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Kafka (1883-1924): con Proust e Joyce condivide l’epoca (Praga 1883-1924, il più

giovane), vivono lo stesso clima europeo del sapere e delle notizie, i tempi di pubblicazione.
Di origine ebraico-boema, compì gli studi nelle scuole tedesche della città natale; a partire
dal 1901 studiò anche all'università tedesca di Praga, seguendo prima corsi di
germanistica, poi di giurisprudenza. Si laureò nel 1906 e, dopo un anno di pratica
giuridica, nell'ottobre del 1907 trovò impiego nel ramo assicurativo che mantenne fino al
1922, quando dovette andare in pensione anzitempo perché minato dalla tubercolosi.
Incompreso in famiglia, ebbe amici fedeli come Max Brod e cercò spesso affetto nel mondo
femminile, vivendo esperienze oltremodo complesse, sintomatiche di un autentico disagio
interiore. Fu con la berlinese Felice Bauer (1914 e 1917)* poi breve relazione con Grete
Bloch, con Julie Wohryzek, boema; nel 1920 iniziò una relazione epistolare, con la giovane
scrittrice boema, trapiantata e sposata a Vienna, Milena Jesenská-Polak; visse gli ultimi
mesi accanto a Dora Diamant. Ad una vita esteriormente incolore corrispondeva
interiormente una ricchezza problematica tale da promuovere, nella testimonianza
letteraria, una delle prove più pure e più significative della "Weltliteratur" della prima metà
del sec. 20°.

La sua produzione letteraria è inseparabile da Praga, una città moderna, la terza città
dell’impero, per importanza e grandezza dopo Vienna e Budapest, un mondo
mitteleuropeo che raccoglieva sotto la stessa doppia corona una grande quantità di popoli
ed etnie diverse. La gran parte degli abitanti è ceca, di classe lavorativa, con minoranza di
lingua tedesca, e la maggioranza erano ebrei di questa minoranza, i quali avevano posizioni
centrali importanti. Kafka apparteneva alla minoranza della minoranza. La città viveva
una grande stabilità, differenze sociali con i cechi (esplodono 1918), industrializzata e
ricca. Nasce in condizioni agiate, anche se il padre era arrivato dalla Moravia e aveva messo
su da solo un negozio e una ditta di articoli di moda. Era borghese ma non alto, era una
famiglia benestante ma non colta/attenta sulla cultura.

Votato alla letteratura, ma mai professionalmente: fu scrittore non eccessivamente


prolifico, di ciò che scrisse poco condusse a compimento e lasciò un’ampia produzione
postuma:

Prima del processo affronta sei anni di scrittura e pubblicazione di qualcosa, questo del
1914 è un suo punto maturo della poetica, ‘’entra’’ infatti nello stato dello scrittore
consapevole dal 12 al 24, un periodo breve.
-Nel 1908 inizia pubblicando piccole prose su giornali locali praghesi, sono raccolti nel primo
libro chiamato Meditazione, oppure Contemplazione (Betrachtung, iniziate nel 1904,
uscite nel 1912)
-Era il suo secondo romanzo, il primo si chiamava ‘’Il Disperso’’ del 1912, così chiamato nei
diari, non pubblicato. Max Brod, amico ed esecutore testamentario di Kafka, che ne curò la
pubblicazione, lo cambiò in ‘’America’’, 1927.
-Nel 1912 arriva con un’epifania a scrivere un racconto che per la prima volta lo soddisfa e
gli dà delle informazioni salde sulla sua domanda da scrittore: si tratta di un racconto
chiamato ‘’Il Verdetto’’, costituito da 6-7 pagine che scrisse tutta la notte in un unico tratto.
E’ un atto di scrittura, un’opera piccola ma che ha giudicato profondamente ben riuscita.
Kafka è totalmente originale e immerso nel suo mondo senza predecessori e successori.
Scrive anche l'impressione che gli ha dato scrivere il racconto, cosa aveva visto riuscito. ‘’Il
verdetto’’ prende forma di modello letterario per vita successiva, tale rimane paragone su
cui misura tutto ciò che viene poi, rimanda a quella qualità e concentrazione.
Non era scrittore di professione, di giorno lavorava in ufficio come giurista, burocrate, in ente
per assicurazione per incidenti sul lavoro, e di notte scriveva.
-Il processo 1914-1915. Non si sa bene quando fu scritto, le notizie sono nei suoi diari e
quaderni. Romanzo non pubblicato, altra ottica: non si sa come lo avrebbe modificato in
ultima stesura, abbiamo un qualcosa di suscettibile di ulteriori cambiamenti, incompiuto. Nel
1920, il manoscritto del romanzo arrivò nelle mani del suo amico Max Brod, pubblicò Il
processo nel 1925.
-Il terzo e ultimo romanzo è ‘’Il Castello’’ del 1922, stesso anno di Ulisse. Frammentario,
non pubblicato, solo nel 1925-6.

IL VERDETTO: (Fonte: dai diari di Franz Kafka, Tagebucher. Esistono 2 edizioni critiche-> quella
di Francoforte e di Oxford.)
La sera del 22 settembre 1912 è alla scrivania a scrivere un inizio narrativo, cosa gli veniva
in mente, senza progetti, scrive appunti di diario, tira un frego e inizia a scrivere un inizio
narrativo, per una volta gli riesce, tira un altro frego e commenta subito l’esperienza avuta,
contemporanea alla scrittura, non ha interlocutore, ma è una testimonianza. Cenno esplicito
a Freud-> non frequente in kafka essere esplicito.
E’ un'esperienza di scrittura, nella letteratura critica considerato un passaggio dalla fase
giovanile alla matura, rimasta una sorta di modello personale, suo modo di percepire che
avrebbe segnato la misura del testo riuscito, prima spinta in avanti nella sua consapevolezza
da scrittore. E’ un’ispirazione concepita in senso concreto nel trovare la fusione. E’ una
dichiarazione di poetica che fa a se stesso, riconoscendo quest’intensità sa che non potrà
scendere a livelli più bassi (negli anni successivi ritornerà a quella data).

E’ anche un autocommento di Kafka, una scrittura privata senza intenzioni di pubblicazione,


ma alto dal punto di vista stilistico e di qualità, come se fosse una pagina di letteratura.
Qual è il limite? si deborda da entrambe le parti, e Kafka fa un uso particolare di questo
limite. Relazione tra vita e scrittura in maniera drammatica (non tragica), ma anche
umorismo straordinario.

