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MEDIOLOGIA DELLA LETTERATURA, DELL’ARTE E DELLO SPETTACOLO

Università degli studi di Roma La Sapienza

Kafka Un messaggio dell’imperatore

Franz Kafka nasce il 3 luglio 1883 a Praga1, figlio di Julie Löwy e del mercante Hermann Kafka,
entrambi ebrei. Franz è primogenito di sei figli, ma i due fratelli minori muoiono in tenera età:
Georg poco dopo un anno di vita ed Heinrich a soli sei mesi. Le tre sorelle Gabriele, Valerie e
Ottilie scompariranno nei campi di concentramento nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.
Dal punto di vista meramente biografico ci troviamo davanti ad una vita ordinaria e breve,
all’interno della quale si colloca una vastissima produzione letteraria: dal 1889 al 1901 Kafka studia
nella “Deutsche Knabenschule” e successivamente nel ginnasio cittadino; subito dopo essersi
laureato in giurisprudenza all’Università Tedesca di Praga (1906), lavorerà come impiegato presso
enti pubblici, prima alle “Assicurazioni Generali”, poi all’“Istituto di assicurazioni contro gli
infortuni sul lavoro” per il Regno di Boemia, nel quale rimarrà fino a due anni prima della sua
morte, avvenuta nel 1924 a causa della tubercolosi.
In questo periodo Kafka stringe amicizie importanti: Oskar Baum, Feliz Weltsch e Max Brod.
Quest’ultimo sarà una figura fondamentale nella sua vita, fedele promotore dell’opera dell’amico,
ne curerà la biografia e la pubblicazione dei materiali inediti dopo la sua morte.
Al 1908 risale la prima pubblicazione di Kafka, sulla neonata rivista “Hiperyon”, dove compaiono
le prose di Contemplazione (Betrachtung) edite in volume nel 1912. Nel 1913 pubblica sulla rivista
“Arkadia” La Condanna (Das Urteil) e Il fuochista (Der Heizer), che costituirà il primo capitolo del
romanzo America, rimasto incompiuto ed edito da Brod nel 1927.
Nel 1914 inizia la stesura de Il Processo (Der Prozess), pubblicato anche questo postumo nel 1925,
mentre nell’anno successivo compare sulla rivista “Die weissen Blätter” La metamorfosi (Die
Verwandlung). Nel 1919 escono Nella colonia penale (In der Strafkolonie) e la raccolta Un medico
di campagna (Ein Landartz). Tra il gennaio e il settembre 1922 scrive Il castello (Das Schloss),
uscito postumo nel 1926 e  inizia anche il ciclo degli ultimi grandi racconti.
Nel 1923 lascia Praga per trasferirsi a Berlino, è in questo periodo che le sue condizioni si
aggravano, in un momento in cui sembra aver finalmente raggiunto lo stile di vita sempre
desiderato, trascorrendo il suo tempo tra scrittura e studio della lingua e della cultura ebraica.
Nel febbraio 1924, Max Brod è costretto a riaccompagnare l’amico a Praga, a causa delle sue
condizioni; è qui che scrive l’ultima opera Josefine, la cantante (Josefine, die Sängerin), pubblicata
nell’aprile. Ricoverato   presso la casa di cura di Kierling, ormai impossibilitato a parlare, si dedica
alla correzione delle bozze dell’ultima raccolta che uscirà dopo la sua morte con titolo Un
digiunatore (Ein Hungerkünstler), da uno dei racconti.
Kafka muore il 3 giugno di quell’anno e nel suo testamento chiede a Max Brod di dare alle fiamme
tutti i manoscritti inediti e di impedire nuove edizioni di quelli pubblicati. Rifiutandosi di seguire le
ultime volontà dell’amico, Brod si occuperà della pubblicazione del lascito kafkiano, la fama
dell’autore si accrescerà nel corso del tempo fino alla consacrazione come miglior interprete
dell’epoca moderna.
È indubbio che una qualsiasi indagine dell’opera kafkiana debba tenere conto della peculiare
sensibilità del suo autore e prendere le mosse dal contesto in cui è venuta a crearsi. Molteplici
saranno stati i fattori che hanno contribuito a formare la personalità di Kafka e lo spirito che vive

