui la pg può compiere rilievi ed accertamenti
urgenti risente della procedura operativa del 354 e anche dell’art.
254 bis. La procedura di sequestro deve tendere ad assicurare la
conformità dei dati acquisiti a quelli originali e la loro
immodificabilità e deve poter usufruire delle stesse garanzie
previste per l’attività di accertamento urgente, e sono:
-il dovere di conservare inalterato il dato informatico originale
nella sua genuinità;
-impedire l’alterazione successiva del dato originale;
-dovere di formare una copia che assicuri la conformità del dato
informatico.
La garanzia dell’installazione di sigilli informatici è prevista
dall’art.260 che gli esperti affermano essere essenziali per i dati
informatici. L’integrità dei dati acquisiti è garantita tramite
l’algoritmo di hash, che consente di creare, attraverso una
funzione matematica, una sequenza di bit di lunghezza variabile.
Il documento informatico è caratterizzato da peculiarità tecniche
che giustificano una disciplina diversa da quella ordinaria, queste
caratteristiche sono:
-un elevato pericolo di modificabilità per l’immaterialità del
veicolo di memorizzazione e trasferimento dei dati;
-la necessità di un tempo maggiore per la ricerca del materiale
utile alle indagini, non essendo sufficiente uno ‘’sguardo’’ al
contenuto del pc in quanto il dato probatorio digitale non appare
‘’ictu oculi’’ bensì è nascosto, sparpagliato, in settori di files o
addirittura cancellato, anche se è ripristinabile;
-la velocità di copiatura dei dati dalla quale deriva un elevato
rischio di impossessamento di dati ulteriori rispetto a quelli
necessari ai fini delle indagini.
Nelle indagini informatiche, spesso, il sequestro anticipa la
perquisizione o l’accertamento urgente, per evitare attività
investigative troppo lunghe, il che rischia di far saltare i
presupposti legittimanti il sequestro, quale, ad esempio, la
pertinenza del dato al fatto da provare. Quindi il sequestro deve
avere una motivazione più articolata e dettagliata in un punto di
modalità di selezione dei dati, non potendosi più accettare
provvedimenti genericamente finalizzati all’esplorazione di tutti i
dati digitali contenuti all’interno dell’hard disk; tant’è che la
Suprema Corte ha ritenuto illegittimo il sequestro e la clonazione
dell’intero hard disk. Inoltre, i giudici stanno iniziando ad avere
l’idea che l’impossessamento di una quantità indeterminata di
documenti archiviati elettronicamente attraverso un’estrazione di
copia, rappresenta un escamotage, perché l’azione investigativa
rischia di trasformarsi in attività di ricerca di ulteriori notizie di
reato.
IL SEQUESTRO IN SEGUITO AD ACCERTAMENTI URGENTI
‘’INUTILIZZABILI’’: si è detto che il mancato rispetto delle
procedure cui all’art. 354 relativamente agli accertamenti sui
materiali informatici, determini l’inutilizzabilità del dato digitale.
Ma cosa succede se all’accertamento inutilizzabile faccia seguito
il sequestro? Diventa anch’esso viziato da inutilizzabilità? Oppure
i dati continuano a produrre effetti probatori sul convincimento
del giudice e pm? Per dare una risposta bisogna prendere in
considerazione il rapporto tra perquisizione inutilizzabile e
sequestro. Questa sequenza rappresenta uno dei punti molto
discussi poiché investe il problema della trasferibilità del vizio
dell’inutilizzabilità della perquisizione al sequestro. Il tema va
sotto il nome di ‘’inutilizzabilità derivata’’. Abbiamo diversi
orientamenti:
-uno prevalente della giurisprudenza e dottrina ritiene che il vizio
non si propaga dalla perquisizione all’apprensione di quanto
rinvenuto. La motivazione addotta dalle Sezioni Unite nel ’94 fa
leva sulla natura di ‘’atto dovuto’’ del sequestro che ‘’rende
irrilevante il modo con il quale ad esso si sia pervenuto’’, non si
può paralizzare l’adempimento di un obbligo giuridico quale
l’apprensione di ciò che è utile all’accertamento del reato. Questa
interpretazione si congiunge con un’altra sentenza emessa
sempre nel ’94 dalle Sezioni Unite che ritiene che nel sequestro
del corpus delicti non è necessario evidenziare le finalità
probatorie perseguite in quando sono in re ipsa. Sebbene la
sentenza Carella sia stata smentita la giurisprudenza non ha
cambiato idea. Qualunque sia il vizio della perquisizione, es
insufficiente motivazione, il sequestro rimane valido.
-altra giurisprudenza perviene ad analoghe conclusioni basandosi
sull’autonomia funzionale dei due istituti, e con questa si spiega
la mancata propagazione del vizio, che sono legati da una mera
conseguenzialità logica, tant’è che il sequestro è previsto ‘’se del
caso’’, e inoltre diversi sono i presupposti di legittimità.
-c’è chi dice che l’autonomia è strutturale. La perquisizione
postula un fondato sospetto sulla presenza del corpo del reato e
delle cose pertinenti ad esso in un certo posto o su una certa
persona che, solo una volta conosciute e reperite, possono essere
sequestrate; il sequestro, perciò, richiede una condizione di
assoluta certezza sull’esistenza della cosa da vincolare che la
perquisizione non ha ma suppone in misura fondata.
-altri evidenziano il diverso uso della forza che nella perquisizione
serve a scoprire la cosa, nel sequestro a sottrarla alla disponibilità
di chi la detiene.
I due istituti possono vivere, inoltre, di vita propria, ci può essere
perquisizione senza sequestro e viceversa.
Quindi la perquisizione esige un fondato sospetto
dell’occultamento o dell’esistenza delle fonti di prova ed è
finalizzata alla ricerca di qualcosa di cui non si ha contezza. È
altrettanto certo che non sempre l’uno implica l’altro. Però non si
può non considerare che: 1. la diversità dei presupposti e degli
scopi non rappresenta un valido motivo per non riconoscere una
dipendenza funzionale tra i due, anzi proprio perché la
perquisizione è più stringente del sequestro è palese che si tratta
di una sequenza non solo cronologica ma anche probatoria; 2. le
ipotesi richiamate dalla dottrina sul collegamento occasionale tra
i due mezzi di ricerca della prova fa pensare che si tratta di ipotesi
di scuola in quanto nella realtà investigativa è raro che ad una
perquisizione non segua un sequestro e viceversa. Quindi il
sequestro può avere vita autonoma solo quando si conosce già la
collocazione delle cose suscettibili di ‘’adprehensio’’. Il c.d. atto
dovuto è il risultato di un procedimento complesso di formazione
della prova nel cui ambito la perquisizione rappresenta un
requisito indispensabile e antecedente al sequestro. La c.d.
inutilizzabilità derivata consente la propagazione degli effetti
sanzionatori dall’uno all’altro degli atti funzionalmente connessi,
ma, ad ogni modo, l’attuale stato di questo tema è espresso
nell’ultima sentenza ‘’Cass. n. 26819/2010’’: che afferma che
l’illegittimità della perquisizione non invalida il seguente
sequestro, qualora vengono acquisite cose costituenti corpo del
reato o a questo pertinenti, considerandosi il potere di sequestro
che è condizionato dall’acquisibilità del bene e all’insussistenza di
divieti probatori espliciti o enucleabili dal sistema.
Le garanzie: l’assistenza del difensore (art. 356) e il
deposito del verbale (art. 366)
Il 356 riconosce al difensore la facoltà di assistere agli
accertamenti e ai rilievi ex art. 354, nonché al sequestro del corpo
del reato e delle cose ad esso pertinenti, però non ha diritto al
preavviso. La disciplina del 356 è il frutto di una doppia esigenza:
1. garantire la presenza di un difensore stante la natura
irripetibile delle attività tecniche di pg che entrano direttamente
nel fascicolo del dibattimento; 2. permettere di condurre
celermente le attività tecniche urgenti senza doverle
interrompere per attivare la procedura di notifica dell’avviso
difensivo. Ci sono considerazioni da fare che riducono la portata
garantistica:
-il difensore può presenziare al compimento dell’atto solo in caso
di avvenuta iscrizione di un soggetto in qualità di persona
sottoposta alle indagini;
-la mancanza del preavviso fa sì che la sua presenza resti affidata
all’intuito del difensore o al puro caso, quindi impraticabile;
-l’assenza dell’indagato sul luogo delle operazioni non le rallenta,
infatti la pg procede al compimento dell’atto senza attendere che
la persona si presenti per ricevere l’avviso;
-la pg può procedere al compimento dell’atto senza attendere il
difensore che ha manifestato la volontà di partecipare;
-la presenza agli accertamenti urgenti è solo una assistenza ad un
atto da altri gestito, infatti il difensore può solo formulare
richieste, fare osservazioni ed esprimere riserve.
Nel caso in cui l’indagato decide di non avvalersi di un difensore
di fiducia, la pg non è tenuta a nominare un difensore d’ufficio. Il
mancato avviso determina una nullità a regime intermedio.
Deposito del verbale: l’art. 366 prevede un tale dovere a
proposito degli atti del pm e di pg a cui hanno diritto di assistere i
difensori, però l’art. 356 contempla una mera facoltà del
difensore di assistere. Si è giunti ad un orientamento di
‘’compromesso’’ che contempla l’obbligo di deposito e relativo
avviso solo nelle ipotesi in cui il difensore abbia preso parte
all’atto urgente. Nel momento in cui l’indagato ha dichiarato alla
pg di volersi avvalere di un difensore di fiducia e questi abbia
partecipato al compimento dell’atto, non si comprende perché
non debba seguire anche l’ulteriore garanzia dell’avviso di
deposito del verbale con la conseguente facoltà di prenderne
visione ed estrarne copia. Solo così il difensore potrà verificare
che il verbale non presenti incompletezze, imprecisioni o
irregolarità; diversamente potrebbe emergere il rischio che tali
vizi vengano conosciuti in un momento lontano da quello in cui
l’atto è stato compiuto. La conoscenza da parte del difensore del
verbale in un breve lasso di tempo dal compimento dell’atto gli
permette, inoltre, di contestare sin da subito eventuali
irregolarità e partecipare di più al prosieguo delle indagini. Si
deve ricordare che sia l’omesso deposito degli atti che l’omesso
avviso al difensore determinano una nullità; tuttavia si è arrivati a
ravvisare una mera irregolarità. Importante è la modifica del co.1
del 356 in quanto prima della novella il difensore poteva solo
prendere visione del verbale degli atti compiuti dalla pg o pm
depositati presso l’ufficio del pm operante; mentre la novella ha
ritenuto importante assicurare maggior equilibrio tra accusa e
difesa dando al difensore la possibilità di esaminare direttamente
i beni sequestrati dove si trovano; limite a questa possibilità è
solo se nel caso in cui alla cosa sono stati apposti i sigilli.
OBBLIGO DEL VERBALE
Per documentare la propria attività, la pg, ha a disposizione due
modalità: annotazione e verbale. L’art. 357 ha eletto
l’annotazione come modalità ordinaria da impiegare per
documentare tutte le attività svolte e riservando la
verbalizzazione a una serie di atti specificamente indicati.
RELAZIONE DI SERVIZIO: svolge solo una funzione informativa
(tipica delle attività che l’ufficiale o l’agente di polizia compie in
funzione di polizia di sicurezza) con la quale l’operatore relaziona
al proprio ufficio l’attività compiuta nell’esercizio delle funzioni
investigative.
VERBALE: per gli accertamenti urgenti la pg deve redigere verbale
che è una forma documentativa a contenuto dichiarativo
sottoposta a precise regole formali che ne garantiscono la
genuinità e completezza dei contenuti. È previsto per quegli atti,
originariamente irripetibili destinati ad entrare nel fascicolo del
dibattimento e per questo viene c’è la necessità di garantire che
forniscano, a chi non era presente al compimento dell’atto, il
maggior numero di informazioni possibili con la possibilità di
individuare il soggetto che lo ha compiuto. Per il codice il verbale
deve specificare i contenuti altrimenti ne prevede la nullità in casi
particolari, quindi oltre alla menzione del luogo, anno, mese,
giorno e ora in cui è cominciato e chiuso, vanno inserite ‘’le
generalità delle persone intervenute, l’indicazione delle cause, se
conosciute, della mancata presenza di coloro che sarebbero
dovuti intervenire’’, nonché la descrizione di quanto compiuto o
constatato, o di quanto sia avvenuto in presenza di chi ha redatto
il verbale. La completezza descrittiva è importante in quanto
rappresenta il solo documento che testimonia la corretta
esecuzione delle procedure operative applicate nella gestione
delle tracce del reato.
La differenza tra annotazione e verbale sta nella nullità che è
prevista solo per il verbale ‘’se vi è incertezza assoluta sulle
persone intervenute o se manca la sottoscrizione del pubblico
ufficiale che lo ha redatto’’, invece le annotazioni sono valide
anche in mancanza della sottoscrizione di chi le ha redatte.
MODALITA’ DI REDAZIONE: abbiamo la stenotipia o altro
strumento meccanico ovvero, in caso di impossibilità di ricorso a
questi mezzi, la scrittura manuale; in più è possibile fare uso del
computer, ma la firma del redigente dovrà essere apposta di suo
pugno. Per gli atti del pm e del giudice è prevista sia la
verbalizzazione in forma integrale che riassuntiva; i verbali di pg
devono essere in forma integrale, però ci sono molte norme che
prevedono la possibilità di una verbalizzazione in forma
riassuntiva. Una volta redatti, gli atti devono essere trasmessi
all’ufficio del pm, pur conservandosi una copia nell’ufficio di pg.
ANNOTAZIONE: l’ordinaria attività di pg che non rientra tra gli atti
indicati nell’art. 357 va documentata con l’annotazione che ha il
compito di cristallizzare le attività compiute; quindi si annotano
gli atti posti in essere nel corso di attività investigative atipiche
nonché quelli a contenuto semplice o limitata rilevanza, ovvero
tutto ciò che ha carattere ripetibile. L’annotazione consiste in una
descrizione sommaria del fatto e deve risultare sufficientemente
precisa e completa.
I rilievi descrittivi: precisazioni giuridiche
L'attività di osservazione del locus commissi delicti viene quasi
sempre supportata dai rilievi tecnici di natura descrittiva che
serbano ‘’ memoria degli aspetti visivi’’ di quanto documentato
nel verbale. Aiutano l'operatore a descrivere lo stato dei luoghi e
delle tracce attraverso l'elaborazione di schizzi, fotografie,
immagini, utili ad immortalare la posizione, la forma e la
disposizione spaziale prima che vengano contaminate da
successivi interventi ed operazioni. La fotografia, ad esempio,’’ è
il mezzo tecnico idoneo a fissare e prolungare la visione’’. Sono
attività d'indagine che vivono di vita autonoma ben potendo
rappresentare atti individuali e non sempre e soltanto inseriti
all'interno del caleidoscopico verbale di accertamenti urgenti o
ispezione, composto da molteplici attività di conservazione,
osservazione e investigazione che per comodità e coerenza
espositiva vengono riunite all'interno di un unico atto. Nella loro
individualità, i rilievi potrebbero presentare comunque una
natura composita; questi rientrano nel genus dei rilievi e in
particolare dei rilievi tecnici, per la natura tecnica delle relative
operazioni; Sono infatti attività strumentali che ricorrono
all'impiego di apparati tecnologici di acquisizione di dati o
immagini e sono soggetti alle continue sollecitazioni del
progresso.
Le disposizioni dedicate a regolamentare i rilievi descrittivi sono:
-L’art. 244 Che legittima l'autorità giudiziaria a disporre di ‘’ rilievi
segnaletici, descrittivi e fotografici e ogni altra operazione’’; la
specificazione riguardo alla tipologia dei rilievi è stata ampliata
dall’art. 391 sexies;
-L’art. 391 sexies invece descrive che la difesa, quando verbalizza
l'attività di osservazione deve indicare gli eventuali rilievi tecnici,
grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi che fanno parte
integrante dell'atto e sono allegati al medesimo; questa norma è
stata inserita nel codice di rito dopo 12 anni dalla entrata in
vigore del 244;
-L’art. 354, invece, nel descrivere le attività conservative che la
polizia giudiziaria è tenuta a porre in essere sul locus commissi
delicti, dispone che la stessa compia gli indispensabili ‘’
accertamenti rilievi sullo stato dei luoghi e delle cose’’. In questa
norma non c'è nessuna tipizzazione, e la motivazione la si
riscontra nella ratio della disciplina ovvero lasciare il più ampio
margine di manovra all' operato della polizia e permettere di
individuare nuovi mezzi senza necessità di un continuo
aggiornamento legislativo e soprattutto essere consapevoli che
nella fase del primo intervento le attività di osservazione tendono
a concretizzarsi in veloci schizzi o rilievi fotografici eseguiti senza
strumentazioni o competenze particolari mentre l'impiego di
forme più elaborate appartiene alla fase successiva.
I rilievi descrittivi devono essere distinti dagli esperimenti
giudiziali perché i rilievi rappresentano la realtà nella sua staticità
mentre i secondi la riproducono dinamicamente consentendo di
accertare se un fatto possa o non essere avvenuto in un
determinato modo.
La loro forma di documentazione
Le modalità di documentazione degli atti sono direttamente
correlate al loro regime di utilizzazione, per esempio si usa il
verbale se l'atto ha natura irripetibile e ne è possibile il recupero
dibattimentale attraverso l'inserimento nel fascicolo del
dibattimento, tant'è che il verbale è l'unica forma documentativa
che è in grado di assicurare una sorta di imparzialità che obbliga
la PG a riportare quello che è stato compiuto, constatato o
avvenuto. La nozione di ripetibilità coincide con l'impossibilità di
rinnovare nel giudizio il medesimo atto che è stato già compiuto
durante le indagini preliminari, il che significa ‘’impossibilità di ri-
descrivere'’ situazioni e luoghi suscettibili di modificazione nel
tempo o anche addirittura di scomparire in tempi più o meno
brevi così che, in seguito, potrebbero soltanto essere riferiti.
I rilievi fotografici, grafici, planimetrici eseguiti sul locus commissi
delicti rientrano nella categoria di atti irripetibili in quanto sono
attività che si esauriscono nel momento stesso in cui vengono
poste in essere ed è ripetibile solo una descrizione narrativa ‘’ che
non riproduce quanto descritto nel rilievo con conseguente
perdita dell'informazione probatoria’’. quindi sono dotati di
un’irripetibilità congenita; lo stato dei luoghi o delle tracce è
oggettivamente irriproducibile in un momento diverso da quello
in cui viene cristallizzato nell’immediatezza della rilevazione
tecnica. Questi rilievi rappresentano la fonte probatoria più
importante di cui dispone il procedimento penale per la fedeltà
dei dati informativi contenuti e perciò c'è la necessità di
supportarla di garanzie funzionali al corretto impiego
processuale: infatti per un verso abbiamo la presenza di un
difensore cui il pm la pg (su delega) danno avviso almeno 24 ore
prima del compimento degli atti, salva ipotesi in cui vi sia fondato
motivo di dire che le tracce e gli altri effetti materiali del reato
possano essere alterati, il che è una circostanza che legittima il
pm a non avvisare il difensore che però mantiene il diritto di
intervenire se dovesse esserne al corrente; per altro verso invece
c'è l'obbligo di documentazione delle relative attività nella forma
verbale esigendo altresì una verbalizzazione integrale. A tal
proposito si precisa che sebbene il rilievo descrittivo sia
tendenzialmente contenuto in un grafico, una fotografia o un
supporto informatico, il verbale non deve solo contenere il
materiale descrittivo allegato ma deve anche contemplare la
descrizione dettagliata di come l'attività di rilevazione sia stata
eseguita. È questa la parte documentativa che permette di
comprendere e giudicare, a posteriori, la qualità del rilievo e, di
conseguenza, la sua affidabilità probatoria. Inoltre, qualora i
rilievi tecnici venissero documentati con l'annotazione o la
relazione di servizio, l'inserimento nel fascicolo del dibattimento
e la lettura in udienza è consentita solo se il contenuto della
descrizione è conforme a quello previsto per la redazione del
verbale. L'impiego delle due forme ‘’meno rigorose’’ di
documentazione non impedisce il rilievo di poter essere usato per
le decisioni da adottare nel corso delle indagini preliminari o,
addirittura, in sede di procedimenti speciali.
Inadeguatezza delle norme al cospetto della nuova
realtà investigativa e le soluzioni giuridiche
percorribili
Le indagini tecnico-scientifiche vanno oltre i limiti sanciti
dalle norme
Sino all’inoltro al pm della comunicazione della notizia di reato e,
tutt’al più, sino all’emanazione delle sue direttive nel caso in cui
non sia potuto intervenire tempestivamente, la pg può compiere
rilievi ed accertamenti urgenti. Dopo, può eseguire solo rilievi
atipici e ripetibili eccetto nel caso in cui venga delegata dal pm al
compimento di singole attività. La regola è che sta al pm
intervenire nel corso delle indagini preliminari con atti di natura
tecnico-scientifica che si materializzano in rilievi irripetibili ed
accertamenti, sia irripetibili che ripetibili. La limitata autonomia
della pg nell’ambito di questo tipo di indagini inizia a penalizzare
le investigazioni. I motivi possono essere ricondotti all’insorgere
di più fattori concomitanti:
- L’evoluzione del progresso scientifico da cui cominciano a
provenire sollecitazioni sempre più appetibili;
- L’acquisizione da parte delle forze dell’ordine di alti livelli di
professionalità tecnica;
- La scelta del legislatore di estendere sensibilmente gli ambiti
di autonomia delle indagini tradizionali di pg.
Ciò che ne discende è un’evidente asincronia tra quanto il codice
di rito consente di fare agli operatori sulla scena del crimine e
quanto questi fanno o potrebbero fare se la normativa fosse
meno rigida.
A) Nell’ultimo decennio la scienza e la tecnica hanno subito
un’accelerazione dirompente che ha finito per coinvolgere anche
le investigazioni penali. Si pensi all’elaborazione di nuove
tipologie di mezzi probatori. Per non parlare delle tecniche
d’identificazione personale le cui trasformazioni dell’arco di pochi
anni hanno cambiato il modo di intendere l’investigazione
scientifica. Oggigiorno, con elevata competenza, non è chiamata
solo ad eseguire un’attività rilievistica di tipo meccanico ma
compie sulla scena del crimine anche valutazioni logiche e
scientifiche. Oltre all’adozione di sofisticate tecnologie campali
che fanno dell’operato della pg un intervento di elevato spessore
specialistico, c’è da sottolineare che anche tutte le operazioni
considerate un tempo semplici, come l’esaltazione delle impronte
papillari o le fotografie, assurgono sempre più a valore di
accertamenti. Le prime in ragione della moltitudine di tecniche e
materiali a disposizione degli investigatori, si tramutano in
un’attività accertativa vera e propria che richiede specifiche
competenze ed una elevata qualificazione atte a consentirgli di
formulare giudizi e valutazioni in ordine alla tecnica e alle
procedure elettive da applicare. Il rilievo fotografico impone il
rispetto di una serie di precauzioni e prescrizioni tecniche il cui
mancato rispetto incide visibilmente sul risultato dell’operazione.
Sono molti anni che in molti Paesi, in primi negli Stati Uniti, le
attività di processamento della scena di un crimine sono state
strutturate in una sistematica composta da due diversi momenti
d’intervento tecnico. Il primo è finalizzato al congelamento e alla
descrizione iniziale del luogo e delle cose, nonché
all’assicurazione delle fonti di prove deperibili, ed è di
competenza delle forze dell’ordine che per prime
sopraggiungono sulla scena (primo intervento o first response); il
secondo è dedicato ad un’analisi più attenta e specialistica delle
tracce con relativa ricerca, raccolta e repertazione ad opera degli
ufficiali di pg aventi specifiche competenze (CSI) e può consistere
anche in attività irripetibili da doversi compiere sul campo e non
solo nei laboratori.
B) Accanto ai laboratori, solo negli ultimi anni, sono stati istituiti
presso il Ra.C.I.S. nel 2001 il Reparto Analisi Criminologiche (RAC)
con lo scopo di fornire un supporto psicologico alle attività di pg,
nel 2006 il Reparto Tecnologie Informatiche, per affiancare la pg
territoriale di un alto e qualificato ausilio all’ascesa del crimine
high-tech, nel 2009 l’Istituto Superiore di Tecniche Investigative,
per rispondere alle emergenti problematiche e criticità relativa
alle indagini sulla scena del crimine con particolare attenzione
alla formazione ed addestramento di agenti ed ufficiali di pg.
L’Istituto ha il compito di elevare le capacità tecnico-scientifiche
degli operatori territoriali.
C) Il terzo fattore scatenante l’inadeguatezza delle norme è la
progressiva autonomia concessa dal legislatore riformate alla pg
nella fase delle indagini preliminari ed anche nel momento del
sopralluogo. La prassi ha dovuto superare a modo suo
l’inadeguatezza contenuta nelle norme. Ha così finito per
rompere gli argini codicistici preesistenti.
Nella prassi la pg si è trovata a compiere sulla scena del crimine:
- Rilievi tecnici di natura irripetibile; la pg dispone di
strumentazioni sofisticate che le permettono di procedere sia a
rilievi su materiale infinitamente piccolo che, per la stessa attività
di captazione, viene poi definitivamente distrutto, sia ad
operazioni ispettive che non è possibile ripetere nelle stesse
condizioni in un altro momento investigativo;
- Accertamenti tecnici ripetibili, consentiti dall’approfondita
conoscenza delle branche delle scienze applicabili all’analisi delle
tracce del reato e dalla dotazione di strumentazioni campali per
l’esame di tali dati in situ.
Le disfunzioni generate dalla prassi: la nomina della pg
come consulente tecnico del pm
Gli escamotage giuridici sono:
- La nomina della pg in veste di consulente tecnico, che le
consente di compiere rilievi ed accertamenti sia ripetibili (art.
359) che irripetibili (art. 360);
- La delega da parte del pm per il compimento delle singole
attività tecnico-scientifiche (art. 370), ad eccezione degli
accertamenti tecnici irripetibili;
- L’azione riparatrice della giurisprudenza che ammette il
compimento di rilievi irripetibili fuori dalle ipotesi di urgenza,
arrivando anche ad estendere il concetto di rilievo sino a
contemplarvi operazioni di carattere valutativo.
Partendo dal primo escamotage, la prassi dimostra come si è
ricorsi con grande frequenza ad una sorta di convertibilità delle
consulenze, procedendo alla nomina degli ufficiali di pg in qualità
di consulenti tecnici del pm, ai sensi dell’art. 359, con
l’affidamento di un’attività di collaborazione di tipo privatistico.
Gli ufficiali di pg vengono chiamati a svolgere incarichi peritali
retribuiti che potrebbero condurre per dovere istituzionale, senza
ulteriore carico pubblico. Il taglio privatistico dell’intervento
tecnico mal si concilia con l’ambito pubblico entro cui deve
inquadrarsi l’intervento tecnico della pg. Questi possono essere
chiamati a svolgere una tale quantità di incarichi istituzionali che
finiscono con l’essere incompatibili con il limite massimo di
retribuzione, proprio perché commisurata a tempo. Non si può
non tener conto del fatto che la nomina a carattere privatistico
porta con sé un’attenuazione dei controlli esperibili sul suo
operato. Un aspetto ancor più preoccupante attiene alla
mancanza di garanzie difensive per le attività tecniche eseguite
dalla pg in veste di esperto del pm in ragione della loro natura di
atti di indagine ripetibili, finalizzati non a formare la prova ma ad
orientare le investigazioni.
L'attività delegata
Accade praticamente sempre che per consentire agli organi di
polizia di compiere accertamenti senza incappare nelle strettoie
normative, le procure procedano alla delega per il compimento
delle attività tecnico-scientifiche, in virtù dell’art. 370.
La prassi di delegare alla pg le indagini a contenuto tecnico-
scientifico rischia di penalizzare la qualità stessa delle indagini
posto che, nell’ambito di un’attività di natura delegata, la polizia
non è libera di scegliere gli strumenti più idonei al conseguimento
degli obiettivi dell’indagine, non potendo godere di margini di
discrezionalità tecnica; cosa che, al contrario, avviene in presenza
di un’attività che sia solo guidata dalle direttive del pm. Si
potrebbe obiettare che molto spesso il pm formula deleghe a
contenuto generico, le deleghe globali o in bianco. È comunque
possibile fare una distinzione tra una delega avente ad oggetto il
compimento di attività di indagine di ampio respiro, comprensiva
quindi di un’investigazione ad ampio spettro, da quella relativa a
specifici atti delegati. Nel primo caso, alla delega generale, fanno
seguito atti d’iniziativa della pg da concordarsi preventivamente;
alla seconda, viene in rilievo lo specifico ordine di compiere un
determinato atto, con margini esigui di autonomia e funzioni
essenzialmente esecutiva. La polizia può essere delega solo al
compimento di specifici atti di natura tecnico-scientifica. C’è da
fare un distinguo tra i rilievi e gli accertamenti irripetibili.
La dottrina e la giurisprudenza prevalenti escludono
perentoriamente che l’accertamento della pg possa comunque
inserire ad un accertamento irripetibile non urgente, sia esso di
iniziativa o su delega. La soluzione è condivisibile. La pg viene
delegata al compimento dell’atto oltre che alla sua direzione.
Questa ipotesi non è contemplata dal codice di rito. La dottrina
offre un’ulteriore chiave di lettura. La non delegabilità
dell’accertamento tecnico non ripetibile non coinvolge il rilievo
tecnico che, al contrario, può essere delegato pur evadendo ogni
regime garantistico. Si collocano quelle decisioni che hanno
ritenuto legittime sia la delega che l’iniziativa della pg in relazione
ad attività costituenti descrizione oggettiva e statica di una
determinata cosa, non costituente, cioè, né esperimento
giudiziale e neppure perizia o accertamento tecnico irripetibile.
Ancora una volta, la tenuta delle garanzie difensive dipende dalla
distinzione concettuale tra rilievo ed accertamento. Non avendo
altro scopo che quello di determinare il pubblico ministero, le
attività delegate alla pg non sono comprese tra quelle alle quali il
difensore e l’indagato hanno diritto di assistere. Secondo la stessa
giurisprudenza, i semplici rilievi tecnici se espletati dalla polizia
motu proprio ricadono sotto la regola dell’art. 356, con la
connessa tutela del diritto di difesa, laddove, se eseguiti su delega
del pm, non sono soggetti alla medesima garanzia. Dunque: i
diritti di difesa nel caso di attività delegata non possono tout
court essere mutati, estensivamente, dalla disposizione dell’art.
365, che si applica nei soli casi di attività ad iniziativa, ma
discendono dall’espressa disciplina di cui all’art. 370, co. 2, che ne
impone l’osservanza delle norme di cui agli artt. 364, 365 e 373.
L'azione adeguatrice della giurisprudenza: ammessi rilievi
irripetibili ed accertamenti
C'è un’interpretazione delle norme, tre sono gli indirizzi
prevalenti:
- Attraverso una lettura estensiva dell’art. 348, si è ritenuto
che tanto l’attività di rilevazione quanto quella di
accertamento, possano assurgere a prerogativa della pg in
ragione della più generale autonomia investigativa che le è
consentita per assicurare le fonti di prova, compiendo
eventualmente atti ed operazioni che richiedono specifiche
competenze tecniche (art. 348, co. 4).
Sono state considerate legittime le operazioni di estrazione dei
dati contenuti in un supporto informatico, in ragione della loro
natura di accertamento tecnico ripetibile. È da accogliere con
favore quella parte delle motivazioni in cui si dà per indubbia la
natura accertativa delle operazioni che vengono eseguite sui dati
digitali; molto meno condivisibile è la scelta della Suprema Corte
di considerarle irripetibili, anche se solo finalizzate alla clonazione
e quindi al mero congelamento dei dati stessi. È stato accolto con
favore la prassi invalsa di recente in alcune procure di provvedere
nelle forme dell’art. 360 instaurando il contraddittorio prima di
provvedere alle operazioni, onde costituire una prova utilizzabile
in dibattimento, al riparo da possibili censure fondate proprio
sulla non conformità della copia rispetto all’originale.
- La prevalente giurisprudenza di legittimità ammette il
compimento di rilievi di natura irripetibile fuori dai casi
dell’urgenza, riconoscendo il limite operativo ai soli
accertamenti, sulla scorta della tradizionale distinzione tra
rilievo ed accertamento sulla quale la giurisprudenza si è
ampiamente pronunciata.
Sono stati ritenuti legittimi i seguenti rilievi irripetibili:
- Il prelievo di DNA dalla persona indagata attraverso il sequestro
di oggetti contenuti residui organici alla stessa attribuibili;
- Il prelievo e la comparazione delle impronte prelevate con
quelle già in possesso della pg;
- Il prelievo, pur irripetibile, di frammenti di polvere da sparo,
prodromico all’effettuazione di accertamenti tecnici consistenti
nell’esame spettroscopico sulle particelle estratte e fissate dal
processo di metallizzazione (stub);
- L’attività di misurazione di molluschi, mediante calibro metallico
a scorsoio, che si risolvono in un’attività di lettura, raccolta e
conservazione di dati, seppur irripetibili. (non dirlo)
In tutti questi casi, trattandosi di rilievi e non di accertamenti, la
giurisprudenza ha escluso che debbano trovare applicazione le
garanzie difensive dell’art. 360. Sono stati legittimati i rilievi
irripetibili compiuti senza delega del pm.
Quali soluzioni in assenza di un intervento del legislatore?

Lo stato attuale: dopo l’intervento del pm, sulla scena del crimine
la pg è legittimata a compiere attività di natura tecnico-scientifica
nelle forme dei rilievi irripetibili (senza le garanzie del
contraddittorio) o degli accertamenti ripetibili, alle volte anche
per mezzo di una delega, oltre che degli accertamenti irripetibili
posti in essere ai sensi dell’art. 360 in qualità di consulente
tecnico al pm.
 Evidenti distonie con quanto il codice di rito prescrive;
 Lesioni sui diritti difensivi già ampiamente descritte;
 Rallentamenti ed inefficienze operative;
 La situazione d’incertezza in cui versano gli operatori
(investigatori, magistrati, difensori) che incide sul buon
andamento dei singoli processi ma, anche, sull’intero
sistema penale che genera tanta confusione normativa ed
operativa, orientamenti fortemente contrastanti ed
altalenanti.
 Una sovraesposizione della pg alla quale è assegnato un
compito ulteriore rispetto a quello tradizionale di organo
investigativo senza, in punto di diritto, avere un apparato di
norme che, oltre a garantire l’indagato, assicurino la ritualità
delle sue azioni attraverso il riconoscimento di
responsabilità, oneri, doveri ma anche diritti.
Nell’attesa di un intervento legislativo che ponga fine sia agli
equivoci operativi che alle rocambolesche soluzioni della
giurisprudenza e riconosca alla pg un nuovo ruolo investigativo
nel rispetto delle garanzie difensive, si cercano delle soluzioni
concretamente percorribili che non rappresentino una forzatura
del sistema. Sembrerebbe più corretto parlare di operazioni
tecniche. Può essere usata inglobando tanto i rilievi che gli
accertamenti e determinando un’atipicità di contenuti che ben si
presta alla condizione di indeterminatezza operativa nella quale
ci si trova ad intervenire. Si ritiene che la differenza nella
disciplina delle attività di sopralluogo giudiziario (rilievi o
accertamenti che siano) segua l’incedere fisiologico del percorso
lungo cui si snoda comunemente il sopralluogo: il distinguo va
fatto tra le attività tecnico-scientifiche compiute in condizioni di
periculum in mora, ossia in situazione di urgenza dettata dalla
labilità delle tracce da repertare, le attività tecnico-scientifiche
compiute in condizioni d’urgenza investigativa, che è la
condizione di urgenza dettata dalla necessità di dare immediato
corso alle indagini in seguito ad una valutazione specialistica
dell’investigatore ed infine ogni altra attività scientifica compiuta
al di fuori delle prime. Questa tripartizione corrisponde ai tre
diversi momenti di intervento tecnico degli organi di pg che, già
da molti anni, è stata accolta nei Paesi di common law. Le prime
due fanno riferimento al primo intervento e CSI, la terza è quella
destinata ad ottenere il risultato scientifico proveniente dalle
tracce repertate attraverso le analisi di laboratorio effettuate sui
reperti sotto la direzione del pm. È evidente che questa
tripartizione pone seri problemi di tenuta normativa. Non tanto
per la prima attività, che rientra a pieno titolo nell’art. 354,
quanto per la seconda che non troverebbe legittimazione
giuridica non rientrando nelle forme dell’art. 354 perché trattasi
di attività che vengono poste in essere dopo l’intervento del pm,
ma non dal suo consulente tecnico e non nelle forme dell’art.
360.
Al momento, forse la sola soluzione prospettabile è quella che si
giova del combinato disposto degli artt. 244 e 370, lì dove
consente una delega del pm alla pg nel compimento di rilievi
segnaletici, descrittivi e fotografici ed ogni altra operazione
tecnica in sede di ispezione.
Art. 244 – casi e forme dell’ispezione; un tempo, si diceva che
l’ispezione designa la ricerca visiva di un possibile segno, che si
tratta di un’osservazione della realtà, di un’osservazione diretta
ed immediata di essere umani, dei loro corpi, di oggetti o luoghi.
Dal secondo comma, si evince anche che l’ispezione è funzionale
alla ricerca di quanto non è visibile ad occhio nudo, di quanto
deve essere individuato prima ancora di essere osservato, di
quanto deve essere analizzato per comprendere se, in che modo
e quando è stato creato, modificato, lasciato. I rilievi e gli
interventi di carattere tecnico rimangono ispezioni se finalizzati
alla percezione e rilevazione di dati effettuati dagli operatori sulla
scena del crimine. Nel momento in cui tali dati richiedono una
particolare elaborazione e valutazione critica da effettuarsi in
laboratorio, troverà applicazione la disciplina degli accertamenti
tecnici non ripetibili di cui all’art. 360. In assenza di norme
adeguate, la delega dell’ispezione è la sola soluzione capace di
preservare comunque le garanzie difensive della persona
sottoposta alle indagini; quelle stesse garanzie previste per le
attività compiute ai sensi dell’art. 354. Quindi, l’obbligo di
redazione del verbale (art. 373), del suo deposito presso la
segreteria entro il terzo giorno successivo al compimento
dell’atto con la facoltà del difensore di prendere visione della
documentazione ed eventualmente estrarne copia (art. 366), ma
soprattutto di avvisare il difensore del diritto all’assistenza
difensiva con preventivo avviso almeno 24 ore prima (art. 364).
L’art. 5, l. 7.12.2000, n. 397, in tema di investigazione difensive,
attraverso l’inserimento dei commi 1 bis e 1 ter nell’art. 233, ha
esteso i poteri del consulente tecnico di parte oltre i casi in cui sia
stata disposta perizia; l’esperto può esaminare le cose
sequestrate, intervenire nelle ispezioni o esaminare l’oggetto
delle stesse quando non abbia potuto parteciparvi. L’intervento
del consulente tecnico nelle ispezioni assume contenuti diversi
dalla presenza del difensore. Perché si rivela molto più efficiente
sotto il profilo tecnico potendo effettuare un controllo delle
attività esperite, potendo fare considerazioni e richieste che
saranno contenute nel verbale, potendo infine acquisire degli
elementi informativi utili al successivo compimento delle sue
indagini.
Gli esperti dimostrano che il sopralluogo, per sua stessa natura, è
l’investigazione nella quale più frequentemente si commettono
errori che possono arrivare a compromettere l’accertamento dei
fatti. L’inquinamento della scena del reato, il cattivo uso degli
strumenti di repertazione e diagnosi delle tracce, i dubbi di
affidabilità delle nuove tecnologie applicate, rappresentano solo
alcuni dei tanti fattori che potenzialmente mettono in discussione
l’automaticità dei meccanismi acquisitivi delle relative
conoscenze amplificando la necessità che il sistema si doti di
strumenti atti a muovere ipotesi di falsificazione dei risultati
scientifici e dei loro mezzi di acquisizione.
Nella realtà il controllo difensivo è pressoché inattuabile. Perché:
- I diritti difensivi appena descritti si sono trasformati in una
vuota formula di stile perché la Cassazione, quasi
unanimamente, ne ha ridotto la mancata osservanza a mera
irregolarità;
- La sede giurisprudenziale nella quale far rilevare la presenza
di eventuali errori procedurali finisce per essere quella
dell’udienza preliminare (soprattutto nel caso si proceda con
rito abbreviato), del dibattimento, dell’appello e finanche
della cassazione, ma non l’udienza per la discussione del
riesame o per la discussione di ogni altra questione che
interessi la fase delle indagini preliminari.
Il primo momento utile per la discussione sulla correttezza delle
modalità con cui i reperti sono stati individuati, acquisiti e
sottoposti alla catena di custodia che li fa transitare dalla scena ai
laboratori e poi al processo, diventa il dibattimento. È lì che le
parti sono chiamate a discutere dell’attendibilità tecnico-
scientifica del reperto. Trattandosi di prove già formate perché
dotate del carattere dell’irripetibilità, e quindi precostituite
rispetto al momento di attuale del giudizio di ammissibilità, il
contraddittorio rappresenta nulla più che un controllo successivo
all’utilizzabilità degli elementi acquisiti e, in questa prospettiva,
poco efficace.
I protocolli operativi e le linee guida come garanzia di
qualità e parametro di controllo giurisdizionale
Tanto nel corso del primo intervento, quando l’O.P.I. è legittimato
a compiere rilievi ed accertamenti urgenti in assenza del pm e del
difensore dell’indagato, quanto nella fase del CSI in cui l’elevata
specializzazione degli esperti della pg sottrae i relativi interventi
alla direzione attenta del pm, si crea una sorta di isolamento
operativo che lascia la pg libertà di agire in piena autonomia, con
l’aggravante che il controllo sulla correttezza del suo operato è
spesso rinviato alla sede dibattimentale.
