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Lo stato attuale: dopo l’intervento del pm, sulla scena del crimine
la pg è legittimata a compiere attività di natura tecnico-scientifica
nelle forme dei rilievi irripetibili (senza le garanzie del
contraddittorio) o degli accertamenti ripetibili, alle volte anche
per mezzo di una delega, oltre che degli accertamenti irripetibili
posti in essere ai sensi dell’art. 360 in qualità di consulente
tecnico al pm.
Evidenti distonie con quanto il codice di rito prescrive;
Lesioni sui diritti difensivi già ampiamente descritte;
Rallentamenti ed inefficienze operative;
La situazione d’incertezza in cui versano gli operatori
(investigatori, magistrati, difensori) che incide sul buon
andamento dei singoli processi ma, anche, sull’intero
sistema penale che genera tanta confusione normativa ed
operativa, orientamenti fortemente contrastanti ed
altalenanti.
Una sovraesposizione della pg alla quale è assegnato un
compito ulteriore rispetto a quello tradizionale di organo
investigativo senza, in punto di diritto, avere un apparato di
norme che, oltre a garantire l’indagato, assicurino la ritualità
delle sue azioni attraverso il riconoscimento di
responsabilità, oneri, doveri ma anche diritti.
Nell’attesa di un intervento legislativo che ponga fine sia agli
equivoci operativi che alle rocambolesche soluzioni della
giurisprudenza e riconosca alla pg un nuovo ruolo investigativo
nel rispetto delle garanzie difensive, si cercano delle soluzioni
concretamente percorribili che non rappresentino una forzatura
del sistema. Sembrerebbe più corretto parlare di operazioni
tecniche. Può essere usata inglobando tanto i rilievi che gli
accertamenti e determinando un’atipicità di contenuti che ben si
presta alla condizione di indeterminatezza operativa nella quale
ci si trova ad intervenire. Si ritiene che la differenza nella
disciplina delle attività di sopralluogo giudiziario (rilievi o
accertamenti che siano) segua l’incedere fisiologico del percorso
lungo cui si snoda comunemente il sopralluogo: il distinguo va
fatto tra le attività tecnico-scientifiche compiute in condizioni di
periculum in mora, ossia in situazione di urgenza dettata dalla
labilità delle tracce da repertare, le attività tecnico-scientifiche
compiute in condizioni d’urgenza investigativa, che è la
condizione di urgenza dettata dalla necessità di dare immediato
corso alle indagini in seguito ad una valutazione specialistica
dell’investigatore ed infine ogni altra attività scientifica compiuta
al di fuori delle prime. Questa tripartizione corrisponde ai tre
diversi momenti di intervento tecnico degli organi di pg che, già
da molti anni, è stata accolta nei Paesi di common law. Le prime
due fanno riferimento al primo intervento e CSI, la terza è quella
destinata ad ottenere il risultato scientifico proveniente dalle
tracce repertate attraverso le analisi di laboratorio effettuate sui
reperti sotto la direzione del pm. È evidente che questa
tripartizione pone seri problemi di tenuta normativa. Non tanto
per la prima attività, che rientra a pieno titolo nell’art. 354,
quanto per la seconda che non troverebbe legittimazione
giuridica non rientrando nelle forme dell’art. 354 perché trattasi
di attività che vengono poste in essere dopo l’intervento del pm,
ma non dal suo consulente tecnico e non nelle forme dell’art.
360.
Al momento, forse la sola soluzione prospettabile è quella che si
giova del combinato disposto degli artt. 244 e 370, lì dove
consente una delega del pm alla pg nel compimento di rilievi
segnaletici, descrittivi e fotografici ed ogni altra operazione
tecnica in sede di ispezione.
Art. 244 – casi e forme dell’ispezione; un tempo, si diceva che
l’ispezione designa la ricerca visiva di un possibile segno, che si
tratta di un’osservazione della realtà, di un’osservazione diretta
ed immediata di essere umani, dei loro corpi, di oggetti o luoghi.