1
Per le notizie biografiche cfr. http://www.kafka.org e F. Kafka, Tutti i romanzi, i racconti, pensieri e aforismi, Newton
Compton Editore, Roma 2011, pp. 7-8.
Per le date di pubblicazione delle opere cfr. F. Kafka, Tutti i romanzi cit., pp. 8-9.
nei racconti e nei romanzi, numerosi sono infatti gli aspetti e le possibili letture individuate dalla
critica, molte inaugurate dallo stesso Brod.
Ciò che resta di certo in questo panorama è la società di massa, l’epoca dei media elettrici e delle
metropoli, in cui Kafka vive e dalla quale sorgono tante figure e luoghi della sua opera; di essa,
come abbiamo già osservato, egli è considerato portavoce.
Il Novecento è segnato da mutamenti e sconvolgimenti che si verificano in pochi decenni, tanto da
meritarsi la definizione di “secolo breve” coniata da Eric J. Hobsbawm, mentre la società industriale
si riconfigura nella nuova società di massa. Il cambiamento coinvolge ogni aspetto della vita, si
incarna nell’urbanistica e nell’architettura, investe la percezione e l’organizzazione del tempo e
dello spazio. La metropoli segue le dinamiche della produzione, la logica del consumo; mutano le
relazioni tra gli individui e la percezione che essi hanno di loro stessi. La letteratura di consumo
riflette questi cambiamenti, si pone al servizio di un nuovo immaginario, mentre la stampa è ormai
affiancata dalle nuove tecnologie che non si limitano a trasmettere le notizie, piuttosto le creano,
sfruttando il canale visivo e quello uditivo, per soddisfare le aspettative emotive del lettore-
consumatore. È la potenza dell’immagine a formare la sensibilità dell’individuo metropolitano,
potenza che culminerà nell’avvento del cinema:

Il cinema – con il suo circuito di sale in espansione su tutto il territorio e non solo su
quello delle metropoli e dei centri ad elevato grado di urbanizzazione – potrà diffondere
la vita moderna, la velocità dei suoi rapporti sociali e la mobilità dei suoi soggetti,
metropolizzando l’esperienza collettiva grazie alle simulazioni del grande schermo.2

Kafka è stato spesso affiancato a questo medium, per la capacità di evocare spazi ordinari e non,
deformandoli, frammentandoli, mettendo in scena il tentativo di definizione di sé che l’uomo
moderno è costretto a compiere costantemente, e la progressiva perdita di contatto con la realtà che
si esprime in un’alienazione che impedisce l’interpretazione della quotidianità.
La scrittura di Kafka non proietta chi legge all’interno del testo, non ha bisogno di uno “spettatore”
la stessa sostanza trattata “investe” il lettore, come osserva Adorno, è il testo stesso, con le sue
immagini a vivere al di fuori di sé:

I suoi testi implicano che tra essi e la loro vittima non sussista una distanza stabile, e che
essi investano la dimensione affettiva del lettore a un punto tale che questi tema che il
racconto si avventi su di lui, come le locomotive sul pubblico nei recenti film
tridimensionali.3

Tutto il mondo interiore dei personaggi kafkiani si riversa all’esterno, permea le pareti dei luoghi in
cui essi agiscono, investe gli oggetti e si esprime in un linguaggio metaforico e straniato che è
sempre immagine e gestualità. Kafka riserva una grande attenzione al gesto, ne indaga la
contraddittorietà e la conflittualità, fino a marcare la divisione che si manifesta anche all’interno di
un unico individuo.
Di questo atteggiamento mi sembra esemplificativo un breve frammento che troviamo nel Secondo
quaderno in ottavo, dove Kafka descrive la lotta improvvisa che si accende tra le sue stesse mani,
come se non gli appartenessero:

Le mie due mani cominciarono una lotta. Chiusero con un tonfo il libro che avevo letto
fino a quel momento e lo spinsero in là, perché non intralciasse. Poi mi fecero un saluto e
mi elessero arbitro dell’incontro.4

