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Esiste una possibilità oltre la secrezione (lasciare una traccia che proviene dall’umor
tetro, la malinconia, la matrice della depressione), cioè lo stesso corpo, se
schiacciato, diventa una traccia.
Primo popolo alla base della grande rivoluzione monoteistica dell’umanità: il popolo
ebraico. I maestri del sospetto, Marx, Freud, ma anche Saba, Levi, sono tutti ebrei,
figurazioni emblematiche dell’umanità scartata. Moni Ovadia, che da poco si è tirato
fuori dalla comunità ebraica milanese a causa dell’odio verso gli stranieri, ha scritto
un libro chiamato “un ebreo contro”, in cui ha collegato lo yiddish alla lingua
napoletana. Yiddish è la lingua ebraica parlata dagli ebrei tedeschi di Germania. Per
spiegare il suono della lingua ebraica si dice sia “un tedesco con un’inclinazione
comica, parodiata”; con la morte di 6 milioni di ebrei dai campi di concentramento,
questa lingua è morta. Esistono degli artisti che hanno imparato apposta lo yiddish
per renderlo vocale, ad esempio Erri De Luca e lo stesso Moni Ovadia, trovando
molti collegamenti con la lingua sbrigativa, tendente all’intraducibile sfottó
napoletano. In Italia la legge ebraica fu introdotta nel 1938, macchia della nostra
costituzione.
Moni Ovadia unisce la dominante della tradizione ebraica all’orda dei brutti (alla
“corte dei miracoli”, li come definisce Debenedetti) per spiegare come mai si sia
dimesso dalla comunità ebraica milanese, è lo “splendore paradossale” a
caratterizzare l’ebraismo. La fondazione dell’universalismo e dell’umanesimo
monoteista, attraverso un particolarismo geniale che si esprime in un’elezione dal
basso, è tutta ebraica; il concetto di popolo eletto è uno dei più equivocati e
fraintesi di tutta la storia. Il rabbino Potok nel suo “storia degli ebrei” descrive gli
“ebrei eletti” come “massa terrorizzata, piagnucolosa; sbandati, briganti, vagabondi,
ruffiani, contrabbandieri, sovversivi”, ma soprattutto gli ebrei erano schiavi e tutti
stranieri, la schiuma della terra. Il divino che incontrano si dichiara “Dio dello
schiavo e dello straniero” e legittimandosi dal basso non può essere che Dio della
fratellanza e dell’ uguaglianza universale. Il comandamento più ripetuto della Torah
(testo sacro che gli ebrei deportati ad Auschwitz avevano imparato a memoria, e che
recitavano durante il Sabbath per restare comunità dentro l’orrore) sarà “amerai lo
straniero”. Il mucchio selvaggio segue un profeta balbuziente, un vecchio di 80 anni
che ha fatto per 60 anni il pastore; il 20% degli ebrei intraprese il progetto, mentre la
maggioranza preferì la dura ma rassicurante certezza della schiavitù all’aspra e
difficile vertigine della libertà, che è uno sbaraglio, si fonda sulla paura dell’ignoto. La
schiuma della terra, la massa di scartati e brutti è anche una minoranza, però come
diceva Nietzsche gli scarti regressivi spostano la storia, sono loro la matrice
fondativa.
Dio deve dire all'umanità che lui è uno solo (nell’Antico Testamento le tre grandi
religioni monoteistiche, Islam, cristianesimo ed ebraismo costituiscono un tutt’uno):
guarda giù sulla Terra e vede due fratelli, uno si chiama Aronne, è un oratore,
incanta tutti, l’altro invece è più debole ed è per di più balbuziente, Mosè. Dio sceglie
Mosè: la forma imprevista, come dice Telmo Pievani, l’uomo nasce incompleto,
viene partorito con mancanze; balbuzie, balbettare, è un suono ricorrente nei
romanzi del ‘900. Kafka balbetta, Zeno idem, in una poesia di Montale balbuzie fa
rima con astuzie; si parla di un balbettio costante per indicare il concerto della
parola dell’uomo novecentesco.