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ULRICH SCHULZ-BUSCHHAUS (1941-2000)

“Editoria ed evoluzione dei generi letterari”, saggio tratto dalla raccolta “Il sistema letterario nella civiltà borghese”– ci troviamo
sempre nell’ambito della critica sociologica applicata alla letteratura.
In questo saggio egli analizza l’interazione reciproca tra l’editoria e le forme letterarie.

Schulz-Buschhaus morì giovane.


Fu critico e teorico della letteratura di grande finezza e spessore concettuale.
Fu un filologo romanzo, dunque colui che in Italia si occupava delle opere della letteratura medievale.
Romanzo è qui inteso come romània = Europa latina occupata dall’Impero Romano, dunque il periodo in cui in Italia si parlava latino;
in ultima analisi si tratta dell’Europa colonizzata linguisticamente, culturalmente e militarmente nonché socialmente dall’Impero
romano (Del resto anche lo stato Romania, una delle ultime zone occupate dall’Impero romano, deve il suo nome proprio a questo).
Da qui anche l’aggettivo “romanzo” = relativo all’Europa medievale.

Schulz-Bushhaus nasce – come spesso accade nella tradizione tedesca – come filologo romanzo: si occupa di letterature europee e
medievali ma con dei potenti sconfinamenti nell’ambito del ‘800 e ‘900, il periodo cui noi siamo soliti riferirci come “modernità”. Egli
dunque non si limita alla medievalistica, ma si muove attraverso i secoli della letteratura occidentale, facendo spesso riferimento
all’unità culturale europea.
I suoi saggi critici affrontano autori francesi, anglo-americani, sudamericani (Borges) e italiani (Parini, Manzoni, Futurismo, Sciascia e
Calvino).

Accanto alle analisi critiche di Buschhaus vi sono anche varie riflessioni teoriche, che uniscono l’attenzione al testo tipica del filologo
all’interpretazione dei nessi fra letteratura e società.

Schulz-Buschhaus fu amico di Spinazzola e con lui condivise alcune visioni riguardo l’approccio alla letteratura novecentesca.
L’analisi di Buschhaus si concentra sul rapporto che si stabilisce fra l’editoria e i generi letterari – già visto in Spinazzola con la
quadruplice suddivisione del mondo letterario italiano del secondo ‘900 in 4 livelli in cui indicava sempre il genere letterario e il
pubblico di riferimento, mettendo l’accento sul fatto che è l’editoria il deus ex machina che decide cosa possiamo o non possiamo
leggere (oggi molto di più)-.
Entrambi inoltre si interessano della paralettetatura e alla letteratura di consumo – citando due livelli di Spinazzola.

Bushhaus muove da un presupposto che per noi risulta scontato: il romanzo è il genere egemone della modernità.
Del resto anche oggi nell’immaginario comune si legge un romanzo, non di certo una tragedia greca.
Egli si occupa dunque di romanzo in quanto genere che domina l’immaginario dei lettori in epoca moderna.
Anche lui propone una sua idea a proposito della nascita del romanzo, muovendo dal presupposto che l’editoria è determinante
anche nella nascita e nella sopravvivenza dei generi letterari.
Dunque il punto di partenza del romanzo così come lo conosciamo oggi risale alla nascita della stampa, nel 1470 più o meno
(Guttenberg - la diffusione della stampa è stata per lo più durante il ‘500).
Le origini del romanzo, in ultima analisi, si riscontrano con la diffusione della stampa nel ‘500 nell’Europa e contemporaneamente
con l’editoria che ha mosso i primi passi abbandonando una condizione artigianale – copie manoscritte – che oggettivamente
richiedeva molto lavoro e pochi prodotti = poca diffusione.
Si può dire che a ragion veduta Buschhaus sostiene che l’invenzione della stampa sia il punto di partenza di una prima timida
industrializzazione dell’editoria, precedente alla sua trasformazione in un’impresa economicamente sostenibile e dunque a tutti gli
effetti economica = se posso stamparle libri senza copiarli a mano posso venderne di più e avere introiti maggiori.
L’affermarsi del romanzo sullo scenario Occidentale è stato decisivo per lo sviluppo del sistema letterario borghese e, come scrisse
Watt, per l’aspetto mediatico e imprenditoriale del romanzo (e dell’editoria).

La rottura più profonda nella storia della letteratura europea si riscontra nel romanzo all’inizio del ‘500, con l’invenzione della
stampa e poi l’industrializzazione dell’editoria – il nostro punto di partenza e l’inizio della storia della letteratura come siamo abituati
a conoscerla.

