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Nasce a Kiev in Ucraina nel 1891 (al secolo capoluogo dell'allora omonimo governatorato
russo, oggi capitale dell'Ucraina, grande città multietnica, multiculturale) da un'agiata
famiglia russa: suo padre fu docente universitario di storia e critica delle religioni occidentali
presso l'Accademia Teologica di Kiev e traduttore di testi religiosi. Cresce con
un'educazione strettamente religiosa. Nonostante sia forte in lui la componente spirituale,
abbandona la pratica religiosa: si dichiara agnostico nel 1910, dopo essersi iscritto alla
facoltà di medicina a Kiev.
Si laurea in medicina nel 1916. A questo periodo risalgono i racconti Appunti di un giovane
medico, i cui manoscritti sono andati persi. Subito dopo è mandato, nel 1919, al fronte
essendo un funzionario medico come medico militare, dove iniziò a fare il giornalista.
Era un grande amante della libertà, per cui non era facile la sua vita all’interno di una Russia
così politicizzata, omologante dal punto di vista intellettuale.
Troppo soggetto al potere politico, nel 1920 abbandona definitivamente la carriera per
dedicarsi al teatro (si identifica con autorità come scrittore di teatro, era registra e
drammaturgo e metteva in scena le opere). Inizia un periodo di ristrettezze economiche:
oltre al lavoro di letterato, lavora come comparsa in teatro. In quegli anni vide la luce la
prima versione de I giorni dei Turbin. Nel 1921, trasferito a Mosca, instaura uno dei rapporti
più importanti della vita lavorativa e letteraria di Bulgakov, quello con la rivista berlinese in
lingua russa Nakanune.
Ha ottenuto grande successo con il romanzo La guardia bianca del 1924, adattato per il
teatro col titolo I giorni dei Turbin (all’inizio viene rifiutato perché gli ufficiali bianchi
(dell'Armata dei Volontari) apparivano sotto una luce eccessivamente benevola).
In Romanzo teatrale, scritto tra il 1936 e il 1939, un libro che racconta in tono ironico e
grottesco le disavventure che Bulgakov affrontò dopo la pubblicazione de La guardia bianca
e del suo riadattamento teatrale, tutti i personaggi presenti hanno un corrispettivo nella
Mosca degli anni venti e la voce narrante è lasciata a un aspirante scrittore, che si suiciderà
dopo aver scritto le sue memorie.
Scrisse anche Cuore di cane, Uova fatali, entrambe del 1925. In altri romanzi narra dei
disastri causati dal governo, ciò costò a Bulgakov la fama di controrivoluzionario.
Dal 1929 al 1940 lavora alla sua opera più nota Il maestro e Margherita, pubblicata
postuma nel 1967, quasi trent'anni dopo la morte, che gli assicurò fama immortale;
Il 1928 fece la sua prima richiesta di espatrio per andare a Berlino e Parigi che venne
rifiutata. Si adoperò anche per riavere i suoi diari, sequestrati durante la prima perquisizione,
con richieste alle autorità.
Del 1930 è l'opera Il bagno di Majakovskij e fu un grande successo di critica.
I problemi di Bulgakov non erano soltanto materiali (era in serie difficoltà finanziarie) ma la
sua condizione di letterato respinto in ogni sua iniziativa era un peso psicologico. In una
lettera al fratello scrisse: «Con queste stesse mani ho gettato nella stufa le minute di un
romanzo sul diavolo, di una commedia e l'inizio di un altro romanzo».
Questo episodio è centrale e ricorrente nella vita e nel pensiero di Bulgakov, il "romanzo sul
diavolo" a cui si riferisce è ovviamente Il maestro e Margherita e il concetto riassunto nella
celebre massima “i manoscritti non bruciano” è presente anche in quest'opera. Dovette
riscrivere da capo il romanzo (il M e M), attingendo solo alla sua memoria, dopo averne
bruciato personalmente e di proposito un abbozzo.
Nel 1934 riprese il romanzo, scrisse dell'incontro tra Margherita e Woland, e mentre era
impiegato in teatro, continuò nell'ultimo decennio della sua vita a lavorarci, nel frattempo
scrisse commedie, lavori di critica letteraria, storie ed eseguì alcune traduzioni e
drammatizzazioni di romanzi.
Morì nel 1940, a quasi 49 anni, per una nefrosclerosi, di cui era morto anche il padre, e fu
sepolto nel cimitero a Mosca.
Dalla sua morte al 1961 nessuna opera di Bulgakov fu mai pubblicata. Poi per 5-7 anni in
Russia scoppiò il fenomeno Bulgakov. Di nuovo in Russia cala l'oblio, per poi riaccendersi
l'interesse negli anni ottanta.
La pubblicazione: Molti suoi scritti furono elogiati dalla critica letteraria ma ritenuti
impubblicabili dalla censura: sono infatti stati pubblicati postumi, o inizialmente in
parti/versioni teatrali continuamente soggette a modifiche.
La ‘’ritardata’’ pubblicazione in Italia fu possibile grazie all'editore Giulio Einaudi. Il libro per
molti anni fu disponibile clandestinamente in Unione Sovietica, prima della pubblicazione a
puntate di una versione censurata sul giornale Moskva. Nel 1967 l'Einaudi pubblica il
romanzo ‘’depurato’’ in un’edizione dei famosi Coralli. Fu un grande colpo, trattandosi di un
autore sovietico conosciuto in Occidente solo nella sua parte non censurata dal regime
sovietico del tempo.
Vittorio Strada, docente di slavistica a Venezia, venne in possesso delle parti censurate,
vennero portate in Italia e integrate nel romanzo. Così lo possediamo, tradotto oggi.
E’ presente una prefazione all’edizione, in una parte dell’introduzione, di Vittorio Strada, che
fece precedere al romanzo del 1967. Le sue parole sono valide tutt’oggi.
Egli consiglia come modo migliore per accedere al mondo magico del Maestro e Margherita,
di domandarsi «come è fatto Il Maestro e Margherita?», trattandosi di una vera e propria
opera di magia.
Contesto storico
Tutto si svolge a Mosca e Gerusalemme, siamo nella Russia di Stalin, un’epoca di crisi e
difficoltà, gli anni trenta sono gli anni delle purghe staliniane, depurazione dei ranghi, lotte
di potere reali, stato assolutista, non più una democrazia bensì lo stato totalitario.
Dal 33 in avanti vi erano in Europa 2 poli totalitari: Russia di Stalin e Germania di Hitler.
All’inizio degli anni Venti la rivoluzione d’ottobre con la repubblica sovietica.
Il regime di Stalin controlla tutto negli anni 20/30, anche la cultura, la quale è pianificata
come l’economia stessa, tramite censura. Si assiste all’eliminazione di qualunque forma di
dissidenza
Questa vicenda, la censura, fa parte del romanzo, ma anche della biografia di Bulgakov,
sottoposto a censura, messo in condizione di non poter lavorare nei teatri o case d’opera.
Emarginato, non ha tentato fuga poiché legato alla sua lingua e terra. Ha anche scritto a
Stalin in maniera ideale, ed al ministero della cultura con una richiesta: rimasto senza lavoro,
e rinunciando alle ambizioni letterarie, richiede un posto in teatro, anche burocratico, un
modo per restare in Russia. Ha continuato a scrivere, senza andare oltre rischiando la
censura.