Dal secondo comma, si evince anche che l’ispezione è funzionale
alla ricerca di quanto non è visibile ad occhio nudo, di quanto
deve essere individuato prima ancora di essere osservato, di
quanto deve essere analizzato per comprendere se, in che modo
e quando è stato creato, modificato, lasciato. I rilievi e gli
interventi di carattere tecnico rimangono ispezioni se finalizzati
alla percezione e rilevazione di dati effettuati dagli operatori sulla
scena del crimine. Nel momento in cui tali dati richiedono una
particolare elaborazione e valutazione critica da effettuarsi in
laboratorio, troverà applicazione la disciplina degli accertamenti
tecnici non ripetibili di cui all’art. 360. In assenza di norme
adeguate, la delega dell’ispezione è la sola soluzione capace di
preservare comunque le garanzie difensive della persona
sottoposta alle indagini; quelle stesse garanzie previste per le
attività compiute ai sensi dell’art. 354. Quindi, l’obbligo di
redazione del verbale (art. 373), del suo deposito presso la
segreteria entro il terzo giorno successivo al compimento
dell’atto con la facoltà del difensore di prendere visione della
documentazione ed eventualmente estrarne copia (art. 366), ma
soprattutto di avvisare il difensore del diritto all’assistenza
difensiva con preventivo avviso almeno 24 ore prima (art. 364).
L’art. 5, l. 7.12.2000, n. 397, in tema di investigazione difensive,
attraverso l’inserimento dei commi 1 bis e 1 ter nell’art. 233, ha
esteso i poteri del consulente tecnico di parte oltre i casi in cui sia
stata disposta perizia; l’esperto può esaminare le cose
sequestrate, intervenire nelle ispezioni o esaminare l’oggetto
delle stesse quando non abbia potuto parteciparvi. L’intervento
del consulente tecnico nelle ispezioni assume contenuti diversi
dalla presenza del difensore. Perché si rivela molto più efficiente
sotto il profilo tecnico potendo effettuare un controllo delle
attività esperite, potendo fare considerazioni e richieste che
saranno contenute nel verbale, potendo infine acquisire degli
elementi informativi utili al successivo compimento delle sue
indagini.
Gli esperti dimostrano che il sopralluogo, per sua stessa natura, è
l’investigazione nella quale più frequentemente si commettono
errori che possono arrivare a compromettere l’accertamento dei
fatti. L’inquinamento della scena del reato, il cattivo uso degli
strumenti di repertazione e diagnosi delle tracce, i dubbi di
affidabilità delle nuove tecnologie applicate, rappresentano solo
alcuni dei tanti fattori che potenzialmente mettono in discussione
l’automaticità dei meccanismi acquisitivi delle relative
conoscenze amplificando la necessità che il sistema si doti di
strumenti atti a muovere ipotesi di falsificazione dei risultati
scientifici e dei loro mezzi di acquisizione.
Nella realtà il controllo difensivo è pressoché inattuabile. Perché:
- I diritti difensivi appena descritti si sono trasformati in una
vuota formula di stile perché la Cassazione, quasi
unanimamente, ne ha ridotto la mancata osservanza a mera
irregolarità;
- La sede giurisprudenziale nella quale far rilevare la presenza
di eventuali errori procedurali finisce per essere quella
dell’udienza preliminare (soprattutto nel caso si proceda con
rito abbreviato), del dibattimento, dell’appello e finanche
della cassazione, ma non l’udienza per la discussione del
riesame o per la discussione di ogni altra questione che
interessi la fase delle indagini preliminari.
Il primo momento utile per la discussione sulla correttezza delle
modalità con cui i reperti sono stati individuati, acquisiti e
sottoposti alla catena di custodia che li fa transitare dalla scena ai
laboratori e poi al processo, diventa il dibattimento. È lì che le
parti sono chiamate a discutere dell’attendibilità tecnico-
scientifica del reperto. Trattandosi di prove già formate perché
dotate del carattere dell’irripetibilità, e quindi precostituite
rispetto al momento di attuale del giudizio di ammissibilità, il
contraddittorio rappresenta nulla più che un controllo successivo
all’utilizzabilità degli elementi acquisiti e, in questa prospettiva,
poco efficace.
I protocolli operativi e le linee guida come garanzia di
qualità e parametro di controllo giurisdizionale
Tanto nel corso del primo intervento, quando l’O.P.I. è legittimato
a compiere rilievi ed accertamenti urgenti in assenza del pm e del
difensore dell’indagato, quanto nella fase del CSI in cui l’elevata
specializzazione degli esperti della pg sottrae i relativi interventi
alla direzione attenta del pm, si crea una sorta di isolamento
operativo che lascia la pg libertà di agire in piena autonomia, con
l’aggravante che il controllo sulla correttezza del suo operato è
spesso rinviato alla sede dibattimentale.