A proposito dell’imporsi del romanzo come genere dominante, Buschhaus osserva che all’inizio il romanzo – ma ancora nel ‘700 e
‘800 – non veniva preso sul serio dalla critica letteraria.
Buschhaus muove dunque critica, del resto come Spinazzola, nei confronti dei critici.
(Buschhaus non era contro l’editoria e nemmeno contro la critica o il pubblico, come Spinazzola non avrebbe mai detto che
l’editoria/critica fa schifo. Perché ciò che è, è)

Da un punto di vista storico Buschhaus osserva che ancora nell’800 i romanzi uscivano spesso con delle prefazioni scritte dall’autore
o dall’editore o qualcuno a lui vicino. Erano delle premesse di carattere difensivo o apologetico. Difendevano cioè, il fatto che
pubblicare il romanzo fosse stata una buona idea, una buona operazione.
E’ autoapologetico nel senso che tendevano a dire “ehy, quest’opera è importante”.
Buschhaus legge in queste prefazioni la difficoltà del romanzo ad imporsi.
I romanzi avevano risvegliato l’antipatia dei critici letterari, i quali li consideravano opere di serie B.
I romanzi trovavano dunque nelle figure più importanti della letteratura – i critici – un nemico, che influenzava in positivo o in
negativo il successo o l’insuccesso dell’opera.
Le prefazioni sono proprio una testimonianza della fattuale difficoltà del romanzo, simbolo della sua timidezza, tant’è che l’autore o
l’editore sentivano il bisogno di sostenerlo con parole di apertura che ne esaltassero la validità.
Se ti scusi per qualcosa di cui non sei stato ancora accusato, manifesti la tua colpa – detto latino.

Chi sosteneva invece l’imporsi del romanzo?


L’editoria.
Ha da subito capito la possibile svolta che poteva significare per il suo destino il romanzo.
Per la 1° volta infatti vi era un genere letterario per tutti, con un potenziale carattere editoriale.
Un esempio sono i gialli. Così come le prefazioni di sono sintomo di una debolezza, i gialli sono il sintomo della forza che l’editoria ha
nel determinare le sorti dei generi letterari.
Un giallo = romanzo in cui c’è un criminale che commette il crimine, l’ispettore che fa le indagini e molto spesso si arriva ad una
situazione positiva in cui il criminale – anche geniale – viene scoperto. A volte succede che si scopre il criminale essere in realtà una
persona positiva che ha preso la strada sbagliata.
Perché solo in Italia si chiamano gialli? Negli altri paesi si traducono con termini come “poliziesco”. in Italia si chiama così perché la
Mondadori pubblicava i polizieschi negli anni ’20 e ’30 con delle copertine di colore giallo. Ciò è per Buschhaus la prova di quanto
l’editoria influenzi le sorti della letteratura e in particolare delle definizioni del genere al punto da determinarne sul suolo italiano il
nome. Anche la capacità della critica di determinare il formarsi di nuovi generi e sottogeneri (vedi giallo) è decisiva. L’editoria da
dunque il suo contributo all’evoluzione della letteratura.
Ma poi, il romanzo che nasce con l’ostilità della critica (che lo considerava un’opera di scarso valore) e il favore dell’editoria si
impone anche con il favore del grande pubblico – visto anche in Spinazzola-. Al nuovo vasto pubblico della modernità piace
l’esistenza di un genere letterario che non sia pesantissimo – non essendo uno specialista – e che gli parlasse con cose della sua vita.