Racconta una vicenda di burocrazia culturale, incontra la censura, è una satira lieve e fine,
non è una satira con un obiettivo riconoscibile, ma una tessitura divertente su persone che
sono dentro un sistema culturale: infatti viene presentata una situazione iniziale stabile in
Russia, poi qualcosa manda all’aria la pace, e questo è il Diavolo in persona, accompagnato
dai suoi aiutanti/adepti che lo aiutano a mettere lo scompiglio nella perfetta
organizzazione della cultura sovietica.
La scena letteraria appare meno bizzarra se si pensa alla realtà: Mosca era capitale di uno
stato totalitario, attento all’espressione letteraria. La letteratura nel regime di Stalin non era
solo censurata, ma amministrata e gestita, con organismi come case editrici, giornali, radio,
associazioni di scrittori (che vediamo rappresentata nel romanzo) alla quale bisogna essere
iscritti per pubblicare.
Bulgakov è cruciale proprio perché la sua critica alla società in cui vive e al tentativo di
smascheramento di questa ipocrisia è proprio legata all’idea della codardia: i personaggi
che si muovono come marionette, controllate dalla società, sono dei codardi perché hanno
sempre qualcosa da perdere, qualcosa che non vogliono perdere e difendono con bassi
mezzucci, bugie. E dopo il terremoto provocato dalla banda, non vedono l'ora di ritornare a
riacquisire i loro piccoli privilegi.
È la realtà in cui è prigioniero e vittima il Maestro, che, con la sua dedizione spirituale alla
ricerca del Vero, è l’antitesi di quel mondo.
Struttura
La costruzione è complessa, con tre racconti uno dentro l’altro, distinti ma incastonati. E’ un
«romanzo nel romanzo», dal meccanismo rinnovato.
Vi è il romanzo dell’autore Bulgakov che racconta una storia, all’interno di questa vi è uno
scrittore chiamato il Maestro, il quale compone il romanzo su Ponzio Pilato (ecco il secondo
romanzo), che fa parte del quadro della narrazione romanzesca.
I capitoli interamente dedicati a Ponzio Pilato senza introduzione sono: 2, 16, 25, 26 dei
totali 32+epilogo. E’ poi è diviso in 2 parti, la prima ‘’libro primo’’ di 18 capitoli in cui si
presenta la folla di personaggi, la seconda ‘’libro secondo’’ di 15+l’ultimo, che inizia con il
capitolo su Margherita, il 19esimo, e porta a termine una storia con tutti i nodi venuti al
pettine.
Due linee parallele: la storia nella Mosca contemporanea e la storia nella Gerusalemme
al tempo di Gesù (L’altro protagonista del romanzo storico del Maestro è Ponzio Pilato, il
procuratore romano della Giudea, che ratifica la condanna di Gesù). Si svolgono nell'arco di
pochi giorni e si concludono di domenica. La storia a Gerusalemme comincia il 14 del mese
di Nisan nel periodo della Pasqua ebraica; la storia a Mosca si svolge interamente a
maggio durante il periodo di luna piena.
La narrazione esterna, quadro, che si svolge nel presente di Bulgakov, nella seconda metà
anni trenta, a Mosca, è realistica e con personaggi verosimili che fanno parte di
un’associazione letteraria (tutte statali guidate da funzionari, tutto burocratizzato).
Si intrecciano ‘’dimensioni’’ del passato, presente, oltre al metasistema eterno che pervade
il tutto: quello dell’amore, nelle due ipostasi di amore terreno e di amore celeste.
Non è la storia della scrittura di un romanzo: il romanzo di cui si parla nel romanzo è già
stato scritto e poi distrutto e la storia che si narra riguarda il suo recupero/resurrezione. Il
romanzo in questione è, infatti, un’opera, una riscrittura di un libro sacro (il Vangelo), che
vuole rivelare per la prima volta il reale svolgersi di un grande evento effettivamente
accaduto, tanto che il suo autore, il Maestro, respinge con sdegno la qualifica di «scrittore».
Il suo protagonista è Gesù, chiamato col nome aramaico di Jeshua Hanozri, nel momento
finale della sua vita terrena, quello della condanna e della crocifissione.
TRAMA (appunti)
La scena si apre su un suggestivo angolo di Mosca, gli Stagni dei Patriarchi (Patriaršie)
durante un «caldo tramonto primaverile» di un mercoledì sera di maggio (vicini al plenilunio
di primavera), all’imbrunire con il sole ancora all’orizzonte, con due personaggi tipici, centrali
in una certa scena moscovita che lo scrittore, romanziere e teatrante presenta ai lettori.
Il critico letterario Berlioz è funzionario/presidente/direttore del MASSOLIT (sigla di
‘’letteratura di massa’’, ha sede presso la Casa Griboedov), nonché vittima predestinata da
Woland).
Discute con Ivan Nikolaevič Ponyrëv, noto con lo pseudonimo letterario di Bezdomnyj
(giovane poeta che da arrogante autore di mediocri versi diventa, nel corso del romanzo,
discepolo spirituale del Maestro) dell’astoricità di Gesù.
Dà l’incarico al giovane Ivan di scrivere un romanzo, ma il poema su Gesù scritto da Ivan
Bezdomnyj nello spirito antireligioso sovietico non soddisfa l’ateismo di Berlioz: non
accetta che Gesù sia presentato da Bezdomnyj come una persona realmente esistita; egli
sostiene, Gesù storicamente non c’è mai stato e si tratta di una finzione, di un mito. Da qui
parte l’azione.
Il discorso in cui sono immersi viene interrotto, è la gustosa occasione per un personaggio
strano (identificato da loro come uno straniero, elegante, dallo strano bastone con una testa
di barboncino nero) di introdursi fra i due letterati: è messer Woland, professore di magia
nera, ma in realtà Mefistofele nel suo aspetto di maestro di incantesimi.
Fra le tante mirabilia svelate da Woland ai due letterati colpiscono le sue capacità di
conoscenza fuori dal comune, come la profezia che egli fa sull’imminente morte di
Berlioz, assolutamente veridica (avverrà in maniera tragica l’incidente pronosticato); egli
non tratta l’evento in sé, ma una serie di cause che a esso conducono: non ci sarà la
riunione che Berlioz dovrà presiedere alla Massolit perché Annuška ha comprato l’olio di
girasole e lo ha già rovesciato sulle rotaie (facendo sì che Berlioz scivoli al sopraggiungere
di un tram). Woland non mette in guardia dall’evento concreto ma dalle cause che si stanno
tessendo. (Bezdomnyj assistendo rimane stordito dal trauma e incapace di tornare in sé,
corre verso la casa dei letterati, viene curato con la camicia di forza, approda nella clinica
psichiatrica).
Dunque Woland dapprima conferma l’esistenza storica di Gesù, e ricevuto un diniego dai
suoi interlocutori, dopo il racconto della condanna di Gesù pone a Ivan la sarcastica
domanda: «E non c’è neppure il diavolo?». Qualora si accettasse l’esistenza di Cristo si
dovrebbe accettare anche l’esistenza dell’Avversario. Al contrario, se si nega l’uno, si nega
l’altro. Messer Woland argutamente conferma di essere stato lui l’ispiratore di Pilato.
Woland depone per l’esistenza storica di Gesù, narrando come il procuratore della Giudea la
vide e visse. Sostenendo che Gesù è esistito, racconta di un romanzo a cui lui è a
conoscenza. Per dimostrare che Gesù esiste, racconta una storia.