L’impiego di protocolli operativi nelle attività di processamento
della scena del crimine rappresenta uno dei pochi strumenti di cui
ci si può avvalere come garanzia per una buona qualità delle
indagini tecnico-scientifiche e come guida per il successivo
controllo giurisdizionale. Prima di tentare di capire cosa sia
questa nuova forma di codificazione del sapere investigativo e
quali i pregi e i difetti, si ritiene opportuno evidenziare la
crescente incidenza che sta avendo nel processo penale tanto da
arrivare a determinare le sorti delle vicende giudiziarie e
condizionare il legislatore nelle modalità di elaborazione delle
nuove norme dedicate alla materia.
Quanto al primo fattore, viene da pensare al noto e recente
processo di Perugia a carico di Amanda Knox e Raffaele Sollecito
in cui per la prima volta si affronta il tema dei protocolli operativi
d’intervento sulle tracce del reato.
Quanto al secondo fattore, si è già detto come le ultime riforme
legislative concernenti alcune attività investigative di natura
tecnico-scientifica sono dotate di un’attenta descrizione delle
singole operazioni cui è chiamata la pg, una sorta di codificazione
in miniatura di procedure operative standardizzate.
Oltre al recepimento in norma di una procedura operativa, il
legislatore assegna chiaramente ai protocolli standardizzati di
matrice europea il ruolo di garante dell’omogeneità del
trattamento. A partire dagli anni Novanta, in Italia questi nuovi
modelli formali di standardizzazione delle condotte decisionali si
sviluppano in campo medico dove, per un verso, la crescita e la
diffusione impetuosa e disordinata di informazioni prodotte dalla
ricerca e dal progresso scientifico, e dall’altro, la necessità di
ridurre il tasso di errore generato da tale stato di
disorientamento, hanno reso necessario il ricorso ad un’opera
ragionata di codificazione del sapere medico, costruita su
disposizioni e procedure che costituiscono garanzia di osservanza
di buona pratica clinica ed eventuale elemento di riscontro
dell’osservanza delle “regole dell’arte” che possa pervenire ad
una nozione il più possibile oggettiva di diligenza professionale. Il
metodo operativo che si ripropone di ridurre lo spazio lasciato
alle decisioni basate esclusivamente sull’aneddotica, sul consenso
del paziente e sulle opinioni personale, che va sotto il nome di
Evidence Based Medicine (EBM), ossia un tipo di medicina basata
sulle evidenze, che riconosce l’insufficienza dell’intuizione,
dell’esperienza clinica non sistematica e del ragionamento di tipo
fisiopatologico, ed enfatizza il processo di valutazione critica dei
risultati prodotti dalla ricerca clinica e pubblicati nella letteratura
internazionale.
Gli strumenti di codificazione del sapere medico:
- Le linee guida (o raccomandazioni), si tratta di
raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate
mediante un processo di revisione sistematica della
letteratura e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare
medici e pazienti a decidere le modalità assistenziali più
appropriate in specifiche situazioni cliniche. Conformano il
sapere del medico alla migliore scienza ed esperienza
codificata. Le linee guida sono regole e sono
necessariamente sovra-inclusive, perché ritagliate su
situazioni standard. Rivestono la forma di un decreto e sono
atti amministrativi. Più di recente, si stanno diffondendo le
linee guida emanate dalle comunità scientifiche; sono meno
ufficiali di queste precedenti, contengono per lo più
raccomandazioni incidenti sulla concreta pratica clinica e si
collocano a mezza via tra regole tipiche, direttive
deontologiche e prescrizioni giuridiche.
- I protocolli operativi e le check lists sono strumenti di
regolamentazione più stringenti delle linee guida (schemi
rigidi e predefiniti), rispetto alle quali hanno una portata più
specifica e dettagliata che li rende maggiormente aderenti
alla realtà operativa di riferimento. Recano un tasso di
individualizzazione superiore a quello delle linee guida e
sono mutevoli. I protocolli vanno applicati in modo tassativo,
senza possibilità di discostarsene se non a determinate
condizioni.
- Nel 2001 Pronovost elaborò una check list per prevenire
infezioni delle vie centrali, chiese all’amministrazione
dell’ospedale che fosse introdotta una regola che
autorizzasse gli infermieri a bloccare i medici, i quali non si
attenevano alle procedure.
I vantaggi insiti in questa duplice forma di procedurizzazione del
comportamento del medico sono:
- L’ottimizzazione della gestione della copiosa produzione
scientifica ad opera dell’operatore;
- Il miglioramento della qualità dell’operato clinico, riducendo
il tasso dell’errore medico, che viene indotto dal
ragionamento veloce ed intuitivo; oggettivizzare, perciò, il
sapere specialistico;
- L’uniformità del trattamento;
- La razionalizzazione delle risorse;
- L’efficienza del controllo ex post.
I difetti sono:
- La non neutralità della ricerca clinica, nonché della sua
validazione e divulgazione dei risultati, che si ripercuote a
cascata sulle linee guida;
- La scarsa concretizzazione rispetto al caso specifico e la
compressione dell’autonomia decisionale del singolo
operatore;
- La moltiplicazione dei documenti ad opera di providers
diversi, con conseguente smarrimento del singolo operatore;
- Le aspettative che i pazienti e gli stessi operatori si creano
sui risultati;
- L’eccessiva razionalizzazione della spesa sanitaria.
Le linee guida ed i protocolli finiscono per aver riflessi anche sulla
responsabilità penale e sulla colpa traducendosi in uno strumento
orientativo per il giudice, che può utilizzarle quale parametro
prestabilito di selezione della condotta doverosa del medico. La
violazione dei protocolli può dar vita ad ipotesi di colpa
procedurale o protocollare, o comunque di colpa specifica e che
la responsabilità penale per colpa grave del medico che si è
attenuto alle linee guida o ai protocolli può essere limitata
soltanto con riferimento ai casi di imperizia. Nel 1994, il processo
penale recepisce le linee guida per l’esame del minore in caso di
abuso sessuale, contenute nella Carta di Noto, che sono state
elaborate da una commissione di esperti quali suggerimenti
diretti a garantire l’attendibilità dei risultati degli accertamenti
tecnici e la genuinità delle dichiarazioni, assicurando nel
contempo al minore la protezione psicologica, la tutela dei suoi
diritti relazionali, nel rispetto dei principi costituzionali del giusto
processo. Venendo al problema dei protocolli d’intervento sulla
scena del crimine, molti sono i caratteri che accomunano lo
scenario operativo medico e quello investigativo di carattere
tecnico-scientifico:
- L’eterogeneità delle procedure e dei protocolli scientifici
adoperabili;
- La difficoltà e la complessità dello scenario entro cui
operare: la condizione psicologicamente stressante
determinata dall’evento criminoso, la velocità di esecuzione
dell’intervento, la presenza di errori cognitivi, legati al
difetto di percezione, di osservazione, di prospettiva, di
ragionamento; la scoperta di nuove situazioni; le condizioni
di lavoro sfavorevoli;
- Il coinvolgimento di un’equipe operativa composta da
personale con compiti diversi ma complementari, da
organizzare e coordinare;
- Il controllo ex post del singolo operato;
- Il bisogno di ottimizzazione delle risorse umane e strutturali.
In campo investigativo si ricorre tradizionalmente a protocolli
operativo SOPs, ossia Standard Operating Procedures o
Templates) e check lists. Questo per vari motivi:
- La natura modale e strumentale delle operazioni che si
eseguono sulle tracce del reato.
- La mancanza di organismi istituzionali deputati
all’elaborazione di linee guida e la presenza di molteplici
organi delle forze di polizia che si dotano di protocolli
operativi, ritagliandoli sulle proprie esigenze e
caratteristiche.
I pregi e i difetti di questi protocolli sono gli stessi di quelli già
elencati per l’ambito medico. Considerazioni più specifiche su
difetti. Intanto si assiste ad una sovraproduzione di protocolli
proveniente dalle forze di polizia italiane e di altri stati stranieri
oppure da organizzazioni scientifiche di settore nate nell’FBI e poi
estesa a livello internazionale. La proliferazione di questo
complesso di fonti operative rischia di tradursi i un fattore di
complicazione, piuttosto che di semplificazione ed
oggettivizzazione, delle prassi in ambito investigativo. Nonostante
i protocolli siano dotati di una dose maggiore di specificità nella
descrizione delle procedure rispetto alle linee guida, possono
comunque risentire della mancanza di un margine operativo di
individualizzazione che consenta alla singola procedura di
adattarsi al caso concreto. La necessità di ridurre la proliferazione
dei protocolli e tentare di adeguarli alle singole realtà
investigative si fa pressante. Di qui, la complessa opera di
regolamentazione in corso presso il gruppo di lavoro della scena
del crimine dell’ENFSI (European Network of Forsensic Sciences)
che ha il compito di elaborare delle procedure standardizzate
uniformi per tutti gli stati europei. Il processo di elaborazione è
lungo ed è composto da molte fasi di codificazione, che partono
dalla creazione di un Manuale di buona pratica, procedono
attraverso l’emanazione di SOPs ed arrivano alla creazione di
linee guida d’indirizzo. I protocolli operativi non sono certo regole
giuridiche. Non sono regolamentate dal codice di rito né da leggi
speciali o norme attuative, né da atti amministrativi. Sono, perciò,
privi di valore giuridico e questo porta a dire che il mancato
rispetto non determina l’inutilizzabilità dei relativi risultati o la
loro nullità. In assenza di regole, è ampio il potere discrezionale
del giudice tanto nell’individuazione della regola cautelare violata
quanto della sua incidenza sulla qualità probatoria del risultato.
Sta al giudice appurare l’autorevolezza della fonte e della
metodologia di formazione dei protocolli. La presenza di
protocolli non esenta il giudice dal valutarne il valore e la qualità.
Per contro, una cattiva applicazione dei protocolli non è detto che
porti il giudice a valutare negativamente il contenuto delle
indagini. È rimessa alla parte che intende avvalersi del risultato
investigativo viziato l’onere di dimostrare la sua qualità tecnico-
scientifica e l’irrilevanza dell’inadempimento operativo. In buona
sostanza, la violazione di uno dei passaggi che compongono i
protocolli o le check lists non determina automaticamente un
errore generativo di un risultato inaffidabile, ma fa insorgere il
rischio e segnala l’esistenza di un near miss, ossia un elemento
sentinella che sarebbe fuorviante ignorare. È proprio attraverso
l’analisi dei protocolli che il giudice riesce a recuperare un ruolo
critico nei confronti della prova di natura tecnica. Infatti, i
protocolli ridimensionano il ruolo dell’esperto potendo assegnare
al giudice un ampio spazio di autonomia nella valutazione sulla
violazione delle regole operative, sull’autorevolezza delle stesse,
ecc.
I disegni di legge
Una riforma legislativa sulle indagini di natura tecnico-scientifica
è stata più volte abbozzata, in tutt’uno con una rivisitazione
generale del codice di procedura penale, senza mai riuscire a
tramutarsi in realtà. Vanno ricordate: la bozza di delega
legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del
codice di procedura penale del 2004, elaborata dalla
Commissione Dalia, introducendo nel codice di rito la disciplina
delineata per i reati di competenza del giudice di pace che
consente alla polizia giudiziaria di richiedere al pubblico ministero
l’autorizzazione al compimento di accertamenti tecnici irripetibili
e lasciando inalterata la corrente disciplina degli accertamenti
urgenti sul luogo e nell’immediatezza del fatto, ivi compresa la
distribuzione tra accertamenti e rilievi e i relativi obblighi di
documentazione. La bozza di delega legislativa al Governo della
Repubblica per l’emanazione del codice di procedura penale del
2007, elaborata dalla Commissione Riccio, che alla direttiva n. 52
dell’art. 2 prevede il potere-dovere della polizia giudiziaria di
prendere notizia e di descrivere i fatti costituenti reato, di
assicurare le fonti di prova, anche per mezzo di investigazioni
scientifiche, e di impedire che i reati vengano portati ad ulteriori
conseguenze, precisando nella relativa relazione che la pg deve,
poi e conseguenzialmente, assicurare le fonti di prova, anche per
mezzo di investigazioni scientifiche. Il riferimento
all’investigazione scientifica, quale riconoscimento di questa
specifica attività e della sua autonomia nell’ambito delle prime
indagini, colma un vuoto rappresentato dalla stessa polizia
scientifica in sede di audizione (p.67).
Nel 2009, il disegno di legge Alfano s’impone la finalità di ridurre
sensibilmente i poteri del pubblico ministero, a favore di un
potenziamento dell’iniziativa della polizia giudiziaria. Volendo
attribuire alla polizia giudiziaria il potere-dovere di prendere di
propria iniziativa e ricevere le notizia di reato e riservando al
pubblico ministero la sola funzione di ricevere le notizie di reato
presentate o trasmesse. Presenta una valorizzazione della
professionalità della polizia giudiziaria nella previsione che il
pubblico ministero debba affidare le investigazioni tecnico-
scientifiche, ai servizi di investigazione scientifica istituiti presso i
servizi centrali e territoriali di polizia giudiziaria. Prevede l’innesto
dell’art. 370 bis, posto sotto il titolo “Indagini tecnico
scientifiche”, ove si prevede che il pubblico ministero possa
delegare l’esecuzione di indagini e accertamenti tecnico-
scientifici ai servizi di investigazione scientifica istituiti presso i
servizi centrali e territoriali di polizia giudiziaria (co. 1); la norma,
al secondo comma, richiama le garanzie dell’art. 360 nel caso in
cui tali accertamenti comportino una modifica irreversibile dello
stato dei luoghi o delle cose.
Le consulenze tecniche tra accertamenti irripetibili e
incidente probatorio
Accertamenti tecnici irripetibili e incidente probatorio:
tratti distintivi e premesse sistematiche
L’accertamento tecnico irripetibile e l’incidente probatorio
risultano simili ma profondamente differenti. (differenza
accertamento e incidente).
L’accertamento tecnico non ripetibile costituisce uno strumento
a disposizione di pubblico ministero e soggetti privati (indagato e
persona offesa) qualora gli accertamenti disciplinati dall’art. 359
attengano a persona, cose o luoghi il cui stato è soggetto a
modificazione (art. 360, co. 1); allo stesso modo l’incidente
probatorio costituisce il veicolo per effettuare una perizia
durante le indagini preliminari e l’udienza preliminare in
situazioni di non rinviabilità e ha quale presupposto oggettivo la
necessità di svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che
richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o
artistiche (art. 220, co. 1). Pur nel doveroso spazio riservato agli
esperti, non può comunque essere elusivo del ruolo del giudice
qual garante dalla procedura per valorizzare il contraddittorio
tecnico, il quale al cospetto della scienza assume il ruolo di
consumatore informato di leggi scientifiche. I due istituti si
caratterizzano per un’ontologica differenza proprio per la
presenza o meno del giudice e dalla diversa qualità del
contraddittorio tecnico. Approccio nuovo è dettato dalle linee
guida offerte dal codice vigente che assicura la tutela dei diritti
delle parti rispetto alle perizie, differentemente dall’onniscienza
del giudice del codice Rosso ove il perito svolgeva la perizia in
segreto e non era nota la legge scientifica utilizzata dal tecnico
che veniva considerata infallibile. Attualmente il ruolo delle parti
nella prospettazione della ricostruzione si è rafforzato: la loro
possibilità di poter contraddire efficacemente assume un ruolo
fondamentale, tanto più in un sistema processuale che ha
sposato un canone valutativo teso a valorizzare nella prova della
colpevolezza il canone dell’oltre il ragionevole dubbio, cioè a dire
la prevalenza di una tesi rispetto ad un’altra ogni qualvolta
quest’ultima si ponga come ragionevolmente inaccettabile.
L'ipotesi tradizionale: gli accertamenti tecnici non ripetibili
compiuti dal pm
Il pubblico ministero dispone di due tipologie di accertamenti
tecnici: quelli previsti dall’art. 359 e quelli non ripetibili
disciplinati dall’art. 360 ed infine il prelievo coattivo di campioni
biologici regolamentato dall’art. 359 bis di recente introduzione a
seguito della ratifica da parte dell’Italia, mediante l. 30.6.2009, n.
85, del Trattato di Prum.
Art. 359 – consulenti tecnici del pubblico ministero: La consulenza
tecnica prevista dall’art. 359 – il più complesso istituto degli
accertamenti tecnici non ripetibili – costituisce lo strumento a
disposizione del pm ogni qualvolta debba procedere ad
operazioni tecniche ove siano necessarie specifiche competenze.
Art. 233 – consulenza tecnica fuori dai casi di perizia:
eterogeneità si riscontra, al contrario, sul piano funzionale, in
quanto nell’ottica del giudice l’esperto nominato per gli
accertamenti ex art. 359 svolge una funzione consultiva rispetto
al consulente che – nel corso del processo – deve eventualmente
resocontare accertamenti non più ripetibile le cui risultanze sono
entrate ai sensi dell’art. 431, co. 1, lett. c), nello scibile
processuale, la cui ulteriore ed eventuale attività è esplicativa di
un atto che rimane confinato all’endoprocessualità delle indagini.
La scarna disciplina dell’art. 359 viene completata con quella
prevista per gli accertamenti tecnici non ripetibili del pm che si
pone quale suo ideale prolungamento nelle ipotesi in cui questi
proceda ad accertamenti, rilievi ed a tutte le operazioni tecniche
in cui sono necessarie delle competenze specifiche. La non
ripetibilità non costituisce l’unico elemento distintivo tra gli artt.
359 e 360, infatti, mentre nell’ipotesi prevista dalla prima norma,
il ricorso ai consulenti è facoltativo, nella seconda, è obbligatorio.
Il secondo istituto restringe la sua portata ai soli accertamenti,
escludendo i rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici, i quali, non
richiedendo alcuna attività di elaborazione critica, possono
tranquillamente essere compiuti da persona idonee.
Art. 360 – accertamenti non ripetibili: l’istituto, impone al pm
l’avviso, senza ritardo, agli interessati (indagato, difensore e
persona offesa) del giorno, dell’ora e del luogo in cui verrà
conferito l’incarico al consulente onde consentire loro di
interloquire in ordine al tema di indagine assegnato e anche per
instaurare il contraddittorio tecnico mediante la nomina di propri
consulenti. Il co. 2, richiamando l’operatività dell’art. 364, co. 2,
prevede la nomina del difensore di ufficio all’indagato che sia
privo di difensore salva la facoltà di nominarne uno di fiducia.
Art. 364 – nomina e assistenza del difensore: difensori e
consulenti nominati hanno diritto di assistere al conferimento
dell’incarico e agli accertamenti con possibilità di formulare
osservazioni e riserve. La riserva di promuovere incidente
probatorio è quella che crea maggiori problemi interpretativi in
quanto non sono ancora chiari i limiti insiti in una formulazione
della disposizione che, accanto ad un potere di veto nei confronti
del pm, vi è anche il successivo obbligo di attivarsi con la richiesta
di incidente probatorio che, in mancanza, dovrebbe essere
formulata dal pm. Il co. 5 illustra le conseguenze, sul piano
dell’utilizzabilità della decisione del pm di procedere ugualmente
nell’accertamento tecnico nonostante la riserva formulata
dall’indagato.
Art. 360 – accertamenti tecnici non ripetibili: non pare che ponga
problemi il fatto che il potere di opporre il veto all’accertamento
tecnico irripetibile non sia consentito alla persona offesa in
quanto mediante questo incidente probatorio derivato si
assicurerebbe un potere che non è previsto per il portatore di
interessi civilistici dato che l’art. 394 consente solo un potere di
impulso al pm.
Verso l’effettiva parità delle parti: gli accertamenti tecnici
non ripetibili compiuti da soggetti privati. Una grande
conquista con dei limiti concreti
Le difficoltà interpretative di un istituto problematico qual è
quello degli accertamenti tecnici irripetibili si intensificano in
riferimento all’opportunità dettata dal legislatore di estenderla
anche ai soggetti privati nel contesto della più ampia disciplina
delle investigazioni difensive.
L’art. 391 decies, introdotto dall’art. 11, l. 397/2000, prevede in
relazione all’utilizzazione della documentazione delle
investigazioni difensive una scarna disciplina che pone non pochi
interrogativi all’interprete perché non risulta automatico
mutuare la parallela normativa prevista dall’art. 360 per il
pubblico ministero a causa dell’ontologica diversità della parte
pubblica rispetto ai soggetti privati e per le incrostazioni
inquisitorie che non mancano di caratterizzare la piena
espansione dell’istituto secondo quelle che erano le linee guida
che l’hanno ispirata. Le investigazioni della difesa, nel contesto
della l. 397/2000, sono inserite in un articolo che ne evidenzia
immediatamente le difficoltà sul piano della spendibilità
probatoria. Pur con i limiti operativi, il fatto stesso di prevedere la
possibilità per la difesa di compiere atti destinati a divenire prova,
costituisce la grande svolta e crea l’illusione della possibilità di
realizzare un giudizio in linea con i parametri del giusto processo.
Attengono alla regolamentazione dell’accesso ai luoghi pubblici
(art. 391 sexies), privati o comunque non aperti al pubblico (art.
391 septies), per prendere visione dello stato dei luoghi e delle
cose ovvero per procedere alla loro descrizione o per eseguire
rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi che
molto spesso costituisce l’attività ancillare agli accertamenti
tecnici quale conseguenza della necessità di operare una
valutazione tecnica su res individuate con l’attività anzidetta. Il
co. 2 dell’art. 391 decies attiene agli accertamenti tecnici non
connotati da quella irripetibilità che costituisce il presupposto per
la predisposizione di una serie di garanzie per tutelare i soggetti
processuali al fine della realizzazione di un contraddittorio nella
formazione della prova in una fase embrionale del processo, ma
che, se non effettuato degraderebbe solo a contraddittorio sulla
prova.
Art. 391 decies – utilizzazione della documentazione delle
investigazioni difensive: al pubblico ministero è consentito
intervenire con una differenziazione a seconda che si tratti di
meri atti non ripetibili o di accertamenti. Nel primo caso, come si
evince dal co. 3 dell’art. 391 decies, il difensore deve avvisarlo
senza ritardo affinché possa esercitare le facoltà previste dalla
legge; invece, nel caso di atti non ripetibili che non siano
accertamenti tecnici, il pm ha facoltà di assistervi. Nonostante il
Regolamento di comportamento del penalista si premuri che
difensore e sostituto che intendono effettuare accertamenti
tecnici non ripetibili diano avviso senza ritardo a tutti coloro nei
confronti dei quali l’atto può avere effetto e dei quali si abbia
conoscenza (art. 15). Alcuni studiosi hanno sottolineato come la
circostanza che gran parte degli atti in esame si svolga in
occasione dell’accesso ai luoghi pubblici o aperti al pubblico, non
precluda la possibilità per gli altri soggetti di assistervi ovvero di
compiere lo stesso atto in immediata successione temporale.
Questa teoria deve scontare una serie di limiti di carattere pratico
e metodologico. Quanto ai primi, diverrebbe una vera e propria
caccia al tesoro individuare luogo, giorno e ora in cui
l’accertamento si svolge. L’unica salvaguardia prevista per le altre
parti è il deposito dell’atto nel fascicolo del pm; però, non
essendo previsto alcun avviso di deposito ai sensi dell’art. 366
cpp dell’accertamento tecnico compiuto, gli altri soggetti ne
verranno a conoscenza solo con la discovery degli atti di indagine
in occasione della richiesta di archiviazione, dell’avviso di
conclusione delle indagini o nei procedimenti incidentali, quali la
richiesta di incidente probatorio o quelli aventi ad oggetto un
sequestro probatorio o l’applicazione di una cautela personale o
reale. L’apparente parallelismo tra l’accertamento ex art. 360 e
quello disciplinato dall’art. 391 decies, trova un altro punto di
frizione nella mancanza di norme volte a disciplinare la nomina
del consulente della difesa nell’ipotesi in cui l’accertamento
venga compiuto dai soggetti privati. La mancanza
dell’imposizione di un obbligo di verità costituisce un altro
aspetto legato alla necessità per il consulente di comprovare
determinate attitudini che si riflettono sulla prova e che potrebbe
attenuare la predetta lacuna. La norma appare lacunosa su alcuni
aspetti. Ci si è domandati se le dinamiche di instaurazione
dell’accertamento tecnico nella parte in cui richiedono l’avviso al
pm, possano far pensare ad una volontà di cedere la direzione
dell’operazione al titolare delle indagini per le varie ragioni.
Riteniamo di dover dissentire da una simile interpretazione che
svuoterebbe di significato la stessa disciplina delle investigazioni
difensive. Superata l’empasse interpretativa sulla gestione in
capo al difensore dell’accertamento tecnico, occorre affrontare
altre due questioni: quella della riserva di formulare l’incidente
probatorio da parte del pm e quella della possibilità concorrente
di questi o degli altri soggetti di effettuare essi stessi un
accertamento tecnico.
Il pubblico ministero, così come il difensore nel contesto
dell’accertamento tecnico ex art. 360, può opporre il diritto di
veto, vale a dire paralizzare la richiesta dell’istante riservandosi di
procedere con l’incidente probatorio che garantisce
maggiormente il contraddittorio. A fronte della riserva formulata,
la parte che intende procedere all’accertamento può egualmente
compierlo se ritiene che l’atto non sia differibile, semmai con
conseguenza sul piano dell’utilizzabilità processuale. Ora il nodo
da sciogliere è quello della possibilità per il difensore di superare
il veto posto dalla parte pubblica in presenza dei presupposti per
ritardare l’atto al fine di compierlo nelle forme dell’incidente
probatorio. Da un lato è opportuno chiedersi perché non possa
essere possibile per il difensore procedere ugualmente
nonostante la riserva formulata dal pm; dall’altro lato, occorre
sempre considerare che siamo al cospetto di un atto che
cristallizzerà i risultati senza possibilità di coglierne altri, per cui la
garanzia che la decisione avvenga ad opera di una parte privata
potrebbe far nutrire quale perplessità.
Art. 400 – provvedimenti per i casi di urgenza: il secondo aspetto
da affrontare è quello legato all’eventualità che le parti decidano
di attivarsi per effettuare un accertamento tecnico non ripetibile
avente lo stesso oggetto. Qui si deve necessariamente ricorrere
ad un regime di authority volto a determinare il soggetto che per
primo dovrà effettuarlo, con la prospettiva di risolvere la
questione ricorrendo all’incidente probatorio nella forma previste
dall’art. 400.

Le dinamiche. Un modello incompiuto per garantire un


contraddittorio pieno
Le peculiarità degli accertamenti tecnici non ripetibili hanno
imposto la predisposizione da parte del legislatore di una serie di
GARANZIE al fine di consentire l’effettività del contraddittorio
soprattutto in ragione del valore probatorio che assumono e
dell’invalidità che colpisce gli accertamenti compiuti senza
l’osservanza delle garanzie previse. Il codice prevede una
disciplina molto articolata che si prefigge lo scopo di consentire la
concreta partecipazione delle parti ad un atto irreversibile. Certo,
non può trascurarsi che l’accertamento tecnico non ripetibile
costituisce una modalità atipica di assunzione della prova in
quanto avviene nel corso delle indagini preliminari e in assenza
del giudice (atto a contraddittorio imperfetto), il che non trova
eguali in altri istituti e giustifica l’adozione di dinamiche
particolari. La garanzia giurisdizionale può essere recuperata
mediante la riserva di promuovere l’incidente probatorio; ne
consegue che mancando il ricorso a questa forma in condizioni di
parità, davanti a giudice terzo ed imparziale, la garanzia non può
dirsi violata. Ogni qualvolta il pubblico ministero – o, nell’ipotesi
delle investigazioni difensive il difensore – intenda procedere
all’accertamento tecnico irripetibile deve provvedere ad avvisare
gli altri soggetti del giorno, dell’ora e del luogo fissati per il
conferimento dell’incarico e della facoltà di nominare consulenti
tecnici (art. 360, co. 1). L’avviso si prefigge di rendere edotti i
soggetti interessati dell’atto che sta per essere compiuto e della
possibilità di partecipare al contraddittorio tecnico mediante la
presenza al conferimento dell’incarico e conoscere l’oggetto della
consulenza e conseguentemente godere della possibilità di poter
interloquire con il consulente mediante la nomina di esperti che
possono partecipare agli accertamenti stessi. Anomalie strutturali
che si riflettono sul diritto di difesa. Il co. 3 dell’art. 360 esclude
dalla partecipazione all’accertamento l’indagato e la persona
offesa. Una lettura ragionata del parallelo art. 391 decies, co. 3,
pare escludere lo stesso pm nelle ipotesi di accertamento
effettuato mediante le investigazioni difensive in quanto la norma
autorizza il pm ad assistervi per gli altri casi di atti non ripetibili di
cui al co. 2 escludendo proprio l’ipotesi dell’accertamento
tecnico.
Un altro aspetto che desta non poche perplessità è legato alla
mancata previsione della determinazione dell’oggetto
dell’accertamento. La norma omette di determinare se debba
essere indicato l’oggetto dell’accertamento, il che rende vacua la
possibilità per le parti di nominare propri consulenti tecnici. Pur
riconoscendo che l’accertamento tecnico irripetibile può svolgersi
per tutta la fase delle indagini – non può trascurarsi che il
pubblico ministero procede ex art. 360 solitamente nella loro fase
primigenia, laddove l’apporto tecnico in un contesto di urgenza
ha anche il precipuo scopo di offrire una decisa rotta agli
inquirenti. Il tenore del co. 3 dell’art. 360 prevede che difensori e
consulenti tecnici abbiano diritto di assistere al conferimento
dell’incarico, di partecipare agli accertamenti e di formulare
osservazioni e riserve. Chiarire il significato da attribuire al verbo
“assistere” ed in particolare se poterlo ritenere quale prologo al
successivo diritto di formulare osservazioni e riserve. Se lo si
intende come attività di osservazioni passiva, volta sul piano
processuale a verificare la regolarità del compimento degli atti, è
ovvio che la conoscenza a priori dell’oggetto dell’accertamento
non produce effetti sul piano del diritto di difesa; ma se, al
contrario, l’accertamento tecnico è da assimilarsi per analogia
alla perizia, il termine assistenza è da legarsi in termini più ampi.
L’art. 226, co. 2, prevede un contraddittorio nella formulazione
dei quesiti.
Art. 226 – conferimento dell’incarico: quanto agli avvisi, a fronte
di una norma che impone di avvisare “senza ritardo” gli altri
soggetti interessati, viene lasciata ampia libertà nella
determinazione delle forme con cui provvedere all’instaurazione
del contraddittorio a ritenere legittimo qualsiasi mezzo idoneo a
portare a conoscenza il destinatario dell’avviso e metterlo in
condizioni di apprestare la propria difesa compatibilmente con i
tempi stretti con cui deve svolgersi l’atto. Nessun problema
interpretativo pare possa sorgere in riferimento all’avviso al pm
da parte del difensore che intenda procedere agli accertamenti ai
sensi dell’art. 391 decies, co. 3, in quanto l’utilizzo del medesimo
termine previsto per l’atto compiuto dal pm svincola da forme
determinate in ragione del raggiungimento dello scopo; anzi la
più semplice localizzazione del pm dovrebbe rendere più agevole
l’avviso mediante deposito presso la segreteria come prevede
l’art. 153, ovvero, data la celerità con la quale è necessario
effettuare l’avviso eventualmente con richiesta della conferma di
avvenuta ricezione.
Questione più complessa è quella relativa all’individuazione del
momento in cui si attualizza per il pubblico ministero l’obbligo di
emissione dell’avviso. Possono verificarsi situazioni in cui la
persona indagata non sia stata ancora individuata, anzi a volte è
l’accertamento tecnico ad indirizzare le indagini in una certa
direzione e nei confronti di determinate persone. Ovviamente in
questi casi a carico del pm non sorge alcun obbligo di avviso. Il
problema potrebbe superarsi utilizzando una figura professionale
nuova, quella del consulente difensivo a futura memoria che
indossi le vesti di discussant per assicurare quel contraddittorio
che, in mancanza di difensore e consulenti di un indagato non
ancora individuato o identificato, eviti, l’automatico
incanalamento verso una determinata ed irreversibile pista
investigativa, consentendo in tal modo il rispetto del principio di
completezza delle indagini previsto dall’art. 358.
Art. 358 – attività d’indagine del pubblico ministero: l’obbligo
dell’avviso si contestualizza nel momento in cui viene redatto il
provvedimento che dispone l’accertamento.
Nonostante il legislatore si sia premurato di stabilire le modalità
di instaurazione del contraddittorio, della formulazione di riserva
di promuovere l’incidente probatorio e dell’utilizzabilità dei
risultati degli accertamenti, ha invece trascurato di dettare
un’apposita disciplina relativa al conferimento dell’incarico.
Proprio da questa lacuna emergono una serie di perplessità. La
maggioranza degli autori ritiene estensibile all’istituto degli
accertamenti non ripetibili l’intera normativa prevista per la
perizia e quindi anche quella in tema di astensione, ricusazione e
sostituzione del consulente (artt. 223 e 231), di regole per il
conferimento dell’incarico e per la formulazione dei quesiti (art.
226); di nullità degli accertamenti tecnici (art. 222). Inerente
all’unilateralità dell’incarico ed è il poco spazio alle iniziative di
coloro che subiscono l’accertamento, senza che possano
interloquire con un soggetto terzo ed imparziale quale il giudice.
Pertanto, risulta preferibile ritenere che solo parzialmente si
possa attingere alla disciplina prevista dagli artt. 220 ss.
Un meccanismo di riequilibrio a favore dell’indagato è
rappresentato dalla riserva di incidente probatorio che crea una
serie di problemi interpretativi, soprattutto in funzione della
mancanza dell’obbligo successivo di attivarsi nelle forme di cui
all’art. 392 ss. La possibilità in capo all’indagato di opporsi
all’accertamento configura, in caso di mancato esercizio della
facoltà prevista dal co. 4, un’adesione alla scelta del pm
indipendentemente dalla sussistenza del requisito
dell’indifferibilità, e quindi i risultati saranno legittimamente
utilizzati dal giudice di merito per la decisione. Ciò, però, non
equivale a condividere anche la valutazione sui contenuti e sui
risultati dell’accertamento. È stato offerto un diverso peso alla
erronea supposizione del pm circa la non rinviabilità dell’atto in
relazione alla formulazione della riserva di promuovere
l’incidente probatorio:
- in caso positivo (e cioè che, nonostante il veto espresso, il
pm abbia ugualmente proceduto nell’accertamento) i
risultati dell’accertamento sarebbero totalmente
inutilizzabili, quindi non allegabili al fascicolo del
dibattimento;
- in caso negativo (vale a dire quando l’indagato abbia aderito
alla scelta del pm) sorge l’impossibilità di acquisire al
fascicolo del dibattimento i risultati dell’accertamento,
nonostante la possibilità di recuperarli mediante l’esame del
consulente o, dopo il suo esame, mediante lettura.
Il decreto motivato del pm che, nonostante la riserva di incidente
probatorio, decida ugualmente di procedere non è impugnabile.
A fronte di una riserva non sciolta da parte dell’indagato, il pm
potrà procedere ugualmente nell’accertamento specificando la
sussistenza dei presupposti legittimanti l’accertamento,
accollandosi il rischio che questi non vengano giudicati allo stesso
modo, oppure attivandosi egli stesso con la richiesta di incidente
probatorio. Non avendo previsto il legislatore un termine affinché
l’opponente instauri l’incidente probatorio, l’istituto si presta a
forme di abuso. Ciò rileva che il legislatore nel prevedere il potere
di veto dà contezza della convinzione dell’inadeguatezza
dell’accertamento tecnico non ripetibile quale strumento di
gestione di un dato tecnico destinato a divenire elemento di
giudizio decisivo ex art. 526.
La soluzione, volta a superare queste problematiche
interpretative, potrebbe essere quella di intervenire sulla norma,
stabilendo un termine breve affinché l’indagato sciolga la riserva
e decida se promuovere o meno l’incidente probatorio.
Un’ulteriore questione che nella prassi potrebbe verificarsi, è
legata alla concorrente richiesta di incidente probatorio da parte
dell’indagato e di accertamento tecnico non ripetibile da parte
del pm. In questa situazione il tenore della norma consente di
ritenere soddisfatto il potere di veto che opera prima del
conferimento dell’incarico, ma senza che il legislatore abbia
specificato se esercitabile o meno solo a seguito dell’avviso
formulato ai sensi del co. 1 dell’art. 360. L’atto del pm potrà
ritenersi utilizzabile solo se questi giustifichi la necessità di
procedere agli accertamenti. La par condicio tra accusa e difesa si
coglie proprio nel togliere l’esclusiva degli accertamenti tecnici
non ripetibili al pubblico ministero. Quest’inversione dei ruoli la si
coglie nel co. 3 dell’art. 391 decies secondo cui quando si tratta di
accertamenti tecnici non ripetibili, il difensore deve darne avviso,
senza ritardo, al pubblico ministero per l’esercizio delle facoltà
previste, in quanto compatibili, dall’art. 360.
Un regime probatorio caratterizzato da ‘’incrostazioni’’
inquisitorie
Le venature inquisitore che caratterizzano l’istituto degli
accertamenti tecnici non ripetibili impongono di non ricadere in
un’impostazione semplicistica tesa a ritenere che gli atti
contenuti ab origine nel fascicolo del dibattimento facciano
automaticamente ingresso nello sciabile processuale valutabile ai
fini della decisione. Sarebbero violati due fondamentali corollari
che stanno alla base del rito accusatorio: l’imprescindibile
controllo del giudice che ha da essere costante in tutti i passaggi
del procedimento probatorio e l’altrettanto inderogabile
contraddittorio sulla prova che costituisce il punto focale del
regime di utilizzabilità di un atto unilaterale che per la sua natura
è destinato ad avere importanza decisiva nel quadro probatorio.
Posto che il procedimento probatorio può dirsi contraddistinto
dalle seguenti fasi:
1. ammissione del mezzo di prova,
2. conseguente assunzione,
3. acquisizione della prova,
4. valutazione del quadro probatorio,
è ovvio che anche l’omissione delle prime due come nel caso
degli accertamenti ex art. 360, non implica automaticamente che
una prova possa ritenersi solo da valutare, mancando appunto il
controllo della legalità della stessa che dovrà avvenire nel rispetto
delle regole del contraddittorio. Il co. 3 dell’art. 493 attribuisce il
potere alle parti di concordare l’acquisizione al fascicolo per il
dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico
ministero, nonché della documentazione relativa all’attività di
investigazione difensiva. Lo stesso necessita di un ulteriore
passaggio affinché divenga utilizzabile secondo lo schema della
lettura.
Art. 190 – diritto alla prova: il giudice dovrà operare una
valutazione sulla sussistenza del requisito della non ripetibilità,
tale da consentire l’acquisizione ai materialia iudicii del verbale in
cui è cristallizzato l’accertamento tecnico rifuggendo erronei
convincimenti che tutto ciò che è agli atti è fonte decisoria;
occorre che il giudice valuti che si verta in ipotesi di irripetibilità
congenita, strutturale al mezzo di prova o in rapporto al mezzo di
prova rispetto al caso concreto. La valutazione che deve operare
il giudice al fine di poter procedere a lettura ai sensi dell’art. 511,
co. 1; è legato all’accertamento dell’entità della probabilità
iniziale che l’atto non potesse effettuarsi nuovamente e utilmente
nel corso del giudizio. Nel contempo, il giudice dovrà soffermarsi
sulle modalità di acquisizione del dato probatorio, accertando che
la forma documentativa sia rituale e che la validità dell’atto non
sia compromessa da vizi, tali da inficiare la genuinità delle
informazioni che ne scaturiscono.
Si può tentare di offrire una prima risposta tendente ad escludere
che l’eventuale vizio genetico di un atto possa essere superato
mediante l’escamotage di assumere la testimonianza dei soggetti
che operarono l’accertamento stesso. Sarebbe contrario a
ragionevolezza, nonché alla tutela di interessi processuali,
consentire questa possibilità per sanare un atto per sua natura
non ripetibile che ne vede svalutate le potenzialità dimostrative a
causa di un processo di ricostruzione fattuale non ortodosso.
D’altronde la Corte costituzionale ha previsto il divieto della
testimonianza indiretta degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria
sulle dichiarazioni ricevute dalle persone informate sui fatti con le
modalità di cui agli artt. 351 e 357, co. 2, lett. b) e al fine di
evitare che tali dichiarazioni possano surrettiziamente confluire
nel materiale probatorio utilizzabile in giudizio attraverso la
testimonianza sul loro contenuto resa da chi le ha raccolte
unilateralmente nel corso delle indagini preliminari; il che
risponde all’esigenza di evitare che possa essere introdotto come
prova in giudizio il contenuto di dichiarazioni consacrate in
verbali di cui è vietata l’acquisizione. Il profilo dell’inutilizzabilità
va affrontato anche in relazione agli accertamenti tecnici non
ripetibili poi ritenuti viziati per la mancanza del requisito in parola
o per un difetto e/o un’irregolarità nell’avviso.
È opportuno domandarsi se possa essere possibile un recupero
dell’accertamento tecnico irripetibile viziato da parte del giudice
mediante i poteri istruttori suppletivi previsti dall’art. 507. Va
sottolineato come ai fini della risoluzione del problema, sia
fondamentale ripercorrere i passaggi compiuti dalla Corte
costituzionale e dalle Sezioni unite nell’allargare e chiarire la
portata delle disposizioni appena ricordate, cercando un punto di
equilibrio in relazione ai possibili abusi che possono derivare da
un simile potere. La giurisprudenza costituzionale ha ritenuto di
ampliare i poterei di intervento del giudice nell’esigenza di
evitare disattivazioni dell’azione penale da parte di un pm che
non la coltivi con le necessarie richieste probatorie e, al
contempo, che lacune difensive pregiudichino il diritto di difesa.
Ed è inevitabile che, da un lato, si alimentano i timori di minare la
purezza di giudizio; dall’altro lato, i poteri giudiziali in punto di
prova tendono a salvaguardare la giurisdizione purificandola dai
vuoti e dai limiti che l’attività delle parti può evidenziare; che
tendano a completare il panorama probatorio offerto dalle parti
solo in ipotesi di assoluta necessità. Si ritiene che il giudice possa
recuperare, assumendo la relativa testimonianza del consulente
tecnico, un accertamento non ripetibile nullo, ma non di un
accertamento inutilizzabile, trattandosi di vizio che inficia
patologicamente il risultato dell’atto. Il discrimine sul quale si
gioca l’acquisizione dei risultati dell’accertamento tecnico al
materiale decisorio, dipende dall’obbiettiva non ripetibilità
dell’atto senza che alcun effetto sanante consegua dall’inerzia
dell’indagato (o del pm). È questo il dato che consente di ritenere
possibile la deroga al principio del contraddittorio nella
formazione della prova.