Buschhaus riflette inoltre sul fatto che il romanzo è il primo genere letterario che nasce nella sua fase moderna dopo l’invenzione
della stampa. In particolare è il 1° genere che rifiuta o non conosce lo strumento orale come strumento di diffusione e fruizione della
letteratura – anche per via mnemonica-. A noi oggi sembra normale leggerlo e non ascoltarlo, ma fino a non moltissimo tempo fa
non è stato così.
Quindi il romanzo così endemicamente connesso al medium della stampa e dunque ad una lettura individuale e silenziosa si pone su
un altro piano rispetto agli altri generi.
In questa fruizione solitaria e silenziosa Buschhaus vede un nuovo elemento di attrazione del romanzo agli occhi dei lettori: margine
di libertà prima sconosciuto.
In particolare il romanzo, che mette in scena momenti di vita private di personaggi spesso contemporanei o non troppo distanti dal
lettore, permetteva ai lettori di subire il fascino voyeristico – il voyer è colui che spia (dal francese).
Il fascino voyeristico è il fascino che proviamo nel leggere in solitudine un romanzo, chiusi nella nostra stanza e sicuri che nessun
altro stia leggendo la nostra stessa cosa.
Si tratta di conoscere fatti della vita quotidiana altrui che assomigliano ai nostri, di conoscere pensieri che assomigliano a quelli che
abbiamo formulato – si tratta di pensieri ed eventi, anche i più piccanti e scabrosi, di cui non abbiamo il coraggio di parlare-.
Il fascino voyeristico è la sensazione di poter spiare dal buco della serratura la vita altrui – un po’ come guardare certi reality oggi.
Il romanzo ci permette dunque di vivere esperienze che normalmente non vivremmo.
Questo mix di fatti normali indicibili e fruizione solitaria secondo Buschhaus, sul piano psico-emotivo, diventa un forte elemento per
i lettori che vi vedono un’esperienza potentemente liberatoria e di irresponsabilità. Ciò fa si che acquisisca ai loro occhi un fascino
ulteriore.
Diverso è il caso del teatro. Il teatro metteva in scena dinamiche domestiche contemporanee agli spettatori, ma fruirne in un
contesto pubblico come il teatro non è come leggere da solo, magari di nascosto.

Anche la dimensione stessa del romanzo, il fatto di essere in prosa, è legato al fatto che il romanzo moderno nasce con la stampa –
tutta la lunghezza è immaginabile quando vi sono tante copie per le persone e non è necessario impararselo-.
La versificazione e la rima hanno svolto storicamente la funzione di rendere memorabile/ricordabile mentalmente pezzi di
letteratura molto lunghi poiché il ritmo e le rime svolgono una potente funzione di supporto nella memoria – come il fatto che
ricordiamo molti testi di canzoni-.
Invece il romanzo, dispiegandosi orizzontalmente (poesie, canzoni – verticalmente) inevitabilmente presuppone il mezzo della
stampa.

RIASSUMENDO
Il romanzo tra tutti i generi è il primo che ha una vicenda totalmente riconducibile all’epoca della stampa. Il romanzo moderno
nasce, dato oggettivo, dopo l’invenzione della stampa e questo ha portato ad una radicale diversità rispetto agli altri generi che
avevano conosciuto anche una fruizione orale.
Il fatto che il romanzo nasca concependolo come una lettura silenziosa e singolare ha fatto si che al suo interno venissero descritte
scene che prima non ci si azzardava a descrivere – imbarazzo sociale ed elementi fin troppo “scabrosi”-.
Un conto erano le commedie di Goldoni in cui veniva proprio richiesto il momento basso della parolaccia o della volgarità – ciò non
accadeva nei generi letterari seri prima dell’invenzione della stampa.

Prima dell’800 non esisteva la figura del critico letterario, vi erano giullari e letterati che si limitavano a godere delle opere –
l’aspetto del divertimento era più forte rispetto a quello professionale, non essendovi professionisti, al massimo gli scrittori – anche
se lo scrivere non era il loro unico lavoro.
Nell’800 invece si crea una società più ricca poco a poco in Europa – materialismo storico – Inghilterra e Francia-, si crea sempre più
benessere e così quando tutto è al proprio posto ci si può dedicare anche ai propri hobby.
Si può dunque creare anche una società culturale, una comunità letteraria dentro la quale se qualcuno è ricco di famiglia può anche
fare il critico di professione – nella Parigi di Boudleire, degli impressionisti-.
I critici di quest’epoca, assistendo ad una vasta diffusione del romanzo, vedono in questo, banalità, nonché un genere che
imbruttisce la letteratura. Nell’800 la letteratura alta era quella in versi, poesia e teatro. Poi grandi autori potevano anche scrivere la
propria biografia (alfieri,Rosseau, Goldoni).

LA MODERNITA’ LETTERARIA
Ci viene detto, di solito, che la modernità in senso storico è iniziata con la caduta di Costantinopoli, o con la scoperta dell’America. La
prova del suo inizio è il rinascimento italiano.
La modernità poi si chiude ad inizio ‘800 chiudendosi verso la rivoluzione francese.
Dunque fine ‘400 inizio ‘800.

Per i letterati la modernità è connessa con la 1° rivoluzione industriale e nei paesi più arretrati come l’Italia – che è alla guida
culturale dell’Europa fino al rinascimento ma poi dal Barocco è al traino – è la seconda rivoluzione industriale (2° metà 800).
Quindi letteratura moderna = letteratura dall’800, nel nostro caso metà ‘800. Spesso si ritiene che poesia moderna nasce con
Boudlaire che pubblica “I fiori del male” nel 1957.