Si passa dal presente accadere di quella sera a una narrazione fatta dal professore
straniero, che inizia con il capitolo Ponzio pilato.
Berlioz si ribella, non ritenendo che si spieghi così la storia. Il terzo capitolo è grottesco,
comincia una slavina di avvenimenti che trascinano i personaggi di questa corte curiale
staliniana. Arrivano gli aiutanti, Berlioz vuole andarsene verso il tram, scivola sull’olio sparso
per terra e secondo la profezia fatta dal professore straniero, muore scivolando sotto il tram.
In questa scena iniziale parte l’azione del romanzo esterno, che prosegue dal primo libro in
un’accelerazione continua, che coinvolge la città con episodi vistosi (risse, ferimenti, incendi,
morti), valanga di eventi disastrosi, ‘’amaramente comici’’. Nel frattempo vengono raccontate
le storie parallele che riguardano il Maestro.
Il romanzo resterebbe nascosto se non arrivasse Margherita, che come personaggio entra
nel secondo libro. E’ presente in spirito già prima, poiché l’incontro tra i due è del tutto
casuale ma allo stesso tempo dettato e voluto dal destino: entrambi sono solitari e
malinconici, infelici e si cercando l’un l’altro senza conoscersi. Si incontrano non lontano da
Mosca e capiscono che la persona appena incontrata è quella che aspettavano e cercavano
per tanto tempo.
Letto il suo romanzo, aveva capito e sentito (secondo la sua impulsività d’animo) che fosse
una grande opera letteraria e lo aveva spinto e incoraggiato a mandare il suo manoscritto ad
una delle case editrici che facevano capo al Massolit. Fu stato rifiutato perché non
corrispondeva ai canoni estetici poetologici di ‘’regime’’, alla ‘‘letteratura del realismo
socialista’’, alle loro regole, idee, parametri.
Oltre ad essere recapitato indietro con una lettera di rifiuto, sono giunte anche le critiche
aspre su delle riviste letterarie del tempo, con annessi pezzi citati, presi in giro, esposti come
prodotto decadente, battendo sulla religione. Al rifiuto reagisce smettendo di scrivere,
nonostante il sostegno di lei, lui ha già una forte struttura malinconica (tema del romanzo). ,
anche se il romanzo non sarebbe mai stato pubblicato: ciò fu la conseguenza della
distruzione e vergogna totale del Maestro, il quale dovette sopportare 1. la non
pubblicazione 2. la critica a un romanzo che nessuno stava leggendo.
Margherita si dà mille volte la colpa, sa di essere stata lei ad aver tratto fuori il maestro dalla
sua zona di protezione e averlo dato in pasto al macchinario tremendo che produce talenti
‘’finti’’ e sopprime talenti veri. Proprio quando Margherita si decide a tornare a casa per
esporre tutto al marito e andare in definitiva con lui, in quella breve assenza di una notte Il
maestro, deciso a porre fino allo strazio, si allontana da casa a piedi (poi accompagnato da
un camion), e senza lasciare traccia di sé, si reca alla clinica psichiatrica e si fa ricoverare
volontariamente e per la prima volta dopo tanto tempo trova un po’ di pace. Lei non si sa
dove si trova lui.
Permane lì per un anno: gli eventi della famosa sera agli stagni sono esattamente un anno
dopo dall'incontro dei due innamorati. In questa clinica (descritta in grande modernità, e non
è fantascienza, perché la Russia, negli anni precedenti alla guerra, dal punto di vista della
tecnologia e del progresso, era all’avanguardia fino agli anni 60 quando iniziarono ad
emergere le crepe nell’economia. Certamente lo stesso non si può dire della libertà).
E’ consapevole di aver trovato l’amore, e che sia andato perduto: non ha speranza di
ritrovarlo e dispera non riuscendo a raggiungere il maestro.
E' Margherita che accetta il patto, una mattina proprio in quella famosa settimana di
Maggio, lei è seduta in quella in una panchina vicino al luogo dove aveva incontrato il
Maestro la prima volta e le si siede accanto un misterioso uomo dall'aspetto un po'
inquietante con dei capelli Rosso fuoco e una zanna che gli esce dal labbro superiore.
Si tratta di Azazello: offre a Margherita la possibilità di rivedere e ritrovare il Maestro, lei
esita ma capisce che ha solo questa via ''ipotetica'', e con la sua crema (unguento
miracoloso), si ritrova quella stessa sera ringiovanita e rafforzata in tutte le sue capacità
vitali, trasformata in una bellissima strega e a cavallo di uno spazzolone.
Con gioia feroce, vitalità ed euforia che non provava da un anno, comincia a girare per la
città, seguita da strane creature. Con i suoi poteri si vendica in maniera ‘’superficiale’’
(distruggendo le abitazioni e spaccando tutti i vetri) di tutte le persone che hanno fatto
male/sono state attive nella distruzione del Maestro. In particolare i critici Latunskij,
personaggio del regime.
Scopre il castigo di Frida: per aver in vita soffocato il suo bimbo con un fazzoletto, ogni
notte le mettono sul comodino lo strumento del suo delitto. Woland invita Margherita, a
premio della sua regale partecipazione, a svelare i suoi desideri. Margherita chiede la fine
della punizione di Frida, ma la ha chance di un’ulteriore richiesta, visto che la prima non era
per sé ma per altri. Lei desidera solo una cosa nella vita, ed è un qualcosa di
importantissimo, l'unica alternativa sarebbe annegare nel lago.
La grande festa del plenilunio è finalmente conclusa e Margherita esausta può chiedere
finalmente la ricompensa della sua attività: La liberazione del maestro, capitolo
ventiquattresimo.
Il Maestro inizialmente non vuole tornare da Margherita e la allontana, poiché conscio della
propria cupezza, scarsa voglia di vivere, totale disillusione sul conto degli uomini e di se
stesso; ormai malato, non vuole trascinare Margherita dentro la sua sorte, vuole che
continui a vivere e trovi un altro amore, risorga alla vita, e questo è possibile solo lontano da
lui. Questa è la ragione per cui a suo tempo ha lasciato tutto e si è nascosto in anonimato
totale nella clinica psichiatrica. Si rende però conto, dopo un po' di convinzione, che come il
suo per Margherita è un amore assoluto, anche quello di Margherita per il maestro è tale.
Torneranno insieme. Questo accadrà poi nel capitolo ventinovesimo: il destino del maestro
e di Margherita è determinato. Caduti gli ostacoli intorno i due amanti (il più grande è la
malinconia del maestro, non caduta del tutto ma almeno superata), e finita parte distruttiva
che ha costituito il primo libro e gli ultimi atti di distruzione dell'inizio del secondo, inizia la
parte costruens: la possibilità di un'esistenza per il maestro e Margherita. Woland dà quello
che le è dovuto.
L’azione di Woland e dei suoi adepti è volta in maniera micidiale contro tutti coloro che
hanno causato l’infelicità del maestro e margherita e li hanno protati alla separazione: qui
Bulgakov si distacca dalla tradizione: le due storie si uniscono, e qui è il momento in cui
l’autore inizia una storia sua, moderna. Ci offre però ancora qualche importante legame con
il passato.