Kafka avrà a che fare con la non-progettazione, un lasciarsi andare alla concentrazione.
(aveva in mente il racconto di un figlio che parte per la guerra, poi cambia idea e si ritrova davanti a qualcosa che
non conosce e non ha pianificato come opera).
Scrive di getto, registrando la ripercussione fisica, il
fatto di essere atrofizzato e di avere provare la sensazione corporea di spostarsi dalla
postazione rimasta uguale per ore. Lo svolgersi vuol dire che si dispiega, come un gomitolo
che diventa filo e si svolge, e nel vederlo ed essere sorpreso, ne registra lo sforzo
spaventoso e la gioia. E’ uno sforzo: di getto non vuol dire che sia facile, anzi gli costa
parecchia fatica fisica. Nella notte gli riesce, ma usa la parola ‘’lavoro’’ per la scrittura, che
si coniuga con degli stati di concentrazione, ‘’ispirazione’’. (E’ difficile che si incontrino). Lui
aveva una concezione della scrittura legata al lust, piacere: sforzo ma
contemporaneamente un piacere non sublimato, ma fisico, infatti parla spesso del suo corpo
capace di tantissima felicità, che però perde velocemente le forze. ‘’Gluck’’ usata quando
qualcosa gli riesce, una felicità psicofisica. E’ giusto accostare ‘’gluck’’ e ‘’lust’’ a Eros,
passioni erotiche molto vitali che si trasformano in scrittura. Questo intenderà con Eros nella
sua vita.
-Metafora dell’acqua: gli dà l'idea di avanzare in qualcosa che offre resistenza, avvolge nella
fluidità, avanzare con fatica, ma con la sensazione dell’acqua che cede e ti lascia passare.
Peso sulle spalle, frase enigmatica, significa essere totalmente indipendente, non dipendere
più dal nulla, ma essere lui che si porta attraverso quest’acqua.
-Fuoco: in cui le idee narrative si dispiegano: una volta avuto stato di concentrazione ti
accorgi che puoi parlare di qualsiasi cosa, la lingua sorregge l’immaginazione (termini
alchemici, trasformazioni di metamorfosi). ‘’guarda come’’, si può osare qualsiasi tentativo.
-Ultime 4 ore del lavoro, dopo aver guardato l’orologio alle 2, vuol dire che non ha avuto
bisogno di guardarlo. Una soddisfazione forte di qualcosa che si è fatto, guardando fuori e
rendendosi conto che non si è più quelli di prima, la sensazione di ritorno nel mondo dopo
una concentrazione assoluta.
-I leggeri dolori al cuore-> sensazione di fitte (ipocondria). Anche lo sforzo se n’è andato e
l’ultimo pezzo del racconto è senza fatica.
-Racconta la mattina-> entrato tremante nella stanza delle sorelle, parlato con la domestica,
vedere il letto intatto quindi non aver dormito. Assapora in ogni momento l’enorme
sensazione.
Il romanzo a cui allude è ‘’il disperso’’, l’America. Lo giudicava vergognosamente basso.
Sempre metaforicamente allude a un altro stato di piacere, quando dentro di te tutto torna ed
è coerente (effetti psicofisici attestati, l’Eros appagato). Fa l’elenco delle cose che ha
pensato.

Nel racconto Il verdetto il lettore entra in una storia che sembra realistica e comprensiva, si
apre una mattina di primavera con un imprenditore dell’alta società, scrive una lettera ad un
amico emigrato in Russia. Presto, pur mantenendo questo livello di narrazione, iniziano ad
esserci delle frasi e dei punti che lasciano perplessi, come l’uscita di un dramma famigliare
dopo aver chiesto consiglio al padre riguardo la lettera. Dopo la lite aggressiva, il padre
condanna a morte il figlio e lui esegue la sentenza, buttandosi giù dal ponte.

L’ipotetico lettore del 1913 percepisce: tema espressionistico, lotte edipiche, le stranezze si
spiegano con le Avanguardie. In realtà il testo ha una stratificazione, per cui si può spiegare
tutto ciò che alla prima lettura risulta assurdo, una stranezza:
I rapporti di potere all’interno della famiglia borghese erano importanti per Kafka, è una
rappresentazione di un dramma edipico di dimensioni colossali che alla fine non si svolge
come schema edipico, risulta invece capovolta, perché di solito vince il figlio. La lotta edipica
già nel mito, è il modo del figlio per prendere il posto del padre. In Kafka si conclude con la
morte del figlio. L’autore quella notte, tra genio, ispirazione, riflessione giunge a capire il
problema tra lui e suo padre, non con l'analisi che sta alla base, ma dalla sua stessa
scrittura. E’ nella sua letteratura che trova determinate risposte alle sue domande.
E’ il suo modo di capire il mondo, la sua strada di conoscenza ed esperienza, il luogo adatto
dove si chiarisce e rinasce. Per tutte le altre opere, soddisfatto o insoddisfatto (come per il
Processo), si tratta di un’esperienza estetica: passare per la scrittura già traccia le
coordinate del suo modo di pensare, agire e percepire il mondo. Il suo modo di esperienza
del mondo è la sua letteratura. Fa lavoro di esegesi sul suo stesso lavoro negli anni
successivi.

Dramma, non tragedia: ha lo schema che rimanda a tragedia greca, però nella tradizione
occidentale dei greci, alla fine della sofferenza vi è la catarsi a dare il sollievo. Il concetto
classico di tragico è dare senso a quello che è negativo. Non avviene in Kafka, nato in
un’epoca in cui le costruzioni di senso erano perdute o in crisi: non concede la liberazione.
Questo finale lo rende estremamente moderno, con la sua finezza filosofica descrive l’aldilà
come un’immaginazione.

Non credeva nella psicanalisi e psicologia, non la applica ai suoi personaggi e il lettore li
deve comprendere da solo, senza ricercare un senso di etica e morale. Era diffidente da ciò
che sapeva superficialmente, gli tornava estranea e dannosa dal punto di vista terapeutico
(la considera una forma di impazienza, un affrettarsi a dare risposte, uno dei peggiori difetti
dell'individuo per se stesso), ma la accettava a livello analitico o scientifico.

Il processo (1925): La stesura

Nei due anni tra ‘’Il verdetto’’ e ‘’il processo’’*, scrive da capo un romanzo (poi buttato) il cui
primo capitolo si chiama ‘’Il Fuochista’’ (1913), pubblicato poi separatamente. Subito dopo
scrive ‘’La Metamorfosi’’ (1915) che non lo soddisfa. Le sue forze per la scrittura si
esauriscono, non riesce a tornare alle sue carte e trascorre il 1913 in disperazione.
A luglio 1914 si rompe la relazione con Bauer, ritorna a Praga durante la crisi di luglio (il 28
giugno - attentato di Sarajevo, 23 luglio - ultimatum dell'Austria alla Serbia, 28 luglio l’Austria
Ungheria dichiara guerra alla Serbia). L'Europa si ritrova schierata da potenze centrali e
inizia la Prima Guerra Mondiale, che ingloba tutti nella loro inconsapevolezza del 20° secolo,
soprattutto per il coinvolgimento generale e la meccanizzazione delle armi. Kafka è solo in
una città in movimento e nella grande emozione collettiva.