Buschhaus a questo proposito sostiene che la modernità letteraria europea sia caratterizzata da un conflitto fondamentale: fra la
critica e l’editoria – già vista con Spinazzola.
Si tratta di frattura endemica, inevitabilmente parte del campo letterario che non si rimargina più.
Il critico cerca il nuovo (il valore estetico), si impone (proprio nell’800) il canone dell’originalità, vigente ancora oggi. Prima vigeva il
canone dell’imitazione e rifare nel ’500 un sonetto alla Petrarca era un elemento nobilitante per noi oggi l’imitazione è inaccettabile.
Questo atteggiamento è noto come nominalismo estetico: difesa da parte della critica del canone dell’originalità, della novità ad
ogni costo.
L’editoria vuole vendere le sue opere, il suo scopo principale è il profitto e per riuscirci ha bisogno di sollecitare il pubblico che
ragiona in base alla riconoscibilità di genere.
Riconoscibilità di genere = Riconducibilità a un determinato genere. il consumatore quando consuma è portato a priori a puntare su
qualcosa che sa già potrebbe piacergli. E’ l’atteggiamento che ci domina quando siamo in libreria e pensiamo a cosa comprare. E’ la
leva principale che spinge un lettore a diventare un compratore di libri: se mi è piaciuto l’ultimo libro di un autore è probabile che mi
piaccia anche il successivo, dunque lo prendo.
E’ decisamente il contrario di quello che vorrebbe la critica secondo la quale le grandi opere sono quelle che arrivano, spaccano
tutto e si impongono con un violento elemento di novità.
Dunque critica = canone dell’originalità, novità ad ogni costo.
Editoria = riconoscibilità di genere.
Ma per quanto nuova e singolare, ogni opera non può fare a meno di richiamarsi a strutture preesistenti della precedente
tradizione. Del resto le parole, prima di essere “nostre”, sono sempre già state usate da altri, così che in letteratura, cioè nell’arte
della parola, il nuovo assoluto è un’illusione incpncepibile.

Precisazione.
Il sistema letterario così come lo vorrebbe l’editoria è basato sulla presenza forte dei generi letterari e da questo punto di vista
assomiglia molto al sistema letterario premoderno.
In questo sistema i generi erano pochi e ben definiti, si era ben consapevoli di quale genere si stesse producendo, proprio come
nell’800 l’editoria esige che si sappia quale genere si produceva per il principio “se non lo conosco non lo compro”.
Il sistema letterario premoderno aveva dei generi letterari con una funzione però completamente diversa – la rigidità di questo
sistema era verticale, ciascun genere aveva la propria collocazione nella scala dei valori.
Commedia=volgare, tragedia=sublime, lirica=media.
La rigidità di genere e di gerarchia tra i generi altro non era che il rispecchio della rigidità di tipo sociale (Marx) – cioè quella era una
società molto gerarchizzata sul piano dei ceti che la componevano (poveri e ignoranti, meno poveri e meno ignoranti, ricchi e
acculturati). La genericità –.

L’appartenenza di genere auspicata da una parte dal pubblico e da una parte dall’editoria nell’800 è invece una
genericità/appartenenza di genere di tipo orizzontale: all’editoria non interessa tanto la scala gerarchica, solo che siano riconoscibili.
Ma secondo l’editoria e la critica io non mi devo sentire scemo se compro un romanzo di formazione e nemmeno un intellettuale se
compro manuali di avanguardia. proprio perché la riconoscibilità di genere deve essere funzionale alla mia pacificazione emotiva,
cioè alla mia tranquillità di consumatore.
Da una parte c’è la gerarchizzazione dei generi e dall’altra l’individualizzazione.

Tornando al sistema moderno


Secondo Buschhaus la modernità letteraria è percorsa dalla frattura critica-editoria (di opposizione) vista però come un paradosso:
dentro il sistema letterario della modernità ci sono due spinte contrapposte che coabitano.
Da una parte i protagonisti dell’istituzione letteraria che spingono e valorizzano l’originalità (critici e qualche autore) e dall’altra
parte il pubblico vasto e l’editoria spingono sulla riconoscibilità di genere e dunque sulla serialità.