Una soluzione per offrire pienezza e qualità al
contraddittorio e consentire una completa espansione al
ruolo dei consulenti tecnici: verso il modulo dell’incidente
probatorio accelerato
L’istituto degli accertamenti tecnici non ripetibili – quale
strumento derogatorio alla formazione della prova in
dibattimento e avanti al giudice – parrebbe in stridente antitesi
con i pilastri del giusto processo e con i canoni di legalità fissati,
tanto da potersi parlare di una frattura con le ideologie e gli
standards probatori imposti dalla Costituzione.
Si suole ripetere che prima del dibattimento non v’è processo e
che le indagini servono, nella prospettiva dell’accusa, solo per le
determinazioni inerenti l’azione penale, mentre, nell’ottica della
difesa, per convincere il pm dell’inidoneità degli elementi
gnoseologici raccolti a sostenere l’accusa in giudizio, o, in
funzione profilattica, per le opzioni in ordine alle alternative
procedimentali offerte dall’ordinamento. L’accertamento tecnico
non ripetibile risente ancora delle incrostazioni inquisitorie
tipiche del precedente codice. Quello che emerge dalla lettura
della riforma del giusto processo è l’omologazione di un modello
di accertamento giudiziale che si fondi su un nuovo concetto di
prova; una prova in linea con i caratteri del processo
sovranazionale che tende a relegare ad ipotesi occhiutamente
circoscritte le deroghe al contraddittorio nella formazione della
prova. Regole del gioco che, oltre ad essere preventivamente
stabilite, devono essere osservate con scrupolo e che devono
essere chiare, nel senso di essere impermeabili alle manipolazioni
speculari degli antagonisti. Oggigiorno, invece, l’accertamento
tecnico non ripetibile costituisce ancora un terreno infido, ove
l’alto tasso di strategicità continua ad influenzare l’esito del
processo. Nell’intenzione del legislatore l’accertamento tecnico
non ripetibile si prefigge di evitare di ricorrere necessariamente
all’incidente probatorio in ipotesi di perizie molto frequenti nella
pratica, solitamente facili e brevi, ma non dilazionabili al
dibattimento. È altrettanto vero che occorre fare un po' di
chiarezza nella materia e ancorare l’utilizzo dell’istituto ad ipotesi
circoscritte, ove lo spazio per la discrezionalità sia limitato alla
stretto necessario. Spostare le ipotesi di accertamento tecnico
non ripetibile al solo requisito della non rinviabilità può apparire
la soluzione più idonea a delimitare l’utilizzo di un istituto che
non tende nemmeno ad assicurare il contraddittorio tecnico per
la limitatezza dei poteri attribuiti ai consulenti dell’antagonista.
Con questa soluzione il legislatore ha mantenuto in capo al pm (o
alla parte privata nel contesto delle investigazioni difensive) il
potere di dare o non dare il lasciapassare per l’incidente
probatorio, in relazione al fatto che di fronte ad un dato
potenzialmente volatilizzabile, il procedere neutralizza la
possibilità di ricorrere all’incidente probatorio. Se il problema è
quello di ripristinare le garanzie del fair trial coniugandole con la
necessità di operare con urgenza, è forse il caso di rovistare
all’interno del codice ove si può individuare uno strumento utile
proprio in queste ipotesi. Il codice di rito conosce la possibilità di
utilizzare l’istituto della perizia anche nella fase delle indagini
preliminari mediante l’incidente probatorio, le cui dinamiche si
mostrano non compatibili con la tempistica con la quale spesso è
richiesto di intervenire per tutelare situazioni di non rinviabilità.
Al proposito il legislatore ha previsto un modello più veloce di
incidente probatorio, disciplinato dall’art. 400. Nell’ipotesi in
esame, il contraddittorio preventivo verrebbe assicurato
mediante l’abbreviazione dei termini previsti per le deduzioni
sull’ammissibilità e sulla fondatezza della richiesta, sulla richiesta
di differimento e per la decisione del giudice che potrebbe
avvenire mediante l’utilizzo di forme di notificazione snelle come
prevede l’art. 150 in modo da circoscrivere il contraddittorio per
l’incidente probatorio e la conseguente decisione in un lasso
temporale brevissimo.
D’altronde la peculiarità prevista per l’incidente probatorio
accelerato non prevede un termine minimo da rispettare. Ma non
deve nemmeno accantonarsi la possibilità che la parte
antagonista possa rassegnare le proprie deduzioni direttamente
in udienza alla presenza del perito. Ciò renderebbe ancora più
fluida la fissazione dell’udienza e l’eventuale conferimento
dell’incarico al perito. Questo tentativo di superare le
problematiche tipiche di un istituto ad alto tasso di inquisitorietà,
consentirebbe di restituire centralità al contraddittorio per la
prova, limitando le ipotesi di contraddittorio sulla prova a casi
eccezionali che non coincidono con la maggior parte di quelli per
cui si utilizza l’istituto disciplinato dall’art. 360. Si otterrebbe il
desiderabile risultato di offrire qualità al contraddittorio tecnico
valorizzando il ruolo degli esperti.
L'errore tecnico-scientifico sulla scena del crimine
Una nuova dimensione dell’errore giudiziario
Sin dai tempi più antichi, i legislatori si sono impegnati a
predisporre rimedi contro le decisioni giudiziarie rivelatesi
manifestamente errate ed ingiuste. L’espressione errore
giudiziario è stata utilizzata per indicare gli errori di giudizio nei
quali si incorre nel corso della vicenda processuale o gli errori di
fatto e di diritto che hanno ricadute sull’oggetto
dell’accertamento penale portando ad una decisione diversa da
quella che si sarebbe raggiunta se l’errore non fosse stato
commesso. Si parla di errori causali, ad indicare un errore
determinate per l’esito della controversia. Si è escluso che
l’errore giudiziario sia identificabile solo con l’errore del giudice
penale perché ben può accadere che l’erroneità del risultato del
processo dipenda da elementi non causati da lui al momento
della valutazione delle prove ma da altri soggetti processuali con
il rischio di non essere facilmente individuabili né
nell’emanazione della decisione né attraverso i mezzi ordinari e
straordinari di impugnazione. Tutti gli errori identificati sono stati
individuati in seno al momento di acquisizione dibattimentale
delle prove, cioè collegati tutti alla falsità, erroneità o erronea
valutazione dei mezzi di prova e dei mezzi di ricerca della prova.
Quasi mai si è parlato di errore giudiziario a proposito dell’errore
investigativo, vale a dire dell’errore commesso dagli organi
deputati al compimento delle indagini preliminari (polizia
giudiziaria e pubblico ministero). Solo da poco è emersa una
nuova dimensione dell’errore giudiziario, quella dell’errore
investigativo di natura tecnico-scientifica commesso in seno alle
indagini esperite sulla scena del crimine. Il sistema pare aver
scoperto che gli sbagli commessi nella gestione delle tracce del
reato portino conseguenze deleterie per l’imputato, la vittima e
l’intera collettività. Sembra aver compreso, che le attività di
cristallizzazione, individuazione, repertamento e conservazione
delle tracce non sono mere applicazioni di operazioni meccaniche
ma sono forme di sapere scientifico che al pari di tutte le scienze
applicate al processo presentano un elevato margine di errore e
fallibilità. Anche in Italia si è scelto di trasferire nell’approccio
investigativo sulla scena del crimine il metodo scientifico, cioè la
rigorosa applicazione di conoscenze e metodologie proprie delle
diverse discipline esatte finalizzata sia all’acquisizione degli
elementi materiali del reato che all’adeguata ed armonica
interpretazione dei dati in essi contenuti.
Se sulla scena criminis entrano in campo le scienze non possono
non entrare anche gli errori che a queste sono irrimediabilmente
connessi. La prova scientifica presenta altri elevati margini di
rischio:
- La prassi scientifica ha una naturale tendenza all’errore;
- Le scienze giovani generano un’indeterminatezza con cui
fare i conti;
- La prassi e la metodologia di lavoro degli scienziati risente
delle componenti soggettive del loro operato;
- Esistono rischi di frode scientifica;
- Ci sono interessi e contraddizioni nel lavoro delle agenzie
regolamentatrici;
- Si è oramai acquisita la consapevolezza della non neutralità
della scienza rispetto ai valori.
Tutto questo entra nelle indagini condotte sulle tracce del reato.
A differenza dell’errore scientifico emergente in sede
dibattimentale, quello che si commette sulla scena del crimine
presenta alcuna peculiarità che lo rendono spesso invisibile agli
occhi dei protagonisti del processo:
- Appartiene ad un momento di esclusivo appannaggio degli
organi investigativi, privo altresì di regole operative che ne
riducono il margine di rischio;
- È lontano temporalmente da forme di controllo giudiziario;
- È orfano di rimedi esclusivi. È un errore, in altri termini, di
difficile rilevazione e rimozione.
L'errore sulla scena del crimine: un fenomeno allarmante
Al momento non esistono dati statistici che dimostrino il tasso di
errore commesso sulla scena del crimine. In America, dal 1980
sono stati condotti molti studi sulle cause di errore nei processi
penali esaminando le sentenze di appello in cui il condannato
aveva richiesto un esame del DNA a dimostrazione della propria
estraneità ai fatti (i DNA exoneration cases). Altri offrono un
panorama di riferimento molto vasto come quello condotto dal
Center of Public Integrity su 11.452 appelli discussi tra il 1970 e il
2002. Di questi, 2.012 (17.6%) hanno portato ad una riforma della
sentenza di condanna in primo grado sulla base del
riconoscimento di un errore causato dalla cattiva condotta
dell’accusa in seno alle indagini. Ancor più significativa è la ricerca
effettuata sulla cattiva condotta degli organi investigativi
dall’Innocence Project del 2010. Su 255 DNA exoneration cases,
solo 65 sono stati accolti dalla Corte d’appello, mentre i rimanenti
190 sono stati dichiarati inammissibili. Di quei 65, 34 sono stati
registrati (52%), mentre dei rimanenti 31, 19 hanno portato ad
una conferma della sentenza impugnata per ininfluenza
dell’errore eccepito (harmless error) e 12 hanno determinato una
ritrattazione completa del dibattimento per rilevanza dell’errore
(harmful error). In particolare, in 5 casi il condannato è stato
condannato nuovamente e in 7 casi si è giunti ad una sentenza di
assoluzione. Interessante è comprendere quale tipo di cattiva
condotta sia stata addebitata in questi 12 casi: 6 (38%)
coinvolgono la Brady violation (es: mancata presentazione di una
prova scientifica a discarico), 4 (24%) presentano il improper
argument, vale a dire un errore di illogicità delle inferenze
rispetto ai dati acquisiti, 1 solo caso mette in luce un errore legato
alla cattiva gestione delle tracce del reato sulla scelta del crimine.
Pare che buona parte degli errori commessi dalla polizia e dal
pubblico ministero nelle attività di sopralluogo sia
processualmente poco significativa.
La dimensione del fenomeno degli errori investigativi di
carattere tecnico-scientifico sulla scena del crimine è assai più
vasta di quanto possa risultare dalle statistiche sia perché in Italia
è molto difficile determinare il calcolo delle probabilità del
numero delle sentenze errate per l’inidoneità dei meccanismi
processuali apprestati per correggere gli errori giudiziari, sia
perché l’errore investigativo è molto più sommerso dell’errore
giudiziario che potrebbe emergere in dibattimento. Sebbene
statisticamente meno rilevante rispetto ad altri errori giudiziari
(come quelli commessi dal testimone oculare, dall’esperto in
dibattimento, dall’informatore di polizia), l’errore scientifico
condotto sulle tracce del reato segna definitivamente l’esito del
processo senza poter essere neutralizzato dal resto del contesto
probatorio. Rispetto agli altri errori giudiziari, lo sbaglio che può
essere commesso sulla scena del crimine non è solo deleterio per
la decisione e, quindi, per le sorti dell’imputato ma presenta una
dose maggiore di lesività perché si colloca nelle prime fasi
dell’accertamento penale: condiziona lo svolgimento delle attività
e delle decisioni tipiche della fase investigativa, indirizza sin da
subito le scelte del pubblico ministero, grava sulle determinazioni
inerenti l’adozione della misura cautelare, incide sulle decisioni
delle parti in ordine all’adozione dei riti alternativi, pesa infine
sull’istruzione dibattimentale quando i risultati delle attività
irripetibili compiute sulle tracce si trasformano in prove.
Le tipologie di errore
Le cause possono essere del tipo più vario. Volendole
ricomprendere in ampie categorie, vi sono quelle riconducibili al
gioco delle coincidenze, delle false apparenze o alla fatalità,
quelle legate ai vizi di natura strumentale, quelle collegate alla
condizione di fallibilità del metodo scientifico, quelle connesse al
comportamento umano e quelle riconducibili al sistema
processuale. Occorre precisare che dall’errore tecnico-scientifico
commesso sulla scena del crimine va tenuto distinto l’errore
scientifico commesso in laboratorio. La comunità internazionale
da molto tempo ha chiarito che le attività di sopralluogo
giudiziario esulano da quelle esercitate nei laboratori forensi: le
prime sono destinate all’individuazione, raccolta e conservazione
delle tracce, le seconde alla loro analisi. Le prime sono effettuate
sul campo dagli organi di polizia giudiziaria nel corso di una prima
fase, quella di primo intervento (first response) deputata alla
cristallizzazione del locus commissi delicti e al repertamento
urgente delle tracce labili per mani di agenti o ufficiali di pg non
aventi competenze specialistiche, e di una seconda fase, di
investigazione tecnico-scientifica (CSI), meno concitata della
prima e destinata alla raccolta delle tracce ritenute rilevanti ai fini
delle indagini attraverso i polivalenti interventi specialistici degli
esperti del sopralluogo (RIS, Polizia scientifica, ecc.).
In laboratorio, il tasso di errore è al momento meno elevato
rispetto a quello rinvenibile nelle attività di sopralluogo. Perché i
risultati scaturenti dalle analisi in laboratorio delle tracce di reato
diventano, anno dopo anno, sempre meno influenzabili dal
momento che le operazioni stanno acquisendo prevalentemente
natura meccanica e strumentale. Sono anche errori che è
abbastanza facile rilevare.
A proposito delle attività di sopralluogo, si ricordi invece che
l’accreditamento ISO/IEC 17020 è molto lontano dal trovare
compiuta realizzazione.
Errori in laboratorio: quelli più frequenti sono di tipo manuale,
commessi durante le fasi di preparazione del campione
(contaminazione), di tipo strumentale, sia sistematico (es:
imperfezione della strumentazione) che saltuario (es: sbalzo
elettrico), di tipo interpretativo, commessi quando il tecnico
ritiene attendibile un dato analitico borderline (es: tracce
biologiche esigue) in mancanza di standard interpretativi forniti
dalla comunità scientifica di riferimento atti a parametrare il
giudizio di un risultato scientifico equivoco, di tipo percettivo
ricollegabili alla difficoltà del tecnico di laboratorio di individuare
e mantenere inalterata una traccia presente su di un reperto che
è in corso di analisi (ricerca in doppio), di tipo percettivo-
diagnostico, legati alla difficoltà di distinguere gli elementi
caratteristici del reperto come i contrassegni di un bossolo o le
minuzie di un’impronta papillare. Sulla scena del crimine,
differentemente da un laboratorio di prova, il rischio di sbagliare
è molto più elevato.
Esistono errori di tipo inevitabile:
- alcuni attribuibili agli organi investigativi ma giustificati dalla
complessità delle attività ispettive che si compiono sul teatro
criminalistico a causa dell’alta variabilità degli scenari e delle
condizioni operative, della flessibilità nelle procedure, del
multi-impiego delle attrezzature e degli equipaggiamenti
non finalizzati ad un unico tipo di indagine.
- altri legati all’inquinamento fisiologico della scena criminis.
Esistono elementi non dipendenti né prevedibili dagli organi
delle indagini che alterano irrimediabilmente lo stato dei
luoghi e delle cose; si pensi alle condizioni metereologiche,
all’azione dolosa o negligente di parenti o amici della vittima,
intenti a ripulire la scena o sottrarre potenziali elementi di
prova, all’azione di alterazione della scena ad opera del reo e
dei suoi complici e all’azione dei curiosi che possono
inquinare i luoghi ed impadronirsi di oggetti.
Passando agli errori di natura manuale o strumentale, ci sono
fattori che mettono in discussione la correttezza dei meccanismi
di individuazione e repertazione delle tracce:
- Natura manuale: in Italia esistono delle check lists relative
alle attività di gestione delle singole prove fisiche o
biologiche rinvenibili sulla scena del crimine. Solo in un caso
il legislatore ha scelto di regolamentare in misura dettagliata
le attività tecniche di polizia giudiziaria. È l’ipotesi
contemplata nel secondo comma dell’art. 354 a proposito
delle investigazioni informatiche urgenti. Non essendo
elevate al rango di norme, le check lists non sono eguali per
tutte le forze di polizia, non hanno natura vincolante ma
precettiva e non sono dotate di una precisione descrittiva
che sarebbe invece tipica, in ordine crescente, dei protocolli
operativi (SOPs), dei manuali e, infine, delle linee-guida.
- Quanto agli errori di natura strumentale: si consideri
innanzitutto che oggi sul teatro criminalistico ci si avvale
dell’impiego dei più moderni strumenti di ricerca delle
tracce del reato per esaltare una traccia latente e fissarla nel
contesto spaziale. L’uso di polveri dattiloscopiche,
cianoacrilato, luminol e reattivi simili consentono, poi,
l’individuazione e l’estrapolazione dal substrato delle tracce
papillari ed ematiche latenti, mentre kit diagnostici
immunocromatografici offrono la possibilità di valutazioni on
site di tracce chimiche (stupefacenti, esplosivi, ecc.) ovvero
permettono la determinazione campale della natura e/o
della specie tassonomica di una macchia biologica prima del
successivo repertamento.
La campalizzazione della strumentazione trova la sua massima
espressione nella relazione di mezzi d trasporto dedicati, che
sempre più costituiscono dei veri e propri laboratori campali. Tali
mezzi, oltre a provvedere al supporto logistico ed al trasporto
degli equipaggiamenti e degli operatori, forniscono una base
d’appoggio per lo studio preliminare di schizzi di sangue e
traiettorie balistiche, per le diagnosi preliminari, per la
conservazione secondo catena di custodia dei reperti, nonché per
il collegamento alle Banche dati criminalistiche per i processi di
identificazione direttamente on site. Nell’ultimo decennio, la
tecnologia ha fatto progressi decisamente interessanti
immettendo sul mercato apparati sofisticati dedicati alla ripresa
degli spazi e, grazie a tecniche fotogrammetriche, anche di
misurarli. L’efficienza dell’ampia gamma di strumentazioni
impiegabili può essere inficiata sia da una cattiva manutenzione
che da un cattivo uso degli strumenti in dotazione delle forze di
polizia.
C’è un ultimo tipo di errore che interessa le attività di gestione
delle tracce di reato: è quello che viene commesso nei momenti
successivi al repertamento della traccia sino alla sua
presentazione come prova in dibattimento. Tecnicamente si parla
della catena di custodia per definire quel complesso di attività
materiali e documentali composte dall’impacchettamento del
reperto (packaging), sigillatura della busta o della scatola,
apposizione dell’etichetta identificativa (labelling), custodia
presso i laboratori per l’analisi, apertura della confezione,
chiusura della stessa dopo l’accertamento, eventuale riapertura
per ulteriore analisi, passaggio in altro laboratorio, deposito
presso l’ufficio corpo dei reati ed esibizione in dibattimento.
L'errore nel ragionamento logico
Classicamente il sopralluogo è stato indicato come un insieme di
procedure tese a cristallizzare lo scenario di un fatto-reato,
descriverne l’ambiente e costituire quello che Salvatore
Ottolenghi definiva il “ritratto parlato”, la base di qualsiasi altra
indagine di polizia giudiziaria per l’accertamento dei reati e la
ricerca dei rei. Col tempo, alle attività descrittive si sono aggiunte
quelle di ricerca, di esaltazione e di raccolta degli elementi
potenzialmente probanti. Solo di recente, e solo in alcune culture
giuridico-investigative del mondo occidentale, si è accolto un
modello di investigazione che applica il ragionamento logico alla
gestione dei segni rinvenibili sulla scena. Si tratta di un modello
estremamente dinamico che permette una triplica operazione
logica: investigare oltre l’evidenza dei segni, andando al di là
dell’ovvio; interpretare le tracce attribuendo un significato più
aderente al contesto in cui sono rinvenute e giudicare attraverso
inferenze logiche più attendibili. Metodo che vede applicata la
logica per formulare nuove ed aggiornate ipotesi di lavoro.
L’abduzione è il processo logico istintivo di formazione di ipotesi
esplicative. Suggerisce che qualcosa può essere e che quindi
probabilmente è. È il primo passo del ragionamento scientifico.
L’inferenza abduttiva è basata su una profonda analisi logica dei
segni. Si dovrebbe correttamente parlare di semeiotica del
sopralluogo come osservazione ed analisi di un fenomeno,
formulazione abduttiva di ipotesi e ricerca successiva degli
elementi in grado di completare l’inferenza.
Quindi il sopralluogo è oramai da intendersi come
l’interpretazione della realtà osservata attraverso l’esame
prospettico delle evidenze. Il sopralluogo diviene, quindi,
quell’insieme di operazioni analitiche aventi rigore scientifico tese
a ricercare, raccogliere e fissare tutti quegli elementi che per
valore ontologico e per disposizione spaziale costituiscono
elementi probatori utili all’individuazione degli autori ed alla
ricostruzione della dinamica dei fatti.
L’analisi di contesto rappresenta l’elemento fondamentale per
attribuire ad una traccia il titolo di prova. L’operatore del
sopralluogo è uno specialista della scena del crimine dotato di
capacità di osservazione, elevata e consolidata esperienza
supportata da una solida formazione nelle scienze forensi.
Ci sono errori fisiologici legati alla comprensibile difficoltà di
formulare ipotesi che trovino conferme nella realtà ma ci sono
anche errori che scaturiscono dall’incapacità dell’investigatore di
osservare e sviluppare il ragionamento logico. Parallelamente alla
spinta del mondo forense verso questo nuovo modo di intendere
il sopralluogo giudiziario, si stia assistendo a tentativi di selezione
del personale specializzato che punti sulla presenza di spiccate
capacità cognitive e di comprensione spaziale. I fattori personali
sono legati a componenti genetiche, a condizionamenti
ambientali, finanche al sistema nervoso, alle sue sinapsi,
all’attività elettrica dei neuroni e allo sviluppo della struttura del
cervello. I fattori funzionali determinano la capacità di localizzare
i suoni, riconoscere i colori, resistere agli odori, avere efficienza
nel metodo, ecc.
Ci sono studi che hanno cercato di elencare gli errori del
processo cognitivo raggruppandoli in 4 macro aree:
- errori precettivi (assunzioni ingiustificate, assolutismo,
relativismo, bias),
- errori procedurali (conclusioni ingannevoli, semplificazioni),
- errori di espressione (cattiva argomentazione, dichiarazioni
scritte incomplete, errore nell’individuazione dell’autorità
competente),
- errori di reazione (reazioni istintive, abbassamento del livello
di prova).
L'assenza di adeguati meccanismi di controllo
Più il sistema prende coscienza del rischio dell’errore più
s’impegna ad elaborare meccanismi tesi a prevenirlo o
rimuoverlo. Non a caso, il modello più qualificato a smascherare
la fallacia dell’accertamento è quello accusatorio proprio perché
concepito su di una verità giudiziale probabile e opinabile, quindi
suscettibile di errore. A questi meccanismi di controllo sfugge
l’errore commesso sulle tracce del reato. Naturalmente, non si
parla dell’errore sulle attività ripetibili.
Essendo atti ripetibili, per assumere valore di prova devono
essere ripetuti, appunto, in dibattimento nel contraddittorio tra
le parti. E non parliamo neanche degli accertamenti tecnici
irripetibili per i quali l’art. 360 offre precise garanzie partecipative
contemplando il diritto alla presenza del difensore e dei
consulenti tecnici nonché il diritto di promuovere riserva di
indicente probatorio in luogo dell’accertamento. L’operazione
tecnica è effettuata in assenza delle parti nonostante l’evidente
impossibilità di potere ripetere l’attività in contraddittorio con
queste. Questo meccanismo è tollerabile al cospetto di rilievi ed
accertamenti urgenti.
Il presupposto dell’urgenza e della modificabilità dei contesti
giustifica l’eccezione al principio del contraddittorio nella
formazione della prova e l’attenuazione di controlli sugli
eventuali errori. Da un lato, l’art. 357, co. 2, lett. e), contempla
l’obbligo di documentazione con specifico verbale delle
operazioni svolte; dall’altro, l’art. 356 consente al difensore di
assistere agli accertamenti, senza diritto di essere
preventivamente avvisato benché di tale facoltà la polizia
giudiziaria abbia il dovere di dare notizia all’indagato se presente
(art. 114 disp att). Alla polizia giudiziaria, poi, l’onere di
depositare gli atti nella segreteria del pubblico ministero entro il
terzo giorno successivo ed estrarne copia nei cinque giorni
successivi (art. 366). Tali cautele offrono sufficienti possibilità di
rilevazione dell’errore.
Preoccupante è, invece, quel complesso di attività tecnico-
scientifiche irripetibili che, sebbene fuori dai presupposti dell’art.
354, continua purtroppo ad essere eseguito in assenza di
contraddittorio. Esiste un’evidente asincronia tra quanto il codice
di rito consente di fare agli operatori sulla scena del crimine e
quanto questi concretamente fanno. Anche nei confronti delle
attività compiute sulla scena del crimine, non esiste alcun
momento di controllo giurisdizionale sulla correttezza delle
procedure di repertamento della traccia, sulla integrità della
catena di custodia e sulla genuinità ed affidabilità dei risultati
scientifici raggiunti; è prassi che il giudice venga a conoscenza
dell’eventuale errore o irritualità delle operazioni solo in sede di
valutazione dell’analisi scientifica che il perito o il consulente
tecnico rendono sul reperto in sede di dibattimento; momento
che non coincide quasi mai con la fase di ammissione della prova.
In altri termini, l’errore che si commette nelle aule di giustizia è di
far coincidere il giudizio sulla scientificità della perizia con il
giudizio sulla correttezza nella esecuzione delle attività di
acquisizione del reperto. Non è previso altro momento di
controllo antecedente, né alle soglie dell’udienza preliminare o
della conclusione delle indagini preliminari né in sede di chiusura
dello stesso sopralluogo, con la conseguenza di fare sopravvivere
per un lungo momento processuale i risultati di quelle attività
seppure erronee ed ingiuste. Si potrebbe pensare di giovarsi del
combinato disposto degli artt. 244 e 370 consentendo una delega
del pm alla polizia giudiziaria per il compimento dei rilievi
segnaletici, descrittivi e fotografici e in ogni altra operazione
tecnica in sede di ispezione; rilievi che sono atti irripetibili per
definizione oltre che operazioni a contenuto anche valutativo.
Quanto alla necessità di momenti di controllo anticipati, c’è da
dire che non sempre questi momenti si trasformerebbero in un
incidente sul metodo scientifico, dalle dimensioni potenzialmente
incompatibili con i tempi imposti alle indagini preliminari, ma
dovrebbero rappresentare soltanto un primo vaglio sulla
correttezza del modus operandi adottato dagli investigatori, di
facile esecuzione nel momento in cui ci si avvalesse di procedure
operative standardizzate vincolanti, dettagliate e conformi ai
criteri di certificazione definiti a livello internazionale.
Un discorso a sé meritano i meccanismi di controllo dell’errore
legato al ragionamento logico sulle tracce. È profonda la
consapevolezza che il giudizio è nient’altro che un fatto intuitivo,
un fatto non razionale, che poi si trasforma in ragionamento. E
che il ragionamento è un posterius che serve a verificare l’ipotesi
già formulata la quale sfugge all’attenzione. Il modus procedendi
dell’attività cognitiva è insondabile ed insindacabile. Al pari dei
meccanismi scelti dal sistema per contenere gli effetti nefasti del
libero convincimento dell’attività dell’organo giudicante, anche
per la polizia giudiziaria l’unica forma di verifica e controllo è
legata alla motivazione che rappresenta ancora l’unico strumento
a disposizione delle parti e del giudice per far emergere
incongruenze nel ragionamento logico approntato sulle tracce di
reato. A dispetto dei risultati cui l’investigatore-scienziato può
pervenire e della loro estrema importanza ai fini della
ricostruzione dell’accertamento, ciò che conta per il mondo del
diritto è che questi siano rispettosi dei formalismi probatori tipici
del sistema accusatorio che nell’imporre limiti alla verifica
giudiziaria evitano ricerche illimitate dello scibile processuale. Gli
organi di pg elaborino all’interno del verbale di sopralluogo
giudiziario il percorso logico-abduttivo che li ha portati a dare
significato ad alcune tracce, averne escluse altre, averle tutte
interpretate in base ad un certo contesto crimo-dinamico e così
via. È il solo modo per consentire al giudice di non subire
supinamente i saperi degli esperti colmando in parte un vuoto
cognitivo inevitabile. Tra gli espedienti atti a testare l’attendibilità
dei risultati valutativi cui giunge l’esperto del sopralluogo, non si
può non contemplare la sua competenza che diventa uno
strumento imprescindibile di garanzia della qualità del suo
operato. Al pari degli scienziati forensi chiamati in dibattimento,
anche per l’organo di pg il giudizio sulle sue attività dovrebbe
partire proprio dalla dimostrazione delle sue capacità
professionali.
Ispezioni e perquisizioni tra attività autonoma e
delegata
Le ispezioni e le perquisizioni: similitudini e differenze
Le ispezioni e le perquisizioni sono tipici mezzi di ricerca della
prova collocati nella fase delle indagini preliminari; si tratta di
mezzi investigativi dei quali ci si avvale per acquisire cose, tracce
o dichiarazione dotate di attitudine probatoria. (i mezzi di ricerca
della prova sono attività investigative sulla scena del crimine, di regola a
sorpresa, poste in essere dall’autorità giudiziaria o dalla polizia giudiziaria,
volte ad acquisire al procedimento un elemento di prova preesistente e
dotato di autonoma rilevanza probatoria).
La legittimazione è riservata all’autorità giudiziaria – al pm nelle
indagini preliminare e al giudice in dibattimento – che dispone
l’assunzione del mezzo di ricerca della prova con decreto
motivato; però in presenza di circostanze caratterizzate da
‘’necessità’’ ed ‘’urgenza’’ anche la pg può eseguire le ispezioni e
le perquisizioni, la cui efficacia è subordinata alla tempestiva
convalida da parte dell’autorità giudiziaria procedente.
Elementi in comune:
-le ispezioni e perquisizioni si caratterizzano per la loro intrinseca
‘’polivalenza’’: da una parte sono strumenti di indagine dei quali il
pm si serve per sottoporre a verifica la propria ipotesi
ricostruttiva del fatto di reato (valenza procedimentale), mentre
dall’altra consentono di acquisire elementi utili per il
convincimento del giudice (valenza processuale), infatti i verbali
che documentano l’attività di ricerca della prova entrano nel
fascicolo dibattimentale in quanto nascono (di solito) come
irripetibili;
-altro elemento in comune è l’asistematicità delle fonti
normative: alle norme generali destinate all’autorità giudiziaria si
aggiungono disposizioni relative sia alle indagini preliminari ad
iniziativa del pm o della pg, e sia a particolari contesti come nel
caso di ispezioni e perquisizioni nello studio del difensore.
-altro elemento in comune ai due istituti inerisce ai presupposti
che giustificano l’esecuzione di tali attività di ricerca; si prevede
l’impossibilità che sia ispezioni che perquisizioni siano esperibili
ante delictum in quando il mezzo di ricerca della prova si
trasformerebbe in uno strumento per la formazione della notitia
criminis. Se l’ispezione è volta ad ‘’accertare tracce od altri effetti
materiali del reato’’, in mancanza di una concreta ipotesi di
delictum appare inverosimile verificare la sussistenza degli stessi,
lo stesso vale per le perquisizioni che implicano la sussistenza di
una notitia criminis perché si possa provvedere alla ricerca del
corpo del reato o cose ad esso pertinenti.
DIFFERENZE: i due istituti presentano delle differenze nella loro
struttura naturalistico-giuridica.
-le ispezioni (inspiciere che significa guardare in qualcosa)
consistono in un ‘’osservazione diligente’’;
-le perquisizioni (perquirere ovvero ricercare) devono essere
intese come una ‘’ricerca diligente’’;
-Le ispezioni e perquisizioni devono essere intese come attività
concettualmente autonome, il cui discrimen è rappresentato
dalla differente finalità dei due istituti ovvero: la strumentalità
dell’ispezione si esaurisce nella rilevazione e descrizione di dati
oggettivi, la perquisizione consiste nella ricerca preordinata alla
captazione;
-complessa però è la distinzione tra le ispezioni e perquisizioni
informatiche a causa della natura immateriale dell’oggetto della
ricerca.
-le due attività si differenziano anche nella prospettiva del
risultato finale delle stesse: nel caso dell’ispezione si tratta della
scoperta di tracce od effetti materiali del reato non direttamente
apprensibili ma solo documentabili, si parla dell’inspiciens che
utilizza le capacità sensoriali nell’esecuzione dell’attività di
indagine; nel caso della perquisizione, invece, si tratta di una
ricerca concreta di persone o cose utili per l’accertamento dei
fatti, si parla del perquirente che si serve delle mani al fine di
impossessarsi della res.
Le ispezioni: alla ricerca di una definizione normativa
La nozione di ispezione può essere specificata in funzione dello
scopo e della finalità.
La nozione di ispezione può essere specificata in funzione dello
scopo e della finalità Quindi la nozione di ispezione è: essa
consiste nella ‘’ricerca visiva di un possibile segno’’ che si
sostanzia in una condotta accertativo-descrittiva.
L'ispezione, quindi, consiste nell’osservazione della realtà di fatto
quale appare all’organo che procede all’ispezione e che si
esaurisce nell’accertamento di ‘’tracce (sono i segni, macchie,
impronte prodotte direttamente o indirettamente dalla condotta
delittuosa) ed effetti materiali del reato (sono conseguenze o
alterazioni di natura contundente, percussiva, abrasiva, effrattiva
che la stessa condotta può aver determinato su persone, cose o
luoghi)’’ e nella descrizione obiettiva dello stato dei luoghi, delle
cose e delle persone. Ad ogni modo oggigiorno, anche per la più
semplice forma di ispezione ci si avvale di strumentazioni in grado
di osservare ‘’molto meglio’’ e molto oltre il ‘’visibile ad occhio
nudo’’, ad es, è considerata ispezione l’attività osservativa
compiuta con l’ausilio di lampade forensi con le quali l’operatore
amplia la visibilità anche verso il mondo dell’invisibile, e anche
l’osservazione di tracce latenti a seguito di esaltazione mediante
polveri dattiloscopiche.
Le ispezioni tra gli atti dell’autorità giudiziaria
L'art. 244 cpp individua i soggetti legittimati all’espletamento di
questo mezzo di ricerca della prova e il relativo provvedimento
autorizzativo; i soggetti legittimati sono: il pm, nella fase delle
indagini preliminari, e il giudice del dibattimento, nella fase del
giudizio. Il provvedimento con cui l’autorità giudiziaria dispone il
mezzo di ricerca della prova assume la forma di ‘’decreto
motivato’’.
IL DECRETO (autorizzativo): deve essere dettagliato nell’indicare
- I dati identificativi del procedimento penale in corso.
- Le generalità della persona assoggettata all’atto.
- Gli estremi della disposizione violata.
- I dati atti ad individuare la data e il luogo del fatto storico
addebitato.
IL CONTENUTO DELLA MOTIVAZIONE DEL PROVVEDIMENTO:
deve dar conto dell’utilità del mezzo di ricerca della prova, ovvero
della ‘’necessarietà’’ e dell’‘’occorrenza’’ dell’attività ispettiva.
In relazione al diritto di difesa: rientrando l’ispezione tra gli atti
garantiti, il difensore ha diritto di assistere all’esecuzione delle
operazioni e ha diritto al preavviso; l’autorità giudiziaria è tenuta
a trasmettere l’informazione di garanzia che contiene l’invito ad
esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia. Inoltre,
qualora il magistrato proceda ad un’ispezione cui deve
partecipare la persona sottoposta alle indagini è tenuto a
trasmetterle l’invito a presentare è se non ha nominato un
difensore di fiducia, viene avvisato che sarà assistito da uno di
ufficio. Però quando ci sono motivi di urgenza che impediscono il
previo avviso al difensore, il magistrato può procedere ad
ispezione anche prima del termine prefissato dandone comunque
avviso allo stesso tempestivamente e senza ritardo. In altri casi,
invece, quando vi è fondato motivo di ritenere che le tracce o gli
effetti materiali del reato possano disperdersi o alterarsi per il
decorso del tempo, l’avviso può essere omesso ma resta fermo il
diritto del difensore di essere presente all’esecuzione delle
operazioni.
Al fine di tutelare il diritto al contraddittorio tra le parti, il verbale
di ispezioni deve essere depositato (entro il terzo giorno
successivo al compimento dell’atto) nella segreteria del pm, con
facoltà del difensore di prenderne visione ed estrarne copia.
VALENZA PROBATORIA DELL’ATTIVITA’ ISPETTIVA: questa attività
si configura quale atto irripetibile, quindi il relativo verbale, in
forma integrale, sarà destinato a confluire nel fascicolo
dibattimentale ed è utilizzabile ai fini della formazione del
convincimento del giudice; però in alcune circostanze l’attività
ispettiva non sempre è irripetibile e quindi può essere ripetuta in
fase dibattimentale, dunque la non ripetibilità è un elemento che
va appurato case by case, e quindi la giurisprudenza ritiene che
l’irripetibilità, sussiste solo quando l’ispezione riguarda persone,
cose o luoghi soggetti a modificazione.
Ispezioni tra le attività di polizia giudiziaria
Essendo solo l’autorità giudiziaria legittimata all’attività ispettiva,
questa può però avvalersi dell’ausilio della pg o forza pubblica
qualora sia necessario l’impiego di poteri coercitivi; si pone
dunque l’istituto della delega, per il quale la pg compie attività di
indagine in vece del pm.
L’art. 370 (atti diretti e delegati) esclude, esplicitamente, che tra
le attività delegabili vi siano l’interrogatorio e il confronto,
mentre nessun cenno viene fatto alle ispezioni, tant’è che il
combinato disposto degli artt. 244 e 370 fa desumere che la pg
possa essere autorizzata al compimento di attività ispettive dopo
il vaglio critico e il placet del pm. In caso di delega alla pg la
motivazione del decreto autorizzativo deve essere più preciso:
ovvero l’indicazione dell’oggetto dell’attività investigativa deve
essere puntuale al fine di evitare una eccessiva discrezionalità
operativa della pg.
Complessa è la quaestio relativa alla possibilità per la pg di
compiere ispezioni d’iniziativa nei casi d’urgenza: parte della
dottrina ritiene che la legittimazione della pg discenda dall’art.
354 in quanto gli ufficiali di pg possono eseguire attività ispettiva
sotto forma di ‘’accertamenti e rilievi’’ sui luoghi, cose e persona,
al fine di impedire la dispersione o l’alterazione di potenziali fonti
o elementi di prova.
Altrettanto complessa è la distinzione tra ‘’ispezioni atipiche
urgenti’’ e le perquisizioni: se dovessimo rifarci alla tradizionale
distinzione tra ispezioni e perquisizioni, sappiamo che la prima si
concretizza nella pura osservazione mentre la seconda nella
ricerca finalizzata all’apprensione; il discrimen tra le due rimane
pur sempre la finalità dei due istituti, ovvero, quando l’operatore
entra in uno scenario criminoso la ricerca è preordinata alla
osservazione, la perquisizione è deputata alla ricerca che
subentra all’individuazione di ciò che sarà oggetto di verifica.
I rilievi e gli accertamenti pur costituendo attività ispettiva
d’urgenza, sfuggono alle regole generali previste: in questi casi da
atto garantito le ispezioni d’urgenza si trasformano in ‘’atti a
sorpresa’’, tant’è che il difensore della persona sottoposta alle
indagini ha solo la facoltà di essere presente al compimento
dell’atto ma non ha il diritto al preavviso; inoltre, se l’indagato si
trova nel luogo in cui la pg deve effettuare l’ispezione, egli dovrà
essere avvisato della facoltà di nominare un difensore di fiducia e
qualora quest’ultimo non ci sia la pg non sarà tenuta ad
individuarne uno d’ufficio e non è tenuta a sospendere le
operazioni nell’attesa dell’avvento del difensore. Gli accertamenti
e i rilievi urgenti, dotati di irripetibilità, sono documentati
mediante verbale integrale che entrerà nel fascicolo
dibattimentale ed è utilizzabile mediante lettura (art. 511 cpp).