Intorno all’11 agosto inizia a scrivere ‘’Il processo’’ su 4 quaderni parallelamente e nel suo
diario, senza sapere cosa sarà. ma si rivelerà essere un romanzo. Scrive
contemporaneamente il primo e il decimo capitolo, per cui ha il finale pronto. Gli 8 capitoli di
mezzo sono difficili da mettere in sequenza; Max Brod ipotizza in vari modi la loro
successione. La seconda edizione di Francoforte ha fatto, ha pubblicato il cofanetto con
dentro 16 quadernetti che restituiscono ciascuno 10 capitolo + 6 parti frammentarie, con la
pagina manoscritta scannerizzata.

Nel 1915 lo abbandona, strappa i quaderni e forma dei blocchi di fogli, per poi lasciarlo lì fino
al 1920. Sarà Max Brod a custodirlo per non farlo andare perso, e noi lo possiamo leggere
dal 1925 con il nome de ‘’Il processo’’.

Il processo è un romanzo di totale rottura, ‘’assurdo’’ e distopico, una distopia, con inizio
enigmatico che si sviluppa in maniera enigmatica e finisce in maniera chiarissima, e lascia
senza risposte alle domande più immediate. Il genere è della distopia, potrebbe essere una
forma di fanta-società. Racconta una storia individuale di perdite di riferimento, radicata in
un ambiente sociale, da cui il personaggio sembra essere sbalzato fuori, non solo dalla
società ma proprio dalla vita.

Kafka descrive le esperienze di un'inquietante assurdità facendo uso di una scrittura lucida,
straordinariamente precisa e realistica nei dettagli e nel tratteggiare fatti inauditi come
momenti della più normale quotidianità, riifiutando ogni intento edificante, mirando piuttosto
ad analizzare, con tutto ciò che di negativo, angoscioso e tragico, e anche di desiderabile e
persino di positivo essa comporta, la sua battaglia per l'esistenza.

E’ un incubo legale/giudiziario e di sotto c’è la sua esperienza ravvicinata al mondo


burocratico che viveva di parole, carte e leggi. E’ narratore di una società burocratizzata,
effettivamente vedeva quanto stava accadendo: un mondo distopico, ma in realtà la
burocrazia è complessa, non sempre funzionale, poco penetrabile e molto opaca, e crea
molte angosce. Nei suoi romanzi vi sono meccanismi costituiti da quest’ultima.

TRAMA
La trama è fatta di discorsi dell’unico protagonista Joseph K. (gli altri personaggi non
hanno personalità, sono funzionali all’accadere, dopodiché scompaiono) per cercare di
capire gli altri che gli vengono incontro e sembrano dargli delle risposte. Alcuni capitoli sono
strutturati in sequenza tra di loro, il che tiene insieme gli eventi interni. I capitoli si chiudono
su se stessi per far iniziare una nuova scena. Questo dà grande forza al romanzo, ma rende
difficile la consequenzialità.

1- K. si sveglia una mattina nella pensione borghese in cui abita e vede che c’è qualcosa di
diverso dal solito: nessuno viene a portare la colazione, arrivano due sconosciuti che gli
chiedono di restare in camera, dopodiché viene a sapere che è in arresto, senza preavviso.
Non gli risulta di aver fatto qualcosa, cerca di capire chi sia che l’ha dichiarato in arresto, chi
siano loro e l’istituzione, e il di tutto. Rivelatesi delle guardie, gli impongono di stare in
silenzio ed aspettare di essere chiamato. Inizialmente si ribella. Vive quest’enigma che
nessuno scioglie. Le sue domande iniziali e i suoi tentativi per venirne a capo non
troveranno risposta per tutto il romanzo, fino al fallimento e la conseguente esecuzione.

2 - Dopo la prima giornata drammatica, è un rapido susseguirsi di udienze a cui è sottoposto


per concludere ‘’il processo’’ velocemente. Il secondo e l’ultimo atto dell’autorità giuridica
sarà telefonargli in ufficio e convocarlo, dando un indirizzo (Juliusstraße, una casa in
periferia) senza orario. La prima udienza (preliminare) occupa l’intero capitolo.
Un’assemblea con gente indaffarata e vestita in modo strano, quasi nessuno a rivolgergli
l’attenzione. L’uomo sul podio lo rimprovera per il ritardo, fa tacere tutti intorno. Solo dopo un
lungo discorso che sembrava convincere e sembrava umiliare tutti, si rese conto, vedendo i
distintivi, che erano tutti dell’organizzazione. Joseph K fa l’errore di non chiedere e si mette a
parlare all’assemblea che lo ascolta e spiega perché questo tribunale non funziona per
quello che aveva visto fino a quel momento. Alla fine dell’udienza si ritrova esattamente al
punto di prima.

3 - Segue l’altro chiamato ‘’nella sala delle udienze vuote’’: nessuno si fa più vivo e il
protagonista ritiene di ritornare la domenica dopo nello stesso posto e lì incontra determinate
persone che gli danno informazioni su questa identità sconosciuta, come uno studente e una
donna di modesta condizione che abita in questo palazzo (che era entrata la domenica
prima interrompendo l’udienza), la quale vuole aiutarlo, confidandogli che l’ispettore scrive
moltissimo, fino a notte, ma poi delude K andando via con lo studente. Scopre che il
tribunale è in un solaio. (‘’non ha nemmeno molto senso spendere nei vestiti, dal momento che siamo quasi
perennemente nelle cancellerie, persino a dormire.’’). Si sente male, deve uscire dal tribunale,
l’informatore e la ragazza lo aiutano anche se in modi strani. Prima era con l’usciere, poi è
andato via.
4 - K. tiene un discorso con la signora Montag che faceva il trasloco per prendere il posto
della sua amica, la signorina Bürstner, la quale non si fa vedere da tanto (nella sua stanza si
è tenuto il primo dialogo con le guardie).

5 - Nel quinto capitolo ‘’il bastonatore’’, è primavera, le guardie Franz e Willem vengono
trovate da K nel ripostiglio del suo ufficio, insieme ad un bastonatore: devono essere
bastonati perché K ha parlato male di loro all’ispettore, per l’irruzione in casa sua. Lui
intende liberarli e non vuole che accada, ritiene colpevoli solo gli alti funzionari. Il giorno
dopo trova la stessa scena a lavoro: la scena sadomaso, modernamente comica, delle
guardie nude con il bastonatore e la sua verga (chiede ai colleghi di pulire).

6 - Dopo questo intermezzo, nel sesto capitolo giunge lo zio Karl che vive in campagna (‘’il
fantasma di campagna’’), preoccupato e venuto a conoscenza del suo processo, gli propone
di trasferirsi da lui per un breve periodo, e intanto lo porta dallo stranissimo avvocato Huld,
avvicinandosi alla periferia dove si era tenuta la prima udienza. L’avvocato era malato, gli
faceva compagnia una ragazza di nome Leni, che sembrava una bambola e triste.
L’avvocato malato sapeva tutto sul suo processo, poiché fa parte dell’’ambiente giudiziario’’.
Dal buio esce il signor direttore della Cancelleria, un anziano. L’infermiera Leni rimane sola
con K, gli consiglia di fare la sua confessione per svignarsela.