Chi ha vinto oggi? Oggi siamo su una fase nella quale la vendibilità e facilità e la semplice fruizione da parte dei lettori è diventata
determinante. Non è nemmeno un caso che oggi ci sia una grande attenzione non più tanto per il singolo capolavoro
cinematografico quanto per le serie televisive.
Serialità = antioriginalità del mondo editoriale che vuole che i lettori si affezionino di più, perché se ti affezioni compri – è dunque
fondamentale riconoscere il genere, perché se non lo riconosco non mi ci affeziono e rischio di non comprarlo più.
Così come dal singolo film si è passato ad ammirare le saghe e ora di netto si è passati alle serie televisive – si vedono più serie
televisive piuttosto che grandi singoli film.
La serialità, entrando nel ‘900 e sfociando nel nostro ventennio, vede la vittoria della squadra pubblico-editoria contro la squadra
critici-scrittori di alto rango (questi ultimi hanno poco spazio).

Ma la questione della serialità e della ripetizione rimanda al suo opposto: l’avanguardia.


Buschhaus dopo aver enucleato la frattura paradossale dell’opposizione che caratterizza il sistema letterario moderno, passa a
polemizzare con i grandi sostenitori dei critici – che sono quelle che oggi chiamiamo avanguardie: tutti i movimenti organizzati che
puntano sulla sperimentazione. Dunque tutti gli scrittori che apparterrebbero al 1° livello di Spinazzola – iperletteratura.
Le avanguardie affermano per principio una poetica di innovazione permanente, anche se la storia insegna che ogni trasgressività,
quando diventa una regola, si condanna alla ripetizione.
Buschhaus, che come forma mentis ama individuare paradossi e contraddizioni, mette il dito in due punti che rendono secondo lui
assurda la poetica avanguardista.
Poetica avanguardistica = quella dell’innovazione permanente. L’innovazione ad ogni costo.
L’avanguardia è quella che dice “da quando sono arrivato io tutto è nuovo, opere come le mie non le aveva mai fatte nessuno”.
L’avanguardia in fondo è quel movimento o quell’autore che porta il canone dell’originalità alle sue estreme conseguenze: non basta
essere originali, è necessario essere completamente nuovi e portare rottura.
Bushhaus sostiene che in arte non si inventa niente, che qualsiasi rottura esiste solo appoggiandosi alla tradizione precedente,
dunque al passato. Il concetto di rottura o di novità ha senso solo se rompi qualcosa: quindi chi arriva e dice “sono del tutto nuovo” è
in contraddizione con sè stesso.
Pensiamo anche alla ritrattistica dei cubisti (Picasso) – il ritratto di una persona fatto tutto a blocchi scomposti ha senso ed è
riconoscibile perché c’è una tradizione di ritrattistica che risaliva per lo meno al ‘400. Senza secoli di ritrattistica l’avanguardia
cubista non avrebbe alcun senso.
Per fare un esempio letterario: il verso libero (i versi di poesia che non rispettano i canonici conteggi delle sillabe) ha senso perché
c’è il verso tradizionale. Lì capisco la rottura, altrimenti non ci sarebbe senso.
O anche il gabinetto rovesciato (“fontana”) in un museo, ha senso solo se in un museo si è abituati a vedere i quadri.
I futuristi teorizzavano ad esempio l’odio contro la tradizione, con un’aggressiva carica innovativa. Quando sono diventati un
elemento del campo artistico-letterario iniziano anche loro a fare scuola, ad entrare nella tradizione. Avendo successo diventano
parte della tradizione.
Gli autori innovativi arrivano e rompono tutto il passato, il quale può essere determinante in due modi opposti:
- come i petrarcheschi che a decenni di distanza rifacevano Petrarca per sfoggiare la loro bravura. Canone dell’imitazione, legame con
il passato.
- Buschhaus si accorge però che le grandi innovazioni in ambito artistico in realtà si appoggiano al passato proprio come il canone
dell’imitazione, semplicemente lo vogliono rompere. E da lì si riparte.

La prima contraddizione dell’avanguardia quindi è quello di presentarsi come l’assoluta novità, non potendo in arte esserci niente di
nuovo, sia che rispetti la tradizione o che con questa voglia rompere.