L’impiego di protocolli operativi nelle attività di processamento
della scena del crimine rappresenta uno dei pochi strumenti di cui
ci si può avvalere come garanzia per una buona qualità delle
indagini tecnico-scientifiche e come guida per il successivo
controllo giurisdizionale. Prima di tentare di capire cosa sia
questa nuova forma di codificazione del sapere investigativo e
quali i pregi e i difetti, si ritiene opportuno evidenziare la
crescente incidenza che sta avendo nel processo penale tanto da
arrivare a determinare le sorti delle vicende giudiziarie e
condizionare il legislatore nelle modalità di elaborazione delle
nuove norme dedicate alla materia.
Quanto al primo fattore, viene da pensare al noto e recente
processo di Perugia a carico di Amanda Knox e Raffaele Sollecito
in cui per la prima volta si affronta il tema dei protocolli operativi
d’intervento sulle tracce del reato.
Quanto al secondo fattore, si è già detto come le ultime riforme
legislative concernenti alcune attività investigative di natura
tecnico-scientifica sono dotate di un’attenta descrizione delle
singole operazioni cui è chiamata la pg, una sorta di codificazione
in miniatura di procedure operative standardizzate.
Oltre al recepimento in norma di una procedura operativa, il
legislatore assegna chiaramente ai protocolli standardizzati di
matrice europea il ruolo di garante dell’omogeneità del
trattamento. A partire dagli anni Novanta, in Italia questi nuovi
modelli formali di standardizzazione delle condotte decisionali si
sviluppano in campo medico dove, per un verso, la crescita e la
diffusione impetuosa e disordinata di informazioni prodotte dalla
ricerca e dal progresso scientifico, e dall’altro, la necessità di
ridurre il tasso di errore generato da tale stato di
disorientamento, hanno reso necessario il ricorso ad un’opera
ragionata di codificazione del sapere medico, costruita su
disposizioni e procedure che costituiscono garanzia di osservanza
di buona pratica clinica ed eventuale elemento di riscontro
dell’osservanza delle “regole dell’arte” che possa pervenire ad
una nozione il più possibile oggettiva di diligenza professionale. Il
metodo operativo che si ripropone di ridurre lo spazio lasciato
alle decisioni basate esclusivamente sull’aneddotica, sul consenso
del paziente e sulle opinioni personale, che va sotto il nome di
Evidence Based Medicine (EBM), ossia un tipo di medicina basata
sulle evidenze, che riconosce l’insufficienza dell’intuizione,
dell’esperienza clinica non sistematica e del ragionamento di tipo
fisiopatologico, ed enfatizza il processo di valutazione critica dei
risultati prodotti dalla ricerca clinica e pubblicati nella letteratura
internazionale.
Gli strumenti di codificazione del sapere medico:
- Le linee guida (o raccomandazioni), si tratta di
raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate
mediante un processo di revisione sistematica della
letteratura e delle opinioni scientifiche, al fine di aiutare
medici e pazienti a decidere le modalità assistenziali più
appropriate in specifiche situazioni cliniche. Conformano il
sapere del medico alla migliore scienza ed esperienza
codificata. Le linee guida sono regole e sono
necessariamente sovra-inclusive, perché ritagliate su
situazioni standard. Rivestono la forma di un decreto e sono
atti amministrativi. Più di recente, si stanno diffondendo le
linee guida emanate dalle comunità scientifiche; sono meno
ufficiali di queste precedenti, contengono per lo più
raccomandazioni incidenti sulla concreta pratica clinica e si
collocano a mezza via tra regole tipiche, direttive
deontologiche e prescrizioni giuridiche.
- I protocolli operativi e le check lists sono strumenti di
regolamentazione più stringenti delle linee guida (schemi
rigidi e predefiniti), rispetto alle quali hanno una portata più
specifica e dettagliata che li rende maggiormente aderenti
alla realtà operativa di riferimento. Recano un tasso di
individualizzazione superiore a quello delle linee guida e
sono mutevoli. I protocolli vanno applicati in modo tassativo,
senza possibilità di discostarsene se non a determinate
condizioni.
- Nel 2001 Pronovost elaborò una check list per prevenire
infezioni delle vie centrali, chiese all’amministrazione
dell’ospedale che fosse introdotta una regola che
autorizzasse gli infermieri a bloccare i medici, i quali non si
attenevano alle procedure.
I vantaggi insiti in questa duplice forma di procedurizzazione del
comportamento del medico sono:
- L’ottimizzazione della gestione della copiosa produzione
scientifica ad opera dell’operatore;
- Il miglioramento della qualità dell’operato clinico, riducendo
il tasso dell’errore medico, che viene indotto dal
ragionamento veloce ed intuitivo; oggettivizzare, perciò, il
sapere specialistico;
- L’uniformità del trattamento;
- La razionalizzazione delle risorse;
- L’efficienza del controllo ex post.