7 - Nel settimo capitolo (inverno), avverrà l’esplorazione dell’identità accusatrice attraverso


altri personaggi: l’avvocato, l'industriale, il pittore. K è tormentato, pensa di stendere una
difesa e nel frattempo i documenti del tribunale, soprattutto l'atto di accusa, non sono
accessibili né all'imputato né alla difesa, quindi non si sa contro che cosa deve indirizzarsi la
prima istanza (e mancavano gli interrogatori).

8 - K. continuerà ad ottenere informazioni dal Commerciante Block e deciderà di chiedere


la revoca all’avvocato. Il commerciante è cliente dell’avvocato da circa 5 anni per un
processo, oltre a lui è cliente di altri 6, che gli servono tutti, ed è spaventato perché è
‘’vendicativo’’, diventa però il suo cane fedele.

9 - Nel nono capitolo, la scena nella cattedrale dove vi è un cappellano del carcere che gli
dà le informazioni, darà modo a Joseph K. di capire cosa sta per succedere.

10 - Alla vigilia del suo 31esimo compleanno arrivano alla sua abitazione due signori, con
cappelli a cilindro: ‘’E’ per me che venite, vero?’’, K. era preparato nonostante non fosse
stato avvisato della visita. Gli accompagnatori lo tenevano stretto sottobraccio. Inizialmente
volle ribellarsi e non proseguire, poi non ritenne eroico opporre resistenza, ricominciare tutto
da capo dopo un anno di processo, si rimise quindi ai suoi accompagnatori. Addirittura:
sostavano o camminavano dei poliziotti e anche se uno si avvicinò, trascinò avanti i due
signori con forza. Allontanati dalla città, trovarono il luogo adatto. K sembrava compiacente. I
due avevano un coltello da macellaio e iniziarono i convenevoli su chi dovesse sbrigare la
questione. Sapeva di doverlo impugnare lui, ma non lo fece. A vedere affacciarsi un uomo
da una finestra, si interrogò su tutto, e nel frattempo gli fu introdotto il coltello nel cuore.
ANALISI

Come è evidente dal primo capitolo della strana udienza/tribunale/pubblico con un giudice
inverosimile, l’ente che lo sta accusando, il suo antagonista è il tribunale (dal tedesco das
Gerickt). Le forme di quest’ultimo le conosce, ma capisce che non si tratta di un tribunale
normale. Qualcosa non si svolge nei fatti, ma nelle parole, nei discorsi: il punto è che Joseph
K sta dentro il mondo del linguaggio, un mondo di parole, si tratta sempre di atti discorsivi.
I meccanismi di potere passano attraverso le parole in maniera migliore che l’atto di violenza
concreto. La violenza fatta dalla retorica non è facilmente individuabile, più insidiosa.
Entra in questo meccanismo labirintico che non porta da nessuna parte. Quello che Joseph
K sente come un andare avanti, in realtà poi non lo porta fuori e lo tiene dentro.

Joseph K è oggetto di violenza in una questione legale, ed a contare sono le leggi e le


sentenze, che non sono atti fisici bensì di parola: capisce vivendo lì che è attraverso questo
che viene regolato il mondo. Si delinea la burocrazia giuridica, che tiene perfettamente nelle
sue assurdità: funziona così bene proprio perché funziona così male.

Le informazioni date dagli altri non sono mai complete ed esaustive, sono apparentemente
chiare e interpretabili, date sempre da personaggi che non sono funzionari o giudici (parte
parodistica). I Funzionari stessi, anche molto alti, dapprima sembrano farsi convincere, ma
possono formulare una nuova presa di posizione contraria alla difesa, una volta rifilati nelle
loro segreterie. In genere rilasciano per il giorno seguente un rapporto conclusivo di
contenuto totalmente opposto, molto più severo per l'imputato. La gerarchia, i gradi del
tribunale erano infiniti e il procedimento davanti alla corte era in generale segreto anche per i
funzionari di livello inferiore. Un’altra volta non ci si può difendere poiché è stato tutto detto a
parole, a quattr'occhi.

K si trova sempre nella posizione inferiore e di impotenza rispetto a chi le informazioni le


possiede, è la situazione di chi deve interpretare quello che ha intorno, perché niente ha
forma da solo. E’ una sfida interpretativa del personaggio e del lettore stesso, la cui
prospettiva è identica.

Nel Capitolo 7 ‘’avvocato industriale pittore’’, K. risulta davvero stanco (era reattivo):
dedicava le sue energie alla lotta di sopravvivenza all’interno della banca, piena
dell'ideologia borghese della competizione e del prestigio, mentre dopo viene tutto assorbito
da un pensiero che si complica senza arrivare a nulla. L’imputato non fa nulla, anzi entra
sempre di più dentro il pensiero. Riflette sui discorsi dell’avvocato, poi entra in gioco un
industriale che gli consiglia di andare da un pittore del tribunale che gli darà risposte
fondamentali, ma che Joseph K. rifiuterà.

Dopo una lunga tirata in discorso indiretto, si insiste sulla presenza delle bambine, che non
dà alcun sostegno alla trama, bensì svolge la ‘’funzione poetica’’ del pezzo di prosa e ci
mette di fronte ad un universo. K. sente alcuni sintomi come di soffocamento quando entra
dal pittore, e lo stesso prima con le cancellerie dell’udienza. A seguito scopre le cancellerie
del tribunale anche all’interno della stanza, dopo aver messo ed aver guardato fuori dalla
porta. Non era stupito da quello, ma più dalla sua ignoranza in questioni giudiziarie.
Nella squallida stanza con un letto non ci sono segni che rimandano al controllo del
tribunale, ma c’è solo un pittore, il depositario delle notevoli informazioni sul tribunale, in
camicia da notte, per niente pronto per una visita. Lui non è un pittore qualsiasi, ma l’erede
di una carica di pittori del tribunale che si sono tramandati per generazioni seriali, che parla
con i giudici e può influire. Ritrae i giudici in pose solenni. E’ la prima persona che gli chiede
se è innocente, K si sente capito ma non gli chiede di cosa è accusato, alla fine non è
rilevante perché sia accusato. Joseph K afferma di essere innocente, quasi sollevato, allora
gli vengono presentate le tre possibilità per chiudere la questione con il tribunale:

1. assoluzione vera:
Se ci fosse un assoluzione, non si distinguerebbero due tipi con aggettivi diversi. Visto che K
è innocente, si può tentare l’assoluzione reale, però nessuno questa l’ha mai vista, non è
attestata da nessuna parte nella tradizione. Viene descritta in maniera comica: (L'assoluzione
vera è naturalmente la cosa migliore, solo che su questo tipo di soluzione non ho la minima influenza. A mio parere non esiste
una singola persona che abbia influenza sull'assoluzione vera. Pare che qui decida solo l'innocenza dell'imputato. Poiché lei è
innocente, potrebbe davvero fare affidamento solo sulla sua innocenza. Ma allora non ha bisogno di me né di qualsiasi altro
aiuto». Non conosco nessuna assoluzione reale, ma so di molti casi in cui si è esercitata un'influenza. Certo è possibile che in
tutti quelli a me noti non ci fosse innocenza. Ma non le pare improbabile? Su tanti casi, non una sola innocenza?)