Ulteriore contraddizione dell’avanguardia: se hanno successo inevitabilmente diventano tradizione. Dopo il gabinetto rovesciato di
Duschamp, di cose assurde nei musei ne abbiamo viste. E infatti oggi molte cose nei musei non le si definiscono più come opere ma
come installazioni.
Ciò significa che nel momento in cui un’avanguardia con i suoi congegni nuovi ha successo e si impone, ottenendo così quello che
voleva, inevitabilmente si diventa tradizione. In questo senso si parla di museificazione = si finisce nei musei, si diventa un pezzo
polveroso dei musei come tutti gli altri che volevamo ammazzare. Quindi si diventa “uno di loro” se va bene.
Sia a proposito del passato che a proposito del futuro l’avanguardista è fregato, dialetticamente in contraddizione.
E ciò per Bushhaus è ridicolo: uno che vuole rinnovare tutto e poi diventa solo un mattoncino per la vicenda artistica di altri che
ripartiranno da lì.
Gli autori che non si presentano con questa aggressiva carica innovativa accettano la tradizione a priori.
Perché vi impegnate così tanto per diventare polvere?

Negli ultimi anni si è imposta l’editoria, il grande pubblico con i suoi diritti alla semplicità strutturale, alla riconoscibilità di genere,
alla serialità.
Siamo tutti pigri, in gelateria prendiamo tutti panna e cioccolato. Non ci piace più la scoperta.
Quest’epoca, che oramai ha circa 40 anni, iniziata alla fine degli anni ’70, alcuni l’hanno voluta chiamare “postmoderna” e la sua arte
“postmodernismo”.
Buschhaus preferisce parlare di cicli storici in cui si alternano momenti in cui vincono i critici e gli scrittori di stampo avanguardista e
altri momenti noti come fasi post-avanguardiste, proprio perché si parla di cicli storici in cui ci sono decenni avanguardistici e
decenni postavanguardistici che poi si ripeteranno.
Dunque si parla di cicli che si ripeteranno con strutture diverse ma nel fondo simili, poiché le opere avanguardistiche del ciclo
successivo al nostro non saranno come quelle che abbiamo alle spalle ma saranno opere in cui di nuovo vince la sperimentazione.
Cicli che si ripetono in contrasto tra loro avendone in mezzo uno che è opposto.
Quest’idea è ripresa dal filosofo italiano Gianbattista Vico (del ‘600) che aveva una concezione della storia secondo la quale la storia
umana produceva corsi e ricorsi – per cui ci sono dei cicli che si ripetevano per opposizione dualistica.
La postavanguardia è tornata da poco a riconoscere il valore dei generi letterari – delle convinzioni di genere – ritenuti uno stimolo
alla creazione letteraria. Inoltre la rinnovata disponibilità verso i generi va di pari passo con la rinnovata attenzione verso la
traducibilità dei testi (dove prima le poetiche della trasgressione insistevano sulla necessaria intraducibilità della letteratura).

Buschhaus osserva come però nel ‘900 anche nelle fasi avanguardiste, quindi in cui si impone in ambito avanguardistico una spinta
sperimentativa, i lettori e l’editoria riescono sempre a ritagliarsi un proprio habitat preferito, che sia più consono alle loro necessità
(vendibilità, leggibilità, semplicità).
E in effetti quando c’è stata l’ultima ondata avanguardistica (anni ’60 e ’70) in Italia si parla di neoavanguardia: c’è un movimento
nato alla fine degli anni ’50 fino al ’68 che si chiama “neoavanguardia” (è palese il riprendere l’avanguardia in termini innovativi sin
dal nome. Siamo i neoavanguardisti: anche noi avanguardisti ma più nuovi del nuovo).
Anche in quella fase a prevalenza sperimentativa i lettori e l’editoria comunque vincono la loro partita.
Negli ultimi decenni gli scrittori e la critica si sono riavvicinati alla prospettiva naturale degli editori, obbligati a tenere conto di ciò
che Spinazzola chiama “il realismo dei lettori”.

Dunque si ci sono corsi e ricorsi, si a volte vince la sperimentazione, però da quando l’editoria è diventata industriale poi riesce
comunque a far correre, anche se solo sotterraneamente, una produzione che accontenta i gusti del vasto pubblico.
Il pubblico in ogni caso vince poiché è così potente che non si piega alla preponderanza ad un gruppo di sperimentatori. E’ capace di
cercare altrove opere vendibili.
Infatti alla fine dello scorso secolo sono arrivati in Italia le opere di Borges. Si tratta di un canale alternativo dell’editoria: se in Europa
non si stava producendo un romanzo vendibile, allora lo si va a cercare altrove – i romanzi di Borges e Marquez sono molti belli, del
latino america.

Alcune precisazioni finali


Si potrebbe dire che il discorso di Buschhaus ha l’estrema conseguenza che l’avanguardia non esiste – è semplicemente un episodio
dell’arte/letteratura.