Le species di ispezioni
L’art. 244 cpp individua differenti tipologie di ispezioni:
TIPO OGGETTO
Le ispezioni personali Hanno ad oggetto le persone
(art. 245 cpp) fisiche ovvero il loro corpo
Le ispezioni locali Hanno ad oggetto luoghi,
(art. 246 cpp) compreso il domicilio
Le ispezioni reali Hanno ad oggetto cose od oggetti
(art. 246 cpp) materiali in genere
Le ispezioni informatiche Hanno ad oggetto sistemi
(art. 244, co.2 mod. Legge n. informatici o telematici
48/2008)
Le ispezioni personali, focus: l’ispezione cadaverica
ART. 245 cpp. Le ispezioni personali hanno ad oggetto ‘’il corpo
umano vivo o una sua parte’’. L'ispezione costituisce uno dei
momenti della perizia: l’attività di osservazione delle parti interne
all’organismo costituirebbe attività prodromica alla successiva
operazione tecnica. Inoltre, è noto che possa operare solo
l’autorità giudiziaria che può avvalersi della pg o forza pubblica
quando è necessario l’impiego dei poteri coercitivi; però,
nonostante la delegabilità, la pg non può, né di iniziativa, né a
seguito di delega, eseguire le ispezioni in quanto l’art. 370 va
coordinato col 354 che vieta espressamente alla pg di eseguire
ispezioni personali. In più questo mezzo di ricerca della prova è
viola i diritti fondamentali della persona, per questo è stato
riservato dal legislatore all’autorità giudiziaria. Ma la domanda
sorge spontanea: fino a che punto, quindi, può spingersi l’attività
ispettiva sui viventi da parte della pg? La dottrina ha ritenuto che
mentre gli accertamenti e i rilievi sulle persone possono avere ad
oggetto solo parti scoperte e visibili del corpo umano, le ispezioni
personali si estendono a tutta l’epidermide, anche se coperta da
indumenti: quindi la pg potrà, sia di iniziativa che su delega,
compiere ‘’ispezioni d’urgenza’’ sulle persone purché su questi
trovino nell’aspetto ‘’esteriore’’ della persona interessata e
nell’assenza di costrizioni fisico-morali il limite all’autonomia
operativa.
Ma si devono anche distinguere le ispezioni personali dai ‘’rilievi a
scopo identificativo’’ (art. 349 cpp) che sono semplici attività di
indagine che si esplicano attraverso rilievi dattiloscopici,
fotografici e antropometrici al fine di identificare l’indagato o la
persona informata sui fatti senza alcun tipo di garanzia difensiva.
Rilievi per l’identificazione Ispezione personale
Attività di indagine Mezzo di ricerca della prova
Attività su iniziativa della pg Disposa dall’autorità giudiziaria
Garanzie difensive non previste Il difensore ha diritto di assistere
Per l’ispezione personale si devono fare delle considerazioni:
- in primis si deve avvisare l’interessato della facoltà di farsi
assistere da una persona di fiducia che lo affianca e può o
meno coincidere con il difensore (di fiducia o d’ufficio), esso
inoltre ricopre un ruolo di assistenza ‘’tecnica’’ ed è
legittimato al preavviso al fine di essere presente al
compimento dell’attività;
- In secondo luogo, l’attività si deve svolgere nel rispetto della
dignità umana e del pudore, al fine di evitare una superflua
lesività dei diritti fondamentali dei soggetti sottoposti;
inoltre, in capo all’autorità procedente non sussiste l’obbligo
di consegnare copia del decreto autorizzativo all’interessato.
IN CASO DI MORTE sospetta, al fine di adempiere alle prescrizioni
che attribuiscono alla pubblica accusa l’onere di accertare le
cause della morte e di disporre l’autopsia, la pg è tenuta ad
eseguire la c.d. ‘’ricognizione del cadavere’’ prima dell’intervento,
eventuale, del medico legale: ovvero è un esame esterno del
cadavere stesso che è finalizzato ad accertare se il decesso sia
una conseguenza di cause naturali o meno e se possa dipendere
da fatti costituenti reato, in più la pg deve provvedere ad una
descrizione minuziosa e accurata di quanto ha percepito e visto
nell’immediatezza dell’intervento e quindi deve descrivere l’età
apparente, sesso, colore, abbigliamento, stato di conservazione,
presenza di corpi estranei e tutto quanto può essere necessario a
fornire informazioni utili.
Le ispezioni locali (o domiciliari) e le ispezioni reali
ART. 246 cpp.
ISPEZIONI DI LUOGHI: comprendono le attività che si esplicano
sulla scena criminis, quale sede naturale di osservazione
dell’ambiente in cui si è svolta l’azione delittuosa e sui siti e cose
immobili al fine di accertare le tracce o gli effetti materiali del
reato;
ISPEZIONI LOCALI: si ritiene che queste possano estendersi, anche
se non espressamente previsto, anche al domicilio.
ISPEZIONI REALI: hanno ad oggetto cose mobili e oggetti materiali
in genere (es. arma del delitto) nonché cose immobili.
MODALITA’ DI ESECUZIONE delle operazioni: in primis è
importante dire che il mancato rispetto delle prescrizioni non
comporta alcuna forma di invalidità, semplicemente l’atto sarà
affetto da mera irregolarità con scarse ricadute processuali.
Innanzitutto, la copia del decreto autorizzativo dell’autorità
giudiziaria deve essere mostrata (prima) all’imputato, ovvero a
chi ha la disponibilità del luogo in cui viene eseguita l’attività,
questo perché? La ratio è quella di consentire al soggetto di
comprendere i motivi dell’atto e verificarne la regolarità
esecutiva; il dovere di esibizione è imposto, però, ad una
condizione...ovvero che il soggetto sia presente sul luogo in cui si
effettua l’attività, infatti, in assenza di quest’ultimo non sussisterà
alcun obbligo in capo all’autorità procedente che in più potrà
disporre che i presenti non si allontanino fino al termine delle
operazioni. L'utilizzo della coercizione fisica dovrà essere
motivato esaustivamente nel verbale redatto al termine delle
operazioni.
Le perquisizioni: la ricerca preordinata all’apprensione
dell’elemento di prova
L’art. 247 cpp si limita ad indicare le differenti tipologie di
‘’ricerca’’ e i presupposti per poterle disporre, le altre norme
speciali, invece, disciplinano – case by case – le singole forme di
perquisizione (artt. 248 e 252). La nozione giuridica di
perquisizione è desumibile dallo scopo dell’attività, ovvero la
ricerca del ‘’corpo del reato’’, di ‘’cose pertinenti al reato’’ ovvero
la persona da arrestare. Dunque, ricerca, esplorazione e
perlustrazione rappresentano i momenti salienti della
perquisizione. Essa infine può essere definita come la ricerca
materiale, eseguibile coattivamente su persone o luoghi
determinati avente la finalità di assicurare al processo una cosa
utile alle indagini ovvero consentire l’arresto di una persona.
L'espressione ‘’CORPO DEL REATO’’: il legislatore (1988) indica le
cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso
nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il
prezzo; e sono i reperti che appartengono alla fisica del reato e
pesano sull’imputato come prove a suo carico, quali l’arma del
delitto, i segni contraffatti (es);
COSE PERTINENTI AL REATO: il legislatore si è affidato
all’interpretazione della giurisprudenza, che ha identificato
queste come le res dotate di attitudine probatoria che
presentano una relazione con il fatto delittuoso e sono utili o
necessari alla ricostruzione dell’accaduto.
Il concetto delle cose pertinenti al reato è più ampio di quella di
corpo del reato in modo da ampliare l’ambito di operatività del
sequestro.
C'è da fare una differenza della finalità della perquisizione con
altri mezzi di ricerca della prova:
-rispetto all’ispezione, l’attività posta alla base della perquisizione
non si limita all’esame obiettivo di situazioni di fatti, essa implica
un ‘’fare’’ più invasivo per il quale l’osservazione è solo un
tramite della ricerca;
-la perquisizione si differenzia dal sequestro probatorio in
relazione ai presupposti che legittimano il loro espletamento: il
perquirere postula ‘’un fondato motivo di occultamento del
corpo del reato, di cose pertinenti al reato che giustifica l’attività
di ricerca nella quale si sostanzia l’essenza stessa dell’atto’’; il
sequestrare presuppone la necessarietà materiale della res per
finalità probatorie ed attraverso lo stesso si provvede ad acquisire
al processo il corpo del reato o le cose ad esso pertinenti che
sono palesi e non si ritengono occultati; la perquisizione, dunque,
pur ritenendosi antecedente al sequestro probatorio ne resta
distinto e separato. Il sequestro conseguente ad una
perquisizione illegittima, però, non è affetto da invalidità se si
presenta come ‘’atto dovuto’’ per l’apprensione del corpo del
reato o delle cose ad esso pertinenti.
La legittimazione dell’autorità giudiziaria
Allorquando sussista ‘’fondato motivo’’ di ritenere che su una
persona o in un determinato luogo vi sia occultato il corpo del
reato o tracce utili all’accertamento dei fatti, l’autorità giudiziaria
dispone la perquisizione con decreto motivato. Quindi si desume
che la competenza spetti al pm, nella fase delle indagini
preliminari, e al giudice, in dibattimento.
IL DECRETO: l’autorità procedente è tenuta ad indicare i ‘’fondati
motivi’’ che giustificano l’esperimento del mezzo di ricerca della
prova, ovvero il thema probandum: esso deve indicare la
fattispecie concreta nei suoi connotati modali spazio-temporali e
la norma incriminatrice che si ritiene violata, non ritenendosi
sufficiente la specificazione del titolo di reato; superfluo è,
invece, indicare la res oggetto di ricerca.
Le perquisizioni sono ‘’atti a sorpresa’’ e la loro efficacia è
determinata dall’improvvisazione: il difensore, quindi, di fiducia
dell’indagato, o di ufficio, non ha diritto al preavviso ma può
‘’assistere’’ al compimento dell’atto; però l’indagato deve
ricevere l’informazione di garanzia da trasmettere non
preliminarmente al compimento dell’atto ma contestualmente
all’esecuzione. L’interessato gode di un ‘’diritto di assistenza’’ che
si estende anche ad una persona di fiducia. Al termine delle
operazioni il relativo verbale deve essere depositato nella
segreteria del procuratore entro il terzo giorno successivo al
compimento dell’atto, mentre il difensore può prendere visione
ed estrarne copia nei cinque giorni successivi.
Le attività autonome e delegate della pg
La pg, anch’essa, è legittimata, mediante delega dell’autorità
giudiziaria, ad effettuare le perquisizioni, o anche di iniziativa in
casi ‘’eccezionali’’ (art. 352 cpp). La delega deve indicare
‘’specificatamente’’ le attività che ne costituiscono oggetto al fine
di evitare che la pg abbia un eccessivo margine di apprezzamento
e di discrezionalità nell’esecuzione delle operazioni.
Art. 352 (PERQUISIZIONI): le perquisizioni ad iniziativa della pg si
configurano quali ‘’principali atti di indagine diretta’’. Questa
norma legittima gli organi di pg a compiere una perquisizione
personale o locale, ma i casi tassativi che consentono l’iniziativa
sono rappresentati dalla flagranza di reato, dall’urgenza di
ricercare l’evaso e dalla necessità di dare esecuzione ad un
provvedimento restrittivo della libertà personale.
In relazione alle investigazioni sulla scena criminis, è
fondamentale soffermarsi sul primo tipo di perquisizioni
autonome, ovvero quelle in caso di flagranza: ovvero è intesa
come la ‘’condizione di chi è colto nell’atto di commettere il fatto
di reato’’. Ma a questa si contrappone il legislatore che equipara
alla flagranza lo stato di colui che subito dopo il reato viene
inseguito dalla pg o che è sorpreso con cose o tracce del reato
dalle quali sembra che immediatamente prima abbia commesso
l’illecito penale (c.d. quasi flagranza).
Ad ogni modo, affinché la pg possa operare di iniziativa
nell’immediatezza del fatto, è opportuno che sussistano due
requisiti quali la necessità dell’intervento e il fondato motivo di
ritenere che tale atto sia utile alle indagini.
Sussiste la necessità dell’intervento quando subentra l’esigenza
che si proceda repentinamente alla ricerca al fine di evitare di
disperdere le tracce del reato o le cose ad esso pertinenti;
sussiste il fondato motivo quando la pg dispone di elementi
obiettivi dai quali emerga con sufficiente probabilità che l’oggetto
della ricerca si trovi in un posto determinato ove deve effettuarsi
la perquisizione.
GARANZIE DIFENSIVE: sono atti a sorpresa e quindi il difensore ha
diritto ad assistere all’esecuzione delle operazioni per verificare il
regolare svolgimento dell’attività, e per rendere effettivo ciò la pg
è tenuta a fornire all’indagato l’avviso che ha la facoltà di farsi
assistere da un difensore di fiducia.
La pg, durante la perquisizione, deve documentare l’attività
mediante verbale integrale, in quanto nasce come irripetibile, e
confluirà nel fascicolo dibattimentale per formare il
convincimento del giudice.
Il verbale di perquisizioni dovrà indicare:
- Le generalità del soggetto operante;
- La data delle operazioni;
- Le persone presenti e la causa dell’eventuale assenza di chi
sarebbe dovuto intervenire;
- Le singole operazioni compiute;
- La descrizione del loro risultato;
- La sottoscrizione di tutti gli intervenienti.
Questo poi dovrà essere messo a disposizione del pm del luogo in
cui si è svolta la perquisizione, senza ritardo e non oltre le 48 ore,
il che ha una duplice funzione: consente di garantire la protezione
del diritto di difesa attraverso una discovery anticipata e di dare
inizio al procedimento di convalida al fine di rendere effettivo ed
efficace l’atto compiuto. Il magistrato con l’istituto della convalida
effettua un controllo ex post sulla regolarità della perquisizione
d’urgenza della pg.
Le species di perquisizioni
TIPO OGGETTO
Le perquisizioni personali Le persone fisiche ovvero il loro corpo
(art. 249 cpp)
Le perquisizioni locali Un ambiente
(art. 250 cpp)
Le perquisizioni nel domicilio Un'abitazione o le sue pertinenze
(art. 251 cpp)
Le perquisizioni informatiche Sistemi informatici o telematici
(art. 247 co.2, l. 48/2008)
Le perquisizioni personali
Art. 249 cpp: quando si ritiene che il corpo umano possa essere
fonte di prova, l’autorità giudiziaria dispone le perquisizioni
personali.
Il soggetto passivo può essere: l’indagato (imputato), la persona
offesa e anche i soggetti estranei al procedimento penale.
La ricerca però non si limita alla persona fisica, bensì si estende
alla sfera di custodia pertinente ad ogni soggetto (portafoglio,
borse, valigie, etc.).
Queste attività possono essere eseguite dall’autorità giudiziaria
che dispone le perquisizioni o dall’ufficiale di pg delegato con lo
stesso decreto autorizzativo o anche di iniziativa (sempre in caso
di flagranza, urgenza di ricerca dell’evaso, esecuzione di un
provvedimento restrittivo).
Il primo adempimento dell’esecutore è la consegna della copia
del decreto autorizzativo al soggetto interessato, dovrà poi
avvisare quest’ultimo della facoltà di farsi assistere dal difensore
di fiducia, da una persona prontamente reperibile e idonea. In
secondo luogo, l’attività deve essere eseguita nel rispetto della
dignità e del pudore di chi vi è sottoposto e a tal fine è opportuno
che la perquisizione la faccia una persona dello stesso sesso di
quella coinvolta, salvo casi di impossibilità e urgenza. Nel caso in
cui il soggetto da perquisire si rifiuta è possibile usare la forza che
viene intesa come immobilizzazione temporanea o eventuale
svestizione del soggetto recalcitrante per consentire l’attività
probatoria.
Delimitazione dell’attività: è esclusa la possibilità di
ricomprendere intrusioni più penetranti nel corpo umano, ad
esempio la somministrazione di un revulsivo al fine di far
vomitare il soggetto gli oggetti immessi nello stomaco, ma la
giurisprudenza, invece, consente all’operante una ricerca
maggiormente invasiva, quali accertamenti radiografici,
esplorazioni rettali o vaginali.
Le perquisizioni locali, domiciliari e miste
Artt. 250, 251 cpp: qualora si ritenga utile alle indagini la ricerca
della res in un determinato luogo o che nello stesso possa
eseguirsi l’arresto dell’imputato o dell’evaso, la perquisizione
viene disposta, e può essere condotta dall’autorità giudiziaria o
dalla pg delegata con lo stesso decreto autorizzativo o di propria
iniziativa.
MODALITA’ ESECUTIVE: l’autorità procedente dovrà consegnare
copia del decreto autorizzativo all’imputato, fornendo
contestualmente l’avviso circa la facoltà di farsi assistere o
rappresentare dal difensore o da una persona di fiducia purché
idonea e reperibile. Nel caso di assenza del perquisito, copia del
decreto, e relativo avviso, verrà lasciata a chi ha la disponibilità
del luogo, oggetto di perquisizione, o al portiere o chi ne fa le
veci.
Qualora il locus oggetto di perquisizione fosse un domicilio
l’esecuzione dovrà attenersi a specifici limiti spazio-temporali,
stante l’invasività della ricerca. Nel procedere a perquisizione
AMBIENTALE l’autorità giudiziaria può disporre, con decreto
motivato, la perquisizione personale dei presenti.
La perquisizione non potrà iniziare prima delle ore sette e dopo le
ore venti salvo situazioni di particolare urgenza.
Lo studio del difensore quale ‘’locus commissi delicti’’
Art. 103 cpp: è stata limitata l’intrusione investigativa negli uffici
del difensore al solo caso in cui lo stesso o i suoi collaboratori
siano imputati in un procedimento penale, al solo fine di
osservare e ricercare tracce, elementi materiali del reato o
persone preventivamente individuate.
Quindi ispezioni e perquisizioni sono ammesse, dal legislatore,
solo se tale sede ‘’privilegiata’’ diventa una scena criminis. La
legittimazione inoltre è riservata solo all’autorità giudiziaria,
ovvero al giudice o al procuratore con autorizzazione dello stesso
senza possibilità di delega alla pg. Però alcuni orientamenti hanno
legittimato il pm ad avvalersi della pg nell’esecuzione materiale
delle operazioni spingendosi a ritenere legittima una
perquisizione nell’ufficio del difensore da parte dell’ufficiale di pg
nell’ipotesi di flagranza di reato. Inoltre, sull’autorità procedente
grava un ulteriore adempimento ovvero preliminarmente
all’esecuzione delle operazioni è tenuta a dare avviso al Consiglio
forense del luogo del compimento delle operazioni, affinché un
rappresentante possa assistere all’esecuzione e valutare la
regolarità della stessa.
Gli altri scenari criminali: gli illimitati poteri della pg
La normativa speciale contempla una serie di ipotesi derogatorie
che legittimano l’intervento autonomo della pg al di là dei limiti
imposti dal codice di rito. Si tratta di attività (di natura
preventivo-repressiva) esperibili in presenza di meri indizi di reità,
in relazione a peculiari contesti e scenari criminosi ritenuti
talmente pericolosi e allarmanti da giustificare l’intervento
immediato della pg senza alcun prodromico intervento
dell’autorità giudiziaria, anche se poi ex post deve convalidare
l’atto.
Le tipologie di intervento speciale sono:
PERQUISIZIONI SPECIALI PERQUISIZIONI SPECIALI
ANTE CODICE 1988 POST CODICE 1988
Perquisizioni in materia di reati Perquisizioni nei delitti di criminalità
finanziari organizzata
Perquisizioni per la ricerca di armi, Perquisizioni per la repressione e
munizioni od esplodenti prevenzione del traffico di stupefacenti
Perquisizioni sul posto Perquisizioni per la lotta
all’immigrazione clandestina
Tra attività preventiva e repressiva occorre che sussista un
collegamento con fattispecie penalmente rilevanti, e si richiede la
ricorrenza di situazioni di ‘’urgenza e necessità’’ tali da non
consentire l’intervento del pm. Gli ufficiali e gli agenti di pg,
inoltre, possono procedere alla ricerca anche solo in base di
elementi indiziari, ma non meri sospetti. Si tratta, poi, di atti a
sorpresa quindi il difensore dell’indagato non ha diritto al
preavviso ma è salvo il diritto ad assistere all’esecuzione delle
operazioni. Il resoconto dell’attività esperita sulla scena criminis
confluisce in un verbale integrale da trasmettere al pm del luogo
in cui si è svolta l’operazione entro 48 ore per la convalida, e sarà
destinato a confluire nel fascicolo per il dibattimento ed è
utilizzabile a formare il convincimento del giudice.
Il verbale deve contenere:
- Nominativo del pubblico ufficiale che lo redige
- Nominativo delle altre persone presenti sul posto
- I presupposti che legittimano la perquisizione
- La descrizione delle cose rinvenute, il luogo in cui tali cose
sono state rinvenute
- La persona che le ha trovate
- La sottoscrizione del verbalizzante, a pena di nullità
- La sottoscrizione degli altri agenti/ufficiali di pg
- La sottoscrizione di chi è stato interessato dalla
perquisizione e se si rifiuta di firmare si procede alla sua
identificazione e se ne dà atto nel verbale.
Al fine di garantire la correttezza delle operazioni la pg deve
documentare l’attività svolta tramite rilievi narrativo-descrittivi e
rilievi fotografici così da immortalare quanto visto e appreso
nell’immediatezza dei fatti (cristallizzazione).
La selezione dei consulenti tecnici e la solidità
dell’expertise, tra coordinate della soft law e
suggestioni comparatistiche
L'imprevisto peso degli esperti e l’insostenibile leggerezza
del codice
Con l’esperienza maturata in poco tempo dall’entrata in vigore
del nuovo codice di procedura penale, nel 1998, Massimo Nobili
si riferiva acutamente ed ironicamente alle indagini preliminari
come alla fase che non conta e non pesa, proprio per
sottolineare, al contrario, il notevole e progressivo aumento
dell’influenza delle attività svolte in tale ambito. Sembra oggi fare
da contrappunto a questa constatazione l’innegabile presa d’atto
dell’accrescimento del ruolo e del peso degli esperti all’interno
del processo penale e, prima ancora, all’interno della fase
preliminare; accrescimento che rende il codice di rito inadeguato
perché ingenuo e lacunoso.
Una prima presa di coscienza sembra essere rappresentata
dall’intervento contenuto nell’ormai favoso d.l. 13.9.2012, n. 158
(“Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese
mediante un più alto livello di tutela della salute”), cosiddetto
decreto Balduzzi, convertito con modificazioni dalla l. 8.11.2012,
n. 189. Difatti, l’art. 3, co. 5 del suddetto decreto prevedo che:
“Gli albi dei consulenti tecnici d’ufficio di cui all’art. 13 del r.d.
18.12.1941, n. 1368, recante disposizioni di attuazione del codice
di procedura civile, devono essere aggiornati con cadenza almeno
quinquennale, al fine di garantire, oltre a quella medico legale,
una idonea e qualificata rappresentanza di esperti delle discipline
specialistiche dell’area sanitaria, anche con il coinvolgimento
delle società scientifiche”.
Una importante novità è stata portata dalla l. 8.3.2017, n. 24
(Gelli-Bianco), recante “Disposizioni in materia di sicurezza delle
cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità
professionale degli esercenti le professioni sanitarie”, che innova
la disciplina della responsabilità degli operatori sanitari, sia sotto
il profilo civilistico, che sotto il profilo penale, prevedendo nuove
disposizioni relativamente alla nomina e alla specializzazione dei
tecnici chiamati a coadiuvare il giudice penale nell’accertamento
della responsabilità dei sanitari.
Ai sensi dell’art. 15 della riforma l’autorità giudiziaria affida
l’espletamento della consulenza tecnica e della perizia a un
medico specializzato in materia legale e a uno o più specialisti
nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di
quanto oggetto del procedimento, avendo cura che i soggetti da
nominare, scelti tra gli iscritti negli albi di cui ai commi 2 e 3, non
siano in posizione di conflitto di interessi nello specifico
procedimento o in altri connessi. È stato previsto che nell’albo dei
periti ex art. 67 att. cpp siano indicate e documentate le
specializzazioni degli iscritti esperti in medicina, e, in secondo
luogo che, tale elenco venga aggiornato con cadenza almeno
quinquennale, al duplice fine di garantire un’idonea e adeguata
rappresentanza di esperti delle discipline specialistiche riferite a
tutte le professioni sanitarie (art. 15, co. 3). L’altra rilevante
novità riguarda l’obbligo di indicare relativamente a ciascuno
degli esperti … l’esperienza professionale maturata, con
particolare riferimento al numero e alla tipologia degli incarichi
conferiti e di quelli revocati (art. 15, co. 2).
Questa analisi intende prendere le mosse dalla
“categorizzazione” del codice in riferimento ai soggetti chiamati
ad offrire le proprie conoscenza tecniche, per poi procedere ad
una breve esposizione degli ulteriori profili giuridici relativi al
momento della nomina degli stessi, e poi passare a sottolineare
quelle che sembrano le angolature da cui si dovrebbero guardare
per correggere le “defaillances” strutturali dell’”expertise”
defaillances che vanno dalla selezione e formazione dei
consulenti tecnico alla instaurazione di obblighi in capo ai tecnici
ed alle parti al fine di costruire quella che si potrebbe definire la
tracciabilità del parere tecnico del consulente: ci si riferisce alla
necessità di dettare regole chiare e dettagliate che aiutino le parti
ed i tecnici a costruire e validare, congiuntamente, expertises
maggiormente fruibili.
Le molteplici figure del consulente tecnico
Gli istituti giuridici relativi all’ingresso del sapere tecnico, artistico
e scientifico nel processo penale hanno sempre rivestito un ruolo
chiave per l’equilibrio in senso inquisitorio e accusatorio, o peer
meglio dire, in chiave liberale o autoritaria, degli assetti di politica
criminale e processuale che si sono avvicendati nella scrittura dei
codici di rito italiani.
Il codice del 1930 provvide in primo luogo ad un sostanziale
ridimensionamento del potere dell’imputato alla “prova tecnica”,
dal momento che il diritto di presentare direttamente al giudice
le risultanze della propria indagine tecnico-scientifica era limitato
alle ipotesi di consulenza endoperitale (artt. 323-325) e risultava
compromesso dalla limitazione dei poteri del consulente
medesimo al quale era impedito di osservare e valutare
direttamente i fatti oggetto dell’indagine. L’equilibrio risultante
dalla disciplina del codice Rocco dava vita ad una consulenza
tecnica strutturata più come memoria difensiva che come vera e
propria prova tecnica. Il codice Rocco, riconoscendo al
consulente tecnico il ruolo di ausiliario del difensore, stabiliva una
presunzione di non veridicità, di tendenziosità e di malizia,
considerando il responso peritale alla stregua di un lusso
garantistico da limitare quando e dove possibile. Quanto alla
nomina le parti private avevano il diritto di nominare
cumulativamente al massimo due consulenti e, quanto alla
tempistica prevedeva che in nessun caso la chiusura
dell’istituzione potesse essere ritardata a causa
dell’espletamento di consulenze di parte. Nel corso dell’istruzione
sommaria, al pubblico ministero era attribuito la possibilità di
nominare un perito.
Nonostante la progressiva traslazione del piano processuale verso
un’impostazione maggiormente accusatoria, in tema di indagini
difensive, il panorama normativo attuale non risulta del tutto
rivoluzionato rispetto al precedente e sembra essere
decisamente suscettivo di alcuni miglioramenti che pure si avrà
modo di suggerire. Una certa interpretazione tradizionalista
dell’art. 233 tendeva a negare una precisa autonomia all’istituto
della consulenza tecnica extraperitale, inquadrandolo come mero
strumento di carattere argomentativo in grado di influenzare il
giudice circa l’eventuale nomina di un perito.
Art. 233 – consulenza tecnica fuori dei casi di perizia: quanto alla
consulenza extraperitale occorre fare riferimento all’art. 233 che
rappresenta una vera e propria svolta e che costituisce la base
normativa per le inchiesta preliminari del difensore e per le
indagini tecnico-scientifiche delle parti private in tutte le ipotesi
in cui il pubblico ministero nomini, durante le indagini preliminari
e sulla scena del crimine, un proprio consulente tecnico.
Art. 225 – nomina del consulente tecnico: il consulente tecnico
cosiddetto endoperitale viene nominato in tutti i casi in cui si
debba disporre o sia stata disposta una perizia. Il novero dei
consulenti tecnici comprende una serie eterogenea di figure che
potremmo meglio definire con la più generica espressione di
ausiliari tecnico-scientifici che molte volte appaiono ed operano
nel corso delle indagini preliminari e spesso ancora prima,
nell’ambito di una fase di polizia amministrativa o sulla scena del
crimine, e che possono altresì distinguersi, dal punto di vista
funzionale, in consulenti dell’accusa (comprendendo in tale area
anche quelli della polizia giudiziaria) e consulenti della difesa:
-CONSULENTI DELL’ACCUSA: si possono considerare tanto gli
esperti nominati ai sensi degli artt. 348 e 359 quanto quelli
nominati dal pubblico ministero per l’espletamento degli
accertamenti tecnici non ripetibili di cui all’art. 360;
-CONSULENTI DELLA DIFESA: vanno menzionati i consulenti
tecnici della difesa in fase amministrativa, nonché i consulenti
della difesa per le investigazioni difensive.
Per la figura di consulente tecnico prevista nell’art. 348, accade
assai di frequente nella prassi che le persone esperte di cui al co.
4 vengono designate da parte della pg, in autonomia, all’interno
del personale specializzato appartenente alla polizia medesima.
Art. 348 – assicurazione delle fonti di prova.
Art. 359 – consulenti tecnici del pubblico ministero: la disposizione
di cui all’art. 359 crea ancora maggiori difficoltà stante l’estrema
lacunosità della disciplina, messa a dura prova dall’incremento
della frequenza applicativa e della progressiva scientificità del
processo, che hanno finito per trasformare la norma in un
paradigma delle attività di indagine atipiche del pubblico
ministero. Un aspetto assai rilevante riguarda la nomina degli
esperti per le indagini, anch’essa lasciato alla ampia
discrezionalità del pubblico ministero. Assai di frequente i
pubblici ministri designano appartenenti alla polizia scientifica o
ai reparti di investigazione scientifica dei carabinieri, attraverso
una forma di incarico che ricalca in buona sostanza l’intra moenia
praticata dai medici ospedalieri. In realtà, questa pratica, oltre
che essere poco gradita ai vertici della struttura di appartenenza,
è lesiva del diritto alla parità delle armi tra accusa e difesa. Solo il
pubblico ministero, può giovarsi di un esperto che cumuli in sé le
particolarità di appartenere ad un corpo di pg e di potersi giovare
della partecipazione ai sopralluoghi sulla scena del crimine e/o
comunque del patrimonio conoscitivo delle indagini scientifiche
svolte in prima persona o da altri colleghi. Ciò comporta in primo
luogo un migliore e più funzionale svolgimento delle attività di
ricerca ed accertamento e, in secondo luogo, da un punto di vista
anche solo psicologico, aggrava ed un consulente privato.
I pubblici ministeri possono procedere ai dovuti accertamenti sia
attraverso lo strumento fornito dal citato art. 359, sia attraverso
lo strumento di cui all’art. 244.: è chiaro come soltanto nel
secondo caso trovino spazio le tutele per la difesa in merito
all’assistenza alle operazioni nonché all’accesso e all’ottenimento
successivo delle copie dei verbali delle attività compiute (art.
364), mentre la prima disposizione consenta un’azione
praticamente monopolistica da parte del pubblico ministero,
senza alcuna possibilità da parte della difesa di interloquire e con
la possibilità da parte del pm medesimo di evitare la discovery
degli atti sino alla soglia imposta dall’art. 415 bis. Se è vero che gli
spazi di manovra lasciati al pubblico ministero da una simile
architettura possono considerarsi del tutto legittimi, è altrettanto
vero che le stesse finalità di strategia investigativa che dirigono le
scelte della parte pubblica nella direzione dell’operazione
unilaterale ex art. 359, possono rischiare di trasformarsi in motivi
di eccezione ed in cause di inutilizzabilità probatoria.
La nomina del consulente tecnico
In vista del perseguimento di una parità tra le parti del processo
penale è previsto dall’art. 225, co. 1, in sede di consulenza
endoperitale, e dall’art. 233, co. 1, in sede di consulenza
extraperitale, che il pubblico ministero e le parti private abbiano
facoltà di nominare propri consulenti tecnici in numero non
superiore a quello dei periti e, nel secondo caso, non superiore a
due. Questo limite è stato interpretato dalla dottrina come un
limite circoscritto ai singoli settori di conoscenza.
Poi, contrariamente a quanto avveniva sotto la vigenza del codice
1930, sono state eliminate le preclusioni temporali, salvo
richiedere, ex art. 239, co. 4, che in ogni caso dalle eventuali
nomine di consulenti tecnici di parte non derivino ritardi per le
operazioni peritali e processuali. Le letture degli artt. 225, co. 1 e
233, co. 1, esplicitamente prevede che tutte le parti abbiano
diritto alla nomina del consulente tecnico. Ne sono legittimati –
da un lato – il pubblico ministero e la parte civile e – dall’altro –
‘imputato, il responsabile civile ed il civilmente obbligato per la
pena pecuniaria. Sembra del tutto opportuno ampliare il novero
dei legittimati alla nomina anche alle parti potenziali, e dunque
anche alla persona offesa. Con l’entrata in vigore della l.
7.12.2000, n. 397, in materia di investigazioni difensive, si è
introdotto l’art. 327 bis (Attività investigativa del difensore) che,
contenendo formule ampie e generali, sembra proprio voler
comprendere nella previsione tutti i possibili soggetti processuali
ritenuti meritevoli di abilitazione alla ricerca investigativa. Va da
sé che per i casi in cui tali soggetti vogliano provvedere alla
nomina di un consulente tecnico, debbano farlo per il tramite del
proprio difensore cui viene conferito il compito di effettuare le
relative indagini difensive con relativa responsabilità di ricerca,
esame e valutazione degli eventuali elementi scientifici di prova a
favore del danneggiato.
La giurisprudenza di merito sottoponeva poi al vaglio della Corte
costituzionale gli artt. 225 e 401 cpp, i quali, ove interpretati
restrittivamente, non avrebbe offerto alla persona offesa questa
facoltà, prospettando così una violazione agli artt. 3 e 24 Cost. la
questione sottoposta dava tuttavia luogo ad una utile sentenza
interpretativa nella quale si riconosceva ai poteri della persona
offesa un ruolo funzionale e preparatorio rispetto ai diritti
riconosciuti alla parte civile. Quanto ai restanti casi, cioè alle
ipotesi in cui ci si trovi in udienza dibattimentale, è assolutamente
scontato che possano procedere alla nomina del consulente
tecnico tutte le parti necessarie ed eventuali che si siano
costituite.
La dottrina prevalente ritiene che il codice 1988 abbia adottato
una impostazione speculare rispetto al previgente, conferendo
direttamente all’imputato e all’indagato la scelta del consulente
stesso.
Relativamente alle altre parti, va detto che l’approccio normativo
sembra essere speculare, o quantomeno più formale, rispetto a
quello adottato nei confronti di indagato ed imputato. L’art. 100
prevede che la parte civile, il responsabile civile, il civilmente
obbligato per la pena pecuniaria e anche gli enti esponenziali
degli interessi lesi dal reato, nominino un difensore per poter
stare in giudizio e che quest’ultimo ne eserciti tutti i poteri
relativi. Ci si è interrogati circa la possibilità di ritenere idonee
anche nomine effettuate oralmente, ritenendo di gran lunga più
opportuna, sia dal punto di vista dell’inquadramento normativo
che pratico, l’interpretazione che richiede l’atto scritto.
Del tutto ovvia la differenza tra le ipotesi di nomina endoperitale
ed extraperitale: mentre per quest’ultima potrà valere anche un
affidamento di carattere orale, o comunque un incarico scritto ma
non dichiarato, comunicato o depositato, che svolgerà i suoi
effetti sul piano privatistico; nei casi di consulenza endoperitale,
invece la nomina dovrà avere un’immediata rilevanza esterna,
ferma restando la possibilità che l’esperto compia i suoi rilievi ed
accertamenti, che non implichino la partecipazione ad un atto del
procedimento, anche prima della comunicazione della nomina
all’autorità procedente. Si ricordi che l’art. 327 bis richiede
espressamente la forma scritta affinché il mandato a svolgere
indagini difensive acquisti forza all’interno del contesto
processuale e, in secondo luogo, che l’art. 391 bis prescrive la
forma scritta ai fini dell’utilizzabilità delle dichiarazioni raccolte
dal punto di vista probatorio.
Inoltre, anche nel momento dell’eventuale inserimento del
nominativo del consulente nella lista testimoniale di cui all’art.
468, e dunque prima dell’udienza dibattimentale, occorrerà
consegnare o trasmettere la nomina del consulente presso la
cancelleria del giudice ai sensi dell’art. 96, ed in modo da
garantirne l’autenticità. In relazione alla nomina dell’esperto da
parte del pubblico ministero è opportuno aggiungere come la
stessa nomina, diverrà conoscibile all’atto del deposito del
fascicolo che raccoglie gli atti di indagine.
Davvero importante notare come il verbale d’incarico sia stato
considerato dalla giurisprudenza come atto pubblico ai fini della
qualificazione di eventuali ipotesi di reato nell’ambito della
nomina dell’esperto medesimo, e come, per individuare le
coordinate che il pm deve seguire nell’individuazione del
nominativo, occorra fare riferimento ad una norma alquanto
scarna che è l’art. 73 disp att la cui lettura fedele imporrebbe al
pubblico ministero di scegliere il professionista attraverso gli albi
dei periti.
Art. 73 disp att – consulente tecnico del pubblico ministero: in
realtà la giurisprudenza ritiene che la scelta del consulente al di
fuori degli albi non produca alcuna forma di invalidità della
nomina né incida sulla relazione prodotta dal consulente o sulla
attendibilità della stessa, anche se si tende a delimitare la
discrezionalità della scelta richiedendo che la scelta caduta al di
fuori dei normali albi si fondi su di un’adeguata motivazione la cui
mancanza rende impugnabile la nomina stessa.
Disposizioni obsolete e problemi nella selezione degli
esperti
I punti problematici si attestano sulle norme riguardanti le
modalità di iscrizione dei periti all’interno degli albi e della loro
individuazione, vale a dire sugli artt. 67 ss. Disp. Att., diciamo
subito che sarebbe assai auspicabile una sistematica e radicale
rivisitazione di questo gruppo di disposizioni.
Art. 67 disp att – albo dei periti presso il tribunale: l’albo dei periti
è tenuto a cura del presidente del tribunale ed è formato da un
comitato da lui presieduto e composto dal procuratore della
repubblica presso il medesimo tribunale, dal presidente del
consiglio dell’ordine forense, dal presidente dell’ordine o del
collegio a cui appartiene la categoria di esperti per la quale si
deve provvedere ovvero da loro delegati. Il comitato decide sulla
richiesta di iscrizione e di cancellazione dall’albo. Può assumere
informazioni e delibera a maggioranza dei voti. In caso di parità di
voti, prevale il voto del presidente. Il comitato provvede ogni due
anni alla revisione dell’albo (art. 68 disp att).
Possono ottenere l’iscrizione all’albo le persone fornite di
speciale competenza nella materia. La domanda va diretta al
presidente del tribunale (art. 69 disp att). Il pubblico ministero
nomina il consulente tecnico scegliendo di regola una persona
iscritta negli albi dei periti.
I fattori critici immediatamente emergenti da tale quadro sono
innanzitutto la lacunosità della tassonomia delle branche
“specialistiche” contemplate nella disposizione per l’allestimento
e la tenuta dell’albo degli esperti.
In merito all’individuazione ed al controllo dei requisiti di
formazione e qualità, la stesura attuale dell’art. 67 disp att si
articola in buona sostanza come un rinvio extra-processuale quasi
in bianco, dal momento che le criticità possono ritenersi solo
parzialmente appianate dal ruolo del rispettivo origine o collegio
o dal comitato istituito presso i tribunali che non sempre
sembrano riuscire a fronteggiare le esigenze esposte e agiscono
di regola in virtù di prassi locali, non consentono un’applicazione
omogenea a livello nazionale dei criteri di selezione.
Maggiore attenzione merita la discrezionalità insindacabile del
pubblico ministero nell’opzione per una delle due modalità di
selezione degli esperti, quelle cioè mediante consultazione
dell’albo o attraverso l’individuazione sulla scorta di un rapporto
fiduciario. Anche in quella realtà emerge sempre più prepotente
l’esigenza di una ulteriore riscrittura della materia, specie per
l’emergenza di forti richieste di disciplina e categorizzazione della
cosiddetta “expertise medical” e dell’”expertise psychiatrique et
psychologique”.
La novità relativa ad interpreti e traduttori. L'obbligo di
verità
L’unico aggiornamento che è stato apportato è quello relativo
all’inserimento, all’interno del catalogo previsto del co. 2, delle
categorie dell’interpretariato e della traduzione recante
“Attuazione della direttiva 2010/64/UE sul diritto
all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali”. Si
tratta di una modifica che pur non riguardando la consulenza
tecnica o la perizia, modifica il profilo di interpreti e traduttori nel
processo penale. Difatti la direttiva 2010/64/UE, prevedendo che
l’interpretazione e la traduzione, debbano essere di qualità
sufficiente a tutelare l’equità del procedimento, in particolare
garantendo che gli indagati o gli imputati in procedimenti penali
siano a conoscenza dell’accusa a loro carico e siano in grado di
esercitare i loro diritti di difesa, ha implicato la suddetta
integrazione.
I principi affermati fino all’entrata in vigore della normativa dalla
giurisprudenza, non sono stati modificati, cosicché le Sezioni
Unite nel 2011 hanno affermato la sussistenza
dell’incompatibilità con l’ufficio d’interprete per colui che abbia
svolto il compito di trascrittore delle conservazioni intercettate.
Un principio probabilmente discutibile si afferma in Cass. Per cui
può essere nominato ausiliario di polizia giudiziaria per lo
svolgimento della funzione di interprete per colui che sia stato già
sentito come persona informata sui fatti, non essendo prevista
dal codice di procedura penale alcuna forma di incompatibilità.
Peraltro, applicando letteralmente l’art. 4 della direttiva
2010/64/UE, il decreto di recepimento ha stabilito che i costi del
servizio di assistenza linguistica vadano sopportati dallo Stato, a
prescindere dall’esito del procedimento e dalle condizioni
economiche dell’imputato/indagato alloglotta.
(NON LEGGERE) -> Attualmente l’art. 5 esclude la ripetibilità delle
spese relative agli interpreti ed ai traduttori nominati nei casi
previsti dall’art. 143 cpp.