I difetti sono:
- La non neutralità della ricerca clinica, nonché della sua
validazione e divulgazione dei risultati, che si ripercuote a
cascata sulle linee guida;
- La scarsa concretizzazione rispetto al caso specifico e la
compressione dell’autonomia decisionale del singolo
operatore;
- La moltiplicazione dei documenti ad opera di providers
diversi, con conseguente smarrimento del singolo operatore;
- Le aspettative che i pazienti e gli stessi operatori si creano
sui risultati;
- L’eccessiva razionalizzazione della spesa sanitaria.
Le linee guida ed i protocolli finiscono per aver riflessi anche sulla
responsabilità penale e sulla colpa traducendosi in uno strumento
orientativo per il giudice, che può utilizzarle quale parametro
prestabilito di selezione della condotta doverosa del medico. La
violazione dei protocolli può dar vita ad ipotesi di colpa
procedurale o protocollare, o comunque di colpa specifica e che
la responsabilità penale per colpa grave del medico che si è
attenuto alle linee guida o ai protocolli può essere limitata
soltanto con riferimento ai casi di imperizia. Nel 1994, il processo
penale recepisce le linee guida per l’esame del minore in caso di
abuso sessuale, contenute nella Carta di Noto, che sono state
elaborate da una commissione di esperti quali suggerimenti
diretti a garantire l’attendibilità dei risultati degli accertamenti
tecnici e la genuinità delle dichiarazioni, assicurando nel
contempo al minore la protezione psicologica, la tutela dei suoi
diritti relazionali, nel rispetto dei principi costituzionali del giusto
processo. Venendo al problema dei protocolli d’intervento sulla
scena del crimine, molti sono i caratteri che accomunano lo
scenario operativo medico e quello investigativo di carattere
tecnico-scientifico:
- L’eterogeneità delle procedure e dei protocolli scientifici
adoperabili;
- La difficoltà e la complessità dello scenario entro cui
operare: la condizione psicologicamente stressante
determinata dall’evento criminoso, la velocità di esecuzione
dell’intervento, la presenza di errori cognitivi, legati al
difetto di percezione, di osservazione, di prospettiva, di
ragionamento; la scoperta di nuove situazioni; le condizioni
di lavoro sfavorevoli;
- Il coinvolgimento di un’equipe operativa composta da
personale con compiti diversi ma complementari, da
organizzare e coordinare;
- Il controllo ex post del singolo operato;
- Il bisogno di ottimizzazione delle risorse umane e strutturali.
In campo investigativo si ricorre tradizionalmente a protocolli
operativo SOPs, ossia Standard Operating Procedures o
Templates) e check lists. Questo per vari motivi:
- La natura modale e strumentale delle operazioni che si
eseguono sulle tracce del reato.
- La mancanza di organismi istituzionali deputati
all’elaborazione di linee guida e la presenza di molteplici
organi delle forze di polizia che si dotano di protocolli
operativi, ritagliandoli sulle proprie esigenze e
caratteristiche.
I pregi e i difetti di questi protocolli sono gli stessi di quelli già
elencati per l’ambito medico. Considerazioni più specifiche su
difetti. Intanto si assiste ad una sovraproduzione di protocolli
proveniente dalle forze di polizia italiane e di altri stati stranieri
oppure da organizzazioni scientifiche di settore nate nell’FBI e poi
estesa a livello internazionale. La proliferazione di questo
complesso di fonti operative rischia di tradursi i un fattore di
complicazione, piuttosto che di semplificazione ed
oggettivizzazione, delle prassi in ambito investigativo. Nonostante
i protocolli siano dotati di una dose maggiore di specificità nella
descrizione delle procedure rispetto alle linee guida, possono
comunque risentire della mancanza di un margine operativo di
individualizzazione che consenta alla singola procedura di
adattarsi al caso concreto. La necessità di ridurre la proliferazione
dei protocolli e tentare di adeguarli alle singole realtà
investigative si fa pressante. Di qui, la complessa opera di
regolamentazione in corso presso il gruppo di lavoro della scena
del crimine dell’ENFSI (European Network of Forsensic Sciences)
che ha il compito di elaborare delle procedure standardizzate
uniformi per tutti gli stati europei. Il processo di elaborazione è
lungo ed è composto da molte fasi di codificazione, che partono
dalla creazione di un Manuale di buona pratica, procedono
attraverso l’emanazione di SOPs ed arrivano alla creazione di
linee guida d’indirizzo. I protocolli operativi non sono certo regole
giuridiche. Non sono regolamentate dal codice di rito né da leggi
speciali o norme attuative, né da atti amministrativi. Sono, perciò,
privi di valore giuridico e questo porta a dire che il mancato
rispetto non determina l’inutilizzabilità dei relativi risultati o la
loro nullità. In assenza di regole, è ampio il potere discrezionale
del giudice tanto nell’individuazione della regola cautelare violata
quanto della sua incidenza sulla qualità probatoria del risultato.