La paraletteratura in tedesco viene normalmente definita come “Trivialliteratur”, letteralmente “letteratura banale”.
Nel saggio “considerazioni storiche sulla Trialliteratur” (1979) Buschhaus spiega che nella letteratura pre-borghese il sistema
letterario era organizzato su un’opposizione tipologica fra letteratura alta e bassa: distinzione verticali legata alla struttura del
sistema sociale (opposizione rigida fra le classi).
Con l’avvento della modernità e con l’affermarsi in linea di massima dei valori di libertà individuale e del concetto di originalità
artistica: opposizione nuovo, unico a vecchio e già visto.
Il paradosso della letteratura moderna risiede nel fatto che essa da un lato enfatizza il valore dell’originalità ma dall’altro è
strutturalmente orientata alla pubblicazione di opere vendibili (poiché governata dalle esigenze editoriali di profitto) che incontrano
il gusto già formato del pubblico – tendendo a cadere nella serialità e ripetitività.
E’ questa la crepa della civiltà borghese.
E da qui deriva il tentativo di discriminare a priori determinati generi letterari ritenuti portatori di serialità – tutta la paraletteratura –
stigmatizzata come letteratura fatto solo per il consumo effimero e per questo strutturalmente inferiore alla letteratura alta.
Il concetto di Trivialliteratur si fonda dunque sull’illegittima sovrapposizione di categorie di genere e giudizi di valore. Il problema
della para-letteratura è stato visto anche da Spinazzola.

Un’altra opposizione è quella fra la letteratura aristocratica dell’Ancien Regime – che riconosceva il valore dei generi – e la moderna
letteratura borghese – che pone l’accento sul Nuovo -.
Ma il passaggio all’era moderna non porta ad una dissoluzione dei generi letterari, cancella solo il loro carattere normativo. La
possibilità di una rappresentazione fedele del reale fa tutt’uno con la possibilità di esprimere liberamente i sentimenti individuali.
Il rifiuto moderno delle regole viene a sua volta cancellato dal recupero dei generi proposto dalla letteratura della fine del XX secolo.
Si tratta della cultura del postmoderno che Buschhaus chiama postavanguardia. Il genere è infatti una codificazione interna al
sistema letterario, ma è costitutivamente orientato verso la ricezione di un pubblico socialmente determinato.
TESTO
Tema = rapporto fra editoria e la formazione dei generi.
Presupposto:
- solo attraverso la ricostruzione del passato si giunge ad una conoscenza del presente completa.
- l’editoria ha avuto molta importanza per la storia dei generi ma anche l’evoluzione dei generi ha avuto un massiccio influsso
nell’evoluzione dell’industria editoriale.
Fenomeno più macroscopico in esame = origine e sviluppo del romanzo grazie ai nuovi media. Dal ‘500 in poi il romanzo uccide
l’epopea e il poema eroico. Questo costituisce la rottura più profonda nella storia della letteratura e della mentalità europea.
Fra le varie cause si citi l’interesse dell’industria editoriale che nel ‘500 muove i primi passi verso un’espansione europea dapprima e
poi mondiale.
Il legame romanziere-editore divenne molto più evidente a partire dal ‘600 e ‘700, quando la letteratura narrativa diventa
consapevolmente letteratura di massa.
L’esempio più chiaro viene fornito dal ‘700 inglese descritto da Watt:
- sottolinea l’aspetto mediatico ed imprenditoriale dell’ascesa di un genere prima disprezzato.
Estensione e possibilità di vivere la vita letteraria come esperienza privata. E’ il romanzo infatti il primo ad aver rotto con la
tradizione orale. Secondo Watt dalla stampa proviene anche una maggiore credibilità e autorità del messaggio stampato e, ancora di
più, il fascino voyeristico – ciò che distingue il romanzo da uno spettacolo pubblico, quando l’atto di lettura si sottrae al controllo
sociale esercitato dai media dello spettacolo, ottenendo un grado di libertà e irresponsabilità che lo hanno reso sospetto alle forme
di potere-.
Vi è dunque un rapporto evidente tra genere del romanzo, il medium della stampa, l’editoria, l’evoluzione di una società in cui i
borghesi mirano all’egemonia.
Questo rapporto poi si fa sempre più stretto tra ‘800 e ‘900.
Il romanzo ascende a genere egemonico della letteratura moderna non di certo grazie all’establishment critico.
Se oggi è naturale considerare autori come Stendhal, Faubert e Balzac come rappresentanti della Weltliteratur, allora non lo era.
Le prefazioni dei romanzi avevano un atteggiamento difensivo e apologetico, come se la scrittura di un romanzo richiedesse una
scusa.
Critiche aperte ai romanzi:
“chi volesse rendersi inadatto alla vita attiva, troverebbe un metodo comodo nel consumo di un numero elevato di romanzi, anche
quelli meno cattivi. Più facilmente un ricco entrerà nel paradiso che un fabbricante di libri nel regno della poesia pura”.
“vorrei desiderare che al romanzo non sia più concesso un grande avvenire”.
Si deduce dunque che il trionfo del romanzo non si deve tanto alla critica quanto all’editoria la quale non solo lo stimola, ma
contribuisce anche alla formazione dei suoi sotto-generi (esempio dei gialli).
E’ indubbio che l’editoria contribuisca alla continuità dell’evoluzione letteraria, e ciò è diventato chiaro nel ‘900 quando si è
industrializzata.
Dall’800 si assiste ad una tensione fra teoria poetologica/critici e realtà della vita letteraria/editoria. La teoria insiste su un
nominalismo estetico che vuole superare le genericità del testo e l’editoria invece insiste sulle genericità (riconoscibilità dell’opera)
presentata sempre in un contesto che le attribuisce un determinato posto nel canone generico e nel cerchio di lettori.
Secondo Adorno e Horkheimer, paradossalmente, “Il Nuovo dell’epoca della cultura di massa in confronta all’epoca tardoiberale
sarebbe l’esclusione del Nuovo”, “Qualsiasi cultura di massa, organizzata dal monopolio, è identica”.