La spinta al miglioramento attraverso la soft law: l’attività
di normazione secondaria del CSM sulla scelta degli esperti
Non è un caso che proprio negli ultimi due decenni il Consiglio
superiore della Magistrature abbia, da un lato, preso atto della
inadeguatezza dell’apparto normativo in materia e, dall’altro, sia
intervenuto sui profili organizzativi degli uffici in ordine
all’attribuzione degli incarichi, anche sollecitato dai quesiti posti
dai singoli magistrati, sulle fondamentali questioni:
1) Della trasparenza e della rotazione nell’assegnazione degli
incarichi;
2) Dei poteri di vigilanza e sorveglianza da parte del Capo
dell’Ufficio giudiziario;
3) Dei poteri di controllo del Presidente della Corte d’appello sugli
uffici del Distretto.
Il Consiglio superiore della magistratura ha ritenuto di sostituire a
singole e frammentarie risposte a quesiti, un provvedimento di
carattere generala con vocazione sistematica. All’interno della
risoluzione è possibile individuare alcune chiare “aree” che
raccolgono raccomandazioni, volte a rendere effettivo l’esercizio
del potere di vigilanza sugli incarichi, in vista del quale il Consiglio
stabilisce, in primo luogo, che vi sia l’invito ai Presidenti di
Tribunale e ai Presidenti di Sezione ovvero ai Coordinatori delle
varie unità organizzative o gruppi di lavoro, di un elenco
periodico. Tale elenco dovrebbe contenere, a sua volta,
l’annotazione di ogni forma di incarico assegnato dai singoli
magistrati ad ogni tipo di ausiliario, e in secondo luogo ogni
necessaria specificazione anche in punto di compensi liquidati.
Ancora assai utili le indicazioni operative fornite dal Consiglio in
merito ad alcuni specifici controlli periodici, che sono stati indicati
nel:
- monitoraggio sugli incarichi di CTU disposti nell’ambito dei
procedimenti civili e sugli incarichi di consulente tecnico del
PM e di perito disposti nell’ambito dei procedimenti penali;
- Monitoraggio sugli incarichi disposti nell’ambito dei
procedimenti fallimentari e nei procedimenti di
espropriazione immobiliare a favore di ausiliare del giudice;
- Monitoraggio sugli incarichi disposti nell’ambito delle misure
di prevenzione con la nomina degli amministratori giudiziari;
- Monitoraggio sugli incarichi disposti nell’ambito delle tutele,
e amministrazioni di sostegno con la nomina di tutori,
curatori e amministratori di sostegno;
- Monitoraggio degli incarichi disposti nell’ambito dei
procedimenti di espropriazione o sequestro in sede civile,
nonché di sequestro in sede penale, ove sia possibile
acquisire i relativi dati.
Relativamente ai poteri di controllo sulla tenuta degli albi e sugli
affidamenti degli incarichi che spetta al Procuratore generale, poi,
mette conto dire che il Consiglio aveva avuto modo di
pronunciarsi già nell’esercizio dei poteri consultivi, in risposta a
quesiti stabilendo che, sussiste, a carico di ciascun Presidente di
Tribunale del distretto, l’obbligo, se richiestone, di trasmettere
periodicamente al Presidente della Corte di appello i prospetti
con le schede relative agli incarichi giudiziari di perizia e di
consulenza tecnica conferiti da ciascun magistrato ed ufficio del
rispettivo circondario. Tale obbligo è stato rintracciato nella
previsione dell’art. 14 R.D.Lgs. n. 511/1946, ove si rinviene il
principio generale del potere di sorveglianza del Presidente di
Corte sugli uffici ed i magistrati giudicanti del distretto di
appartenenza.
Verso una pubblicità degli incarichi (NO)
Ad oggi l’istituzione e le modalità di tenuta dei registri sono già
previsti, oltre che dal d.m. 27.3.2000, n .264 e dal d.m. 27.4.2009,
anche dagli att. 23 e 179 quater disp att cpc, rispettivamente per i
consulenti tecnici del giudice e per i professionisti delegati dal
giudice dell’esecuzione immobiliare.
Il legislatore ha solo in un caso (art. 179 quater disp att cpc)
richiesto che il registro sia pubblico e liberamente consultabile.
Invece, in altri casi (art. 23 disp att cpc) rimette al Presidente del
Tribunale di garantire l’adeguata trasparenza del conferimento
degli incarichi, non imponendo la pubblicità dei dati contenuti nel
registro. La pubblicità seppur nei limiti del diritto alla riservatezza
di cui sono titolari i soggetti coinvolti nella vicenda processuale,
consentirebbe di rendere gli elementi informativi, desumibili dal
continuo monitoraggio sulle nomine, verificabili da parte di
qualsiasi interessato, con evidente beneficio in termini di
trasparenza e possibilità di valutazione dell’esercizio della
funzione. Sul sito istituzionale dell’ufficio giudiziario, con cadenza
annuale, si indichi quale buona prassi, a fini di trasparenza di
rendere pubblici annualmente, gli elenchi degli incarichi affidati
per ciascuna sezione e settore, con l’indicazione del numero del
procedimento e dell’oggetto, del magistrato che affida l’incarico,
dell’ausiliario e della sua qualifica, della data di conferimento
dell’incarico medesimo.
Una nuova disciplina per la ‘’malpractice’’ in ambito
sanitario?... (NO)
Con l’approvazione del d.d.l. Gelli-Bianco, recante “Disposizioni in
materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in
materia di responsabilità professionale degli esercenti le
professioni sanitarie, si è inteso innovare la disciplina della
responsabilità degli operatori sanitari, sia sotto il profilo civilistico
che sotto il profilo penale.
Il primo rilievo che mette conto di operare riguarda il limitato
ambito operativo della disciplina, che ha come destinatari i soli
esercenti le professioni sanitarie, secondo una locuzione in grado
di ricomprendere, oltre ai medici, altri operatori sanitari, quali gli
infermieri o i radiologi. È utile ricordare come la riforma,
abbandonando la distinzione tra colpa grave e colpa lieve, faccia
riferimento ai soli delitti colposi di omicidio e lesioni e si regga
fondamentalmente su due pilastri: da un lato l’esclusione della
punibilità (nei casi di imperizia) quando siano rispettate le
raccomandazioni previste dalle linee guida e dall’altro il giudizio
circa l’adeguatezza delle linee guida e delle buone pratiche alle
specificità del caso concreto.
Da una parte è messo in primo piano il ruolo degli esperti sin
dalla individuazione della condotta di regola non punibile: proprio
le società scientifiche e le associazioni rappresentative delle
categorie del comparto sanitario, sono state incaricate di
preparare le linee guida che contengano prescrizione e
descrizione dei comportamenti raccomandati nello svolgimento
delle professioni stesse, al fine di incrementare e migliorare la
determinatezza e la tassatività della fattispecie.
Le linee guida rappresenteranno le prime regole di giudizio
offerte agli esperti processuali (consulenti tecnici o periti che
siano) al fine di stabilire:
1. Se e in quale misura il comportamento concretamente
tenuto dall’indagato /imputato si sia conformato ai
contenuti delle linee guida;
2. Se e in che misura l’eventuale mancata applicazione delle
linee guida fosse dovuta all’occorrenza di particolari e
specifiche ragioni che nel caso di specie imponessero di
discostarsi dalla relativa osservanza.
…Dalla responsabilizzazione delle società scientifiche e
delle associazioni rappresentative... (NO)
Il profilo forse di maggiore novità e interesse introdotto dall’art. 5
della riforma Gelli-Bianco si rintraccia proprio nell’iter di
formazione e validazione delle linee guida rilevanti per la
fattispecie penale. Gli autori di dette linee guida sono individuati
negli enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società
scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle
professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e
regolamentato con decreto del Ministro della salute. Il co. 3
dell’art. 5 prevede che le linee guida ed i relativi aggiornamenti
siano integrati “nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG)”.
Se da un lato, quest’ultimo dovrà essere disciplinato da un
decreto ministeriale da adottare previa intesa con la Conferenza
permanente Stato-Regioni, dall’altro, si deve pure ricordare che
la pubblicazione delle predette linee guida è attribuita all’Istituto
Superiore di Sanità, “previa verifica della conformità della
metodologia adottata a standard definiti e resi pubblici dallo
stesso Istituto, nonché della rilevanza delle evidenza scientifiche
dichiarate a supporto delle raccomandazioni”. L’intervento
normativo di nuovo conio ha determinato la rinnovata
soggezione della responsabilità del medico al giudizio che
governa la colpa in generale che, come si è visto, è imperniato
sull’accertamento della violazione di una regola cautelare da
parte di un soggetto fisicamente capace di uniformarsi alla
medesima: giudizio nel quale il protagonismo di consulenti e
periti permane ed è forse accresciuto.
...Alla individuazione degli esperti nei singoli procedimenti
(NO)
L’importante novità introdotta in materia processuale penale
concerne la specializzazione dei tecnici chiamati a coadiuvare il
giudice penale nell’accertamento della responsabilità dei sanitari.
È stato previsto che nell’albo dei periti siano indicate e
documentate le specializzazioni degli iscritti esperti in medicina,
e, che, tale elenco venga aggiornato con cadenza almeno
quinquennale, al duplice fine di garantire, oltre a quella medico-
legale, un’idonea e adeguata rappresentanza di esperti delle
discipline specialistiche riferite a tutte le professioni sanitari.
L’altra rilevante novità riguarda l’obbligo di indicare
relativamente a ciascuno degli esperti…l’esperienza professionale
maturata, con particolare riferimento al numero e alla tipologia
degli incarichi conferiti e di quelli revocati.
L’art.15, chiude con una disposizione relativa ai compensi dei
consulenti/periti, ai sensi della quale, nella determinazione del
compenso globale dovuto al collegio non si applica l’aumento del
40 per cento per ciascuno degli altri componenti del collegio
previsto dall’art. 53 del testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia di spese di giustizia. Ad onor del vero
non può non rilevarsi come tali sforzi legislativi rischino di andare
a vuoto ove li si inquadri nel contesto normativo già descritto: se
la necessità di scegliere all’interno di tale albo non vale né per il
giudice né tantomeno per il Pubblico Ministero prescrive la
possibilità di scegliere il proprio consulente senza formalità
alcuna e rimane aperta la possibilità che entrambe le figure
decidano di avvalersi di soggetti non ricompresi in tali elenchi.
La delicatezza del tema è stata percepita dal CSM che è
tempestivamente intervenuto con risoluzione plenaria del 25
ottobre 2017 cercando di assicurare maggiore prescrittività
all’impianto della novella: dopo aver affermato la centralità nella
scelta del consulente delle modalità di formazione, iscrizione e
tenuta dell’albo dei consulenti e perito istituito presso il
Tribunale. Tanto più esaustive sono le informazioni relative ai
professionisti desumibili dall’albo, tanto più il giudice è in grado
di effettuare la scelta del consulente più idoneo all’accertamento
del caso concreto. L’esaustività delle informazioni in ordine agli
ausiliari concorre a garantire la trasparenza della assegnazione
degli incarichi. La nuova disciplina prevede che in tutti i
procedimenti in tema di responsabilità sanitaria, nel caso di
nomina di consulenti o periti, si provveda ad affiancare per lo
meno due professionalità, ovvero da un lato un medico legale e
dall’altro il professionista esperto della materia di cui si discute
nel procedimento. Tale affiancamento garantirebbero
l’opportuno collegamento tra sapere giuridico e sapere
scientifico, necessario per consentire al giudice di espletare in
modo ottimale la funzione di controllo logico razionale
dell’accertamento peritale.
In sede di revisione degli albi, sia indicata l’esperienza
professionale maturata, con particolare riferimento al numero e
alla tipologia degli incarichi conferiti e di quelli revocati ed ancora
che gli albi debbano essere aggiornati con cadenza almeno
quinquennale, al fine di garantire, insieme alla rappresentanza
medico-legale, anche un’idonea rappresentanza di esperti delle
discipline specialistiche riferite a tutte le professioni sanitarie, tra
i quali scegliere per la nomina. Le indicazioni operative già
approvate dal Plenum e che saranno di seguito specificate dal
suddetto protocollo nazionale sono già parzialmente tracciate e
così riassumibili: quanto al tema dell’aggiornamento degli albi il
CSM, nonostante il silenzio normativo, ritiene opportuno che la
prima revisione avvenga all’inizio del nuovo anno, dal momento
che si ritiene che effettivamente le indicazioni attualmente
presenti negli albi siano inattuali oltre che lacunose sotto il profilo
delle competenze e degli incarichi ricevuti e revocati.
Relativamente poi alle successive revisioni fissa in almeno cinque
anni è stato invece ritenuto più congruo dal Consiglio superiore
della magistratura nell’unico periodo di tre anni.
Quanto poi alle modalità di revisione degli albi, sarà
raccomandata, sia in sede di revisione che in sede di valutazione
delle nuove iscrizioni, una suddivisione delle specializzazioni dei
consulenti e dei periti su una base omogenea per tutto il Paese
sulla scorta di indicazioni uniformi fornite dalla Federazione
Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri. Il
Consiglio tende a riconsiderare radicalmente il concetto di
revisione degli albi quale mera bonifica. Il Consiglio indichi
l’opportunità di individuare in sede di Protocollo, una sorta di
griglia standardizzata delle esperienza acquisite he fissi per ogni
specializzazione, le durate temporali che debbano intendersi
come periodi orientativi minimi di svolgimento dell’attività
professionale in grado di indiare, in base ad ogni specializzazione
considerata, l’ottenimento o il mantenimento dell’esperienza
professionale pratica che possa rinforzare il mero possesso del
titolo, per il corretto adempimento del contenuto dell’art. 15
della l. 24/2017. È bene chiarire come tale griglia standardizzata
potrà e dovrà valere esclusivamente come requisito ulteriore ed
aggiuntivo per la selezione quale esperto incaricato dell’esame
tecnico di ipotesi della malpractice sanitaria, mentre non
costituirà un ulteriore requisito per l’iscrizione o il mantenimento
a seguito di revisione dell’albo.
Indicazioni sono fornite anche in merito all’articolazione del
procedimento di revisione che dovrà prevedere:
1. La comunicazione a tutti gli iscritti dell’inizio del
procedimento con l’indicazione dei tempi e della durata;
2. L’indicazione a tutti gli iscritti delle specializzazioni di
riferimento ai sensi dell’art. 15 della l. 24/2017, che saranno
prese in considerazione e oggetto di catalogazione;
3. La fissazione a tutti gli iscritti di un termine per comunicare
la volontà di rimanere iscritto o di cancellarsi, indicando, nel
primo caso tutti i dati curriculari utili ai dini della conferma
dell’iscrizione.
Il ‘’fascicolo del consulente o del perito’’ (NO)
L’Ordine locale dei medici dovrà consegnare al Comitato
competente per la revisione una “specifica scheda personale su
ogni consulente e perito iscritto, contenente i dati personali,
l’indirizzo PEC, le specializzazioni dichiarate dall’interessato e
riconosciute, con la relativa documentazione”. Ciò comporterà
anche un onere di verifica, in capo al medesimo Consiglio
dell’Ordine, funzionale a quella spettante al Comitato, dei dati
contenuti nella scheda personale e della correttezza dei dati
risultanti dall’Albo, delle pubblicazioni o attività scientifiche
svolte, del numero e tipologia degli incarichi ricevuti dall’autorità
giudiziaria o da altre autorità pubbliche nazionali o internazionali;
dell’esistenza o meno di incarichi giudiziari ricevuti e poi revocati,
della permanenza, specie dell’interesse in capo all’iscritto, da
manifestare entro un certo termine, al mantenimento
dell’iscrizione all’albo, dell’adempimento dei crediti formativi,
dell’avvenuta stipula di adeguata polizza assicurativa.
Le residue ipotesi di nomina dei consulenti non iscritti
all’albo (NO)
Talvolta sorge l’esigenza di nominare un professionista non
iscritto nell’albo del tribunale di appartenenza, sia per l’assenza di
professionisti competenti nella specifica materiale oggetto di
discussione, sia per l’esistenza di cause di incompatibilità, sia per i
fondati timori di non riuscire ad ottenere pareri del tutto
imparziali. La delibera consiliare prevede che si metta a
disposizione il suddetto “fascicolo del consulente o del perito”
mediante la fruibilità interdistrettuale e intradistrettuale degli
albi da parte di tutti i magistrati, tramite le personali postazioni
internet che garantiranno una libera consultazione e la più ampia
facoltà di informazione circa gli elenchi aggregati per singole
specializzazioni degli iscritti.
L'esigenza di accessibilità degli albi a livello nazionale (NO)
Il lavoro di aggiornamento e riqualificazione degli albi e la
costruzione dei “fascicoli dei consulenti e dei periti” porterà
automaticamente l’innalzamento della probabilità per l’autorità
giudiziaria di rinvenire negli albi stessi gli ausiliari con le adeguate
competenze per gli accertamenti del caso concreto. Secondo il
Consiglio superiore tali nomine extra-albo dovrebbero essere
giustificate soltanto dalle assolute peculiarità del singolo
accertamento e anche al fine di evitare pericolose cristallizzazioni
in cui sono sempre gli stessi professionisti a collaborare con gli
stessi magistrati. Il CSM ha ritenuto opportuno chiedere
l’intervento della Federazione Nazionale degli Ordini dei medici e
degli odontoiatri, per la preparazione di un elenco di
professionisti idonei ricoprire l’incarico nel singolo procedimento,
con la precisazione che l’elenco dovrebbe comprendere i
professionisti che svolgano attività presso un ente pubblico. Nel
caso in cui dovesse emergere l’esigenza di ricorrere a
professionalità diverse rispetto a quelle rappresentate dalla
Federazione nazionale degli ordini dei Medici e degli Odontoiatri
la delibera suggerisce il ricorso ad una procedura analoga a quella
appena descritta, in virtù della quale i rispettivi ordini saranno
chiamati quali rappresentanti al fine di presentare un elenco utile
per le scelte necessarie.
L'affidamento dell’esperto tra tutela penale...
Le questioni dell’affidabilità dell’esperto e dell’eventuale
perseguibilità penale del comportamento fraudolento di questi,
costituiscono problemi assolutamente attuali. I risultati di analisi,
studio e valutazione dell’esperto possono divenire utilizzabili ai
fini del processo, con un procedimento probatorio che è diverso a
seconda che si tratti di ipotesi di consulenza extraperitale o di
consulenza endoperitale.
Per la consulenza richiesta a seguito di perizia, il discorso si
rende più lineare dal momento che i problemi relativi alla verifica
dell’ammissibilità della consulenza dovrebbero essere risolti ed
assorbiti dalla coincidenza contestualistica tra la consulenza
stessa e la perizia. Oltre al primo momento in cui periti e
consulenti possono essere chiamati ad esporre i risultati dei
rispettivi studi ed analisi attraverso un eventuale incidente
probatorio disposto prima dell’apertura della fase propriamente
processuale, occorre considerare la fase dell’udienza preliminare
e la fase del giudizio così come regolamento dagli artt. 497, 501 e
152 disp att.
Art. 422 – attività di integrazione probatoria del giudice
Art. 501 – esame dei periti e dei consulenti tecnici: mentre
nell’udienza preliminare si prevedono modalità di audizione
indirette in dibattimento l’assunzione della prova tecnica avviene
per il tramite dell’esame incrociato (art. 499) che è l’unico
strumento in grado di portare ad un risultato euristicamente
affidabile ai fini della valutazione finale. Peraltro, il richiamo
contenuto nell’art. 501 alle disposizioni che regolano l’escussione
testimoniale appare un rinvio di ampio respiro ma, al contempo,
contiene un problema assai discusso rappresentato dalla clausola
di salvezza in quanto applicabili. Questa riserva lascia emergere
specifiche ed importanti differenze tra la posizione del consulente
tecnico e quella del testimone con tutta la serie di obblighi ed
impegni a quest’ultimo connessi, primo fra tutti, proprio l’obbligo
di veridicità.
Il tema responsabilità penali degli esperti: non ci sono dubbi sul
fatto che la responsabilità penale sia definita in base all’art. 373
cp (falsa perizia o interpretazione), disposizione a cui rinvia l’art.
377 cpp. Tale ultima disposizione è stata poi aggiornata tramite
l’aggiunta di due commi che prevedono condotte di violenza e
minaccia di ratifica ed esecuzione della Convenzione ONU contro
il crimine organizzato transnazionale (Convenzione di Palermo)
che invita gli Stati aderenti a sanzionare penalmente la
obstruction of justice, cioè le condotte di violenza, minaccia,
intimidazione, promessa, offerta di vantaggi per indurre alla falsa
testimonianza o comunque interferire nella produzione di prove
anche testimoniali nei procedimenti relativi ai reati oggetto della
Convenzione, oppure condotte consistenti nell’uso della violenza,
minaccia, intimidazione per interferire con l’esercizio di doveri
d’ufficio da parte di un magistrato o di un appartenente alle forza
di polizia.
Quanto i consulenti, poi, è necessario distinguere la posizione dei
consulenti delle parti private, da quelli del pubblico ministero.
Mentre per i primi vi sarebbe la copertura dell’art. 380 cp (che
prevede il delitto di patrocinio o consulenza infedele), per i
secondi, il panorama è più complicato. La giurisprudenza per
estendere la tutela penale e garantire in capo al consulente del
pm un obbligo di verità, lo caratterizza quale soggetto chiamato a
collaborare con la giustizia in veste di persona a conoscenza di
fatti rilevanti per la decisione. Proprio facendo perno sul rinvio
previsto dall’art. 501 cpp alle norme sull’esame dei testimoni,
ritiene, cioè, che il consulente tecnico possa rispondere delle
fattispecie previste per la persona informata dei fatti o testimone
mendace (false informazioni al pubblico ministero e falsa
testimonianza). Le Sezioni Unite hanno affermato che l’offerta o
la promessa di denaro o di altra utilità al consulente tecnico del
pubblico ministero, finalizzata ad influire sul contenuto della
consulenza, integra il delitto di intralcio alla giustizia di cui all’art.
377 cp, in relazione alle ipotesi di cui agli artt. 371 bis e 372 cp.
Per arrivare a tale soluzione i giudici di legittimità compiono un
doppio passaggio: in primo luogo affermano come il consulente
tecnico del pubblico ministero possa essere il soggetto attivo dei
reati di false informazioni o di falsa testimonianza, e in secondo
luogo, sottintendono un obbligo di verità in capo al consulente
tecnico del pubblico ministero.
Più articolato diventa il discorso quando si tratta di consulenza
tecnica extraperitale a causa della lettura combinata degli artt.
233, co. 1 e 501. La parte finale della prima norma permette ai
consulenti di presentare i propri elaborati direttamente al
giudice; tuttavia, una interpretazione che valorizzasse
eccessivamente questo dato lascerebbe intravedere la forza delle
suggestioni inquisitorie provenienti dal vecchio codice e
devierebbe sicuramente dai principi che ispirano l’acquisizione
della prova tecnica. Il parere del consulente non differisce in nulla
dalla relazione peritale e, di conseguenza, non deve esserci
alcuna deviazione processuale dagli ordinari meccanismi
acquisitivi che scaturiscono dagli artt. 501, 508, 511 (…)
soprattutto in termini di necessità del previo esame incrociato del
consulente ai fini della lettura solo successiva del parere
medesimo. La Corte costituzionale ha formulato al legislatore un
monito, a rivedere il sistema normativo che disciplina i doveri di
verità in un settore ormai tanto sensibile, cui si aggiunge, peraltro
l’auspicio della dottrina a un generale ripensamento dei delitti
contro l’amministrazione della giustizia, che renda compatibili tali
delitti con il mutato assetto processuale, magari mediante
l’inserimento del delitto di “falsa consulenza”, che includa tra i
soggetti attivi anche il consulente tecnico del PM nominato nella
fase delle indagini preliminari.
...E i problemi di rinnovazione in appello all’audizione
Il problema della natura dell’esperto rileva non solo sul piano
penale sostanziale, ma ovviamente, anche su quello più
squisitamente processualpenalistico, e riemerge in maniera
particolarmente sensibile quando occorra stabilire la portata
dell’obbligo di rinnovazione dell’audizione dell’esperto
medesimo, proprio in virtù della possibilità di ritenere l’esperto
“testimone”. Già intervenuta la Corte di cassazione rigettando i
ricorsi proposti dagli imputati condannati dal giudice d’appello –
in cui si lamentava proprio la mancata nuova audizione dei
consulenti del pubblico ministero – in base all’argomento che non
sussiste alcun vincolo di rinnovazione della prova in appello. La
Riforma cosiddetta Orlando, portata mediante la l. 103/2017,
difatti è intervenuta sul punto, attraverso l’introduzione del
nuovo co. 3 bis nell’art. 603 cpp, ove si prevede che in caso di
appello del pubblico ministero contro una sentenza di
proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova
dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione
dibattimentale. Ora, il primo passaggio che è importante mettere
in rilievo riguarda il fatto che la formulazione inserita nel nuovo
co. 3 bis dell’art. 603 cpp, sembra essere andata oltre quanto
richiesto dalla Corte di cassazione poiché non considera affatto il
requisito della decisività della dichiarazione, che invece era stato
dalla stessa Corte individuato e richiesto per la rinnovazione. La
lettera dell’art. 603, co. 3 bis cpp fa riferimento assai
genericamente ai motivi d’appello attinenti alla valutazione della
prova dichiarativa, con ciò lasciando ritenere che la rinnovazione
debba essere disposta in tutti i casi in cui il pubblico ministero
voglia lamentarsi di questioni valutative di prove a contenuto
dichiarativo. Ancora, mentre nelle ipotesi di rinnovazione
disciplinate dai primi due commi dell’art. 603 cpp si prevede un
controllo dell’ammissibilità della rinnovazione discriminando tra
prova scoperta o venuta ad esistenza dopo il giudizio di primo
grado e prova già nota, nel nuovo co. 3 bis dell’art. 603 cpp, tale
clausola non è riportata.
Dunque, la caratterizzazione della prova tecnico scientifica quale
prova complessa a contenuto misto e dell’esperto quale
testimone sui generis potrebbero da un lato escludere l’opzione
della obbligatoria rinnovazione dell’audizione in appello, lo
ribadiamo, nei casi in cui venga appellato un proscioglimento.
Occorre pure ricordare come, alla fine del 2017, la giurisprudenza
di legittimità avesse posto pure il dubbio se dovesse ritenersi
obbligatoria la rinnovazione anche nei casi di overturning da
condanna a proscioglimento. Tale dubbio, se da un lato appariva
del tutto infondato solo a basarsi sulla chiarezza del dettato
normativo, dall’altro invece si profilava reale posto l’intervento
della seconda Sezione della Suprema Corte, con la sentenza
41571/2017. Quest’ultimo aveva stabilito invece come debba
ritenersi obbligatoria la rinnovazione dell’istruzione
dibattimentale anche nel caso in cui il giudice d’appello venga
investito di vagliare un’ipotesi di condanna in vista del
proscioglimento. Le Sezioni Unite non hanno condiviso tale
orientamento, affermando invece il principio di diritto secondo
cui: nell’ipotesi di riforma in senso assolutorio di una sentenza di
condanna, il giudice d’appello non ha l’obbligo di rinnovare
l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che
hanno reso dichiarazioni ritenute decisive ai fini della condanna
di primo grado. Il giudice di appello è tenuto ad offrire una
motivazione puntuale e adeguata della sentenza assolutoria,
dando una razionale giustificazione della difforme conclusione
adottata rispetto a quella del giudice di primo grado.
L'esperienza francese: l’esperto ‘’del giudice’’ e il sistema
della esclusiva ‘’lista’’ nazionale e di quelli distrettuali (NO)
Nell’ordinamento francese la prova per esperti venga disciplinata
come perizia criminale dalle disposizioni contenute negli artt. da
156 a 169 del codice di rito: può essere ordinata sia su richiesta
del pubblico ministero, sia d’ufficio o su richiesta delle parti.
Quando il tempo impiegato dall’esperto supera l’anno, il giudice
istruttore può richiedere una relazione provvisoria prima del suo
rapporto finale. Gli esperti sono autorizzati ad aprire o richiudere
i sigilli apposti al materiale probatorio utile. Gli esperti possono
ricevere le dichiarazioni di persone diverse da quelle sotto
inchiesta, testimoni assistiti e parti civili, che possono essere
ascoltate solo con il lor consenso, l’autorizzazione del giudice e la
presenza del loro avvocato. Gli esperti presentano all’udienza il
risultato delle operazioni tecniche alle quali hanno proceduto e
giurano di nuovo, ma solo per aiutare la giustizia in loro onore e
coscienza. L’istituto dell’esperto quale braccio tecnico-scientifico
del giudice è per l’ordinamento francese un orgoglio nazionale,
difeso come unica via per l’introduzione nel processo della
soluzione scientifica affidabile. L’esigenza di regolamentare
l’accesso all’ufficio di esperto presso gli uffici giudiziari è stata
fortemente irrigidita nel 2004 attraverso una legge (l. 11.2.2004,
n. 130) ed un decreto applicativo (decreto 146/2004).
Attualmente l’accesso alla qualità di esperto è consentito
dall’iscrizione ad una lista tenuta presso ciascuna Corte d’appello
previa candidatura a richiesta dell’interessato. L’iscrizione iniziale
vale per un periodo di prova di due anni al quale segue la
possibilità di riscriversi per cinque anni. Le candidature sono
esaminate da una commissione locale composta da magistrati ed
esperti, incaricata di decidere, motivando, sulla base della
produzione scientifica dell’esperto e della formazione ricevuta.
L’iscrizione degli esperti è successivamente sottoposta alla
deliberazione dell’assemblea generale dei magistrati della Corte
d’appello sulla scorta della relazione del magistrato relatore. È
anche istituita una lista nazionale degli esperti, tenuta dalla Corte
di cassazione.
L’iscrizione ha la durata di sette e anni alla scadenza del periodo è
previsto che la domanda di iscrizione venga nuovamente
presentata. Il legislatore ha ritenuto di intervenire per garantire
la serietà della selezione di recente, tramite la l. 1577/2016
recante misure per l’ammodernamento della giustizia, che ha
modificato le disposizioni relativa all’iscrizione nella lista
nazionale degli esperti. Vi sono due casi in cui tale eccezione
sembra non poter essere esercitata. Sia le analisi relative alle
cosiddette impronte genetiche, sia gli accertamenti relativi agli
accidents medicaux, possono essere effettuate esclusivamente
dagli esperti che figurano nelle liste costituite su base distrettuale
o nazionale.
Art. 157
Anche il sistema francese è stato criticato per alcuni suoi punti
critici, tra cui la debolezza dell’elenco nazionale dei periti
giudiziali che comporta un numero insufficiente di periti e si rivela
poco conosciuta delle giurisdizioni e, di conseguenza, utilizzata
poco. Al livello locale, l’accento è stato posto sulla predominanza
di un sistema di cooptazione che conduce ad un rinnovo
insufficiente dei periti. Altro punto dolente è quello legato
all’assenza di criteri comuni presso le Corti d’appello per la
nomina degli esperti.
La corte di Giustizia dell’Unione europea sul ‘’caso
francese’’ e la compatibilità degli albi con i diritti di libera
circolazione dei professionisti (NO)
Assai importante poi ricordare come la Corte di Lussemburgo,
nella sua quarta sezione, si sia pronunciata, in data 17 marzo
2011, nel caso Pennaroja. La questione incidentale dinanzi alla
Corte di Lussemburgo era stata rimessa su istanza di un
interprete e traduttore di ventennale esperienza presso il
distretto giudiziario di Barcellona e riguardava la compatibilità
delle disposizioni nazionali adottate per l’istituzione degli elenchi
giudiziari in Francia, con il diritto dell’Unione e, in particolare con
le libertà di stabilimento e di esercizio di una professione. La
domanda, in realtà faceva riferimento agli elenchi degli esperti
giudiziari in generale. Ad avviso del ricorrente, difatti, questi
elenchi costituirebbero una restrizione alla libera prestazione dei
servizi, adottata sulla base di una decisione del magistrato. La
Corte ha ritenuto innanzitutto di doversi occupare
esclusivamente della questione relativa agli interpreti e traduttori
e, in secondo luogo, essa ha ritenuto che il meccanismo di tenuta
di tali albi sia comunque giustificato alla luca dell’interesse
generale, della protezione delle parti e della buona
amministrazione della giustizia. Tuttavia, l’iscrizione su queste
liste nazionali non tiene conto dell’esperienza eventualmente
acquisita precedentemente all’interno di un altro Stato membro.
Tenere conto di tale esperienza sarebbe, invece, un obbligo degli
Stati membri che viene spesso richiamato dalla Corte stessa. Per
quanto riguarda specificamente l’iscrizione nell’elenco nazionale
stabilito dalla Corte di cassazione, il richiedente deve dimostrare
la sua iscrizione su un elenco tenuto da una Corte d’appello per
tre anni consecutivi. È su questo punto che la normativa francese
ostacolava la libera prestazione di servizi all’interno dell’Unione,
poiché, ad avviso della Corte, non metteva la parte interessata in
grado di prendere conoscenza delle ragioni che hanno portato al
rifiuto dell’iscrizione e di opporsi a tale decisione, mediante
ricorso giudiziario per verificare la legittimità del rifiuto in base al
diritto dell’UE. La pronuncia “Pennaroja” rappresenta
sicuramente un recedente che tanto all’ordinamento francese
quanto gli altri ordinamenti dell’Unione, debbono e possono
tenere presente per il progressivo adeguamento delle modalità di
selezione degli esperti in sede di rinvio pregiudiziale.
Il Regno Unito tra common law, statutory law e proposte di
riforma (NO)
Anche il Regno Unito rappresenta, una realtà assai consapevole
delle difficoltà rappresentate dalle questioni della selezione degli
esperti da un lato e della necessità di migliorare i filtri e le
valutazioni della prova tecnico scientifica. Ha portato, nel 2009
alla pubblicazione da parte della “Law Commission” del
“Consultation Paper n. 190”, documento aperto alla
consultazione pubblica al fine di raccogliere pareri e
suggerimenti. Nel marzo 2011 la Commissione pubblicava il suo
report definitivo “Expert Evidence in Criminal Proceedings in
England and Wales”, articolando 22 proposte di integrazione o
riforma legislativa. La Commissione incaricata di aggiornare le
“Criminal Procedure Rules” stabiliva di apportare alcune
modifiche nell’edizione del 2014 delle medesime, proprio in
accoglimento di alcuni dei suggerimenti della Law Commission,
condivisi dal Governo, preparando peraltro un testo consolidato
delle “Criminal procedure Rules” e “Criminal Practice
Directions”. Nel 2015 il Regno Unito abbia provveduto ad una
ulteriore sistematizzazione generale della statutory law
attraverso l’emissione dello statutory instrument n. 1490 recante
“The criminal procedure rules 2015”, procedendo a risistemare in
realtà sia contenuti sia numerazione degli articoli. Peraltro, le
“Criminal Practice Directions”, siano state ulteriormente
aggiornate, con l’ultima revisione del 2018, che entrerà in vigore
nell’aprile del 2018. Invero la relazione della Law Commission
aveva preso le mosse proprio dalle lampanti emergenze della
casistica che dimostravano l’inadeguatezza degli strumenti della
common law, e rendevano improcrastinabile un deciso intervento
correttivo sul piano della statutory law.
Pronuncia Dallagher: la sentenza di condanna era basata quasi
interamente sulla “testimonianza esperta” relativa alla
comparazione dell’impronta di un orecchio trovata sul vetro di
una finestra situata sulla scena del crimine con quella
dell’orecchio dell’imputato. La sentenza di primo grado venne
annullata ed ordinata la celebrazione di un nuovo dibattimento
dal momento che la “fresh evidence” sollevava legittimi dubbi
sulla sicurezza e l’affidabilità di un’identificazione fondata sulla
sola “earprint evidence”. A seguito del secondo dibattimento del
2004, l’accusa venne fatta cadere addirittura dalla prova del DNA
che escludeva l’appartenenza di quell’impronta all’imputato
medesimo.
Il caso Clark (Sally): concluso con un ribaltamento della condanna
di primo grado, si fondava interamente sulle prove tecnico-
scientifiche volte ad accertare la possibilità o meno di ricondurre
due o più morti in cula nella stessa famiglia a fattori genetici o
ambientali. La Corte ebbe modo innanzitutto di stigmatizzare
l’assenza di una valutazione preliminare da parte della Corte di
primo grado riguardo all’ammissibilità di una prova statistica
quale quella che sarebbe stata fornita dall’espero in questione e,
in secondo luogo, giudicando grossolana e non sufficientemente
affidabile da essere debitamente valutata dalla giuria l’opinione
in questione.
Caso Cannings: la condanna dell’imputata per l’omicidio dei due
bambini venne annullata dalla Corte d’appello in base al rifiuto
del dogma affermandosi in un’ampia parte della comunità
pediatrica per cui l’eventualità di una morte inspiegata potesse
essere attribuita a cause naturali, ma la ricorrenza di due o più
morti in culla all’interno della stessa famiglia dovessero
inevitabilmente portare alla conclusione che fosse stato
commesso uno o più omicidi.
Caso Harris e altri: delicata questione del discrimine tra omicidio
e SBS (Shaken Baby Syndrome). Annullando questa sentenza di
condanna, fondata esclusivamente su una prova tecnico-
scientifica in campo medico che stabiliva una correlazione
biunivoca tra l’esistenza della cosiddetta “triade di ferite intra-
craniche” e la non accidentalità del danno occorso al neonato,
ancora una volta la Corte d’appello stigmatizzava l’ammissione di
una prova tecnica fondata su ricerche di esigua portata e che
attingevano peraltro ad una base di dati scientifici di cattiva
qualità.
R. v Henderson; R. v Butler; R. v Oyediran: in questa pronuncia,
la Corte di appello, decidendo tre appelli, tutti riguardanti ipotesi
di SBS, e pur ribaltando le sorti di una sola delle tre decisioni
impugnate, sottolinea la necessità di chiarire le regole per la
raccolta e l’assicurazione del materiale probatorio scientifico e
fissare in modo univoco ed approfondito i requisiti di
ammissibilità della prova scientifica in cui il quadro probatorio
poggia interamente sulle emergenze di carattere scientifico.
Un ‘’quadro normativo’’ già moderno: la ‘’Part 33’’ delle
Criminal Procedure Rules 2010 (NO)
La consapevolezza della sensibilità dei problemi connessi
all’acquisizione della prova scientifica nell’ordinamento del Regno
Unito era già stata dimostrata dalle riforme che il sistema inglese
aveva saputo sviluppare, proprio sul piano del diritto scritto.
Difatti già nel 2006 erano state introdotte importanti ed efficaci
innovazioni proprio nell’ambito della parte delle Criminal
Procedure Rules dedicata alla expert evidence.
Era già possibile distinguere alcune disposizioni di carattere
statico ed altre di carattere squisitamente processuale.
- Le prime: si occupano di stabilire e richiedere i requisiti di
qualificazione dell’esperto nonché la tracciabilità della
costituzione della expert opinion, mentre
- le seconde: erano dedicate alla procedura di discussione
dell’ammissibilità attraverso una apposita udienza, ai poteri
di indirizzo giudiziale delle attività in chiave di hearing
management e di semplificazione processuale nonché alla
predisposizione di alcune facoltà contrattuali in capo alle
parti.
I compiti dell’esperto: il medesimo esperto dovesse aiutare la
Corte fornendo una opinione obiettiva ed imparziale nelle
materie di sua competenza. La disposizione precisa come il
dovere di collaborazione con la Corte prevalga su qualsiasi
obbligazione nei confronti della persona da cui riceve istruzioni o
da cui sia retribuito e comprenda, altresì, quello di informare
tutte le parti e il giudice nel caso in cui il parere sia modificato
rispetto a quello fornito in un precedente report reso in funzione
probatoria o in una precedente dichiarazione.
Anche il contenuto del report dell’esperto era stato oggetto di
attenta regolamentazione. Il secondo tipo di disposizioni, di
carattere dinamico procedurale, interveniva invece a regolare
l’introduzione e il funzionamento della expert witness nel
dibattimento. Innanzitutto, la Rule 33.6 introduceva una pre-
gearing discussion of expert evidence, necessaria nel caso in cui
la prova per esperti sia richiesta da più di una parte e sia
finalizzata a puntualizzare preliminarmente le questioni di
carattere tecnico scientifico che siano rilevanti per la
prosecuzione del procedimento e che saranno oggetto della
expert evidence e volta alla stesura di una dichiarazione
congiunta delle parti e destinata alla Corte nella quale si
espongono le questioni su cui le parti medesime concordano
quelle su cui, invece, siano in disaccordo. Il contenuto di tale
verbale debba conservare un carattere di segretezza fino a
quando la Corte non ne consenta la diffusione. Rimanendo sul
tema della discussione preliminare della expert evidence, non può
omettersi di ricordare come l’aggiornamento normativo si
inquadrasse nella tradizione tipica dell’imposizione di common
law e cioè all’interno di una cornice procedurale che già
prevedeva l’articolarsi di “udienze ad hoc” per la trattazione di
alcune questioni preliminari. È il caso di precisare come la detta
cornice procedurale assumesse delle connotazioni peculiari a
seconda che si trattasse di procedimenti di competenza delle
Crown Courts, o di procedimenti nei confronti di ipotesi di minor
allarme sociale che si svolgono, invece, come noto, dinanzi alle
Magistrate’s Courts. Nel caso di trial on indictment, difatti, si
procedeva in una plea and case management heraging (PCMH), al
fine di assicurare una precisa articolazione delle questioni, delle
attività e dei tempi da seguire per la celebrazione del
dibattimento. Potrebbe emergere una questione sulla
ammissibilità della expert evidence che verrebbe rimandata ad
una apposita udienza da celebrarsi in assenza della giuria.
Anche se con frequenza e rilevanza prevedibilmente inferiori,
questioni di carattere tecnico scientifico sarebbero potute
emergere anche qualora l’imputazione riguardasse ipotesi di
reato meno gravi e dunque il procedimento avesse seguito la
strada dei summary proceedings, riguardando la competenza
delle Magistrate’s Courts. La questione dell’ammissibilità della
expert evidence è preferibilmente attribuita ad un giudice
professionale. In questo quadro si innestava l’innovazione
apportata dall’approvazione della versione 2010 delle Criminal
Procedure Rules. Quella descritta nella parte quindicesima si
concretizzava in una forma di razionalizzazione della normativa di
carattere scritto e in una indubbia razionalizzazione dei tempi e
dell’efficienza processuale. Gli artt. 33.7 e 33.8 delle Criminal
Procedure Rules 2010 conferivano alla Corte il potere di ordinare
che l’esperto che avesse dovuto rendere la expert opinion fosse
unico.