L’ultima vita di Margherita e del Maestro sarà all’insegna totale dell’ultima grande cerimonia
di Woland, il quale finalmente arrivato il sabato e dopo aver trascorso le ore del tramonto
moscovita su una delle terrazze più alte della città guardando Mosca sotto l’ultimo sole (sa
che quella è l’ultima sera e che è il momento di partire, a partire dal nome del capitolo ''è
ora! è ora!''). Quella notte, a cui partecipano Margherita e il maestro, man mano che
l'oscurità si fa densa, si presentano elementi soprannaturali (le sembianze di tutti) e
inizierà un viaggio nel cielo al di sopra della città: all'inizio i personaggi sono insieme e infine
avverrà la separazione definitiva e andranno ognuno per la sua strada.
Sui ''Monti dei passeri'' (alture vicino a Mosca) comincia il volo notturno, dove il maestro e
Margherita dicono addio a quello che hanno vissuto, alla città che hanno amato, poi tutti
approdano a una specie di altopiano roccioso circondato dall’oscurità in cui è in attesa un
personaggio: è seduto su uno scranno, si regge la testa con le mani, sembra immerso in una
specie di sonno, però è vigile perché balbetta qualcosa tra sé e sé ed ai suoi piedi sta
disteso un grande cane con le orecchie aguzze. Si tratta di Pilato, anche lui sospeso in una
sorta di vita desiderante: così come Margherita aspetta il maestro, egli aspetta lo stranp
individuo, lo straccione, il filosofo vestito male, pieno di strane idee che lo aveva tanto
affascinato/colpito il giorno in cui l’aveva incontrato a Gerusalemme e nel pomeriggio è stato
crocifisso, a seguito delle decisioni da parte di Pilato.
Nelle ultime pagine (capitolo trentaduesimo, ''il perdono e l’eterno rifugio'') Pilato si
riunisce a Jeshua e insieme al cane si incammina per una lunga via infinita, dove
riprenderanno il dialogo che si era interrotto a Gerusalemme, separandosi dal gruppo.
Insieme ai personaggi, il romanzo si chiude nel momento in cui tutte le parti del romanzo si
ricongiungono: quindi il romanzo quadro della vicenda moscovita, il romanzo all’interno del
romanzo che è l’amore del Maestro e Margherita e il romanzo terzo che è quello di Pilato e
Gesù. Tutto torna insieme e anche pronto per dividersi, per riprendere altre strade e
continuare altrove.
Romanzo di Pilato: viene raccontato l’incontro tra un certo Jeshua e Pilato. Bulgakov
racconta un mito, una grande narrazione religiosa dell’umanità.
Gesù viene condotto dalla polizia ebraica di Gerusalemme, guardia di sicurezza del Sinedrio
(un tribunale-scuola costituito da massimi sacerdoti ebraici e con giurisdizione religiosa),
condannato da esso come eretico di fronte Pilato, che deve decidere se dare il benestare, di
fare l’amnistia nel giorno di festa ma per un altro, non per Gesù. Pilato lascia la decisione
al popolo, che nello stato di accezione salva Barabba e condanna a morte Gesù Cristo.
Pilato viene presentato come una persona stanca, prostrato dalla guerra di potere a cui non
rinuncia da ambizioso. Dimensione politica molto chiara che rimanda alla situazione
politica di tutto il romanzo. Quella mattina presto a Gerusalemme, Pilato deve risolvere una
grande questione, è un venerdì, prima della festa settimanale degli ebrei. Il popolo sta per
scoppiare, Pilato deve essere attento a non fare scoppiare una rivolta. Quella mattina è
seccato all’idea di ricevere la persona che ha causato il subbuglio, l’eretico, Gesù. Si trovano
insieme, a lui passa subito il mal di testa all’improvviso.
Scopre un filosofo ingenuo, un bambino, gli spiega cosa fare per non stare male. Traspare la
sua innocenza infantile per la semplicità con cui dice la verità. Pilato è abituato al discorso
mediato, complesso.
Si instaura una tensione psicologica: si chiede perché l’hanno arrestato e consegnato per
essere giustiziato. Dubbio atroce di Pilato: incontrando la folla che vuole il sangue, la catarsi
(Bulgakov coglie questo lato del rituale), capisce che Gesù non ha fatto niente e il sinedrio lo
condanna per ‘’timore’’. Il dilemma è che vorrebbe salvare Gesù non per generosità, ma per
farne il proprio interlocutore, tenerlo nei suoi paraggi, farne un ‘’servo’’ insegnante, maestro,
dall’altro capisce che la ragione di stato si fa sempre più grave, e se contraddice il sinedrio
sarà un disastro.
Ha un colloquio con il sommo sacerdote, capo del sinedrio. La nuova narrazione rispetto al
vangelo si ha anche per Giuda, una spia che ha venduto informazioni su Gesù per
accusarlo, Giuda viene assassinato.
Un altro personaggio, in contatto con Pilato, Levi Matteo che faceva il cambio valute e si
dispera, vuole liberare Gesù. Almeno vuole il suo corpo quando muore.
Pilato decide per la morte di Gesù, si conclude con Pilato che ritorna alla sua emicrania
come metafora di una vita totalmente fallita, sull’altare del potere, sopraffazione degli altri.
Ha condannato se stesso alla malinconia.
Lo strano filosofo entra in un sistema che è quello del Sinedrio di Gerusalemme (ossia
dell’assemblea dei rabbini importanti della città). Il popolo è continuamente sull’orlo della
rivolta, sono impauriti di perdere il loro potere, lottano e combattono per mantenerlo: il
sacerdote Caifa il massimo sacerdote va a discutere con Pilato per contrattare la vita e la
morte di chi quel giorno (un venerdì di aprile) dovrà essere crocifisso, appeso ai pali sul
Golgota. (non è una crocifissione come viene narrata nei Vangeli e quindi è una vicenda
politica) di cui è vittima una persona che non ha alcuna percezione politica, ma è invece
profondamente intento a tramandare il messaggio che ha dentro di sé e che vuole portare
agli altri, che è il messaggio di Cristo, quello che anche noi conosciamo dai vangeli. Una
sorta di messaggio della fraternità, dell’amore incondizionato per il popolo. Forse non porta
di fatto il messaggio dell’amore per gli altri, ma è lui stesso che lo prova, anzi è
comprensione universale dell’umanità, di amore immenso per tutti quelli che ha intorno. Ed è
questo che lo rende pericoloso: in una società precristiana che non conosceva il senso di
una filosofia di pace, arriva un uomo dalla straordinaria capacità di essere creduto e amato
proprio perché lui crede e ama. Si presenta come un pericolo, tanto da dover essere
eliminato.
Pilato si rende colpevole, ''decisione pilatesca'', come qualcuno che si lava le mani di un
problema. Lui per ragion di stato e perché teme di essere spodestato dalla sua carica e sa
che a Roma, a Capri c'è un imperatore sanguinario che non aspetta altro che i suoi
sudditi/politici facciano degli errori per poter essere sostituiti.
Pilato vuole mantenere la sua posizione e nonostante combatta con l'emicrania, diventa
anche complice e colpevole, si rende colpevole di codardia, del grande peccato
imperdonabile (Vittorio Strada) per il quale poi è Pilato che non solo non viene perdonato ma
non perdona neanche se stesso: aspetterà per quasi duemila anni per essere ricongiunto in
questa dimensione totalmente sovrannaturale all’unica persona che lo abbia veramente
capito: Gesù, che lui ha condannato al supplizio.