2. assoluzione apparente: in apparenza semplice da ottenere, richiede un impegno


concentrato ma limitato nel tempo: un foglio di dichiarazione della sua innocenza,
tramandato dal padre (inattaccabile) fa il giro dei giudici per le firme, possono anche
dubitarne e prentendere che K venga condotto da loro. Esce dal tribunale ed è libero, ma
solo in apparenza o ‘’temporaneamente libero.’’ Dal punto di vista retorico è libero MA
(clausola avversativa) ritratta tutto il discorso appena fatto.
I giudici di rango inferiore non hanno il diritto di assolvere definitivamente, questo è
diritto del tribunale supremo al quale nessuno può arrivare e nessuno sa come sono le cose
lì. Assolto, è sottratto dall’accusa, ma questa continua a pendere sopra l’imputato: se in
quella vera gli atti processuali e l’accusa vengono eliminati, qui nel fascicolo degli atti non
avviene nessun cambiamento, si arricchisce della dichiarazione d'innocenza,
dell'assoluzione e della sua motivazione. Ma per il resto rimane nel procedimento, viene
trasmesso ai vari livelli del tribunale con vie imprevedibili, ‘’il tribunale non conosce
dimenticanza’’. Un bel giorno - nessuno se l'aspetta - un giudice qualunque prende in mano
gli atti con più attenzione, si accorge che in quel caso l'accusa è ancora viva, e ordina
l'arresto immediato. Per il nuovo arresto passi molto tempo, questo è possibile. Allora è la
fine dell'esistenza libera e il processo ricomincia da capo, ricominciando con una seconda
assoluzione e il terzo arresto, e così via. E’ un funzionamento circolare e rappresenta un
pensiero circolare, che prima ti libera e poi ti imprigiona.
Lo invita a restare dentro al sistema spiegando come funziona e che non succede nulla se
non venire arrestati.

3. rinvio: anch’esso circolare, consiste nel mantenere permanentemente il processo nella


fase più bassa. l'imputato e chi lo appoggia devono restare in contatto ininterrotto con il
tribunale, per cui è richiesto meno sforzo, ma un'attenzione maggiore: ci si deve recare a
intervalli regolari e se non si trascura niente, il processo non supererà la prima fase e anche
se continua, l'accusato è al sicuro da una condanna quasi come se fosse libero. ogni tanto vi
sono alcuni provvedimenti, come interrogatori, indagini, perquisizioni.
Le forze (psicofisiche) intese come esistenza stessa-> K sa che se spende le forze per il
tribunale non ne avrà più per il resto delle altre cose della vita, e il tribunale gli chiede questa
impresa con un inizio e senza una fine. Durante il circolo, l’imputato rimane vivo, questo tipo
di assoluzione permette di vivere, anche se una vita misera. Il resto è una fantasia di Joseph
K, quando gli viene detto subito che non è possibile.

«Entrambi i metodi hanno in comune, che impediscono la condanna dell'imputato».

Joseph K non ha mai avuto un’informazione del tribunale che non venisse da dentro il
tribunale stesso, quindi non ha un punto di vista esterno di altri imputati. Tutte le persone
intorno ci sono dentro, per cui è non ha la capacità di crearsi la distanza giusta per valutare.
Senza la possibilità di osservazione e di prospettive non si può valutare niente e non si può
avere potere su se stessi.

Il tribunale gli chiede tutto, di dare le sue forze affinché venga continuato il circolo
dell’arresto e del processo. Questo turba la sua concentrazione, e Joseph K si rifiuta
dell’offerta e della richiesta di essere uguale a tutti lgi altri imputati, di vivere la vita in
circolarità.

Il discorso si concentra sul valore del termine ‘’libertà’’.

VITA - PARTE SENTIMENTALE - SCRITTURA

Kafka non era solo un narratore di racconti, ma ci arrivano scritture private da diari e
lettere, quindi sapeva parlare di se stesso. La biografia ha un peso per alcuni suoi dati ed è
utile per vedere come l’ha portato a comporre le cose. Non bisogna creare un legame unico:
non è assoluta per spiegare le sue opere. Era funzionario dell’assicurazione sugli infortuni
sul lavoro e rimasto a Praga conduceva una vita un po’ provinciale e chiusa in un mondo
tutto di lingua tedesca dentro il 10% di popolazione ceca.

Da giovane è consapevole del disinteresse per la giurisprudenza, e il lavoro che da


‘’professionale’’ era per vivere e per la condizione medio-alto borghese. La letteratura era il
suo unico interesse (considerato dalla famiglia una ‘’strana fissa’’, ‘’passatempo’’), a cui si
dedicava le notti in momenti di concentrazione, uscendo dalla chiusura che subiva di giorno:
tutto intorno non era in sintonia con il suo bisogno di grande concentrazione e solitudine,
tempo. Questo momento di concentrazione che attraversava le notti, se lo doveva
guadagnare. Nessuno comprendeva questa pulsione, tensione libidica.

Kafka aveva una terza istanza soggettiva, si sentiva anormale e strano, sentiva di doversi
rifugiare nel mondo letterario, riteneva che ‘’la vita’’ avesse una sua spontaneità e libertà che
ha i suoi diritti, mentre lui pretendeva di stare fuori da tutto questo, nella dimensione
‘’rarefatta’’ della scrittura e della concentrazione, si sentiva in debito verso questo mondo a
cui non dava nessuna attenzione. Non si è mai deciso, poteva tentare la carriera come
scrittore, anche rischiando e licenziandosi. Non si è mai allontanato dalla casa della famiglia,
rimanendo un ‘’figlio’’ senza avere una casa effettivamente sua.
La parte sentimentale era un dilemma: faceva parte della borghesia e secondo il
comandamento sociale, da bravi funzionari della monarchia asburgica, si aspettavano tutti la
stessa cosa. In senso vitale, tramite terza istanza, pensava alla natura e che era giusto far
qualcosa affinché la natura si riproducesse. Sentiva che quella era la vita degli altri, mentre
la sua comprendeva la scrittura, era una vita da ‘’Macchina sterile’’, con richiamo solo per la
sua soggettività. Kafka è un radicale della scrittura, tutte le forze andavano concentrate lì, se
non andava bene qualcosa gli sembrava di aver perso tutto nella vita. Era destinata a fallire
una forma di compromesso.