L’individuazione del singolo esperto in comune introduceva in
capo alle parti facenti parte del medesimo centro di interesse
alcuni doveri di collaborazione e correttezza, del tutto consueti
del resto al contesto giuridico anglosassone. Era previsto che, nel
caso in cui un imputato volesse fornire direttive o istruzioni
all’esperto, queste fossero comunicate anche agli atri co-
defendants, e, che la Corte potesse dare istruzioni circa gli esami,
le misurazioni i test o gli esperimenti che l’esperto intendesse
effettuare, nonché dare istruzioni ed imporre limitazioni
all’ammontare delle spese e dei compensi da corrispondere
all’esperto, prima, però, che l’esperto avesse ricevuto le istruzioni
e le direttive sull’incarico da svolgere.
I suggerimenti di riforma della Law Commission verso un
modello ‘’continentale’’?... (NO)
L’introduzione di norme ad hoc per le scientific expert evidences
e per le experience based expert evidences. Riguarda
l’introduzione di un esplicito ruolo di gate-keeper da parte del
giudice, a cui dovrebbe essere affidato un test al fine di
determinare se le prove tecnico-scientifiche di cui si richiede
l’ammissione in dibattimento siano sufficientemente affidabili da
essere ammesse. È importante chiarire come le determinazioni in
tema di ammissibilità costituiscano questioni di diritto (matters of
law) e debbano essere successive al vaglio probatorio che il
giudice abbia già effettuato circa la rilevanza e l’utilità
(helpfulness) alla giuria.
Il trial judge dovrà in primo luogo accertarsi che vengano
soddisfatti i requisiti della rilevanza logica della prova richiesta
sulla questione in causa, della sostanziale assistenza alla giuria e
della qualificazione dell’esperto nel campo della expertise e della
sua capacità di fornire una opinione imparziale. Il giudice
dovrebbe essere nelle condizioni di applicare il gate-keeping test,
volto a stabilire, se la prova sia sufficientemente affidabile da
essere considerata ben accettata da una giuria, e dunque a
esaminare e sottolineare la metodologia su cui si basa l’esperto.
Si è innanzitutto tracciato un processo valutativo a tre fasi:
1. occorre valutare i principi, la metodologia e gli assunti su cui
l’expertise dovrebbe sostenersi,
2. valutare l’applicabilità e la riferibilità dei principi delle
metodologie e degli assunti ai fatti di causa,
3. il ragionamento dell’esperto nella sussunzione dei fatti di
causa all’interno delle categorie suddette, valorizzando i
preziosi contenuti della pronuncia Joiner, la cui innovatività
risiedeva, come noto, proprio nella focalizzazione della
necessità di scindere i piani della metodologia applicabile e
delle conclusioni possibili.
Una delle raccomandazioni della Law Commission preveda il
costante e preciso riferimento alle linee guida più rilevanti per il
settore di competenza dell’expertise, da effettuarsi, invero
incorporando all’interno della legislazione le guidelines relative,
quantomeno, ai principali tipi di prova scientifico-tecnica implicati
nei processi penali, anche basandosi sul US Reference Manual on
Scientific Evidence. La particolarità è rappresentata dalla
predisposizione di due proposte di riforma distinte a seconda che
la expert evidence riguardi una presunta prova scientifica o,
altrimenti una cosiddetta experience-based evidence. La
distinzione dimostra una ulteriore applicazione della triade
Daubert-Joiner-Kuhmo, ma anche di tutto il dibattito dottrinale e
giurisprudenziale.
Per la prima categoria di expert evidence la proposta di riforma
prevede che la Corte dovrebbe prendere in considerazione alcuni
intenditori, e segnatamente: se i principi e le tecniche sui quali la
prova si fonda sono stati sufficientemente testati e, se è così, fino
a che punto l’analisi condotta ha mostrato la loro fondatezza; il
margine di errore comunemente associato con l’applicazione dei
detti principi; se esiste letteratura scientifica in materia e fino a
che punto i principi e le tecniche in questione sono stati
considerati in quella letteratura; le competenze e le tecniche in
questione sono stati considerati in quella letteratura; le
competenze dell’esperto e la sua qualificazione scientifica; la
validità delle opinioni contrastanti con quelle dell’esperto e la
rilevanza scientifica di coloro che le hanno sostenute; l’esistenza
di eventuali indici che suggeriscano che l’esperto abbai violato i
suoi doveri di imparzialità.
Assai frequenti nella prassi sono le ipotesi in cui occorra dirimere
una o più questioni che non ricadono in ambito squisitamente
scientifico, ma in un’area definita dalla dottrina e dalla
giurisprudenza come science non science. Si parla di experience-
based evidence, ovvero di prova fornite tramite pareri che si
fondano più che altro su tecniche, pratiche ed esperienze.
Rientrerebbero in tale categoria, anche le opinioni fornite dai
cosiddetti ad hoc experts, ovvero quelle particolari figure di
specialisti che avrebbero maturato la loro esperienza durante il
corso della fase investigativa prodromica al dibattimento.
Funzionale sembra l’articolazione della disposizione proposta
dalla Law Commission, secondo la quale al fine di determinare se
l’opinione di un determinato esperto sia sufficientemente
affidabile da poter essere ammessa, la Corte dovrà valutare le
competenze dell’esperto, la sua formazione e le sue
pubblicazioni, nonché la sua posizione nella comunità scientifica;
fino a che punto il fondamento e la validità dell’opinione espressa
dall’esperto appaiono spiegabili e concretamente dimostrabili.
Infine, la Corte sarà tenuta a verificare l’esistenza di eventuali
indici che suggeriscano che l’esperto abbia violato i suoi doveri di
imparzialità.
...Specie con riguardo ai Court’s appointed assessors...
(NO)
Il potere-dovere di decidere in merito all’ammissibilità della
prova scientifica nel processo inglese è del giudice e deve
continuare a rimanere del giudice. È questa la premessa che la
Law Commission pone alle iniziative in analisi, alle eventuali
proposte di modifica che dovessero risultare in seguito alle
consultazioni richieste. L’impostazione inglese ha sempre
rifiutato di importare dai modelli continentali, qualsiasi figura di
perito o di esperto del giudice, confidando sulla piena capacità
euristica del sistema della cross-examination.
La proposta in questione, oltre ad essere espressamente ancora
aperta alle consultazioni proprio in virtù della forte componente
culturale della tematica, appare avanzata con molta cautela,
tanto che, si concretizzerebbe in un mero intervento adeguativo
nella parte in cui permette al giudice di ordinare la nomina di un
single joint (defence) expert. L’innesto normativo, il cui ambito di
applicazione, dovrebbe essere limitato ai soli procedimenti on
indictment innanzi alle Crown Court, e dovrebbe essere articolato
secondo le seguenti linee: quando una parte intende fare
riferimento ad una prova tecnico-scientifica la Corte potrà
chiedere l’assistenza di un altro tecnico, indipendente, al fine di
determinare se la prova è stata correttamente qualificata come
scientifica e se è sufficientemente affidabile da poter essere
ammessa. Il tecnico indipendente in questione viene individuato
dalla Corte tra quelli inseriti in un apposito elenco predisposto a
tal fine dalle parti.
...e la controspinta conservatrice, tra esigenze di bilancio e
conservazione della common law (NO)
Le 22 proposte avanzate dalla Law Commission (che ruotano
intorno a quei quattro macro-temi) sono state in parte rigettate.
Quanto alla proposta relativa al primo macro-tema, l’inserimento
del “relability test” per l’ammissione della expert evidence in
dibattimento, il Governo ha ritenuto che l’implementazione della
proposta nella statutory law, se da un lato avrebbe senz’altro
potenziato the existing common law rules, dall’altro lato, avrebbe
sicuramente comportato un aumento di costi a carico del bilancio
pubblico. Anche le proposte di rendere unica ed uniforme la
check-list per i giudici dibattimentali per la valutazione della
expert evidence, sono state scartate.
Il parere Governativo, si premura non solo di indicare in alcuni
passaggi della nota e già citata sentenza Harris ed altri, quale
guida completa della common law sull’ammissibilità della prova
per esperti, ma pure come futher guidance on expert evidence
for the courts is currently available including in Part 33 of the
Criminal Procedure Rules 2012 and in the Crown Court Bench
Book – Directing the Jury.
Quanto alla proposta avanzata dalla Law Commission circa
l’inserimento all’interno delle Criminal procedure Rules della
procedura a cui si è già accennato e che è stata denominata nella
pratica e in dottrina come dell’hot-tube e che consiste nella
discussione tra gli esperti prima del trial e che comporterebbe ad
ogni modo la presenza del judge.
Quanto alla proposta di legiferare introducendo il potere di
nominare un esperto indipendente, il Ministero nel rifiutare la
proposta, argomenta, da un lato l’aggravio di costi derivanti
dall’allestimento e dal mantenimento dell’apparato
amministrativo degli assessment panels e degli indipendent
appointed assessors, e, dall’altro, suggerendo come tale modifica
potrebbe anche risultare non necessaria ove si riuscisse a
sfruttare la possibilità di far effettuare ad un altro testimone la
valutazione preliminare della verosimile importanza della expert
opinion evidence richiesta dalle parti ed eventualmente da
ammettere nell’ambito dell’intero contesto processuale.
Il ‘’forensic science market’’ e l’accreditamento degli
expert witnesses (NO)
Il quarto punto su cui la Law Commission focalizza l’attenzione
riguarda l’opportunità di pensare ad una modifica o ad un
miglioramento sotto il profilo dell’accreditamento degli esperti.
L’attuale organizzazione del panorama delle scienze forensi in
Inghilterra: a qualsiasi organismo, ordine o ente l’esperto
appartenga, il meccanismo di ingresso delle sue competenze nel
processo prevede la sottoposizione a cross-examination
all’interno del dibattimento, anche se l’incarico può essere stato
affidato sin dal corso della prima fase. La maggior parte delle
indagini di carattere forense per l’accusa è svolta dal personale
della polizia scientifica, che copre all’incirca il 52% del “forensic
science market”. All’interno di tale quadro è utile rilevare come
l’Association of Chief Police Officers (ACPO) sia responsabile dello
sviluppo della strategia per l’uso e lo sviluppo delle scienze e
tecniche forensi da parte della Polizia, per la distribuzione del
personale e per la fornitura di servizi di forensic services ai
soggetti processuali terzi. La restante parte del settore, che
incrocia le attività sia di carattere pubblicistico che le indagini
della difesa, è affidata a soggetti esterni. All’interno di tale
percentuale, circa il quaranta per cento è affidato al Forensic
Science Service (FSS), divenuta dal dicembre 2005, una società di
proprietà governativa. La maggioranza del residuo è affidata ad
una Società privata, la LGC, che ha di recente acquisito la sa
maggiore competitrice nei servizi di carattere forense, ovvero la
Forsensic Alliance.
Organizzazione degli esperti:
- In primo luogo la presenza della Academy of Experts che
provvede all’accreditamento, alla formazione e all’assistenza
per le questioni di carattere tecnico.
- Il Council for the Registration of Forensic Practitioners
(CRFP) è un organo di regolamentazione della professione
che gestisce un registro di professionisti regolarmente in
attività, costituito nel 1999 attraverso il contributo del
Ministero dell’interno, al fine di assicurare standard
qualitativi minimi per la pratica delle scienze forensi, tant’è
che i requisiti d’ingresso richiedono una competenza
aggiornata e verificabile in base ad una peer review di casi
trattati di recente e la registrazione deve essere aggiornata e
convalidata ogni quattro anni.
- Altri enti ed organismi aventi finalità più che altro
promozioni: l’Expert Witness Institute, che ha compiti di
formazione ed aggiornamento.
- La Forensic Science Society che è un ente professionale che
pubblica una rivista, pubblicizza i premi ed i riconoscimenti,
ed organizza convegni e conferenze.
- La Society for Expert Witnesses che gestisce un network di
testimoni esperti.
Tali organizzazioni provvedono a fornire elenchi di expert
witnesses a potenziali clienti e datori di lavoro. Il CRFP è l’unico
organismo di esclusiva pertinenza penalistica oltre che
l’accreditamento quale obiettivo e finalità esplicite. E sono
proprio l’iscrizione e l’accreditamento obbligatorio presso il CRFP
ad essere stati da tempo suggeriti da più parti quale strumento
ideale per tentare di risolvere il problema della garanzia di un alto
livello qualitativo dei testimoni esperti dinanzi alle Corti penali. Le
conclusioni suggerite dalla Law Commission escludono, in verità,
qualsiasi proposta che preveda una obbligatorietà
dell’accreditamento a causa delle difficoltà pratiche e finanziarie.
Il Forensic Advisory Council, il Forensic Science Regulator e
i progetti per i Codici di pratica e di condotta per la giustizia
penale (NO)
All’interno del sistema inglese era già individuabile un organismo,
il già citato Forensic Science Service (FSS), avente in primo luogo
il ruolo di consulente del governo in materia di scienze forensi
oltre che il compito di individuare gli standard di qualità nel
medesimo settore. Il FSS ha successivamente assunto il regime
giuridico economico di una società per azioni, interamente
controllata dal Ministero degli Interni, che opera in regime di
competizione sul mercato, con altri fornitori di servizi forensi.
È sorta la necessità di creare un’autorità centrale di carattere
pubblico con il compito istituzionale di stabilire norme uniformi e
criteri minimi di qualità del trattamento delle prove scientifiche
sia per il corretto operato della polizia sia per l’ambito più
generale del Criminal Justice System. Si tratta di due organismi
interdipendenti nominati nell’ambito del Ministero degli interni: il
Forensic Advisory Council e il Forensic Science Regulator. Il
primo è un organo collegiale che, svolge una funzione di supporto
e consulenza nei confronti del Regular nelle questioni relative agli
standard di qualità nel campo delle scienze forensi, quali il
controllo della conformità agli standard di qualità nella fornitura
di servizi, la regolamentazione dell’accreditamento per la
fornitura di tali servizi alla polizia, compresi i servizi di polizia in-
house; le procedure per la convalida e l’approvazione di nuove
tecnologie e applicazioni; la regolazione e il controllo del rispetto
delle norme in materia di banche dati nazionali di scienze forensi,
tra cui la banca dati nazionale del DNA; la supervisione della
qualità dei corsi accademici e didattici nelle scienze forensi; gli
sviluppi internazionali pertinenti agli standard di qualità;
l’assistenza al Regulator per i rapporti e le eventuali consulenze
richieste dal Ministro degli interni e/o altri.
Diretta promanazione del FSAC è poi l’ufficio monocratico del
Forensic Science Regulator, che è peraltro direttamente
responsabile nei confronti del ministro degli interni e che, già dal
2009 perseguendo l’obiettivo di predisporre e promulgare
standard unici per il settore delle scienze forensi, provvide a
pubblicare un consultation paper aperto, alla procedura di
consultazione per accogliere proposte, emendamenti e feedback,
conclusasi nel 2010 e convogliata di un progetto contenente la
stesura provvisoria dei Codes of practice an conduct for forensic
science providers and pratictioners in the Criminal Justice System.
Ambiti d’applicazione soggettivo. Comprende tutte le
organizzazioni e i professionisti che hanno come principale
compito quello di fornire consulenza tecnico-scientifica al sistema
di giustizia penale inglese e dunque, include tutti i servizi di
polizia, i laboratori appartenenti al settore pubblico e privato, i
consulenti forensi e gli experience-based expert, sia che tali
soggetti siano al servizio del Crown Prosecution Service sia che
prestino la propria opera per la difesa. Quanto all’ambito di
applicazione oggettiva, la locuzione forensic science è da subito
specificata nell’introduzione al progetto, ove si delimita il campo
d’azione e d’applicazione di questi codici alle tre tematiche
ritenute maggiormente sensibili: il funzionamento dei laboratori
d’analisi, l’indagine sulla scena del crimine, e la patologia forense.
Per attività di laboratorio debba intendersi qualsiasi misura
adottata in un laboratorio nel quadro del reperimento e del
recupero di tracce sui reperti, nonché nel quadro
dell’elaborazione, dell’analisi e dell’interpretazione di prove
forensi al fine di fornire perizie o scambiare prove forensi.
Uno degli aspetti maggiormente interessanti riguarda la gestione
del materiale rinvenuto sulla scena del crimine, per il quale è
innanzitutto prevista una valutazione preliminare ed una scelta
della priorità di trattamento, analisi ed ottenimento dei risultati,
ed in secondo luogo, la standardizzazione delle procedure di
raccolta, protezione, conservazione ed eventuale restituzione dei
reperti.
Un buon risultato sembra sia stato raggiunto attraverso la stesura
di una disciplina delle modalità di presentazione delle prove
tecnico-scientifiche, nell’intero corso del procedimento penale e,
dunque, dallo svolgimento delle indagini alla celebrazione della
fase processuale. Si tratta di una vera e propria graduazione della
utilizzabilità e di una formalizzazione della utilizzabilità elativa
delle relazioni tecnico-scientifiche; le tipologie di report
configurate nel progetto di Codice prevedono ipotesi di Interim
progress reports, Abbreviated statements, Streamlined Forensic
Reports e Full Statements.
Gli Interim progress reports si sviluppano sul versante
accusatorio e costituiscono delle relazioni intermedie, rese da
società o privati, sulla scorta di convenzioni o affidamenti ad hoc,
alle autorità procedenti, appunto, nelle fasi iniziale d’indagine,
ancora non soggettivizzate, al fine di consentire indirizzi e sviluppi
efficaci alle successive attività investigative.
Le Abbreviated statements sono state pensate ai fini della
segnalazione della presenza di tracce di DNA o della presenza di
sostanze chimiche o droghe conosciute. Sono intese quali
rapporti molto brevi e dovrebbero servire innanzitutto a facilitare
l’amministrazione del caso ed in secondo luogo ad informare la
difesa circa l’esistenza di una questione tecnico-scientifica,
preliminare ad una richiesta di approfondimenti da parte della
difesa medesima, e ad una eventuale contestazione dei risultati o
dei quesiti presupposti.
Gli Streamlined Forensic Reports (SFR) rappresentano il punto
d’arrivo di una iniziativa nazionale già in fase di rodaggio e
sostituirebbero i già citati Interim Reports e gli Abbreviated
statements. Dal punto di vista funzionale gli SFR potrebbero
fornire il fondamento per l’arresto, l’imputazione e le First Court
Hearing. L’ulteriore ratio dell’istituto e risiede nell’intento di
anticipare ed esaurire tutte le questioni collegate all’attività di
active case managemente prevista che impone, tra l’altro, alle
parti di collaborare con la Corte al fine di una pronta
identificazione dei temi da provare e di assicurare che i risultati di
prova, siano o no contestati, vengano presentati nel modo più
chiaro e sintetico possibile.
Sono le Full Statements, però a rappresentare lo strumento
completo e compiuto per l’introduzione delle expert evidences
nel processo, oltre a richiamare i doveri di verità e di rispetto da
parte del testimone esperto, completa le disposizioni contenute
nella parte 33 delle Criminal Procedure Rules, assicurando un
buon risultato d’integrazione tra piano legislativo e piano
applicativo.
Investigazioni difensive sui luoghi e sulle tracce
Premessa
Il codice di procedura penale del 1988 ha puntato tutto sulla
garanzia della dialettica tra le parti, accusa e difesa, sottraendo al
pm il monopolio delle indagini preliminari. Viene riconosciuto alle
parti private il diritto di difendersi indagando (art. 38 disp att
cpp), ovvero il diritto di ricercare, individuare e assicurare gli
elementi di prova a proprio favore.
Nel 2000, con la l. 7 dicembre, n. 397 – immediatamente
successiva alla riforma dell’art. 111 Cost sul giusto processo
(attuata con l. cost. 23.11.1999, n. 2) – la scarna ed insufficiente
regolamentazione delle indagini della difesa viene arricchita
notevolmente attraverso l’introduzione di una adeguata e
specifica disciplina delle Investigazioni difensive (Titolo VI bis,
Libro V, cpp). In questo modo il principio di parità delle parti
processuali assume una valenza concreta e tangibile: la difesa
gode di un nuovo diritto, quello di difendersi provando, potendo
compiere indagini finalizzate all’acquisizione di elementi di prova
sui quali basare le proprie richieste, analogamente a quanto già
previsto per la parte pubblica. Al fine di evitare la possibile
faziosità degli elementi raccolti dalla difesa e, al contempo, di
rendere effettivo il diritto alla prova delle parti private, appare
indispensabile, in primis, soffermarsi sulle prerogative che il
legislatore ha attribuito ai difensori in modo da delineare il
perimetro di operatività delle investigazioni difensive e, in
secondo luogo, evidenziare i possibili punti di contatto tra le
indagini private e quelle pubbliche, intravedendo nella
cooperazione l’elemento chiave per il raggiungimento della verità
non solo processuale ma anche storica.
Le investigazioni tecniche della difesa tra certezze e
scetticismi
In un sistema accusatorio che si rispetti, il diritto di difesa, la
parità delle parti processuali e il principio del contraddittorio
nella formazione della prova appaiono indiscussi. Eppure c’è
voluto del tempo prima che il legislatore introducesse una
normativa ad hoc (l. 397/2000) per regolamentare il complesso di
attività che il difensore delle parti private avrebbe potuto
compiere in favore del proprio assistito al fine di rendere effettivi
tali diritti. La zona grigia della novella appare assai più
preoccupante in tema di indagini tecnico-scientifiche che –
aumentano in linea di principio – possono essere espletate anche
dal difensore. Si riscontrano innumerevoli dubbi e perplessità in
ordine all’ampiezza dei poteri concessi alla difesa allorquando si
accinge a compiere il sopralluogo, ovvero all’opportunità di
provvedere autonomamente alla ricostruzione della scena
criminis in alternativa o con la collaborazione del pm. Lo studioso
è chiamato a chiedersi se e in che misura vada garantita la parità
delle parti processuali in una fase pre-istruttoria, ovvero se quel
diritto di difendersi costituzionalmente protetto possa spingersi
fino a ricomprendere il diritto di ricercare la prova.
Il tormentato diritto di difendersi ‘’ricercando’’.
L'evoluzione gius-normativa delle indagini tecnico-
scientifiche delle parti private
Al fine di rendere effettivo il diritto di difendersi provando sono
indispensabili alcune attività preliminari di ricerca ed
individuazione dell’elemento di prova: l’onus probandi
presuppone il potere di indagine data l’evidente considerazione
che per difendersi è necessario conoscere e, per conoscere, è
essenziale cercare.
Per potersi dire compiuta la strategia difensiva deve presuppore
come premessa logica la comprensione dell’ipotesi accusatoria
(diritto di difendersi conoscendo), concepire come naturale
sviluppo strategico il compimento di attività dirette alla ricerca di
elementi utili alla discolpa (diritto di difendersi investigando) e
focalizza il momento cruciale della difesa nell’esercizio del diritto
alla prova (diritto di difendersi provando) inteso come diritto
all’ammissione, all’assunzione e alla valutazione delle prove
offerte al giudice senza soffrire arbitrarie limitazioni nei mezzi o
nell’oggetto.
Le tracce – ovvero i segni materiali del reato utili alla
ricostruzione della vicenda criminosa – potrebbero venire
disperse, alterate o contaminate durante l’esecuzione del
sopralluogo giudiziario: una ricerca parallela degli elementi da
parte del difensore o dei suoi ausiliari appare indispensabile ad
arginare i pericula che potrebbero verificarsi in tale fase.
La ricerca di prove scientifiche da parte della difesa consente:
a. Di poter acquisire informazioni che, per la loro estrema
labilità e/o difficile individuazione, potrebbero non essere
repertate, non essere repertate per tempo, o essere
repertate male dalla pubblica accusa;
b. Tempestivo controllo sull’attività tecnica condotta dalla pg;
c. Attuazione del principio del contraddittorio nella formazione
della prova, nella misura di una presenza consapevole
all’accertamento tecnico irripetibile e dell’eventuale
attivazione della richiesta di incidente probatorio;
d. Una più ampia prospettiva di ricostruzione degli eventi che
permetta di fornire piste alternative all’inquirente;
e. Una più compiuta realizzazione della prova scientifica in
dibattimento, che non si ridurrà ad una rivalutazione di
materiale reperito da altri, ma in una effettiva prova
originale di parte.
Alle origini della prova tecnica del difensore: la disciplina
incompiuta dell’art. 38 disp. Att. Cpp.
Il legislatore dell’88 prevede la facoltà del difensore di svolgere
investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a
favore del proprio assistito nell’art. 38 disp att cpp.
Versione 1988 – art. 38 disp att – facoltà dei difensori per
l’esercizio del diritto alla prova: in sostanza il legislatore mette a
punto una disciplina che si limita a statuire il diritto di difendersi
mediante lo svolgimento di un’indagine privata, senza fornire
alcuna indicazione in merito ai singoli tipi di attività esperibili, né
tantomeno sulle forme di documentazione delle stesse e sul
regime di utilizzabilità processuale dei risultati delle investigazioni
compiute dal difensore o dai suoi ausiliari. La stessa
giurisprudenza, sia di merito di legittimità, seguiva la medesima
scia ermeneutica: negava la possibilità di utilizzare gli elementi
probatori raccolti durante la fase delle indagini del difensore
attraverso la teoria della canalizzazione.
La l. 8.8.1995, n. 33 inserisce due commi (co. 2 bis e 2 ter) all’art.
38 disp att cpp, fornendo una disciplina esaustiva dei poteri
attribuiti al difensore delle parti private e i limiti di utilizzabilità
della documentazione così raccolta.
Versione 1995 – art. 38 disp att – facoltà dei difensori per
l’esercizio del diritto alla prova: nulla, invece, la norma aggiunge
in tema di indagini tecnico-scientifiche, non tipizzando il potere
del difensore di condurre accertamenti e rilievi, né tanto meno le
forme della relativa documentazione. La novella fornisce al
difensore un diritto solo su carta.
La tipizzazione dell’indagine tecnica: la disciplina ultimata
dalla l. 397/2000
Con la l. 7.12.2000, n. 397, recante Disposizioni in materiale di
indagini difensive, il cerchio si chiude: con l’abrogazione dell’art.
38 disp att cpp viene completamente ridisegnato il ruolo del
difensore, segnando il definitivo passaggio da una difesa di
posizione a una difesa di movimento. Il legislatore propende per
la creazione di una normativa ad hoc: viene individuata una
nuova sede materiae nel titolo VI bis, appositamente innestato
nel corpo del Libro V del codice di rito, fornendo una degna
collocazione alla disciplina delle indagini difensive nell’ottica di un
affiancamento all’attività di indagine del pubblico ministero. L’art.
327 bis cpp è collocato immediatamente dopo la disposizione
relativa alla direzione delle indagini preliminari da parte della
pubblica accusa e subito prima della norma che attribuisce al gip
l’attività giurisdizionale nella fase delle indagini preliminari.
Attraverso l’indicazione di precise condizioni operative e la
riutilizzazione dei canali di impiego dei dati raccolti (che
confluiscono nel terzo fascicolo o fascicolo del difensore), viene
garantito anche un corretto impiego processuale degli stessi.
L’assetto più importante della riforma legislativa sta nell’avere
configurato un vero e proprio diritto alla prova scientifica del
difensore delle parti private, attuato attraverso un duplice
intervento:
- Con l’ampliamento dei poteri partecipativi della difesa, ed in
particolare con la possibilità che il proprio consulente
tecnico venga a conoscenza e operi delle valutazioni sul
materiale già acquisito dal pm. L’art. 233, co. 1 bis cpp
consente di esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui
esse si trovano, di intervenire alle ispezioni compiute dal pm
e dalla pg, di esaminare l’oggetto delle ispezioni alle quali il
consulente non è intervenuto;
- Con la possibilità di procedere al compimento di rilievi ed
accertamenti in piena autonomia rispetto alle attività degli
organi dell’accusa.
Il difensore è legittimato a compiere accessi, rilievi tecnici, grafici,
planimetrici, fotografici e audiovisivi, al fine di ricercare ed
individuare gli elementi di prova (art. 391 sexies cpp); viene
prevista la possibilità di accedere a luoghi privati e non aperti al
pubblico, anche senza il consenso del legittimo titolare attraverso
il provvedimento autorizzativo del giudice (art. 391 septies cpp). Il
legislatore lo legittima ad intervenire come protagonista della
scena criminis attraverso un’acquisizione diretta della prova
tramite l’esecuzione di accertamenti tecnici di natura non
ripetibile ovvero accertamenti tecnici ripetibili; inoltre, risultati
possono essere utilizzati direttamente in fase processuale (art.
391 decies cpp). L’attività espletabile dalla difesa sulla scena
criminis può essere distinta in due macroaree: la prima, inerisce a
quella condotta su elementi direttamente rinvenuti dal difensore
e dai suoi ausiliari; la seconda consiste in un’indagine critica o di
secondo grado sul materiale già acquisito dagli organi inquirenti.
La disciplina integrata: i Codici deontologici come modello
per le indagini tecnico-scientifiche
Nella materia delle indagini difensive esiste una netta distinzione
dei ruoli da assegnare alla legge processuale e a quella
professionale. La prima, ne consacra la libertà; la seconda, ne
preserva l’autenticità. L’etica professionale convalida l’affidabilità
del risultato.
Dunque, la deontologia riveste una finalità ancillare, ma
comunque essenziale all’effettivo diritto di difendersi indagando.
Il codice deontologico fa la sua prima apparizione con
l’approvazione da parte del Consiglio nazionale forense il
17.4.1997.
Le norme in esso contenute – da ritenersi vincolanti secondo la
giurisprudenza – rappresentano il primo timido tentativo di
attribuire autonomia al ruolo del difensore, cercando di
delinearne le attribuzioni e i limiti operativi nell’ottica di
determinare le linee guida che il vero professionista avrebbe
dovuti rispettare nell’esercizio della sua attività. Tuttavia, al
mutare della cultura difensiva, anche i canoni di condotta già
cristallizzati dovevano subire alcuni ritocchi che li rendessero
compatibili con il nuovo ruolo assegnato al difensore.
A tale opera di ammodernamento sono dedicate le Regole di
comportamento del penalista nelle indagini difensive, elaborate
dall’Unione delle Camere penali italiane nel 2000 che avrebbero
assolto la funzione di supplire alle lacune che punteggiavano il
tessuto della legislazione in ordine alle concrete modalità di
assunzione, documentazione e utilizzazione delle indagini
difensive.
I contenuti della riforma. Chi, quando, dove e perché
Il complesso quadro disciplinare in materia di indagini difensive
non presenta particolare difficoltà ermeneutiche in relazione
all’individuazione dei soggetti legittimati a compiere
investigazioni difensive, né in relazione ai tempi e alle modalità
esecutive, in quanto tali dati sono direttamente ricavabili dalle
norme codicistiche. Più complessa, invece, risulta la ricostruzione
normativa inerente alla determinazione degli spazi territoriali in
cui sono esplicabili le investigazioni della difesa.
La legittimazione a compiere e a richiedere indagini private
Ai sensi dell’art. 327 bis, co. 1 e 3, cpp la facoltà di svolgere
investigazioni difensive per ricercare ed individuare elementi di
prova in favore dell’assistito è attribuita al difensore che, tuttavia,
può avvalersi della collaborazione del suo sostituto, ovvero degli
ausiliari (investigatori privati autorizzati mediante provvedimento
prefettizio oppure, quando sono necessarie precise competenze
tecniche, dei consulenti tecnici).
Art. 327 bis – attività investigativa del difensore: la disposizione
va coordinata con l’art. 2, co. 3 delle Regole di comportamento
del penalista delle indagini difensive, che attribuisce al difensore
la facoltà di condurre investigazioni private al momento del
conferimento dell’incarico da parte del cliente. La legittimazione
del difensore deriva solo da una nomina scritta – senza necessità
di autenticazione della firma. La nomina non deve contenere
nessuna precisazione circa l’attività difensiva da compiere, né
tantomeno esplicito mandato ad espletare attività investigative.
L’espletamento delle indagini si ritiene possibile anche prima ed
indipendentemente dal fatto che l’avvocato abbia assunto la
qualifica processuale di difensore nel procedimento.
Quindi, dominus delle investigazioni private è il difensore che può
avvalersi della collaborazione di altre figure (gli ausiliari) che
agiscono su incarico dello stesso. Quanto ai beneficiari delle
investigazioni difensive, le nuove prerogative spettano non solo al
difensore dell’indagato (o imputato), ma anche ai difensori delle
altre parti private. Si riconosce quindi anche al difensore della
persona offesa, della parte civile, del responsabile civile e del
civilmente obbligato per la pena pecuniaria, il diritto di condurre
indagini private. Risulta assai diversa la finalità dell’indagine
scientifica condotta dal difensore dell’indagato oppure da quello
delle altre parti private. Nel primo caso, le investigazioni private
sono utili all’avvio del procedimento penale, ovvero a sollecitare
il magistrato inquirente al compimento degli atti di indagine. In
relazione alla nomina, la parte civile sarà tenuta al rispetto delle
medesime regole valevoli per l’indagato e, dunque, si ritiene
indispensabile il conferimento dell’incarico risultante da atto
scritto, senza necessità di autenticazione della firma; di contro,
per le altre parti private, l’attività è limitata alla sola processuale,
ovvero al momento della loro costituzione.
I tempi delle indagini difensive
Il co. 2 dell’art. 327 bis cpp delinea l’arco temporale in cui le
investigazioni difensive possono essere compiute. Queste sono
ammesse in ogni stato e grado del procedimento, nell’esecuzione
penale e per promuovere il giudizio di revisione.
Art. 327 bis – attività investigativa del difensore: non solo. Ai
sensi dell’art. 391 nonies cpp, il difensore può condurre
investigazioni private anche in una frase pre-procedimentale, per
l’eventualità che si instauri un procedimento penale.
Art 391 nonies – attività investigativa preventiva: la nomina deve
risultare da espresso mandato difensivo, corredato di
sottoscrizione autenticata, con l’indicazione dei fatti ai quali si
riferisce in modo sintetico al solo fine della individuazione
dell’oggetto di tale attività, con esclusione di ogni riferimento ad
ipotesi di reato (art. 2, co. 2, Regole di comportamento del
penalista).
Al difensore è precluso il compimento di atti che richiedono
l’intervento o l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Il difensore
può compiere, in fase preventiva il suo apporto è limitato al
colloquio non documentato, alla ricezione di dichiarazione scritta
o all’assunzione di informazioni dal potenziale testimone, alla
richiesta di documentazione alla pubblica amministrazione ed
all’accesso ai luoghi pubblici o aperti al pubblico.
Conseguentemente, può accedere ai luoghi per effettuare
ispezioni, rilievi oppure accertamenti tecnici ripetibili, ma solo se
vi è il consenso del soggetto avente la disponibilità dello stesso.
Un’altra quaestio da affrontare inserisce all’individuazione del
titolare del potere di indagine preventiva, ovvero se possa essere
esercitato solo a favore del potenziale indagato oppure anche
nell’interesse delle altre parti private quale, ad esempio, la
persona offesa. È ragionevole ritenere che questa possa essere
svolta non soltanto dal difensore della (potenziale) persona
sottoposta alle indagini ma anche da quello della (potenziale)
persona offesa, in vista di un’eventuale denuncia a querela, del
(potenziale) danneggiato del reato e di chiunque ritenga di poter
essere chiamato ad assumere la veste di parte privata in un
processo penale non ancora instaurato. È opportuno tracciare i
limiti delle investigazioni private condotte in conseguenza
all’instaurazione del procedimento penale.
Sicuramente le investigazioni private possono essere compiute
prima e dopo la notificazione dell’avviso di conclusione delle
indagini preliminari (art. 425 bis cpp) che deve contenere
l’avvertimento che il difensore e l’indagato hanno la facoltà,
entro il termine di venti giorni dalla notificazione, di depositare la
documentazione relativa alle investigazioni del difensore.
Tuttavia, il difensore, a differenza di quanto accade per gli atti di
indagine compiuti dal pm, affetti da inutilizzabilità se compiuti
oltre il termine di conclusione delle indagini preliminari (art. 407,
co. 3 cpp), può continuare a condurre investigazioni private
anche in udienza preliminare, fino alla discussione (art. 421 ccp) e
anche parallelamente alle indagini suppletive del pm disposte dal
giudice ex art. 421 bis cpp, senza che sussista alcun obbligo di
preventivo avviso alla controparte o di deposito. Inoltre, ai sensi
del novellato art. 430 cpp, il difensore può compiere attività
integrativa di indagine dopo l’emissione del decreto che dispone
il giudizio, senza avere l’obbligo di depositare l’intera
documentazione delle attività compiute.
Art. 430 – attività integrativa di indagine del pubblico ministero e
del difensore: secondo la giurisprudenza prevalente, l’attività
difensiva è esperibile anche durante il giudizio, a ridosso del
dibattimento. Da ultimo, si segnala anche che le investigazioni
private possono trovare riscontro anche nel procedimento
cautelare.
I luoghi delle investigazioni private nel contesto
extranazionale
Nessuna norma contempla l’ipotesi di investigazioni (sia di
carattere dichiarativo che di tipo tecnicoscientifico) transnazionali
della difesa; e nemmeno la giurisprudenza di legittimità sembra
prevedere una simile possibilità: infatti, la Suprema corte ha
reputato inutilizzabili tutti gli atti di investigazione privata
compiuti al di fuori del contesto nazionale. Il difensore non è
ricompreso tra gli abilitati alla richiesta, espressamente riservata
alle autorità competenti. Tuttavia, nessuna norma esclude una
ricerca difensiva pro reo al di fuori della rogatoria che non
rappresenta l’unico strumento acquisitivo. Se, dunque, il diritto
all’investigazione difensiva transnazionale non sembra essere in
alcun modo compresso, il nodo da sciogliere rimane
sull’utilizzabilità del materiale raccolto, ovvero se sia o meno
consentito al difensore riversare i risultati delle proprie indagini
nel procedimento penale. Nulla quaestio se il difensore individua
all’estero persone in grado di riferire su circostanze utili al
processo e poi ne richiede la citazione nel processo intra moenia;
ma se, invece, il difensore deve compiere un accertamento
tecnico di natura irripetibile all’estero, ci si chiede quale sarebbe
la procedura sa seguire. Il discrimen tra lecito e illecito sembra
essere rappresentato dalla natura dell’atto da compiere: sarà,
dunque, precluso dalla natura compiere accertamenti tecnici di
natura irripetibile che presuppongono il diritto di partecipazione
dell’accusatore oppure l’accesso ai luoghi senza il consenso
dell’interessato.
La Direttiva 2014/41/UE, recepita con d.lgs. 21.6.2017, n. 108,
riconosce anche al difensore dell’imputato (ma non anche delle
altre parti private) il diritto di chiedere l’emissione di un ordine
europeo di indagine (OEI) nel quadro dei diritti della difesa
applicabili conformemente al diritto e alla procedura penale
nazionale.
La ratio della novella. L'ontologica differenza tra ‘’essere’’ e
‘’dover essere’’
Il nuovo difensore viene disegnato come un abile investigatore,
equipaggiato di importanti strumenti di ricerca della prova che
non ha più nulla del patrocinante passivo, chiamato solo a
distribuire consigli, suggerimenti e informazioni. Esiste
un’ontologica differenza tra il pm e il difensore, espressa e più
volte ribadita nel codice di rito. La pubblica accusa è tenuta a
svolgere le indagini per le determinazioni inerenti all’esercizio
dell’azione penale (art. 326 cpp) e compiere accertamenti su fatti
e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini (art.
358 cpp); viceversa il difensore può espletarle per ricercare ed
individuare elementi di prova in favore del proprio assistito (art.
327 bis cpp).
Le attività investigative del pm appaiono come necessarie a
rendere effettivo il principio di obbligatorietà dell’azione penale:
devono essere complete, in modo tale da offrire al pm un quadro
probatorio che gli consenta di effettuare una scelta
assolutamente consapevole. La necessarietà e la completezza
non sono caratteristiche tipiche delle investigazioni della difesa
che sono finalizzate all’esercizio del diritto di difesa e sono
rimesse alla discrezionalità dell’operante, rappresentando frutto
di una precisa strategia processuale. E non solo il difensore ha la
facoltà di compiere attività di indagine per l’assistito, ma ha
anche la possibilità di decide se depositare o meno il materiale
probatorio raccolto, in relazione all’utilità processuale dello
stesso in favore dell’indagato (o imputato).
La giurisprudenza è giunta ad affermare che il difensore, nello
svolgimento dell’attività di documentazione delle indagini da egli
stesso svolte, assuma la veste di pubblico ufficiale, ai sensi
dell’art. 357 cp, con la conseguente applicabilità del relativo
statuto penalistico, di cui all’art. 479 cp.
Il difensore delle parti private (o i suoi consulenti) ha a
disposizione scarse risorse tecnologiche nell’espletamento della
sua attività di indagine: è impensabile pensare che lo stesso sia
dotato della medesima strumentazione tecnica di cui dispone la
pg specializzata. In secondo luogo, le indagini messe a punto dalla
difesa hanno costi assai elevati che si scontrano con quelli che
affronta la pg che può avvalersi di laboratori forensi interni alle
forze di polizie a carico dell’Erario. Al di là delle lacune normative
che la giurisprudenza sta cecando di colmare, il punctum dolens
delle investigazioni del difensore risiede nella valutazione
probatoria degli atti di indagine di provenienza difensiva. Seppur
formalmente non esiste alcuna differenza in ordine alla valenza
probatoria degli elementi di prova acquisiti, il giudice sembra
essere assai sensibile alla diversa matrice di provenienza delle
prove offerte dal pm e dal difensore. La parzialità della fonte che
sceglie cosa mostrare per favorire la posizione processuale del
proprio assistito determina un ridimensionamento della valenza
degli elementi offerti dal difensore. Si assiste, sempre più
frequentemente, all’intromissione del giudice nella formazione
della prova a verifica ed integrazione delle risultanze delle
investigazioni della difesa.