Pilato resta Pilato in Bulgakov, commette il suo peccato, ma finisce in una vicenda
sovrannaturale in cui anche lui avrà diritto a un po’ di perdono e a un'ultima parte di vita (non
redenzione, ma è riposo e quiete).
Il Vangelo è riletto in chiave mistica, il lettore lo viene a conoscere attraverso varie fonti (il
racconto di Woland, testimone degli eventi, il sogno di Ivan, che subirà una trasformazione
dal momento della sua comparsa all’inizio del romanzo). Qui Gesù è una figura più che
umana, misteriosamente divina, e Pilato, vero protagonista del veridico romanzo del
Maestro, appare una figura umana, troppo umana, capace di vivere il dramma del dubbio,
della solitudine, della viltà, in un confronto infinito con colui che egli ha mandato a morte,
ubbidendo alla plebe e al potere (sono i singoli esseri umani in quanto dotati di libertà i
portatori del Male e del Bene).
Tutta la linea «moscovita» si svolgerà come una satira ora lieve ora violenta, con una
coloritura grottesca e carnevalesca e una fantasia insieme macabra e giocosa di cui
faranno le spese tutti i tipi alla Berlioz, cioè i rappresentanti dell’establishment moscovita,
mettendo a nudo la miseria umana del mondo sovietico comunista a tutti i suoi livelli, dai più
bassi ai più elevati (anche per i baristi).
La banda si propone proprio alla stessa associazione che era presieduta la sera prima dal
povero Berlioz, con uno spettacolo di ipnosi e suggestione nell’importante teatro di Varietà
gestito dal Massolit, di cui è responsabile.
L’unità di azione nel romanzo è compatta, quello che accade è lo svolgersi dal mercoledì al
sabato della missione di Woland, inviato da qualcuno che non può essere che Dio, e le sue
conseguenze. E’ è tutto sommato un modello classico/aristotelico. L'unità di luogo è Mosca e
i suoi dintorni (alla fine ci si avventura in spazi ormai soprannaturali).
L’azione innescata da Wland prosegue per il giovedì e arriva al culmine alla sera del giovedì,
che è la serata dello spettacolo al Varietà, le cui catastrofi avvengono dentro e fuori il
teatro, anche per la città. Nella stessa notta si arriva al venerdì successivo, al Sabba delle
streghe, poi il venerdì sera vi è il gran ballo di Satana a Mosca e il è la giornata del riepilogo,
della sintesi e dell’addio. La missione è compiuta.
Sono dei buffoni, in particolare il gatto. Woland è l’impersonazione di figura d’uomo il più
possibile in silenzio, un malinconico che sa di essere lì per compiere una missione che
compirà enormi danni, ma ha uno scopo che porta in fondo senza fermarsi. Ha dei poteri
soprannaturali illimitati, riesce a far spostare le persone per migliaia di km, farle sparire e
ricomparire, a fare in modo che le persone vengano a sapere cose che non potrebbero mai
a sapere.
La serata del giovedì Woland si esibisce (in realtà lo faranno i suoi aiutanti) nel suo
spettacolo di magia nera. La parola ''smascheramento'' va preso un po' come linea
guida di tutto il romanzo: attraverso giochi che sembrano di prestigio/ ipnosi
collettiva/suggestione/ventriloquismo (questa sarà poi l'ipotesi delle investigazioni, per i canti
dei dipendenti, per tutte le persone che si perdevano, e non è vero che si trovavano a Jalta,
e mandavano da lì i telegrammi, bensì era dato loro pensare, erano indotti a pensare ciò
poiché vittime di ipnosi, o come per il gatto Behemoth).
Questi giochi vengono interpretati come spiegabili, in realtà sono dovuti a capacità e
poteri soprannaturali. Tutte le persone che prendono parte allo spettacolo (circa 2000
persone) e alcune persone precise all'interno del pubblico vengono smascherate nella loro
immensa ipocrisia.
Nella mosca contemporanea vediamo piccoli funzionari, corrotti, una società frivola che
Woland si diverte a tormentare: sin dall'inizio la banda non fa altro che smascherare
qualcosa (con metodi abietti e mezzi violenti) e offrendo tessuti preziosi, denaro e loro
dicono di sì a tutto dimostrando che sono persone mediocri privi di valore. Il Diavolo diventa
quasi uno smascheratore dell’ipocrisia, è una figura quasi benevola, un grande portatore
della verità che punisce i peccatucci della società omologata, monotona, con personaggi
grigi e ipocrita.
Nel romanzo avviene il contrario a cui siamo abituati (ovvero che la verità venga fuori solo
da qualcuno con un’identità morale), talmente al contrario che è molto al di là di morale o
immorale: ad operare è il simbolo e la forza stessa del male che, capovolgendo il tutto in
un paradosso, si mette a fare un'opera che è di smascheramento e di emersione della
verità, seguendo una missione.
Alla fine dei quattro giorni, a Mosca, vista dall’alto, si vedono alcuni edifici in fiamme,
completamente bruciati, si vedranno strade intasate, personaggi spersi misteriosamente per
il resto della Russia, persone impazzite e finite in clinica.
LA MISSIONE
L’intervento che salva la rovina del manoscritto del Maestro e del Maestro stesso
costituisce la storia del Maestro e Margherita. Si tratta di un intervento che presenta
l’introduzione di un terzo mondo oltre a quello sacro di Gerusalemme e di quello empio di
Mosca, che con la sua atemporalità, eternità, rende l’opera antiutopico/autoptico.
È un sovramondo, da dove viene inviato sulla terra, a Mosca, un essere misterioso per trarre
salvezza colui che ha intuito e servito la Verità: il Maestro. La salvezza del Maestro, se è
dovuta a questo intervento ultraterreno, lo è però anche grazie a un’energia tutta
terrena, pur nella sua eccezionalità di dono impareggiabile: l’amore di una donna,
Margherita, eletta dalle forze ultraterrene a sua eterna compagna, quando alfine sarà loro
concessa la Pace dopo le prove dell’esistenza terrena.
L’essere misterioso che giunge sulla terra, a Mosca, in pieno regime comunista, a punire i
persecutori del Maestro e a proteggere lui e il suo manoscritto, l’essere che, oltre a svolgere
questa funzione, può apprezzare l’opera del Maestro e comprovare la verità della sua
narrazione perché degli eventi narrati è stato testimone, questo essere è il Diavolo, alias,
nel romanzo, Woland.
L'autore mette in esergo alla sua opera l’inquietante frase tratta dal Faust di Goethe, volta a
definire il ruolo di Mefistofele. All’arrivo dello straniero, si capisce che l’autore fa la sua scelta
stilistica e compositiva: raccontare una storia introducendo il registro/modalità del
‘’fantastico’’ in letteratura, una modalità molto antica, con la funzione importante.
E’ un autore del 20esimo secolo e la sua storia ha moltissimo del realismo e la città viene
descritta in maniera realistica e i personaggi che non fanno parte della banda satanica sono
descritti in con realismo, il lettore si cala nella loro vita e nelle loro case. Ma in questo
realismo di fondo vengono innestate delle sequenze, eventi totalmente fantastici o meglio
ancora ‘’soprannaturali’’, L’autore con la sua sapienza sa di ricorrere ad un canone di
narrazione modernista (prima ancora romantica), usa un’operazione ardita, amalgama il
registro realistico quello soprannaturale, ottenendo degli effetti ‘’comici’’. Un comico che
confina con l’amaro e il triste, malinconico, disastroso e il tragico.