Sta al giudice appurare l’autorevolezza della fonte e della
metodologia di formazione dei protocolli. La presenza di
protocolli non esenta il giudice dal valutarne il valore e la qualità.
Per contro, una cattiva applicazione dei protocolli non è detto che
porti il giudice a valutare negativamente il contenuto delle
indagini. È rimessa alla parte che intende avvalersi del risultato
investigativo viziato l’onere di dimostrare la sua qualità tecnico-
scientifica e l’irrilevanza dell’inadempimento operativo. In buona
sostanza, la violazione di uno dei passaggi che compongono i
protocolli o le check lists non determina automaticamente un
errore generativo di un risultato inaffidabile, ma fa insorgere il
rischio e segnala l’esistenza di un near miss, ossia un elemento
sentinella che sarebbe fuorviante ignorare. È proprio attraverso
l’analisi dei protocolli che il giudice riesce a recuperare un ruolo
critico nei confronti della prova di natura tecnica. Infatti, i
protocolli ridimensionano il ruolo dell’esperto potendo assegnare
al giudice un ampio spazio di autonomia nella valutazione sulla
violazione delle regole operative, sull’autorevolezza delle stesse,
ecc.
I disegni di legge
Una riforma legislativa sulle indagini di natura tecnico-scientifica
è stata più volte abbozzata, in tutt’uno con una rivisitazione
generale del codice di procedura penale, senza mai riuscire a
tramutarsi in realtà. Vanno ricordate: la bozza di delega
legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del
codice di procedura penale del 2004, elaborata dalla
Commissione Dalia, introducendo nel codice di rito la disciplina
delineata per i reati di competenza del giudice di pace che
consente alla polizia giudiziaria di richiedere al pubblico ministero
l’autorizzazione al compimento di accertamenti tecnici irripetibili
e lasciando inalterata la corrente disciplina degli accertamenti
urgenti sul luogo e nell’immediatezza del fatto, ivi compresa la
distribuzione tra accertamenti e rilievi e i relativi obblighi di
documentazione. La bozza di delega legislativa al Governo della
Repubblica per l’emanazione del codice di procedura penale del
2007, elaborata dalla Commissione Riccio, che alla direttiva n. 52
dell’art. 2 prevede il potere-dovere della polizia giudiziaria di
prendere notizia e di descrivere i fatti costituenti reato, di
assicurare le fonti di prova, anche per mezzo di investigazioni
scientifiche, e di impedire che i reati vengano portati ad ulteriori
conseguenze, precisando nella relativa relazione che la pg deve,
poi e conseguenzialmente, assicurare le fonti di prova, anche per
mezzo di investigazioni scientifiche. Il riferimento
all’investigazione scientifica, quale riconoscimento di questa
specifica attività e della sua autonomia nell’ambito delle prime
indagini, colma un vuoto rappresentato dalla stessa polizia
scientifica in sede di audizione (p.67).
Nel 2009, il disegno di legge Alfano s’impone la finalità di ridurre
sensibilmente i poteri del pubblico ministero, a favore di un
potenziamento dell’iniziativa della polizia giudiziaria. Volendo
attribuire alla polizia giudiziaria il potere-dovere di prendere di
propria iniziativa e ricevere le notizia di reato e riservando al
pubblico ministero la sola funzione di ricevere le notizie di reato
presentate o trasmesse. Presenta una valorizzazione della
professionalità della polizia giudiziaria nella previsione che il
pubblico ministero debba affidare le investigazioni tecnico-
scientifiche, ai servizi di investigazione scientifica istituiti presso i
servizi centrali e territoriali di polizia giudiziaria. Prevede l’innesto
dell’art. 370 bis, posto sotto il titolo “Indagini tecnico
scientifiche”, ove si prevede che il pubblico ministero possa
delegare l’esecuzione di indagini e accertamenti tecnico-
scientifici ai servizi di investigazione scientifica istituiti presso i
servizi centrali e territoriali di polizia giudiziaria (co. 1); la norma,
al secondo comma, richiama le garanzie dell’art. 360 nel caso in
cui tali accertamenti comportino una modifica irreversibile dello
stato dei luoghi o delle cose.