L'analisi della scena criminis del difensore: il silenzio
normativo sul quid e sul quantum delle sue competenze
Il legislatore decide di regolamentare dettagliatamente il
complesso di attività tecniche esperibili e le connesse forma di
documentazione. La normativa difetta di una disciplina di
coordinamento tra le facoltà difensive ed esercizio dei poteri
statuali sulla scena criminis, ovvero su quelli che sono – o, meglio,
dovrebbero essere – i limiti delle investigazioni del difensore.
Lacune che lasciano dubbi all’interprete circa l’applicazione delle
regole deputate alla conservazione dello stato dei luoghi nella
fase di primo intervento, al genere di accertamenti consentiti o
vietati, alla libertà di azione del difensore. Si giungerebbe ad
affermare che la difesa sia idonea a raccogliere tracce del reato in
assenza dell’organo dell’accusa e a condizioni più favorevoli di
quanto previsto per gli ufficiali di polizia giudiziaria che debbono
sottostare alla duplice condizione del non altrimenti evitabile
pericolo di modifica o dispersione dello stato dei luoghi e
dell’impossibilità del tempestivo intervento del pubblico
ministero. Al difensore è preclusa ogni attività che implichi il
rischio di un’alterazione, variazione o distruzione di fonti o
elementi di prova, ovvero una modificazione materiale tale da
implicare il pericolo di una diversa interpretazione del fatto, a
causa dell’alterazione delle sue componenti probatorie. Sono,
conseguentemente, precluse tutte le attività che potrebbero
creare simili pericula. Lo si ricava non solo dalle Regole
Deontologiche (art. 14) ma anche dalla disciplina sanzionatoria di
cui all’art. 374 cp (Frode processuale) prevista per chi modifichi lo
stato dei luoghi e delle cose. Con Frode processuale si intende
quel reato commesso da chiunque muti lo stato dei luoghi subito
dopo la commissione di un fatto delittuoso o antecedentemente
all’attività di pg. Si potrebbe configurare anche l’ipotesi delittuosa
di cui all’art. 378 cp (Favoreggiamento personale), allorquando il
difensore manometta la scena del crimine agendo in solitudine.
Il sopralluogo tecnico della difesa
L’art. 391 sexies cpp legittima il difensore ad effettuare un
accesso per prendere visione dello stato dei luoghi e delle cose
ovvero per procedere alla loro descrizione o per eseguire rilievi
descrittivi, grafici, planimetrici, fotografici e audiovisivi.
Art. 391 sexies – accesso ai luoghi e documentazione: la norma
prosegue, poi, regolandone le modalità di documentazione,
attribuendo la facoltà al difensore di redigere un verbale nel
quale, oltre alla data e al luogo dell’accesso, ed alle generalità
delle persone intervenute, dovranno essere indicati le differenti
tipologie di rilievi eseguiti. L’intervento può essere immediato o
posticipato nel tempo, a seconda delle esigenze conoscitive da
soddisfare. Può accadere che l’accesso venga effettuato
nell’immediatezza del fatto di reato, prima ancora dell’intervento
della pg. In tali ipotesi, prima di effettuare l’accesso, il difensore
dovrà avere cura di conservare e non alterare lo stato dei luoghi,
ovvero di provvedere al mantenimento dello status quo. Dovrà,
quindi, dotarsi del necessario equipaggiamento (guanti, calzari e
mascherina) al fine di evitare ogni contaminazione anche
involontaria e ogni cautela atta ad evitare ogni fora di alterazione.
In questo senso è anche raccomandabile che il difensore si rechi
sul locus accompagnato da un esperto in attività di sopralluogo
quale un investigatore privato o un consulente.
La legittimazione all’accesso non è solo riservata al difensore ma
risulta estesa anche agli ausiliari. In relazione alle attività
contemplate nell’art. 391 sexies cpp, è opportuno discernere
l’accesso vero e proprio, il sopralluogo della difesa, dal complesso
di atti tecnici espletabili. Il primo è da considerarsi atto
prodromico ai successivi rilievi, identificandosi in un’attività di
natura osservativo-descrittiva. I secondi comprendono sia i rilievi
che gli accertamenti che impongono particolari cautele e
precauzione al momento del loro compimento.
Circa lo scenario sul quale l’accesso è ammesso, è da precisare
che lo stesso non è limitato al locus commissi delicti ma esteso a
qualsiasi luogo idoneo ad offrire concrete possibilità di reperire
elementi probatori a discarico, (c.d. area forense). Al termine, il
difensore può documentare l’attività svolta, memorizzando
ufficialmente le operazioni e le costatazioni effettuate. La norma
è rigorosa nell’indicare il contenuto del verbale, prevedendo la
contemporanea presenza di dati meramente oggettivi (data,
luogo e generalità) e altri (descrizione del verbale) estremamente
soggettivi, sottoposti al filtro critico dei verbalizzanti. Più
opportuno sarebbe provvedere ad una verbalizzazione separata,
in modo da destinare la documentazione dei rilievi alla
descrizione puntuale delle attività tecniche esperite, in modo da
consentire al giudice di vagliare il contenuto, le modalità
operative adottate, il rispetto delle procedure richieste dalla
comunità di riferimento.
L'accesso ai luoghi pubblici o aperti al pubblico e l’accesso
ai luoghi privati o non aperti al pubblico
La disciplina codicistica dell’accesso ai luoghi da parte della difesa
assume contenuti diversi a seconda che sia compiuto in luoghi
pubblici o aperti al pubblico, in luoghi privati, in abitazioni e nelle
relative pertinenze. Sono considerati privati quei luoghi che
attribuiscono al proprietario e al possessore uno ius excludendi
alios, ovvero il diritto al godimento esclusivo della cosa con
facoltà di escludere ogni altro. Concettualmente diversi sono i
luoghi non aperti al pubblico, classificabili come spazi pubblici o
privati sui quali il disponente esercita i medesimi poteri di
esclusività del proprietario. Sono pubblici quei luoghi liberi e
accessibili a tutti ovvero ad un numero indeterminato di persone.
I luoghi aperti al pubblico, invece, ricomprendono i luoghi
pubblici o privati a cui può accedere chiunque ma sono poste
precise condizioni di accesso (la chiesa, il cinema, il teatro,
l’ospedale).
L’art. 391 sexies cpp, inerisce all’accesso in luoghi pubblici o
aperti al pubblico, per i quali nessun tipo di consenso, permesso,
approvazione o concessione è necessario, rappresentando l’unica
mossa non condizionata della difesa.
L’art. 391 septies disciplina l’accesso condizionato ai luoghi
privati o non aperti al pubblico, per i quali è necessario il
consenso di cui ne ha la disponibilità, ovvero un provvedimento
dell’autorità giudiziaria con il quale si autorizza la difesa a
procedere.
Art. 391 septies – accesso ai luoghi privai o non aperti al pubblico:
in virtù del combinato disposto dagli artt. 348 e 354 cpp, la pg
deve curare la conservazione delle tracce e degli elementi
materiali del reato e valutare l’opportunità dell’accesso in
relazione al rischio di contaminazione dell’area. Quando, poi, il
pm assume la direzione delle indagini, è quest’ultimo a disporre
del locus in questione. E in caso di diniego dell’autorità
giudiziaria (o della pg), il difensore può inoltrare la richiesta di
autorizzazione al giudice che, eventualmente, la concederà con
decreto motivato, precisando le concrete modalità di accesso.
Inoltre, non viene precisato il termine entro cui il giudice deve
dare risposta all’istanza.
Altra lacuna riscontra in relazione al contenuto della motivazione
del decreto. La motivazione, in sostanza, deve tener conto della
necessità investigativa, ovvero deve precisare il motivo per cui la
richiesta del difensore appaia fondata.
Circa le modalità di accesso, si ritiene che il decreto debba
contenere prescrizioni idonee a recare il minor danno al soggetto
che subisce l’accesso. Una volta effettuato l’accesso, il difensore è
tenuto a precisi adempimenti operativi. In primis, deve avvertire
la persona presente della facoltà di farsi assistere da una persona
di fiducia. In secondo luogo, il difensore deve informare il
soggetto, che ha la disponibilità del luogo, della necessità del suo
consenso per poter operare ma che, in caso di diniego, l’accesso
può essere autorizzato dal giudice. Circa le attività che il difensore
può compiere, si ritiene applicabile l’art. 391 sexies. Non è,
invece, prevista la possibilità di ricercare documenti e richiederne
copia, ovvero acquisire documenti. L’ultimo co. Dell’art. 391
septies prevede una restrizione all’accesso in ambito domiciliare
al fine di offrire una rafforzato presidio all’inviolabilità del
domicilio (art. 14 Cost), prevedendo un’incidenza nella sfera più
intima dell’individuo solo per esigenze difensive motivate da
finalità di accertamento materiale del reato. Si intende “luogo di
abitazione” e relative “pertinenze” debitamente distinto dalla più
ampia nozione di “luogo di privata dimora”: il primo ricomprende
esclusivamente l’ambiente di svolgimento della vita domestica; il
secondo, per converso, anche ogni altro spazio che assolve la
funzione di proteggere la vita privata di coloro che lo possiedono.
Le pertinenze, invece, sono costituite dai luoghi accessori a quelli
di privata dimora, destinata al loro servizio o al loro migliore
godimento.
Il sopralluogo sui luoghi sottoposti a sequestro
Attraverso un’interpolazione dell’art. 366 cpp, la l. 397/2000
assicura al difensore la possibilità di esaminare le cose
sequestrate nel luogo in cui esse si trovano.
Art. 366 – deposito degli atti cui hanno diritto di assistere i
difensori: gli viene attribuita la facoltà di esaminare, almeno ex
post, tale materiale, il che significa permettergli una verifica circa
la correttezza delle procedure eseguite e la genuinità della res
sottoposta a sequestro. Circa la legittimazione attiva, dal
combinato disposto dagli artt. 366 e 233 cpp, si ritiene che spetti
al difensore (e ai suoi ausiliari) e al consulente tecnico provvedere
l’esame dopo aver avvisato l’autorità procedente al fine di
permettere alla stessa la rimozione dei sigilli apposti al fine di
mantenere inalterato lo stato di conservazione della res
sottoposta a sequestro (art. 260 cpp). Non sembra, quindi,
necessaria un’autorizzazione preventiva, bastando una mera
comunicazione funzionale ad un duplice scopo: permettere
all’autorità giudiziaria di rimuovere i sigilli dell’ufficio prima
dell’accesso del difensore e di riapplicarli una volta concluse le
operazioni e, al contempo, garantire il controllo della stessa sul
corretto espletamento delle operazioni. La normativa si conclude
con la previsione di una possibilità di estrazione di copia dei
documenti sottoposti a sequestro probatorio, senza, tuttavia,
specificarne le modalità.
I rilievi e gli accertamenti tecnici della difesa
La difesa è legittimata a compiere rilievi tecnici, planimetrici,
fotografici o audiovisivi, ai sensi dell’art. 391 sexies, nonché, ai
sensi dell’art. 391 decies, co. 3 cpp può svolgere accertamenti
tecnici di natura irripetibile.
Art. 391 decies – utilizzazione della documentazione delle
investigazioni difensive: la possibilità di compiere rilievi di natura
irripetibile è insita nella previsione di cui all’art. 391 sexies cpp. Se
l’attività di cui all’art. 391 sexies cpp fosse limitata alla mera
osservazione e descrizione delle res utili alla ricerca di elementi
probatori favorevoli all’assistito, si impedirebbe alla norma di
trovare compiuta realizzazione. Dunque, i rilievi implicano attività
di natura non ripetibile qualora subentrino all’accesso ai luoghi.
D’altra parte, è lo stesso art. 391 decies, al co 2, a confermare
una simile impostazione, laddove differenzia gli accertamenti
tecnici di natura non ripetibile (co. 3) dagli altri atti di natura
irripetibile compiuti in occasione dell’accesso ai luoghi. In
relazione, agli accertamenti tecnici, assai complessa appare la
quaestio relativa agli accertamenti tecnici di natura ripetibile. La
difficoltà deriva dalla mancanza di una normativa ad hoc che
permetta di delineare dettagliatamente i casi e i modi per cui è
prevista una simile facoltà alla difesa. Si ritiene, tuttavia, che il
combinato disposto dal co. 3 dell’art. 391 decies e dal co. 3
dell’art. 391 septies cpp, permetta al difensore il compimento di
qualunque accertamento tecnico, sia di natura ripetibile che
irripetibile.
Gli atti irripetibili. L'ingiustificato discrimen degli avvisi alle
‘’altre’’ parti
Solo in relazione agli accertamenti tecnici non ripetibili di cui
all’art. 391 decies, co. 3 cpp, il legislatore ha introdotto una
procedura rafforzata atta ad assicurare il contraddittorio tra le
parti. A ben guardare, la norma impone solo l’avviso, senza
ritardo, al pubblico ministero, in modo da permettergli di
esercitare le facoltà previste dall’art. 360 cpp. Nulla, invece, si
dice in ordine alle altre parti interessate. La quaestio potrebbe
trovare soluzione nel disposto dell’art. 15 delle Regole di
comportamento del penalista nelle investigazioni difensive che
prevede l’onere di un avviso allargato a tutti i soggetti in qualche
modo coinvolti.
Art. 15 – dovere di assicurare il contraddittorio negli accertamenti
tecnici irripetibili: la lacuna può essere colmata proprio
rifacendosi a quei principi fondamentali di parità delle parti e del
contraddittorio. Una volta attivato il contraddittorio nella
formazione unilaterale della prova, il pm può scegliere tra diverse
alternative ovvero poter far prescrivere all’atto un proprio
esperto, rimanere inerte oppure avanzare richiesta di incidente
probatorio. La limitazione dell’operatività dell’art. 360 cpp in
quanto compatibile fa sorgere dei dubbi. Ci si chiede, in sostanza,
se il difensore sia o meno obbligato (proprio come lo sarebbe il
pm) a desistere dalla prosecuzione dell’accertamento qualora la
pubblica accusa formuli riserva di incidente probatorio e se,
conseguentemente, il pm sia tenuto a rispettare il nuovo termine
di 10 giorni per la presentazione della richiesta.
Art. 360 – accertamenti tecnici non ripetibili: secondo un
orientamento dottrinale maggioritario, il difensore può
procedere comunque all’accertamento tecnico nonostante la
riserva formulata dal pm, il quale, comunque, non sarebbe tenuto
al rispetto del suddetto termine. D’altra parte, l’art. 360 cpp viene
richiamato esclusivamente per riconoscere al pm le facoltà
previste per la difesa, mentre il disposto in questione atterrebbe
ad una facoltà del pm da estendere alla parte privata. Di
conseguenza, il co. 4 dell’art. 360 non può integrare l’art. 391
decies cpp. In particolare, nel compimento degli altri atti non
ripetibili, la pubblica accusa ha solo la facoltà di assistervi,
concretizzandosi il rischio che possano compiersi atti suscettibili
di utilizzazione processuale nei confronti di soggetti ignari della
loro formazione.
Le forme di documentazione dell’attività difensiva.
L'utilizzabilità processuale
La peculiarità delle investigazioni difensive si riscontra in modo
particolare in tema di utilizzabilità processuale dei risultati
probatori acquisiti e ciò per almeno due ordine di fattori: la difesa
può scegliere se documentare e, quindi, depositare i verbali degli
atti compiuti a seconda che giovino a meno all’assistito; in
secondo luogo la scelta di documentare le attività tecniche
espletate consente al difensore di poter interloquire
direttamente con il giudice, senza l’intermediazione del pm,
inserendo i risultati probatori nel terzo fascicolo (fascicolo del
difensore).
La previsione di un fascicolo difensivo rappresenta una delle più
significative innovazioni della riforma, assumendo un forte rilievo
simbolico, dal momento che fornisce un’immagine del difensore
speculare a quella del pm. Nessun vincolo si riscontra in merito al
tipo di verbale da redigere. Torna ad essere una scelta del
difensore se procedere in forma integrale o riassuntiva, con la
stenotipia o altro mezzo meccanico ovvero, in assenza, tramite
scrittura manuale. Risponde ad un’esigenza di regola di buon
senso preferire una verbalizzazione integrale degli atti a
contenuto tecnico-scientifico al fine di attribuire maggiore
affidabilità dei contenuti ivi indicati. Una volta individuata la
corretta forma dell’atto della difesa, è opportuno soffermarsi
sull’utilizzabilità processuale dei verbali redatti secondo quanto
disposto dall’art. 391 octies cpp.
Art. 391 octies – fascicolo del difensore: il principale strumento di
acquisizione delle risultanze probatorie delle investigazioni
difensive è la presentazione diretta al giudice nel corso delle
indagini preliminari ovvero nell’udienza preliminare: qualora il
giudice debba adottare una decisione con l’intervento della parte
privata, il difensore può presentagli direttamente gli elementi di
prova in favore dell’assistito. Il difensore, che abbia conoscenza di
un procedimento penale, può presentare elementi favorevoli al
proprio assistito direttamente all’autorità giudiziaria perché ne
tenga conto per un’eventuale decisione. In ogni caso, la norma fa
salva la possibilità di presentare gli elementi acquisiti alla
pubblica accusa (art. 391 octies, co. 4). La documentazione
prodotta deve essere obbligatoriamente depositata nel fascicolo
del difensore, formato durante la fase delle indagini preliminari e
custodito presso l’ufficio del gip, fino alla conclusione delle stesse
(art. 391, co. 3 cpp). I momenti di utilizzazione probatoria degli
atti contenuti nel fascicolo del difensore sono individuati dall’art.
391 decies, co. 1 cpp negli articoli 500, 512 e 513 del codice di
rito: vengano acquisiti in dibattimento mediante lo strumento
delle contestazioni probatorie e delle letture. In relazione, invece,
agli atti di natura non ripetibile compiuti in occasione dell’accesso
ai luoghi, presentati nel corso delle indagini preliminari e
dell’udienza preliminare e ai quali il pm ha presenziato, nonché
gli accertamenti tecnici non ripetibili, si prevede che i relativi
verbali confluiscano nel fascicolo per il dibattimento, ex art. 431,
co. 1, lett. c) cpp. In ogni caso, le parti possono concordare
l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento della
documentazione relativa all’attività di investigazione difensiva
(art. 431, co. 2 cpp).
Digital Forensics e scena criminis
La digital forensics come scienza
Sebbene l’attività tecnica tipica della Digital Forensics (DF) abbia
una tradizione consolidata di diversi decenni, la scienza della DF è
da ritenersi di recente costituzione. Sembra scontato che si
debbano impiegare metodi scientificamente derivati per svolgere
esami di apparecchiature elettroniche digitali ma, per anni,
l’esperienza personale del consulente tecnico o del perito ha
sostituito l’applicazione di metodologie rigorose sia per la
difficoltà che si ha nel settore informatico di delimitare i casi di
studio che per la pretesa competenza dello stesso operatore. La
difficoltà è nella prova della loro validità scientifica attraverso la
sottoposizione ai test di verifica della falsificabilità.
Le fasi che, in base alla definizione, formano la DF sono:
- L’identificazione delle possibili fonti di prova
elettronico/digitali (siano essi hardware o dati),
- La raccolta di tali fonti;
- La loro validazione tecnica e formale;
- La loro preservazione e protezione in fase di chiusura e
sigillo, trasporto e successiva eventuale riapertura in
laboratorio;
- L’analisi approfondita di laboratorio di quelli che ora
possono chiamarsi reperti;
- La descrizione e la ricostruzione degli eventi investigativi
tramite la redazione di un verbale.
In tutto questo, la documentazione delle attività è fortemente
trasversale dovendo insinuarsi in ogni singolo momento al fine di
garantire il controllo delle indagini e dei risultati scientifici forniti.
Il rispetto di questa progressione e delle cautele procedurali che
la devono caratterizzare assicura la continuità probatoria, ossia la
possibilità di tenere traccia del procedimento che va
dall’identificazione sulla scena all’analisi in laboratorio. Proprio in
tema di indagini informatiche, la giurisprudenza italiana si è
espressa in maniera univoca sull’inutilizzabilità delle prove digitali
accolte senza il rispetto dei protocolli operativi; mancato rispetto
che determina l’inidoneità della prova ad assicurare un
accertamento attendibile dei fatti di reato. La Digital Forensics si
identifica in un’attività post-mortem, ossia in azioni che si
svolgono solo dopo che vi è stata comunicazione di una notizia di
reato.
Alterabilità e modificabilità del dato informatico e l’uso
delle migliori tecniche per cristallizzare gli elementi di
prova
La computer forensics è la disciplina che si occupa delle tecniche
e degli strumenti utilizzati per recuperare gli elementi di prova
(digitali) all’interno di un computer. L’acquisizione della prova
digitale sta assumendo un’importanza vitale per la sorte di molte
indagini (sia di polizia giudiziaria sia difensive) basate
sull’acquisizione e sull’analisi di reperti informatici.
L’alibi informatico oggi è tra quelli più difficili da demolire, ma a
ben vedere anche da dimostrare con efficacia. Una buona
conoscenza delle regole, delle metodologie e degli strumenti utili,
consentono ad un buon forenser di scoprire e leggere i tanti segni
lasciati dalla macchia sui supporti informatici. L’utilizzo di
strumenti informatici o telematici da parte della criminalità sia
come strumento di offesa sia come obiettivo determina la
presenza sulla scena criminis di numerosi elementi di prova
digitale. Oltre ai tradizionali elementi di prova tipici del processo
penale entrano nel processo, fin dalla fase delle indagini, ulteriori
elementi di prova strettamente e inscindibile legati ad un sistema
informatico o telematico e ugualmente idonei ad individuare un
fatto o una circostanza utile all’accertamento della verità. Vi è la
computer forensics con riferimento all’analisi di dispositivi e
supporti fisici e statici, la network forensics che ha come oggetto
l’analisi forense di server e di reti, la mobile forensics che analizza
i dispositivi cellulari e mobili, la PDA forensics che invece esamina
con modalità forensi i telefoni palmari di ultima generazione. Una
volta recuperati, questi elementi di prova vengono analizzati,
conservati, documentati e validati, attraverso tecniche di analisi
forense testate a livello scientifico.
Casey definisce le digital evidence come il complesso di
informazioni digitali in grado di stabilire se un crimine è stato
commesso o che possono rappresentare un collegamento tra un
crimine e le sue vittime o i suoi esecutori.
L'utilità delle tecniche di computer Forensics inambito
processuale
L’utilità e la genuinità di queste fonti di prova investono tutte le
parti in gioco, sia la pubblica accusa, sia coloro che tendono a
soluzioni difensive, sia coloro che sono chiamati a giudicare
sull’ammissibilità di tali elementi e quindi poi sulla loro
valutazione in sede decisionale. La caratteristica fondamentale di
queste tracce informatiche risiede nella loro immaterialità e nella
conseguente facile alterabilità. Sotto il profilo strettamente tipico
del dato informatico è necessario considerare che i bit sono
registrati su un dispositivo, il cui stato può essere modificato da
un operatore. Infatti, è notorio che in presenza di una
successione di bit, sussista la possibilità che almeno un operatore
possa in un preciso momento modificarne la successione.
Ugualmente, nel caso di bit registrati su supporti non scrivibili,
una modifica è sempre possibile.
Le digital evidence possono essere pertanto danneggiate o
distrutte anche per colpa degli stessi investigatori, consulenti o
parti (processuali) non adeguatamente preparati i quali
maldestramente maneggiato il dato. È di tutta evidenza come
questa eventualità può determinare il sorgere di problemi enormi
sotto il profilo della genuinità della prova che poi si formerà in
dibattimento. Non esiste uno standard o una metodologia per il
trattamento delle prove digitali forensi ma solo un insieme di
procedure e strumenti più o meno consolidati e testati attraverso
l’esperienza. In alcuni contesti accademici italiani, si sta tentando
di portare la computer forensics verso un maggiore rigore e verso
linee guida generali (best practices) che consentano di giungere
ad una visione più sistematica e tipizzata delle diverse esperienze
e dei diversi metodi di acquisizione della prova digitale. La fase
acquisitiva consiste sostanzialmente in un’operazione di
estrapolazione e riproduzione su idoneo supporto del dato
digitale oggetto di indagine.
L'acquisizione del dato informatico. Le tecniche utilizzate
Questa fase acquisitiva viene effettuata attraverso la bit-stream
image, ovvero la realizzazione di un’immagine bit a bit del
contenuto del supporto posto sotto sequestro che consente di
operare l’analisi forense su un hard disk praticamente identico
all’originale: sia sotto il profilo logico sia sotto quello fisico; una
analisi quindi condotta anche su tutte quelle parti vuote o
presumibilmente tali che potrebbe assumere una importanza
fondamentale ai fini delle indagini in quanto possono nascondere
file o frammenti di file (slack) cancellati.
Una volta eseguita la computer forensics sui supporti in
sequestro è importante recuperare le prove e le informazioni
attraverso una analisi forense dei dispositivi digitali acquisiti.
Questa analisi deve essere compiuta con metodi che consentano
di conservare, documentare, validare e interpretare le
informazioni o gli elementi di prova che derivano dalle tracce
digitali presenti in quella che è stata chiamata, molto
efficacemente, scena criminis, rinvenuta all’interno del sistema o
del supporto informatico.
La volatilità del dato informatico e la sua modificabilità nel
tempo determinano l’inequivocabile inattendibilità di un reperto
informatico male acquisito, mal conservato e mal analizzato. Oggi
è di tutta evidenza che la ricerca e l’analisi della prova digitale
non deve interessare più soltanto gli organi inquirenti bensì
anche la difesa degli imputati.
L’integrità della prova digitale fino al dibattimento è pertanto un
fattore che deve interessare tutte le parti processuali. Deve
essere dedicata massima cura alla catena di custodia (chain of
custody) ovvero alla metodologia di custodia e di trasporto, sia
fisico sia virtuale delle digitale evidences. Per tali operazioni si
ricorre ad idonei strumenti hardware e software in commercio o
comunque utilizzati dalle forze di polizia, militari e agenzie
governative di ogni parte del mondo. Innanzitutto, il sistema di
acquisizione e di analisi dovrà operare con l’ausilio di un blocco di
scrittura che consente di non compromettere i dati escludendo
qualsiasi trattamento, variazione, aggiunta, cancellazione sul
supporto originale. Nella formazione dell’immagine dovrà essere
creata anche una impronta che deve contraddistinguere
univocamente la traccia dell’analisi forense e che garantisce
l’integrità del dato. Tale operazione si chiama hashing a chiave
simmetrica. Questa impronta, che potremmo chiamare impronta
digitale del file che costituisce un riferimento certo alla traccia
originale ma non ne consente la ricostruzione o la modificabilità
senza che l’impronta cambi e quindi senza lasciare traccia della
sua alterazione.
Come si procede. Il reperto informatico
Per dimostrare la validità e utilizzabilità probatoria del reperto
prodotto, bisogna innanzittutto illustrare le modalità con cui è
stato trattato. Vi sono 4 fasi (più una) che caratterizzano il
trattamento del reperto informatico:
1. Individuazione;
2. Acquisizione;
3. Analisi;
4. Valutazione;
5. Rappresentazione.
Individuazione del reperto informatico
Se il reperto non viene prontamente individuato, si espone per
un tempo maggiore al rischio di inquinamento, se non alla sua
distruzione ver a propria. Va ricordato che l’individuazione del
reperto informatico deve essere esaustiva ed approfondita.
Ulteriore aspetto da considerare in questa fase è la corretta
conservazione e imballaggio del supporto su cui sono registrati i
reperti.
Acquisizione
La caratteristica essenziale dell’acquisizione consiste nella
completezza, essendo stato in precedenza rilevato che il dato
informatico non è una successione di byte, bensì di bit, con la
conseguenza che nella fase de qua devono essere acquisiti tutti i
bit. In relazione alla delicatezza di questa fase, tutte le operazioni
di individuazione del reperto informatico dovrebbero essere
accuratamente documentate al fine di garantire il rispetto dei
principi esaminati. L’attività svolta in fase di acquisizione va
accuratamente documentata. In questo modo si conserva traccia
di tutte le operazioni.
Gli standard internazionali di riferimento per le procedure
operative di gestione del reperto virtuale sulla scena
criminis
Occorre elaborare delle SOP (Standard Operating Procedure)
calibrate per le investigazioni da esperire sulla scena crimins. Al
momento, in Italia non esistono SOP comuni a tutte le forze di
polizia. Nell’esperire le investigazioni di tipo informatico, si vuole
far riferimento a linee guida internazionali dalle quali è dato
trarre check list operative:
- ISO/IEC 27037-2012 (“Guidelines for Identification,
Collection, Acquisition and Preservation of Digital Evidence”)
pubblicato nel 2012.
- “Guidelines for Best Practice in the Forensic Examination of
Digital Technology” prodotta dall’ENFSI-FIT-WG (2012).
- “Good Practice Guide for Computer-Based Electronic
Evidence “della ACPO (2011).
- “Best Practices for Seizing Computer evidence” del U.S.
Secret Service (2011).
- “Model Standard Operating Procedures for Computer
Forensics” della SWGDE (2011).
I 4 principi sui quali si basa qualsiasi attività di sopralluogo e
repertamento sulla scena del crimine in relazione a sistemi
hardware o software digitali sono:
1. Nessuna azione deve essere svolta se può cambiare dei dati
direttamente o indirettamente e se può successivamente
essere segnalata in dibattimento come invalidante della
relativa fonte di prova;
2. I dati sulla scena del crimine non dovrebbero mai essere
acceduti direttamente; se questo, tuttavia, si rende
indispensabile per il rischio della loro definitiva perdita, chi
vi accede deve possedere la competenza tecnica e la
conoscenza giuridica necessarie a spiegare in dettaglio i
passaggi i passi che ha seguito nelle attività informatiche;
3. Tutte le azioni sulla scena del crimine devono essere
documentate;
4. Il responsabile delle indagini è anche responsabile della
mancata attuazione dei tre principi (principio di
responsabilità indiretta tipicamente anglosassone).
Sotto il profilo soggettivo, merita un breve cenno il problema
dell’individuazione e responsabilizzazione del Manager della
Scena del Crimine. Resta il fatto che nella maggioranza dei casi il
responsabile per l’individuazione, raccolta, preservazione e
trasporto dei reperti elettronici è il team di investigazione classico
che non è tenuto ad essere specificamente preparato nel settore
scientifico forense. Va ricordato che tutti i protocolli operativi
internazionali richiamano due figure investigative:
- Il Digital Evidence First Responder (DEFR): la persona fisica
o il team autorizzato e qualificator ad agire per primo sulla
scena del crimine in relazione alla raccolta ed eventuale
acquisizione di fonti di prova elettroniche e digitali;
- Il Digital Evidence Specialist (DES): la persona fisica o il team
che oltre a poter eseguire la funzione di DEFR ha conoscenze
tecniche e legali nella DF di natura superiore che può
consentirgli di svolgere l’intera sequenza di lavoro sui reperti
digitali, dal repertamento all’analisi e refertazione.
In relazione alla figura del DEFR, nella situazione operativa
italiana. Il first responder rimane generalmente l’investigatore
classico che è intervenuto per primo sulla scena. In relazione alla
figura del DES, in Italia è assimilabile al consulente specialista che
prende in consegna i reperti già prelevati ed imballati dagli
operatori del primo intervento con il compito di svolgere
l’operazione di analisi e di repertazione dei dati.
La digital forensics in Italia: aspetti normativi. Le norme del
codice di procedura penale introdotte con la l. 8 Marzo
2008 n.48 (legge di ratifica della Convenzione di Budapest
2001)
La l. 18.3.2008, n. 48 ha ratificato la Convenzione del Consiglio
d’Europa sulla criminalità informatica, sottoscritta a Budapest il
23 novembre 2001, introducendo per la prima volta in Italia una
disciplina specifica in tema di acquisizione degli elementi di prova
digitali grazie alla modifica degli articoli in materia di
perquisizione, sequestro, acquisizione e conservazione dei dati
presenti su supporti informatici. La Convenzione del Consiglio
d’Europa sulla criminalità informatica del 2001 è stato il primo
accordo internazionale riguardante i crimini commessi attraverso
internet e le altre reti informatiche. La Convenzione contiene
alcune norme che disciplinano in generale la classica area dei
cybercrime, ma soprattutto una serie di disposizioni importanti
sull’acquisizione, sulla raccolta e sulla conservazione delle
cosiddette digital evidence. La Convenzione aveva lo scopo di
suggerire e indirizzare una politica comune fra gli Stati aderenti
suggerendo una legislazione che fosse realmente in grado di
combattere il crimine informatico in maniera coordinata ed
efficace. Essa è il risultato di un lavoro condotto per quattro anni
da un Comitato di esperti del Consiglio d’Europa costituito ad
hoc. Alla data del 1° novembre 2012 la Convenzione è stata
firmata, ratificata ed è in vigore soltanto in 36 Stati rispetto ai 51
Paesi firmatari della Convenzione. In Italia l’iter parlamentare di
ratifica è iniziato l’11 maggio 2007 quando il Consiglio dei Ministri
ha approvato lo schema di disegno di legge recante
l’autorizzazione alla ratifica della Convenzione del Consiglio
d’Europa sulla criminalità informatica (sottoscritta a Budapest il
23 novembre 2001), la sua esecuzione nonché le norme di
adeguamento dell’ordinamento interno. Il successivo 19 giugno
2007 il Governo ha presentato l’atto al Parlamento che in un
periodo di cinque mesi ha discusso il testo in Commissione
ascoltando anche il parere di alcuni tra i maggiori esperti del
settore. Nell’ultima assemblea parlamentare della Camera, il 20
febbraio 2008, l’atto del Governo viene approvato dalla Camera
con alcuni importanti emendamenti maturati già in occasione dei
lavori in Commissione. Pochi giorni dopo, l’atto giunge al Senato
della Repubblica, lo esamina per la prima volta, viene portato in
aula parlamentare e approvato. La l. 18.3.2008, n. 48 così
approvata è stata pubblicata il 4 aprile del 2008 sulla Gazzetta
Ufficiale ed è entrata in vigore il giorno seguente ovvero il 5 aprile
2008.
Le norme introdotte dalla l. 48/2008 e le modifiche apportate al
codice di procedura penale sono improntanti proprio per quelle
esigenze di immodificabilità delle digital evidence e di genuinità
degli elementi di prova.
In tema di ispezioni informatiche, con le modifiche aggiuntive
all’art. 244 cpp, si è stabilito che l’autorità giudiziaria possa
disporre rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ogni altra
operazione tecnica, anche in relazione a sistemi informatici o
telematici, adottando misure tecniche dirette ad assicurare la
conservazione dei dati originari e ad impedirne l’alterazione.
Sotto il profilo della perquisizione cosiddetta informatica,
invece, la modifica ha interessato l’art. 247 cpp al quale è stato
aggiunto un nuovo co. 1 bis, il quale stabilisce che ove si ha
motivo di ritenere che dati, informazioni, programmi informatici
o tracce comunque pertinenti al reato si trovino in un sistema
informatico o telematico, ancorché protetto da misure di
sicurezza, deve esserne disposta la perquisizione, adottando
misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati
originali e ad impedirne l’alterazione.
Con la legge di ratifica della Convenzione di Budapest è stata
altresì prevista la modifica dell’art. 253 cpp in materia di
sequestro di corrispondenza e si è inserito l’art. 254 bis cpp
relativo alla possibilità di sequestrare dati informatici presso i
fornitori di servizi informatici, telematici e di telecomunicazione;
è stata inserita inoltre una disposizione sul problema che
concerne la custodia delle cose sequestrate (art. 259, co. 2 cpp) e
alcune garanzie circa il sequestro e la custodia di cose deperibili
come appunto i dati informatici (modifica dell’art. 260, co. 2 cpp).
Per i casi di urgenza è stata altresì prevista una modifica all’art.
352 cpp in materia di perquisizioni. In tutte le ipotesi di flagranza
di reato, ovvero nei casi di cui al co. 2 dello stesso articolo, gli
ufficiali di polizia giudiziaria possono adottare misure tecniche
dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad
impedirne l’alterazione e procedere altresì alla perquisizione di
sistemi informatici o telematici quando hanno fondato motivo di
ritenere che in questi si trovino occultati dati, informazioni,
programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato che
possono essere cancellate o disperse.
La norma prevede che gli ufficiali di polizia giudiziaria adottino le
misure tecniche o impartiscono le prescrizioni necessarie ad
assicurare la conservazione dei dati, delle informazioni e dei
programmi oggetto di accertamento, nonché ad impedirne
l’alterazione e l’accesso. Ciò può essere effettuato ove possibile,
attraverso la loro duplicazione mediante una procedura tale da
assicurare la conformità della copia all’originale e la sua
immodificabilità. La l. 48/2008 ha novellato infine anche l’art. 248
cpp (richiesta di consegna di dati, informazioni e programmi
informatici) in quanto il Legislatore ha stabilito che l’Autorità
Giudiziaria può invitare il possessore a consegnare anche tali dati
informatici invece di procedere alla perquisizione.
Sequestro e acquisizione di un sistema informatico e dei
dati digitali sulla scena del crimine
Grazie alle modifiche introdotte dalla l. 48/2008, il codice di
procedura penale prevede importanti disposizioni in materia di
perquisizione, sequestro, acquisizione e conservazione dei dati
presenti su supporti informatici. Ciò è possibile effettuarlo anche
durante la fase della perquisizione per tutto il tempo necessario
all’acquisizione forense degli elementi di prova digitali.
L’intenzione del Legislatore è quella di preservare la cosiddetta
“scena criminis informatica” sia nei casi sempre più frequenti di
sistemi informatici/telematici o smartphone accesi e collegati alla
rete internet, sia nelle diverse ipotesi di rinvenimento di un
personal computer spento.
Durante un’attività di perquisizione domiciliare, in caso di
ritrovamento di un personal computer spento, si deve procedere
ad un comunissimo sequestro del sistema che, rigorosamente
senza mai essere acceso, verrà successivamente sottoposto ad un
accertamento tecnico ai sensi dell’art. 359 cpp o ai sensi dell’art.
360 cpp sempre osservando quei criteri di garanzia e integrità
della digital evidence introdotti nel codice di procedura penale.
Caratteristica tipica del sequestro è la creazione di un vincolo di
indisponibilità su una cosa mobile o immobile, che viene ritenuta
dagli inquirenti corpo del reato o cosa pertinente al reato,
attraverso un atto giudiziario che determina uno spossessamento
coattivo del bene stesso. Il sequestro di un sistema informatico
risente oggi delle modifiche apportate dalla l. 48/2008, ciò che
viene posto sotto sequestro probatorio è il documento
informatico contenuto all’interno del sistema e non il personal
computer o l’hard disk. È necessario, pertanto, assicurare la
genuinità sia del supporto e sia del documento esistente
all’interno del supporto.
La dottrina ritenendo che sussiste quasi sempre un interesse ad
impugnare il trattenimento della copia clone mediante riesame al
fine di verificare la pertinenza del dato, oppure a chiedere la
restituzione ovvero l’annullamento del provvedimento o
comunque chiedere il dissequestro del supporto ove difettino i
presupposti previsti dalla legge. La stessa dottrina sottolinea
come la clonazione delle tracce informatiche non sia soltanto una
semplice conservazione di tracce bensì più propriamente un vero
sequestro di materiale conoscitivo che pertanto deve essere
soggetto alle norme di legge sul sequestro e sul riesame a
prescindere dalla sua intrinseca capacità di essere facilmente
duplicato e restituito. La suscettibilità del dato informatico ad
alterarsi o modificarsi, anche autonomamente nel momento
dell’accensione del computer, impone agli investigatori
un’attenzione particolare durante l’acquisizione del suo
contenuto.
Un personal computer, un notebook, un telefono mobile, uno
smartphone, solitamente conservano un’enorme massa di dati
utilissimi a risalire ad ogni attività che è stata svolta con quello
strumento informatico. Non esiste uno standard o una
metodologia condivisa per il trattamento delle prove digitali
forensi, ma esiste solo un insieme di strumenti e procedure più o
meno consolidate e testate attraverso l’esperienza e la
sperimentazione.
La prima fase è quella dell’individuazione del reperto informatico
d’interesse. Successivamente, c’è la fase acquisitiva che consiste
in un’operazione di estrapolazione e riproduzione su idoneo
supporto del dato digitale oggetto di indagine. Tutto deve
svolgersi nella piena garanzia di integrità e non alterabilità delle
tracce e nella prospettiva di una eventuale ripetibilità
dell’operazione e tenendo presente la necessità di garantire la
genuinità del dato informatico. In tali situazioni è possibile
effettuare l’analisi anche su tutte quelle parti apparentemente
vuote che potrebbero nascondere file o frammenti di file
cancellati e quindi assumere una importanza fondamentale ai fini
delle indagini e dell’accertamento dei fatti. Eventuali errori
compiuti in queste fasi potrebbero produrre effetti negativi in
ordine alla prova. Se durante l’operazione viene dimostrata la
compromissione della genuinità e dell’integrità dei dati contenuti
sui supporti informatici sarà possibile mettere in discussione
l’utilizzabilità degli elementi probatori raccolti.
Il Legislatore italiano aveva già da tempo stabilito che se
l’Autorità Giudiziaria mira ad acquisire una cosa ben precisa e
determinata può, nei limiti del possibile e al fine di evitare di
compiere atti particolarmente invasivi della sfera delle persone
come appunto perquisizioni o ispezioni, invitare il possessore a
consegnare ciò che è oggetto di indagine.