Questa scelta del soprannaturale ha antenati illustri: il Faust di Goethe è il riferimento più
diretto: vi lavora per 60 anni ed è scritto la prima parte all’inizio dell’800, dopo una lunga
lavorazione e la seconda parte scritta negli anni 20 dell’800 con una grande rielaborazione.
I due Faust (Faust parte 1 della tragedia e Faust parte due della tragedia) sono legati tra di
loro in un poema faustiano, dell’autore che ha fondato il genere (gli anni di apprendistato).
Uno scrittore di grandezza mondiale, che è travalicante i confini della cultura tedesca.
Il Faust raccontato da Goethe nell’800 (il vero Faust che lega il Goethe a Bulgakov è quello
della prima parte della tragedia, poiché la seconda ha ambientazioni diverse) è una
tragedia in versi. A sua volta Goethe non era partito dal nulla, attingeva a una
leggenda/storia formata in maniera orale e poi scritta nell’Europa di lingua tedesca del
secolo sedicesimo ai tempi di Lutero. E’ una storia tutta tedesca che ha un e una
protagonista tedeschi della Germania della primissima modernità protestante all’uscita del
Medioevo, il secolo della riforma e della scoperta della stampa (Gutenberg, tedesco a sua
volta), lotte dei contadini, un secolo importantissimo in Europa. Goethe nell’800 risale alla
vicenda (che aveva avuto molte scritture) e ne fa tema e oggetto di scrittura personale.
Quella versione del Faust, goethiana, è una delle più importanti. E’ ambientata nell’età
tedesca che va dal 500 al 700.
In questa crisi in un modo apparentemente casuale, incontra uno strano personaggio che
si presenta sotto le vesti di un cane barbone nero (immagine che ritorna in Bulgakov), il
quale si introduce nella sua casa e si palesa come Mefistofele (spesso dato a una
rappresentazione di Satana. È anche il nome con cui viene chiamato il demonio nel mito di
Faust) che si offre di trarlo fuori dalla sua crisi e fargli conoscere la vita vera. Dopo il loro
patto, inizia il viaggio alla scoperta dei piaceri e delle bellezze del mondo.
Mefistofele, consapevole che se nessuna gioia soddisferà Faust questi continuerebbe
comunque a dannarsi, in cambio prenderebbe la sua anima per l’eternità.
Sappiamo subito che prima di questa vicenda tutta terrena, c’è stato un prologo di Dio in
cielo, in cui ragionano tra di loro su quest’uomo di nome Faust e lui offre a Dio di provare a
tentare Faust finché non cederà. Dio è sicuro di Faust, per cui gli concede di tentarlo.
Faust viene portato attraverso osterie, bordelli, luoghi di divertimento, per fargli conoscere la
vera vita. E’ presente questo elemento malandrino attraverso cui passa il divertimento
offerto.
Faust incontra una fanciulla di nome ‘’Margarete’’ o di nome tipicamente tedesco Grete o
Gretchen. Da questo arriva ‘’Margherita’’, dalla tradizione delle leggende e dai libri popolari.
‘’Gian margherita’’ si chiamava nei primi libri.
Bulgakov stabilisce una fittissima intertestualità con la tradizione e accede a questo livello
di narrazione offrendo al lettore moderno il soprannaturale, avendo a disposizione la
tradizione a cui fare riferimento. Non è quindi un’invenzione nata dal nulla, ma una tradizione
ben precisa. Le cose, i particolari non sono casuali e si riferiscono a cose già narrate nella
tradizione.
Con questa ripresa e reinterpretazione (tipica del modernismo) offre una sintesi tra antico
e moderno, il che rende l’opera una geniale intuizione letteraria: ripropone ai suoi lettori degli
anni 30 del 900, qualcosa che nei secoli della storia culturale umana ha conservato la sua
valenza significante, la sua bellezza, il riconoscimento di grandi temi mai esauriti, legandoli a
una capitale sovietica progressista, piena di grandi invenzioni e modernità, ma d’altra parte
anche fulcro dell’illibertà, censura e totalitarismo corruzione, delle piccole vigliaccherie, del
tradimento. Questo è l’ambiente moderno nel quale l’autore innesta una storia molto antica.
Anche in Faust nasce un immenso amore: incontrerà Margarete, una fanciulla del popolo,
semplice e candida che si innamora di lui e gli dà la sua vita. Lei aspetterà da lì a poco un
bambino, ma presa dalla paura dell’abbandono, lo uccide e verrà imprigionata e
condannata a morte: qui inizia la vera tragedia, Faust farà il possibile per salvarla senza
riuscirci e si darà alla morte. E’ condannata dagli uomini, ma non da Dio, che la porterà da
sé in cielo per la purezza dei suoi sentimenti che favoriranno il suo perdono
Faust, rimasto solo e con una marea di macerie, non verrà condannato da Dio e neanche
seguire Mefistofele agli inferi, ma verrà elevato a una sfera superiore. Si chiude la prima
tragedia del 1808 e la seconda parte della tragedia che si allontana dalla vicenda
mefistofelica e in cui Faust diventato savio per la terribile vicenda che ha provocato oltre ad
essergli capitata, lavorerà e diventerà un uomo al servizio dell'umanità, dedicherà la sua
vita agli altri. Seguendo una filosofia goethiana, imparerà da quello che ha
sofferto/commesso per diventare un uomo migliore: per l’autore significa agire per gli altri
uomini in maniera elevata, portando le sue duoi doti ed i suoi talenti, la sua nobiltà morale,
la sua intelligenza al servizio della collettività. Lo stesso tenore, messaggio si ha anche in
Meister.
Mefistofele (o Satana) entra nel romanzo di Bulgakov, sotto le mentite spoglie di un mago
nero e accompagnato da un’assurda combriccola di aiutanti, innesca una catena di eventi
che, pur se apparentemente negativi, visti nel loro complesso hanno in realtà un fine
lodevole. Lo scopo di questo diavolo dal nome di origine germanica (la forma tedesca
Valand è -non a caso- utilizzata anche da Goethe nel suo Faust) è duplice: dovrà infatti
salvare dalla distruzione un manoscritto, fondamentale perché contenente “la vera storia di
Ponzio Pilato”, e donare la pace eterna al suo autore, dunque compare agli Stagni Patriarchi
per salvare Pilato, per vincere la Menzogna e la Materia, e con la funzione di rimettere a
posto la storia del Maestro e Margherita. Divertendosi, dimostra quanto sia miserabile
l’uomo, ancora di più quello che si trova sotto il regime, punisce e mette in ridicolo tutto
l'ambiente che ha condannato il Maestro ad essere un infelice e un alienato. Questo è il suo
ruolo, beffardo sicuramente, si fa ‘’patrono’’ quasi al maestro e Margherita, concedendo dei
favori e permettendo ai personaggi più autentici di sopravvivere, in un modo molto
‘’fantastico’’.
Quello che è destinato a loro è la pace, la quiete, che è una cosa molto diversa. E' ciò che
arriva e a cui sono destinati dopo aver sofferto momenti terribili, dopo essersi avvicinati
entrambi alla morte ed aver visto come unica possibilità di rinunciare alla vita o di
nascondersi da essa in una maniera definitiva: quindi è tardi per la felicità, sarebbe irreale
e senza senso umano pensare a due persone che in realtà sono già morte, che hanno
provato dolori così forti da aver toccato il punto ultimo della vita, cioè il desiderio di
abbandonarla. La vita sottopone a prove che una volta superate ti permettono di vivere, ma
che non ti permettono più di essere quello che eri prima.