                                                                                                                       
2
 A. Abruzzese e P. Mancini, Sociologie della comunicazione, Editori Laterza, Bari, 2011, p.94.  
3
  T. W. Adorno, in D. Capaldi (a cura di), Kafka e le metafore dei media, Liguori Editore, Napoli, 2011, Introduzione p.
XIV.  
4
F. Kafka, Gli otto quaderni in ottavo, Secondo quaderno, in F. Kafka, Tutti i romanzi cit., p. 799.  
Kafka descrive l’inizio della lotta, annuncia di aver preso sul serio il suo ruolo di arbitro e di dover
essere arbitro imparziale, proprio perché si tratta delle sue stesse mani, per “non accollare a se
stesso i rimorsi di un verdetto ingiusto”, eppure continua:

[…] È tutta la vita che, senza voler far torto alla sinistra, preferisco la destra. Se la sinistra
avesse mai protestato, io certo, remissivo e giusto come sono, avrei subito abolita ogni
parzialità. Ma lei zitta, pendeva lungo il mio fianco […]. 5

Il punto d’osservazione è esterno, l’effetto straniante è dato proprio da questo parlare di una parte di
sé come se non lo fosse, rilevante anche la posizione di arbitro-spettatore, coinvolto solo in parte in
ciò che sta accadendo.
La lotta si conclude con uno sforzo da parte del soggetto per riprende il controllo di sé:

Se, alla vista di quella situazione disperata, non mi venisse il pensiero liberatore che sono
le mie stesse mani a combattersi tra loro, e che, con un lieve movimento, le posso
separare, terminando così crisi e lotta, se non mi venisse questo pensiero, la sinistra
sarebbe stata strappata dal polso e scaraventata giù dal tavolo, e poi forse la destra, nello
sfrenato tripudio della vittoria, come Cerbero dalle cinque teste si sarebbe avventata
contro il mio stesso viso intento. Invece ora giacciono una sopra all’altra, la destra
accarezza il dorso della sinistra e io, arbitro disonesto, faccio di si col capo approvando.6

L’individuo riprende improvvisamente e quasi casualmente la consapevolezza del proprio corpo e


della lotta resta solo il timore di ciò che sarebbe potuto accadere se ci si fosse completamente
abbandonati al punto di vista esterno, alla “logica dello spettatore”.
La crisi dell’io, e la conflittualità che ne deriva, è all’interno del soggetto e si riversa all’esterno
distorcendo la percezione del reale, ma si tratta di una crisi totale, che nell’opera di Kafka appare
anche come perdita di valori, allontanamento da un fulcro che è ormai indefinito, un centro con il
quale si è perso il contatto.
Questa visione traspare dal breve racconto che andremo ad analizzare: Un messaggio
dell’imperatore (Eine kaiserliche Botschaft), edito nel 1919 all’interno della raccolta Un medico di
campagna, e poi confluito in un altro racconto Durante la costruzione della Grande Muraglia
Cinese, pubblicato postumo.
Il racconto ha un esordio che richiama le fiabe o le antiche leggende:

L’imperatore – così si dice – ha inviato a te, a un singolo, all’umilissimo suddito, alla


minuscola ombra sperduta nel più remoto cantuccio di fronte al sole imperiale, proprio a
te l’imperatore ha inviato un messaggio dal suo letto di morte.7

Il sovrano chiama a sé il messaggero, forse l’uomo più valente del regno, “robusto” e
“instancabile”, gli sussurra il suo messaggio all’orecchio perché nessun’altro possa udirlo e se lo fa
ripetere sempre all’orecchio:

Con un cenno del capo ne ha confermato l’esattezza. E dinanzi a tutti coloro che erano
accorsi per assistere al suo trapasso: tutte le pareti che ingombrano sono abbattute e sulle
scalinate che si ergono in larghezza e in altezza stanno in cerchio i grandi dell’impero;
dinanzi a tutti questi ha congedato il messaggero.8

5
Ivi, p. 800.  
6
Ibidem.  
7
F. Kafka, Tutti i romanzi cit., pp. 581-582.  
8
Ibidem, p. 582.  
Alla morte dell’imperatore non ci sono barriere per gli occhi che osservano, tutta la corte assiste
all’evento, i grandi del regno possono essere testimoni e spettatori della dipartita del sovrano e della
singolare messa in scena delle sue ultime volontà. Kafka afferma che in quel momento le pareti che
lo impediscono vengono abbattute, si tratta delle stesse barriere che il messaggero non finirà mai di
attraversare, nonostante esibisca il sigillo reale, testimonianza di un’autorità, di una tradizione che
lo precede e segno proprio di quella dimensione perduta. Ancora torniamo a notare come non ci
siano limiti alla vista, nessun limite per chi osserva dall’esterno, ma ostacoli insormontabili per
l’uomo che agisce:

Il messaggero s’è messo subito in cammino; […] se incontra resistenza indica il petto con
il segno del sole; egli avanza facilmente come nessun altro. Ma la moltitudine è enorme;
le sue abitazioni non finiscono mai. Come volerebbe se potesse arrivare in aperta
campagna e presto udresti il meraviglioso bussare dei suoi pugni al tuo uscio. Invece si
affatica quasi senza scopo; si dibatte ancora lungo gli spazi del palazzo interno; non li
supererà mai, e se anche ci riuscisse nulla sarebbe ancora raggiunto; dovrebbe lottare per
scendere le scale; e se anche ci riuscisse nulla sarebbe ancora raggiunto; bisognerebbe
attraversare i cortili, e dopo i cortili il secondo palazzo che racchiude il primo; altre scale,
altri cortili; e un altro palazzo; e così via per millenni […]. 9

Il testo di Kafka ha in sé la dimensione mitica dell’oralità, ma anche il dramma di


un’incomunicabilità, data dal trasmettersi del messaggio orale in una realtà fatta di folle e di spazi
che si accrescono e sembrano generarsi all’infinito. Si tratta di una vera e propria “decostruzione”
dello spazio, una dialettica tra esterno e interno che coinvolge anche il tempo «come memoria e
trasmissione della tradizione».10
Sin dall’incipit troviamo la spia di una dimensione orale, in quel “si dice”, ormai lontano dal “c’era
una volta” delle fiabe che pure ne recupera in parte l’atmosfera, riconosciamo il segno di una presa
di distanza da parte dello stesso narratore, come se affermasse di non appartenere al mondo del
racconto. Con l’imperatore in qualche misura questa oralità viene meno, il messaggio non muore
con lui, vive come possibilità nella fatica del messaggero che si dilata con l’espandersi dello spazio,
delle pareti del palazzo, dei giardini, della folla invalicabile, fatica che infine si dimostra vana di
fronte alla città, al luogo che incarna l’incomunicabilità:

[…] e se riuscisse in fine a sbucare fuori dal portone più esterno – ma questo non potrà
mai avvenire – si troverebbe ancora davanti la capitale, il centro del mondo, ricoperta di
tutti i suoi rifiuti. Nessuno può uscirne fuori e tantomeno con il messaggio di un morto. 11

Non c’è sigillo reale che possa farsi spazio nella folla, non c’è forza di volontà o grande missione
che possa essere portata a termine attraverso una forma ormai perduta, perché, qualora riuscisse ad
aprirsi un varco, il messaggero si troverebbe difronte un ultimo abisso.
Aldo Grasso all’interno del suo Radio e televisione, commenta così il racconto di Kafka:

[…] L’impianto della scena è perfetto: dissoluzione, occultamento, nostalgia, forse,


dell’Origine, del Centro; messaggi inviati solo a uomini già nati postumi, emorragia di
senso, fino all’anemia totale; naufragio della comunicazione. 12

Il “naufragio della comunicazione”, quantomeno di quella orale. Il messaggero è l’ultimo legame


con l’origine del messaggio, con una realtà che non appartiene al resto del regno, con quello che
Marshall McLuhan definisce il “mondo magico dell’orecchio”, mentre tutto il resto è già immerso

                                                                                                                       
9
Ibidem, p. 582.  
10
Cfr. F. Di Pietro, in D. Capaldi (a cura di), Kafka e le metafore dei media cit., p. 26.    
11
F. Kafka, Tutti i romanzi cit., p. 582.  
12
A. Grasso, Radio e televisione. Teorie, analisi, storie, esercizi, Vita e Pensiero, Milano, 2000, p. 30.  
nel “mondo neutro dell’occhio”; più ci si allontana dal centro più questa frattura è evidente, fino
alla capitale con tempi e spazi diversi, con regole nuove e incomprensibili.
Di nuovo ci troviamo difronte ad una dualità, ad una sorta di “schizofrenia”, come era successo
osservando la lotta tra le due mani nel testo tratto dai Quaderni. Se prima la frattura era interna
all’individuo adesso è sia interna che esterna, si esprime nell’opposizione tra occhio e orecchio, in
quella tra osservare e agire, tra esterno e interno, centro e periferia.
Il racconto tuttavia non si chiude unicamente con lo svanire dell’azione in un flusso senza fine, la
conclusione torna ad essere fiabesca al punto da sfociare nella dimensione onirica:

Tu, però, stai alla tua finestra e lo sogni, quando scende la sera.13

Il destinatario del messaggio, il tu nel quale il lettore è chiamato ad identificarsi, si configura come
un opposto rispetto al messaggero e al suo continuo movimento nel labirinto che gli impedisce di
portare a termine la propria missione. Il destinatario, il “singolo”, “l’umilissimo suddito”, la
“minuscola ombra” lontana inimmaginabilmente dal “sole imperiale”, semplicemente attende alla
sua finestra, ancora di più si limita a sognare la venuta del messaggero.
Il “singolo” totalmente alienato rispetto alla magia del regno dal quale proviene il messaggio che a
lui, pure, è destinato, non può non richiamare l’uomo della folla, ormai lontano dall’interdipendenza
che legava i soggetti in quello che abbiamo definito con McLuhan “il mondo magico
dell’orecchio”. Dunque non fatichiamo ad individuare in quel “sognare” la “nostalgia inappagata”
presente “nella vita metropolitana” di cui parla Abruzzese in riferimento alle teorie di Simmel sulla
moda:

C’è nella vita metropolitana dell’individuo una «nostalgia inappagata» di pienezza


culturale e simbolica, un sentimento inadeguato di sé che insieme asseconda e contrasta
lo spirito metropolitano […]14

Di nuovo ci troviamo difronte ad una dualità, ad una doppia tensione interna all’individuo, ci
troviamo davanti alla “schizofrenia” dell’uomo moderno.
Tornando a McLuhan possiamo tradurre la contrapposizione orecchio-occhio in quella oralità-
scrittura, risolvendo in parte la fase di stallo creata dal racconto di Kafka, la classica situazione
labirintica senza soluzione, frequente nella sua opera:

Nessun’altra scrittura eccetto la fonetica ha mai tradotto l’uomo dal mondo possessivo di
totale interdipendenza, di interrelazione costituito dalla rete uditiva. Da quel mondo
magico e risonante di rapporti simultanei che è lo spazio acustico e orale vi è solo una
strada verso la libertà e l’indipendenza dell’uomo detribalizzato. Quella strada passa
attraverso l’alfabeto fonetico, che conduce gli uomini simultaneamente a diversi livelli di
schizofrenia dualistica. 15

Se identifichiamo il destinatario del messaggio imperiale con l’uomo detribalizzato, senza


dimenticare che Kafka chiama in causa il lettore, notiamo che il gioco d’opposizione
oralità/scrittura si palesa nella sostanza stessa del racconto, nel suo essere testo scritto.
Il testo letterario appare sempre come un medium composto, che racchiude in sé entrambe le
dimensioni, poiché il suo messaggio è verbale, cioè composto da parole, ma esse sono comunicate
attraverso l’alfabeto fonetico, ciò che per McLhuan è la “strada verso la libertà dell’uomo
detribalizzato”.
Nel racconto di Kafka l’imperatore sceglie una forma precaria, quasi evanescente e per questo
investita di un’aura di sacralità. La parola solo pronunciata, non-scritta, è stabile e immutabile, non
                                                                                                                       
13
F. Kafka, Tutti i romanzi cit., p. 582.  
14
A. Abruzzese e P. Mancini, Sociologie della comunicazione cit., p.107.
15
H. M. McLuhan, La Galassia Gutemberg: nascita dell’uomo tipografico, Armando Editore, Roma, 2011, p. 67.
può essere ridotta alle logiche della riproducibilità e per questo non trova spazio in un ambiente che
invece a queste logiche sia sottomesso.
Il messaggio imperiale è rivolto ad un “tu” che non è più parte di quella rete di relazioni attraverso
le quali era possibile partecipare alla sacralità; è inviato “al singolo”, che appartiene ad un’altra
dimensione rispetto a quella in cui l’imperatore ha sussurrato il messaggio, un altro spazio e tempo,
rispetto a quello in cui si è prodotto l’evento comunicativo. Uno spazio ed un tempo decostruiti che,
come abbiamo accennato, richiamano la memoria e il trasmettersi di una tradizione.
L’uomo alfabetizzato che dovrebbe ricevere il messaggio non può scrutarne il contenuto, non nella
distanza che lo separa dal messaggero, e nella sua memoria non può trovare traccia di un evento
comunicativo al quale non ha assistito, ma può pensare al “messaggio” come oggetto e sognare la
venuta del messaggero.