La sua donna era Feliz Bauer, moderna, manager, che conosce a Praga e scrive di lei subito
come ‘’non bella’’. Inizia fra i due un epistolario durato 5 anni. Lei era dall’altro estremo,
voleva sposarsi e vivere in modo ‘’normale’’, una vita che si consuma. Perché uno scrittore
così radicale cerca questo diametrale opposto? E’ perché vede una possibilità di futuro che
ha sperimentato dopo diversi anni, ma dopo non se ne fa nulla. Dopo l’anno del verdetto e
metamorfosi (1912), attraversa l’anno del processo, fino al 1917: scopre di essere malato e
rinuncia a qualsiasi cosa.

Vi sono tante ipotesi, potremmo considerarlo il tentativo di una persona che voleva la
scrittura come la pensava, che fosse perfetta, ma pretendeva di avere forze superiori/vitali
per essere allo stesso tempo normale come tutti, e non un isolato.

LE INTERPRETAZIONI: modo di afferrare qualcosa, pensando di averla presa, sottoscrivendogli


un significato. Sono numerosissime, dal processo ireale e proiezione di una turba psichica del
personaggio (quando ripiomba nell’ansia si presenta), una sorta di allucinazione…

Anche l’ebraismo (che ha una tradizione ermeneutica ed interpretativa differente dalla


logica aristotelica occidentale) nella situazione praghese dell’epoca e del rinascimento
ebraico con il tentativo di recupero la cultura del senso di appartenenza ebraica persa
nell’800, si presentava come fortemente vitale e andava in contrasto con Kafka e il suo
modo di vivere il suo ebraismo in maniera pietrificata come una specie di usanza. Riflette su
questi temi e li riporta anche nel processo: è pieno di rimandi inerenti (come quelli della
platea e la parabola del sacerdote). E’ raccontata anche nell’esegesi della parabola, il
cappellano del carcere e K si mettono a ragionare su quello che è successo.

Teoria della ricezione: una filosofia introdotta negli anni 60 in Germania, generalmente
applicata alla letteratura, che riconosce il pubblico come un elemento essenziale per
comprendere il significato più ampio dell’opera. Il significato generale è un processo di
interazione e reazione tra il lettore e il testo e può cambiare in base a chi interpreta le parole.
Kafka tiene vivo il dibattito fino ad oggi.

L'interpretazione esistenzialista, una delle possibili letture, è degli anni 40, inizio 50.
Camus, il grande rappresentante della corrente, all’interno del mito di Sisifo (1942) dedica
un saggio su Kafka e l’assurdo. E’ un’interpretazione superata ma conservata. Ci troviamo di
fronte ad una vicenda che non rivela il suo senso. Camus vede la narrazione della peripezia
umana del mondo da un presupposto tutt’altro che religioso, bensì dell’uomo che entra nel
mondo senza sapere perché e dove andare, con mille domande a cui deve dare sempre
risposta. La vicenda di Joseph K viene vista come la vita di ogni uomo nella sua condizione
umana, spesso labirintica che ti porta lontano dalla meta prefissata. E’ una posizione
pessimista: Kafka con il suo romanzo fa una sorta di metafora lunga tutto il romanzo che
racconta attraverso vicenda giudiziaria in realtà quella umana senza limitazione, il modo che
ha l’uomo di ritrovarsi nel mondo ad affrontare cose più grandi di lui che non gli rivelano la
verità e il loro senso, non danno risposte. L’uomo combatte sempre con situazioni
imperscrutabili, senza ascoltare chi potrebbe dargli qualche direzione. Il personaggio
scettico non si affida ad altri, lo sottopone a critica, si ritrova solo ad accettare la sua
condanna a morte, ovvero l’eliminazione dalla società, l’essere solo.

Le opere di Kafka hanno bisogno degli strumenti psicoanalitici, per esempio per leggere il
verdetto va riconosciuto lo schema edipico. Il senso di colpa, mai si parla di ‘’crimine’’, ma di
colpa-> richiama attenzione psicoanalitica per ragionare su come mai Kafka parli di colpa e
di cosa consiste effettivamente.

Tribunale come metafora dell’esistenza

Nel suo funzionamento sincronico: secondo il funzionamento del testo, strutturalismo.


A partire dagli anni 80 nessuno più ragiona in termini strutturalisti, bensì post strutturalisti.
Questi ragionamenti hanno potenzialità ermeneutiche, interpretative.

Dagli anni 80 in avanti si ragiona su Kafka in termini di politica, non pratica, concreta, ma
filosofia politica-> pensatori, l’italiano Giorgio Agamben.
Il più importante Michel Foucault (il grande teorico delle relazioni di potere, il potere include
la violenza): studi di funzionamento di relazioni di potere nei meccanismi di società
(civilizzate, che avrebbero abolito la violenza per statuto) e famiglia, sulla nascita della
clinica, ospedali e manicomi, ha scritto ‘’sorvegliare e punire’’, su cosa significa la
sorveglianza e la punizione, mostra infatti come si insedia la violenza a partire dai
meccanismi stessi, con i grandi statuti dell’età moderni.

Kafka non è critico della società, bensì descrive la macchina giuridica (il tribunale) che
funziona come il mondo. Il potenziale critico è enorme, non sta nell'atteggiamento critico, ma
nella capacità di far uscire fuori da un processo difficile, un'immagine fedele del
funzionamento della burocrazia, all’interno del quale si sono in gioco le vite delle persone.
Anche il rinvio del processo di K, rimanda al rinvio continuo che avviene nella burocrazia e
nel sistema politico.
E’ un mondo saldo, che perdura, che riesce a far funzionare tutto, che nonostante i
cedimenti va avanti, e anzi sono le falle nel sistema che lo mandano avanti in circolo. Ci sarà
una comunicazione autore-lettore in chi riconoscerà questo mondo in Kafka.

Il Personaggio stesso di Joseph K. è un borghese in carriera, la sua figura è senza


scrupoli e il linguaggio che usa con coloro che stanno sotto il suo potere fa capire che non è
del tutto innocente, viene dallo stesso mondo da cui poi è stato inglobato. Quando si trova a
dover esercitare la propria forza, lo fa anche brutalmente e anche con gli stessi mezzi del
tribunale: il mezzo coercitivo, verbale (descrivere il contrario sarebbe stato un errore
compositivo). Lui è già nel tribunale, gli viene solo mostrato esplicitamente la mattina
dell’arresto. Gli ostacoli che incontra sono più grandi, ma della stessa natura.

Il tribunale nell’accusa e nella condanna non è di per sé violento a parte l’ultimo esito.
Ma a suo modo l’organismo si mantiene segreto e impone all’accusato un linguaggio tutto
proprio che non viene compreso e non si sforza per farglielo comprendere: è in realtà
violenza, che passa per il linguaggio e per i fatti, le decisioni. Sono tutti atti performativi di
parola, basta la frase ‘’sei in arresto’’ affinché diventi realtà. Questo tribunale è violento, nel
senso moderno di violenza. Le società trovano altri modi più oscuri di gestire quello che
Hopps chiamava ‘’la lotta di tutti contro tutti’’.