La l. 48/2008 ha novellato la norma inserendo al co. 2, a
proposito della documentazione esaminabile presso le banche,
dati, informazioni e programmi informatici. Pertanto, ai sensi del
co. 1 dell’art. 248 cpp, se attraverso la perquisizione si ricerca una
cosa determinata, l’autorità giudiziaria può invitare il possessore
a consegnarla. Il co. 2 del medesimo articolo prevede che
l’autorità giudiziaria o gli ufficiali di polizia giudiziaria da questa
delegati possono esaminare presso le banche atti, documenti e
corrispondenza nonché dati, informazioni e programmi
informatici. In caso di rifiuto, l’autorità giudiziaria procede ed
effettua una perquisizione. Se la cosa viene consegnata, gli
inquirenti hanno davanti due strade entrambe percorribili: la
prima è caratterizzata dalla rinuncia alla perquisizione e quindi da
una rinuncia alla ricerca di ulteriore materiale, con la seconda
strada invece si procede comunque alla perquisizione ritenendola
utile per la completezza delle indagini. Il co. 2, invece, riguarda
esclusivamente la ricerca di documenti (anche informatici)
custoditi presso le banche e l’obbligo della preventiva richiesta di
consegna da parte dell’Autorità Giudiziaria. In questi casi la
richiesta non è più affidata ad una scelta facoltativa dell’Autorità
Giudiziaria; essa infatti può disporre la perquisizione solo in caso
di rifiuto dell’istituto bancario a consegnare questo richiesto. In
caso di rifiuto dell’istituto bancario, si discute sulla delegabilità o
meno dell’attività alla polizia giudiziaria.
La dottrina ritiene che la successiva perquisizione non sia
delegabile e che deve procedervi direttamente l’autorità
giudiziaria. La locuzione dati, informatici e programmatici
informatici è completamente assente nel co. 1 che parla soltanto
di ricerca di una cosa determinata. Si tratta di una necessità di
indicazione specifica dovuta alla riservatezza e alla rigidità del
mondo bancario e al regime di acquisizione dei relativi
documenti. È infatti abbastanza pacifico che un’interpretazione
estensiva del co. 1 dell’art. 248 cpp consente comunque di far
rientrare tra le cose determinate anche i dati informatici non
sussistendo ragioni per escluderli da tale categoria generale.
Atti ripetibili e atti irripetibili
Le diverse parti processuali devono necessariamente effettuare
un’analisi attenta delle due strade che si pongono loro di fronte:
procedere ai sensi dell’art. 359 cpp ad operazioni ripetibili oppure
procedere con modalità irripetibili ai sensi dell’art. 360 cpp dando
però avviso dell’avvio delle operazioni alle altre parti. L’esigenza
di preservare l’integrità dei dati per consentire eventualmente
ulteriori accertamenti, consulenze difensive o perizie future
comporta che le acquisizioni e le analisi forensi vengano
effettuate attraverso accertamenti tecnici ripetibili grazie
all’ausilio di particolari strumenti informatici hardware o
software, i quali se correttamente usati, consentono di ripetere
l’accertamento ogni volta che ve ne sia la necessità senza che
l’elemento di prova venga alterato. Le tecniche di acquisizione
tipiche della forensics consentono tale ripetibilità in quanto
determinano una cristallizzazione, un congelamento tecnico del
supporto informatico che anche dopo la sua clonazione per
mezzo della bit stream image, conserverà tutti gli elementi
necessari per un’approfondita e completa analisi investigativa.
Salvo in alcune particolari situazioni che possono dipendere
anche dalla tipologia di strumenti informatici da acquisire
(cellulari, smartphone) l’acquisizione dell’elemento probatorio
digitale può avvenire senza dover effettuare un accertamento
irripetibile. Generalmente, quindi, non vi è una prevalenza
tecnica dell’uno o dell’altro tipo di accertamento.
Mentre l’art. 359 cpp riconosce al pubblico ministero la facoltà di
nominare ed avvalersi di consulenti tecnici ove intenda
provvedere ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o
fonografici e ogni altra operazione tecnica per la quale sono
necessarie specifiche competenze, l’art. 360 cpp opera un rilievo
all’articolo precedente senza menzionare ad esempio i cosiddetti
rilievi e dedicando una specifica regolamentazione ai soli
accertamenti tecnici non ripetibili.
Con il termine rilievi si intende indicare un’attività di mera
osservazione, individuazione ed acquisizione di dati materiali,
mentre gli accertamenti comportano un’opera di studio critico, di
elaborazione valutativa ovvero di giudizio di quegli stessi dati. Il
concetto di accertamento riguarda lo studio e la elaborazione
critica degli stessi. Ciò detto, è di tutta evidenza che l’irripetibilità
dei rilievi e più specificatamente l’acquisizione o meglio
l’apprensione dei supporti sottoporre ad analisi forense, non
implica necessariamente l’irripetibilità dell’accertamento tecnico.
L’accertamento tecnico non ripetibile ai sensi dell’art. 360 cpp
non consente una buona difesa soprattutto in presenza di
numerosi supporti sotto sequestro, degli stretti tempi in cui le
operazioni devono essere svolte e soprattutto a causa della
modifica reale e concreta del supporto sul quale si compie
l’accertamento tecnico. In caso di errori compiuti nella fase di
acquisizione e/o di analisi sarà ben difficile anche per un buon
consulente tecnico risalire all’originarietà di un dato ormai
compromesso. Può accadere che circostanze tecniche tendano i
dati informatici rinvenuti sulla scena criminis alterabili non
soltanto nel loro contenuto, ma anche nella loro struttura
interna. In questi casi è necessario svolgere attività di
acquisizione dati con modalità irripetibili e quindi ai sensi dell’art.
360 cpp comunicando alle altre parti processuali l’inizio delle
attività, il luogo dove esse avranno inizio, ed eventuali consulenti
nominati. Nell’ipotesi di lettura del contenuto di un personal
computer effettuata dalla polizia giudiziaria in assenza dei
difensori, ove venga accertata l’assenza di alterazione del disco
informatico, la Suprema Corte ha ritenuto che si è in presenza di
una attività ripetibile. Si deve porre in evidenza però l’importante
passaggio della sentenza sopra citata in merito proprio
all’accertamento dell’assenza di alterazione dell’hard disk. Ciò
che sposta il confine tra atto ripetibile e irripetibile è l’attenta
acquisizione dei dati del supporto originale e la possibilità di
provare successivamente a livello scientifico che i dati della copia
effettuata sono identici a quelli originali e che il supporto
originale, nel frattempo, o durante le operazioni non è stato
modificato o alterato. Ad oggi e sotto il profilo scientifico ciò che
garantisce che la copia di un file o di un supporto è uguale
all’originale e comprova l’assenza di alterazioni nei files è la
procedura tecnica di hashing. Recentemente anche la Corte di
Cassazione si è pronunciata sull’esperibilità delle procedure di
hashing al fine di verificare l’integrità e la conformità all’originale
del dato informatico sequestrato e conservato in copia su un
apposito supporto (nella specie CD-ROM).
Ispezione, perquisizione e acquisizione di un sistema
informatico (live forensics su cloud o su sistemi informatici
non fisicamente raggiungibili)
Le ipotesi in cui è possibile rinvenire sistemi informatici o
telematici accesi e funzionanti sono sostanzialmente di due tipi:
la prima è il primo caso ormai di scuola frequente relativo a
comunissimi personal computers o apparati informatici che si
rinvengono accesi sulla scena del crimine ma che sostanzialmente
sono facilmente asportabili e quindi nella maggioranza dei casi
oggetto di sequestro e di successiva acquisizione e analisi
forense; la seconda ipotesi è quella molto frequente in cui le
circostanze di fatto e di luogo non consentano di acquisire il
contenuto di un sistema informatico attraverso la consegna
materiale dei dati o comunque non consentono di sequestrare
dati e supporti informatici (server) senza provocare un blocco del
servizio pubblico o di pubblico interesse. Le norme del codice di
procedura penale e i cosiddetti standard operativi certificati
disciplinano la cristallizzazione della digital evidence e mirano a
garantire l’integrità dei dati. In caso di intervento in questi ambiti
è frequente che non si conosca esattamente in quale server sono
memorizzati i files d’interesse e vi sia l’impossibilità concreta di
sequestrare tutto il contenuto del server o dei diversi servers in
uso. Si pensi in primo luogo alle difficoltà di sequestrare una
ingente mole di dati informatici presso provider (hosting o
content provider) che gestiscono siti internet, posta elettronica e
tanti altri servizi, oppure presso gestori di comunicazioni
accessibili al pubblico. Si pensi anche ai tanti server o alla banca
dati di un istituto finanziario, di una grande azienda. Nella
maggior parte dei casi non è neanche pensabile interrompere il
servizio. In tali situazioni affinché l’indagine non si blocchi di
fronte a difficoltà di ordine pratico è necessario che l’organo
procedente si ponga preventivamente di fronte all’interrogatorio
su cosa sequestrare. Deve effettuarsi una scelta preventiva dei
dati che possono essere utili alle indagini e ciò che invece può
essere trascurato. Dunque, è necessario comprendere con
esattezza cosa cercare e con quali modalità acquisire ciò che si
desidera. Una volta individuati i file o le directory da acquisire in
quanto utili e necessarie alle indagini occorre farlo garantendo
l’integrità del file e la non modificabilità. Escludendo l’ipotesi di
poter salvare il file su un supporto esterno (pen drive) con il tipico
comando “salva con nome” in quanto andrebbe a modificare i
cosiddetti metadati alterando il file e il suo contenuto, è possibile
invece effettuare una tipica masterizzazione del file o dell’intera
cartella? Se non si adottano le misure tecniche o non si
impartiscono le prescrizioni necessarie ad assicurare la
conservazione e ad impedire l’alterazione e l’accesso a dati,
informazioni e programmi informatici viene violato proprio il
dettato normativo ed in particolare un accorgimento di garanzia
finalizzato a verificare l’integrità e la conformità all’originale del
dato informatico acquisito da un server aziendale. Senza un
congelamento e un’asportazione del file con un preliminare
calcolo di hash, non si consente alla difesa di ripetere
l’operazione direttamente dal server di posta elettronica ma
soltanto dalla copia del CD-ROM effettuato tempo prima dalla
polizia giudiziaria e di non verificare il file originariamente
acquisito attraverso la ripetizione della procedura e il confronto
degli hash. Tutta la fase che prevede un’acquisizione informatica
su computer acceso (cosiddette live forensics) dovrebbe essere
debitamente documentata. Esistono software che consentono di
documentare e dimostrare ciò che accade sullo schermo di un
personal computer registrando un video immediatamente
disponibile poi su supporto informatico; procedura e video che
potrebbe essere poi certificato applicando una firma digitale.
Esistono anche i cosiddetti keylogger (software o harware) in
grado di registrare tutto ciò che un utente digita sulla tastiera del
computer e quindi essere utilizzati all’occorrenza anche per
certificare l’autenticità e la genuinità di un’operazione di
acquisizione fatta dalla polizia giudiziaria durante una live
forensics.
La legge di ratifica della Convenzione di Budapest ha introdotto il
concetto di ispezioni informatiche accanto a quello di
perquisizioni informatiche (artt. 244, co. 2 e 247 cpp).
L’ispezione: consiste nel limitare l’operante all’esame obiettivo
della situazione di fatto esattamente come essa ricade sotto i
sensi percettivi dell’operante che sta procedendo. L’atto ispettivo
viene disposto ed effettuato a scopo di percezione visiva
personale e di tutto ciò che può essere rilevante per le indagini
(art. 244 cpp) con possibilità di eseguire rilievi segnaletici,
descrittivi e fotografici ed etimologicamente deriva da “inspicio”.
Mentre, nella perquisizione: l’organo perquirente fruga e
l’osservazione visiva è il semplice mezzo per l’attività di ricerca e
di apprensione materiale.
L’attività ispettiva è per lo più un rilevamento morfologico degli
effetti e delle tracce esterne visibili, senza intervento
modificatore o invasivo dell’investigatore. Le ispezioni personali
consistono nell’accertamento, sulla sfera intima del corpo di una
persona, delle tracce o degli effetti che il reato ha lasciato. Sono
diversi e preclusi alla polizia giudiziaria gli accertamenti medici
invasivi. Sulle persone gli organi investigativi possono compiere
consensualmente o anche coattivamente i cosiddetti rilievi
esteriori ovvero quelle attività di osservazione e descrizione che
non comportano restrizioni fisico-morali alla libertà del soggetto
o che non si attuano con metodi invasivi. L’ispezione tende quindi
ad assumere informazioni utili attraverso la lettura di segni che
abbiano significati ricavabili dall’applicazione di criteri
argomentativi.
La previsione nell’art. 244 cpp di tale tecnica di preservation data,
potrebbe far ritenere che con l’ispezione si possa scrutare,
guardare all’interno di un sistema informatico pur impedendo
l’alterazione del dato. L’attività di ricerca di un qualcosa di preciso
e circostanziato all’interno di un sistema informatico o di un
server sembra essere riferibile più all’ipotesi di perquisizione
piuttosto che di “inspectio”, mentre una ricerca più generica e
superficiale è più vicina all’ispezione informatica disciplinata
dall’art. 244 cpp. In una scena criminis informatica, l’ispezione è
possibile limitatamente al rilevamento esteriore di tracce e di
altri effetti del reato ed è quindi ipotizzabile soprattutto nel
momento in cui ci si limita ad osservare il sistema informatico o
telematico o comunque ciò che accade nel suo monitor,
descrivendolo nei suoi particolari, l’utilizzo e la presenza di
sistemi di connessione di supporti informatici di pertinenza ed
eventualmente tutto ciò che appare in quel momento sul video.
L'accertamento tecnico urgente sui supporti informatici
(ispezioni e perquisizioni remote su cloud)
In relazione ai dati, alle informazioni e ai programmi informatici o
ai sistemi informatici o telematici ritenuti interessanti, gli ufficiali
della polizia giudiziaria adottano le misure tecniche o
impartiscono le prescrizioni necessarie ad assicurare la
conservazione e ad impedire l’alterazione e l’accesso e
provvedono alla loro immediata duplicazione su adeguati
supporti, mediante una procedura che assicuri la conformità della
copia all’originale e la sua immodificabilità.
Le operazioni urgenti che possono compiere gli organi di polizia
di fronte ad un elemento di prova digitale suscettibile di
alterazione e modificazione, devono essere comunque attività
materiali e tecniche di conservazione del dato nella sua integrità
e, ove l’urgenza lo renda necessario la duplicazione su un
supporto idoneo in maniera tale da rendere l’operazione di
duplicazione ripetibile salvaguardando quindi l’integrità del dato
sul supporto originale e il diritto della difesa a ripetere
l’operazione verificando la genuinità del dato.
In tema di accertamento urgente ex art. 354, co. 2 cpp gli atti non
diventano irripetibili neanche quando le forze di polizia,
prendono diretta cognizione di situazioni, informazioni e dati
all’interno delle memorie informatiche. Durante tale operazione
di preview effettuata correttamente e senza errori tecnici il
supporto informatico in esame non viene modificato o alterato.
La medesima considerazione può essere fatta quando durante
una perquisizione il computer viene rinvenuto acceso e sussista la
necessità di lasciarlo acceso in quanto il suo spegnimento
potrebbe provocare la perdita di dati interessanti, oppure in tutti
quei casi di acquisizione di dati presso i provider, o presso istituti
finanziari o grandi banche dati con enormi quantità di serve
difficilmente sequestrabili. Altra ipotesi di accertamento o rilievo
tecnico urgente da porre in essere con le modalità sopra
specificate è quella relativa alle perquisizioni presso terzi
soprattutto quando la clonazione dell’intero hard disk o dei
server è sovrabbondante e c’è il rischio concreto di acquisire dati
e informazioni non necessari per l’indagine o addirittura lesivi
della dignità o del diritto di riservatezza delle persone.
Il ciclo di vita di un reperto digitale (hardware/software)
Le “prove elettroniche” (digital evidence) sono dati o
informazioni memorizzate in un dispositivo elettronico di
interesse per l’accertamento penale. Le prove elettroniche non
sono evidenti, nel senso che non si possono acquisire tramite la
semplice osservazione visiva, ma devono essere ricavate
esclusivamente mediante un processo informatico di natura
certificata che determina una specifica elaborazione. Un dato
digitale è per sua natura soggetto ad essere modificato, alterato o
distrutto con estrema facilità. La preservazione più o meno sicura
è fondamentale anche per la successiva ed indispensabile analisi
a scopo di indagine. L’interpretazione dei dati elettronici presenti
in un computer è poi altrettanto importante quanto la loro
individuazione questo perché un dato male interpretato genera
informazioni sbagliate.
I dati elettronici, per poter essere ammessi al processo, devono
essere ottenuti mediante procedure corrette, legalmente
certificate e documentate. Si possono individuare almeno 4 fasi
che portano a determinare le fonti di prova digitali:
1. Il repertamento dei dispositivi elettronici e dei dati sulla
scena del crimine coinvolge aspetti quali la capacità di
individuare gli oggetti e le informazioni, di raccogliere ed
imballarle correttamente, evitando di modificarle, di
redigere un verbale esaustivo.
2. Il procedimento di copia è generalmente indispensabile al
fine di preservare i dati rilevati e garantire la ripetibilità della
successiva fase di analisi. La copia a scopo forense è
complessa e deve essere svolta solo da strumenti
hardware/software adeguati e riconosciuti per l’impiego a
scopo forense.
3. L’analisi è la più complessa delle fasi e richiede competenze
tecniche molto approfondite e notevole esperienza nelle
indagini. È bene tenere presente che l’esperienza nel settore
informatico non coincide con quella nel settore informatico
forense.
4. La costruzione della relazione finale da presentare agli
investigatori e/o alla magistratura richiede una notevole
schematicità di rappresentazione dei fatti, una discreta
capacità di sintesi e la capacità di descrivere i risultati con
parole semplici. La relazione deve essere completa ovvero
deve includere i risultati e anche la descrizione puntuale
delle procedure.
La Perizia
e
la Consulenza tecnica
L’intervento del perito e del consulente tecnico, quale esperto
al quale affidare l’incarico di valutazione ed elaborazione critica
tecnico-scientifica dei dati materiali pertinenti al reato ed alla
sua prova, assume un ruolo di particolare rilievo nella dinamica
processuale per l’apporto necessario al giudice di quelle
cognizioni tecnico-scientifiche indispensabili ai fini della
soluzione delle questioni che richiedono particolari conoscenze
tecniche, scientifiche ed artistiche.
LA PERIZIA (art. 220):
la perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o
acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche
competenze tecniche, scientifiche o artistiche.
In realtà c’è anche chi ha ritenuto che in tutti i casi in cui il
giudice non è in grado di decidere su aspetti puramente tecnici
il ricorso all’esperto risulti quasi essere tendenzialmente
obbligatorio. Esiste però un generale divieto che è espresso al
co. 2 di quest’articolo: ovvero non sono ammesse perizie per
stabilire l'abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a
delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in
genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche,
(c.d. divieto di perizia criminologica). Che è un’indagine che,
eventualmente, potrà servire in un momento successivo
quando si deve scegliere un programma trattamentale o
l’applicazione di una misura di sicurezza.
Una sentenza del 2006 si è espressa sul punto (co.2)
affermando che questo divieto, però, non si estende anche alla
persona offesa chiamata a testimoniare la cui deposizione,
proprio perché può essere assunta da sola come fonte di
prova, deve essere sottoposta ad una rigorosa indagine
positiva sulla credibilità anche soggettiva che deve essere
verificata anche sotto il profilo della capacità di testimoniare.
La giurisprudenza del 1999 sostiene che, ed è condivisa dalla
giurisprudenza più recente, quando il giudice deve valutare
l’attendibilità di una prova scientifica e lo fa attraverso la
nomina di un perito o ascoltando i consulenti richiesti dalle
parti private, non basta solo il loro racconto per il
convincimento in quanto è necessario che il giudice tenga
conto dei criteri daubert e cioè deve tenere conto del fatto che
quella prova sia appartenente al good science ‘’buona scienza’’
e non ‘’bad science’’, è necessario che vi sia l’accettazione da
parte di una comunità scientifica.
LA NOMINA (art. 221): Il giudice nomina il perito
scegliendolo tra gli iscritti negli appositi albi o tra
persone fornite di particolare competenza nella specifica
disciplina. Questi requisiti vengono elencati dal:
Art. 69 disp. att. c.p.p. (Requisiti per l’iscrizione nell’albo)
1. Salvo quanto previsto dal comma 3, possono ottenere
l'iscrizione nell'albo le persone fornite di speciale competenza
nella materia.
2. La richiesta di iscrizione, diretta al presidente del tribunale,
deve essere accompagnata dall'estratto dell'atto di nascita, dal
certificato generale del casellario giudiziale, dal certificato di
residenza nella circoscrizione del tribunale e dai titoli e
documenti attestanti la speciale competenza del richiedente.
3. Non possono ottenere l'iscrizione nell'albo le persone:
a) condannate con sentenza irrevocabile alla pena della
reclusione per delitto non colposo, salvo che sia intervenuta
riabilitazione;
b) che si trovano in una delle situazioni di incapacità previste
dall'articolo 222 comma 1 lettere a), b), c) del codice;
c) cancellate o radiate dal rispettivo albo professionale a seguito
di provvedimento disciplinare definitivo.
Bisogna anche fare riferimento all’albo del perito:
Art. 68 disp. att. c.p.p. (Albo dei periti)
1. Presso ogni tribunale è istituito un albo dei periti, diviso in
categorie.
2. Nell'albo sono sempre previste le categorie di esperti in
medicina legale, psichiatria, contabilità, ingegneria e relative
specialità, infortunistica del traffico e della circolazione stradale,
balistica, chimica, analisi e comparazione della grafia
interpretariato e traduzione.
3. Quando il giudice nomina come perito un esperto non iscritto
negli albi, designa, se possibile, una persona che svolge la propria
attività professionale presso un ente pubblico.
4. Nel caso previsto dal comma 3, il giudice indica specificamente
nell'ordinanza di nomina le ragioni della scelta.
5. In ogni caso il giudice evita di designare quale perito le persone
che svolgano o abbiano svolto attività di consulenti di parte in
procedimenti collegati a norma dell'articolo 371 comma 2 del
codice.
Quest’albo inoltre, ai sensi dell’art. 67 disp. Att. (formazione e
revisione dell’albo), è tenuto a cura del presidente del tribunale
ed è formato da un comitato da lui presieduto e composto dal
procuratore della Repubblica presso il medesimo tribunale, dal
presidente del consiglio dell'ordine forense, dal presidente
dell'ordine, del collegio ovvero delle associazioni rappresentative
a livello nazionale delle professioni non regolamentate a cui
appartiene la categoria di esperti per la quale si deve provvedere
ovvero da loro delegati. Il comitato decide sulla richiesta di
iscrizione e di cancellazione dall'albo, inoltre può assumere
informazioni e delibera a maggioranza dei voti, ma in caso di
parità di voti, prevale il voto del presidente. Il comitato poi
provvede ogni due anni alla revisione dell'albo per cancellare gli
iscritti per i quali è venuto meno alcuno dei requisiti previsti
dall'articolo 69 comma 3 o è sorto un impedimento a esercitare
l'ufficio di perito.
LA PERIZIA COLLEGIALE: (è una tipologia di perizia) Il giudice
affida l'espletamento della perizia a più persone quando le
indagini e le valutazioni risultano di notevole complessità ovvero
richiedono distinte conoscenze in differenti discipline. Questa
perizia porterà ad un prodotto, di quest’attività peritale, e
richiederà ovviamente la firma di tutti gli esperti (c.d. firma
congiunta).
Ma la domanda sorge spontanea: sostanzialmente il perito
quando viene nominato può rifiutare l’incarico o è obbligato a
prestare servizio? OBBLIGHI DEL PERITO
Il perito ha l'obbligo di prestare il suo ufficio, a meno che non ci
siano delle cause che vengono definite cause di ‘’astensione’’ cioè
cause che non gli consentirebbero di essere imparziale, cioè
valutare e ritenere che la sua relazione siano oggettivi e neutrali.
ASTENSIONE cause: se ha interesse nel procedimento o se alcuna
delle parti private o un difensore o debitore o creditore di lui, del
coniuge o dei figli; se è tutore, curatore, procuratore o datore di
lavoro di una delle parti private ovvero se il difensore,
procuratore o curatore di una di dette parti prossimo congiunto
di lui o del coniuge; se ha dato consigli o manifestato il suo parere
sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle funzioni
giudiziarie; se vi è inimicizia grave fra lui, o un suo prossimo
congiunto, nei confronti di una delle parti private; se alcuno dei
prossimi congiunti di lui o del coniuge offeso o danneggiato dal
reato o parte privata; se un prossimo congiunto di lui o del
coniuge svolge o ha svolto funzioni di pubblico ministero; se
esistono altre gravi ragioni di convenienza.
O può essere ricusato nei casi di incompatibilità o incapacità.
Se invece il perito dovesse rifiutarsi incorre in una sanzione,
addirittura in un reato in quanto penalmente rilevante codificato
e tipizzato nel RIFIUTO DI UFFICI PENALMENTE DOVUTI (art. 366):
per cui chiunque, nominato dall'Autorità giudiziaria perito,
interprete, ovvero custode di cose sottoposte a sequestro dal
giudice penale, ottiene con mezzi fraudolenti l'esenzione
dall'obbligo di comparire o di prestare il suo ufficio, è punito con
la reclusione fino a sei mesi o con la multa da trenta euro a
cinquecentosedici euro.

Quindi, in sostanza, il perito è obbligato a prestare il proprio


servizio una volta individuato, la sua scelta, infatti, è ammonte, se
non vuole prestare servizio non si iscrive agli albi, a meno che nel
singolo caso di specie non c’è una situazione di probabile
parzialità che non gli consente di svolgere in maniera oggettiva il
suo incarico. Se poi è incapace in quel caso è una delle cause che
non consentirebbe proprio l’iscrizione all’albo.
FALSA PERIZIA (art.373): il perito è obbligato ad adempiere al
proprio ufficio secondo verità. Infatti il perito o l'interprete, che,
nominato dall'Autorità giudiziaria, dà parere o interpretazioni
mendaci, o afferma fatti non conformi al vero, soggiace alle pene
stabilite nell'articolo precedente. la condanna importa, oltre
l'interdizione dai pubblici uffici, l'interdizione dalla professione o
dall'arte.
SOSTITUZIONE: il perito può essere sostituito se non fornisce il
proprio parere nel termine fissato dal giudice o se la richiesta di
proroga non è accolta o se svolge negligentemente l’incarico che
gli è stato affidato. Può essere sostituito anche quando viene
accolta la dichiarazione di astensione o ricusazione.
NOMINA DEL PERITO (artt. 224 e 226): Il giudice dispone anche di
ufficio la perizia con ordinanza motivata, contenente la nomina
del perito, la sommaria enunciazione dell'oggetto delle indagini,
l'indicazione del giorno, dell'ora e del luogo fissati per la
comparizione del perito. Il giudice dispone la citazione del perito
e dà gli opportuni provvedimenti per la comparizione delle
persone sottoposte all'esame del perito. Adotta tutti gli altri
provvedimenti che si rendono necessari per l'esecuzione delle
operazioni peritali. Il giudice, accertato che non ci sono delle
condizioni di incompatibilità tali per cui lo stesso perito dovrebbe
astenersi (o pena la sostituzione), lo avverte degli obblighi (dire la
verità, e procedere a rispondere ai quesiti che gli sono stati posti)
e delle responsabilità previste dalla legge. A questo punto il
giudice gli formula dei quesiti, delle domande che il perito è
tenuto a sciogliere e, il perito, dà risposta a questi quesiti
attraverso la redazione della RELAZIONE PERITALE: il perito,
quindi, procede immediatamente ai necessari accertamenti e
risponde ai quesiti. Se, per la complessità dei quesiti, il perito non
ritiene di poter dare immediata risposta, può chiedere un
termine al giudice ma quando risultano necessari accertamenti di
particolare complessità, il termine può essere prorogato dal
giudice, su richiesta motivata del perito.
I POTERI DEL PERITO: Il perito procede alle operazioni necessarie
per rispondere ai quesiti. A tal fine può essere autorizzato dal
giudice a prendere visione degli atti, dei documenti e delle cose
prodotti dalle parti dei quali la legge prevede l'acquisizione al
fascicolo per il dibattimento. Il perito può essere inoltre
autorizzato ad assistere all'esame delle parti e all'assunzione di
prove. Quindi il perito spiega, dettaglia in maniera rigorosa tutte
le attività che compie avendo anche l’obbligo di indicare il giorno,
l'ora e il luogo in cui inizierà le operazioni peritali e il giudice ne fa
dare atto nel verbale.
LA PERIZIA COATTIVA
Assume un ruolo, e una sua dignità normativa, solo nel 2009 con
la l. 85 che innesta un nuovo articolo ovvero il 224bis nel codice
di rito, e regolamenta questa forma particolare di perizia.
In alcune circostanze è necessario che il perito venga autorizzato
al compimento di attività tecniche che possono limitare la libertà
personale. Tendenzialmente, il problema della normativa è legato
al consenso: cioè tutti gli atti che sono idonei ad incidere sulla
libertà personale del soggetto sono atti che possono avvenire in
ogni caso se vi è il consenso della persona interessata (limite:
l’individuo non può consentire ad atti che comportino una
diminuzione permanente dell’integrità fisica o psichica o che
ledano la propria dignità) oppure con determinate modalità che il
codice di rito prevede nell’art. 224bis (perizia coattiva) e al 359bis
(accertamenti coattivi) quindi senza il consenso (limite art.13
cost: la libertà personale è inviolabile, se non per atto motivato
dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge,
c.d. riserva di legge).
La norma interviene ponendo dei limiti oggettivi: (limiti perizia
coattiva)
- Un primo limite oggettivo all'esecuzione coattiva degli
accertamenti è dato dalla tipologia dei reati: la perizia
coattiva è consentita per i delitti dolosi o preterintenzionali,
consumati o tentati, per i quali la legge stabilisce la pena
dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre
anni e negli altri casi (omicidio stradale e lesioni personali
stradali gravi o gravissime) espressamente stabiliti dalla
legge.
- La norma pone, poi, un presupposto di natura processuale:
la perizia coattiva deve essere assolutamente indispensabile
per la prova dei fatti.
Che cosa si può fare?: si possono compiere atti idonei ad incidere
sulla libertà personale, ovvero prelievo di capelli, peli, mucosa del
cavo orale su persone viventi ai fini della determinazione del
profilo del DNA o accertamenti medici (vincolo di scopo), e se non
vi è consenso, quindi, il giudice dispone (anche d’ufficio) perizia
coattiva se risulta indispensabile, con ordinanza motivata.
IL DIRITTO DI DIFESA: quando manca il consenso della persona
interessata deve essere tutelato tutto un complesso di diritti nei
confronti di tale persona. In particolar modo deve essere tutelato
il diritto di difesa. In sostanza, quando il giudice dispone la perizia
coattiva, l’ordinanza deve contenere anche contenere l’avviso
della facoltà di farsi assistere da un difensore o da persona di
fiducia. L’atto è addirittura affetto da nullità se la persona
sottoposta al prelievo o accertamenti non è assistita dal difensore
nominato. Inoltre l’ordinanza è notificata all’imputato, al
difensore e alla persona offesa almeno 3 giorni prima
dell’esecuzione delle operazioni peritali.
Ci sono anche delle garanzie circa i comportamenti che deve
tenere il perito, e quindi si hanno dei limiti comportamentali
volti alla protezione della dignità e del pudore della persona
che è sottoposta all’attività peritale.
ACCERTAMENTO COATTIVO (art.359 bis cpp)
Nel 2009 il legislatore interviene anche in rapporto
all’accertamento tecnico attraverso l’introduzione del 359bis.
Esso si trova esattamente al centro, ovvero tra 359 e 360; si tratta
di un’attività che può essere compiuta dai consulenti tecnici del
pm, ed è una species di attività di accertamento tecnico ripetibile.
La norma dice che, fermo quanto disposto dal 349 bis
(identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le
indagini), quando devono essere eseguite le operazioni di cui
all’art. 224 bis e non vi è consenso dell’interessato il pm ne fa
richiesta al gip che le autorizza con ordinanza quando ricorrono le
condizioni previste.
Tuttavia quando nei casi d’urgenza v’è fondato motivo che dal
ritardo possa derivare grave o irreparabile giudizio alle indagini il
pm dispone lo svolgimento delle operazioni con decreto
motivato, senza l’intervento del giudice, provvedendo anche
l’accompagnamento coattivo qualora la persona da sottoporre
alle operazioni non si presenti senza addurre un legittimo
impedimento. Poi entro le 48 ore successive il pm richiede al gip
la convalida del decreto ed eventuale accompagnamento
coattivo, e il gip provvede con ordinanza entro le 48 ore
successive dandone avviso al pm e difensore.
LA PERIZIA COATTIVA NELL’IPOTESI DELL’OMICIDIO STRADALE:
nel 2016 la legge n. 41 introduce due fattispecie autonome di
reato rappresentate dall’omicidio stradale e da lesioni stradali
gravi o gravissime, prevedendo nuove ipotesi di reato nel caso in
cui il reato sia compiuto a seguito dell’alterazione dell’effetto di
sostanze alcoliche o stupefacenti o psicotrope della persona
sottoposta alle indagini. Questi accertamenti diventano
fondamentali nel caso di queste due ipotesi, perché la quantità di
pena da irrogare è strettamente connessa alla quantità di alcol o
di sostanze stupefacenti presenti nell’organismo. Perché sono
previste delle apposite tabelle e degli appositi valori soglia che in
base al tipo di alterazione e al grado di alterazione vanno a
misurare la sanzione da applicare. Quindi il problema, si pone più
che altro, agli accertamenti più che alla perizia, perché
quest’ultima è già prevista dal 224 bis per questi reati, ma gli
accertamenti ai sensi del 359 bis si devono fare urgentemente
per il motivo cui sopra, nel caso poi di rifiuto da parte del
conducente e vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo
possa derivare un pregiudizio alle indagini il pm può procedere
d’urgenza, senza emanare il decreto motivato può disporre
questa autorizzazione oralmente per poi confermarla per iscritto.
Del decreto e delle operazioni è data tempestiva notizia al
difensore dell’interessato che ha facoltà di assistere.
Dunque l’iter è: il pm può procedere in autonomia ad autorizzare
la pg che è presente sul posto a trasportare il conducente al
presidio ospedaliero più vicino per svolgere tutti gli accertamenti.
Il pm dà l’autorizzazione anche oralmente confermandola poi per
iscritto. La pg informa il difensore dell’autorizzazione ottenuta al
compiere le operazioni, e se non c’è uno di fiducia designa uno di
ufficio. Il pm entro 48 ore chiede la convalida del decreto al gip.
IN SINTESI
LA PERIZIA COATTIVA nel reato di omicidio e lesioni stradali: si
può procedere a perizia coattiva nei casi di delitti (colposi) di reati
o lesioni stradali solo per estrarre profilo di DNA (es. per
confrontarlo con quello del guidatore che provoca un incidente
mortale e lascia tracce ematiche sull’autovettura e si rende
irreperibile)
L’ACCERTAMENTO COATTIVO nel reato di omicidio e lesioni
stradali: prevede che nei casi di urgenza, quando vi è fondato
motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare un pregiudizio
grave e irreparabile alle indagini, la pg può procedere su
autorizzazione (anche orale) del pm al ‘’necessario prelievo’’ con
esecuzione coattiva se la persona si rifiuta di sottoporvisi.
PRIMO INTERVENTO (incidente): la pg inizia a ricostruire la
dinamica del reato, se si vi è motivo di ritenere che la morte del
soggetto sia legata ad ipotesi di omicidio stradale, la pg deve
procedere a verificare le condizioni psico-fisiche del conducente:
1) accertamenti qualitativi: l’art. 186, co.3, cod. strad. sancisce
che nel rispetto della riservatezza personale e senza
pregiudizio all’integrità fisica si possono sottoporre i
conducenti ad accertamenti qualitativi non invasivi
attraverso apparecchi portatili. Per lo stato di ebbrezza
questi apparecchi sono precursori chimici a fiala monouso o
con precursori elettronici. Per le sostanze di stupefacenti si
fanno accertamenti qualitativi su fluido del cavo orale. Non
si tratta di vere e proprie prove, servono da base per
eventuali e futuri accertamenti di natura quantitativa;
inoltre, sono obbligatori altrimenti il conducente incorre a
delle sanzioni collegate alla disciplina del codice della strada.
2) Accertamenti quantitativi: art. 186 co. 4, cod. strad. Per cui
quando gli accertamenti qualitativi al co.3 hanno dato esito
positivo gli organi di polizia stradale, che anche
accompagnandolo presso il più vicino comando, hanno la
facoltà di effettuare l’accertamento con strumenti e
procedure determinate dal regolamento, il conducente deve
essere avvisato di farsi assistere da un difensore di fiducia.
Per lo stato di ebbrezza: possono utilizzare l’etilometro che,
altrimenti si designa uno di ufficio (per l’urgenza la polizia
può procedere anche se il difensore non è ancora arrivato).
ci fa capire quanto il soggetto è alterato; devono essere fatte
due misurazioni a distanza di 5 minuti non solo per fornire
dati ma anche a fornire PROVA DOCUMENTALE. Per le
sostanze stupefacenti: vengono fatti accertamenti clinico-
tossicologici su campioni di mucosa dal cavo orale prelevati
a cura di personale sanitario ausiliario delle forze di polizia
oppure sui campioni di fluido del cavo orale (anche analisi
delle urine).
NOMINA DELL’OPERATORE SANITARIO QUALE AUSILIARIO: Se il
soggetto si rifiuta al compimento di questi test, la polizia, può
essere autorizzata (anche oralmente) all’esecuzione coattiva degli
accertamenti, ovvero la polizia può accompagnare coattivamente
il soggetto al presidio ospedaliero più vicino, in cui l’ufficiale di
polizia conferisce all’operatore sanitario l’incarico di ausiliario di
pg e lo invita a compiere gli accertamenti coattivi. Ma c’è un
problema, che è incidente e incisivo perché, ci si chiede, come si
fa a procedere coattivamente al prelievo ematico senza ledere il
diritto alla integrità fisica? La corte cost. aveva più volte
affermato che questo non rappresentava un’attività tanto
incisiva, però nel 2006 la corte è giunta a considerarli come atti
che possono ledere l’integrità psico-fisica. Il prelievo ematico,
quindi, effettuato nell’ambito di un controllo medico (es. il
conducente si ferisce, viene portato al pronto soccorso)
l’utilizzabilità è acclarata, ovvero il prelievo ematico, in questo
caso, è atto dovuto; il problema si pone nelle ipotesi inversa,
ovvero il prelievo ematico è richiesto per finalità probatorie dalla
pg, in questo caso, in alcune pronunce, è stata sancita
l’inutilizzabilità dei risultati per contrasto del 191 cpp (l’attività
contrasta con il diritto di rifiutare pratiche sanitarie invasive.
Alcune procure come quella di Trento, dicono che il problema si
pone nei confronti del prelievo ematico coattivo perché in questo
caso lederebbe la libertà della persona.
Nelle ultime aperture della corte di cassazione ci sarebbe la
possibilità che venga utilizzato il risultato di un prelievo ematico
coattivo anche nell’ipotesi in cui questo non sia stato effettuato
nell’ambito degli accertamenti medici.
ESISTONO DUE FORME DI CONSULENZA: consulenza endoperitale
ed extraperitale
CONSULENZA ENDOPERITALE (art.225)
Il pm e le parti private, dato che il giudice ha disposto perizia,
possono nominare i propri consulenti al fine di riportare un
equilibrio tra le parti processuali con una limitazione, in questo
caso, ovvero i consulenti devono essere in numero pari al numero
dei periti nominati dal giudice. In questo caso i consulenti
possono assistere al conferimento dell’incarico al perito e
possono presentare richieste, osservazioni e riserve al giudice;
possono partecipare alle operazioni peritali proponendo al perito
specifiche indagini e formulando osservazioni e riserve e possono
anche, eventualmente, esaminare la relazione peritale nel caso in
cui vengono nominati dopo l’esaurimento delle operazioni
peritali.
CONSULENZA EXTRAPERITALE (art.233 cpp)
Viene consentita la possibilità alle parti private di nominare
autonomi e propri consulenti, anche in assenza di un perito
nominato dal giudice. Quindi in questo caso con l’unico limite
rappresentato dall’impossibilità di nominare i consulenti in
numero superiore a due.
Quindi in sostanza, la perizia e la consulenza sono istituti
autonomi, il giudice può o deve servirsi di un esperto e
altrettanto le parti possono servirsi di un esperto per riequilibrare
i poteri delle parti processuali cercando di fornire una propria
visione, un’alternativa rispetto a quella prospettata dal perito nel
caso di una consulenza endoperitale oppure per agire in una
consulenza autonoma nominando i consulenti anche in assenza di
una nomina del perito.
Quello che differenzia la consulenza tecnica dalla perizia sono i
MOMENTI in cui possono essere disposte perché nelle indagini
preliminari la consulenza tecnica (extraperitale) può essere
richiesta per il compimento di atti investigativi sia da parte del pm
che del difensore. Il problema si pone per il giudice che, in questa
fase, potrà avvalersi di un perito solo nei casi di incidente
probatorio.
Quando il PM può servirsi di un consulente tecnico: per il
compimento di accertamenti tecnici ripetibili (art. 359) quando
procede ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o
fotografici e ad ogni altra operazione tecnica per cui sono
necessarie specifiche competenze; per il compimento di
accertamenti tecnici irripetibili (art. 360). Il pubblico ministero
nomina il consulente tecnico scegliendo di regola una persona
iscritta negli albi dei periti ai sensi dell'art. 73 disp. att. del
presente codice. Quindi si tratta sempre di soggetti chiamati a
fornire contribuiti di natura tecnico-scientifica, fondati su
cognizioni specialistiche non possedute dall'organo inquirente.
Quando il DIFENSORE può servirsi di un consulente tecnico: per
l’accesso ai luoghi, in modo da effettuare il ‘’sopralluogo tecnico
della difesa’’ (art. 319 sexies); può farlo per il compimento degli
accertamenti tecnici non ripetibili (art. 391 decies).
Quando il GIUDICE può servirsi del perito: durante la fase delle
indagini preliminari il giudice può disporre perizia quando si sta
compiendo incidente probatorio richiesta o dal pm o
dall’indagato (art. 392 cpp) c.d. perizia urgente (se la prova
riguarda una persona, una cosa o un luogo il cui stato è soggetto
a modificazione non evitabile) e di lunga durata e perizia coattiva.
È possibile anche di avvalersi di un perito o nominare un
consulente tecnico anche in altre fasi processuali (udienza
preliminare, rito abbreviato, dibattimento) e nei limiti stabiliti.

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