Le consulenze tecniche tra accertamenti irripetibili e
incidente probatorio
Accertamenti tecnici irripetibili e incidente probatorio:
tratti distintivi e premesse sistematiche
L’accertamento tecnico irripetibile e l’incidente probatorio
risultano simili ma profondamente differenti. (differenza
accertamento e incidente).
L’accertamento tecnico non ripetibile costituisce uno strumento
a disposizione di pubblico ministero e soggetti privati (indagato e
persona offesa) qualora gli accertamenti disciplinati dall’art. 359
attengano a persona, cose o luoghi il cui stato è soggetto a
modificazione (art. 360, co. 1); allo stesso modo l’incidente
probatorio costituisce il veicolo per effettuare una perizia
durante le indagini preliminari e l’udienza preliminare in
situazioni di non rinviabilità e ha quale presupposto oggettivo la
necessità di svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che
richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o
artistiche (art. 220, co. 1). Pur nel doveroso spazio riservato agli
esperti, non può comunque essere elusivo del ruolo del giudice
qual garante dalla procedura per valorizzare il contraddittorio
tecnico, il quale al cospetto della scienza assume il ruolo di
consumatore informato di leggi scientifiche. I due istituti si
caratterizzano per un’ontologica differenza proprio per la
presenza o meno del giudice e dalla diversa qualità del
contraddittorio tecnico. Approccio nuovo è dettato dalle linee
guida offerte dal codice vigente che assicura la tutela dei diritti
delle parti rispetto alle perizie, differentemente dall’onniscienza
del giudice del codice Rosso ove il perito svolgeva la perizia in
segreto e non era nota la legge scientifica utilizzata dal tecnico
che veniva considerata infallibile. Attualmente il ruolo delle parti
nella prospettazione della ricostruzione si è rafforzato: la loro
possibilità di poter contraddire efficacemente assume un ruolo
fondamentale, tanto più in un sistema processuale che ha
sposato un canone valutativo teso a valorizzare nella prova della
colpevolezza il canone dell’oltre il ragionevole dubbio, cioè a dire
la prevalenza di una tesi rispetto ad un’altra ogni qualvolta
quest’ultima si ponga come ragionevolmente inaccettabile.
L'ipotesi tradizionale: gli accertamenti tecnici non ripetibili
compiuti dal pm
Il pubblico ministero dispone di due tipologie di accertamenti
tecnici: quelli previsti dall’art. 359 e quelli non ripetibili
disciplinati dall’art. 360 ed infine il prelievo coattivo di campioni
biologici regolamentato dall’art. 359 bis di recente introduzione a
seguito della ratifica da parte dell’Italia, mediante l. 30.6.2009, n.
85, del Trattato di Prum.
Art. 359 – consulenti tecnici del pubblico ministero: La consulenza
tecnica prevista dall’art. 359 – il più complesso istituto degli
accertamenti tecnici non ripetibili – costituisce lo strumento a
disposizione del pm ogni qualvolta debba procedere ad
operazioni tecniche ove siano necessarie specifiche competenze.
Art. 233 – consulenza tecnica fuori dai casi di perizia:
eterogeneità si riscontra, al contrario, sul piano funzionale, in
quanto nell’ottica del giudice l’esperto nominato per gli
accertamenti ex art. 359 svolge una funzione consultiva rispetto
al consulente che – nel corso del processo – deve eventualmente
resocontare accertamenti non più ripetibile le cui risultanze sono
entrate ai sensi dell’art. 431, co. 1, lett. c), nello scibile
processuale, la cui ulteriore ed eventuale attività è esplicativa di
un atto che rimane confinato all’endoprocessualità delle indagini.
La scarna disciplina dell’art. 359 viene completata con quella
prevista per gli accertamenti tecnici non ripetibili del pm che si
pone quale suo ideale prolungamento nelle ipotesi in cui questi
proceda ad accertamenti, rilievi ed a tutte le operazioni tecniche
in cui sono necessarie delle competenze specifiche. La non
ripetibilità non costituisce l’unico elemento distintivo tra gli artt.
359 e 360, infatti, mentre nell’ipotesi prevista dalla prima norma,
il ricorso ai consulenti è facoltativo, nella seconda, è obbligatorio.
Il secondo istituto restringe la sua portata ai soli accertamenti,
escludendo i rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici, i quali, non
richiedendo alcuna attività di elaborazione critica, possono
tranquillamente essere compiuti da persona idonee.