Negli ultimi decenni è venuto meno il fascino dell’avanguardia letteraria. Ora, se l’ideale dell’avanguardia consisteva nei valori di un
nominalismo estetico, del testo unico e dell’illeggibilità, la letteratura dellla post-avanguardia tende invece ad una rivalorizzazione
della leggibilità che presuppone sempre l’accettazione di momenti generici. Stiamo vivendo in una fase letteraria in cui proprio i
generi rifiutati dall’avanguardia storica si sono nuovamente affermati come i principali mezzi di comunicazione autori-lettori.
Dalla parte degli scrittori l’interesse è portato ad una letteratura che ottiene il suo rango di letterarietà provando nuovi modi di
scrittura; d’altra parte l’editoria si controlla con quello che Spinazzola chiama “realismo dei lettori” ed ha dunque una funzione di
mediazione.
Esistono dei momenti in cui prevalgono gli interessi della letterarietà (che non fanno la gioia dell’editoria) che si alternano con
momenti in cui prevale la leggibilità e l’interesse per i lettori (oggi).
Ad ogni modo per il realismo dei lettori si trova quasi sempre un’offerta alternativa – romanzi latino-americani-.
Caratteristico del momento dei lettori è la scarsità dei concetti poetologici – indicano il nuovo-.

Uno dei concetti attualmente più usati consiste nell’aggiunta del prefisso post- ad un concetto solidamente radicato nella cultura.
Vi è dunque una distinzione che oppone avanguardia e post-avanguardia (quella che stiamo vivendo – un periodo di arte che ha il
suo carattere generale nel non essere avanguardia ma dichiaratamente post-), la letteratura contemporanea si definisce mediante la
consapevolezza di un’opposizione tanto alle avanguardie storiche (futurismo e simbolismo) quanto alle avanguardie di una
letteratura sperimentale.
La distanza fra una letteratura di avanguardia e un’altra letteratura di post-avanguardia è volta ai valori della leggibilità e all’intento
di comunicare con il lettore in modo semplice. Nella pratica letteraria si tratta di una distanza fra una letteratura che mira al testo
unico e che rifiuta qualsiasi genericità È un’altra letteratura che tende invece a riconciliarsi con la genericità (qui l’esistenza di
convenzioni di genere è vista come uno stimolo di scrittura).
Vi è dunque una consapevolezza della leggibilità e del carattere comunicativo del testo, ma si pensi anche alla traducibilità. Esistono
testi che rifiutano la traduzione e altri che la invitano. Nella situazione attuale molti fattori, com’è il capitalismo, privilegiano la
traducibilità. La mediazione editoriale in questo caso sta sì nel promuovere la traducibilità ma anche a dare spazio a un tipo di
letteratura intraducibile. In futuro potrebbe verificarsi che anche quello che non risulta traducibile contribuisca la ricchezza della
comunicazione interculturale.

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