Il tedesco kafkiano ‘’Gewalt’’ e il francese ‘’force’’ del filosofo Michel, in tedesco è Gewalt
(nel discorso kafkiano e del filosofo Michelle), lo stesso lessema rimanda alla violenza e al
potere nel senso di una istituzione che ha il potere di fare qualcosa. Gewalt è inteso come
giurisdizione, suscettibile di esercitare una certa podestà. (forza di legge). Secondo questo
pensiero la violenza non è più vista come fisica, ma il male non è stato debellato, viene
disciplinato in altra maniera. Prima era necessario uccidere, ora è sufficiente disciplinare.

Non si impone con atti di violenza aperta, bensì tramite un lungo processo, su tutte le forze
mentali e psichiche, indebolendo l’accusato. E non sono mai nei luoghi dove ci si aspetta
che il Gewalt venga esercitato. La violenza diventa rarefatta, pura struttura o democrazia.
Non aveva fatto nulla di esplicitamente violento, poi di colpo fa l’ultima violenza, capitale,
che significa morte, esclusione, soppressione di una vita umana.

Kafka è in avanti nei suoi tempi, con una sensibilità maggiore aveva compreso il presente,
con il suo talento letterario che lo rendeva capace di creare mondi che potrebbero essere
definiti distopie, ma sotto funzionano perfettamente.

8 anni dopo scrive ‘’Il Castello’’ e narra una storia parallela, il personaggio si chiama K, si
mette in marcia verso un certo castello all’interno del quale vuole essere assunto come
qualcuno che misura le terre, una sorta di ingegnere. Lui non riuscirà mai a salire,
provandoci, si rivelerà una struttura democratica, amministrazione di un piccolo villaggio,
farà in modo che K non venga mai a sapere se è stato assunto oppure se non può restare
nel villaggio. I suoi tentativi sono destinati alla stessa prassi del Processo.
Almeno nel Processo è un tribunale e si parla di leggi, accuse, difesa. Nel Castello è pura
amministrazione.

Lui ragiona sul mondo amministrato, che per la sua complessità ha bisogno di struttura
legale, che faccia funzionare tutto. Per Kafka è di potere, e quindi violenza. La burocrazia
per lui è un luogo, tempo, una vicenda umana di passaggio nel mondo, amministrata.

Bisogna accettare la figura del paradosso, una cosa che funziona malissimo è proprio
quella che funziona perfettamente ed è la peggiore violenza della nostra civiltà.

Kafka non è un profeta, ma un acutissimo analista del presente novecentesco, ma tiene


benissimo anche per il ventesimo secolo. Tutta l’assurdità è spiegabile, basti guardare la
realtà. Il resto è una corsa iperbolica per farci vedere fino a dove si arriva.
La grandezza della sua letteratura, un modo inimitabile di raccontare il suo mondo. Lo
scarto, sentendo che la frase parte verso l’estremo (per esempio la spiegazione
dell’avvocato nella stanza degli avvocati, con il buco nel pavimento-> meccanismo
metonimico, andare avanti per associazioni, iperbole-> per descrivere inutilità degli avvocati
difensori Kafka descrive una scena di un film muto, una sorta di partenza dell’immaginazione
da punto reale fino a farlo diventare comico e grottesco, tipico di quegli anni)-> non ci si
chiede cosa si faccia il buco nella stanza, ma è un suo modo di portare all’esagerazione
comica, fino ad arrivare al punto di realtà.

A K, desideroso di chiarezza, viene offerto un mondo di mezzo con delle soluzioni di


sussistenza. Kafka ragiona sull’esistenza di tutti tramite questa metafora. Con un salto
metafisico arriva a considerare che l’esistenza in generale funziona così, in modo radicale,
non solo come lo vede lui, non lasciando spazio alla catarsi. Viveva un terrore assoluto per
questo momento scomposto e irrazionale, ma sapeva che era il mondo di tutti e si sentiva
male a essere diverso e fare della scrittura il suo scoglio. Ha voluto provare a essere come
gli altri, senza riuscirci.

Avviene una contaminazione con la vita reale, il mondo che si vedeva intorno si configura
nello stesso modo del tribunale. Analista del presente, vedeva la società come qualcosa di
profondamente caotico e ingiusto, in cui tutto è totalmente irrazionale e funziona nella sua
irrazionalità, con la giusta legittimazione. E’ appunto quest’entità che nella metafora del
tribunale non ti consente di sapere nulla, ma si manifesta e ti accusa.

Traslazione UNIVERSALE, trasla dalla vicenda concreta a quella ‘’astratta’’ con


meccanismo di traslazione-> lo scrive nei diari, nella sua mitezza e modestia aveva
l’ambizione di raccontare una storia che potesse essere riconosciuta dalla maggioranza
come propria.

Lettura religiosa, si parla di religioso anche per romanzo laico, compare nel capitolo 9,
dove tutta la scena si svolge in un duomo cristiano, e il dialogo si svolge con il sacerdote
cristiano che dovrebbe tenere la predica e poi è il cappellano del carcere. Poi parabola con
tratti ebraici. Di religione inscenata si capisce la ricerca dell’uomo verso un senso, una
divinità che dà senso all’assurdo e incomprensibile.
Secondo Citati, secondo la sua cultura ebraica di base, Dio potrebbe essere la legge (è
sentito come qualcuno che giudica) e gli intermediari tra l’uomo e la legge sono le religioni
(l’avvocato Huld si fa venerare dal commerciante Block con espressione di biblica memoria:
Non avrai un altro avvocato al di fuori di me, anche se poi ne aveva altri cinque.

Crisi della borghesia: Ferruccio Masini, nell’introduzione all’edizione Grandi Libri Garzanti,
individua lettura sociologica che vede la borghesia con le sue contraddizioni, e intellettuale
cosciente di ciò: la borghesia arriva al potere ma scopre i suoi limiti e i suoi lati oscuri. Ogni
regola è degradata, perfino quella della giustizia, che appare in sfacelo. Tutti vivono in case
malsane e decadenti e nelle cancellerie l’aria è irrespirabile. La condanna, che corrisponde
simbolicamente alla improrogabile morte dell’uomo, è ora temuta, ora invece riconosciuta
come salvezza e fuga dal grigiore della vita. La colpa non c’è: la borghesia non ha più il
senso di peccato: infatti K è innocente, ma il fatto di esorcizzare la possibilità stessa di
colpa, diventa di fatto una colpa a sua volta. Anzi, proprio chi crede di non avere colpa,
come K, è condannato per primo. Il processo di Block dura sei anni, quello di K molto meno.
Masini punti su aspetti sociali e psicologici.
Un altro tipo di interpretazione è: si tratta alla fine di inclusione, il tribunale diventa un mondo che fa
entrare K e gli chiede di restare dentro il tribunale, processo e di trascorrere lì la sua vita.