Art. 360 – accertamenti non ripetibili: l’istituto, impone al pm
l’avviso, senza ritardo, agli interessati (indagato, difensore e
persona offesa) del giorno, dell’ora e del luogo in cui verrà
conferito l’incarico al consulente onde consentire loro di
interloquire in ordine al tema di indagine assegnato e anche per
instaurare il contraddittorio tecnico mediante la nomina di propri
consulenti. Il co. 2, richiamando l’operatività dell’art. 364, co. 2,
prevede la nomina del difensore di ufficio all’indagato che sia
privo di difensore salva la facoltà di nominarne uno di fiducia.
Art. 364 – nomina e assistenza del difensore: difensori e
consulenti nominati hanno diritto di assistere al conferimento
dell’incarico e agli accertamenti con possibilità di formulare
osservazioni e riserve. La riserva di promuovere incidente
probatorio è quella che crea maggiori problemi interpretativi in
quanto non sono ancora chiari i limiti insiti in una formulazione
della disposizione che, accanto ad un potere di veto nei confronti
del pm, vi è anche il successivo obbligo di attivarsi con la richiesta
di incidente probatorio che, in mancanza, dovrebbe essere
formulata dal pm. Il co. 5 illustra le conseguenze, sul piano
dell’utilizzabilità della decisione del pm di procedere ugualmente
nell’accertamento tecnico nonostante la riserva formulata
dall’indagato.
Art. 360 – accertamenti tecnici non ripetibili: non pare che ponga
problemi il fatto che il potere di opporre il veto all’accertamento
tecnico irripetibile non sia consentito alla persona offesa in
quanto mediante questo incidente probatorio derivato si
assicurerebbe un potere che non è previsto per il portatore di
interessi civilistici dato che l’art. 394 consente solo un potere di
impulso al pm.
Verso l’effettiva parità delle parti: gli accertamenti tecnici
non ripetibili compiuti da soggetti privati. Una grande
conquista con dei limiti concreti
Le difficoltà interpretative di un istituto problematico qual è
quello degli accertamenti tecnici irripetibili si intensificano in
riferimento all’opportunità dettata dal legislatore di estenderla
anche ai soggetti privati nel contesto della più ampia disciplina
delle investigazioni difensive.
L’art. 391 decies, introdotto dall’art. 11, l. 397/2000, prevede in
relazione all’utilizzazione della documentazione delle
investigazioni difensive una scarna disciplina che pone non pochi
interrogativi all’interprete perché non risulta automatico
mutuare la parallela normativa prevista dall’art. 360 per il
pubblico ministero a causa dell’ontologica diversità della parte
pubblica rispetto ai soggetti privati e per le incrostazioni
inquisitorie che non mancano di caratterizzare la piena
espansione dell’istituto secondo quelle che erano le linee guida
che l’hanno ispirata. Le investigazioni della difesa, nel contesto
della l. 397/2000, sono inserite in un articolo che ne evidenzia
immediatamente le difficoltà sul piano della spendibilità
probatoria. Pur con i limiti operativi, il fatto stesso di prevedere la
possibilità per la difesa di compiere atti destinati a divenire prova,
costituisce la grande svolta e crea l’illusione della possibilità di
realizzare un giudizio in linea con i parametri del giusto processo.
Attengono alla regolamentazione dell’accesso ai luoghi pubblici
(art. 391 sexies), privati o comunque non aperti al pubblico (art.
391 septies), per prendere visione dello stato dei luoghi e delle
cose ovvero per procedere alla loro descrizione o per eseguire
rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi che
molto spesso costituisce l’attività ancillare agli accertamenti
tecnici quale conseguenza della necessità di operare una
valutazione tecnica su res individuate con l’attività anzidetta. Il
co. 2 dell’art. 391 decies attiene agli accertamenti tecnici non
connotati da quella irripetibilità che costituisce il presupposto per
la predisposizione di una serie di garanzie per tutelare i soggetti
processuali al fine della realizzazione di un contraddittorio nella
formazione della prova in una fase embrionale del processo, ma
che, se non effettuato degraderebbe solo a contraddittorio sulla
prova.