Ritornare a prima, ingenui ed innocenti, in possesso delle loro forze non è una via
verosimile da percorrere neanche all’interno di un romanzo che ha fatto del soprannaturale
proprio la sua chiave principale. Si tratta di un atto di realismo psicologico di Bulgakov, il
quale non immagina due personaggi improvvisamente guariti e intatti, perché sono stati già
segnati da mille dolori, non ripercorribili o curabili.
Margherita ha vissuto la sua euforia, ma quando ritorna nella realtà e chiede la sua
ricompensa, ritorna dentro la vita. Lei accetta con totale adesione, capendo che è la cosa
giusta, quello che viene riservato a loro.
Allo stesso modo anche a Pilato non viene riservata la soluzione dei suoi problemi e l’uscita
dallo stato di sofferenze quindi una forma di felicità, ma anche a lui viene proposta la pace. Il
Pilato protagonista del romanzo del Maestro, dunque il nucleo del mondo immaginario di
quest’ultimo, è seduto un deserto e roccioso asteroide, in una delle sue solitarie veglie
ricorrenti a ogni plenilunio, dove si trova da quasi due millenni.
Vedono il procuratore della Giudea stropicciarsi con forza le mani e fissare gli occhi nella
luna. Woland, mostrando al Maestro il suo eroe, gli narra di come nelle notti di luna piena
l’insonnia tormenti lui e il suo fedele cane, di come egli ricordi quel famoso giorno quattordici
del mese primaverile di Nisan, di come desideri percorrere la strada illuminata dalla luna e
poter finire il discorso mai conclusosi con Jeshua. Margherita, provando pietà per Pilato,
chiede: «Dodicimila lune per una sola luna di un giorno ormai lontano, non è troppo?» e
Woland la rassicura, affermando che tutto avviene secondo il principio di giustizia. Non è
necessario che ella interceda per Pilato, poiché per lui è già intervenuta la persona con cui
egli brama tanto di parlare. Si rivolge poi al Maestro dicendogli che ora può concludere il suo
romanzo.
Margherita subito implora che un gesto di compassione ponga fine alla pena e W risponde
che «Tutto sarà giusto, su questo si fonda il mondo». Poi invita il Maestro a «concludere con
una sola frase il suo romanzo» e questi grida all’insonne personaggio: «Sei libero!». Solo il
Maestro può liberare Pilato perché con il suo romanzo ha ripercorso e ricreato il dramma di
lui, ha ricostruito l’immagine del suo atto, ed è così divenuto fratello del suo destino. Pilato,
con l’aiuto del Maestro, ha restituito il giusto ordine interiore ai fatti del 14 Nisan e riuscirà a
concludere il suo “colloquio”.
E' in questa dimensione chiamata ''quiete'', ''riposo'', ''pace'' che questi personaggi
tormentati si ritrovano. Nella notte dei cavalieri viene anche Pilato liberato dalle catene della
sua vita precedente, ma alla stessa maniera degli amanti. Nessuna soluzione viene data
per ottenere la felicità e cancellare gli errori del passato, bensì anche a lui è destinata la
quiete (uno stato che non ti fa più soffrire, ma che ti lascia la memoria di quello che
hai sofferto).
Si recano quindi, mentre il Maestro ascolta le parole di Margherita, alla casa eterna tra i
ciliegi in fiore, dove il Maestro potrà godere di tutto ciò che non gli è stato concesso in vita:
potrà scrivere e stare con la sua compagna, assaporare uno sconosciuto silenzio e dormire
senza paura. Questa è la sua libertà (nonché forse quella che lo stesso Bulgakov sognava
per se stesso): senza forzate convenzioni che lo costringevano al falso, che in realtà lì
dov’erano non avevano più. Con lei potrà essere salvato e condividere l’eternità in questo
rifugio disposto per loro due; così è stato deciso da qualcuno più in alto di loro.
condurlo alla salvezza. Vengono liberati uomini che erano legati in vita dall’amore.
Il romanzo si rinchiude su se stesso, come una sfera magica, nel cui terso cristallo sono
apparse vicende e figure misteriose e fascinose. È vano cercare di coglierne gli occulti
meccanismi: la sfera, senza svelare come è fatta, mostra le sue visioni ogni volta che la si
scruta, senza mai esaurirne i significati. È la sfera che Michail Bulgakov continuò a far
ruotare fino alla sua morte nella città terrena in cui era vissuto il Maestro prima di
ascendere a una città celeste che aveva sognato.
Infine si ha il trionfo catartico che ogni personaggio vive, quando al pandemonio moscovita
suscitato dal duo Fagot-Behemot segue l’aerea cavalcata verso la sfera della Luna, primo
gradino del cammino verso l’aldilà.
Come un vecchio guscio, gli inganni messi in opera sulla terra svaniscono, sprofondano
nella palude. «E perché non lo prende con sé, nella luce eterna?» ribatté Woland. «Non ha meritato la luce,
ha meritato la pace», disse con voce triste Levi.
Epica, teatro, lirica. Non sono facili da tenere insieme questi tre pilastri aristotelici in un
romanzo, gestendo poi la quantità e le singole storie dei personaggi che compaiono, non è
facile anche fare in modo che da questa specie di grande tessuto di piccole storie emergono
alcuni personaggi che ricorrono e tornano sempre fuori.
L’esperienza teatrale e la conoscenza dell’anatomia umana (lo stato d’animo viene rivelato
attraverso dettagli anatomici: movimenti degli occhi, tic, pieghe della bocca, colore della
pelle) fanno in modo che la storia si materializzi davanti a noi, che i personaggi siano poco
immaginari e molto realistici, e una volta cominciata la lettura si avrà l’impressione di trovarsi
in un’altra realtà tanto concreta quanto la nostra.
Stile: Oltre alla materia di per sé complessa, si aggiunge una stratificazione di stili
complessi e i temi sono raccontati in termini differenti. Si potrebbe definire caleidoscopico,
strabordante in tutto, immaginifico pur mantenendosi reale sotto gli aspetti della società e del
potere, un grande inno al potere dell’immaginazione. Costituisce un’unità narrativa diversa
per stile, personaggi, luoghi.
Bulgakov è autore con stato diverso e diverso livello di stile, con un enigmatico
sdoppiamento che costituisce un aspetto importante della magia del romanzo nel suo
insieme.
Il narrante del romanzo sul Maestro non intuisce per una virtù superiore, ma ricostruisce
per indizi le vicende che riferisce con divertita partecipazione, attraverso una mimica verbale
che ne sottolinea la presenza. La scrittura è effervescente, sbrigliata, corrosiva.
Si interrompe in quattro punti del testo per inserire il romanzo di Pilato, ma nel ritornare al
capitolo successivo tutto scorre perfettamente (a leggerli separatamente entrambi hanno
una loro perfetta autonomia e si incastrano benissimo l’uno nell'altro). I 4 capitoli che
costituiscono il romanzo di Pilato e che vengono narrati in condizioni diverse e da persone
diverse, hanno uno stile diverso dal resto del romanzo: estremamente serio come tutto
quello che accade nella vicenda di Pilato e di Jeshua, che ha il tono alto del sublime,
solenne, che segue un discorso profondamente serio. Qui non vi è nulla di comico o
paradossale, trattandosi di una storia terribilmente reale, una storia politica.