Con l’alfabetizzazione l’uomo ha iniziato a pensare alle parole come cose e non
come eventi. La parola-suono era labile, ma anche preziosa, irreversibile e
potente; il testo scritto perde sacralità, diviene stabile, lo si può trasformare, ma
non attraverso il dialogo, che acquista caratteristiche fittizie. La scrittura può
conservare e trasmettere informazioni in quantità incomparabilmente maggiore; nello
stesso tempo, l’io si chiude nella sua interiorità, nella sfera privata e nello studio, nello
sviluppo del pensiero logico e scientifico. 16

Il medium scrittura può veicolare un’elevata quantità di informazioni, può supplire alle mancanze di
una comunicazione faccia a faccia, ha una maggiore diffusione e ricezione, eppure non ha in sé la
sacralità della parola pronunciata in una comunicazione orale, che resta irripetibile.
La scrittura crea il punto di vista esterno, definisce la struttura di ciò che si osserva, rientra ancora in
quella che abbiamo definito la “logica dello spettatore”; eppure la letteratura, in quanto creazione
artistica, non si limita a scarnificare la realtà, frammentandola in un’immagine, che la percezione
dovrà ricomporre, essa ha una propria plasticità attraverso la quale dialoga con i sensi, costruisce
ambienti nuovi che si affiancano a quelli reali. La letteratura colma in qualche modo la distanza tra i
due mondi, scuote l’individuo dallo shock che il cambiamento in atto nell’ambiente e nella sua
percezione provoca in lui.
Il lettore del racconto viene posto di fronte a questa sorta di risveglio, viene riaccesa in lui una
nostalgia, si trova improvvisamente davanti a se stesso, in attesa sognante di qualcosa che
probabilmente non giungerà mai, ma che pure è inevitabile attendere.
Come abbiamo osservato, la narrazione getta un ponte verso un mondo magico che ci viene
presentato già in declino, al quale lo stesso narratore non appartiene. Il messaggero è l’unico che ci
viene descritto, ne conosciamo l’indole, partecipiamo alla sua fatica ne intuiamo l’esito attraverso la
lettura, ma ciò che resta al termine del racconto è esattamente l’immagine di lui che vorrebbe
raggiungerci con il messaggio imperiale, è il sogno del suo arrivo.
Azzardiamo un’ultima riflessione: il lettore si trova davanti al testo Un messaggio dell’imperatore,
scritto da Franz Kafka, leggendolo si identifica nel suddito al quale il messaggio è stato inviato e,
per quanto non possa conoscerne la sostanza, viene a sapere delle parole dell’imperatore mediante
la “leggenda” narrata. Dunque il messaggero è in qualche misura giunto fino a lui attraverso la
parola scritta, che di quel mondo magico reca solo l’immagine, il sigillo.

16
G. Ragone, IL MEDIUM LETTERARIO, in pdf Materiali didattici estratti da Introduzione alla Sociologia della
Letteratura e altri testi di Giovanni Ragone
Bibliografia e Sitografia

H. M. McLuhan, La Galassia Gutemberg: nascita dell’uomo tipografico, Armando Editore,


Roma, 2011
A. Abruzzese e P. Mancini, Sociologie della comunicazione, Editori Laterza, Bari, 2011
A. Grasso, Radio e televisione. Teorie, analisi, storie, esercizi, Vita e Pensiero, Milano, 2000
F. Kafka, Tutti i romanzi, i racconti, pensieri e aforismi, Newton Compton Editore, Roma, 2011
D. Capaldi (a cura di), Kafka e le metafore dei media, Liguori Editore, Napoli, 2012
G. Ragone, pdf Materiali didattici estratti da Introduzione alla Sociologia della Letteratura e altri
testi di Giovanni Ragone
http://www.kafka.org

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