Art. 391 decies – utilizzazione della documentazione delle
investigazioni difensive: al pubblico ministero è consentito
intervenire con una differenziazione a seconda che si tratti di
meri atti non ripetibili o di accertamenti. Nel primo caso, come si
evince dal co. 3 dell’art. 391 decies, il difensore deve avvisarlo
senza ritardo affinché possa esercitare le facoltà previste dalla
legge; invece, nel caso di atti non ripetibili che non siano
accertamenti tecnici, il pm ha facoltà di assistervi. Nonostante il
Regolamento di comportamento del penalista si premuri che
difensore e sostituto che intendono effettuare accertamenti
tecnici non ripetibili diano avviso senza ritardo a tutti coloro nei
confronti dei quali l’atto può avere effetto e dei quali si abbia
conoscenza (art. 15). Alcuni studiosi hanno sottolineato come la
circostanza che gran parte degli atti in esame si svolga in
occasione dell’accesso ai luoghi pubblici o aperti al pubblico, non
precluda la possibilità per gli altri soggetti di assistervi ovvero di
compiere lo stesso atto in immediata successione temporale.
Questa teoria deve scontare una serie di limiti di carattere pratico
e metodologico. Quanto ai primi, diverrebbe una vera e propria
caccia al tesoro individuare luogo, giorno e ora in cui
l’accertamento si svolge. L’unica salvaguardia prevista per le altre
parti è il deposito dell’atto nel fascicolo del pm; però, non
essendo previsto alcun avviso di deposito ai sensi dell’art. 366
cpp dell’accertamento tecnico compiuto, gli altri soggetti ne
verranno a conoscenza solo con la discovery degli atti di indagine
in occasione della richiesta di archiviazione, dell’avviso di
conclusione delle indagini o nei procedimenti incidentali, quali la
richiesta di incidente probatorio o quelli aventi ad oggetto un
sequestro probatorio o l’applicazione di una cautela personale o
reale. L’apparente parallelismo tra l’accertamento ex art. 360 e
quello disciplinato dall’art. 391 decies, trova un altro punto di
frizione nella mancanza di norme volte a disciplinare la nomina
del consulente della difesa nell’ipotesi in cui l’accertamento
venga compiuto dai soggetti privati. La mancanza
dell’imposizione di un obbligo di verità costituisce un altro
aspetto legato alla necessità per il consulente di comprovare
determinate attitudini che si riflettono sulla prova e che potrebbe
attenuare la predetta lacuna. La norma appare lacunosa su alcuni
aspetti. Ci si è domandati se le dinamiche di instaurazione
dell’accertamento tecnico nella parte in cui richiedono l’avviso al
pm, possano far pensare ad una volontà di cedere la direzione
dell’operazione al titolare delle indagini per le varie ragioni.
Riteniamo di dover dissentire da una simile interpretazione che
svuoterebbe di significato la stessa disciplina delle investigazioni
difensive. Superata l’empasse interpretativa sulla gestione in
capo al difensore dell’accertamento tecnico, occorre affrontare
altre due questioni: quella della riserva di formulare l’incidente
probatorio da parte del pm e quella della possibilità concorrente
di questi o degli altri soggetti di effettuare essi stessi un
accertamento tecnico.
Il pubblico ministero, così come il difensore nel contesto
dell’accertamento tecnico ex art. 360, può opporre il diritto di
veto, vale a dire paralizzare la richiesta dell’istante riservandosi di
procedere con l’incidente probatorio che garantisce
maggiormente il contraddittorio. A fronte della riserva formulata,
la parte che intende procedere all’accertamento può egualmente
compierlo se ritiene che l’atto non sia differibile, semmai con
conseguenza sul piano dell’utilizzabilità processuale. Ora il nodo
da sciogliere è quello della possibilità per il difensore di superare
il veto posto dalla parte pubblica in presenza dei presupposti per
ritardare l’atto al fine di compierlo nelle forme dell’incidente
probatorio. Da un lato è opportuno chiedersi perché non possa
essere possibile per il difensore procedere ugualmente
nonostante la riserva formulata dal pm; dall’altro lato, occorre
sempre considerare che siamo al cospetto di un atto che
cristallizzerà i risultati senza possibilità di coglierne altri, per cui la
garanzia che la decisione avvenga ad opera di una parte privata
potrebbe far nutrire quale perplessità.
Art. 400 – provvedimenti per i casi di urgenza: il secondo aspetto
da affrontare è quello legato all’eventualità che le parti decidano
di attivarsi per effettuare un accertamento tecnico non ripetibile
avente lo stesso oggetto. Qui si deve necessariamente ricorrere
ad un regime di authority volto a determinare il soggetto che per
primo dovrà effettuarlo, con la prospettiva di risolvere la
questione ricorrendo all’incidente probatorio nella forma previste
dall’art. 400.