Gli vengono date preziose informazioni e gli espongono il mondo di incoerenza e falsità, bugie e
rapporti di potere secchi e violenti, gerarchie intoccabili, perché questo è il mondo. Inizialmente
sembra un incubo, entrare in un mondo in cui anche la giustizia funziona in questo modo. K. lo rifiuta
ed a quel punto lo aspetta la pena capitale, è un individuo arrogante che ha fatto della razionalità del
suo stile di vita, ed è preso da una cosa che ha un’altra razionalità (il tribunale).

Un uomo razionale (che crede di esserlo) entra in meccanismo/mondo irrazionale che non nega
di esserlo, ma stranamente funziona perfettamente e questo mondo, se K avesse capito cosa gli è
stato detto, capirebbe che quello è il mondo della gente normale, che pretendere che il mondi sia
giusto, razionale e coerente, è un'idea astratta. Questo ente è umano e pieno di incoerenza, violenza,
sopraffazione. E’ sicuramente vittima, rifiuta la piccolezza di quel mondo, ma è che ne ha fatto
sempre parte, lui stabilisce gli stessi rapporti di potere con altri (è vittima di un mondo di cui ha
sempre fatto parte).

Basta ‘’Insabbiare la causa’’ ed a quel punto potrà tornare a vivere (non a essere libero, è diverso),
ma lui troppo tardi si renderà conto che gli stanno dicendo che cosa deve fare: stare lì, accettare le
regole e quello stile di vita molto poco razionale e riconducibile ad un’idea dignitosa di vita, ma che è
vita, mentre quello che fa lui è licenziare l’avvocato e pretendere di scriversi da solo la memoria
difensiva, uscendo dalla logica del tribunale. Era solo chiamato come ogni singolo essere a vivere
nella vita. Kafka non ha disprezzo per questa vita, ma sa che è quella che vige, quella delle persone
che non si fanno domande, che restano dentro al sistema. Lo sforzo di voler uscire da questo mondo
legale, che nel Castello diventa amministrativo, è inutile e arriva la conseguenza ultima delle sue
scelte e delle sue azioni. Kafka è centrale nella ricezione perché ha creato un mondo che eccede
dalla distopia (premette la normalità), ma presenta un tribunale onnicomprensivo, non esiste la
normalità.

Non è una teoria sociologica, solo un pensiero finissimo sul potere senza che esca mai esplicitamente
fuori: non vi è una critica esplicita, è dalla qualità del testo e del pensiero che esce la posizione
critica. E’ riuscito a essere critico in maniera devastante senza mai assumere una posizione
esplicitamente critica: l’ha fatto attraverso il testo stesso. ‘’critica assoluta senza critica’’, ovvero pura.
Cade il discorso sull’assurdo, perché in questa prospettiva di lettura è tutto chiaro e non lascia niente
di inspiegato.

La prospettiva da cui viene visto accadere: La narrazione è di tipo personale non significa
soggettiva ma ha a che fare con la persona del protagonista), in terza persona, per cui abbiamo la
separazione tra voce narrante e personaggio/personaggi, potremmo supporre che il narratore
essendo tale sappia quello che sta narrando, e quindi come quello autoriale tradizionale ci stia
raccontando una cosa già successa riproponendo la storia. Kafka distrugge questo meccanismo
tradizionale narrativo: mantiene la 3 persona però il lettore non viene mai a sapere qualcosa di più di
ciò che non sappia il personaggio stesso. Ci permette di vedere attraverso gli occhi del protagonista
senza altre informazioni, come seguire una macchina fotografica che corrisponde con gli occhi del
personaggio. Il lettore non vede dall’alto, ma la visione è fatta a passi che si concludono e lasciano
posti ad altro, ma non ci sono tecniche narrative inserite che ci vengono a dire cosa succede d’altro.
La tecnica modernista e non aiuta la lettura,
Se fosse in prima persona sarebbe comprensibile, narrando ciò che sono le sue esperienze mentre le
conosce. Nel romanzo del 22, ‘’Il Castello’’, è un romanzo come il processo-> le prime 70/80 pagine
scritte in prima persona, poi ricorrette ‘’io’’ con ‘’lui’’ senza cambiare nient’altro-> funzionava bene lo
stesso.
Influenze Da ‘’Memorie dal sottosuolo’’ di Dostoevskij: «[…] per quanto la rigiri, alla fin fine vien sempre
fuori che il principale colpevole di tutto sei sempre tu, tu e nessun altro, e – quel che fa più male – colpevole
senza colpa e, potremmo dire, per legge di natura».

Dostoevskij è un grande maestro di Kafka, senza influenze dirette, il suo modo è proprio
radicato in lui e fortemente autonomo. Kafka costituisce con questi romanzi un universo
burocratico, più inefficiente del mondo e per questo funziona, proprio senza dare
informazioni ottiene quello che vuole, conduce i singoli dentro labirinti arrivando in luoghi
dove non ci si immaginava di poter arrivare.

Quella frase contiene in sé, e ne è l’essenza, la ragione dell’assurdo procedimento


giudiziario contro il celebre personaggio kafkiano, la ragione della condanna e della violenta
esecuzione. Egli è «colpevole senza colpa e […] per legge di natura».

L’allegoria vuota

Negli anni e da molti critici Il Tribunale è stato identificato 1) un Dio indifferente e


implacabile; 2) con l’alienate società moderna; 3) con la società capitalistica; 4) con la
burocrazia austriaca e con la burocrazia spersonalizzante in generale; 5) con la crisi dei
valori della società ottocentesca e con la crisi dei valori scientifici e culturali del secondo
decennio del secolo; 6) con la prima guerra mondiale; 7) con la Legge Ebraica ortodossa; 8)
con il Padre; 9) con un Dio indifferente e assente; 10) con la Legge divina.

Ma alla base di questi giudizi interpretativi recenti ci sta la fondamentale riflessione


Benjamin, e anche la formula di “Allegoria vuota” o ‘’allegorismo vuoto’’.
L’allegoria vuota è un tipo particolare di allegoria che si distingue dalla Allegoria tradizionale.
Infatti l’allegoria vuota non comunica un significato positivo o una tesi precisa e razionale,
come faceva l’allegoria tradizionale, ma esprime un bisogno di significato che resta senza
risposta. Come ogni autore allegorico, Kafka rappresenta una vicenda per dire altro; ma
questo altro resta indecifrabile e dunque indicibile: il significato è fuggito dalla vita e ne resta
solo l’esigenza.

L’allegorismo tradizionale presuppone una lettura prestabilita, “a chiave” e muove da una


verità generale condivisa dalla società. Infatti per alcuni critici la rinuncia a rivelare un
significato rivelerebbe la resa all’insignificanza e alla crisi”. Nel caso di Kafka, che apre a
mille interpretazioni: “Si tratta di parabole di cui è stata sottratta la chiave”.

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