E’ una scrittura classicamente equilibrata, sontuosamente elegante nel romanzo del
Maestro; con un’impersonalità: chi narra la storia evangelica non si sa, la voce narrante
sembra venire da un’altezza o profondità insondabili, trovando nel Maestro semplicemente
un portavoce, colui che, intuito il Vero, lo trasmette senza una propria interferenza.
Esperimenti di fantastico, satirico, grottesco, scenette dal gusto teatrale, ma nel nucleo della
‘’base’’ dedicato a Ponzio pilato si ha una narrazione classicista, che diventa in terza
persona singolare, vista dall’esterno, con la psicologia dei personaggi, realista, per
narrare la vicenda dell’incontro tra Gesù cristo e chi l’ha mandato a lasciarlo uccidere.
Entra in gioco un alto uso del fantastico e del soprannaturale, che bisogna prendere sul
serio, come un modo per scardinare la realtà.
Il registro dell'ironia è difficile: può essere un registro di scrittura, ma l’ironia è anche una
figura retorica, complessa da comprendere. Significa rifrazione, vuol dire rottura.
La rifrazione ironica in Bulgakov è molto forte e investe tutto il romanzo tranne quattro
capitoli di Pilato. Tutta questa narrazione definibile come paradossale e grottesca è
soprattutto una narrazione ironica: è come se fosse rifratta attraverso un prisma, non è mai
diretta, piuttosto sempre obliqua. Questa è la forza stilistica-compositiva di questo romanzo
che lo rende a volte sfuggente.
Codice apocrifo: Statuto apocrifo nel romanzo di Pilato: apocrifo si riferisce a una
narrazione, un libro, a qualcosa di scritto o parlato non autentico, e nel romanzo si tratta di
rotoli di carta (pergamena) che Levi Matteo, il pubblicano-cambia valute prima di diventare
evangelista, scrive. (nel romanzo rimane quello che è prima di diventare l’adepto/il discepolo
che andrà in giro in futuro a raccontare la storia di Gesù). Su quel rotolo non può esserci
scritto il vangelo che noi conosciamo, quello nato da una lunga elaborazione di testi e che è
diventato poi canonico. Quello che Levi Matteo ha appena cominciato a scrivere non può
essere altro che un vangelo apocrifo che racconta qualcosa diverso: a partire dalla
provenienza di Gesù, diverso modo di Gesù di portare il suo messaggio, la morte e una
diversa sepoltura di Gesù.
Essere apocrifi per Bulgakov significava, nella modernità, scrivere qualcosa che potesse
sfuggire alla repressione della censura. Questo romanzo potrebbe considerarsi la
fantasia apocrifa di una strana Unione sovietica degli anni 30, che si è dimostrata molto
incerta sull'accettarlo o non, non censurandolo del tutto ma neanche pubblicandolo,
lasciandolo in una zona di indistinzione.
Una grande chiave dell'autore è proprio il possibile statuto apocrifo delle narrazioni, quando
queste narrazioni sono costrette a essere apocrife perché c’è un sistema di sorveglianza
e potere al di sopra di loro che le rende impossibili.
L’AMORE
Cos’altro rivela il caos? Che in mezzo al nonsense solo l’Amore rimane e resta l’unico valore
positivo che salva tutto. La figura di Margherita, tenera, fragile, forte, è l’emblema di tutto
questo, e lo strumento di Woland è obbligato a servirsi per portare a termine la sua
missione.
Margherita è fin da subito la donna delle percezioni e delle visioni, è la donna cui la vita non
offre più nulla una volta perduto l’amore, il Maestro. Ella stessa si chiede: “Perché sto qui
seduta, sola come un cane, sotto le mura? Perché sono esclusa dalla vita?”. L’Amore è il
suo reale dominatore, e senza l’oggetto di tale potenza la vita per lei non esiste più. Nulla
ha più importanza per lei, persa nelle memorie, e nelle reliquie del Maestro: una foto formato
tessera, pagine del romanzo salvate dalle fiamme in cui il Maestro stesso, oltraggiato dalla
critica, le aveva gettate. Non ha nulla da perdere perché la sua unica ragione di vita,
quell’Amore che è la sua essenza, risiede solo nel Maestro.
Questo è il tratto dominante di Margherita, il suo essere tutta in funzione dell’Amore. Ha
incontrato l’altra parte di sé nel Maestro, sono due visionari che si incontrano, da subito
compatibili. Cos’è per lei ormai il ballo di Satana, l’incontro con omicidi e malfattori, di fronte
alla prospettiva di ritornare col Maestro, di far tornare il Maestro nel suo Amore?
La sua capacità di visione risulta superiore, come solo nell’addio al povero Ivan ci viene
infine rivelato: “Mi creda,” dice Margherita ormai ombra al povero letterato “io ho visto tutto e
so tutto”. E’ il suo Amore a permettere a Woland di compiere la sua missione e di far
concedere al Maestro da parte di Jehoshua stesso il perdono e la pace.
Solo da morti i due amanti diventano inseparabili, tutti e due raggiungeranno il luogo di pace
che spetta loro. Di pace eterna ma non di Luce eterna. Il Maestro non ha meritato la Luce
perché ha bruciato la sua visione più grande, il suo romanzo. Margherita perché “chi ama
deve condividere la sorte dell’amato”, ma la cosa non la rattrista: “Io veglierò il tuo sonno”
promette al Maestro. Per lei è quella la Luce eterna.
Le città-La luna: Le due città che compaiono sono Mosca (capitale sovietica negli
anni tra 28 e 40, momento di forte affermazione culturale, sociale, economica della città
sempre rinnovata), l’altra è Gerusalemme, descritta con tinte forti, presente nei capitoli di
Pilato.
Le città hanno forti personalità oltre ad essere funzionali al racconto, come capita nella
letteratura modernista, che scopre le grandi città (es. Dublino di Joyce). E’ un tema forte,
che le vede come due realtà vive, coinvolte nella narrazione e legate ai personaggi. Non è
solo luogo degli accadimenti, ma sono città che vivono, descritta come da parte di
innamorati. La città nei suoi meccanismi, voci, colori, nei tramonti, nelle notti.
La luna di Mosca è uno dei temi del romanzo. Il maestro dicendo addio alla città, mostra
quanto ha amato la città che sta lasciando.
Nel 32esimo capitolo, l’alba è un elemento fondamentale: viene sottolineato spesso: prima
promessa da Woland, poi incontrata dai due amanti «immediatamente dopo la luna di
mezzanotte» e alla fine ha quasi una funzione di guida, quando i raggi mattutini sembrano
segnare il sentiero che conduce alla dimora loro destinata. Il sorgere del sole dà una
valenza di rinascita.
I personaggi che ci erano divenuti familiari spiccano il volo su dei cavalli neri, lasciandosi alle
spalle nebbia e fumo, tutto ciò che resta di una Mosca sprofondata sotto terra. I cavalieri
sono avvolti da una notte sempre più fitta, che assieme alla luna ne rivela le identità e
smaschera gli inganni; «è la notte in cui si tirano le somme». La luce lunare svela le nuove
sembianze di tutti. La luna tormenta Pilato, tormenta Ivan. Tutto rimanda al plenilunio di
primavera.